RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
254 - Testo della trasmissione di venerdì 10 settembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Mostra del Cinema di Venezia: Leone d’Oro alla carriera al regista portoghese Manoel de Oliveira.
CHIESA E SOCIETA’:
Sale a quattro il numero dei giornalisti misteriosamente uccisi in Messico nel 2004
Ieri le celebrazioni in memoria dell’arcivescovo Joachim
Ruhuna, assassinato 8 anni fa
In Iraq almeno 45
guerriglieri sono morti in un ennesimo attacco condotto dalle forze americane.
In un nuovo video il numero due di Al Qaeda ha detto che in Iraq e in
Afghanistan è imminente la sconfitta degli Stati Uniti
Si
è concluso in Burkina Faso, il vertice straordinario dei Capi di Stato e di
governo dell’Unione Africana sull’occupazione e la lotta contro la povertà in
Africa.
10 settembre 2004
ALLA VIGILIA DEL TERZO ANNIVERSARIO DEGLI ATTENTATI
DELL’11 SETTEMBRE
IL PAPA RICEVE UN GRUPPO DI VESCOVI
STATUNITENSI IN VISITA AD LIMINA
- Riflessione del cardinale Justin Francis Rigali,
arcivescovo di Philadelphia
Il Papa ha ricevuto oggi nel Palazzo Apostolico di Castel
Gandolfo un gruppo di vescovi della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti,
giunti a Roma lunedì scorso per la visita “ad Limina”. Domani l’incontro
conclusivo si svolgerà proprio in occasione del terzo anniversario degli
attentati dell’11 settembre 2001. Ascoltiamo in proposito la riflessione del cardinale
Justin Francis Rigali, arcivescovo di Philadelphia, raccolta dal collega
Charles Collins:
**********
R. - Nel corso di questi ultimi
tre anni, dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, si è sviluppata una grande
paura, non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Il ruolo della
Chiesa è proprio quello di offrire al mondo una grande speranza, una grande
fiducia, proprio quella speranza e quella fiducia che vengono dal Vangelo. I
credenti ricevono da Cristo la sua pace: per questo, la Sua promessa di pace è
più significativa che mai. Ecco perché alla fine non ci perdiamo d’animo:
abbiamo davanti a noi veramente una grande sfida, che poi è la sfida perenne
nella Chiesa. La sfida di avere fiducia nella misericordia del Signore e di
impegnarci sì, nella preghiera e nell’azione, ma sempre con la fiducia che
viene da Gesù Cristo stesso.
**********
ALTRE
UDIENZE
Sempre oggi, a Castel Gandolfo, il Papa ha ricevuto in
successive udienze mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, con
i familiari, e il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione
per i Vescovi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina, con forte evidenza, il titolo "Buio nella storia
dell'umanità". Segue, con altrettanto rilievo, "Ma i nemici dell'uomo
non potranno prevalere".
Al
centro della prima pagina una riflessione in cui si sottolinea che l'11 settembre
2001 un'ombra minacciosa si è allungata sulla storia dell'umanità, oscurandola.
In questi tre anni altri tragici eventi hanno seminato morte e distruzione: da
Bali a Madrid, da Beslan a Baghdad, persone innocenti continuano ad essere
bersaglio di criminali attacchi. La riflessione si conclude evidenziando che
ora più che mai c'è bisogno di autentici operatori di pace, nonché di persone
che abbiano il coraggio di gettare ponti e non di scavare fossati tra i popoli.
Sempre
in prima, Iraq: i sequestratori delle due operatrici umanitarie impongono
all'Italia un ultimatum di 24 ore.
Indonesia:
ancora una volta si esprime l'aberrante logica di chi fa della propria vita uno
strumento di morte.
Nelle
vaticane, l'omelia del cardinale Justin Francis Rigali durante la
concelebrazione eucaristica presieduta, nella Basilica di San Pietro, con i
presuli statunitensi in visita "ad Limina".
Nelle
estere, per la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo
di Giuseppe Fiorentino dal titolo "11 settembre: la polvere di
'Ground Zero' si è posata su tutto il mondo".
Nella
pagina culturale, un contributo di Franco Patruno in merito all'XI Biennale
d'arte sacra a San Gabriele dell' Isola del Gran Sasso.
Nelle
pagine italiane, in primo piano un articolo dal titolo "Iraq: diplomazia
al lavoro per salvare le due volontarie". Fiaccolate in diverse città per
chiedere la liberazione degli ostaggi e contro ogni violenza.
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Radiogiornale
10 settembre 2004
IN DARFUR E’ STATO COMPIUTO UN GENOCIDIO:
COLIN POWELL PUNTA IL DITO CONTRO IL GOVERNO DEL SUDAN DOPO
UN’INCHIESTA DEL DIPARTIMENTO DI STATO AMERICANO
- Intervista con il giornalista Domenico Quirico -
Genocidio. Dopo molte esitazioni,
gli Stati Uniti non hanno più alcun dubbio: nella regione sudanese del Darfur -
afflitta da una guerra civile che ha causato decine di migliaia di morti ed
oltre un milione di sfollati - le milizie Janjaweed appoggiate dal governo di
Khartoum hanno commesso un genocidio. Ad affermarlo, ieri, dinnanzi al
Congresso americano è stato il segretario di Stato americano, Colin Powell.
Denuncia ribadita attraverso un comunicato della Casa Bianca. Intanto, sono
stati sospesi - fino al 14 settembre - i negoziati tra governo sudanese e
ribelli del Darfur, in corso ad Abuja. Le parti avranno un incontro con il
presidente nigeriano Obasanjo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
“A GENOCIDE HAS BEEN COMMITTED IN DARFUR…”
Senza mezzi termini. Per il capo
della diplomazia americana, nel Darfur è stato compiuto un genocidio. Powell ha
puntato il dito contro le milizie arabe Janjaweed, i famigerati “diavoli a
cavallo”, e con loro contro il governo di Khartoum. La presa di posizione degli
Stati Uniti si basa su un’inchiesta condotta quest’estate nella martoriata
regione da funzionari del Dipartimento di Stato americano. Tuttavia, si
preannuncia un braccio di ferro al Palazzo di Vetro sul Darfur: la Cina, membro
permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha già espresso la sua
contrarietà al progetto di risoluzione messo a punto dagli Stati Uniti con la
prospettiva di sanzioni contro il Sudan. Sulla “svolta” di Washington, abbiamo
raccolto il commento di Domenico Quirico, africanista e responsabile
della redazione Esteri del quotidiano “La Stampa”:
R. – Gli Stati Uniti e lo stesso
Powell hanno impiegato mesi a disquisire sull’uso del termine “genocidio”.
