RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
214 - Testo della trasmissione di martedì 2 agosto 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Benedetto XVI presiederà domani l’udienza
generale in Aula Paolo VI
OGGI IN PRIMO PIANO:
Oggi a
Riad, in Arabia Saudita, i funerali di re Fahd: il commento di Antonio Ferrari
CHIESA E SOCIETA’:
Concerto in memoria di Giovanni Paolo II a Castel
Gandolfo
Si è concluso a Segni il Capitolo generale delle
Suore Angeliche di San Paolo
L’Iran riprenderà
le attività di conversione dell’uranio riaprendo lo stabilimento nucleare di
Isfahan
In Iraq quattro morti
per l’esplosione di una bomba nel centro di Baghdad. Nella capitale, ucciso il
capo della polizia di Abu Ghraib
2 agosto 2005
UNA
PACE GIUSTA E DURATURA: È L’AUSPICIO DEL PAPA, ESPRESSO IN PARTICOLARE PER
L’ULSTER ALL’ANGELUS DI DOMENICA SCORSA..
LA
RIFLESSIONE DI ERNESTO OLIVERO,
FONDATORE
DEL “SERMIG – ARESENALE DELLA PACE”
“Dio misericordioso conceda al mondo il dono della pace”:
con questa invocazione, Benedetto XVI - all’Angelus di domenica scorsa a Castel
Gandolfo - ha espresso il grande bisogno di pace che oggigiorno accomuna ogni
popolo della Terra. In tale occasione, il Papa ha manifestato la propria gioia
per il disarmo dell’Ira nel Nord Irlanda. “Una pace giusta e duratura”,
è quanto auspicato dal Pontefice. Una buona notizia, dunque, su cui si sofferma
Ernesto Olivero fondatore del “Sermig – Arsenale della Pace”, al microfono di
Alessandro Gisotti. L’intervista è accompagnata dalle note della canzone “Ti do
la pace”, opera musicale dedicata dal Sermig a Giovanni Paolo II:
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(musica)
R. – In un momento in cui pare che l’odio voglia
prevalere, facendo paura a tutti quanti, questa è stata una bella notizia.
Speriamo soltanto di poterne essere degni come umanità per poterla allargare in
tutte le parti possibili del mondo dove si continua a sparare.
D. – In questo senso l’educazione alla pace ha un ruolo
fondamentale per il futuro?
R. – Sì, proprio oggi abbiamo un anniversario molto
profetico. Il 2 agosto dell’83 siamo entrati nell’arsenale di guerra di Torino
e ne abbiamo incominciato la ristrutturazione, abbiamo iniziato a farlo
diventare un arsenale di pace, una scuola di pace e di accoglienza. Se non c’è
questa educazione continua alla pace, l’’altro’ primo o poi diventerà di nuovo
un nemico, l’’altro’ prima o poi diventerà di nuovo avversario e siamo di nuovo
da capo.
D. – A proposito di questo importante anniversario per
l’Arsenale della Pace, per il Sermig, c’è qualche iniziativa particolare?
R. – Sì. Per oggi, e speriamo poi per sempre, vorremmo far
capire agli ebrei, ai cristiani ed ai musulmani che siamo figli di Abramo,
figli dell’Unico Dio ed abbiamo inventato un manifesto che è al contempo
terrificante e bellissimo. Immagini la parola “odio”, con la “o” cancellata con
il sangue, diventa “Dio”: così vogliamo dire pace, siamo fratelli! Quello che
vogliamo proporre è che per le stragi che ci sono nel mondo, scatenate dal
terrorismo, dalla fame, dalla malattia e dalle ingiustizie, il Sermig da questa
sera tace: dalle 21.00 alle 22.00, proponendo un’ora di silenzio per i credenti
e per i non credenti, per ricordare che la strada dell’odio non porta al
domani.
D. – Nel Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica,
di recente pubblicazione, si legge: “la pace nel mondo non è semplice assenza
della guerra, ma “è la tranquillità dell’ordine – citando Sant’Agostino –
frutto della giustizia”. Dunque, non c’è pace senza giustizia…
R. – Per avere la giustizia noi dobbiamo vedere come
occupiamo il nostro tempo, i nostri soldi, la nostra fantasia. Ci sono tante
persone che non hanno quello che abbiamo noi. Noi non possiamo accettare che a
poca distanza dall’Italia le donne vengano vendute come schiave; non possiamo
accettare che noi europei o i giapponesi o gli arabi vadano in certi Paesi del
mondo dove possono comprarsi anche dei bambini. Se vogliamo una giustizia che
porti veramente alla pace, dobbiamo comprendere che siamo un po’ tutti quanti
noi responsabili del mondo.
(musica)
**********
UDIENZA
GENERALE DEL 3 AGOSTO IN AULA PAOLO VI
Benedetto XVI presiederà domani l’udienza generale del
mercoledì in Aula Paolo VI. Il Papa lascerà verso le 10.00 in elicottero la sua
residenza estiva di Castel Gandolfo e giungerà in Vaticano per le 10.30, ora di
inizio dell’udienza generale. Al termine, verso le 12.00, Benedetto XVI farà
rientro a Castel Gandolfo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina un
articolo sulla crisi nucleare: l'Iran sfida l'Europa. Tolti i sigilli alla
centrale di Isfahan per la ripresa dell'arricchimento dell'uranio. L'AIEA
chiede di rinviare l'apertura dell'impianto; gli USA minacciano il ricorso
all'ONU
Nelle vaticane, il
messaggio di Benedetto XVI in occasione del 75 anniversario della proclamazione
di "Nossa Senhora Aparecida" Patrona del Brasile.
Due pagine dedicate
alla prossima Giornata mondiale della Gioventù.
Nelle estere, Sudan:
numerose vittime nei disordini seguiti all'annuncio della morte del vice
presidente Garang.
Nella pagina culturale,
un articolo di Angelo Marchesi dal titolo "La necessità di chiarire
finalità formative e culturali": considerazioni sul futuro della scuola.
