RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 254 - Testo della trasmissione di venerdì 10 settembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Alla vigilia del terzo anniversario degli attentati dell’11 settembre il Papa riceve un gruppo di vescovi statunitensi in visita ad Limina. Intervista con il card. Justin Francis Rigali.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

In Darfur è stato compiuto un genocidio: Colin Powell punta il dito contro il governo del Sudan dopo un’inchiesta del dipartimento di Stato americano. Intervista con il giornalista Domenico Quirico

 

In Ossezia, dove il Parlamento ha eletto Alan Boradsov come nuovo premier resta drammatica la situazione dei bambini sopravvissuti alla strage di Beslan: il commento di Fabrizio Dragosei

 

I problemi del Medio Oriente al Convegno dei Dehoniani a Camaldoli: ai nostri microfoni padre Lorenzo Prezzi

 

“Postglobal. Le nuove sfide della democrazia”: ad Orvieto l’incontro di studi delle Acli: con noi Luigi Bobba

 

Suscitare una corrente inversa al terrorismo tra gli obiettivi dell’Economia di comunione del Movimento dei Focolari

 

Domani e dopodomani si celebra a Roma la Giornata dell’Interdipendenza per costruire un mondo più unito e fraterno: ce ne parlano Walter Veltroni e Lucia Fronza  

 

Mostra del Cinema di Venezia: Leone d’Oro alla carriera al regista portoghese Manoel de Oliveira.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forte presa di posizione dei vescovi della Malaysia, che denunciano un caso di violazione di libertà religiosa nel Paese a maggioranza musulmana.

 

La stabilità militare tra Etiopia ed Eritrea non potrà mai essere garantita senza progressi nel processo politico

 

Sale a quattro il numero dei giornalisti misteriosamente uccisi in Messico nel 2004

 

Ieri le celebrazioni in memoria dell’arcivescovo Joachim Ruhuna, assassinato 8 anni fa

 

Concluso ieri a Zagabria l’incontro dei rappresentanti della Conferenza episcopale ungherese e croata

 

“Pio II e le arti al debutto del Rinascimento”: è il titolo del singolare Convegno dedicato alla figura di Papa Piccolomini

 

24 ORE NEL MONDO:

 In Iraq almeno 45 guerriglieri sono morti in un ennesimo attacco condotto dalle forze americane. In un nuovo video il numero due di Al Qaeda ha detto che in Iraq e in Afghanistan è imminente la sconfitta degli Stati Uniti

 

Si è concluso in Burkina Faso, il vertice straordinario dei Capi di Stato e di governo dell’Unione Africana sull’occupazione e la lotta contro la povertà in Africa.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 settembre 2004

 

 

ALLA VIGILIA DEL TERZO ANNIVERSARIO DEGLI ATTENTATI DELL’11 SETTEMBRE

  IL PAPA RICEVE UN GRUPPO DI VESCOVI STATUNITENSI IN VISITA AD LIMINA

- Riflessione del cardinale Justin Francis Rigali, arcivescovo di Philadelphia

 

Il Papa ha ricevuto oggi nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo un gruppo di vescovi della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, giunti a Roma lunedì scorso per la visita “ad Limina”. Domani l’incontro conclusivo si svolgerà proprio in occasione del terzo anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001. Ascoltiamo in proposito la riflessione del cardinale Justin Francis Rigali, arcivescovo di Philadelphia, raccolta dal collega Charles Collins:

 

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R. - Nel corso di questi ultimi tre anni, dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, si è sviluppata una grande paura, non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Il ruolo della Chiesa è proprio quello di offrire al mondo una grande speranza, una grande fiducia, proprio quella speranza e quella fiducia che vengono dal Vangelo. I credenti ricevono da Cristo la sua pace: per questo, la Sua promessa di pace è più significativa che mai. Ecco perché alla fine non ci perdiamo d’animo: abbiamo davanti a noi veramente una grande sfida, che poi è la sfida perenne nella Chiesa. La sfida di avere fiducia nella misericordia del Signore e di impegnarci sì, nella preghiera e nell’azione, ma sempre con la fiducia che viene da Gesù Cristo stesso.

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ALTRE UDIENZE

 

Sempre oggi, a Castel Gandolfo, il Papa ha ricevuto in successive udienze mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, con i familiari, e il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina, con forte evidenza, il titolo "Buio nella storia dell'umanità". Segue, con altrettanto rilievo, "Ma i nemici dell'uomo non potranno prevalere".

Al centro della prima pagina una riflessione in cui si sottolinea che l'11 settembre 2001 un'ombra minacciosa si è allungata sulla storia dell'umanità, oscurandola. In questi tre anni altri tragici eventi hanno seminato morte e distruzione: da Bali a Madrid, da Beslan a Baghdad, persone innocenti continuano ad essere bersaglio di criminali attacchi. La riflessione si conclude evidenziando che ora più che mai c'è bisogno di autentici operatori di pace, nonché di persone che abbiano il coraggio di gettare ponti e non di scavare fossati tra i popoli.

Sempre in prima, Iraq: i sequestratori delle due operatrici umanitarie impongono all'Italia un ultimatum di 24 ore.

Indonesia: ancora una volta si esprime l'aberrante logica di chi fa della propria vita uno strumento di morte.

 

Nelle vaticane, l'omelia del cardinale Justin Francis Rigali durante la concelebrazione eucaristica presieduta, nella Basilica di San Pietro, con i presuli statunitensi in visita "ad Limina".  

 

Nelle estere, per la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo di Giuseppe Fiorentino dal titolo "11 settembre: la polvere di 'Ground Zero' si è posata su tutto il mondo". 

 

Nella pagina culturale, un contributo di Franco Patruno in merito all'XI Biennale d'arte sacra a San Gabriele dell' Isola del Gran Sasso.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano un articolo dal titolo "Iraq: diplomazia al lavoro per salvare le due volontarie". Fiaccolate in diverse città per chiedere la liberazione degli ostaggi e contro ogni violenza.  