Questo è un fatto ed una colpa che ricade sugli Stati Uniti. Credo che gli USA
vogliano passare attraverso l’ONU senza fare nulla di concreto o limitandosi a
delle minacce verbali, sperando che il regime di Kharthoum metta la testa a
posto. Cosa, questa, assai improbabile.
D. – Gli Stati Uniti solo adesso
parlano di genocidio, l’Unione Europea ha maggiori difficoltà ad utilizzare
questo termine. Quindi quale può essere la strategia per risolvere questa
crisi?
R. – L’Europa, nel caso del
Darfur, è stata non solo assente, ma addirittura silenziosa. I meccanismi di
intervento erano: utilizzare gli africani. La nascita dell’Unione Africana
consentiva di salvarsi l’anima, fornendo un po’ di denaro per le operazioni che
avrebbero dovuto essere compiute dagli africani stessi. Non si è mosso sostanzialmente
nessuno. La vecchia paura di mettere il naso negli affari degli altri, che poi
potevano diventare anche i propri, ha sostanzialmente paralizzato qualsiasi
tipo di intervento.
D. – Il governo di Khartoum ha
reagito in modo duro alle critiche di Washington, affermando che la questione
del Darfur è “un problema tribale interno”. Quanto può reggere questa posizione
da parte dell’esecutivo sudanese?
R. – Io non sottovaluterei le
capacità temporeggiatrici del regime di Khartoum, che è riuscito a perpetrare
un doppio genocidio in questi ultimi 15 anni: prima contro le popolazioni
animiste e cristiane del sud e poi contro le popolazioni del Darfur, senza che
la comunità internazionale abbia sostanzialmente mosso un dito. La tattica di
Khartoum è abbastanza chiara: guadagnar tempo, dividere gli avversari, offrire
dei piccoli passi in avanti e poi compierne dieci indietro, rendere la
situazione della pulizia etnica nel Darfur talmente completa da far diventare
inutile qualsiasi intervento internazionale.
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IN
OSSEZIA, DOVE IL PARLAMENTO HA ELETTO ALAN BORADSOV COME
NUOVO PREMIER RESTA DRAMMATICA LA SITUAZIONE
DEI
BAMBINI SOPRAVVISSUTI ALLA STRAGE DI BESLAN
- Intervista con Fabrizio Dragosei -
Il parlamento dell’Ossezia del
nord ha eletto oggi l’ex ministro dei Trasporti, Alan Boradsov, come nuovo
premier. La camera alta del parlamento
russo, inoltre, formerà una commissione d’inchiesta per far luce sul sequestro
della scuola. E’ stato identificato, intanto il capo del commando: si tratta
dell’inguscio Ruslan Kuchbarov che
secondo i servizi segreti russi è in fuga. Più della metà delle vittime, il cui
bilancio è salito a 339, sono minori. Sulla drammatica situazione sanitaria dei
bambini sopravvissuti al massacro, Roberto Piermarini ha raccolto la testimonianza
dell’inviato del Corriere della Sera a Beslan, Fabrizio Dragosei:
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R. – I bambini
sono ancora molto, molto gravi. Sono stati feriti con colpi sparati anche alla
testa perché i terroristi sparavano per uccidere. In tutti gli ospedali sia di
Beslan che di Vladikascav, la capitale dell’Ossezia del Nord, continuano ad
esserci dei decessi.
D.- Ci sono stati episodi di
eroismi?
R. – Questi
episodi continuano a venir fuor un po’ per volta. Adesso mi hanno raccontato di
come sono morti i due uomini della protezione civile i quali, poco prima
dell’esplosione della bomba, stavano andando verso la scuola perché in base ad
un accordo raggiunto tra i negoziatori e i terroristi dovevano rimuovere i
corpi delle persone uccise il primo giorno nelle fasi immediatamente seguenti
al sequestro. Stavano entrando nel giardino della scuola quando c’è stata
l’esplosione e poco dopo si sono visti arrivare incontro una bimba e quindi si
sono affrettati a prenderla per portarla via. Dal tetto un terrorista ha
sparato e li ha uccisi tutti e due. Fortunatamente la bimba è riuscita a scappare ed è in salvo.
D. – Come sta vivendo Beslan?
R. – E’ il
momento della ripresa della vita normale. Ieri, e anche questa mattina, ho rivisto
per la prima volta bambini che giocavano per strada, due bambine col fiocco bianco
nei capelli che andavano a spasso normalmente. Dopo il dolore e la ripresa della vita normale c’è anche la rabbia e
il pericolo che possa riprendere anche un odio interetnico che qui è
fortissimo. Beslan è vicinissima alla frontiera con l’Ingushezia e tra osseti
ed ingusci i rapporti sono tesissimi. Gli ingusci sono musulmani; c’è stata una
guerra tra i due Paesi nel 1992; i terroristi sono venuti dall’Ingushezia, ma
sono sicuramente ceceni, bande che fanno capo alla guerriglia cecena. Qui molti
osseti vedono i vecchi nemici dietro a quello che è successo. Credo che sarà un
compito non facile di Putin e delle autorità russe quello di tenere a freno
questo odio interetnico, perché il Caucaso è una polveriera e non solo il
Caucaso, ma anche tutta la Federazione russa o buona parte della Federazione russa
ha al suo interno delle situazioni di fortissime tensioni che potrebbero anche
esplodere.
D. – A Beslan
c’è stata una risonanza delle manifestazioni in Italia in favore dei bambini
dell’Ossezia?
R. – Sì, c’è
stata una risonanza fortissima. Ha colpito tantissimo la manifestazione di Roma
con 150 mila persone in piazza, così abbiamo letto nei giornali russi. Un
numero superiore a quello sceso in piazza a Mosca, dove per altro erano state
mobilitate dalle autorità. Ha colpito moltissimo l’iniziativa delle candele e
ha colpito soprattutto tanto il fatto che l’Italia sia arrivata con degli
aiuti. Immediatamente è arrivato un aereo con dei medicinali nel momento del
grande bisogno.