Un articolo di Mario
Spinelli dal titolo "Dai reliquiari delle 'Sacre Spine' spunti di riflessione
sul mistero della sofferenza e dell'amore": in un'articolata monografia i
risultati del convegno tenutosi ad Ariano Irpino.
Nelle pagine italiane,
in primo piano il terrorismo.
In rilievo il tema
dell'immigrazione.
2
agosto 2005
25 ANNI FA LA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA:
UN CORTEO E UNA MESSA NELLA CITTA’ EMILIANA
HANNO RICORDATO LE 85 VITTIME E I 200 FERITI
- Intervista con Paolo Bolognesi -
Ancora una volta, 25 anni dopo,
Bologna si è fermata per ricordare la strage alla stazione che il 2 agosto del
1980 provocò 85 vittime e 200 feriti. Migliaia di persone hanno partecipato al
corteo che da Piazza Maggiore si è diretto verso la stazione. Qui ha preso per
primo la parola Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle
vittime. Il servizio di Stefano Andrini:
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Alle 10.25, l’ora dello scoppio,
tre fischi di un locomotore hanno segnato l’inizio di un minuto di silenzio
lungo e commosso. Subito dopo, il sindaco Sergio Cofferati ha ricordato che 25
anni non sono bastati a rimarginare la ferita aperta dalla strage fascista.
Bordate di fischi hanno preceduto e accompagnato l’intervento del vice
presidente del Consiglio Giulio Tremonti, che non ha battuto solo sul tasto
della memoria, ma anche su quello della conoscenza e della battaglia ancora
attuale contro un "terrorismo che si è trasformato".
“Il fatto tragico di cui oggi
facciamo memoria si inscrive” - ha ricordato l’arcivescovo Carlo Caffarra
durante la messa in Cattedrale - “in quella logica antiumana che cercava di affondare
la civile convivenza della nostra città nella barbarie della violenza. Se noi
oggi ricordiamo, come dobbiamo, quella vicenda è perché da questa memoria
vengono a noi insegnamenti di perenne attualità. Lo spartiacque fra una società
umana e una convivenza indegna dell’uomo è costituito dalla inviolabile
sacralità di ogni vita umana innocente. Chi non riconosce questo valore
incondizionato - ha concluso monsignor Caffarra - “non è degno di appartenere
al consorzio umano. 85 innocenti sono stati uccisi, intere famiglie distrutte
per sempre, il volto della nostra città sfregiato in ciò che ha di più nobile.
Di questo noi oggi facciamo memoria, non per rinfocolare odio ma perché vogliamo
continuare a costruire la nostra convivenza nella giustizia e sulla verità”.
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85
morti e duecento feriti: con questo bilancio alle 10.25 del 2 agosto del 1980
la bomba che devastò la stazione di Bologna segnava l’apice dello stragismo in
Italia. Una ferita che ancora oggi a 25 anni di distanza stenta a rimarginarsi
a causa del suo tormentato percorso giudiziario e dei tanti misteri che l’hanno
infettata. Nel 1995 la Cassazione conferma il secondo processo di appello.
Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, proclamatisi sempre estranei alla vicenda,
sono condannati definitivamente all'ergastolo quali esecutori della strage. Ma
quale significato assumono oggi le cerimonie di commemorazione di quel terribile
evento? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione
dei familiari delle vittime della stazione di Bologna.
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R. – L’essere a Bologna e
manifestare solidarietà ai parenti è anche un atto civile di lotta al
terrorismo.
D. – Quello che le vittime ed i
familiari delle vittime chiedono è, se non una giustizia completa, almeno la
verità…
R. – Bisogna dire una cosa: per
quanto riguarda la storia di Bologna, sappiamo che sono gli esecutori
materiali, sappiamo chi sono i depistatori. Io credo che già questo sia un
spaccato non piccolo di una realtà che esisteva nel 1980. C’è poi tutto il
discorso della banda armata, con le bande neofascisti che in quel momento
imperversavano nelle zone romane e nelle zone venete. Io credo che, se analizzati
fino in fondo, già questi sarebbero dati che potrebbero portarci se non alla
verità giudiziaria quanto meno a spaccati di verità molto importanti per
arrivare ai mandanti e agli ispiratori politici della strage.
D. – Cosa possono chiedere oggi
al mondo politico ed istituzionale italiano i parenti delle vittime e i feriti
della Stazione di Bologna?
R. – Anzitutto l’abolizione del
segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo. Secondo dato: devono
smetterla di esaltare i terroristi, facendoli diventare degli eroi, programmando
film o cose di questo tipo in ‘onore’ di persone che non hanno nulla per essere
onorate. E, infine, chiediamo di rispettare le leggi dello Stato per quanto
riguarda la tutela delle vittime, che i risarcimenti vengano dati tempestivamente
e nella giusta misura, perché lo scorso anno la legge 206, approvata
all’unanimità dal Parlamento, deve essere ancora attuata, anzi si sta facendo
di tutto per ridurla al lumicino. Si creano disparità incredibili, ma
soprattutto si crea il fatto che i familiari delle vittime per ottenere quello
che spetta loro secondo la legge devono diventare dei questuanti. E’ una cosa
veramente umiliante. La lotta al terrorismo, se è vera lotta al terrorismo, la
si fa anche rispettando le vittime.
D. – Lei ha vissuto quella
giornata, ci può dire quali sono i suoi ricordi?
R. – Io venivo da Basilea, dove
ero stato con mia moglie per un’operazione. Mi dovevano aspettare a Bologna
quattro persone: una di queste è morta, la madre di mia moglie; le altre tre
presenti, mio figlio, mia madre e il padre di mia moglie, rimasero gravemente
ferite. Da quel momento è iniziato un lungo calvario tra ospedali ed altro per
arrivare a cercare di far sì che la loro vita fosse minimamente accettabile.
