RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
258 - Testo della trasmissione di martedì 14 settembre 2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Ennesima strage in Iraq: almeno 47 morti per un’esplosione avvenuta in un affollato mercato del centro di Baghdad
Il Consiglio di difesa del governo israeliano ha approvato il piano per il risarcimento dei coloni che saranno evacuati dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania
Dopo il massacro di Beslan, riforma radicale in Russia dei servizi di sicurezza e delle amministrazioni locali
L’uragano Ivan si è allontanato dalle coste di Cuba ed è diretto verso la penisola messicana dello Yucatan.
14 settembre 2004
IL PAPA RICEVE IL MINISTRO DELL’INTERNO ISRAELIANO AVRAHAM PORAZ.
IL RAPPRESENTANTE DELLO STATO EBRAICO A COLLOQUIO
ANCHE CON IL CARDINALE SODANO, ASSICURA UNA
SODDISFACENTE SOLUZIONE
PER LA
QUESTIONE DEI VISTI D’INGRESSO IN ISRAELE PER I RELIGIOSI CATTOLICI
Giovanni Paolo II ha ricevuto
stamane nel Palazzo Apostolico a Castel Gandolfo il Ministro dell'Interno
d'Israele, Avraham Poraz, accompagnato dall'ambasciatore israeliano presso la
Santa Sede, Oded Ben-Hur.
In
precedenza – come rende noto la Sala Stampa vaticana - il ministro aveva incontrato
il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano e l’arcivescovo Giovanni
Lajolo, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il cardinale Sodano,
“ricordato che le posizioni della Santa Sede sulla pace, sul conflitto
israelo-palestinese e, in generale, sulla situazione in Medio Oriente erano ben
note al governo israeliano” - avendo avuto modo di illustrarle anche
personalmente nel corso delle ultime visite in Vaticano del Capo dello Stato
d'Israele e del ministro degli Esteri – “ha proposto che l'incontro si concentrasse
sulle questioni di competenza del ministro”.
Nel
corso del colloquio si è, dunque, parlato in particolare “del regime dei visti
d'ingresso in Israele per il personale religioso della Chiesa Cattolica”: su
tale questione il Ministro israeliano “ha assicurato di aver dato le istruzioni
necessarie per una soddisfacente soluzione”. E’ stato quindi esaminato anche
“lo stato di avanzamento delle trattative, in corso a Gerusalemme, per la
realizzazione di un accordo che definisca il regime fiscale delle istituzioni
ecclesiastiche in Israele”. Nel corso dell’incontro si è fatto riferimento al Fundamental
Agreement del 1993 e al Legal Personality Agreement del 1997.
“SIATE
TESTIMONI DELLA MISERICORDIA DI DIO IN OGNI SITUAZIONE”:
COSI’
IL PAPA NEL MESSAGGIO PER IL III CENTENARIO DI FONDAZIONE
DELLA
CONGREGAZIONE DEL DIVINO AMORE
- A
cura di Sergio Centofanti -
“Siate testimoni della
misericordia di Dio in ogni situazione”. E’ quanto scrive Giovanni Paolo II in
un messaggio in occasione del III centenario della Congregazione del Divino
Amore, fondata il 13 settembre 1705 dal cardinale Marco Antonio Barbarigo.
Giovanni Paolo II invita in
particolare le religiose a coltivare “lo spirito di accoglienza”, aprendosi “ai
bisogni degli altri per diffondere il buon profumo della carità e contribuire
all’attuarsi di quella ‘Divina storia per amore’ a cui amava far riferimento il
Fondatore” dell’Istituto. Il cardinale Barbarigo – scrive il Papa – già tre
secoli fa era impegnato “nella promozione sociale della donna”. Così le Suore del Divino Amore sono chiamate
anche “oggi ad aiutare le donne in difficoltà a riscoprire la loro dignità
secondo il progetto di Dio e la loro vocazione all’amore. Riconoscere il giusto
ruolo della donna nella società – ha aggiunto il Papa – contribuisce a tutelare
i valori della famiglia, della vita e della pace”. “Non cessate ha concluso
Giovanni Paolo II - di promuovere
un’autentica spiritualità di comunione, che tragga ispirazione e sostegno dal
mistero sublime della SS. Trinità. A quella Fonte divina attingete il calore
della carità che siete chiamate a trasmettere attraverso le varie attività … di
catechesi, di formazione negli oratori giovanili, nelle scuole professionali …
di assistenza nelle case-famiglia per donne sole con figli e nei centri di accoglienza
e ascolto per persone deboli ed emarginate”. Le Suore del Divino Amore sono
oltre 120 con 16 case.
L’IMPERATIVO PER OGNI
CREDENTE DI PARLARE OVUNQUE DI CRISTO,
RACCOGLIENDO LA SFIDA SENZA SCORAGGIARSI,
IN UN MONDO CHE MANIFESTA UNA GRAVE CRISI DI SENSO
- Intervista con Mario
Marazziti -
Parlare di Cristo in ogni ambiente e circostanza: “un dovere che nessun
credente può ignorare” : lo ha ribadito ieri Giovanni Paolo II, ricevendo i
vescovi neozelandesi. Il Papa sprona ad uscire dall’intimismo e da una fede
vissuta soltanto all’interno della propria comunità, questo per contrastare la
“crisi di senso” che sembra permeare il mondo, mondo che ha urgente “bisogno –
ha sottolineato il Santo Padre - del messaggio liberante di Cristo”. Allora
come raccogliere concretamente questo appello, pensando anche all’attualità
internazionale che sconcerta e spaventa. Roberta Gisotti lo ha chiesto al dott.
Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.
**********
R. –
E’ un invito a fare del Vangelo il pilastro della propria vita. Quindi non solo
le parole del Vangelo, ma l’essenza e l’essenza del Vangelo è il rapporto con
Gesù, il rapporto anche con Gesù debole, amico dei poveri, Gesù disarmato, Gesù
che vive senza nemici in un mondo dove la paura oggi sembra dominante e dove la
tentazione di creare dei nemici e di vedere ovunque delle persone di cui
diffidare, di fare di persone che non si conoscono dei capri espiatori è una
forte tentazione.
D. -
Giovanni Paolo II denuncia una società permeata da un esagerato indivi-dualismo,
che sta sperimentando le tragiche conseguenze dell’eclissi del senso di Dio.
Difficile però non scoraggiarsi rispetto all’ondata montante di negatività…..
R. –
Io non credo che per i cristiani e per un cristiano come Giovanni Paolo II il
problema sia scoraggiarsi o non scoraggiarsi. Non è il problema della sfida tra
pessimismo ed ottimismo, tra illusione e disillusione. Quello a cui chiama Giovanni
Paolo II – e non certo da oggi – è vivere un cristianesimo adulto, un
cristianesimo che si assume con forza la responsabilità di questo tempo. Ogni
generazione ha avuto le sue difficoltà nel vivere il proprio tempo e nel
convertire se stessa e se stessi proprio alla speranza, all’amore, alla
comprensione dell’altro che c’è nel Vangelo. Giovanni Paolo II, che ha sempre
avuto a cuore il problema di come essere cristiani anche nel mondo occidentale
ed anche in un mondo del benessere, richiama oggi al senso e non ai surrogati.
Questa è la sfida di sempre, è la sfida di essere santi, è la sfida di essere
vicini a Gesù, è la sfida a non accontentarsi meno che di assomigliare un po’
più a Gesù e alla sua misericordia.
D. -
Il Papa stigmatizza infine “una visione della vita che cerca il piacere e il
successo piuttosto che il bene e la saggezza”, che aggiungiamo noi viene
accreditata con enfasi da massima parte dei media….
R. – I modelli dominanti, non
c’è dubbio, sono i modelli che enfatizzano forza, potere, successo, denaro e
consumo. Noi viviamo immersi dentro questo modello ed è inutile nascondercelo.
Il problema è non esserne schiacciati: rimettere al centro la preghiera, che
significa costruire ogni giorno un rapporto personale con Gesù. Io credo che in
questo modo i cristiani possano essere cristiani critici e cristiani seri che
si pongono, con simpatia, i problemi del mondo, senza essere per questo disperati.
**********
I SONETTI E LE BALLATE DI KAROL WOJTYLA, COMPOSTI
ALLA VIGILIA DELLA GUERRA,
RACCOLTI E PUBBLICATI IN ITALIANO
NELL’ANTOLOGIA “LE POESIE GIOVANILI”,
CURATA DA MARTA BURGHARDT, DOCENTE ALLA LUMSA
- Servizio di Alessandro De Carolis -
E’ da oggi in libreria una nuova
produzione letteraria di Giovanni Paolo II. Si tratta delle sue “Poesie
giovanili”, raccolte nel volume omonimo pubblicato dalla Edizioni Studium, in
collaborazione con la Lumsa, la Libera Università Maria SS. Assunta. L’antologia è stata curata e tradotta per la
prima volta in italiano dalla prof.ssa Marta Burghardt, docente di linguistica
alla Lumsa, dopo anni di ricerche e di studi, allo scopo - si legge
nell’Introduzione – di “ricostruire il contenuto e il pensiero di Karol
Wojtyla”. Sul contenuto del libro, che presenta di ogni componimento il testo
polacco a fronte, ascoltiamo il servizio di Alessandro De Carolis.
**********
Un “trovatore slavo”, appena ventenne, con le mani da operaio sporche
della polvere della cava di pietra dove lavora, e l’ingegno fertile che sa
comporre versi densi di spiritualità e di amore per il proprio Paese, la
Polonia, attesa di lì a poco, con l’invasione dell’esercito tedesco, dalla
stagione della paura e del sangue. Nascono a Cracovia, tra la primavera e
l’estate del 1939, la maggior parte delle “Poesie giovanili” di Karol Wojtyla,
finora – tranne qualche rara eccezione – sconosciute al pubblico italiano. Nel
volume, corredato dall’epistolario dell’epoca, in più parti il giovane autore
fa la sua dichiarazione d’intenti artistica. Con un spirito che rivista in
chiave romantica i palpiti patriottici che lo pervadono davanti al profilarsi
degli scenari di guerra, Karol Wojtyla ha ben chiaro il ruolo del Poeta, che
sente il suo ruolo, talento personale e insieme dono divino: “Io non sono un cavaliere
della spada, ma come artista vorrei costruire il Suo teatro e la poesia, con
l’entusiasmo e l’estasi, con tutta la mia anima slava, con tutto il mio zelo e
l’amore”, scrive in una lettera a Mieczysław Kotlarczyk, suo professore ai
tempi del ginnasio.