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I PROBLEMI DEL MEDIO ORIENTE
AL CONVEGNO DEI DEHONIANI A CAMALDOLI
- Intervista con padre Lorenzo Prezzi -
La
relazione del cardinale Achille Silvestrini ha aperto oggi nel monastero di Camaldoli,
in provincia di Arezzo, il convegno
annuale organizzato dalla rivista “Il Regno” dei Dehoniani di
Bologna. L’appuntamento di quest’anno
guarda al significato biblico-teologico di Gerusalemme e analizza le radici
storico-religiose dei conflitti mediorientali. Ma qual è l’obiettivo di questo
convegno. Giovanni Peduto lo ha chiesto al direttore della rivista “Il Regno”,
padre Lorenzo Prezzi:
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R. – Siamo partiti da
Gerusalemme come luogo simbolo, dove si concentrano le religioni monoteiste e
dove si concentra il più alto numero di conflitti, cercando – attorno al tema
di Gerusalemme – le memorie riconciliate nelle singole tradizioni religiose.
L’obiettivo è quello del riconoscimento reciproco per trovare nel volto
dell’altro la dimora del nome di Dio.
D. – Qual è la radice profonda
dei conflitti in atto in Medio Oriente?
R. – Sono radici molteplici: c’è
la radice economica, c’è la radice di strategia politica, c’è certamente la
radice di un conflitto nazionalistico fra la tradizione islamica e la
tradizione ebraica, che non si dava fino a qualche decennio fa. Ma, al di là di
tutto, c’è soprattutto il confronto interno delle società islamiche fra due
progetti di società totalmente diversi.
D. – Quali sono le speranze?
Come uscire da questo periodo così tragico?
R. – Io richiamo alcune
espressioni usate da mons. Tessier, proprio qui a Camaldoli un paio di anni fa:
con la sottolineatura di ogni gesto di rapporto umano arricchente, di ogni
riconoscimento dei diritti umani per tutti e del perseguimento di una identità
religiosa che deve essere diversa ma radicata nel suo messaggio più autentico e
profondo.
D. – Quale dialogo si può avere
con l’Islam dal momento che la presenza dei cristiani nel mondo arabo è sempre
più difficile?
R. – In merito al problema di
una fuga consistente, ed ormai quasi finale, dei cristiani dai Paesi islamici e
del Medio Oriente va certamente chiesto rispetto per la tradizione cristiana e
va messo in campo un dialogo mirato con quelle forze dell’Islam che sono in
grado di sviluppare un dialogo reale. A livello di religioni ma a livello di
società civile va richiesta anche la reciprocità.
D. – Un suo commento sulle
parole del Papa: “Mai più la guerra, sconfitta della ragione e dell’umanità”?
R. – Sono, queste, parole di
grande profilo. Credo che siano le parole della sua esperienza di vita, ma sono
anche le parole che danno la tendenza della ricerca della Chiesa nei confronti
della guerra, che è sempre meno legittimata.
D. – Allo stesso tempo, Giovanni
Paolo II afferma che “servono fermezza e decisione nel combattere gli operatori
di morte e che occorre sradicare quanto può favorire il terrorismo, la miseria,
la disperazione, il vuoto dei cuori….”:
R. – Questa è la parte più
realistica. Certamente va messa in atto una capacità di governo e di blocco per
quanto riguarda il terrorismo, ma all’interno di un potere condiviso e quindi
del multilateralismo a livello mondiale, di azioni umanitarie mirate ed un uso
della forza legittimato. Solo così si possono veramente combattere gli operatori
di morte.
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“POSTGLOBAL. LE NUOVE SFIDE DELLA DEMOCRAZIA” AD ORVIETO
L’INCONTRO
DI STUDI DELLE ACLI
-
Intervista con Luigi Bobba -
Si ai valori
cristiani nella politica senza per questo avere la necessità di un partito
unico dei cattolici o, addirittura, ricostituire la Dc. Intorno a questa premessa si tiene ad Orvieto oggi e domani
il tradizionale incontro studi delle Acli. Le associazioni Cristiane Lavoratori
Italiane si inseriscono quindi nel dibattito sui cambiamenti che la democrazia
italiana sta attraversando. Per il presidente, Luigi Bobba, sono tre le sfide
che in questo momento interessano la politica. Sentiamolo intervistato da
Alessandro Guarasci
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R. – Anzitutto i generi: le donne hanno fatto una bella
corsa nel mercato del lavoro e delle professioni, ma invece sono fortemente
sottorappresentate nelle istituzioni sia locali che nazionali. Poi, secondo, le
generazioni: un Paese che invecchia, dove gli anziani sono diventati più
numerosi dei ragazzi e dei giovani, è un Paese che deve ripensare anche le sue
stesse istituzioni democratiche, estendendo anche ai minori il diritto di voto
per rappresentare i diritti e le attese delle generazioni future. Infine, le
religioni: tra gli immigrati c’è anche una componente rilevante di religione
musulmana, che rappresenta ormai la seconda comunità religiosa. Credo che
questo cambiamento debba portare a nuove regole, in modo tale che le diverse
identità religiose si incontrino anziché scontrarsi.
D. – Bobba, lei ritiene che la dottrina sociale della
Chiesa possa aiutare a vincere queste sfide?
R. – Io credo proprio di sì. Lì ci sono quei criteri di
orientamento e soprattutto le risorse per non rassegnarsi a questo
indebolimento della democrazia e per far sì che questa democrazia possa essere,
allo stesso tempo, più partecipata ma anche più capace di generare equità,
condivisione, libertà e giustizia.
D. – Lei, in più di qualche caso ha detto che ormai non ha
più senso un partito unico dei cattolici. Ma allora i cattolici ed i cristiani
in Parlamento come possono fare fronte comune su alcune tematiche?
R. – Ho detto che mi sembra oggi irrealistico e
velleitario questo disegno. Questa constatazione ci spinge a costituire e ad
individuare una vera e propria agenda su cui i cattolici, nel sociale e nella
politica, ovunque collocati, trovino pensieri e forme di azione comune.