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RIMANE ALTA LA TENSIONE IN
SUDAN
DOPO LA MORTE DEL VICE PRESIDENTE, JOHN GARANG
- Intervista con il padre Luigi Cignolini -
Vacilla la stabilità politica in Sudan dopo la
morte del vicepresidente John Garang, precipitato ieri col suo elicottero al
confine tra Uganda e Sudan. E' salito a 42 morti, infatti, il bilancio degli
scontri esplosi ieri nella capitale Khartum dopo l'annuncio della morte dell’ex
leader del Movimento di liberazione popolare. Il servizio di Andrea Cocco:
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Reparti armati dell'esercito
sudanese presidiano i palazzi governativi e le strade della capitale Khartoum,
teatro lunedì dei violenti disordini seguiti all'annuncio della morte di John
Garang, leader del movimento popolare per la liberazione del Sudan SPLA e da poche settimane vice-presidente del Paese.
Nonostante stamattina la calma sia apparentemente tornata, la tensione rimane
molto alta nel Paese. Notizie di nuovi scontri giungono da Jebera e Haji Yusuf, due quartieri della capitale abitati
in prevalenza da emigrati e sfollati delle regioni del Sud. Proprio da qui erano
partiti ieri i disordini, con migliaia di persone che avevano deciso di sfogare
la loro rabbia alla notizia, rivelatasi poi infondata, che l'elicottero su cui
viaggiava Garang era stato abbattuto e non, come ripeteva la versione ufficiale,
caduto per un tragico incidente. Altri incidenti hanno investito ieri la città
di Juba, capitale della provincia del Sud, dove sono stati presi d’assalto negozi
e attività gestite da persone del Nord.
Difficile capire le conseguenze
che la morte di Garang potranno avere sul fragile processo di pace avviato in Sudan.
Appena poche settimane fa il leader dei ribelli del Sud veniva accolto
trionfante a Karthoum, dove veniva
eletto presidente a seguito dell’accordo di pace siglato con il governo, a Nairobi
lo scorso 9 gennaio. Personaggio controverso, Garang era considerato un
elemento fondamentale per porre fine al conflitto tra il nord islamico e il sud
cristiano-animista, durato oltre venti anni. Da lui ci si aspettava la graduale
ricostruzione delle Province meridionali del Paese, devastate dalla guerra, ma
anche la capacità di contrastare lo strapotere degli islamisti all’interno del
governo di Karthoum. Per garantire la continuazione del processo di pace e il
pieno rispetto degli accordi con il governo, il Movimento popolare di
liberazione del Sudan, ha immediatamente provveduto alla sostituzione di
Garang, nominando a capo del movimento il numero due Salva Kiir, del Consiglio
dei capi dell'SPLA (Esercito di
Liberazione Popolare del Sudan). L’ex vice di John Garang nella leadership sud
sudanese, ed alla cui successione è stato immediatamente indicato già ieri sera,
giurerà come primo vicepresidente del Sudan entro due settimane.
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Dopo la morte di Garang, il
Sudan è stato dunque scosso da tumulti e disordini. Al microfono di Antonella
Palermo, il provinciale dei comboniani di Karthoum, padre Luigi Cignolini:
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R. – Le dimostrazioni sono state
molto forti e molto emotive, soprattutto da parte dei sudisti, che hanno percepito
la morte di Garang come un fatto politico, credendo che sia stato ucciso. E’
chiaro che si è trattato di un incidente. La morte di Garang non era
nell’interesse di nessuno.
D. – Lei si trova nel Sudan
dall’80, come può ricordare la figura di John Garang?
R. – Garang era una figura
senz’altro carismatica per il Sud. Fin dall’83 ha creato questo movimento di
liberazione del Sudan dal governo centrale di Khartoum. Voleva combattere anche
per le ingiustizie che secondo lui venivano perpetrate nei confronti del Sud,
nella zona del canale di Jungolé, che i sudisti non volevano; e poi per la
partizione del petrolio, che era appena stato trovato. Una persona che per
vent’anni è stato sulla breccia e che ha portato anche la pace in Sudan.
Speriamo che adesso non venga compromessa, ma non credo che verrà compromessa.
Non è interesse del governo di Khartoum di comprometterla.
D. – Il numero due di Garang, Salva
Kiir, è stato subito nominato nuovo leader dal Gran Consiglio dell’ala politica
del movimento sud-sudanese. E’ importante ora che attorno a questo successore
ci sia unità?
R. – Credo che siano abbastanza
uniti attorno a Salva Kiir. Alcuni mesi prima della pace sembrava che prendesse
lui il posto di Garang. C’era un forte movimento all’interno dell’SPLA. Spero
che Salva Kiir continui questo processo, anche se Salva Kiir è un po’ più duro
di Garang.
D. – Qualcuno teme per il processo
di pace dopo il lungo conflitto interno e ci sono timori anche per il Darfur…
R. – Io prevedo che l’esercito
ritorni a prendere un po’ la mano forte in Darfur perchè l’attenzione si sposterà
sulla politica interna del Sudan. Qui alle televisioni arabe, danno più risalto
alla morte di Garang che alla morte di Re Fahd. Grandi interessi ci sono nel
mondo arabo e nel Medio Oriente riguardo al Sudan. Questo potrà purtroppo un
po’ oscurare la questione del Darfur.
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OGGI A RYAD, IN ARABIA SAUDITA, I FUNERALI DI RE
FAHD
- Ai nostri microfoni Antonio Ferrari -
Cominceranno nel primo pomeriggio
di oggi, nella moschea Turki Bin Abdullah di Ryad, i funerali di re Fahd,
monarca dell’Arabia Saudita, scomparso ieri all’età di 83 anni dopo una lunga
malattia. La cerimonia, cui parteciperanno numerosi dignitari stranieri, non avrà,
tuttavia, il carattere di esequie di Stato, poiché ciò contrasterebbe con i
dettami dell’Islam wahabita cui fa riferimento l’Arabia Saudita. E la comunità
internazionale continua ad interrogarsi se, dopo la morte del sovrano, Ryad
continuerà ad essere un importante punto di riferimento nei rapporti tra mondo
arabo ed occidente. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ferrari,
inviato speciale del Corriere della Sera:
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R. – Assolutamente sì. Basti
pensare che il mercato del petrolio invece di placarsi, rischia di espandersi
ancora di più proprio per la richiesta non soltanto dell’Occidente ma anche
della Cina. L’importanza strategica dell’Arabia Saudita non solo continuerà, ma
addirittura crescerà.