In questa frase ci sono tutti gli elementi che verranno distillati dalla
voce interiore, dalle rime e dalle cadenze dei suoi 17 Sonetti, delle ballate
dallo stile classicheggiante, dove senso epico e vigore spirituale celebrano
fasti e drammi del passato polacco, nei quali si coglie in filigrana il dolore
per gli ultimi eventi bellici, ma anche la speranza. Quali sono dunque le caratteristiche
di questi versi rimasti nascosti per 50 anni, ritenuti in un primo tempo dallo
stesso autore “artisticamente immaturi”? Il parere del prof. Paolo Martino,
docente di Glottologia e Linguistica alla Lumsa:
R. – Dal punto di vista letterario si inseriscono nel clima letterario
dell’epoca. C’è una forma di simbolismo ed ermetismo e proprio per questo sono
di difficile lettura. Sono dei versi densi, nei quali si mescola una
ispirazione cristiana con uno spirito slavo. E’ la “slavia” con tutta la sua
tradizione culturale che viene rivissuta alla luce di questa prospettiva
cristiana. In più si aggiunge come tematica di fondo la classicità, la
classicità greco-latina. Lo splendore del mondo classico rivive, trasformato,
in queste poesie.
Non è questa la sede per un’analisi approfondita dell’opera poetica del
giovane Karol Wojtyla. Una cosa colpisce però leggendo i suoi versi, che i suoi
contemporanei giudicarono poco comprensibili: un limpido senso di premonizione.
Il giovane operaio e studente, in modo imponderabile, presagisce qualcosa del
futuro che l’attende. O meglio, i presentimenti contenuti nei suoi versi - come
si legge nell’antologia - “si realizzano pienamente nella persona che li ha
scritti”. Come dimostra questo passaggio, tratto dal “Convivio”, quando il
poeta dialoga con l’Onnipotente:
“Vorrei attraverso maggesi portare la Tua eredità paterna,
che questa voce sia accolta dappertutto fra le genti!”
O, in modo ancor più netto, nell’incipit del Sonetto 14.mo, quando
l’autore contempla il volo libero di un pellicano:
“[…] Occorre un’anima così, che getti ai piedi sofferenti che prenda il
calice [del Vino
e vada a dissetare coloro che anelano al Pane e al Sangue del Signore.
Occorre un’anima così, che getti ai piedi sofferenti dei neri crocifissi
dei
[martiri il bocciolo della fiaccola,
che confessi il dolore del mondo, districhi il peso della disgrazia
e allunghi la mano verso l’Amore dalle mani crocifisse […]”
Quell’anima si forgia già da quelle metriche e si prepara al destino
straordinario che ancora non conosce. Lo fa mai con pessimismo, ma con la
fiducia riposta in alto, che le permette di “vedere”, oltre l’orizzonte scuro
del suo tempo, una strada di pace:
“So che il secolo richiede spirito di contraddizione e volontà,
per poter fiorire nell’arbusto, nell’Amore e nella Libertà,
so che richiede dei canti che calmino il dolore,
e intreccino una ghirlanda di fiordaliso – melodia mite
(Convivio,
vv. 101-104)
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Il
Santo Padre ha ricevuto oggi a Castel Gandolfo alcuni presuli della Conferenza
Episcopale del Pacifico, in visita "ad Limina”.
Sempre oggi il Papa ha nominato
arcivescovo metropolita di Sassari mons.
Paolo Mario Virgilio Atzei, dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali, finora vescovo di Tempio-Ampurias. Mons.
Atzei è nato a Mantova il 21 febbraio 1942 ed è stato ordinato sacerdote
il 18 dicembre 1966. Dal 1985 al 1993
ha esercitato l’ufficio di ministro provinciale dei Frati Minori Conventuali in
Sardegna. È stato assistente di Azione Cattolica e membro della segreteria del
Concilio Plenario Sardo. Ha ricevuto la
consacrazione episcopale il 28 marzo 1993. Dal
1995 è membro della Commissione Episcopale della CEI per il clero e la vita consacrata.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l'Iraq: a Baghdad, causata da un'autobomba, si è consumata un'altra
strage.
Nelle
vaticane, il messaggio di Giovanni Paolo II alla Superiora generale delle Suore
del Divino Amore, in occasione del terzo centenario di fondazione.
Una
pagina, a cura di Giampaolo Mattei, ad un mese dalla visita di Giovanni Paolo
II a Lourdes.
Nelle
estere, Russia: Beslan straziata riapre le sue scuole; faticoso sforzo di
superare l'orrore e di riaffermare i diritti della normalità.
Nella
pagina culturale, un articolo di Giovanni Velocci sul primo volume dell'epistolario
di sant'Alfonso M. de Liguori.
Nell'"Osservatore
libri" un approfondito contributo di Marco Testi in merito al volume
"Il pellegrino appassionato" di Paolo Italia che offre un ritratto
letterario dell'artista Alberto Savinio.