 

 

 

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RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

OGGI IN PRIMO PIANO

10 settembre 2004

 

 

IN DARFUR E’ STATO COMPIUTO UN GENOCIDIO:

COLIN POWELL PUNTA IL DITO CONTRO IL GOVERNO DEL SUDAN DOPO

UN’INCHIESTA DEL DIPARTIMENTO DI STATO AMERICANO

- Intervista con il giornalista Domenico Quirico -

 

Genocidio. Dopo molte esitazioni, gli Stati Uniti non hanno più alcun dubbio: nella regione sudanese del Darfur - afflitta da una guerra civile che ha causato decine di migliaia di morti ed oltre un milione di sfollati - le milizie Janjaweed appoggiate dal governo di Khartoum hanno commesso un genocidio. Ad affermarlo, ieri, dinnanzi al Congresso americano è stato il segretario di Stato americano, Colin Powell. Denuncia ribadita attraverso un comunicato della Casa Bianca. Intanto, sono stati sospesi - fino al 14 settembre - i negoziati tra governo sudanese e ribelli del Darfur, in corso ad Abuja. Le parti avranno un incontro con il presidente nigeriano Obasanjo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“A GENOCIDE HAS BEEN COMMITTED IN DARFUR…”

 

Senza mezzi termini. Per il capo della diplomazia americana, nel Darfur è stato compiuto un genocidio. Powell ha puntato il dito contro le milizie arabe Janjaweed, i famigerati “diavoli a cavallo”, e con loro contro il governo di Khartoum. La presa di posizione degli Stati Uniti si basa su un’inchiesta condotta quest’estate nella martoriata regione da funzionari del Dipartimento di Stato americano. Tuttavia, si preannuncia un braccio di ferro al Palazzo di Vetro sul Darfur: la Cina, membro permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha già espresso la sua contrarietà al progetto di risoluzione messo a punto dagli Stati Uniti con la prospettiva di sanzioni contro il Sudan. Sulla “svolta” di Washington, abbiamo raccolto il commento di Domenico Quirico, africanista e responsabile della redazione Esteri del quotidiano “La Stampa”:

 

R. – Gli Stati Uniti e lo stesso Powell hanno impiegato mesi a disquisire sull’uso del termine “genocidio”. Questo è un fatto ed una colpa che ricade sugli Stati Uniti. Credo che gli USA vogliano passare attraverso l’ONU senza fare nulla di concreto o limitandosi a delle minacce verbali, sperando che il regime di Kharthoum metta la testa a posto. Cosa, questa, assai improbabile.

 

D. – Gli Stati Uniti solo adesso parlano di genocidio, l’Unione Europea ha maggiori difficoltà ad utilizzare questo termine. Quindi quale può essere la strategia per risolvere questa crisi?

 

R. – L’Europa, nel caso del Darfur, è stata non solo assente, ma addirittura silenziosa. I meccanismi di intervento erano: utilizzare gli africani. La nascita dell’Unione Africana consentiva di salvarsi l’anima, fornendo un po’ di denaro per le operazioni che avrebbero dovuto essere compiute dagli africani stessi. Non si è mosso sostanzialmente nessuno. La vecchia paura di mettere il naso negli affari degli altri, che poi potevano diventare anche i propri, ha sostanzialmente paralizzato qualsiasi tipo di intervento.

 

D. – Il governo di Khartoum ha reagito in modo duro alle critiche di Washington, affermando che la questione del Darfur è “un problema tribale interno”. Quanto può reggere questa posizione da parte dell’esecutivo sudanese?

 

R. – Io non sottovaluterei le capacità temporeggiatrici del regime di Khartoum, che è riuscito a perpetrare un doppio genocidio in questi ultimi 15 anni: prima contro le popolazioni animiste e cristiane del sud e poi contro le popolazioni del Darfur, senza che la comunità internazionale abbia sostanzialmente mosso un dito. La tattica di Khartoum è abbastanza chiara: guadagnar tempo, dividere gli avversari, offrire dei piccoli passi in avanti e poi compierne dieci indietro, rendere la situazione della pulizia etnica nel Darfur talmente completa da far diventare inutile qualsiasi intervento internazionale.

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IN OSSEZIA, DOVE IL PARLAMENTO HA ELETTO ALAN BORADSOV COME NUOVO PREMIER RESTA DRAMMATICA LA SITUAZIONE

DEI BAMBINI SOPRAVVISSUTI ALLA STRAGE DI BESLAN

- Intervista con Fabrizio Dragosei -

 

Il parlamento dell’Ossezia del nord ha eletto oggi l’ex ministro dei Trasporti, Alan Boradsov, come nuovo premier. La camera alta del parlamento russo, inoltre, formerà una commissione d’inchiesta per far luce sul sequestro della scuola. E’ stato identificato, intanto il capo del commando: si tratta dell’inguscio Ruslan Kuchbarov che secondo i servizi segreti russi è in fuga. Più della metà delle vittime, il cui bilancio è salito a 339, sono minori. Sulla drammatica situazione sanitaria dei bambini sopravvissuti al massacro, Roberto Piermarini ha raccolto la testimonianza dell’inviato del Corriere della Sera a Beslan, Fabrizio Dragosei:

 

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R. – I bambini sono ancora molto, molto gravi. Sono stati feriti con colpi sparati anche alla testa perché i terroristi sparavano per uccidere. In tutti gli ospedali sia di Beslan che di Vladikascav, la capitale dell’Ossezia del Nord, continuano ad esserci dei decessi.

 

D.- Ci sono stati episodi di eroismi?

 

R. – Questi episodi continuano a venir fuor un po’ per volta. Adesso mi hanno raccontato di come sono morti i due uomini della protezione civile i quali, poco prima dell’esplosione della bomba, stavano andando verso la scuola perché in base ad un accordo raggiunto tra i negoziatori e i terroristi dovevano rimuovere i corpi delle persone uccise il primo giorno nelle fasi immediatamente seguenti al sequestro. Stavano entrando nel giardino della scuola quando c’è stata l’esplosione e poco dopo si sono visti arrivare incontro una bimba e quindi si sono affrettati a prenderla per portarla via. Dal tetto un terrorista ha sparato e li ha uccisi tutti e due. Fortunatamente la bimba è riuscita a  scappare ed è in salvo.

