RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
217 - Testo della trasmissione di venerdì 5 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Indonesia:
il governo annuncia un’amnistia per ribelli del Movimento indipendentista Gam
Avviata in Kenya una campagna contro l’alcolismo
nella baraccopoli di Kibera
In Iraq, rinviata a
domenica la riunione sulla nuova Costituzione
Tragedia in Israele: un
disertore ebreo uccide 4 persone su un autobus
Il presidente ugandese
dichiara che il leader sudanese Garang potrebbe non essere morto per un
incidente. Ma gli osservatori continuano ad escludere l’ipotesi dell’attentato
5
agosto 2005
NOMINA
In Argentina, Benedetto XVI ha
nominato ausiliare della diocesi di Reconquista il sacerdote Ramón Alfredo Dus, finora rettore del Seminario
Maggiore di Paraná. Il
nuovo presule, 49 anni, è stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1980. A
Roma, presso il Pontificio Istituto Biblico, ha ottenuto la licenza e poi il
dottorato in Sacra Scrittura. Ha ricoperto, tra l’altro, gli incarichi di
vicario parrocchiale presso la Basilica di Nuestra
Señora del Carmen e nella Cattedrale di Paraná, di professore nel Seminario
di Santa Fe e in quello di Paraná, nonché in vari Istituti Teologici. E’ anche
delegato per l’Ecumenismo ed insegnante di Sacra Scrittura.
I PAPI E LE VILLE
PONTIFICIE DI CASTEL GANDOLFO:
SEI SECOLI DI STORIA E ANEDDOTI, SULLE RIVE DEL
LAGO DI ALBANO
Un lungo corteo, accolto dalle grida festose della
popolazione, tra i rimbombi dei mortaretti esplosi in segno di saluto. E’ così
che, nel 1624, Papa urbano VIII fa il suo ingresso ufficiale a Castel Gandolfo,
iniziando la tradizione dei soggiorni estivi pontifici nella magnifica cornice
della cittadina laziale. E’ una storia lunga, disseminata di importanti episodi
storici e di aneddoti, quella che lega
i Papi a Castel Gandolfo, che da alcuni giorni ospita per il suo primo
soggiorno estivo Benedetto XVI. Una storia, tra curiosità e aneddoti, rievocata
in questo servizio da Alessandro De Carolis:
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(musica)
I Papi preferivano i Castelli già dai primi anni nel
Rinascimento. Ci sono memorie scritte in latino di un’escursione papale - Enea
Silvio Piccolomini, Pio II – che intorno alla metà del 1400, una mattina di
maggio, dopo aver celebrato la Messa di Pentecoste in Laterano con i cardinali
che collaboravano con lui, ebbe l'idea di fare una cavalcata fino ai Castelli
Romani. Il corteo imboccò quella che allora si chiamava la Via Campana, ovvero
l'Appia Antica: si trattava di un viottolo per le “barozze” dei mercanti che
trasportavano il vino a Roma. Pio II e il suo corteo arrivarono fino a Castel
Gandolfo e lì il Papa vide le rovine del castello della famiglia Gandolfi, da
cui prende il nome la cittadina castellana. Due secoli dopo, esattamente nel
1624, Urbano VIII pensò di incaricare il suo architetto Carlo Moderno, autore
tra l'altro della facciata di San Pietro, di ristrutturare l'antico Castello
dei Gandolfi, trasformandolo in una sorta di residenza estiva.
Anche i Pontefici dei secoli
successivi frequentarono la sede castellana, con maggiore o minore propensione,
ammodernandola e ampliandola con l’acquisizione di nuove proprietà. Ma anche un
paesaggio che ispira tranquillità e distensione con la serenità dei suoi scorci
vide stravolta la sua funzione “ricreativa” durante la II Guerra Mondiale.
Quando i Castelli romani divennero il retrovia del fronte dopo lo sbarco
angloamericano, per sei mesi l’intera superficie delle Ville mutò in un
accampamento per donne, bambini e vecchi in fuga dai paesi vicini. Furono
allestite cucine da campo e ricoveri e molte delle guardie pontificie, perfino
le Guardie Svizzere, furono incaricate di corvée assistenziali tra gli
sfollati. Ci fu anche un bombardamento: un aereo, non si sa ancora come,
sganciò una bomba e vi furono alcuni morti tra i profughi della villa papale.
Su incarico di Pio XII, fu mons. Montini ad occuparsi attraverso la Pontificia
Opera di Assistenza (POA) di ogni aspetto dell'assistenza ai profughi, sia
nelle Ville, sia – dopo la Liberazione - nella campagna romana e nelle
parrocchie. Pio XII, che amava molto soggiornare per lunghi periodi a Castel
Gandolfo – lavorava spesso all’ombra dei pini del Palazzo apostolico - vi morì
nell'ottobre del '58. Una sorte alla quale fu accomunato il suo segretario di
allora, divenuto Pontefice nel ‘63: Paolo VI. Papa Montini si spense a Castel
Gandolfo il 6 agosto del 1978, tre mesi dopo l’assassinio dello statista, e suo
carissimo amico, Aldo Moro. Di Paolo VI, a Castel Gandolfo, va ricordata, tra
le altre cose, la sua grande familiarità con gli abitanti del posto. Aveva
creato un’usanza: la domenica di Ferragosto andava a celebrare la prima messa
nella parrocchia della piazzetta della Libertà. I castellani affollavano i dintorni,
perché Paolo VI usciva a piedi dal portone della residenza papale, costeggiava la
fontana disegnata dal Bernini al centro della piazzetta ed entrava nella
chiesetta barocca, anch’essa del Bernini, di San Tommaso da Villa Nova.