Nelle
pagine italiane, volontarie rapite in Iraq: si spera nella diplomazia; altri significativi
appelli dal mondo musulmano.
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14
settembre 2004
OGGI 14 SETTEMBRE, LA CHIESA
CELEBRA LA FESTA
DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE
- Intervista
con padre Tito Zecca -
Oggi, 14 settembre, la Chiesa
celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Giovanni Peduto ne ha
parlato con il sacerdote passionista, padre Tito Zecca, professore di teologia
spirituale alla Lateranense. Il carisma dei Padri Passionisti, fondati da San
Paolo della Croce, è per l’appunto incentrato sulla mistica della Croce. Ma
come e quando è nata questa festa?
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R. – Questa festa è nata dopo la
scoperta della Santa Croce, fatta da Sant’Elena nei pressi del Monte Calvario a
Gerusalemme. Questo rinvenimento fu un segno di gioia per tutta la cristianità
e da allora questa scoperta è stata vista, sentita avvertita, celebrata come
una Pasqua.
D. – Nella società odierna è una
festa che si comprende sempre meno…
R. - Purtroppo sì, perché la
Croce in genere non viene molto compresa. Basti pensare al dibattito sul tenere
o no il crocifisso nelle aule pubbliche, nei tribunali, nelle scuole. Però,
paradossalmente, queste discussioni di tipo giuridico fanno anche capire che la
nostra civiltà è basata sulla Croce di Cristo.
D. – Cosa si può dire per farla
capire di più?
R. – Prima di tutto la buona
testimonianza che la Croce è albero di vita ed è manifestazione dell’amore di
Dio. Non è qualche cosa di “orrorifico”
da imporre agli altri, ma Dio ha tanto amato il mondo dare il suo Figlio
unigenito e ce lo ha dato sulla Croce.
D. – Cosa vuol dire Gesù quando
ci invita a portare la nostra croce ogni giorno?
R. – Significa vivere la sua
volontà, realizzare per noi quello che Lui stesso ha compiuto: fare la volontà
di Dio e quindi salvarci redimendo noi stessi e il mondo. Questo significa
portare la propria croce.
D. – Il cristiano è chiamato ad
una testimonianza gioiosa del Vangelo. C’è a volte il rischio di una fede
cosiddetta dolorista?
R. – Forse in passato molto di
più, adesso un po’ di meno perché realmente la comprensione della
manifestazione amorosa di Dio attraverso la Croce non è più vista in modo doloristico.
Del resto lo diceva anche Sant’Ambrogio: noi facciamo il segno della Croce
sulla nostra fronte, sul nostro cuore, sulle nostre spalle. Sulla nostra fronte
perché dobbiamo sempre confessare Gesù Cristo, sul nostro cuore perché dobbiamo
sempre amarlo, sulle nostre spalle perché dobbiamo sempre lavorare per Lui.
Quindi il lavoro se comporta anche fatica, sofferenza ben venga, ma il tutto è
sempre illuminato e sostenuto dall’amore.
D. – Padre Tito, vuol dirci
qualcosa sulla sua esperienza personale della Croce?
R. – La mia esperienza personale
è portare me stesso, accettare me stesso, accettandomi così come sono,
proiettandomi nel miglioramento, nel crescere verso l’amore di Dio. Significa
questo portare la mia croce attraverso le sofferenze fisiche, le incomprensioni,
la fatica di ogni giorno, il rischio dell’apostolato, tutto quello che comporta
una vita sacerdotale di testimonianza. La mia croce la porto insieme con Gesù,
ma è Lui che sostiene la mia.
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COLOMBIA: RINVIATA AD OGGI LA GRANDE
MARCIA DEGLI INDIOS
PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI
- Intervista con Francesco Martone -
La presenza
dei paramilitari di destra lungo i 100 chilometri del percorso della Carretera
Panamericana, da Santander de Quilichao a Cali, ha fatto rinviare ad oggi la
grande marcia degli indios che vivono nella valle del Cauca, prevista ieri in
Colombia. Le comunità indigene chiedono la difesa dell’autonomia territoriale
ed il rispetto dei diritti umani. Forte anche la protesta contro la politica
neoliberista del presidente Uribe. Quali altri motivi dietro questa iniziativa
popolare? Giancarlo La Vella al parlamentare italiano Francesco Martone,
segretario della Commissione Diritti Umani del Senato:
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R. - Leggendo l’appello per la marcia è evidente un punto,
e cioè che i movimenti indigeni hanno aperto una coalizione più allargata con
gli altri movimenti sociali e contadini. Quindi, anzitutto c’è un allargamento
della base politica. Questo è un elemento molto importante, poiché oggi i
popoli indigeni sono altrettanto vulnerabili che le altre popolazioni
contadine, schiacciate da una parte dalla scelta di guerra totale del governo
Uribe, dall’altra dall’attività dei paramilitari e della guerriglia. Nello
stesso appello della marcia si fa riferimento non soltanto al governo Uribe,
che sta anche rivedendo la Costituzione del ’91 in termini peggiorativi per
quanto riguarda i diritti dei popoli indigeni, ma si fa anche appello alle
forze della guerriglia, perché vengano rispettati l’integrità fisica dei popoli
indigeni, il loro territorio, e venga eseguito anche il diritto umanitario per
quanto riguarda le operazioni militari.
