RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
267 - Testo della trasmissione di giovedì 23 settembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Riuniti in Vaticano i nunzi dell’Africa per chiedere al mondo di non dimenticare il Continente.
OGGI IN PRIMO PIANO
L’UE ritira le misure di embargo imposte alla Libia: il commento di Vittorio Segre
CHIESA E SOCIETA’:
Al via
oggi a Lille le Settimane Sociali di Francia nel centenario della loro
fondazione
Nominato il nuovo presidente dell’Unione dei cattolici
di tutta l’India
In due messaggi pubblicati su internet il drammatico annuncio dell’uccisione di Simona Pari e Simona Torretta. Il governo italiano invita alla massima cautela. Forti dubbi sull’attendibilità dei comunicati
In nuovi scontri
avvenuti nella Striscia di Gaza sono rimasti uccisi tre palestinesi e tre
israeliani
Il primo ministro
turco Erdogan, oggi a Bruxelles per
incontri con i vertici dell’Unione Europea, ha assicurato che la Turchia
adotterà “il più presto possibile” un nuovo codice penale
23 settembre 2004
NON LASCIATEVI SCORAGGIARE DAI PROBLEMI DEL NOSTRO
TEMPO MA ABBIATE FIDUCIA IN GESU’ CONTINUANDO A PORRE DIO AL CENTRO DELLA VITA.
COSI’ IL PAPA AI
BENEDETTINI RICEVUTI OGGI A CASTEL GANDOLFO
Non lasciatevi scoraggiare dai
problemi del nostro tempo, ma abbiate fiducia in Gesù continuando a mostrare al
mondo che è necessario porre Dio al centro della vita. Questo l’invito del Papa
agli Abati benedettini e alle superiore benedettine, ricevuti stamane a Castel
Gandolfo, e che in questi giorni sono riuniti per i loro rispettivi Congressi internazionali. Il servizio di
Sergio Centofanti.
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“Non lasciatevi scoraggiare
dai problemi del nostro tempo”.
I benedettini hanno espresso al
Papa le loro preoccupazioni e inquietudini per l’attuale situazione nel mondo,
ma il Papa li invita a non perdersi d’animo. “Dio - ha detto - continua la sua
opera in voi e con voi secondo il suo stile, come preannunciò Gesù ai discepoli:
“Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”.
“Restate fedeli alla vostra
storia – ha proseguito il Pontefice - Il nostro mondo secolarizzato vi è
debitore per la testimonianza delle vostre comunità, che mettono Dio al
centro”. Sono numerosi i vescovi infatti che chiedono di avere nelle loro
diocesi questi spazi vitali d'incontro con il Signore. “Mediante la liturgia,
lo studio e il lavoro – ha aggiunto -
siate esempio di vita cristiana pienamente orientata a Dio, rispettosa
dell'uomo e della creazione”. Giovanni Paolo II ha espresso il proprio
apprezzamento per i contatti che i benedettini
hanno “con monaci e monache di altre religioni: si tratta di rapporti significativi
– ha sottolineato - che possono rivelarsi fecondi”. In particolare il Papa ha
esortato i religiosi “ad approfondire le relazioni ecumeniche con i fratelli e
le sorelle dell'Europa orientale. Il monachesimo - infatti - costituisce una
piattaforma naturale per la comprensione vicendevole” cosa “estremamente importante in questo momento
storico – ha detto il Papa - per
conservare all’Europa le sue radici cristiane”.
Rallegrandosi per il fatto che
la Famiglia benedettina, stia riscoprendo sempre più il suo patrimonio comune
il Papa ha invitato i religiosi a proseguire il loro cammino sulle orme di san
Benedetto e di santa Scolastica, come è scritto nella Regola: “Nulla assolutamente
anteponete a Cristo” . “Fedeli a questa regola di vita - ha concluso -
conoscerete un futuro ricco dei doni di Dio”.
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Oggi
nel mondo i benedettini sono oltre 8 mila mentre le religiose benedettine sono
circa 16.500. Ma qual è la loro missione nella società attuale? Giovanni Peduto
lo ha chiesto all’Abate Primate della Confederazione Benedettina, padre
Wolf Nokter:
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R. – La prima cosa è l’adorazione
di Dio. Da noi Dio sta al centro e nella società vogliamo ricordare chi è il
centro della nostra vita, la radice e anche il fine della nostra vita.
D. – Come spiegare oggi il
celebre motto benedettino ‘Ora et labora’?
R. – Credo che non valgano tanto
le parole quanto i fatti. E’ l’esempio concreto ... C’è tanta gente, anche
giovane, che va nei monasteri a cercare il senso della vita …
D. – Quale messaggio viene dai
monasteri benedettini?
R. – ‘Siamo in cerca di Dio’,
come dice San Benedetto. Io direi che cerchiamo di vivere la Redenzione, cioè mostrare che siamo uomini liberati,
benché siamo tuttora anche uomini deboli e peccatori.
D. – Personalmente, cosa l’ha
colpita di più nella Regola di San Benedetto?
R. – Quella discrezione, come
San Benedetto dice: “La discrezione è la madre delle virtù”, e porta a non
esagerare mai in nulla e ciò si nota in tutta la regola. E così, per esempio,
c’è il rispetto del debole, nonostante tutti gli ideali: questo è realismo ...