Con Giovanni Paolo II, il complesso pontificio di Castel
Gandolfo diventa il “Vaticano numero due”. La definizione umoristica, coniata
da Papa Wojtyla nel ’96, dice bene l’importanza che egli attribuì alla
residenza estiva durante tutto l’arco del suo lungo pontificato. Luogo di
riposo e di lavoro, le Ville con Giovanni Paolo II subirono un’ulteriore
innovazione quando in una radura tra i boschi venne costruita una piscina, che
il Pontefice scomparso utilizzava per le sue necessità medico-fisiologiche. La
notizia intrigò i media e alcuni giornalisti americani, dopo qualche mese,
noleggiarono un elicottero per sorvolare la villa e mostrare in qualche modo
dove il Papa facesse le sue nuotate, per il resto ovviamente circondate da
riserbo. La seconda innovazione di rilievo che Giovanni Paolo II introdusse fu
quella di aprire le Ville a uomini di cultura e giornalisti. Per molti anni,
finché le condizioni di salute glielo permisero, il Papa invitò in agosto, per
una o due settimane, scienziati, studiosi di scienze umane, filosofi e teologi,
per una sorta di convegno di studio e di approfondimento. Ma il temperamento sportivo
di Giovanni Paolo II lo portava spesso a calzare scarpe da trekking e ad
inoltrarsi lungo gli itinerari che attraversano i circa 51 ettari delle Ville
di Castel Gandolfo, per visitarne le bellezze archeologiche e quelle più tipicamente
rurali, come le fattorie. Quest’ultime, forse, un’immagine della Polonia
contadina della sua giovinezza, della quale Karol Wojtyla era fiero di essere figlio.
(musica)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il terrorismo, con particolare
riferimento al nuovo messaggio di “Al Qaeda” che minaccia altri massacri.
Sempre
in prima l’Iraq: il presidente Bush ribadisce che la missione verrà portata a
termine.
Nelle
vaticane, un articolo di Michele Giulio Masciarelli in ricordo di Papa Paolo
VI: il 6 agosto ricorre il 27.mo anniversario della morte.
Nelle
estere, Sudan: nominato primo vice presidente il nuovo leader del Sud, Salva
Kiir Mayardit.
La
terza pagina ricorda la tragedia che si consumò il 6 agosto 1945: sessant’anni fa
il lancio della prima bomba atomica. I contributi di Umberto Santarelli,
Roberto Morozzo Della Rocca, Irene Iarocci, Giuseppe M. Petrone.
Nelle
pagine italiane, in primo piano le vicende legate alla Banca d’Italia. Il
titolo del relativo articolo è “Cauto il governo; scontro tra i poli”.
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5 agosto 2005
IL TERRORISMO DI AL QAEDA MINACCIA ANCORA
L’OCCIDENTE.
LA COSTRUZIONE DELLA PACE, RISPOSTA CRISTIANA ALLA
VIOLENZA
- Interviste con Maurizio Calvi e il vescovo
Riccardo Fontana -
Per Gli Stati Uniti, il video
diffuso ieri dal numero due di al Qaeda, Al Zawahiri, dimostra che il nodo
iracheno “è cruciale”. Così si è espresso il presidente americano Bush, rigettando
le nuove minacce del terrorismo islamico. Un terrorismo che vuole imporre la propria
personale visione del mondo arabo in tutte quelle aree di crisi, dall’Iraq ai
territori palestinesi. Lo conferma Maurizio Calvi, presidente del
Centro alti studi per la lotta al terrorismo e alla violenza politica, al
microfono di Debora Donnini:
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R. – Non v’è dubbio che l’aria
territoriale dell’Iraq è il nuovo fronte del terrorismo interno e del
terrorismo internazionale. A mio avviso, si accentuerà in Iraq soprattutto una
violenza sempre più drammatica con conseguenze molto gravi anche nel contesto
dell’Europa, dell’America. Da qui, quelle minacce fortissime che sono state
lanciate dal proclama di Al Zawahiri.
D. – Al Zawahiri invita anche i
palestinesi a percorrere la propria strada e a non seguire la politica indicata
dall’Autorità nazionale palestinese, cioè da Abu Mazen. Cos’è: un ribadire, da
parte di al Qaeda, che non accetta nessun compromesso con Israele?
R. – Questo è evidente. Il
terrorismo internazionale, quindi gli eredi di al Qaeda e i suoi capi,
dichiarano una sorta di pacificazione tra israeliani e palestinesi, e quindi
con un forte, netto contrasto nei confronti di chi imprime un’accelerazione di
pace a quell’area. E quindi vogliono alzare il tiro nei confronti di questa
ipotesi di pacificazione e invitano il popolo a contrastare questa linea
politica.
D. – Secondo lei, come esperto
di terrorismo, che cosa vogliono esattamente i terroristi che si rifanno ad al
Qaeda?
R. – Intanto, vogliono liberare
l’Iraq dall’“invasione”, come la definiscono loro. Vogliono isolare Israele,
vogliono impedire un accordo tra Israele e Palestina: in altre parole, vogliono avere mani libere in quell’area e
quindi tutto ciò che contrasta con questa linea politica trova il terrorismo
internazionale su un fronte di grande violenza. Soprattutto gli interessi
intorno al petrolio sono quelli che, a mio avviso, costituiscono l’elemento che
risulta più minaccioso.