D. –
Di fatto c’è il rischio che questa iniziativa degli indios venga poi osteggiata
anche violentemente dalle altre forze politiche del Paese?
R. –
Certo, continuano a sussistere tutta una serie di rischi, di tensioni e di
conflitti a livello locale, che certamente dimostrano non soltanto
l’inefficacia politica, ma anche il contrasto che la politica di Uribe ha nei
confronti dei diritti umani delle popolazioni locali.
D. –
Senatore Martone, la Colombia è uno dei Paesi più violenti al mondo. Come
fare secondo lei per riprendere in qualche modo la via del dialogo, se non
addirittura della pacificazione?
R. – Anzitutto, seguire una
linea politica. Il governo precedente, Pastrana, aveva cercato di creare
un’apertura diplomatica e di interlocuzione. Linea, questa, prontamente rinnegata
poi dal governo Uribe. Secondo, poi, cercare di tutelare e proteggere le classi
più vulnerabili, ma soprattutto avviare all’interno dei Paesi un processo di riconciliazione
che non può passare che attraverso la ricerca della verità, il risarcimento dei
danni provocati da questi 40 anni di conflitto, e che può essere senz’altro
appoggiato anche dalla comunità internazionale. Purtroppo oggi la linea scelta
da Uribe, sotto la falsa spoglia della guerra al narcotraffico, della lotta al
terrorismo, di fatto allontana questa ipotesi di soluzione negoziale,
diplomatica e non violenta.
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14
settembre 2004
IL
RWANDA HA BISOGNO DI TEMPO PER COSTRUIRE UN VERO FUTURO DI PACE.
COSI’
IL VESCOVO DI NYUNDO, PARLANDO DELL’IMPEGNO DELLA CHIESA
NEL
PROCESSO DI RICONCILIAZIONE
KIGALI. = “La riconciliazione
nazionale è una sfida per tutti i rwandesi e la Chiesa offre il suo
contributo”. E’ ha quanto ha dichiarato all’agenzia Fides mons. Alexis
Habiyambere, vescovo di Nyundo e presidente della Conferenza Episcopale
rwandese. A 10 anni dal genocidio che ha provocato almeno 1 milione di vittime,
il Paese africano sogna, dunque, un futuro di pace. “Dieci anni sono ancora troppo
pochi per una piena riconciliazione e una vera ricostruzione del tessuto
sociale – ha sottolineato il presule – ma questo non ci scoraggia e anzi ci sprona
ad agire per la pace”. “Bisogna essere pazienti – ha aggiunto – e dare tempo al
tempo, pensando al futuro delle nuove generazioni”. In questo processo di
normalizzazione, la Chiesa cattolica ritiene un impegno fondamentale,
attraverso molteplici attività, superare le divisioni che hanno portato al
crimine del genocidio. “Esiste poi – ha concluso il presidente della Conferenza
Episcopale del Rwanda - la dimensione regionale del nostro impegno di pace. I
vescovi di Rwanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, infatti, si
riuniscono regolarmente nell’ambito dell’Associazione delle Conferenze
Episcopali dell’Africa Centrale (Aceac) e offrono il contributo della Chiesa
per risolvere i conflitti che affliggono la regione dei Grandi Laghi”. (B.C.)
LE AUTORITA’ NON
NASCONDANO LA VERITA’ SULLA PILLOLA ABORTIVA.
I VESCOVI MESSICANI
ESPRIMONO VIVA PREOCCUPAZIONE
PER LA DISTRIBUZIONE
LIBERA DEL FARMACO IN TUTTE LE FARMACIE DEL PAESE
CITTA’ DEL MESSICO. = I vescovi messicani chiedono
alle autorità di informare la popolazione sulle controindicazioni della pillola
abortiva, dopo la concessione della libera distribuzione in tutte le farmacie
del Paese. “Di fronte ad una società che offre ampio spazio al pluralismo delle
idee – spiega il vescovo di Matehuala e presidente della Commissione episcopale
per la pastorale familiare, mons. Rodrigo Aguilar Martínez – si perde il senso
della verità. Ne è testimonianza il fatto che non c’è informazione sugli
effetti negativi che genera il farmaco”. “Tenuto conto delle indagini
scientifiche, in particolare quelle che indicano le pericolosità della pillola
– aggiunge il presule – non si spiega perché non vengano comunicati alla
cittadinanza i rischi che si incorrono in caso di assunzione e si nasconda la
verità”. “E’ un dialogo tra sordi e le istituzioni si rifiutano di rendere
pubblici i risultati della scienza, secondo cui l’anticoncezionale di emergenza
è abortivo e pericoloso”: evidenzia mons. Aguilar. Poi un appello ai giovani:
“Promuovete la nobiltà della sessualità, intesa come frutto dell’amore
all’interno del matrimonio” e una conferma: “La Chiesa cattolica rimarrà sulle
sue posizioni e non cambierà idea sulla pillola del giorno dopo”. Il vescovo di
Aguascalientes, mons. Ramón Godínez Flores, segnala, infine, che “proseguirà il
confronto con i vertici della sanità per evitare la commercializzazione del
contraccettivo”. “Per due ragioni – specifica – la prima perché mina l’unità
familiare e la seconda perché provoca la morte dei nascituri”. (D.D.)