 

D. – Come sta vivendo Beslan?

 

R. – E’ il momento della ripresa della vita normale. Ieri, e anche questa mattina, ho rivisto per la prima volta bambini che giocavano per strada, due bambine col fiocco bianco nei capelli che andavano a spasso normalmente. Dopo  il dolore e la ripresa della vita normale c’è anche la rabbia e il pericolo che possa riprendere anche un odio interetnico che qui è fortissimo. Beslan è vicinissima alla frontiera con l’Ingushezia e tra osseti ed ingusci i rapporti sono tesissimi. Gli ingusci sono musulmani; c’è stata una guerra tra i due Paesi nel 1992; i terroristi sono venuti dall’Ingushezia, ma sono sicuramente ceceni, bande che fanno capo alla guerriglia cecena. Qui molti osseti vedono i vecchi nemici dietro a quello che è successo. Credo che sarà un compito non facile di Putin e delle autorità russe quello di tenere a freno questo odio interetnico, perché il Caucaso è una polveriera e non solo il Caucaso, ma anche tutta la Federazione russa o buona parte della Federazione russa ha al suo interno delle situazioni di fortissime tensioni che potrebbero anche esplodere.

 

D. – A Beslan c’è stata una risonanza delle manifestazioni in Italia in favore dei bambini dell’Ossezia?

 

R. – Sì, c’è stata una risonanza fortissima. Ha colpito tantissimo la manifestazione di Roma con 150 mila persone in piazza, così abbiamo letto nei giornali russi. Un numero superiore a quello sceso in piazza a Mosca, dove per altro erano state mobilitate dalle autorità. Ha colpito moltissimo l’iniziativa delle candele e ha colpito soprattutto tanto il fatto che l’Italia sia arrivata con degli aiuti. Immediatamente è arrivato un aereo con dei medicinali nel momento del grande bisogno.

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I PROBLEMI DEL MEDIO ORIENTE AL CONVEGNO DEI DEHONIANI A CAMALDOLI

- Intervista con padre Lorenzo Prezzi -

 

         La relazione del cardinale Achille Silvestrini ha aperto oggi nel monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, il convegno  annuale organizzato dalla rivista “Il Regno” dei Dehoniani di Bologna.  L’appuntamento di quest’anno guarda al significato biblico-teologico di Gerusalemme e analizza le radici storico-religiose dei conflitti mediorientali. Ma qual è l’obiettivo di questo convegno. Giovanni Peduto lo ha chiesto al direttore della rivista “Il Regno”, padre Lorenzo Prezzi:

 

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R. – Siamo partiti da Gerusalemme come luogo simbolo, dove si concentrano le religioni monoteiste e dove si concentra il più alto numero di conflitti, cercando – attorno al tema di Gerusalemme – le memorie riconciliate nelle singole tradizioni religiose. L’obiettivo è quello del riconoscimento reciproco per trovare nel volto dell’altro la dimora del nome di Dio.

 

D. – Qual è la radice profonda dei conflitti in atto in Medio Oriente?

 

R. – Sono radici molteplici: c’è la radice economica, c’è la radice di strategia politica, c’è certamente la radice di un conflitto nazionalistico fra la tradizione islamica e la tradizione ebraica, che non si dava fino a qualche decennio fa. Ma, al di là di tutto, c’è soprattutto il confronto interno delle società islamiche fra due progetti di società totalmente diversi.

 

D. – Quali sono le speranze? Come uscire da questo periodo così tragico?

 

R. – Io richiamo alcune espressioni usate da mons. Tessier, proprio qui a Camaldoli un paio di anni fa: con la sottolineatura di ogni gesto di rapporto umano arricchente, di ogni riconoscimento dei diritti umani per tutti e del perseguimento di una identità religiosa che deve essere diversa ma radicata nel suo messaggio più autentico e profondo.

 

D. – Quale dialogo si può avere con l’Islam dal momento che la presenza dei cristiani nel mondo arabo è sempre più difficile?

 

R. – In merito al problema di una fuga consistente, ed ormai quasi finale, dei cristiani dai Paesi islamici e del Medio Oriente va certamente chiesto rispetto per la tradizione cristiana e va messo in campo un dialogo mirato con quelle forze dell’Islam che sono in grado di sviluppare un dialogo reale. A livello di religioni ma a livello di società civile va richiesta anche la reciprocità.

 

D. – Un suo commento sulle parole del Papa: “Mai più la guerra, sconfitta della ragione e dell’umanità”?

 

R. – Sono, queste, parole di grande profilo. Credo che siano le parole della sua esperienza di vita, ma sono anche le parole che danno la tendenza della ricerca della Chiesa nei confronti della guerra, che è sempre meno legittimata.

 

D. – Allo stesso tempo, Giovanni Paolo II afferma che “servono fermezza e decisione nel combattere gli operatori di morte e che occorre sradicare quanto può favorire il terrorismo, la miseria, la disperazione, il vuoto dei cuori….”:

 

R. – Questa è la parte più realistica. Certamente va messa in atto una capacità di governo e di blocco per quanto riguarda il terrorismo, ma all’interno di un potere condiviso e quindi del multilateralismo a livello mondiale, di azioni umanitarie mirate ed un uso della forza legittimato. Solo così si possono veramente combattere gli operatori di morte.

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“POSTGLOBAL. LE NUOVE SFIDE DELLA DEMOCRAZIA” AD ORVIETO

L’INCONTRO DI STUDI DELLE ACLI

- Intervista con Luigi Bobba -

 

         Si ai valori cristiani nella politica senza per questo avere la necessità di un partito unico dei cattolici o, addirittura, ricostituire la Dc. Intorno a questa  premessa si tiene ad Orvieto oggi e domani il tradizionale incontro studi delle Acli. Le associazioni Cristiane Lavoratori Italiane si inseriscono quindi nel dibattito sui cambiamenti che la democrazia italiana sta attraversando. Per il presidente, Luigi Bobba, sono tre le sfide che in questo momento interessano la politica. Sentiamolo intervistato da Alessandro Guarasci

 

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R. – Anzitutto i generi: le donne hanno fatto una bella corsa nel mercato del lavoro e delle professioni, ma invece sono fortemente sottorappresentate nelle istituzioni sia locali che nazionali. Poi, secondo, le generazioni: un Paese che invecchia, dove gli anziani sono diventati più numerosi dei ragazzi e dei giovani, è un Paese che deve ripensare anche le sue stesse istituzioni democratiche, estendendo anche ai minori il diritto di voto per rappresentare i diritti e le attese delle generazioni future. Infine, le religioni: tra gli immigrati c’è anche una componente rilevante di religione musulmana, che rappresenta ormai la seconda comunità religiosa. Credo che questo cambiamento debba portare a nuove regole, in modo tale che le diverse identità religiose si incontrino anziché scontrarsi.