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“Fa parte della proposta cristiana ad un tempo chiedere a Dio di
liberarci dal male e operare positivamente per estirparlo. Per i cristiani non
è possibile alcuna tolleranza nei confronti del terrorismo”, lo scrive
l’arcivescovo di Spoleto e Norcia, Riccardo Fontana, delegato della Conferenza
episcopale umbra per il servizio della carità, nel settimanale “La Voce”. Il
presule, in un’ampia riflessione, indica quale strada devono percorrere i cristiani
per dar vita ad una cultura di pace. Tiziana Campisi ha chiesto a mons. Fontana
con quali impegni concreti i cristiani possono dire no al terrorismo:
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R. – Certamente, il rimedio è la cultura della pace. Tocca a noi cristiani
fare in modo che passi nel sentire comune, nell’opinione della gente, il
rispetto dell’altro, la promozione della persona. Attraverso questo impegno noi
intendiamo e possiamo cambiare la realtà che abbiamo intorno, facendo capire a
tutti che vogliamo vivere, per quello che è possibile, in pace con tutti, come
dice la Scrittura: questo è il tema che ha rilanciato ampiamente Papa Benedetto
XVI e sul quale ci sentiamo in perfetta sintonia.
D. – Nel suo articolo, si legge che esiste un terrorismo non solo fatto
di bombe, ma più sottile. Che cosa intende?
R. – Esiste uno stravolgimento della verità, esiste una sottilissima
compiacenza a mobilitare le coscienze, a creare paura ... Io credo che sia
molto importante rimanere sulla verità dei fatti. I fatti sono: nessuna
convivenza con il terrorismo, nessuna connivenza con chi fa il male ma piena
solidarietà con tutti coloro che operano per costruire un mondo migliore di
quello che ci è stato lasciato.
D. – La dottrina sociale della Chiesa insegna che la pace è frutto della
giustizia. In che modo il cristiano può renderla visibile?
R. – Mi ha molto commosso quando Papa Benedetto, spiegando perché ha assunto
quel nome, ha fatto riferimento al San Benedetto e a Papa Benedetto XV che ebbe
il coraggio di denunciare l’inutile strage della guerra. Credo che sia molto
importante ritrovare il gusto, l’impegno, un impegno comunitario, che è di
tutta la Chiesa, di farci accorgere questa fraternità che viene dal Signore
Gesù e dev’essere vissuta da ciascuno di noi.
D. – Lei è arcivescovo della diocesi di Spoleto e Norcia, una terra che è
madre di figure come Francesco, Benedetto e Rita da Cascia, che hanno lanciato
tanti appelli alla pace. Come vivere oggi il loro esempio?
R. – Viviamo in un momento complesso, perché la gente è tentata
costantemente dal sospetto verso gli stranieri, dall’accusa molte volte
ingiustificata verso l’Islam, come se tutti i musulmani fossero terroristi,
fossero operatori di ingiustizia ... Questo è contro la verità!
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IL GIORNO CHE CAMBIO’ IL MONDO: SESSANT’ANNI DOPO,
HIROSHIMA
RICORDA L’OLOCAUSTO NUCLEARE
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Sessant’anni fa, il bombardamento
nucleare americano su Hiroshima e Nagasaki. La distruzione delle due città nipponiche
chiudeva in modo tragico la Seconda Guerra Mondiale. Domani, Hiroshima
ricorderà quel terribile 6 agosto, in cui decine di migliaia di vite umane
furono spazzate via in pochi secondi dalla bomba atomica. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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(rumore
esplosione di una bomba)
Un
giorno che ha cambiato la storia. Per sempre. E’ il 6 agosto 1945 alle 8,15 Hiroshima
cessa di esistere, cancellata in pochi istanti assieme ad 80 mila persone
polverizzate da “Little Boy”, la bomba atomica lanciata dal cacciabombardiere
americano Enola Gay. Decine di migliaia di persone muoiono a causa delle
radiazioni, negli anni a seguire. E’ l’epilogo terrificante della Seconda
Guerra Mondiale, il più sanguinoso conflitto nella storia dell’umanità.
(coro
di monaci)
Oggi,
Hiroshima è la città simbolo della pace: qui abbiamo raggiunto telefonicamente
padre Koezuka. Il religioso ha appena accompagnato un gruppo di ragazzi palestinesi
ed israeliani al Parco della Pace, laddove si erge lo scheletro della cupola,
simbolo dell’olocausto nucleare. “No more Hiroshima”, “Mai più Hiroshima”, è il
suo appello accorato:
“No more Hiroshima”, mai più
Hiroshima! In questi giorni, i giovani pensano più che mai a questa tragedia,
perché sono passati 60 anni: le persone che hanno avuto l’esperienza della
guerra e della bomba atomica sono rimasti in pochi. I giovani sentono la
responsabilità e la vocazione alla pace nel mondo. Nel 1981, Giovanni Paolo II
è venuto a Hiroshima come pellegrino di pace, e la gente di Hiroshima ancora
ricorda il grande messaggio della pace lasciato dal Papa!”
(campane
templi buddisti)
“Non
dimenticare”: questo, dunque, il monito che si alza da Hiroshima, 60 anni dopo
l’annichilimento nucleare. Sui sentimenti prevalenti tra i cittadini che si apprestano
a commemorare l’anniversario, la riflessione del padre gesuita Lawrence
McGarrel, docente di musica alla Elisabeth University di Hiroshima.
R. – EVERY YEAR, THE IS A CEREMONY IN THE CITY AND FOR
MANY PEOPLE IT’S A ...
Ogni anno, si tiene una
celebrazione e per tante persone è un momento molto solenne. Quest’anno, però,
la celebrazione assume un significato particolare perché molta gente ha la
sensazione che, in qualche modo, il ricordo stia “scivolando” via. La città ha
coscienza del fatto che, quando la memoria comincia a svanire, aumenta il pericolo
che si possa ripetere lo stesso, terribile errore.