D. – Quali gli effetti della
scomparsa di re Fahd, invece, all’interno dell’Arabia Saudita?
R. – Noi sappiamo che c’erano
tre grandi clan all’interno della famiglia, famiglia che ha voluto dare un
segnale di immediata continuità, cioè quello di nominare reggente quello che è
stato il re di fatto per dieci anni, visto che re Fahd era ammalato e non
poteva esercitare il potere. Quindi abbiamo, da una parte, la linea di
continuità, dall’altra, abbiamo altre forze che si stanno muovendo: per esempio,
il ministro degli Interni al-Najef che aspira a diventare il secondo principe
ereditario. Ma Najef è un duro, anche proprio nel rapporto con le forze
dell’estremismo religioso, e quindi questo già comincerebbe a darci l’idea che
ci sono problemi e che forse altri problemi arriveranno. Poi, non dimentichiamo
l’età: in fondo, Abdullah, il nuovo re dell’Arabia Saudita, ha due anni in meno
rispetto a quello che è morto; Sultan ne ha pochissimi di meno ... Insomma, è
chiaro che questo è un Paese che, se vuole rinnovarsi, se vuole consolidare il
proprio potere deve anche pensare a quelli che saranno i giovani ...
D. – Pur avendo buoni rapporti
con gli Stati Uniti, in particolare, Ryad non è mai riuscita a rispondere alla
richiesta dell’Occidente di isolare quell’estremismo islamico da cui è nato il
terrorismo. Come mai?
R. – Non dimentichiamo che
dietro all’Arabia Saudita si staglia la spinta di questi estremisti islamici, a
cominciare da chiari terroristi come Bin Laden che hanno dei legami con la
famiglia. Bisogna pensare che il terrorismo ha delle coperture all’interno
della stessa famiglia reale ma a questo punto è necessario recidere questi
legami proprio per salvare la monarchia. Osama Bin Laden ha un primo nemico:
soprattutto la Casa reale che un tempo l’aveva aiutato e che oggi è considerata
da lui l’origine di tutti i mali.
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NEL CLIMA GENERALE DI ALLARME ATTENTATI, SI
INTENSIFICANO I PROGRAMMI DELL’ISTITUTO DI RICERCA DELLE NAZIONI UNITE
CONTRO IL CRIMINE INTERNAZIONALE: MISURE DI
SICUREZZA PER I GRANDI EVENTI
E PER LA PREVENZIONE DEL TRAFFICO ILLECITO DI
SOSTANZE CHIMICHE, BIOLOGICHE, RADIOLOGICHE E NUCLEARI
- Intervista con Francesco Cappè -
In
Italia, il prefetto Carlo De Stefano, direttore centrale della Polizia di prevenzione,
ha ribadito in questi giorni il pericolo concreto di attentati terroristici, facendo
eco alle numerose dichiarazioni del ministro degli Interni, Pisanu. Ma sono
tanti i Paesi in cui l’allarme resta alto. Da parte sua, l’UNICRI, l’Istituto
di ricerca delle Nazioni Unite contro il Crimine internazionale, sta
sviluppando una serie di programmi sull’attuazione di misure di sicurezza
durante i grandi eventi e sulla prevenzione del traffico illecito di sostanze
chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Programmi che partono da un
assunto di base: sviluppare il concetto di cooperazione e scambio di
informazioni. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, Francesco Cappè,
coordinatore dell’Unità sulla Sicurezza e la Prevenzione del Terrorismo
dell’UNICRI:
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R. –
Il terrorismo è stato sempre visto, storicamente, come un affare di Stato, cui
uno Stato doveva rispondere e, talvolta, anche gelosamente: questo è quello che
è avvenuto nel passato. Questa forma di terrorismo internazionale è, invece,
una forma di terrorismo che obbliga alla cooperazione. Su questa strada la Comunità
internazionale, a livello di Organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, ma
anche delle Agenzie specializzate come l’AIEA) si è mossa per dare una risposta
articolata e, si spera, quanto più definitiva a questo tipo di fenomeno.
D. –
Attualmente l’UNICRI sta sviluppando programmi relativi ai grandi eventi: è
stato istituto anche l’Osservatorio internazionale permanente sulle misure di
sicurezza per eventi di particolare rilevanza. In cosa consiste e come si articola
questo Osservatorio?
R. –
L’Osservatorio è un esercizio nato nel 2002 e dal 2002 al 2005, insieme
all’Europol, che è nostro partner nello sviluppo di questo Osservatorio, abbiamo
per così dire creato la disciplina della sicurezza durante i grandi eventi.
Prima tutto veniva lasciato ai singoli Stati, che si occupavano della pianificazione
e della sicurezza durante un grande evento. Non c’era un vero e proprio
trasferimento di conoscenze ad altri Stati quando si trovavano a vivere una
stessa situazione. Abbiamo, quindi, pensato, con la cooperazione di Stati e di
esperti, di creare una vera e propria disciplina in materia e di creare un
network di esperti, che hanno cooperato con noi al fine di strutturare questa
vera e propria disciplina. Nel 2005 usciremo con un manuale, non pubblico ma
assolutamente dedicato agli operatori. E sempre dal 2005 parte la seconda fase
dell’Osservatorio internazionale permanente: le Nazioni Unite, forti di un
network di esperti che diventa istituzionale, – sarà il primo nel settore – e
di una disciplina digerita e meditata, potranno offrire consulenza agli Stati
che organizzano grandi eventi.