D. – Come vanno le vocazioni?
R. – In alcune parti mancano le
vocazioni, soprattutto dove mancano i bambini e dove la fede viene
marginalizzata, in particolare nei Paesi secolarizzati. In altre parti abbiamo
un bel numero di vocazioni, ci sono monasteri nuovi, fiorenti. In tutti i Paesi
in via di sviluppo ci sono tante vocazioni ed il problema è, piuttosto, di dare
a ciascuno una buona formazione, anche se in Germania, da dove provengo io, ci
sono delle vocazioni, non ci mancano. E’ una gioia vedere l’idealismo dei
giovani.
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IL PAPA RICEVE ALCUNI
VESCOVI COLOMBIANI IN VISITA “AD LIMINA”
- Con
noi mons. Luís
Augusto Castro Quiroga, vescovo di Tunja -
Il Papa
ha ricevuto oggi a Castelgandolfo un altro gruppo di Vescovi della Conferenza
Episcopale Colombiana, in visita “ad Limina”. Questa mattina, presso la nostra
emittente, alcuni presuli colombiani hanno partecipato ad un incontro nell’aula
Marconi. L’appuntamento è stato occasione anche per parlare della situazione in
cui versa il Paese dell’America Latina, soprattutto per quanto riguarda il
processo di pace tra il governo di Bogotà e la guerriglia. Un momento molto delicato
per il Paese, come ci conferma mons. Luís Augusto Castro Quiroga, arcivescovo
di Tunja. L’intervista è di Salvatore Sabatino:
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R. - In questo momento si sta tentando di aprire dei
colloqui almeno con due gruppi. Il gruppo delle cosiddette “Autodifese” ed il
gruppo dell’Esercito di liberazione nazionale. E’ ancora molto difficile,
invece, dialogare con l’altro gruppo, quello più forte, delle Forze armate
rivoluzionarie della Colombia (FARC). La scelta del governo non è quella di
dialogare direttamente, ma di farlo attraverso degli intermediari. In quel
senso, siamo stati noi, come Chiesa, coloro che hanno facilitato il colloquio,
che hanno portato all’avvicinamento fra le due parti. E’ un incontro comunque
che si fa via internet e che non è sufficiente. Ad un certo punto occorre
infatti mettersi faccia a faccia. C’è l’urgenza di arrivare ad una soluzione,
perché le FARC hanno nelle loro mani, sequestrate, almeno una sessantina di
persone.
D. – Lei ha parlato di un ruolo
primario della Chiesa in questi colloqui. Non dobbiamo dimenticare, però, che
proprio la Chiesa è stata presa di mira più volte dalla guerriglia…
R. – Sì, è stato sequestrato
anche un vescovo, ma grazie a Dio è
stato liberato. Noi non ne parliamo più; ora ci interessano i 60 e più
sequestrati che ancora rimangono nelle mani della guerriglia e gli altri 3
mila, sequestrati per motivi economici.
D. – La settimana scorsa oltre
60 mila indios hanno marciato su Cali, dopo 100 km di marcia per la pace: un
simbolo di una nazione che ha bisogno di pace.
R. - Penso che questi segni
siano molto importanti, soprattutto in questo momento in cui si riprende
coscienza della necessità di trovare la pace piena attraverso vie pacifiche.
Due anni fa, quando è stato eletto il presidente attuale, tutta la gente voleva
che si arrivasse ad una soluzione di pace attraverso una via di forza, cioè
attraverso la guerra. Invece la coscienza è di nuovo arrivata a ragionare, come
deve essere, e più del 60 per cento della popolazione colombiana vuole una
soluzione attraverso il dialogo.
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DA OGGI AL 25 SETTEMBRE SI SVOLGE IN VATICANO UN
INCONTRO
DEI
RAPPRESENTANTI PONTIFICI DELL’AFRICA E DEL MADAGASCAR
PER NON DIMENTICARE IL CONTINENTE AFRICANO
E’ iniziato questa mattina in
Vaticano un incontro dei rappresentanti pontifici dell’Africa e del Madagascar.
La riunione, che durerà fino a sabato prossimo, è stata convocata dal cardinale
segretario di Stato Angelo Sodano a dieci anni di distanza dall’Assemblea Speciale
del Sinodo dei Vescovi per l’Africa e a sei da un primo incontro del genere,
tenutosi nel marzo 1998. Con tali avvenimenti - rileva una nota della Sala
Stampa vaticana - questa riunione “è in ideale continuità, come pure si celebra
nel ricordo della tragica fine del compianto mons. Michael A. Courtney, nunzio
apostolico in Burundi”, assassinato presso Bujumbura nel dicembre dell’anno
scorso. La riunione - prosegue la nota - “si prefigge di far giungere alle
popolazioni e alle Chiese locali in Africa l’espressione della spirituale vicinanza
di Giovanni Paolo II e della solidarietà di tutta la Chiesa. Risponde anche all’urgente necessità -
continuamente richiamata dal Papa - di non abbandonare quel Continente,
affinché esso, facendo leva sulle sue molteplici e abbondanti risorse naturali
e umane, possa superare i gravi mali che l’affliggono e diventare protagonista
del suo sviluppo integrale”.
“In un
clima di preghiera, di dialogo e di confronto”, i rappresentanti pontifici, insieme
con l’arcivescovo Leonardo Sandri, sostituto per gli Affari Generali,
l’arcivescovo Giovanni Lajolo segretario per i Rapporti con gli Stati e i
superiori dei diversi Dicasteri della Curia Romana più direttamente interessati,
“si scambieranno informazioni e rifletteranno in maniera coordinata sulla
situazione politica, sociale, economica, religiosa ed ecclesiale del Continente
africano e sulle modalità più adeguate
di svolgere la
delicata missione loro
affidata, che conosce
spesso disagi e sacrifici”.