D. – Ci sono iniziative speciali da parte della
comunità cattolica di Hiroshima per commemorare l’evento?
R. – SINCE THE 40TH ANNIVERSARY, THERE HAVE
BEEN SPECIAL INITIATIVES. ...
A partire dal 40.mo anniversario, ci sono sempre state iniziative “speciali”.
C’è stata una Messa di Requiem celebrata nella cattedrale, e molta gente viene
da molto lontano per partecipare. Quest’anno, alla Messa sono previste testimonianze
particolari, e una processione di preghiera per la pace dalla chiesa al Parco
della Pace, che è il “Ground Zero” dell’esplosione atomica a Hiroshima.
D. – Quindi, “pace” è la parola-chiave delle
celebrazioni per questa commemo-razione?
R. – DEFINITIVELY! IN FACT, THE BISHOP OF THE DIOCESE,
JOSEPH ATSUMI MISUE, ...
Assolutamente! In effetti, il vescovo della diocesi, mons. Joseph Atsumi
Misue (pron. Mishuè), qualche anno fa ha scritto una lettera all’intera
comunità cattolica, chiedendo ai fedeli della diocesi di far proprio il senso
della missione di apostoli della pace, perché ognuno deve trovare una propria
via per pregare e per lavorare per la costruzione della pace!
D. – A 60 anni dal bombardamento di Hiroshima, la minaccia
nucleare è sempre un incubo che potrebbe diventare una realtà ... Guardando a
questo assurdo paradosso da Hiroshima, quali sono i suoi sentimenti a
proposito?
R. – I HAVE TAUGHT STUDENTS WHOSE GRANDPARENTS WERE IN
THE BOMBING; ...
Ho avuto studenti i cui nonni si sono trovati nei bombardamenti; ho incontrato
gente che ha perso membri della famiglia; lavoro con gente che non ha mai conosciuto
il fratello o la sorella maggiore, perché è nata dopo la guerra e gli altri
erano stati uccisi. Sapere che armi all’uranio impoverito sono state usate
ancora di recente in tutto il mondo, mi rende partecipe del sentimento di “crisi”,
perché non è possibile trovare un compromesso quando ci troviamo di fronte a
queste realtà orribili!
(musica)
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IL “MIRACOLO DELLA
NEVE” RIEVOCATO SUL SAGRATO DELLA BASILICA DI
SANTA MARIA MAGGIORE, DURANTE LA CELEBRAZIONE
PRESIEDUTA DAL CARDINALE LAW
Come ormai da lunga tradizione,
oggi sul sagrato della Basilica di Santa Maria Maggiore viene rievocato il
miracolo della neve. Stamani, alle ore 10.00, durante la Santa Messa presieduta
dall’arciprete della Basilica, il cardinale Bernard Francis Law, per simboleggiare
la neve sono stati fatti cadere dei petali di rose bianche dalla cupola della
Cappella Paolina. Lo stesso rito verrà ripetuto durante la Santa Messa di oggi
pomeriggio, alle ore 17.00, presieduta dal vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli.
In precedenza, il cardinale Law avrà presieduto la recita dei secondi Vespri
della festa. Nella notte tra 4 e il 5 agosto del 352, all’allora Papa Liberio
apparve in sogno la Madonna, che annunciò al Santo Padre l’evento e gli chiese
di edificare in quel luogo una chiesa a Lei dedicata. Il servizio è di Alessandra
Pizzuto:
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(musica)
La Basilica di Santa Maria
Maggiore è stata eretta da Papa Sisto III tra il 432 e il 440 sulle rovine di
un’antica chiesa fatta costruire da Papa Liberio nel 352, proprio a seguito del
miracolo della neve. Si narra, infatti, che nella notte tra il 4 e il 5 agosto
al Santo Padre apparve in sogno la Madonna che gli chiese di costruire una
chiesa a Lei dedicata nella zona dell’attuale Esquilino. Per riconoscere il
punto esatto in cui edificarla, il Santo Padre avrebbe trovato della neve. Il
mattino seguente, proprio nel punto indicato nel sogno, il Papa trovò la neve
e lì fece costruire la chiesa che, in onore del prodigioso miracolo, venne denominata
Basilica della Madonna della neve. Il cardinale Bernard Francis Law, arciprete
della Basilica:
“Questo miracolo fu un segno
divino dell’intercessione di Maria, che per mostrare dove costruire questa
Chiesa. Per questa regione il nome di questa Basilica è liberiana”.
A ricordo della nevicata,
durante la celebrazione eucaristica, dalla cupola della Cappella Paolina
vengono fatti cadere dei petali di rose bianche:
“Durante il Magnificat e il Gloria
nella Messa che celebra la festa del 5 agosto, abbiamo un ricordo di questo
miracolo e per farlo usiamo dei fiori, segno del miracolo della neve”.
Partecipare all’evento è anche
un modo per esprimere la propria devozione a Maria:
“E’ una solennità che festeggia
Maria come madre di Dio, come Theotocos.
Grazie a Dio, possiamo vedere nel Triduo che è stato celebrato in queste
giornate un numero sempre maggiori di fedeli presenti”.