D. – Bobba a quale condizioni riuscire a vincere la sfida
del terrorismo?
R. - Credo che occorrano tre strade. La prima è quella di
rompere il cerchio della paura: anche qui non rassegnarsi al fatalismo della
guerra e del terrore, come l’unica strada su cui il mondo è ormai incamminato.
La seconda, isolare e colpire tutte le reti che sostengono, anche
finanziariamente il terrore. E, la terza, raccogliere la proposta del cardinale
Martino di una sessione straordinaria dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che
metta in chiaro gli impegni che tutti ed insieme prendono per poter affrontare
questa nuova sfida globale. Non vie unilaterali, non guerre preventive, ma
un’azione comune della comunità internazionale.
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SUSCITARE UNA CORRENTE INVERSA AL TERRORISMO
TRA GLI OBIETTIVI DELL’ECONOMIA DI COMUNIONE
CHE PROPONE LA SCELTA DELLA POVERTA’
PER VINCERE LA POVERTA’ DISUMANA E INGIUSTA
“Suscitare una corrente inversa
al terrorismo”: contribuire con le tante forze positive a quella fraternità che
rende possibile la comunione dei beni, la sconfitta delle disparità sociali. La
grande attualità dell’Economia di comunione evidenziata da Chiara Lubich questa
mattina al Centro Mariapoli di Castelgandolfo di fronte a oltre 650 economisti,
ricercatori, imprenditori, lavoratori, studenti, azionisti da 30 Paesi
dall’India agli Stati Uniti all’Europa dell’Est e Ovest, per il Congresso dal
titolo: “Nuovi orizzonti dell’Economia di comunione”. Servizio di Carla
Cotignoli:
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“Una delle cause più profonde
del terrorismo risiede nello spaventoso squilibrio tra Paesi ricchi e poveri.”
che “genera ostilità, vendetta”. E’ quanto ha affermato Chiara Lubich. La prima
idea dell’Economia di comunione era nata nel 1991, proprio quando in occasione
di un suo viaggio in Brasile, “sorvolando San Paolo era stata colpita dal
contrasto tra la selva di grattacieli di quella metropoli e la miseria delle
favelas che la circonda. Di qui la sfida lanciata alle imprese: produrre utili
a beneficio dei più bisognosi. Destinarli in parte per la formazione di uomini
nuovi, atti a questa nuova economia e in parte per l’incremento della stessa azienda.
Poco prima era stato presentato a più voci il bilancio di questi 13 anni:
aziende e attività di produzione gestite secondo questo progetto sono 800 in
tutti i continenti. 470 in Europa. 270
nelle Americhe.
Da questa esperienza si sta
maturando una visione profondamente evangelica della ricchezza e della povertà
– ha detto - il prof. Luigino Bruni, tra i responsabili del Movimento per un
economia di comunione. C’è una “povertà subita” – ha detto – da sradicare: E’
la miseria ingiusta e disumana. Ma “c’è un’altra povertà, quella liberamente
scelta che costituisce la precondizione per sconfiggere la miseria”. “Tutto ciò
che sono ed ho mi è stato donato e quindi deve essere ridonato” La scelta di
una vita sobria. Della comunione dei “beni che diventano così ponti”. E come il Vangelo promette, nella gestione
stessa dell’azienda si dà spazio all’intervento del “socio invisibile” col
centuplo, la provvidenza. In questa visione anche il lavoro assume un’altra
dimensione. Specchiandosi nel Vangelo Chiara Lubich ne ha delineato quasi un
decalogo: “far di ogni ora un capolavoro di precisione, di armonia”. “Sfruttare
i propri talenti e perfezionarsi”. Lavorare “non solo per il guadagno”, ma per
“trasformare in amore ogni cosa che
esce dalle nostre mani”: “i destinatari sono fratelli”. Gesù stesso ritiene
fatto a sé ciò che facciamo a loro. “Pesantezza del lavoro, le difficoltà di
rapporto, contraddizioni sono la tipica penitenza che non può mancare al
cristiano”. Al primo posto tra datore di lavoro, lavoratori “quell’amore reciproco
che attira la presenza di Gesà nella collettività”. Gesù che diventa luce per
“trovare insieme nuove forme di organizzazioni del lavoro, di partecipazione,
di gestione”. Le “aziende diverranno così dimore di Dio con gli uomini, vere
anticamere del Paradiso”. L’applauso scrosciante diceva l’adesione entusiasta a
quest’altissima proposta.
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DOMANI E DOPODOMANI A
ROMA SI CELEBRA
LA GIORNATA DELL’INTERDIPENDENZA PER COSTRUIRE UN
MONDO PIU’ UNITO
- Ai nostri microfoni Walter Veltroni, Lucia
Fronza -
Contribuire alla costruzione di
un mondo più unito, di una convivenza che elimini lo scontro tra le civiltà, di
un futuro che non si basi solo sulle leggi dei mercati, dell’economia e della
finanza. E’ questo, in estrema sintesi, il senso della II Giornata
dell’Interdipendenza, in programma per domani 11 settembre e domenica 12 a Roma e presentata ieri dal
Comune, con CIV Wolds, associazione del politologo americano Benjamin Barber,
ideatore dell’iniziativa, e le italiane ACLI, Comunità di Sant’Egidio, Lega
Ambiente e Movimento dei Focolari. Il servizio è di Gabriella Ceraso:
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“Abbiamo bisogno di
un’interdipendenza benevola e democratica, che contrasti con quella malvagia
che già ci unisce a livello di problemi. Guardiamo dunque ad un’alternativa
alla guerra globale, puntando al dialogo e al rispetto del prossimo”. Così è
stata presentata la seconda giornata mondiale dell’interdipendenza che approda
quest’anno a Roma. Il sindaco Walter Veltroni:
“Quello che ci
succede intorno credo che renda sempre più necessaria la convinzione che
bisogna lavorare per rendere il mondo un po’ più interdipendente, non solo
globalizzato: sono due categorie diverse. La globalizzazione globalizza i mercati
finanziari, globalizza le comunicazioni; l’interdipendenza tende anche a mettere
in relazione le persone, ai loro bisogni, ai loro diritti ... Abbiamo bisogno
di creare le condizioni di un mondo in cui ci sia convivenza e identità. E
questa è una grande sfida e speriamo che queste giornate possano andare in
questa direzione”.