 

D. – Bobba, lei ritiene che la dottrina sociale della Chiesa possa aiutare a vincere queste sfide?

 

R. – Io credo proprio di sì. Lì ci sono quei criteri di orientamento e soprattutto le risorse per non rassegnarsi a questo indebolimento della democrazia e per far sì che questa democrazia possa essere, allo stesso tempo, più partecipata ma anche più capace di generare equità, condivisione, libertà e giustizia.

 

D. – Lei, in più di qualche caso ha detto che ormai non ha più senso un partito unico dei cattolici. Ma allora i cattolici ed i cristiani in Parlamento come possono fare fronte comune su alcune tematiche?

 

R. – Ho detto che mi sembra oggi irrealistico e velleitario questo disegno. Questa constatazione ci spinge a costituire e ad individuare una vera e propria agenda su cui i cattolici, nel sociale e nella politica, ovunque collocati, trovino pensieri e forme di azione comune.

 

D. – Bobba a quale condizioni riuscire a vincere la sfida del terrorismo?

 

R. - Credo che occorrano tre strade. La prima è quella di rompere il cerchio della paura: anche qui non rassegnarsi al fatalismo della guerra e del terrore, come l’unica strada su cui il mondo è ormai incamminato. La seconda, isolare e colpire tutte le reti che sostengono, anche finanziariamente il terrore. E, la terza, raccogliere la proposta del cardinale Martino di una sessione straordinaria dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che metta in chiaro gli impegni che tutti ed insieme prendono per poter affrontare questa nuova sfida globale. Non vie unilaterali, non guerre preventive, ma un’azione comune della comunità internazionale.

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SUSCITARE UNA CORRENTE INVERSA AL TERRORISMO

TRA GLI OBIETTIVI DELL’ECONOMIA DI COMUNIONE

CHE PROPONE LA SCELTA DELLA POVERTA’

PER VINCERE LA POVERTA’ DISUMANA E INGIUSTA

 

“Suscitare una corrente inversa al terrorismo”: contribuire con le tante forze positive a quella fraternità che rende possibile la comunione dei beni, la sconfitta delle disparità sociali. La grande attualità dell’Economia di comunione evidenziata da Chiara Lubich questa mattina al Centro Mariapoli di Castelgandolfo di fronte a oltre 650 economisti, ricercatori, imprenditori, lavoratori, studenti, azionisti da 30 Paesi dall’India agli Stati Uniti all’Europa dell’Est e Ovest, per il Congresso dal titolo: “Nuovi orizzonti dell’Economia di comunione”. Servizio di Carla Cotignoli:

 

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“Una delle cause più profonde del terrorismo risiede nello spaventoso squilibrio tra Paesi ricchi e poveri.” che “genera ostilità, vendetta”. E’ quanto ha affermato Chiara Lubich. La prima idea dell’Economia di comunione era nata nel 1991, proprio quando in occasione di un suo viaggio in Brasile, “sorvolando San Paolo era stata colpita dal contrasto tra la selva di grattacieli di quella metropoli e la miseria delle favelas che la circonda. Di qui la sfida lanciata alle imprese: produrre utili a beneficio dei più bisognosi. Destinarli in parte per la formazione di uomini nuovi, atti a questa nuova economia e in parte per l’incremento della stessa azienda. Poco prima era stato presentato a più voci il bilancio di questi 13 anni: aziende e attività di produzione gestite secondo questo progetto sono 800 in tutti i continenti. 470  in Europa. 270 nelle Americhe.

 

Da questa esperienza si sta maturando una visione profondamente evangelica della ricchezza e della povertà – ha detto - il prof. Luigino Bruni, tra i responsabili del Movimento per un economia di comunione. C’è una “povertà subita” – ha detto – da sradicare: E’ la miseria ingiusta e disumana. Ma “c’è un’altra povertà, quella liberamente scelta che costituisce la precondizione per sconfiggere la miseria”. “Tutto ciò che sono ed ho mi è stato donato e quindi deve essere ridonato” La scelta di una vita sobria. Della comunione dei “beni che diventano così ponti”.  E come il Vangelo promette, nella gestione stessa dell’azienda si dà spazio all’intervento del “socio invisibile” col centuplo, la provvidenza. In questa visione anche il lavoro assume un’altra dimensione. Specchiandosi nel Vangelo Chiara Lubich ne ha delineato quasi un decalogo: “far di ogni ora un capolavoro di precisione, di armonia”. “Sfruttare i propri talenti e perfezionarsi”. Lavorare “non solo per il guadagno”, ma per “trasformare in amore  ogni cosa che esce dalle nostre mani”: “i destinatari sono fratelli”. Gesù stesso ritiene fatto a sé ciò che facciamo a loro. “Pesantezza del lavoro, le difficoltà di rapporto, contraddizioni sono la tipica penitenza che non può mancare al cristiano”. Al primo posto tra datore di lavoro, lavoratori “quell’amore reciproco che attira la presenza di Gesà nella collettività”. Gesù che diventa luce per “trovare insieme nuove forme di organizzazioni del lavoro, di partecipazione, di gestione”. Le “aziende diverranno così dimore di Dio con gli uomini, vere anticamere del Paradiso”. L’applauso scrosciante diceva l’adesione entusiasta a quest’altissima proposta.