(musica)
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DA SAN PIETRO VERSO I PAESI EST EUROPEI, 4 MILA
COLOMBI IN VOLO
IN ONORE DI BENEDETTO XVI, ARTEFICE DI PACE
Se parlando di Roma si pronuncia
la parola “piccioni”, si è portati a pensare che si voglia parlare di tutti i
danni che tali volatili provocano nella capitale. Ma non sempre è così. Questa
mattina, infatti, il nostro collega Bernard Decottignies - appassionato colombofilo
- si è appostato nei pressi di piazza San Pietro per un avvenimento molto
particolare, che ci racconta lui stesso:
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Benedetto XVI ha ricevuto un
omaggio molto mattutino ed insolito, un omaggio “alato”: alle prime luci
dell’alba, 4 mila piccioni viaggiatori sono stati liberati nei pressi di piazza
San Pietro per una gara internazionale organizzata dalle Federazioni colombofile
di Ungheria, Romania, Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Italia, in onore
del Santo Padre ma anche in segno di speranza per un futuro di pace. Lo
conferma Christian Cossa, uno degli organizzatori dell’iniziativa:
“Come viaggiatore, è simbolo della pace, messaggero della pace, e quindi
abbiamo voluto fare questo lancio di fronte a piazza San Pietro di fronte al
neo-eletto Papa Ratzinger, quindi con un simbolo di pace che ovviamente è il colombo
viaggiatore. Questi colombi voleranno, torneranno verso le proprie dimore, portando
per tutti chilometri un messaggio d’amore nel mondo”.
L’iniziativa
ha avuto già un precedente: durante il Grande Giubileo, 2000 colombi furono
lanciati per Giovanni Paolo II, al termine di un’udienza generale in Piazza San
Pietro, dal gruppo colombofilo di Danzica, in Polonia. Alcuni piccioni erano
volati per più di 1.500 chilometri per raggiungere la loro colombaia, ma è
conosciuto da sempre il coraggio di questi uccelli e la loro capacità di
coprire enormi distanze per arrivare al loro nido. Basta ricordare il libro
della Genesi: dopo il diluvio universale, Noè dall’Arca liberò una colomba, la
quale ritornò da lui portando nel becco un ramoscello d’ulivo.
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5
agosto 2005
“LA VISITA DEL PAPA ALLA
SINAGOGA DI COLONIA PUÓ MIGLIORARE LE RELAZIONI
TRA CATTOLICI ED EBREI”. È CIÓ CHE AFFERMANO I
LEADERS EBRAICI DI COLONIA
DOPO
L’INVITO ESTESO A BENEDETTO XVI
COLONIA.
= C’e grande attesa e speranza tra i membri della comunità ebraica di Colonia
per la visita di Benedetto XVI alla sinagoga della città, prevista per venerdì
19 agosto, durante la Giornata mondiale della gioventù. “Noi tutti speriamo che
la visita del Pontefice sia un segno per il futuro”, così commenta Michael Rado
uno dei leaders della sinagoga. “Nonostante gli sforzi compiuti dalla Chiesa
cattolica negli ultimi anni – continua Rado – tra diverse persone si evince
ancora un forte anti-semitismo legato alle radici religiose. Se il Papa
prenderà l’iniziativa di visitare la nostra sinagoga, si sottolineerà ancora
una volta che il movimento della Chiesa è contro qualsiasi forma di
antisemitismo”. La comunità di Colonia è una delle più anziane comunità
ebraiche tedesche. Alcuni documenti storici ne confermano l’esistenza già a
partire dal 321. Già vittima di numerose persecuzioni durante il Medioevo, la
comunità fu poi completamente distrutta in epoca nazista. Dopo la guerra, la comunità
fu ricostruita e oggi conta circa 5000 membri. Il rabbino Natanael Teitelbaum
guarda con grande speranza alla prossima visita di Benedetto XVI: “Cattolici ed
ebrei possono imparare molto gli uni dagli altri”, commenta Teitelbaum. Possiamo condividere la nostra idea di pace,
i nostri principi morali, e lavorare insieme non solo con le parole ma con
fatti e azioni concrete”. Significativo anche l’intervento di Hans Hermann
Henrix, direttore dell’Accademia Cattolica di Aquisgrana e consulente dei vescovi
tedeschi e del Vaticano sulle relazioni tra cattolici ed ebrei. Henrix
sottolinea come la visita del Santo Padre sia espressione del significato
dell’esistenza ebraica nella storia tedesca. Henrix crede inoltre che la visita
di Benedetto XVI contribuirà a trasmettere il messaggio di Giovanni Paolo II,
secondo cui le relazioni devono essere basate sulla solidarietà, sul rispetto e
sull’amore. Secondo lo studioso, questa visita potrebbe anche aiutare i
cattolici tedeschi, e non solo, a capire che la ricerca del dialogo non
manifesta solo la volontà di alcune singole persone ma è espressione di una
priorità della Chiesa stessa.(D.L)
PREGHIERE
E DIGIUNO IN INDIA CONTRO LE VIOLENZE AI CRISTIANI. È L’INIZIATIVA PROMOSSA DAL
CONSIGLIO DEI VESCOVI DEL MADHYA PRADESH E DEL CATTISGARH
PER CONTRASTARE LA
CRESCENTE PERSECUZIONE CHE LA COMUNITÁ CRISTIANA
SUBISCE DA DIVERSI MESI
BHOPAL.