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APRIRE REALI VIE DI
INTEGRAZIONE AI FIGLI DEGLI IMMIGRATI IN EUROPA,
RIPENSANDO IN CHIAVE MULTICULTURALE LE REGOLE
DELLA VITA CIVILE
Si può considerare compiuto
l’inserimento dei figli degli immigrati all’interno del Paese di approdo solo
perché ne frequentano regolarmente le scuole? E’ una delle domande cardine che
gli studiosi e gli operatori italiani ed europei hanno posto al centro
dell’ottavo Meeting sulle Migrazioni, conclusosi nei giorni scorsi a Loreto. La
manifestazione ha affrontato i problemi di integrazione della seconda generazione
di immigrati in Europa, sotto l’egida dei Padri Scalabriniani, esperti conoscitori
del fenomeno migratorio ed organizzatori del Meeting. La sintesi del documento
finale dell’incontro nel servizio di Alessandro De Carolis:
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Da una parte, la società
occidentale moderna, caratterizzata da un fitto intrecciarsi di culture, di
abitudini, di lingue, di credi religiosi, importati dagli immigrati che hanno
deciso di ritentare altrove una vita. Dall’altra, la visione di una scuola
“nazionale”, di stampo ottocentesco, praticamente priva di programmi interculturali
che possano favorire un reale inserimento dei figli degli immigrati. E’ questo,
per sommi capi, lo stato attuale della scuola europea, secondo l’istantanea scattata
dal Meeting di Loreto. Solo in Italia, sono 350 mila gli studenti della scuola
dell’obbligo che provengono da famiglie trapiantate nel Paese. Ragazzi, più spesso
ragazzini, che devono fare i conti con un inserimento difficile, spesso complicato
dall’assenza di strumenti pedagogici e di percorsi formativi tagliati su misura
delle loro esigenze. “Fino ad oggi in molte nazioni europee si è giocato al
ribasso con l’integrazione non prendendo misure adeguate di inserimento e
sostegno scolastico”, è la netta denuncia di padre Beniamino Rossi, presidente
dell’Agenzia Scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (ASCS). Questa
situazione - afferma il religioso - ha
finito in sostanza per marginalizzare “i figli degli emigrati compresi quelli
nati e da sempre vissuti negli Stati europei”. Si tratta - ha aggiunto - di una “bomba a orologeria che
va necessariamente disattivata attraverso interventi di integrazione positiva e
non di ordine pubblico”.
Perché qui è il punto, secondo
gli studiosi del Meeting lauretano: le storie di esclusione che vivono i figli
degli immigrati finiscono spesso per schiacciare il giovane e il giovanissimo,
che rischia di sviluppare una sorda conflittualità con la società che sente sua
ma che di fatto lo rifiuta, e che inoltre lo spinge “verso gli strati medio
bassi della scala professionale”. In pratica, relegandolo nell’identico,
sofferto contesto vissuto dai genitori. I recenti attentati di Londra - si rileva nel documento finale del Meeting - hanno
portato prepotentemente alla ribalta il tema dei figli degli stranieri. “Se non
si può generalizzare criminalizzando i figli dei migranti – asserisce ancora
padre Beniamino Rossi – siamo di fronte alla necessità di una riflessione più
approfondita e pacata proprio sui meccanismi di integrazione” di questi
giovani. Proprio in relazione a ciò - conclude il documento - diventa urgente
una riflessione più globale sul concetto stesso di cittadinanza, orientando la
legislazione ad una cittadinanza legata più che alla nazionalità, alla residenza
sul territorio”. “L’interesse dei giovani di seconda generazione verso le tematiche
dell’ecologia, della globalizzazione solidale e l’impegno nel volontariato, assolutamente
analogo a quello dei giovani autoctoni, può costituire è la proposta operativa
del Meeting - un presupposto per una loro partecipazione alla vita civile e
politica, anche attraverso il diritto di voto”.
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NELL’ODIERNA FESTIVITA’ DEL
PERDONO DI ASSISI, INDULGENZA PLENARIA
PRESSO OGNI CHIESA
FRANCESCANA. UNA CELEBRAZIONE CHE AIUTA A RISCOPRIRE
IL BISOGNO DI ESSERE
PERDONATI E LA CAPACITA’ DI PERDONARE
- Intervista con padre
José Rodriguez Carballo -
Oggi ricorre la Festa del Perdono di Assisi, occasione in cui è possibile
ottenere l’indulgenza plenaria presso ogni chiesa francescana, per sé o per i
defunti. Sulle origini della ricorrenza e circa il suo significato nell’attuale
contesto internazionale, il servizio di Francesca Fialdini:
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“Santissimo Padre, benché io sia misero e
peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a
visitare questa Chiesa, conceda ampio e generoso perdono con una completa remissione
di tutte le colpe”.
Così
San Francesco d’Assisi si rivolse al suo Signore una notte del 1216, quando
presso la chiesetta dei primi frati gli apparve Cristo sopra l’altare. Da allora
la Festa del Perdono di Assisi, celebrata ogni 2 agosto, è diventata un momento
importante di riconciliazione per i credenti di ogni tempo, come ci racconta il
ministro generale dei frati minori, padre José Rodriguez Carballo:
“Francesco,
che sente la forte esperienza della misericordia del Signore nella sua vita,
vuole che tutti sentano questa stessa misericordia e questo stesso perdono. E’
significativo che quando il Papa gli disse: “Ma Francesco, per quanti anni vuoi
questa indulgenza?” Francesco rispose: “Santità, non voglio anni, io voglio anime”.
Allora, l’importante, in un giorno come oggi, in cui celebriamo questa indulgenza,
non è tanto domandarci “sarò salvato?”, ma “cosa vuole Dio da me, perché gli altri
possano sperimentare lo stesso perdono, la stessa misericordia, che io
sperimento per grazia”.
Ma
come vivere il perdono e la riconciliazione nell’attuale contesto di tensione internazionale,
dove tutto intorno racconta storie di violenza e paura?