Oggi è intervenuto alla riunione
anche il direttore generale della FAO Jacques Diouf. L’incontro si concluderà
il 25 settembre con l’udienza dal Santo Padre a Castel Gandolfo.
MARTEDÌ 28 SETTEMBRE LA MESSA IN SUFFRAGIO DI
PAOLO VI
E GIOVANNI PAOLO I PRESIEDUTA DAL CARDINALE
RATZINGER
Martedì 28 settembre, alle ore
18, avrà luogo all’Altare della Cattedra nella Basilica Vaticana la Santa Messa
in suffragio di Paolo VI e Giovanni
Paolo I. L’Eucaristia sarà presieduta, a nome del Santo Padre, dal cardinale
Joseph Ratzinger, Decano del Collegio Cardinalizio.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Angoscia
e speranza” è il titolo di apertura della prima pagina in riferimento
all’annuncio di due gruppi islamici dell’avvenuta uccisione di Simona Pari e di
Simona Torretta. “Restate fedeli alla vostra storia” è il messaggio del Papa
rivolto ai partecipanti al Congresso degli Abati e dei Priori Conventuali della
Confederazione benedettina e all’incontro “Communio Internationalis Benedictarium”.
Nelle
pagine vaticane, il XII Convegno Ecumenico Internazionale di Spiritualità
ortodossa nel Monastero di Bose.
Nelle
pagine estere, Medio Oriente: nuovo attacco suicida a Gerusalemme, uccisi due militari;
Haiti: dopo la devastazione provocata dall’uragano “Jeanne” (oltre mille morti)
il Paese chiede aiuto alla comunità internazionale; Olanda: critiche
all’eutanasia estesa anche ai minori; Kosovo: Kofi Annan annuncia nuove iniziative
d’accordo con Ue, Nato e Osce; Somalia: scontri a Chisimayo.
Nella
pagina culturale, un articolo sull’interpretazione botticelliana del tema della
“Madonna col Bambino”.
Nelle
pagine italiane, l’angoscia dei familiari delle due donne italiane rapite in
Iraq. A seguire, i temi dell’economia, della Finanziaria, delle Riforme e
dell’immigrazione.
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23 settembre 2004
PROSEGUE
LA MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE PER AIUTARE HAITI, PAESE DOVE SONO PIU’ DI
MILLE I MORTI PER LE ALLUVIONI CAUSATE DALL’URAGANO JEANNE
-
Intervista con Joanny De Matteis -
E’ salito ad oltre 1000 morti il drammatico
bilancio delle alluvioni causate ad Haiti dal passaggio dell’uragano Jeanne.
Secondo i soccorritori, le vittime potrebbero addirittura arrivare a 2000. Il
ministero degli Esteri spagnolo, in collaborazione con la Croce Rossa e
l’Agenzia di Cooperazione Internazionale (AECI), ha reso noto intanto che
invierà oggi il primo contingente di aiuti umanitari previsti dal governo di
Madrid per sostenere il Paese caraibico. Il servizio di Maurizio Salvi:
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Mentre arrivano a Port-au-Prince
gli aiuti della comunità internazionale, che vengono distribuiti il più
rapidamente possibile ai senza tetto continua, instancabilmente, la sepoltura di
centinaia e centinaia di vittime della tragedia. Per mancanza di tempo e per
timore del propagarsi di malattie infettive, i corpi vengono inumati al termine
di sommarie cerimonie religiose in fosse comuni nella regione dove si trova la
città di Gonaives, la più colpita dalla violenza delle acque. Intanto la
tensione è grande, perché decine di migliaia di persone si trovano da giorni in
rifugi di fortuna senza cibo ed acqua. All’arrivo dei primi soccorsi concreti,
si ha avuto l’accenno, ieri, di possibili disordini, al punto che il contingente
dell’ONU ha dovuto sparare in aria per cercare di mantenere la calma e, a
livello internazionale, si sono moltiplicati gli appelli alla solidarietà.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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Proprio Gonaives dunque è la
città più colpita. Per una testimonianza sulla situazione di Haiti sentiamo
Joanny De Matteis, vice-console onorario nella capitale haitiana Port au
Prince, intervistato da Lucas Duran:
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R. – Il disastro era annunciato
da tempo: sarebbe bastata un po’ di pioggia più forte, perché la città fosse
invasa dall’acqua. Gonaives è
costruita, infatti, sotto il livello del mare. Quindi, c’è stata la
concomitanza dell’acqua del mare, che ha invaso il litorale, assieme allo
straripamento di vari fiumi della zona.
D. – Se
a causare questo disastro non è stato neppure il vero e proprio ciclone, ma
solo delle piogge torrenziali, che cosa ci si può aspettare se, come possibile,
un ciclone dovesse colpire in maniera precisa e netta Haiti?
R. – Sarebbe una catastrofe
infernale. Meno male che “Ivan” non ha toccato Haiti. Se avesse colpito Haiti
avremmo potuto contare 500 mila, 600 mila morti, molto facilmente, perché la
popolazione costruisce anarchicamente sui letti dei fiumi, in riva al mare. E’
una situazione che Haiti si porta dietro da decenni. Non c’è un’autorità dello
Stato. Tutti chiudono gli occhi e poi ci si sveglia sui “drammoni” come questo.
La ragione principale è il disboscamento feroce che si è avuto sui monti. Haiti
è una terra di montagna. Abbiamo il 2 per cento di copertura vegetale, contro
il 60 per cento della Repubblica Dominicana e quasi il 75 per cento della
Giamaica, per esempio. Quindi, tutto questo è all’origine del dramma.