= Un incontro di preghiera per
denunciare le deliberate e crescenti violenze contro i cristiani negli stati
indiani del Madhya Pradesh e Chattisgarh. In un’intervista all’agenzia AsiaNews mons. Pascal Topno,
arcivescovo di Bhopal, località dove si è svolta la giornata di preghiera il 2
agosto scorso, ha spiegato come tutti i cristiani dei due stati si siano
riuniti per digiunare e pregare per le atrocità commesse contro la comunità
cristiana. Mons. Topno, tra i promotori e organizzatori dell’evento, racconta
che a Bhopal si sono riunite tutte le denominazioni cristiane dei due stati
indiani. Tra i responsabili religiosi, erano presenti anche pastori protestanti
e vescovi cattolici di rito orientale. “Abbiamo pregato per i nostri
persecutori e per i nemici della cristianità, le cui vite non sono state
illuminate dalla ‘Luce della Verità’”, aggiunge il vescovo. “Molti dei
partecipanti sono stati in prima persona vittime di violenze anti-cristiane
perpetrate dai fondamentalisti, come guide spirituali abbiamo chiesto ai fedeli
di perdonare i loro aggressori, spiegando che la nostra risposta
all’ingiustizia è il perdono e la preghiera”. Il presule ricorda inoltre, la
difficile condizione dei tribali cristiani, poveri, disoccupati e alla mercé
degli estremisti di destra che cercano di riconvertirli all’induismo con
minacce intimidazioni. A questo proposito, mons. Topno sottolinea la presenza
all’incontro anche di numerosi tribali cattolici: ”È un segno, un particolare
che ci incoraggia e dà fiducia”. Per mons. Topno, quella del 2 agosto è stata
una “meravigliosa esperienza ecumenica che ha riunito centinaia di persone
accorse a Bhopal per esprimere la loro solidarietà. Al termine dell’incontro,
Mons. Topno ha presentato un memorandum al governatore del Madhya Pradesh,
Babulal Gaur, in cui si afferma l’opera dei cristiani diretta alla
testimonianza di Cristo e non alle conversioni di forza. (D.L.)
INDONESIA: IL GOVERNO ANNUNCIA
UN’AMNISTIA PER RIBELLI DEL MOVIMENTO
INDIPENDENTISTA
GAM. SARÀ CONCESSA DOPO LA FIRMA DI UN ACCORDO DI PACE
Jakarta. = Un’amnistia sarà concessa in
Indonesia ai ribelli del Movimento per Aceh Libera (Gam), dopo la firma
dell’accordo ufficiale di pace prevista per il 15 agosto per porre fine al
trentennale conflitto indipendentista nella provincia occidentale del Paese. Lo
ha detto il ministro dell’Informazione, Sofyan Djalil, precisando che i
guerriglieri potranno usufruire di questa disposizione entro 15 giorni dalla
sigla del patto: saranno esclusi gli estremisti in carcere per reati comuni.
Aceh, provincia autonoma dell'Indonesia, situata nell'estremità settentrionale
dell'isola di Sumatra, è
teatro di da anni di una guerra tra ribelli che si oppongono al potere centrale
ed esercito indonesiano. Dopo l’amnistia, potrebbero essere migliaia i
sovversivi che dovrebbero uscire dai centri di detenzione di Aceh, ma anche da
penitenziari in altre parti del Paese. Il provvedimento è uno dei punti del
patto concordato il 18 luglio scorso tra governo e guerriglia, che prevede soprattutto
la partecipazione politica del Gam all’amministrazione di Aceh, consentendo al
movimento di costituirsi come partito, una soluzione finora contestata da più
parti. (T.C.)
KENYA: UNA CAMPAGNA CONTRO
L’ALCOLISMO NELLA BARACCOPOLI DI KIBERA.
LA PARROCCHIA DI CRISTO RE LANCIA UN CD CON BRANI
MUSICALI
CHE INNEGGIANO ALLA VITA
NAIROBI.
= Una raccolta di canzoni sulla vita nella baraccopoli di Kibera, a Nairobi,
per informare e innalzare la consapevolezza della pericolosità della chang’aa,
bevanda ad alto tasso alcolico: è l’iniziativa della parrocchia di Cristo Re di
Kibera, che sta per distribuire un compact disc (cd) intitolato “Rhythms of Life”
(Ritmi della vita). Come hanno spiegato gli ideatori dell’iniziativa
all’agenzia cattolica Cisa, il cd, prodotto insieme a un’azienda locale, è il
punto d’arrivo di anni di impegno nella comunità di Kibera per far conoscere i
rischi del chang’aa’. Già nel 2002, la parrocchia di Cristo Re aveva lanciato
una campagna per la vita e contro l’alcolismo a Kibera, uno degli slums più
grandi dell’Africa. Gli slums, grandi distese di lamiera e rifiuti, che crescono a
dismisura alle periferie dei centri urbani, accolgono oltre il
70% della popolazione urbana dell’Africa subsahariana. Ogni giorno vi giungono
in migliaia dalle campagne, mossi dalla fame, dalla malattia, dalle guerre, o
spinti dalla desertificazione di una terra ormai sterile. Arrivano con la
speranza di inventarsi una vita migliore e con un bagaglio linguistico,
culturale e religioso maturato nei secoli. Ma quasi sempre, in queste baraccopoli
tutto si infrange: speranze e tradizioni perdono terreno. I migranti urbani si
trovano costretti a vivere tra privazioni, malattie, mancanza di occupazione,
confusione delle lingue, AIDS. E tuttavia non tramonta l’amore per la vita, e
per quella forma di vita specificamente africana che è la “comunità”, lo stare
uniti, solidali, per inventarsi nuovi modi di stare al mondo. Ogni
anno, in Kenya, centinaia di persone muoiono dopo aver bevuto chang’aa, in
origine un distillato a 40 gradi alcolici prodotto con sorgo, mais, miglio o
altro cereale, con l’aggiunta di zucchero o melassa, ma spesso tagliato con
sostanze tossiche come fertilizzanti, formaldeide e metanolo. (T.C.)