“Certamente in questo contesto credo che sia
importante la celebrazione della Festa del Perdono. Direi che, forse, in questa
situazione sociale e politica, in cui ci troviamo, è più importante che mai. Se
veramente diventa difficile parlare di perdono è perché noi non ci sentiamo
perdonati, anzi direi, forse, non sentiamo il bisogno del perdono. Qui è allora
la radice di ogni male. Chi sente il bisogno di essere perdonato da Dio e dagli
altri non può fare a meno di fare lui il primo passo per la riconciliazione.
Tutti siamo figli di Dio. C’è un unico Padre, e questo Padre è Dio”.
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2 agosto 2005
CONCERTO
IN MEMORIA DI GIOVANNI PAOLO II A CASTEL GANDOLFO.
IN
PROGRAMMA LA MESSA DEGLI UMILI E CANTI A MARIA IN OMAGGIO
ALLA
DEVOZIONE MARIANA DEL COMPIANTO PONTEFICE
CASTEL GANDOLFO. = Ricorrono oggi
quattro mesi dalla morte di Giovanni Paolo II. In sua memoria si terrà un
concerto a Castel Gandolfo, giovedì prossimo alle 19.00. Con il patrocinio del
Comune, del ministero delle Comunicazioni e della Regione Lazio, nella Piazza
della Libertà, giovedì alle 19 è in programma l’esecuzione della Messa degli
umili per doppio quartetto, coro e orchestra, su testo e musica del maestro
Colonnello Antonio Pappalardo. Coro e orchestra sono stati formati per
l'occasione e hanno assunto il nome di "Coro e Orchestra Filarmonica
Bhaipevaco", dalle iniziali del Bhagavadgita (libro sacro degli induisti),
dell'Iliade (libro degli dei e degli eroi della tradizione omerica), del Pentateuco
(cinque libri sacri della Bibbia ebraica), dei Vangeli e del Corano, al fine di
esaltare la tolleranza religiosa tra i popoli. La Messa degli umili rispetta la
pentapartizione dell'Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei) e
comprende otto canti a Maria in omaggio alla devozione mariana di Karol
Wojtyła. L'evento sarà ripreso dalla Rai e trasmesso nel pomeriggio di domenica
7 agosto. (T.C.)
IERI A
MOSUL, IN IRAQ, UNA MESSA
DEL
VESCOVO CALDEO PAULOS FARAJ RAHHO PER RICORDARE GLI ATTENTATI
CHE UN
ANNO FA COLPIRONO CINQUE CHIESE: “OGGI SIAMO MIGLIORI,
DA
QUELLA VIOLENZA ABBIAMO IMPARATO IL PERDONO”
Mosul = La comunità caldea di Mosul ha
ricordato ieri gli attentati
terroristici che un anno fa, hanno colpito quattro chiese a
Baghdad e una nella stessa Mosul. A distanza di dodici mesi la Chiesa locale
sperimenta la possibilità di rinascere dalle macerie grazie al perdono e
all’amore. L’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho, ha celebrato
una messa proprio nella chiesa di San Paolo, dove i terroristi avevano
fatto saltare in aria una macchina carica di esplosivo uccidendo due persone.
Il messaggio ai fedeli è di speranza: “La Chiesa oggi è migliore – ha detto il
presule – quella violenza ha messo alla prova la nostra fede e in questo anno
abbiamo imparato a mettere in pratica valori come il perdono e l’amore, anche
per quelli che ci perseguitano”. Durante l’omelia, immaginando di rivolgersi
agli attentatori, il vescovo ha poi aggiunto: “Avete provato a distruggere le
nostre chiese senza motivo, ma il nostro Signore ci ha insegnato ad amare,
perdonare e pregare per voi. Non abbiamo rancore, non abbiamo nemici”. Mons.
Rahho ha anche dichiarato il 1 agosto Giornata della parrocchia di san Paolo;
la data verrà celebrata ogni anno con una messa in ricordo degli attacchi. Speranza
e segno della forza di questa comunità che la guerra e le minacce non hanno
piegato sono le Prime comunioni che si stanno celebrando in questo periodo. Il
prossimo 6 agosto nella parrocchia di San Paolo riceveranno per la prima volta
l’Eucaristia 63 bambini. (T.C.)
IN UN MONDO SEGNATO DA LUCI E OMBRE
LA CHIESA NEI PAESI BASCHI ASSUME
LE SUE RESPONSABILITÀ:
L’ESORTAZIONE DEL VESCOVO DI SAN SEBASTIAN, IN
SPAGNA,
NELLA FESTIVITÀ DI SANT’IGNAZIO
- A cura di padre Ignazio Arregui -
SAN SEBASTIAN. = In occasione della celebrazione
liturgica della festività di sant’Ignazio di Loyola, domenica scorsa, mons.
Juan María Uriarte, vescovo della diocesi di San Sebastian, in Spagna, ha
offerto, nella sua omelia, un’analisi della situazione della Chiesa e della
società nel momento presente, invitando tutti ad assumere responsabilmente un atteggiamento
di rinnovata fede e di riconciliazione in un clima di dialogo e di pace. Seguendo
l’atteggiamento di discernimento proprio di sant’Ignazio, mons. Uriarte ha
invitato i fedeli a fare una lettura in profondità degli avvenimenti attuali.
Di fronte alle difficoltà della Chiesa a farsi sentire oggi nella società,
mons. Uriarte esclude un sentimento di paura che non è né cristiano né
costruttivo. “Anzi, bisogna reagire con forza, a imitazione di Ignazio di
Loyola, cercando i segni dell’agire di Dio nell’umanità”, ha detto il presule.
“Il mondo attuale appare ai nostri occhi da un lato fiero delle sue conquiste
materiali e tecniche, dall’altro debole nell’ambito dei valori morali.