D. – Tra pochi giorni saranno
sette i mesi trascorsi dalla partenza dell’ex presidente Jean-Bertrand
Aristide. Può farci un primo bilancio dell’azione del governo presieduto da Gérard
La Tortue?
R. – Il compito
era immenso, perché Aristide ha lasciato una terra completamente desolata e
bruciata. Ad onor del vero, però, questo governo non ha fatto un granché. Ci
ritroviamo con le gang armate ancora più armate di prima. L’insicurezza,
l’economia che non arriva, i fondi che sono ancora bloccati malgrado
l’intervento della comunità internazionale e i fondi monetari. Siamo, quindi,
in una situazione in cui ancora oggi dovremmo scendere in piazza. C’è una
corruzione generalizzata. Non si capisce… La polizia è talmente corrotta che
anche le forze dell’Onu presenti non si fidano più della polizia. Siamo quasi
scoraggiati.
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L’ABOLIZIONE DELL’EMBARGO EUROPEO ALLA LIBIA
- Intervista con Vittorio Segre -
Il leader libico Muhamar
Gheddafi ha telefonato al presidente della Commissione europea, Romano Prodi,
dopo avere appreso del ritiro da parte dell'UE delle misure di embargo imposte
alla Libia. Gheddafi ha espresso grande soddisfazione, aggiungendo che “si chiude
una fase vecchia nei rapporti tra Libia ed Europa e si apre un nuovo capitolo
per il rilancio della cooperazione comune verso l'Africa”. Dal canto suo, Prodi
ha parlato di “un successo che corona anni di lavoro”. La delibera di revoca
del blocco era stata avanzata dall’Italia, in linea con l’abolizione
dell’embargo commerciale attuato dagli Stati Uniti. Ma cosa è cambiato negli
ultimi anni per giustificare questa veloce riabilitazione di Tripoli in ambito
internazionale? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Vittorio Segre, docente
dell’Istituto Mediterraneo dell’Università di Lugano.
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R. - A me
sembra che il cambiamento sia piuttosto quello di Gheddafi. Di lui si può dire
che l’unica cosa prevedibile sia la sua imprevedibilità. Da quando ha preso il
potere, esattamente 35 anni fa, ha cambiato politica una decina di volte, e di
nuovo lo sta facendo. Non dimentichiamoci che è stato un ammiratore sfegatato
di Nasser, che aveva unito la Libia all’Egitto, alla Siria nel ’71, poi alla
Tunisia nel ’72, e poi ha fatto la guerra all’Egitto e alla Tunisia e poi ha
appoggiato i palestinesi, e poi ha rotto i rapporti con l’OLP. Ultimamente,
poi, da panarabista è diventato panafricanista e ha chiesto scusa agli africani
di averli dimenticati a favore degli arabi. Ora, è difficile entrare nel suo
pensiero come, del resto, è difficile capire la sua ideologia che ha sviluppato
in quel suo libro verde, ma questo libro verde: che contiene la teoria del
socialismo islamico, lo rende, oggi, principale oppositore del fondamentalismo
islamico. Ed è questa sua posizione, insieme alla rinuncia alla fabbricazione
di armi di distruzione di massa, che da avversario lo sta trasformando in
beniamino dell’America e dell’Europa. Vedremo quanto dura.
D. – L’Unione Europea ha deciso
soltanto adesso l’abolizione delle sanzioni, dopo gli Stati Uniti. Perché?
R. – L’Europa
ha grossi interessi con la Libia: anzitutto è un partner energetico importante
molto vicino, la seconda cosa è che, se l’Europa ha paura di una invasione di immigrati
dal terzo mondo, il terzo mondo, di cui naturalmente la Libia fa parte, ha
ancora più paura di un’invasione di immigrati dal quarto mondo, che stanno riversandosi,
per esempio, dall’Africa sui Paesi arabi del Mediterraneo e pongono dei
problemi molto seri di immigrazione. Ora, l’Europa ha interesse, e l’Italia in
primo luogo, ad arrivare a degli accordi precisi sia nei confronti
dell’immigrazione illegale dal terzo mondo, dal mondo arabo verso l’Europa, ma,
in secondo luogo, ha molto interesse a frenare l’immigrazione dal quarto mondo,
soprattutto africano, nel terzo mondo arabo, perché le tensioni locali sono
esplosive.
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23 settembre 2004
AL VIA OGGI A LILLE LE SETTIMANE SOCIALI DI
FRANCIA,
NEL
CENTENARIO DI FONDAZIONE. IL TEMA DELL’INCONTRO, FINO AL 26 SETTEMBRE:
“L’EUROPA, UNA SOCIETÀ DA INVENTARE”. TRA I PARTECIPANTI,
L’INVIATO
SPECIALE DEL PAPA, IL CARDINALE ETCHEGARAY
LILLE. = Prendono il via oggi a
Lille, capitale europea della cultura 2004, le Settimane Sociali di Francia,
che quest’anno celebrano i 100 anni della loro fondazione. “L’Europa, una
società da inventare”: è il tema scelto per questa sessione, che si protrarrà
fino al 26 settembre prossimo, con la partecipazione di oltre quattro mila
persone da tutto il Vecchio Continente e 85 esperti e testimoni. Per il
centenario e nell’anno dell’allargamento dell’Unione Europea a 25 Paesi, gli
organizzatori dell’iniziativa, con il sostegno della Conferenza episcopale
francese, hanno voluto promuovere una riflessione approfondita sull’Europa come
comunità di popoli uniti da un destino comune e con una comune sfida da
affrontare: quella di “inventare” una nuova società europea, nella
corresponsabilità, solidarietà e apertura al resto del mondo. Nei diversi spazi
di confronto – incontri, dibattiti, testimonianze – verrà espressa, accanto
alla ricchezza delle diversità, la riconoscenza per la condivisione del dono
della fede nel Signore Gesù Cristo. La comunità di Taizé contribuirà a dare
alle giornate una forte dimensione spirituale ed ecumenica, che culminerà nella
Concelebrazione Eucaristica per l’Europa di domenica 26. Tra i numerosi relatori,
figurano: il presidente delle Settimane Sociali francesi, Michel Camdessus, il
presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, il fondatore della Comunità
di sant’Egidio, Andrea Riccardi e l’arcivescovo di Lille, mons. Gérard Defois.