CONFERENZA STAMPA QUESTA MATTINA DELL’ARCIVESCOVO DI
BOLOGNA,
A MARGINE DELL’INCONTRO ANNUALE DEI SACERDOTI.
NELL’OCCASIONE L’ARCIVESCOVO CAFFARRA HA ANNUNCIATO,
PER VENERDI’
IN CATTEDRALE, UN MOMENTO DI PREGHIERA
CON GLI STUDENTI DELLA
CITTA’ PER I BAMBINI MORTI IN OSSEZIA
- A cura di Stefano
Andrini -
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BOLOGNA. =
Orientare il ministero pastorale alla ri–generazione del soggetto cristiano. È
questa la finalità della prima nota di mons. Carlo Caffarra, arcivescovo di
Bologna, presentata alla tre-giorni del clero. “L’atteggiamento fondamentale che intendiamo dare al nostro ministero
– ricorda l’arcivescovo nel documento – è anche la risposta ad una sfida
culturale senza precedenti: prendersi cura di ciò che di più prezioso esiste in
questo universo – la persona umana – dentro ad una cultura che largamente ha
smarrito la consapevolezza di questa dignità. Mons. Caffarra indica poi i tre
principali luoghi dove la rigenerazione del soggetto cristiano deve avvenire:
la famiglia, la parrocchia, la scuola. “Esiste in molte famiglie, osserva, una
sorta di ‘scoraggiamento’: educare oggi non è difficile, sta diventando impossibile,
sembrano pensare molti genitori. Per questo, è necessario rifondare il patto
educativo con la Chiesa”. “Penso alla parrocchia – afferma mons. Caffarra –
come al luogo in cui è stato dato all’uomo e alla donna di essere reintegrati,
ricollocati dentro ad una esperienza di comunione, di affezione vera”. Che è
poi il significato più profondo dell’espressione che la parrocchia è una comunità.
Per quanto riguarda la scuola, c’è una diffusa “domanda educativa”, dalla cui
risposta la scuola non può sentirsi estranea. In questo contesto, aggiunge
l’arcivescovo, la “neutralità” della comunità cristiana nei confronti del sistema
scolastico sarebbe un errore imperdonabile. Un esempio: l’insegnamento della religione
cattolica che deve diventare sempre di più la comunicazione di una dimensione
costituiva dell’identità del nostro popolo, perché lo è della nostra cultura.
Ma l’interesse nei confronti dell’istituzione scolastica statale da parte della
comunità cristiana non può fermarsi qui: deve realizzarsi, conclude
l’arcivescovo, come una corresponsabilità nella proposta educativa, secondo una
autentica concezione di laicità, la quale consente che nella scuola dello Stato
anche l’ipotesi educativa cristiana, al pari di altre, sia ugualmente libera di
proporsi.
**********
NELLE FILIPPINE COMPIE 20 ANNI SILSILAH,
UN MOVIMENTO CHE OPERA ASSIDUAMENTE
NEL DIALOGO TRA LE PERSONE DI DIVERSA CONFESSIONE
RELIGIOSA.
SIGNIFICATIVE ANCHE LE INIZIATIVE PER I GIOVANI
MANILA.
= Buon compleanno Silsilah. Ha compiuto 20 anni, infatti, uno dei più importanti
movimenti per la pace delle Filippine, che promuove una più profonda conoscenza
e migliori rapporti tra persone di credo diverso. Secondo la parola araba che
significa “catena”, esso unisce varie popolazioni del Paese ed è
un’organizzazione che concretamente prepara il terreno per trovare la via della
pace a Mindanao. All’inizio, ricorda al microfono di Asianwes il fondatore,
padre Sebastiano D’Ambra del PIME, “era il mio modo di condividere l’esperienza
di dialogo e di pace con i miei amici cristiani e musulmani. Ciò richiedeva
coraggio, determinazione, fede e speranza”. Il primo seme del movimento, in realtà,
è stato piantato nel 1977, quando padre D’Ambra fu inviato in missione a
Siocon, in Zamboanga del Norte, a Mindanao. “E’ stato lì – sottolinea che ho
sperimentato il conflitto e la divisione tra musulmani e cristiani. E’ stato lì
che è nato nel mio cuore il grande desiderio di divenire un ponte di pace”. Il
momento più difficile nella vita di Silsilah fu il 20 maggio 1992, quando padre
Salvatore Carzedda, cofondatore del movimento, fu ucciso. Per padre D’ambra,
comunque, il lavoro doveva andare avanti: “gli ostacoli nella vita sono sempre
occasione per rafforzare l’impegno, la convinzione e la missione”. Dopo venti
anni i membri di Silsilah sono diverse centinaia. Silsilah ha anche contribuito
a istituire una comunità di donne cristiane, laiche, fondata nel 1987 a Zamboanga
City, che vive un carisma basato sulle beatitudini e una spiritualità di ‘vita
nel dialogo’. Con i giovani ha dato vita al “Media for Dialogue and Peace”.
(B.C.)