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DOMANI E DOPODOMANI A ROMA SI CELEBRA

LA GIORNATA DELL’INTERDIPENDENZA PER COSTRUIRE UN MONDO PIU’ UNITO

- Ai nostri microfoni Walter Veltroni, Lucia Fronza -

 

Contribuire alla costruzione di un mondo più unito, di una convivenza che elimini lo scontro tra le civiltà, di un futuro che non si basi solo sulle leggi dei mercati, dell’economia e della finanza. E’ questo, in estrema sintesi, il senso della II Giornata dell’Interdipendenza, in programma per domani 11 settembre  e domenica 12 a Roma e presentata ieri dal Comune, con CIV Wolds, associazione del politologo americano Benjamin Barber, ideatore dell’iniziativa, e le italiane ACLI, Comunità di Sant’Egidio, Lega Ambiente e Movimento dei Focolari. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

 

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“Abbiamo bisogno di un’interdipendenza benevola e democratica, che contrasti con quella malvagia che già ci unisce a livello di problemi. Guardiamo dunque ad un’alternativa alla guerra globale, puntando al dialogo e al rispetto del prossimo”. Così è stata presentata la seconda giornata mondiale dell’interdipendenza che approda quest’anno a Roma. Il sindaco Walter Veltroni:

 

“Quello che ci succede intorno credo che renda sempre più necessaria la convinzione che bisogna lavorare per rendere il mondo un po’ più interdipendente, non solo globalizzato: sono due categorie diverse. La globalizzazione globalizza i mercati finanziari, globalizza le comunicazioni; l’interdipendenza tende anche a mettere in relazione le persone, ai loro bisogni, ai loro diritti ... Abbiamo bisogno di creare le condizioni di un mondo in cui ci sia convivenza e identità. E questa è una grande sfida e speriamo che queste giornate possano andare in questa direzione”.

 

Ma qual è il significato di ‘interdipendenza positiva’, promossa dalla Giornata? Risponde Lucia Fronza, del Movimento dei Focolari:

 

“Da una parte, governare l’interdipendenza, quindi dare delle regole democratiche; dall’altra, dare un’anima a questa interdipendenza, cioè finalizzare l’interdipendenza verso la formazione della famiglia umana, cioè di un mondo più unito. Come dà dei risultati l’interdipendenza negativa, darà dei risultati anche questo tipo di interdipendenza”.

 

Sabato sarà il giorno della memoria, di ogni tipo di violenza con un incontro interreligioso in Campidoglio siglato da un patto di fraternità. Il giorno dopo, per la firma della “Dichiarazione di interdipendenza” nell’Auditorium della capitale, costruire un mondo più unito sarà compito della politica. Ancora Lucia Fronza:

 

“E che sia chiaro: non la politica come ‘i politici’, come una categoria, ma ‘la politica’ come una scelta che ci chiama tutti: cittadini, religiosi, funzionari, politici in senso stretto ... cioè tutti, a dire: ‘Io come posso fare? Qual è il mio impegno, oggi, per fare il mondo più unito?’.

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MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA:

LEONE D’ORO ALLA CARRIERA AL REGISTA PORTOGHESE MANOEL DE OLIVEIRA

 

La fatica di amare e la fugacità della passione nell’attesissimo film “Eros”, girato a sei mani dal cinese Wong Kar-wai, dall’americano Steven Soderbergh e dall’italiano Michelangelo Antonioni. Oggi a Venezia viene anche assegnato il Leone d’Oro alla carriera al novantaseienne regista portoghese Manoel de Oliveira. Il servizio di Luca Pellegrini:

 

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Se Gianni Amelio ha voluto raccontare, in modo abile e struggente, la fatica di vivere e di condividere, tre registi di scuola si sono riuniti per affrontare tre storie sulla fatica di amare. L’antologia cinematografica, attesissima e dalla complessa gestazione , che ne è derivata si chiama “Eros” – fuori concorso -, e gli episodi con i rispettivi autori sono: “La mano” di Wong Kar-wai, “Equilibrium” di Steven Soderbergh e “Il filo pericoloso delle cose” del vegliardo Michelangelo Antonioni. Che dire? Si vorrebbe evitare di fare paragoni, ma quando si progetta un cinema di questa fattura, ahimé, sono inevitabili. Certamente, ciascun autore apporta il suo stile e la sua sensibilità, ed è chiaro che tra Cina, America ed Italia l’eros, inteso come passione, cambia volti e modi. La mano del titolo è quella, poco pudica in un film pudicissimo, della altera signora Hua (una stupefacente, bellissima Gong Li), che intrattiene fugaci rapporti con ricchi clienti nella ex-colonia britannica di Hong Kong, anno 1963.

 

E’ una meditazione sul toccarsi e respingersi, sulla rassegnazione e la disillusione, che investe la vita di un avvenente sarto capace di sacrifici per un amore non condiviso e senza futuro. 39 minuti e 20 secondi di raffinata emozione. I 24 minuti dell’americano Soderbergh ci fanno retrocedere, invece, al 1955, New York. Nick Penrose ha perso il suo equilibrio: non riesce a trovare la pubblicità giusta per una sveglia e il sogno di una donna in blu lo tormenta. La seduta con uno psicanalista lo aiuta davvero? E se sogno e realtà cominciassero a non avere più confini? Intrigante scrittura e piccolo colpo di scena. Esplicito, invece, nell’esibizione della nudità femminile, l’episodio di Antonioni, scritto in modo trasandato dal grande Tonino Guerra. La fine dell’estate su di una costa della Toscana per una coppia in crisi e la presenza dell’altra donna. Il Maestro ci ha fatto vivere ben altre emozioni. Di quattro anni più anziano, classe 1908, ma in piena forma invece, il portoghese Manoel de Oliveira, che oggi riceve un meritatissimo Leone d’Oro alla carriera. Standing ovation inevitabile: ha attraversato un secolo, ha vissuto la storia, è un monumento del cinema. Ora, al Lido, si rimane in attesa dei premi, che saranno assegnati domani.

 

Da Venezia, Luca Pellegrini per Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

10 settembre 2004

 

 

FORTE PRESA DI POSIZIONE DEI VESCOVI DELLA MALAYSIA, CHE DENUNCIANO UN CASO DI VIOLAZIONE DI LIBERTÀ RELIGIOSA NEL PAESE A MAGGIORANZA MUSULMANA. I PRESULI INVITANO I CATTOLICI A SOSTENERE IL NUOVO PRIMO MINISTRO MALAYSIANO, BADAWI, IMPEGNATO NELLA PROMOZIONE

 DEL DIALOGO TRA CULTURE E RELIGIONI

- A cura di Roberta Moretti -

 