In occasione delle Settimane Sociali di Francia, Giovanni Paolo II ha nominato
il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace suo inviato speciale alle celebrazioni. “A tutti i
partecipanti – ha scritto il Papa in un messaggio indirizzato al porporato –
recherai il nostro pensiero, affinché la nuova Europa riconosca più chiaramente
il fondamento e l’eredità cristiana della sua cultura e della sua umanità, che
i nostri antenati ci hanno tramandato perché venissero conservati e fatti
conoscere”. Le Settimane Sociali di Francia
sono state fondate nel 1904 per iniziativa di due laici cattolici francesi,
l’imprenditore Marius Gonin e l’insegnante Adéodat Boissard, desiderosi di fare
conoscere la dottrina sociale della Chiesa, a cominciare dalla storica
Enciclica di Papa Leone XIII “Rerum Novarum” (1891), e di applicarne gli
insegnamenti nel contesto sociale moderno. Da allora le Settimane non hanno
cessato di occuparsi dei mutamenti economici, politici, culturali, scientifici
e tecnologici e dei loro effetti sulla società. (B.C.)
ALLE URNE I CATTOLICI SONO
CHIAMATI A SCEGLIERE CANDIDATI
CAPACI DI PROMUOVERE I PRINCIPI CRISTIANI. COSI’ I
VESCOVI DELLA SLOVENIA,
IN VISTA DELLE ELEZIONI PARLAMENTARI DEL PROSSIMO
3 OTTOBRE
LUBIANA. =
“Dobbiamo scegliere deputati che garantiscano onestà, trasparenza e stabilità
nell’intero sistema della costituzione statale e a livello personale”. E’ il
passaggio principale della dichiarazione dei vescovi sloveni alla vigilia delle
prossime elezioni parlamentari in Slovenia. Invitando tutti a non mancare
l’appunta-mento del prossimo 3 ottobre, i presuli sottolineano l’esigenza di
scegliere candidati capaci di far rispettare la “vita umana, dal concepimento
alla morte naturale”, e l’istituzione della famiglia, “come fondamento della
sicurezza, della salute, della cultura e del benessere”. “Abbiamo bisogno di
deputati che sappiano accelerare lo sviluppo economico con leggi adeguate –
dichiarano i vescovi sloveni nel documento – ma allo stesso tempo preoccuparsi
anche dei più poveri e dei più deboli”. Dinanzi alle urne, ammettono, la scelta
non è sempre facile, ma i cristiani, dopo un'attenta riflessione, non possono
che far cadere la propria preferenza su quanti riconoscono “il grande
significato dei valori di fede nella società e, ancor più, il senso della
nostra eredità cristiana”. “In un mondo di violenza e terrorismo crescente –
conclude la nota – abbiamo bisogno di sicurezza e convivenza pacifica. Dobbiamo
avere anche il cuore aperto per gli altri cittadini del mondo, che soffrono a
causa delle ingiustizie e della povertà”. (B.C.)
UN FORTE APPELLO ALLA
PACE GIUNGE DA SAN GIOVANNI ROTONDO, CHE OGGI CELEBRA LA MEMORIA DI SAN PIO DA
PIETRELCINA. IN MIGLIAIA HANNO PARTECIPATO
QUESTA MATTINA ALLA SANTA MESSA E IERI ALLA VEGLIA
- A cura di Andrea Sarubbi -
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SAN GIOVANNI ROTONDO. = Iraq,
Sudan, Israele, Palestina: le ferite della terra sulla tomba del frate con le
stigmate. Su quel granito nero, sotto il convento dei cappuccini, quattro
bandiere di Paesi in conflitto per ricordare i fallimenti della storia ed
implorare la pace. Filo-conduttore della lunga veglia di ieri sera: amore,
giustizia, perdono. Risuonano nella Liturgia di accoglienza le parole di
Giovanni Paolo II seguite, tra i vespri e l’adorazione eucaristica, da quelle
di Giovanni XXIII nella Pacem in Terris. “Dona Signore la pace!” cantano
in 20 mila, arrivati da tutta Italia e si impegnano a prendersene cura, ma è la
Via Crucis finale, sul Monte Castellato, il momento più toccante, con
l’intreccio drammatico tra il calvario di Cristo e le sofferenze di oggi. Prima
stazione: il Darfur; seconda: le Torri Gemelle. E poi un cammino di sangue
attraverso le vittime dei lager e delle dittature, i desaparecidos argentini,
la caccia al nucleare, gli attacchi alla vita, fino all’Iraq, alla Terra Santa,
ai bambini di Beslan. E’ proprio un gruppo di loro coetanei a portare la Croce
nell’ultima stazione, quella della città dei giusti. Una preghiera, ed insieme
una speranza per un mondo ancora troppo lontano dal sogno di Dio.