Ma qual è il
significato di ‘interdipendenza positiva’, promossa dalla Giornata? Risponde
Lucia Fronza, del Movimento dei Focolari:
“Da una parte,
governare l’interdipendenza, quindi dare delle regole democratiche; dall’altra,
dare un’anima a questa interdipendenza, cioè finalizzare l’interdipendenza
verso la formazione della famiglia umana, cioè di un mondo più unito. Come dà
dei risultati l’interdipendenza negativa, darà dei risultati anche questo tipo
di interdipendenza”.
Sabato sarà il giorno della
memoria, di ogni tipo di violenza con un incontro interreligioso in Campidoglio
siglato da un patto di fraternità. Il giorno dopo, per la firma della “Dichiarazione
di interdipendenza” nell’Auditorium della capitale, costruire un mondo più
unito sarà compito della politica. Ancora Lucia Fronza:
“E che sia
chiaro: non la politica come ‘i politici’, come una categoria, ma ‘la politica’
come una scelta che ci chiama tutti: cittadini, religiosi, funzionari, politici
in senso stretto ... cioè tutti, a dire: ‘Io come posso fare? Qual è il mio
impegno, oggi, per fare il mondo più unito?’.
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MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA:
LEONE D’ORO ALLA CARRIERA AL REGISTA PORTOGHESE MANOEL DE OLIVEIRA
La fatica di
amare e la fugacità della passione nell’attesissimo film “Eros”, girato a sei
mani dal cinese Wong Kar-wai, dall’americano Steven Soderbergh e dall’italiano
Michelangelo Antonioni. Oggi a Venezia viene anche assegnato il Leone d’Oro
alla carriera al novantaseienne regista portoghese Manoel de Oliveira. Il
servizio di Luca Pellegrini:
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Se Gianni Amelio ha voluto
raccontare, in modo abile e struggente, la fatica di vivere e di condividere,
tre registi di scuola si sono riuniti per affrontare tre storie sulla fatica di
amare. L’antologia cinematografica, attesissima e dalla complessa gestazione ,
che ne è derivata si chiama “Eros” – fuori concorso -, e gli episodi con i
rispettivi autori sono: “La mano” di Wong Kar-wai, “Equilibrium” di Steven
Soderbergh e “Il filo pericoloso delle cose” del vegliardo Michelangelo
Antonioni. Che dire? Si vorrebbe evitare di fare paragoni, ma quando si
progetta un cinema di questa fattura, ahimé, sono inevitabili. Certamente,
ciascun autore apporta il suo stile e la sua sensibilità, ed è chiaro che tra
Cina, America ed Italia l’eros, inteso come passione, cambia volti e modi. La
mano del titolo è quella, poco pudica in un film pudicissimo, della altera
signora Hua (una stupefacente, bellissima Gong Li), che intrattiene fugaci
rapporti con ricchi clienti nella ex-colonia britannica di Hong Kong, anno
1963.
E’ una meditazione sul toccarsi
e respingersi, sulla rassegnazione e la disillusione, che investe la vita di un
avvenente sarto capace di sacrifici per un amore non condiviso e senza futuro.
39 minuti e 20 secondi di raffinata emozione. I 24 minuti dell’americano Soderbergh
ci fanno retrocedere, invece, al 1955, New York. Nick Penrose ha perso il suo
equilibrio: non riesce a trovare la pubblicità giusta per una sveglia e il
sogno di una donna in blu lo tormenta. La seduta con uno psicanalista lo aiuta
davvero? E se sogno e realtà cominciassero a non avere più confini? Intrigante
scrittura e piccolo colpo di scena. Esplicito, invece, nell’esibizione della
nudità femminile, l’episodio di Antonioni, scritto in modo trasandato dal
grande Tonino Guerra. La fine dell’estate su di una costa della Toscana per una
coppia in crisi e la presenza dell’altra donna. Il Maestro ci ha fatto vivere
ben altre emozioni. Di quattro anni più anziano, classe 1908, ma in piena forma
invece, il portoghese Manoel de Oliveira, che oggi riceve un meritatissimo
Leone d’Oro alla carriera. Standing ovation inevitabile: ha attraversato un
secolo, ha vissuto la storia, è un monumento del cinema. Ora, al Lido, si
rimane in attesa dei premi, che saranno assegnati domani.
Da
Venezia, Luca Pellegrini per Radio Vaticana.
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10
settembre 2004
FORTE PRESA DI POSIZIONE DEI VESCOVI DELLA
MALAYSIA, CHE DENUNCIANO UN CASO DI VIOLAZIONE DI LIBERTÀ RELIGIOSA NEL PAESE A
MAGGIORANZA MUSULMANA. I PRESULI INVITANO I CATTOLICI A SOSTENERE IL NUOVO
PRIMO MINISTRO MALAYSIANO, BADAWI, IMPEGNATO NELLA PROMOZIONE
DEL
DIALOGO TRA CULTURE E RELIGIONI
- A
cura di Roberta Moretti -
KUALA
LUMPUR.= I vescovi cattolici della Malaysia sono impegnati per la risoluzione
del caso di Shamala, una madre che si è vista negare dalla Corte Suprema del
Paese la possibilità di essere ascoltata in merito alla conversione forzata
all’Islam imposta dal marito musulmano ai due figli. La Corte, giudicando la
donna “incompetente” in materia, ha rimandato la questione alla Corte federale
della Sharî‘a. Per contrastare una sentenza certamente a favore del marito, di
fede islamica, i legali di Shamala hanno sostenuto che la Corte religiosa non
avrebbe giurisdizione sulla donna, in quanto non musulmana. Così Shamala è
stata lasciata sola e il suo caso sospeso, a causa di un conflitto fra due
sistemi giuridici. I vescovi della Malaysia, in un documento pubblicato di
recente, hanno denunciato come il doppio registro della società malaysiana –
quello secolare e quello islamico – crei discriminazione verso i non musulmani
in problemi legati a conversione, giurisdizione delle Corti, proprietà ed
eredità. Questo, in un Paese a maggioranza islamica, la cui costituzione
garantisce la piena libertà religiosa. “Non è nell’interesse del figlio”,
secondo i presuli, che un genitore lo converta e gli faccia cambiare religione
senza che l’altro genitore ne sappia nulla. E per questo hanno sollecitato il
governo ed il parlamento a promulgare leggi in cui i diritti costituzionali di
libertà di religione e i diritti dei genitori siano sostenuti e protetti dalla
Corte. Per evitare un conflitto religioso, mons. Murphy Pakiam, arcivescovo di
Kuala Lumpur, ha chiesto ai cristiani di essere un fattore positivo nella società
malaysiana e di sostenere l’opera del nuovo primo ministro, Datuk Seri Abdullâh
Ahmad Badawi, impegnato nella promozione nel Paese del dialogo tra culture e
religioni.