Nell’esaminare i maggiori eventi di segno positivo e negativo degli ultimi
tempi – ha spiegato il vescovo di San Sebastian ricordando la situazione nei
Paesi Baschi –, nonostante un ristabilimento della normalità della vita
quotidiana, permane la paura della ripresa della violenza armata, mentre si verificano
nuovi episodi di lotta urbana e non migliorano le condizioni di vita dei
detenuti nelle carceri”. Guardando al futuro e alla necessità di uno spirito di
autentico dialogo, poi, mons. Uriarte ha detto: “Il dramma che abbiamo vissuto
ha causato e continua a causare molte ferite. Si può presumere che dopo la pace
queste ferite possano essere di ostacolo ad una vera riconciliazione. Consideriamo
l’impegno in favore del perdono e della pace come una missione affidataci da
Gesù in persona”. Al termine della sua esortazione, il vescovo di San Sebastian
si è rivolto esplicitamente alla classe politica, al movimento armato ETA e
alla società in generale, chiedendo a ciascuna componente la partecipazione
alla ricostruzione della pace e della fratellanza, e il rispetto dei diritti
fondamentali dei detenuti e dei loro familiari.
ASSEGNATI
IN ASIA I “RAMON MAGSAYSAY 2005”,
RICONOSCIMENTI
ATTRIBUITI A QUANTI SI DISTINGUONO PER LA LORO OPERA SOCIALE.
LA CERIMONIA UFFICIALE IL 31 AGOSTO
MANILA. = Anche quest’anno sei
cittadini del continente asiatico, distintisi per la loro opera sociale, sono
stati premiati con il prestigioso Ramon Magsaysay, considerato il Nobel per la
Pace dell’Asia. I vincitori provengono da Bangladesh, India, Indonesia,
Repubblica democratica del Laos, Corea del Sud e Thailandia. Tra loro, Jon
Ungphkorn, fondatore nel 1991 della fondazione tailandese Aids-access; Taten
Masuki, capo dell’associazione indonesiana anticorruzione Corruption Watch; V.
Shanta che in India ha avviato pionieristiche attività per la ricerca, la
prevenzione e la cura del cancro; il laotiano Sombath Somphone, direttore di un
istituto di formazione; Matiur Rahman, fondatore della testata on-line del Bangladesh
Prothom Alo e infine il sudcoreano Hye-Ran Yoon, impegnato nel settore medico.
Il premio sarà consegnato in una cerimonia ufficiale il 31 agosto a Manila, al
Centro culturale delle Filippine. Il premio Ramon Magsaysay è stato istituito
nel 1957 per commemorare lo statista improvvisamente scomparso, in quello
stesso anno, in un incidente aereo. A Magsaysay il merito di aver riconciliato
la popolazione del suo Paese, attraversato da tensioni sociali e ribellioni
politiche. Il riconoscimento ha lo scopo di mantenere vivo il suo esempio
ricercando suoi epigoni in tutta l’Asia. In mezzo secolo di attività, la
Fondazione Magsaysay ha premiato 243 cittadini asiatici. (T.C.)
GMG DI
COLONIA: LA CONFERENZA EPISCOPALE SVIZZERA
HA
ORGANIZZATO PUNTI DI INFORMAZIONE E CONFERENZE STAMPA
CON I
GIOVANI PRESENTI ALL’INCONTRO
FRIBURGO. = La Conferenza episcopale svizzera ha
organizzato per la XX Giornata mondiale della gioventù di Colonia dei punti di
informazione su temi specifici. I vescovi svizzeri, con questa iniziativa,
vogliono far emergere quale significato ha per i giovani l’incontro
internazionale. L’idea è quella di trasmettere ai media l’esperienza dei
giovani in queste “feste della fede”, come hanno definito i presuli le giornate
mondiali della gioventù. Tre gruppi di ragazzi, che rappresenteranno le tre
differenti regioni linguistiche svizzere, incontreranno i giornalisti il 16, il
17, il 19 e il 20 agosto a Colonia in appositi spazi organizzati e
risponderanno alle loro domande su temi specifici. Tutte le informazioni si
trovano sul sito www.wjt2005.de dove sono
indicati anche gli indirizzi dei punti di informazione e gli orari degli
incontri. (T.C.)
Ravvivare il fervore cristiano attualizzandolo
con la nuova evangelizzazione. Con questa prospettiva
si è concluso a Segni il Capitolo generale delle suore
angeliche di san paolo
ROMA. = Si è concluso il Capitolo
generale delle Suore Angeliche di San Paolo che si è svolto a Segni dal 15 al
31 luglio. Ai lavori capitolari hanno preso parte 32 religiose provenienti da
diverse parti del mondo. Tema delle giornate: “Ripartire da Cristo per crescere
nella spiritualità”. Particolarmente approfondito è stato il carisma
dell’istituto religioso fondato da sant’Antonio Zaccaria nel 1535. “Ravvivare
il fervore cristiano attualizzandolo con la nuova evangelizzazione”, questo il
proposito della congregazione che ha eletto superiora generale la brasiliana
madre Nur-Elaine Anaissi e sue consigliere madre Maria Annunziata Garribba,
madre Ivana Raitano, madre Flor Lomibao ed madre Irene Nabuci. (T.C.)
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2
agosto 2005
-
A cura di Amedeo Lomonaco -
E’
ufficiale: l’Iran riprenderà entro due giorni le attività di conversione
dell’uranio riaprendo lo stabilimento nucleare di Isfahan. Lo ha annunciato il
Consiglio supremo iraniano per la sicurezza nazionale che smentisce così
l’ipotesi di un possibile rinvio. Nonostante
le assicurazioni iraniane sull’utilizzo del nucleare per scopi civili, la
comunità internazionale rimane seriamente preoccupata. Isabella Piro ne ha parlato con il
giornalista iraniano Ahmad Ràfat:
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R. – La ripresa anzitutto è parziale, perché dovrebbe
riprendere l’impianto di Isfahan che
è un impianto minore, in quanto quello di Natanz, dove potrà essere arricchito l’uranio, per il momento non
riprenderà l’attività. Secondo quanto hanno dichiarato le autorità del governo
dimissionario, questo impianto non riprenderà per facilitare il dialogo.