10.000
MORTI AL MESE NEI CAMPI PROFUGHI DEL DARFUR:
LO
RIFERIESCE L’ULTIMO STUDIO DELL’OMS
SULLA
SITUAZIONE NELLA TORMENTATA REGIONE SUDANESE.
I
BAMBINI I PRIMI A PAGARE LE CONSEGUENZE DI QUESTA DRAMMATICA REALTA’
GINEVRA.
= Nei campi di raccolta di profughi della tormentata regione sudanese del Darfur,
nonostante gli aiuti internazionali, muoiono fino a diecimila persone al mese,
molte delle quali bambini, a causa di malattie o per violenze umane. E’ quanto
riferisce uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
pubblicato ieri a Ginevra. Ogni mese tra 6.000 e 10.000 persone continuano a
morire nel Darfur, mentre il tasso “normale” di mortalità per una popolazione
di una regione povera dell’Africa è di circa 1500 al mese. Oltre alla diarrea,
i decessi sono causati da febbre, polmonite, violenza e ferite. “I risultati di
questa inchiesta – ha affermato David Tabarro dell’Oms – sono fonte di grave
preoccupazione e di tristezza per noi. Sono molto alti, sono tassi che si
registrano nel corso di una grave crisi umanitaria. Dobbiamo fare di più”. I
dati sono frutti di un’inchiesta condotta dall’Oms tra metà giugno e metà
agosto, presso circa 9 mila persone. I risultati, tuttavia, non sono completi.
A causa dell’insicurezza nella regione, infatti, gli esperti dell’Oms non hanno
potuto recarsi ovunque. (B.C.)
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14 settembre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Ancora una
strage in Iraq: una forte esplosione ha scosso, stamani, il centro di Baghdad.
Secondo il ministero della Sanità iracheno la deflagrazione ha causato la morte
di almeno 47 persone. Su questo ennesimo episodio di violenza ci riferisce
Amedeo Lomonaco:
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L’esplosione
ha investito un affollato mercato e aveva come obiettivo un vicino commissariato
di polizia, utilizzato come centro di arruolamento. L’attentato è avvenuto nella
centrale zona di Haifa Street, già teatro domenica scorsa di furiosi
combattimenti tra soldati americani e guerriglieri. Resta ancora da chiarire se
la deflagrazione sia stata provocata da un’autobomba o da un colpo di mortaio.
Baghdad è stata anche teatro, poco fa, di una nuova esplosione ma su questo episodio,
al momento, non ci sono ulteriori informazioni. In Iraq, dove uomini armati
hanno ucciso tredici poliziotti in un attacco compiuto a Baquba, il drammatico
capitolo relativo ai sequestri si arricchisce, intanto, di rilevanti sviluppi. Sul rapimento di Simona Pari e di Simona Torretta e di due volontari
iracheni, il ministro italiano degli Esteri Franco Frattini, che oggi è
arrivato ad Abu Dhabi per proseguire la propria missione diplomatica nel Golfo
Persico, ha detto di aver “ricevuto un importante contributo informativo sulla
vicenda”. L'Australia ha attivato, inoltre, un piano approvato dal Comitato di
sicurezza nazionale, per affrontare il presunto sequestro di due cittadini
australiani rapiti, secondo quanto riferito ieri da un’organizzazione islamica,
insieme a due asiatici a nord di Baghdad. Agghiaccianti immagini sono state poi
pubblicate su un sito internet dove è stato diffuso il drammatico video
dell’uccisione di un camionista turco assassinato lo scorso mese di agosto. Ed
in seguito alla sempre più intricata situazione dei due giornalisti francesi
tenuti in ostaggio nel Paese arabo dal sedicente ‘Esercito islamico’, sono
state annullate le previste visite del presidente iracheno, Al Yawar, a
Strasburgo al Parlamento europeo e a Parigi. Un portavoce del ministero degli
Esteri di Ottawa ha annunciato che è stato liberato un reporter canadese, preso
in ostaggio cinque giorni fa da un gruppo di estremisti islamici. La Turchia,
infine, si è dichiarata pronta a cessare la collaborazione con gli Stati Uniti
se le truppe americane non fermeranno gli attacchi contro la città irachena di
Tal Afar, a maggioranza turcomanna.
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E della
situazione in Iraq ieri si è parlato anche a Madrid, nel vertice tra il premier
spagnolo Rodriguez Zapatero, il presidente francese Jacques Chirac ed il cancelliere
tedesco Gerhard Schroeder. I tre leader hanno sottolineato che è nata
“un’Europa nuova”. Da Madrid, il servizio di Monica Uriel:
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Zapatero ha rotto così
l’alleanza di Madrid con gli Stati Uniti durante gli otto anni di governo
Aznar. La nuova politica di Zapatero, ha detto Jacques Chirac,
permette alla Spagna di tornare nel cuore delle decisioni politiche europee.
Senza il governo socialista spagnolo – ha sottolineato Gerard Schroeder – non
si sarebbe giunti alla decisione sulla Costituzione europea. Il vertice della
Moncloa verte sul cambiamento della politica estera spagnola, avvenuto con la
vittoria di Zapatero, il quale, appena arrivato alla Moncloa, ordinò il ritiro
delle truppe dall’Iraq. Adesso i tre Paesi hanno posizioni sull’Iraq quasi allineate.