LA STABILITA’ MILITARE TRA ETIOPIA ED ERITREA NON
POTRA’ MAI ESSERE
GARANTITA
SENZA PROGRESSI NEL PROCESSO POLITICO. QUESTO, IL DURO MONITO DEL SEGRETARIO
GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN, AI DUE PAESI
DEL CORNO
D’AFRICA ANCORA IN LOTTA PER LA DEFINIZIONE TERRITORIALE,
NONOSTANTE LA FINE DELLA GUERRA NEL 2000
NEW YORK.= "Mentre Etiopia
ed Eritrea continuano a sottolineare di non avere alcun interesse a scatenare
un conflitto armato, entrambi si armano e dichiarano che non esiteranno a
rispondere se provocati": lo ha dichiarato ieri il segretario generale
dell'Onu, Kofi Annan, riferendosi alle tese relazioni tra i due Paesi del Corno
d'Africa, nel suo ultimo rapporto alle Nazioni Unite. La prossima settima, il Consiglio di sicurezza
dovrà decidere se rinnovare o meno il mandato della Unmee , la missione Onu nei
due Paesi. "La stabilità militare non potrà mai essere garantita
finché non ci saranno progressi nel processo politico", ha sottolineato
Annan. Da mesi ormai il dialogo tra Etiopia ed Eritrea, per risolvere la contesa
territoriale che li portò a combattere una sanguinosa guerra tra il 1998 e il
2000, si è completamente arenato. Una Commissione indipendente istituita dall'Onu
ha tracciato in maniera "definitiva e irrevocabile" i nuovi confini
tra i due Paesi, ma l'Etiopia continua a non riconoscere questa decisione,
mentre l'Eritrea si rifiuta di rimettere nuovamente in discussione tale
sentenza. (R.M.)
SALE
A QUATTRO IL NUMERO DEI GIORNALISTI MISTERIOSAMENTE UCCISI IN MESSICO NEL 2004.
RITROVATO OGGI IL CADAVERE DEL DIRETTORE DI “MUNDO POLITICO”
CITTA’
DEL MESSICO. = Macabra scoperta nello stato di Guerrero, nel sud del Messico.
Dopo tre mesi di ricerche la polizia ha ritrovato i resti del corpo di
Leogedario Aguilera, direttore della rivista “Mundu Politico”, scomparso
misteriosamente nel maggio scorso. Sale così a quattro il numero dei
giornalisti messicani uccisi nel 2004. Dura la reazione della categoria che in
una lettera al presidente Vincente Fox ha chiesto che “venga garantita la
libertà d’espressione, seriamente attaccata nei vari Stati della federazione”.
Sul caso Aguilera, inoltre, i giornalisti del Messico esigono che sia fatta
giustizia attraverso un’indagine seria e approfondita e che “ i colpevoli siano giudicati affinché l’impunità non
alimenti nuovi attacchi”. Intanto, le autorità hanno fatto sapere di aver
arrestato tre persone che sarebbero state coinvolte in una disputa con il
reporter. (R. P.)
IL
BURUNDI RICORDA MONSIGNOR JOACHIM RUHUNA. IERI LE CELEBRAZIONI
IN MEMORIA
DELL’ ARCIVESCOVO ASSASSINATO IL 9 SETTEMBRE
DEL 1996 DI RITORNO DA UNA MISSIONE
APOSTOLICA
BUJUMBURA.
= Si sono tenute ieri, in Burundi, le celebrazioni in memoria di monsignor
Joachim Ruhuna, arcivescovo della provincia di Gitega, nel centro del Paese. Il
presule era stato assassinato con altri sei cristiani il 9 settembre del 1996
di ritorno da una missione apostolica a Burasira.“Non ho paura della morte, la
sola cosa che temo è vivere senza Dio”, aveva confessato quasi profeticamente,
pochi giorni prima di morire, a chi lo
aveva messo in guardia dai rischi di spostarsi senza scorta in una regione
afflitta da una lunga e sanguinosa guerra civile. E proprio contro la guerra,
l’arcivescovo Ruhuna aveva speso gran parte del suo operato. Nell’omelia del 15
agosto del 1995 a Mugera, una delle più celebri, aveva detto: “Se Dio mi
domandasse di donare la vita perché il Burundi ritrovi la pace, non esiterei un
solo istante”. Per far luce sul suo omicidio si è costituita un’associazione,
l’AMJR, che non chiede “l’incarcerazione fine a se stessa degli assassini, né
una giustizia sotto forma di vendetta, ma il trionfo della verità”. (R. P.)
“LA COSTRUZIONE DELL’EUROPA DEVE INIZIARE DALLE
FONDAMENTA, E CIOE’
DAL CRISTIANESIMO, E NON DAL TETTO”: QUESTO IL
MESSAGGIO DELL’INCONTRO
DEI
RAPPRESENTANTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE UNGHERESE E CROATA,
CONCLUSOSI
IERI A ZAGABRIA
- A cura di Aldo Sinkovic -
ZAGABRIA. = La posizione della
Chiesa nei confronti del processo di integrazione europea e la formazione degli
aspiranti al sacerdozio sono stati i
temi esaminati durante l’incontro dei massimi rappresentanti della Conferenza
episcopale ungherese e croata, tenutosi
sotto la presidenza dei cardinali Péter Erdő e Josip Bozanic l’8 e il 9
settembre a Zagabria, capitale della Croazia. Il presidente della Conferenza
episcopale ungherese mons. István Seregély è convinto che “la costruzione
dell’Europa deve iniziare dalle fondamenta
e cioè dal cristianesimo e non dal tetto”.