D. – La Repubblica islamica dice
di avere il diritto di sviluppare la tecnologia atomica per scopi pacifici, per scopi civili…
R. – Personalmente non ho mai
creduto al progetto pacifico, perché il progetto nucleare iraniano è partito
prima della rivoluzione, ai tempi dello scià, e non aveva obiettivi civili.
Come non ce l’ha oggi. L’Iran, a livello civile, non ha bisogno del nucleare,
perché il petrolio gli costa molto meno. L’Iran è circondato da Paesi che sono
potenze nucleari - Pakistan, Israele, India, ex Repubbliche sovietiche - e
questo fatto gli serve per poter sedere al tavolo dei ‘grandi’.
D. – Si può parlare di pericolo
effettivo che l’Iran costruisca una bomba nucleare?
R. – Il pericolo c’è, ma non
credo che sia immediato. Gli servono almeno sette, otto anni prima di poter
costruire una bomba.
D. – A metà agosto si insedierà
il nuovo governo. I rapporti con l’Unione Europea cambieranno?
R. – Questo nuovo governo avrà
una linea sicuramente più dura. Questo è quanto hanno promesso durante la
campagna elettorale, nel dialogo con gli europei.
D. – Qual è il ruolo degli Stati
Uniti?
R. – Gli Stati Uniti sono
l’interlocutore principale dell’Iran, anche se questo dialogo oggi passa
attraverso Paesi europei. Gli iraniani non considerano il dialogo con l’Europa
un dialogo che possa risolvere i loro problemi, se questo dialogo non è
benedetto e supportato dagli americani.
D. – Come si può porre fine a
questa crisi internazionale?
R. – L’unica via è quella di
rimandare tutto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
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Restiamo
in Iran, dove non ha causato vittime né feriti l’ordigno artigianale esploso questa
mattina a Teheran. L’edificio davanti al quale è avvenuto lo scoppio, è sede di
diversi uffici di compagnie occidentali, fra cui la British Airways.
In Iraq, un’autobomba è esplosa nel centro di
Baghdad causando la morte di quattro persone. Lo riferisce la polizia irachena
precisando che l’obiettivo era un convoglio di militari statunitensi. Nel
Paese, si intensificano anche gli attacchi sferrati dalla guerriglia contro
cittadini iracheni. Il nostro servizio:
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La dinamica degli ultimi episodi di violenza è
sempre la stessa: guerriglieri da un’auto in corsa scaricano raffiche di
mitragliatrice contro uomini dell’amministrazione irachena o rappresentanti
della società civile. Lo sfondo è Baghdad e l’obiettivo dei ribelli è quello di
minare il percorso democratico iracheno: si colpisce chi lavora per un Iraq
nuovo, finalmente libero dal giogo del totalitarismo. Il capo della polizia di
Abu Ghraib è stato ucciso alla periferia orientale della capitale mentre si
stava recando al commissariato. Nella parte occidentale di Baghdad sono stati
assassinati, inoltre, un autista e una guardia del corpo, dipendenti del ministero
delle Finanze. Sempre nella capitale, uno sceicco sunnita è stato ucciso ieri
sera con il fratello da un gruppo di uomini armati a bordo di un’auto. La
polizia ha riferito che questa mattina sono state assassinate altre cinque persone
mentre raccoglievano le spoglie dello sceicco. Nonostante questa drammatica e
consueta scia di violenza, che accompagna l’annuncio della presentazione della
nuova Costituzione irachena entro il 15 agosto, proseguono comunque gli sforzi
della comunità internazionale per garantire assistenza e sostegno alla popolazione.
La Croce Rossa Italiana chiarisce, ad esempio, di non voler smobilitare la
propria missione in Iraq. “Seguendo la strategia fissata – fa sapere
l’organizzazione – il personale italiano in Iraq sta per essere sostituito con
quello locale”.
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Uno dei
quindici principali ricercati per gli attentati del 23 luglio a Sharm el Sheik,
Mohammed Saleh Fulayfel, è stato ucciso dalla forze di polizia egiziana, in uno
scontro a fuoco sulle montagne a poca distanza da Suez. Fulayfel era tra i
principali sospettati anche per la strage di Taba del 7 ottobre 2004, in cui
persero la vita 34 persone.
Due esplosioni hanno scosso la
cittadina turistica turca di Antalya, nel sud della Turchia, provocando il
ferimento di almeno sei persone. Lo ha riferito un’emittente privata turca
precisando che le deflagrazioni sono avvenute nel centro della città. Dietro
questo nuovo attentato potrebbero esserci, secondo gli inquirenti, militanti
islamici o separatisti curdi.
In Israele, rafforzate le misure di sicurezza in
vista delle odierne manifestazioni di protesta dei coloni contro l’imminente
ritiro da Gaza. Per evitare disordini e tumulti, le autorità ebraiche hanno
autorizzato, nel sud del Paese, il dispiegamento di 15 mila soldati.
In occasione del sessantesimo
anniversario della Seconda Guerra Mondiale, la Camera bassa del Parlamento
giapponese ha approvato una risoluzione nella quale si esprime rammarico per
“le sofferenze” provocate in Asia. “Siamo profondamente addolorati per le
sofferenze causate dal nostro Paese in un certo periodo del passato alle
popolazioni asiatiche e a quelle di altri Stati”, si legge nel testo. Il
documento non fa comunque riferimento diretto alle guerre contro la Cina e al
dominio coloniale sulla penisola coreana dal 1910 al 1945.
Con un piano di smilitarizzazione biennale, la Gran Bretagna ha
dato ordine alle unità speciali dell’esercito di stanza in Ulster di cessare la
propria attività a partire dal 1 agosto 2007 e di abrogare le leggi
antiterrorismo create appositamente per la regione. La risposta del governo di
Londra segue l’annuncio di giovedì scorso con cui l'Esercito repubblicano
irlandese ha messo fine alla lotta armata.
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