KUALA LUMPUR.= I vescovi cattolici della Malaysia sono impegnati per la risoluzione del caso di Shamala, una madre che si è vista negare dalla Corte Suprema del Paese la possibilità di essere ascoltata in merito alla conversione forzata all’Islam imposta dal marito musulmano ai due figli. La Corte, giudicando la donna “incompetente” in materia, ha rimandato la questione alla Corte federale della Sharî‘a. Per contrastare una sentenza certamente a favore del marito, di fede islamica, i legali di Shamala hanno sostenuto che la Corte religiosa non avrebbe giurisdizione sulla donna, in quanto non musulmana. Così Shamala è stata lasciata sola e il suo caso sospeso, a causa di un conflitto fra due sistemi giuridici. I vescovi della Malaysia, in un documento pubblicato di recente, hanno denunciato come il doppio registro della società malaysiana – quello secolare e quello islamico – crei discriminazione verso i non musulmani in problemi legati a conversione, giurisdizione delle Corti, proprietà ed eredità. Questo, in un Paese a maggioranza islamica, la cui costituzione garantisce la piena libertà religiosa. “Non è nell’interesse del figlio”, secondo i presuli, che un genitore lo converta e gli faccia cambiare religione senza che l’altro genitore ne sappia nulla. E per questo hanno sollecitato il governo ed il parlamento a promulgare leggi in cui i diritti costituzionali di libertà di religione e i diritti dei genitori siano sostenuti e protetti dalla Corte. Per evitare un conflitto religioso, mons. Murphy Pakiam, arcivescovo di Kuala Lumpur, ha chiesto ai cristiani di essere un fattore positivo nella società malaysiana e di sostenere l’opera del nuovo primo ministro, Datuk Seri Abdullâh Ahmad Badawi, impegnato nella promozione nel Paese del dialogo tra culture e religioni.

 

 

LA STABILITA’ MILITARE TRA ETIOPIA ED ERITREA NON POTRA’ MAI ESSERE

 GARANTITA SENZA PROGRESSI NEL PROCESSO POLITICO. QUESTO, IL DURO MONITO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN, AI DUE PAESI

 DEL CORNO D’AFRICA ANCORA IN LOTTA PER LA DEFINIZIONE TERRITORIALE,

NONOSTANTE LA FINE DELLA GUERRA NEL 2000

 

NEW YORK.= "Mentre Etiopia ed Eritrea continuano a sottolineare di non avere alcun interesse a scatenare un conflitto armato, entrambi si armano e dichiarano che non esiteranno a rispondere se provocati": lo ha dichiarato ieri il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, riferendosi alle tese relazioni tra i due Paesi del Corno d'Africa, nel suo ultimo rapporto alle Nazioni Unite. La prossima settima, il Consiglio di sicurezza dovrà decidere se rinnovare o meno il mandato della Unmee , la missione Onu nei due Paesi. "La stabilità militare non potrà mai essere garantita finché non ci saranno progressi nel processo politico", ha sottolineato Annan. Da mesi ormai il dialogo tra Etiopia ed Eritrea, per risolvere la contesa territoriale che li portò a combattere una sanguinosa guerra tra il 1998 e il 2000, si è completamente arenato. Una Commissione indipendente istituita dall'Onu ha tracciato in maniera "definitiva e irrevocabile" i nuovi confini tra i due Paesi, ma l'Etiopia continua a non riconoscere questa decisione, mentre l'Eritrea si rifiuta di rimettere nuovamente in discussione tale sentenza. (R.M.)

 

 

SALE A QUATTRO IL NUMERO DEI GIORNALISTI MISTERIOSAMENTE UCCISI IN MESSICO NEL 2004. RITROVATO OGGI IL CADAVERE DEL DIRETTORE DI “MUNDO POLITICO”

 

CITTA’ DEL MESSICO. = Macabra scoperta nello stato di Guerrero, nel sud del Messico. Dopo tre mesi di ricerche la polizia ha ritrovato i resti del corpo di Leogedario Aguilera, direttore della rivista “Mundu Politico”, scomparso misteriosamente nel maggio scorso. Sale così a quattro il numero dei giornalisti messicani uccisi nel 2004. Dura la reazione della categoria che in una lettera al presidente Vincente Fox ha chiesto che “venga garantita la libertà d’espressione, seriamente attaccata nei vari Stati della federazione”. Sul caso Aguilera, inoltre, i giornalisti del Messico esigono che sia fatta giustizia attraverso un’indagine seria e approfondita  e che “ i colpevoli siano giudicati affinché l’impunità non alimenti nuovi attacchi”. Intanto, le autorità hanno fatto sapere di aver arrestato tre persone che sarebbero state coinvolte in una disputa con il reporter. (R. P.)

 

 

IL BURUNDI RICORDA MONSIGNOR JOACHIM RUHUNA. IERI LE CELEBRAZIONI

IN MEMORIA DELL’ ARCIVESCOVO ASSASSINATO IL 9 SETTEMBRE

 DEL 1996 DI RITORNO DA UNA MISSIONE APOSTOLICA

 

BUJUMBURA. = Si sono tenute ieri, in Burundi, le celebrazioni in memoria di monsignor Joachim Ruhuna, arcivescovo della provincia di Gitega, nel centro del Paese. Il presule era stato assassinato con altri sei cristiani il 9 settembre del 1996 di ritorno da una missione apostolica a Burasira.“Non ho paura della morte, la sola cosa che temo è vivere senza Dio”, aveva confessato quasi profeticamente, pochi giorni prima di morire, a chi lo  aveva messo in guardia dai rischi di spostarsi senza scorta in una regione afflitta da una lunga e sanguinosa guerra civile. E proprio contro la guerra, l’arcivescovo Ruhuna aveva speso gran parte del suo operato. Nell’omelia del 15 agosto del 1995 a Mugera, una delle più celebri, aveva detto: “Se Dio mi domandasse di donare la vita perché il Burundi ritrovi la pace, non esiterei un solo istante”. Per far luce sul suo omicidio si è costituita un’associazione, l’AMJR, che non chiede “l’incarcerazione fine a se stessa degli assassini, né una giustizia sotto forma di vendetta, ma il trionfo della verità”. (R. P.)