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CLAMOROSA CONVERSIONE DI MASSA DAL CRISTIANESIMO
ALL’INDUISMO IN ORISSA,
STATO DELL’INDIA ORIENTALE. IL CONSIGLIO GLOBALE DEI
CRISTIANI INDIANI
CHIEDE UN’INCHIESTA SULLA VICENDA
- A cura di Roberta Moretti -
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SARAT. = Settantacinque tribali che si erano
convertiti al cristianesimo sono tornati alla religione originaria, l’induismo,
con una cerimonia avvenuta domenica scorsa nel villaggio di Sarat, nello Stato
indiano dell’Orissa, con un rito di massa organizzato dal movimento
culturale-religioso fondamentalista “Vishwa Hindu Parishad”. Secondo fonti
indiane, buona parte dei neo-convertiti proveniva da Jamboni, il villaggio dove
nel 1999 il missionario battista australiano, Graham Staines, fu bruciato vivo
con i suoi due bambini, da un gruppo guidato dall’estremista indù Ravindra Pal.
Per contestare la recente conversione di massa, il Consiglio globale dei
cristiani indiani, organizzazione di laici cristiani con sede a Bangalore, ha
scritto una lettera alla Commissione nazionale per le minoranze, sostenendo che
il “Vishwa Hindu Parishad” non avrebbe rispettato la legge sulla libertà di religione
dell’Orissa. Il movimento fondamentalista non avrebbe, infatti, notificato alle
autorità distrettuali le conversioni prima del rito di massa. Scopo del
movimento induista, sarebbe “eliminare la cristianità da Orissa attraverso il
terrore”, secondo l’organizzazione cristiana, che ha sollecitato l’apertura di
un’inchiesta sulla vicenda, oltre a chiedere alle autorità dello Stato maggiore
protezione per le minoranze religiose. Nell’agosto scorso, l’Orissa è stata
teatro di un ennesimo attacco contro i cristiani: una chiesa cattolica nella
città di Raikia è stata presa d’assalto da una folla che ha danneggiato e bruciato
diversi oggetti sacri.
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NOMINATO IL NUOVO PRESIDENTE
DELL’UNIONE DEI CATTOLICI DI TUTTA L’INDIA.
SI TRATTA DEL GIORNALISTA JOHN DAYAL. TRA LE
PRIORITA’ DEL SUO MANDATO:
LA CAUSA DEI FUORI CASTA, DEI TRIBALI E DEI POVERI
MUMBAI. = Il giornalista e attivista cattolico John
Dayal è il nuovo presidente dell’Unione dei cattolici di tutta l’India (AICU),
la maggiore associazione laica cristiana indiana che rappresenta i circa 16
milioni di fedeli del Paese. E’ stato eletto il 19 settembre scorso, succedendo
a Maria Omelia Menezes, la prima donna a ricoprire questo incarico
nell’associazione. Insieme al defunto arcivescovo Alan De Lastic, Dayal,
attualmente anche segretario generale del Consiglio Cristiano di tutta l’India,
ha contribuito a fondare il Forum dei cristiani uniti per i diritti umani, che
per primo ha denunciato la persecuzione dei cristiani da parte dei movimenti
fondamentalisti in Gujarat e altri Stati indiani. Nel suo primo discorso da
presidente, Dayal ha affermato che l’Aicu sosterrà la causa dei dalit (i
fuori-casta dell’abolito sistema castale indiano, n.d.r.), dei tribali e dei
poveri, non solo di quelli cristiani, in collaborazione con i vescovi, le altre
Chiese e con tutte le organizzazioni della società civile impegnate nella
difesa dei diritti umani. “Lotteremo contro la xenofobia e il fondamentalismo”,
ha dichiarato, dicendosi preoccupato per le perduranti violenze e vessazioni
contro la comunità cristiana negli Stati indiani governati dal partito
nazionalista indù “Baratiya Janata Party”. Egli ha, inoltre, espresso
apprezzamento per i passi positivi compiuti dal nuovo governo del premier
Manmohan Singh per contrastare il settarismo e l’intolleranza religiosa in
India, esortando le autorità politiche ed ecclesiastiche a un più incisivo
impegno a favore dei più poveri e dei dalit. (L.Z.)
UNA NUOVA STATUA ORNERA’ A
BREVE L’ESTERNO DELLA BASILICA VATICANA.
SI TRATTA DI SANTA TERESA DELLE ANDE. L’OPERA DELL’ARTISTA
FERNANDEZ COX
E’ UNA DONO DEL CILE PER GIOVANNI PAOLO II
CITTA’ DEL VATICANO. = Dal
prossimo 6 ottobre, l’esterno della Basilica Vaticana sarà ornata con un’altra
statua, quella di Santa Teresa de Jesus de los Andes, una giovane carmelitana
morta nel 1920, la prima cilena ad essere elevata agli onori degli altari.