“La Chiesa in Croazia è aperta per questa collaborazione“ha aggiunto il
cardinale Josip Bozanic, confermando che la Conferenza episcopale croata sta
intrattenendo i rapporti con le altre Conferenze episcopali e con i vari governi.
Il problema delle vocazioni religiose e sacerdotali è sentito in Ungheria a tal
punto che i vescovi si sono rivolti alle Conferenze episcopali dei Paesi
vicini, chiedendo in prestito i loro sacerdoti per la cura pastorale. Questo appello
ha trovato una particolare eco in Polonia. In Croazia la situazione non è
ancora tanto drammatica, ma si differenzia da diocesi a diocesi. In alcune, in
particolare in quelle del Nord, i giovani rispondono alle chiamate di Cristo,
mentre in quelle meridionali e occidentali le vocazioni scarseggiano. I vescovi
croati insieme a quelli ungheresi, ricevuti alla fine dell’incontro dal
presidente del Consiglio croato Ivo Sanader, hanno promosso un piano per la
promozione delle vocazioni nei rispettivi Paesi. E’ stata analizzata inoltre la
cura pastorale della popolazione ungherese in Croazia e di quella croata in
Ungheria.
“PIO
II E LE ARTI AL DEBUTTO DEL RINASCIMENTO”: E’ IL TITOLO DEL SINGOLARE
CONVEGNO
DEDICATO ALLA FIGURA DI PAPA PICCOLOMINI.
L’INCONTRO
SI SVOLGERA’ A ROMA TRA IL 23 E IL 25 SETTEMBRE
ROMA. = Si aprirà il prossimo 23
settembre, presso il palazzo della Cancelleria apostolica, a Roma, un
interessante convegno dedicato a Pio II, personalità legata alla cultura
medioevale e in cui si delineano i tratti salienti dell'uomo nuovo rinascimentale.
L’incontro, dal titolo “Pio II e le Arti al debutto del Rinascimento”, si
protrarrà fino al 25 settembre. L’evento, curato dallo storico dell’arte
Claudio Crescentini, rientra nel programma di iniziative organizzate dal Comitato
nazionale “Renascentes Artes Aenea Silvio Piccolomini Pio Secundo Pontifice”. I
lavori verranno aperti dal una celebrazione eucaristica presieduta dal
cardinale Francesco Marchisano. Nelle giornate di studio, alle quali parteciperanno,
tra gli altri, l’architetto Roberto Di Paola, presidente del comitato
nazionale, Maurizio Calvesi accademico dei Lincei e Christoph L. Frommel,
direttore emerito della biblioteca Hertziana, si approfondiranno gli aspetti
che legarono Pio II alla cultura artistica del suo tempo, dalla musica, alla
situazione delle antichità romane, dagli esordi dell’etruscologia, all’analisi
dell’arte figurativa. (B.C.).
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10
settembre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq, dove proseguono gli sforzi per ottenere la
liberazione delle due operatrici umanitarie italiane tenute in ostaggio da un
gruppo di guerriglieri, il nord del Paese è stato teatro di un ennesimo attacco
da parte delle forze della coalizione. In un nuovo video, intanto, Al Qaeda proclama
che i piani americani sono
stati vanificati, in Iraq e in Afghanistan, dalle azioni dei mujahidin. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Almeno 45 guerriglieri sono rimasti uccisi
nell’offensiva sferrata, nella notte,
dall’esercito americano e dalle truppe irachene a Tal Afar, città nel
nord del Paese dove trovano rifugio terroristi di Al Qaeda provenienti dalla
Siria. Alla vigilia del terzo
anniversario della strage dell’11 settembre e ad un mese dalle prime libere
elezioni in Afghanistan, la rete terroristica di Bin Laden ha diffuso un nuovo
video. Nel filmato, trasmesso dalla tv del Qatar Al Jazeera, il numero due di
Al Qaeda, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri, ha detto che “la sconfitta” degli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan è solo
“questione di tempo”. Sulla vicenda dei due giornalisti francesi recentemente sequestrati nel
Paese arabo il ministro degli Esteri di Parigi, Michel Barnier, ha dichiarato
che i due reporter “sono vivi e sono trattati bene”. Sul sequestro
delle due italiane, Simona Pari e Simona Torretta, e dei due collaboratori
iracheni dell’associazione ‘Un ponte per’, si deve registrare che i sequestratori,
appartenenti al gruppo integralista ‘Ansar al Zawahiri’, hanno lanciato un ultimatum di 24 ore. Nel messaggio diffuso
su un sito internet, la cui attendibilità è ancora da verificare, i rapitori
chiedono “l’immediata liberazione di tutte le prigioniere musulmane detenute
nelle carceri irachene”. Il vice ministro dell’Interno iracheno, Ali Hussein Kamal,
ha dichiarato che la richiesta è inaccettabile. Sul fronte politico, il
presidente iracheno, Ghazi al Yawar, che ha espresso la propria ferma condanna
per il rapimento delle due volontarie, è stato ricevuto a Roma dal presidente
della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Il sottosegretario italiano
agli Esteri, Margherita Boniver, inoltre, è a Beirut dove ha incontrato Andree
Lahoud, la moglie del presidente libanese. La signora Lahoud ha assicurato il proprio impegno per favorire
la liberazione delle due operatrici umanitarie.
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E per chiedere il rilascio di Simona Pari e Simona Torretta, ieri sera 5
mila persone hanno partecipato ad una veglia di preghiera a Rimini. Questa sera
una fiaccolata attraverserà le strade del centro storico di Roma. All’iniziativa
è prevista anche la partecipazione, tra gli altri, del vescovo ausiliario della
Chiesa Caldea di Baghdad, mons. Warduni. Prosegue, intanto, il dibattito
sull’importanza della presenza di organizzazioni umanitarie in Iraq. “Il mondo
del volontariato italiano non ha intenzione di lasciare il Paese”, sostiene
Sergio Marelli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni non
governative italiane, intervistato da Fabio Colagrande:
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R. –
Le decisioni fino a questo momento sono quelle di non abbandonare assolutamente
l’Iraq: i nostri volontari continuano a lavorare per la popolazione irachena.
E’ questa, indubbiamente, una decisione che comporta una grande responsabilità.