 

 

“LA COSTRUZIONE DELL’EUROPA DEVE INIZIARE DALLE FONDAMENTA, E CIOE’

DAL CRISTIANESIMO, E NON DAL TETTO”: QUESTO IL MESSAGGIO DELL’INCONTRO

 DEI RAPPRESENTANTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE UNGHERESE E CROATA,

 CONCLUSOSI IERI A ZAGABRIA

- A cura di Aldo Sinkovic -

 

ZAGABRIA. = La posizione della Chiesa nei confronti del processo di integrazione europea e la formazione degli aspiranti al sacerdozio  sono stati i temi esaminati durante l’incontro dei massimi rappresentanti della Conferenza episcopale  ungherese e croata, tenutosi sotto la presidenza dei cardinali Péter Erdő e Josip Bozanic l’8 e il 9 settembre a Zagabria, capitale della Croazia. Il presidente della Conferenza episcopale ungherese mons. István Seregély è convinto che “la costruzione dell’Europa deve  iniziare dalle fondamenta e cioè dal cristianesimo e non dal tetto”.  “La Chiesa in Croazia è aperta per questa collaborazione“ha aggiunto il cardinale Josip Bozanic, confermando che la Conferenza episcopale croata sta intrattenendo i rapporti con le altre Conferenze episcopali e con i vari governi. Il problema delle vocazioni religiose e sacerdotali è sentito in Ungheria a tal punto che i vescovi si sono rivolti alle Conferenze episcopali dei Paesi vicini, chiedendo in prestito i loro sacerdoti per la cura pastorale. Questo appello ha trovato una particolare eco in Polonia. In Croazia la situazione non è ancora tanto drammatica, ma si differenzia da diocesi a diocesi. In alcune, in particolare in quelle del Nord, i giovani rispondono alle chiamate di Cristo, mentre in quelle meridionali e occidentali le vocazioni scarseggiano. I vescovi croati insieme a quelli ungheresi, ricevuti alla fine dell’incontro dal presidente del Consiglio croato Ivo Sanader, hanno promosso un piano per la promozione delle vocazioni nei rispettivi Paesi. E’ stata analizzata inoltre la cura pastorale della popolazione ungherese in Croazia e di quella croata in Ungheria.

 

 

“PIO II E LE ARTI AL DEBUTTO DEL RINASCIMENTO”: E’ IL TITOLO DEL SINGOLARE

CONVEGNO DEDICATO ALLA FIGURA DI PAPA PICCOLOMINI.

L’INCONTRO SI SVOLGERA’ A ROMA TRA IL 23 E IL 25 SETTEMBRE

 

ROMA. = Si aprirà il prossimo 23 settembre, presso il palazzo della Cancelleria apostolica, a Roma, un interessante convegno dedicato a Pio II, personalità legata alla cultura medioevale e in cui si delineano i tratti salienti dell'uomo nuovo rinascimentale. L’incontro, dal titolo “Pio II e le Arti al debutto del Rinascimento”, si protrarrà fino al 25 settembre. L’evento, curato dallo storico dell’arte Claudio Crescentini, rientra nel programma di iniziative organizzate dal Comitato nazionale “Renascentes Artes Aenea Silvio Piccolomini Pio Secundo Pontifice”. I lavori verranno aperti dal una celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Francesco Marchisano. Nelle giornate di studio, alle quali parteciperanno, tra gli altri, l’architetto Roberto Di Paola, presidente del comitato nazionale, Maurizio Calvesi accademico dei Lincei e Christoph L. Frommel, direttore emerito della biblioteca Hertziana, si approfondiranno gli aspetti che legarono Pio II alla cultura artistica del suo tempo, dalla musica, alla situazione delle antichità romane, dagli esordi dell’etruscologia, all’analisi dell’arte figurativa. (B.C.).

 

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24 ORE NEL MONDO

10 settembre 2004

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq, dove proseguono gli sforzi per ottenere la liberazione delle due operatrici umanitarie italiane tenute in ostaggio da un gruppo di guerriglieri, il nord del Paese è stato teatro di un ennesimo attacco da parte delle forze della coalizione. In un nuovo video, intanto, Al Qaeda proclama che i piani americani sono stati vanificati, in Iraq e in Afghanistan, dalle azioni dei mujahidin. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Almeno 45 guerriglieri sono rimasti uccisi nell’offensiva sferrata, nella notte,  dall’esercito americano e dalle truppe irachene a Tal Afar, città nel nord del Paese dove trovano rifugio terroristi di Al Qaeda provenienti dalla Siria. Alla vigilia del terzo anniversario della strage dell’11 settembre e ad un mese dalle prime libere elezioni in Afghanistan, la rete terroristica di Bin Laden ha diffuso un nuovo video. Nel filmato, trasmesso dalla tv del Qatar Al Jazeera, il numero due di Al Qaeda, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri, ha detto che “la sconfitta” degli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan è solo “questione di tempo”. Sulla vicenda dei due giornalisti francesi recentemente sequestrati nel Paese arabo il ministro degli Esteri di Parigi, Michel Barnier, ha dichiarato che i due reporter “sono vivi e sono trattati bene”. Sul sequestro delle due italiane, Simona Pari e Simona Torretta, e dei due collaboratori iracheni dell’associazione ‘Un ponte per’, si deve registrare che i sequestratori, appartenenti al gruppo integralista ‘Ansar al Zawahiri’, hanno lanciato  un ultimatum di 24 ore. Nel messaggio diffuso su un sito internet, la cui attendibilità è ancora da verificare, i rapitori chiedono “l’immediata liberazione di tutte le prigioniere musulmane detenute nelle carceri irachene”. Il vice ministro dell’Interno iracheno, Ali Hussein Kamal, ha dichiarato che la richiesta è inaccettabile. Sul fronte politico, il presidente iracheno, Ghazi al Yawar, che ha espresso la propria ferma condanna per il rapimento delle due volontarie, è stato ricevuto a Roma dal presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Il sottosegretario italiano agli Esteri, Margherita Boniver, inoltre, è a Beirut dove ha incontrato Andree Lahoud, la moglie del presidente libanese. La signora Lahoud ha  assicurato il proprio impegno per favorire la liberazione delle due operatrici umanitarie.

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E per chiedere il rilascio di Simona Pari e Simona Torretta, ieri sera 5 mila persone hanno partecipato ad una veglia di preghiera a Rimini. Questa sera una fiaccolata attraverserà le strade del centro storico di Roma. All’iniziativa è prevista anche la partecipazione, tra gli altri, del vescovo ausiliario della Chiesa Caldea di Baghdad, mons. Warduni. Prosegue, intanto, il dibattito sull’importanza della presenza di organizzazioni umanitarie in Iraq. “Il mondo del volontariato italiano non ha intenzione di lasciare il Paese”, sostiene Sergio Marelli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni non governative italiane, intervistato da Fabio Colagrande:

 

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R. – Le decisioni fino a questo momento sono quelle di non abbandonare assolutamente l’Iraq: i nostri volontari continuano a lavorare per la popolazione irachena. E’ questa, indubbiamente, una decisione che comporta una grande responsabilità. Stiamo verificando, inoltre, la possibilità di momentanei spostamenti del nostro personale per garantire loro la necessaria sicurezza.