L’opera, realizzata della scultore cileno Juan Eduardo Fernandez Cox, è stata
plasmata da un blocco di marmo di Carrara. La statua è giunta oggi in un
container, per essere collocata in una nicchia già preparata e restaurata dagli
uomini della Fabbrica di San Pietro. Al suo fianco sinistro si trovano già
altre sante, in particolare le due patrone d’Europa: santa Caterina da Siena e
santa Brigida di Svezia. E un’altra statua arriverà a breve, quella di Edith
Stein, altra patrona d’Europa. La statua di santa Teresa delle Ande è un dono
del Cile al Papa e al Vaticano e nasce da un’iniziativa dell’ambasciatore del
Cile presso la Santa Sede, Maximo Pacheco. L’opera verrà scoperta e benedetta
mercoledì 6 ottobre da Giovanni Paolo II. Per l’occasione saranno presenti, tra
gli altri: il presidente della Conferenza episcopale cilena e presidente del
CELAM, cardinale Francisco Javier Errazuriz Ossa, e il ministro degli Esteri
cileno, Maria Soledad Alvear Valenzuela. Prima della cerimonia di inaugurazione
il segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, celebrerà una Santa
Messa nella cripta della Basilica di San Pietro. La statua di Cox (nato in Cile
65 anni fa) è alta cinque metri e mezzo, compreso il piedistallo, ed è stata
ricavata da un unico blocco di marmo di 60 tonnellate. (B.C.)
RESTA FORTE IL LEGAME TRA L’URBE E LA RELIGIONE.
SECONDO UN SONDAGGIO CONDOTTO DALLA FONDAZIONE ROMA EUROPEA,
OLTRE IL 74 PER CENTO DEI ROMANI SI SENTE VICINO A DIO
ROMA. = Il 74,2 per cento dei romani si sente vicino a Dio.
E’ quanto emerge da un sondaggio presentato ieri nella capitale e realizzato
dalla Fondazione Roma Europea e dall’Istituto Piepoli. Su un campione di 504
intervistati, il 61,4 per cento ritiene che le cose andrebbero peggio nel mondo
se non ci fosse alcuna religione. Il 77 per cento degli intervistati, che si
ritiene cattolico, ha dichiarato, per il 25 per cento, di recarsi a messa una
volta a settimana e di rivolgersi a Dio attraverso la preghiera nel 76,8 per
cento dei casi. Il 54,4 per cento degli intervistati, di età compresa tra i 18
e i 35 anni, invece, afferma di non recarsi mai in luoghi di culto. “Dai dati
emersi – ha commentato Giuseppe De Rita, presidente della Fondazione e del
Censis – Roma risulta una città cattolica, cioè c’è un’identità di pensiero tra
l’essere romani e l’essere cattolici”. (B.C.)
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23 settembre 2004
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
Un gruppo che si definisce “Sostenitori di al Zawahri”, in
un messaggio su un sito web, ha dichiarato che le due operatrici umanitarie,
Simona Pari e Simona Torretta, sono state decapitate per punire – si legge nel
testo – “le atrocità commesse dalle forze italiane contro il popolo iracheno
nella città di Nassiriya”. Nel comunicato viene anticipata, inoltre, la
pubblicazione di un video che confermerebbe la morte delle due italiane. Un secondo
drammatico annuncio è stato diffuso anche da un altro gruppo estremista islamico che ha affermato,
con un messaggio pubblicato questa notte su Internet, di aver ucciso le due
volontarie. Nel documento si afferma che le
due giovani sono state uccise perché il governo del premier Silvio Berlusconi
non ha accolto la richiesta di ritirare i propri soldati dal Paese. Forti dubbi
sull’attendibilità dei due comunicati. Il nostro servizio:
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“Il
governo italiano si è attivato in tutte le direzioni e al momento non è stato
trovato alcun riscontro che confermi queste notizie. Si invita perciò alla
massima cautela e responsabilità”. Con queste parole Palazzo Chigi mantiene prudenza
su entrambi i messaggi che annunciano la morte delle due cittadine italiane. La speranza che quanto pubblicato su internet non sia vero
è anche alimentata da alcune constatazioni: il sito che ospita il primo
messaggio è raramente usato dai gruppi fondamentalisti e nel testo i nomi delle
due volontarie italiane non sono mai citati esplicitamente. “Il moltiplicarsi
dei comunicati – si legge inoltre in una nota di Palazzo Chigi - induce a
pensare che ci si trovi di fronte a un probabile quadro di terrorismo
mediatico”. Per il Consiglio degli Ulema sunniti,
inoltre, Simona Torretta e Simona Pari sono ancora vive e nelle mani di una
banda che non ha niente a che fare con la guerriglia.
Sempre sul fronte ostaggi si deve aggiungere che questa mattina
sono stati sequestrati altri due autisti di cui si ignora, al momento, la
nazionalità. Il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, ha escluso
inoltre qualsiasi possibilità di trattativa con il gruppo che tiene in ostaggio
l’inglese Kenneth Bigley, rapito insieme a due americani uccisi, nei giorni
scorsi, dai sequestratori. Ieri il prigioniero ha lanciato uno straziante appello
al premier Tony Blair in un video accompagnato da un altro drammatico filmato
che documenta l’uccisione del secondo ostaggio statunitense. Sul terreno
l’esercito americano ha sferrato, nella notte, un attacco aereo sulla città di
Samarra provocando la morte di almeno 3 persone. Il primo ministro iracheno
Iyad Allawi ha dichiarato infine, contrariamente a quanto annunciato ieri da un
portavoce del ministero della Giustizia, che l’Iraq non intende rilasciare per
il momento Rihab Taha, esperta di armi biologiche e conosciuta come “Dottoressa
Germe”.
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E gli sviluppi in Iraq
sono seguiti anche al Palazzo di Vetro di New York, dove è in corso la 59.ma
assemblea generale dell’Onu. Proprio le violenze in Iraq, il terrorismo e il
Medio Oriente sono stati i temi discussi nella giornata di ieri. Dal Palazzo di
Vetro, Paolo Mastrolilli:
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A margine dei lavori si sono
incontrati il segretario generale Kofi Annan, il segretario di Stato americano
Colin Powell, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e quello olandese
Ben Bot, in rappresentanza dell’Unione
Europea. E’ stato così ricomposto il quartetto che aveva proposto la Road
Map per rilanciare il processo di pace tra israeliani e palestinesi. Alla
fine del Vertice è stato pubblicato un comunicato pessimista, secondo cui la situazione
sul terreno resta estremamente difficile e non sono stati compiuti progressi.