Chirac ha detto che “l’Iraq è ormai un vaso di Pandora che non riusciamo a chiudere”.
Sul terrorismo tutti e tre hanno ammesso che è una minaccia globale che non risparmia
nessuno e che solo la solidarietà e la cooperazione internazionale possono permettere
di affrontarlo. Madrid, Parigi, Berlino sono d’accordo anche su una rapida
ratifica della Costituzione europea. “Avete davanti a voi tre europeisti
ferventi”, ha detto Zapatero.
Da Madrid, Monica Uriel.
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Due
razzi hanno colpito la base delle forze di sicurezza pachistane a Wana, nel Sud
Waziristan, uccidendo un soldato e ferendone altri 3. Lo riferiscono fonti anonime
dell’intelligence di Islamabad. Negli ultimi giorni la regione, che è al confine
con l’Afghanistan, è stata teatro di violenti scontri tra le autorità pakistane
e miliziani islamici legati ad Al Qaeda.
In Medio Oriente, il Consiglio di difesa del governo
israeliano ha approvato, stamani, il piano per il risarcimento dei coloni che
saranno evacuati dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania settentrionale.
Dopo l’odierna decisione, il piano sarà sottoposto al voto , il prossimo mese,
del Consiglio dei Ministri e il 3 novembre del Parlamento. Il premier dello
Stato ebraico Ariel Sharon ha intanto dichiarato, in un’intervista rilasciata
al quotidiano israeliano ‘Yediot Aharonot’, che “il presidente palestinese
Yasser Arafat verrà espulso dai Territori”.
Dopo l’ondata terroristica culminata nella strage di Beslan, il
presidente russo Putin rafforza i propri poteri. Le riforme annunciate ieri –
che prevedono la nomina di un inviato per il Caucaso del nord e la designazione
di tutti i leader delle 89 amministrazioni locali – hanno provocato un’accesa
discussione, e lo stesso Gorbaciov, ex capo del Cremlino, le ha definite
“incostituzionali”. Su questa “ricostruzione radicale”, come lo stesso Putin
l’ha definita, Andrea Sarubbi ha raccolto il commento di Sergio Canciani, corrispondente
del Tg1 a Mosca:
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R. – Si potrebbe dire, a prima
vista, che se questo si realizzasse potrebbe portare la Russia a quel sistema
che viene definito “democratura”, cioè democrazia non compiuta con un tocco
ancora di dittatura. C’è il timore di una specie di autogolpe. Una nuova Costituzione
che limiti, soprattutto, non tanto i diritti dei singoli quanto i diritti delle
realtà locali e della cosiddetta società civile. C’è anche da dire, però, che
se Putin vuole una riforma della Costituzione, gli alleati del suo partito alla
Duma raggiungono i due terzi dei voti necessari e cioè la maggioranza assoluta.
D. – Tu credi che questo
accentramento di poteri da parte di Putin possa aiutarlo veramente a risolvere
il problema della Cecenia?
R. – Putin è già molto potente e
può manovrare molte cose e sono diversi i timoni che può tenere in mano, da
solo, con la sua autorevolezza sia di capo di Stato, sia di comandante supremo
delle forze armate. E’ anche forte del sostegno dell’opinione pubblica. Che
possa poi arrivare ad una normalizzazione della Cecenia in tempi brevi, questo
è discutibile. Ha tentato già tante volte e non c’è mai riuscito, nonostante
abbia fatto eleggere suoi uomini nella repubblica caucasica. Il problema è che
in Cecenia si combattono anche guerre tribali. Ci sono conflitti aperti tra
criminali comuni e tra gente molto corrotta. La corruzione è un altro problema
che Putin dovrà risolvere.
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In
Giappone un uomo, che nel 2001 ha ucciso otto alunni di una scuola elementare è
stato impiccato. Con lui un altro detenuto, anch’egli condannato a morte, ha
subito la stessa sorte. L’ultima
impiccagione, nel Paese asiatico, risale al 12 settembre 2003. La pena di
morte, secondo i sondaggi di opinione commissionati dal governo, riceve i
consensi dell’80 per cento della popolazione, ma negli ultimi anni il numero
dei favorevoli alle esecuzioni capitali sta lentamente calando, soprattutto di
fronte alla possibilità di un effettivo inasprimento della condanna
all’ergastolo.
In Indonesia, il presidente Megawati Sukarnoputri ha
annunciato lo stato di “massima allerta” nel Paese in vista della fase finale
della campagna elettorale per il secondo turno delle votazioni presidenziali,
previste il prossimo 20 settembre. A contendersi la più alta carica, il
generale Yudhoyono, ex ministro della Difesa, ed il capo di Stato uscente Megawati.
Il presidente
cubano, Fidel Castro, non è più nell’occhio del ciclone. Il “leader maximo”,
che aveva rifiutato l’offerta di aiuti dagli Stati Uniti, può tirare un sospiro
di sollievo: il temutissimo uragano Ivan, che ha già causato la morte di almeno
50 persone ed ingenti danni materiali nei Caraibi, ha cambiato rotta e si è
allontanato dalle coste cubane. Ivan si sta ora dirigendo verso il Messico e
nello Yucatan le autorità locali hanno deciso l’evacuazione di almeno 10 mila
persone.
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