 

D. – Chi può essere il mandante del rapimento di tre giorni fa?

 

R. – Questo è un grande interrogativo. Non abbiamo ulteriori elementi, purtroppo, per riuscire a capire chi saranno gli interlocutori con cui trattare per una immediata liberazione dei nostri quattro collaboratori, ma chiunque siano sono criminali che non hanno a che vedere con la società civile irachena. Il loro unico obiettivo, probabilmente, è di minare alla base tutti gli sforzi congiunti dei nostri volontari, delle Ong e della popolazione locale per rimettere su una via di pace questo Paese.

 

D. – Per le trattative vi affidate completamente alle istituzioni?

 

R. – Esclusivamente. Noi stiamo soltanto lanciando degli appelli, perché non vi siano né personalismi, né protagonisti. Queste trattative non possono che essere condotte dagli esperti delle nostre istituzioni e dall’unità di crisi del ministero degli Esteri.

 

D. – Personalmente questa vicenda come l’ha toccata?

 

R. – Direi profondamente. Queste volontarie le conoscevamo. Simona Torretta è dal ’99 in Iraq ed era un po’ il punto di riferimento per tutti. I due collaboratori iracheni, inoltre, sono più che dei colleghi. Sono degli amici e delle persone che con noi hanno condiviso fatiche e rischi e preoccupazioni per ridare un futuro a questo Paese.

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Dopo quasi tre mesi di caccia all’uomo e di scontri che avevano provocato oltre 200 vittime, l’esercito yemenita ha annunciato oggi l’uccisione di Hussein al Houthi, leader religioso fondamentalista alla guida di una ribellione contro le autorità politiche del Paese e contro gli Stati Uniti. Lo sceicco – rifugiato tra le montagne del Maran, non lontano dal confine con l’Arabia Saudita – è stato ucciso insieme a decine di seguaci dopo tre giorni di furiosi combattimenti.

 

L’attentato all’ambasciata australiana in Indonesia, che ha provocato 9 morti ed oltre 180 feriti, era stato annunciato in un messaggio telefonico nel quale si minacciava un imminente atto terroristico in una sede diplomatica occidentale, se non fosse stato liberato il leader islamico Bachir. Intanto, l’organizzazione Jamaah Islamiah, già tristemente famosa per altre azioni terroristiche, ha rivendicato ieri l’attentato suicida a Giakarta.

 

Soldati pakistani e guerriglieri si sono scontrati questa notte nel Waziristan meridionale, regione tribale lungo il confine afghano, nei pressi di Dila Khula. I combattimenti si sono verificati dopo il raid aereo di ieri da parte dell’aviazione pachistana, che ha provocato la morte di 50 presunti terroristi, tra i quali molti stranieri.

 

Non si placano gli scontri nel campo profughi di Jabaliya, nel nord della striscia di Gaza. Il bilancio degli scontri di stamattina – a cui ha partecipato anche un elicottero israeliano – è di un morto – un militante di Hamas – e 7 feriti, tutti palestinesi. Sempre nel nord della striscia, un soldato dello Stato ebraico è stato ferito da un cecchino, e tre razzi Qassam sono stati lanciati in direzione della città di Sderot. La tensione è così alta che il governo israeliano ha ordinato la chiusura di tutti i valichi di transito, per almeno una settimana.

 

Si è concluso ieri a Ouagadougou in Burkina Faso, il vertice straordinario dei Capi di Stato e di governo dell’Unione Africana sull’occupazione e la lotta contro la povertà in Africa. Giulio Albanese:

 

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Ouagadouguou, capitale della solidarietà africana, per combattere disoccupazione e povertà: fenomeni, questi, in costante crescita a livello continentale. D’altronde il prodotto interno lordo dell’Africa sub-sahariana è di circa 330 miliardi di dollari: una cifra irrisoria se paragonata agli oltre 10 trilioni dell’economia statunitense. Nell’aprire i lavori del Vertice organizzato dall’Unione Africana, il presidente di turno, il nigeriano Olusegun Obasanjo, ha definito la disoccupazione come un’epidemia che minaccia il futuro di tutti i Paesi africani e che finora ha impedito a tre quarti degli uomini e delle donne del Continente di poter sbarcare il lunario. La forza lavoro in Africa supererà nel 2015 la soglia dei 366 milioni di persona; metà delle quali si concentreranno – in cerca di lavoro – intorno alle grandi aeree urbane. D’altronde i governi africani si sono impegnati molto sulla crescita economica senza però mettere a punto adeguate politiche occupazionali. La crescita senza impiego aumenta la disuguaglianza sociale e, invece di favorire la diffusione della ricchezza, la fa concentrare sempre più nelle mani di pochi. Tra le possibili soluzioni emerse spicca l’aumento degli investimenti nel settore agricolo, elemento trainante di gran parte delle economie del continente.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Passi in avanti, in Liberia, sulla via della pace. Nella contea settentrionale di Lofa, storica roccaforte della ribellione, oltre 200 combattenti del movimento dei ‘Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia’ (LURD) hanno consegnato le armi ai caschi blu dell’Onu, unendosi ai 60 mila che lo avevano già fatto in altre zone del Paese. Entro fine ottobre, il processo dovrebbe essere completato ed il Lurd – che partecipa al governo di unità nazionale – si trasformerà ufficialmente in un partito politico.

 

La Giamaica teme per l’arrivo del ciclone Ivan, atteso tra domenica e lunedì sulle proprie coste. Dopo aver devastato Grenada e dopo aver colpito duramente Trinidad e Tobago, il Venezuela e la Repubblica dominicana, l’uragano sta avanzando a 20 chilometri orari: il governo ha chiesto a 500 mila persone di abbandonare le proprie case sulle coste e di ripararsi in chiese e scuole.

 

In Thailandia il virus dei polli, ha causato la morte di un uomo, portando così a 29 il numero di decessi provocati dalla malattia in Asia durante il 2004. Lo ha riferito un funzionario della Sanità locale.

 

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