“RAPPRESENTAZIONE DI ANIMA ET DI CORPO”: L’OPERA,
NATA IN OCCASIONE
DEL GIUBILEO DEL 1600,
SARÁ ESEGUITA QUESTA SERA A CATANIA,
PRESSO IL CHIOSTRO DEI GESUITI
CATANIA. = Sarà eseguita questa sera, per la prima
volta a Catania, l’opera di Emilio de’ Cavalieri, “Rappresentazione Anima
et di Corpo”. Opera del tutto
singolare ed unica, fu scritta in occasione del Giubileo del
1600, per un’esecuzione presso l’Oratorio della Vallicella in Roma. Si tratta
di una delle primissime opere scritte nel cosiddetto stile “Recitar cantando”
che, sulla scia del nuovo stile monodico, introduce l’allora sorprendente novità
del basso continuo. Eseguita nell’anno 1600 a Roma, l’opera è quindi
contemporanea. Il compositore, Emilio de’ Cavalieri, faceva parte di quel
circolo artistico-culturale-intellettuale, con sede a Firenze, cui è stato dato
il nome di Camerata Fiorentina. L’argomento è di carattere morale-allegorico, e
non è sicuro che, nonostante il titolo, l’opera fosse stata concepita per
essere rappresentata. “Rappresentazione Anima et di Corpo” in programma questa sera nel capoluogo etneo, è diretta da
Giovanni Ferrauto per la regia di Donatella Capraro. L’opera verrà eseguita
nell’ambito del primo Festival Internazionale del Val di Noto, Magie Barocche,
organizzato con lo scopo di valorizzare i beni
culturali del territorio, e di rivalutare le tematiche musicali barocche
assicurandone la sopravvivenza storica.
(D.L.)
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A cura di Amedeo Lomonaco -
“Per gli Stati Uniti, l’Iraq sarà
come il Vietnam”. A pronunciare la nuova minaccia nei confronti di Washington è
stato il numero due di al Qaeda, l’egiziano al Zawahri in un video diffuso ieri
dalla televisione satellitare araba Al Jazeera. Al preoccupante proclama del vice
di Osama Bin Laden, ha immediatamente risposto il presidente americano Bush. In
Iraq, intanto, continuano gli attacchi della guerriglia contro i soldati
americani. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Tre
soldati americani sono rimasti uccisi per l’esplosione di una bomba nella parte
occidentale di Baghdad. A nord ovest della capitale, dove mercoledì sono stati
assassinati 15 marine, è in corso inoltre una vasta operazione militare condotta
da forze americane e irachene. Sul versante politico, è stata rinviata a
domenica una cruciale riunione tra i capi dei diversi partiti iracheni per
trovare un compromesso tra le parti e ultimare la Costituzione entro la data
stabilita, il prossimo 15 agosto. Al Qaeda torna intanto a far
sentire la propria voce: il numero due della rete terroristica,
al Zawahri, ha lanciato in un video nuove minacce contro Gran Bretagna e Stati
Uniti mentre continua il prolungato silenzio di Osama Bin Laden, dovuto probabilmente
a precarie condizioni di salute dello sceicco, ad una scelta tattica o a motivi
di sicurezza. Nel filmato, il medico egiziano annuncia altri
attacchi dopo gli attentati di Londra del 7 luglio e dichiara che l’Iraq sarà
per gli Stati Uniti come il Vietnam. Subito dopo il messaggio, il segretario
alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, ha criticato la teoria secondo cui la
guerra in Iraq e la presenza militare americana nel Paese arabo siano
all’origine degli attentati nella capitale britannica. Il presidente americano, George
Bush, ha poi precisato che gli Stati Uniti non si lasceranno intimorire dalle minacce
di al Qaeda e porteranno a termine la loro missione in Iraq. “Le persone che
mandano questi messaggi – ha aggiunto il premier britannico Blair – sono le
stesse che uccidono civili innocenti in Iraq e in Afghanistan”.
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E a Londra rimane alta la
tensione per timore di nuovi attacchi terroristici. In tutta la capitale, sono
state rafforzate le misure di sicurezza. Sono oltre 6.000 gli uomini della polizia
lungo le strade. Nell’ambito delle indagini relative agli attentati dello
scorso 7 e 21 luglio, intanto, due giovani donne sono state rinviate a giudizio
con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di Hamdi Issac, l’attentatore
arrestato a Roma.
Continua a crescere la tensione in Israele, teatro
oggi di due grandi manifestazioni: quella di appoggio ai coloni, contro il
ritiro dalla Striscia di Gaza, e quella degli arabi israeliani, in segno di
protesta contro un attentato che ieri ha provocato 4 morti nella città settentrionale
di Shfaram. Da Gaza, Barbara Schiavulli:
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Questa volta, i militanti
palestinesi non c’entrano, ma è sempre l’estremismo a premere il grilletto,
quello di un disertore ebreo di 19 anni che, durante un litigio sul pullman,
uccide e poi viene linciato dalla folla. Intanto, dall’altra parte del Paese,
gli occhi restano puntati sul ritiro da Gaza: la protesta si ferma ma solo fino
a domenica quando gli ultrà nazionalisti decisi ad impedire l’evacuazione dagli
insediamenti, tenteranno di forzare i confini della Striscia e il cordone della
polizia. Ieri la polizia ha bloccato i manifestanti: sono centinaia quelli che
si sono già intrufolati, dicono i leader dei coloni, ma la polizia avverte che
chi si insinua di notte, di nascosto, potrebbe essere anche scambiato per un
terrorista. Intanto, proprio gli abitanti dell’insediamento ebraico si
preparano al ritiro; molti sanno che se opporranno resistenza, potrebbero
perdere i soldi promessi dal governo per costruirsi una nuova vita da un’altra
parte. E per provare che la loro battaglia non è violenta, molti stanno consegnando
ai soldati le proprie armi.
Barbara Schiavulli, per la Radio
Vaticana.
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Nuovo attentato in Turchia.