Il presidente pakistano Musharraf, invece, ha avvertito che una cortina di
ferro sta calando tra il mondo islamico e quello occidentale. Il ministro degli
Esteri italiano, Franco Frattini ha incontrato Powell, i colleghi europei e
quelli del G8, ed oggi interverrà all’Assemblea generale sollevando anche il
problema del Consiglio di Sicurezza. Annan ha nominato una Commissione per
studiare la riforma che a dicembre dovrebbe presentare il suo Rapporto.
Germania e Giappone rivendicano un seggio permanente nel Consiglio e hanno
tenuto un Vertice con India e Brasile, Paesi che ambiscono allo stesso posto
per rilanciare la loro candidatura. L’Italia è contraria a questo progetto
perché va contro i propri interessi nazionali: manca l’obiettivo di aumentare
la partecipazione democratica e allontana l’ipotesi di creare in futuro un
seggio europeo.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Resta
alta la tensione in Medio Oriente. Tre membri di un commando palestinese e tre
militari israeliani hanno perso la vita questa mattina a Morag, nel sud della
striscia di Gaza, nel corso di una aspra battaglia. L’attacco, rivendicato
dalla Jihad islamica e da due gruppi legati a al Fatah, si registra
all’indomani di un attentato suicida compiuto a Gerusalemme da un’adolescente
palestinese, costato la vita a due agenti israeliani. Subito dopo gli scontri,
artificieri dell’esercito israeliano hanno fatto esplodere presso la colonia di
Netzarim, nella Striscia di Gaza, un edificio disabitato, utilizzato in passato
da militanti palestinesi per organizzare attentati. Almeno nove israeliani,
invece, sono rimasti feriti dall’esplo-sione di un razzo palestinese di tipo
Qassam nel centro della cittadina israeliana di Sderot. Il premier palestinese,
Abu Ala, intanto, ha ribadito oggi di essere pronto a incontrare il suo omologo
israeliano, Ariel Sharon, con il cui governo, ha assicurato, “i contatti non si
sono mai interrotti”.
Dopo aver evacuato le loro
posizioni a sud di Beirut, unità militari siriane, hanno riguadagnato oggi
all’alba il territorio siriano. Lo si è appreso dalla polizia libanese. E' la
prima volta da quando, martedì scorso, è iniziato il ridispiegamento delle
truppe di Damasco, che viene segnalato il rientro di soldati e veicoli siriani
in territorio nazionale.
La Turchia adotterà “il più
presto possibile” un nuovo codice penale. Lo ha assicurato il primo ministro
turco Tayyp Recep Erdogan, oggi a Bruxelles per incontri con i vertici
dell’Unione Europea dedicati al possibile ingresso di Ankara al fianco dei
Venticinque. Soltanto la scorsa settimana il Parlamento turco aveva
inaspettatamente deciso di rinviare tale riforma, considerata da Bruxelles come
un requisito essenziale per l’entrata in Europa. Dopo le rassicurazioni di
Erdogan, per il commissario europeo all'allargamento Verheugen non sussistono
più ostacoli per cominciare i negoziati di adesione. Il presidente della
Commissione, Romano Prodi, ha detto che il rapporto sullo stato di avanzamento
delle riforme in Turchia “sarà obbiettivo e equo”. Secondo fonti comunitarie,
nel nuovo Codice penale che il Parlamento turco si appresta ad adottare,
l’adulterio non sarà considerato reato. Ma qual è la questione principale
ancora aperta? Giada Aquilino lo ha chiesto alla professoressa Federiga Bindi,
responsabile dell’ufficio europeo dell’Università di Roma-Tor Vergata:
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R. – C’è innanzitutto da
affrontare e assicurare la questione del rispetto dei diritti umani, che al
momento è stata solo parzialmente risolta.
D. – Qual è la situazione dei
diritti umani in Turchia, secondo l’Unione Europea?
R. – A parte il problema
irrisolto delle minoranze presenti sul territorio, ci sono quelli relativi alle
condizioni di detenzione nelle prigioni, della pena di morte - che è stata sospesa
ma non abolita - dei diritti alle donne. Quindi, la situazione è ancora molto
indietro rispetto ai Paesi dell’Unione Europea.
D. – Quanto è determinante la
riforma del codice penale turco per i rapporti con l’Europa?
R. – Dal punto di vista
specificamente giuridico, non è rilevante. Dal punto di vista politico invece
lo è molto. Perché l’UE ha posto come clausola fondamentale, per l’ingresso in
Europa, quella dei diritti umani. Ed il diritto penale turco, in questo
momento, ancora non rispetta quelle che per noi sono considerate le
salvaguardie minime. Non ci sarebbero quindi le condizioni per entrare se
alcuni principi del diritto penale di Ankara andassero a ledere dei diritti
umani.
D. – Ma perché l’ingresso di
Ankara nell’Unione è importante per l’Europa?
R. – Per assicurarsi che ci sia
un esempio di Paese musulmano democratico, che possa servire da faro al Medio
Oriente. E per limitare in un certo senso le tendenze turche a diventare leader
della regione mediorientale, prendendo magari una deriva autoritaria.
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