Stiamo verificando, inoltre, la possibilità di momentanei
spostamenti del nostro personale per garantire loro la necessaria sicurezza.
D. – Chi può essere il mandante
del rapimento di tre giorni fa?
R. – Questo è un grande
interrogativo. Non abbiamo ulteriori elementi, purtroppo, per riuscire a capire
chi saranno gli interlocutori con cui trattare per una immediata liberazione
dei nostri quattro collaboratori, ma chiunque siano sono criminali che non
hanno a che vedere con la società civile irachena. Il loro unico obiettivo,
probabilmente, è di minare alla base tutti gli sforzi congiunti dei nostri
volontari, delle Ong e della popolazione locale per rimettere su una via di
pace questo Paese.
D. – Per le trattative vi
affidate completamente alle istituzioni?
R. – Esclusivamente. Noi stiamo
soltanto lanciando degli appelli, perché non vi siano né personalismi, né
protagonisti. Queste trattative non possono che essere condotte dagli esperti
delle nostre istituzioni e dall’unità di crisi del ministero degli Esteri.
D. – Personalmente questa
vicenda come l’ha toccata?
R. – Direi profondamente. Queste
volontarie le conoscevamo. Simona Torretta è dal ’99 in Iraq ed era un po’ il
punto di riferimento per tutti. I due collaboratori iracheni, inoltre, sono più
che dei colleghi. Sono degli amici e delle persone che con noi hanno condiviso
fatiche e rischi e preoccupazioni per ridare un futuro a questo Paese.
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Dopo quasi
tre mesi di caccia all’uomo e di scontri che avevano provocato oltre 200
vittime, l’esercito yemenita ha annunciato oggi l’uccisione di Hussein al
Houthi, leader religioso fondamentalista alla guida di una ribellione contro le
autorità politiche del Paese e contro gli Stati Uniti. Lo sceicco – rifugiato
tra le montagne del Maran, non lontano dal confine con l’Arabia Saudita – è
stato ucciso insieme a decine di seguaci dopo tre giorni di furiosi
combattimenti.
L’attentato
all’ambasciata australiana in Indonesia, che ha provocato 9 morti ed oltre 180
feriti, era stato annunciato in un messaggio telefonico nel quale si minacciava
un imminente atto terroristico in una sede diplomatica occidentale, se non
fosse stato liberato il leader islamico Bachir. Intanto, l’organizzazione
Jamaah Islamiah, già tristemente famosa per altre azioni terroristiche, ha rivendicato
ieri l’attentato suicida a Giakarta.
Soldati pakistani e guerriglieri si sono scontrati
questa notte nel Waziristan meridionale, regione tribale lungo il confine
afghano, nei pressi di Dila Khula. I combattimenti si sono verificati dopo il
raid aereo di ieri da parte dell’aviazione pachistana, che ha provocato la
morte di 50 presunti terroristi, tra i quali molti stranieri.
Non si
placano gli scontri nel campo profughi di Jabaliya, nel nord della striscia di
Gaza. Il bilancio degli scontri di stamattina – a cui ha partecipato anche un
elicottero israeliano – è di un morto – un militante di Hamas – e 7 feriti,
tutti palestinesi. Sempre nel nord della striscia, un soldato dello Stato
ebraico è stato ferito da un cecchino, e tre razzi Qassam sono stati lanciati
in direzione della città di Sderot. La tensione è così alta che il governo
israeliano ha ordinato la chiusura di tutti i valichi di transito, per almeno
una settimana.
Si è concluso ieri a Ouagadougou
in Burkina Faso, il vertice straordinario dei Capi di Stato e di governo
dell’Unione Africana sull’occupazione e la lotta contro la povertà in Africa.
Giulio Albanese:
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Ouagadouguou,
capitale della solidarietà africana, per combattere disoccupazione e povertà:
fenomeni, questi, in costante crescita a livello continentale. D’altronde il
prodotto interno lordo dell’Africa sub-sahariana è di circa 330 miliardi di
dollari: una cifra irrisoria se paragonata agli oltre 10 trilioni dell’economia
statunitense. Nell’aprire i lavori del Vertice organizzato dall’Unione
Africana, il presidente di turno, il nigeriano Olusegun Obasanjo, ha definito la disoccupazione come un’epidemia che
minaccia il futuro di tutti i Paesi africani e che finora ha impedito a tre
quarti degli uomini e delle donne del Continente di poter sbarcare il lunario.
La forza lavoro in Africa supererà nel 2015 la soglia dei 366 milioni di
persona; metà delle quali si concentreranno – in cerca di lavoro – intorno alle
grandi aeree urbane. D’altronde i governi africani si sono impegnati molto
sulla crescita economica senza però mettere a punto adeguate politiche
occupazionali. La crescita senza impiego aumenta la disuguaglianza sociale e,
invece di favorire la diffusione della ricchezza, la fa concentrare sempre più
nelle mani di pochi. Tra le possibili soluzioni emerse spicca l’aumento degli
investimenti nel settore agricolo, elemento trainante di gran parte delle
economie del continente.
Per la
Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Passi in avanti, in Liberia,
sulla via della pace. Nella contea settentrionale di Lofa, storica roccaforte
della ribellione, oltre 200 combattenti del movimento dei ‘Liberiani uniti per
la riconciliazione e la democrazia’ (LURD) hanno consegnato le armi ai caschi
blu dell’Onu, unendosi ai 60 mila che lo avevano già fatto in altre zone del
Paese. Entro fine ottobre, il processo dovrebbe essere completato ed il Lurd –
che partecipa al governo di unità nazionale – si trasformerà ufficialmente in un partito
politico.
La Giamaica teme per l’arrivo del ciclone Ivan, atteso tra
domenica e lunedì sulle proprie coste. Dopo aver devastato Grenada e dopo aver
colpito duramente Trinidad e Tobago, il Venezuela e la Repubblica dominicana,
l’uragano sta avanzando a 20 chilometri orari: il governo ha chiesto a 500 mila
persone di abbandonare le proprie case sulle coste e di ripararsi in chiese e
scuole.
In Thailandia il virus dei polli, ha causato la morte di
un uomo, portando così a 29 il numero di decessi provocati dalla malattia in
Asia durante il 2004. Lo ha riferito un funzionario della Sanità locale.
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