Nella notte cinque militari sono rimasti uccisi, altri sette feriti, a
Semdinli, al confine con l’Iran, per lo scoppio di una bomba. Ieri, due donne
erano rimaste uccise per una deflagrazione ad Istanbul.
L’Iran ha ribadito che
riprenderà la conversione dell’uranio nella centrale di Isfahan nonostante le
proposte di mediazione europea. Lo ha affermato il capo negoziatori iraniano.
Il nuovo pacchetto di aiuti presentato dall’Unione Europea prevede, tra
l’altro, il passaggio in territorio iraniano dell’oleodotto e del gasdotto che
dall’Asia centrale rifornisce l’Europa. Gran Bretagna, Francia e Germania tentano
di giungere a un accordo con Teheran per congelare i progetti nucleari di Teheran.
E’ una lotta contro il tempo quella in corso nelle acque di
Kamchatka, in Russia, per salvare la vita a 7 uomini, membri dell’equipaggio
intrappolati in un sottomarino della marina militare. Immerso giovedì nella
baia di Berezovaia, il sommergibile è rimasto incagliato a 190 metri di
profondità. La riserva d’aria ancora a disposizione per i marinai a bordo
potrebbe esaurirsi entro 3-4 giorni.
Per il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU, “un terzo
dei bambini in Myanmar è sottoalimentato in maniera cronica e l’8 per cento
soffre di malnutrizione acuta”. “Sono cifre troppo elevate, che possono
compromettere seriamente l’avvenire del Paese”, commenta James Morris,
direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (PAM). “L’ONU è pronta ad
affrontare il problema - ha concluso Morris - a condizione che la giunta
militare di Rangoun lasci lavorare liberamente organizzazioni internazionali e ONG”.
Migliaia di sudanesi sono in marcia verso “New Site”, il vecchio accampamento
dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan, dove si svolgeranno domani i
funerali del vicepresidente John Garang. Anche la formazione del nuovo governo
è stata rimandata in segno di lutto per la morte dell’ex leader ribelle,
scomparso domenica in un incidente aereo. Secondo il presidente ugandese Museveni
potrebbe non essere stata causata da un incidente la morte di Garang ma in pochi
sembrano credere alla tesi dell’attentato, come ci conferma, al microfono di
Chris Altieri del nostro Programma Inglese, mons. Cesare Mazzolari, vescovo di
Rumbek, nel Sud Sudan:
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R. - Il popolo sudanese ha
accettato questa tragedia inaspettata e lo sta facendo in modo sereno, fatta
eccezione di alcuni posti, dove l’oppressione è stata eccessiva. Psicologicamente
c’è un rigetto per una autorità che li ha oppressi e forse pensano che sia
stata proprio questa autorità, in qualche modo, a contribuire a questa sciagura
in modo attivo, forse causandola. Il movimento stesso del Sud ha dichiarato che
non c’è nessun intento maligno da ricercare o scoprire in questo evento
sciagurato. Si è trattato di un evento che non si è riusciti a controllare,
anche con un aereo che era preparato per qualsiasi emergenza. Adesso le cose
sembrano tornate alla tranquillità in tutte le maggiori città del Sud Sudan.
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Il
colonnello Ely Ould Mohamed Vall, a capo della giunta militare che mercoledì ha
preso il potere con un colpo di Stato in Mauritania, continuerà a fare
affidamento sul governo del deposto presidente Maouya Ould Taya, attualmente in
esilio in Niger. Questa una delle prime decisioni prese dal consiglio militare,
che contemporaneamente ha sciolto il parlamento. Mentre la vita torna alla
normalità, nella capitale Nouackhott, continuano le condanne al colpo di Stato
da parte della comunità internazionale. L’Unione Africana ha sospeso la
Mauritania dall’Organizzazione, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite
ha lanciato l’ennesimo appello per il ritorno alla normalità. Quali prospettive
si aprono nel Paese dopo il golpe? Andrea Cocco lo ha chiesto a Jean-Léonard
Touadi, giornalista ed esperto di questioni africane:
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R. – E’ un colpo di Stato che
non è di facile lettura. E’ stato compiuto da ufficiali molto vicini al
presidente deposto; un colpo di Stato di solito non è salutato con gioia dalle
forze democratiche sia in esilio sia da quelle all’interno del Paese: invece,
tutte le dichiarazioni dell’opposizione sembrano dire che è un giorno storico
perché finalmente, secondo loro, la democrazia formalmente instaurata nel 1991
potrà, se i militari mantengono le loro promesse, ripartire secondo basi nuove.
In realtà, dal punto di vista democratico – a mio avviso – cambia ben poco,
perché la stessa élite al potere è la stessa aristocrazia araba che prende il
potere, e non ci sarà reale democrazia in Mauritania se non vengono prese in
considerazione le istanze delle popolazioni negro-africane. Questo, ricordo,
sono ancora tenute in stato di emarginazione, esistendo ancora in Mauritania
delle forme di schiavitù che non sono state combattute dal potere.
D. – A livello internazionale,
la Mauritania in questi ultimi anni ha assunto un ruolo sempre più importante
per gli Stati Uniti, che stanno realizzando nella fascia saheliana un piano
militare di contenimento della minaccia terroristica. Cosa potrebbe cambiare
nelle relazioni internazionali?
R. – La nuova giunta ha sottolineato di volere mantenere
tutti gli impegni internazionali assunti dal regime deposto. La Mauritania è
diventata una pedina importante della lotta contro il terrorismo; fa parte del
disegno americano del “Grande Oriente”, che parte da Kabul e va fino a
Nouackhott. Penso che difficilmente la nuova giunta potrà cambiare questi dati
diplomatici.
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