RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
245 - Testo della trasmissione di mercoledì 1 settembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Tra
qualche ora, l’inaugurazione a Venezia della 61.ma Mostra internazionale d’arte
cinematografica.
CHIESA E SOCIETA’:
La Chiesa cattolica indiana in lutto per
l’assassinio di padre Job, sacerdote dello Stato del Kerala
Contro la piaga delle locuste, i Paesi dell’Africa occidentale
mobilitano l’esercito
La Russia con il fiato
sospeso per la sorte delle 400 persone, studenti, insegnanti e genitori,
sequestrati da un commando kamikaze ceceno in Ossezia del Nord. Ieri una donna
esplosa davanti ad una stazione della metropolitana di Mosca: 10 i morti
In
Iraq, scossa dalla violenza la cerimonia di insediamento del Parlamento;
tornati in libertà 8 ostaggi, nessuna novità per i due francesi. Il massacro di
ieri dei 12 nepalesi accende la tensione a Katmandu
Israele
torna ad insistere sulla costruzione del muro, dopo il duplice attentato di
ieri a Beer Sheva
La
Convention repubblicana ha designato ufficialmente George Bush candidato alle
presidenziali.
1
settembre 2004
IL DOLORE E LA PREOCCUPAZIONE DEL PAPA PER GLI
ATTACCHI TERRORISTICI
IN ISRAELE
E RUSSIA, E PER LA GUERRA IN IRAQ. E L’APPELLO PERCHÉ CESSI OVUNQUE LA VIOLENZA:
ALL’UDIENZA GENERALE DEDICATA
AI FALSI MITI DELLA RICCHEZZA, DEL POTERE, DEL
SUCCESSO
Dolore e preoccupazione ha
espresso stamane Giovanni Paolo II per gli attacchi terroristici in Israele e
Russia, e per la guerra che persiste in Iraq e la sorte dei due giornalisti
francesi: ha rivolto un appello per loro e perché cessi ovunque la violenza. Il
servizio di Roberta Gisotti:
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“Rivolgo un pressante appello
affinché cessi ovunque il ricorso alla violenza, sempre indegna di ogni buona
causa, e perché i due giornalisti francesi siano trattati con umanità e
restituiti incolumi, quanto prima, ai loro cari”. Così il Papa in un messaggio
al termine dell’udienza generale, questa mattina nell’Aula Paolo VI, in
Vaticano. “Con grande dolore e preoccupazione – ha detto - ho appreso le nuove
gravi notizie riguardanti gli attentati terroristici in Israele e in Russia,
dove hanno trovato la morte numerose persone, vittime indifese ed innocenti.
Anche nel tormentato Iraq – ha aggiunto - non si spezza la catena di cieca
violenza che impedisce un pronto ritorno al convivere civile. Alla esecrazione
per la barbara esecuzione dei 12 cittadini nepalesi si accompagna la
trepidazione per la sorte dei due giornalisti francesi ancora ostaggi dei loro
rapitori. Il Santo Padre ha poi ricordato che “ricorre oggi, l°
settembre, l’anniversario dell’invasione della Polonia e dell’inizio della
seconda guerra mondiale, che seminò di lutti l’Europa e altri continenti.
“Ripensando a quei giorni, in questo momento di gravi e diffuse tensioni, - ha
detto - invochiamo da Dio, Padre di tutti gli uomini, il dono prezioso della pace.”
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L’udienza del Papa aveva avuto
come tema la fede e i falsi miti: “il Dio vivente e l’idolo inerte”. La
catechesi è partita dal commento al Salmo 113B, “Lode al vero Dio”. Ce ne parla
Roberta Gisotti:
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“L’idolatria è una tentazione di tutta l’umanità in ogni terra e in ogni
tempo”: è il monito di Giovanni Paolo II, che ha ripreso le parole del Salmista
che contrappone “al vero Dio adorato da Israele”, “gli idoli delle genti”. Ma
cos’è l’idolo? “E’ una cosa inanimata, nata dalle mani dell’uomo, fredda
statua, priva di vita.” Il Salmista la tratteggia “ironicamente” come del tutto
inutile, perché ha bocca muta, occhi ciechi, orecchi sordi, narici insensibili
agli odori, mani inerti, piedi paralizzati, gola che non emette suoni. E’ una
critica spietata agli idoli e poi ancora un “augurio sarcastico” del Salmista:
“Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida.” Il messaggio è
radicale: “Chi adora gli idoli della ricchezza, del potere, del successo – ha
sottolineato il Santo Padre - perde la sua dignità di persona umana”. Come
diceva il profeta Isaia, “I fabbricatori di idoli sono tutti vanità e le loro
opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono
affatto e perciò saranno coperti di vergogna”. Mentre “i fedeli del Signore
sanno di avere nel Dio, potenza di amore e di salvezza, il loro aiuto e il loro
scudo”.
**********
LA CHIESA HA BISOGNO
DELL’AZIONE CATTOLICA: E’ IL MESSAGGIO DEL PAPA
INVIATO IN APERTURA, IERI SERA, DEL CONGRESSO
INTERNAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE A LORETO. SI CONCLUDERA’ IL 5 SETTEMBRE PROSSIMO
CON LA
BEATIFICAZIONE DI ALBERTO MARVELLI
-
Intervista con l’arcivescovo Angelo Comastri -
“Oggi mi preme ripetere ancora
una volta: la Chiesa ha bisogno dell’Azione Cattolica”. Con queste parole di
Giovanni Paolo II, contenute in un messaggio, si è aperto ieri sera il
Congresso internazionale dell’associazione promosso dal Forum internazionale di
Azione Cattolica in collaborazione con il Pontificio Consiglio per i Laici. Il
servizio di Francesca Sabatinelli:
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“La Chiesa ha bisogno
dell’Azione Cattolica che deve avere il coraggio del futuro”: è un forte
incoraggiamento, quello che il Papa rivolge nel suo messaggio all’Associazione
ecclesiale che Giovanni Paolo II incontrerà domenica 5 settembre a Loreto. Il
Papa constata come l’incoraggiamento da lui rivolto ormai due anni fa, appunto
di avere il coraggio del futuro, scelto come tema del Congresso, sia stato
adottato come impegno. Un atteggiamento – spiega poi – che non nasce da una
scelta volontaristica, ma prende consistenza e slancio dalla memoria del dono
prezioso che è stata fin dalla sua nascita l’Azione Cattolica, forza
aggregativa, strutturante e propulsiva di quella corrente contemporanea di
promozione del laicato che trovò solenne conferma nel Concilio Vaticano II.
Grazie ad Azione Cattolica,
generazioni di fedeli hanno raggiunto la piena consapevolezza della propria
co-responsabilità nella costruzione della Chiesa. Ma la memoria – sollecita
anche il Papa – non deve ridursi ad un nostalgico ripiegamento sul passato. E’
il momento per quel rilancio di cui rendono testimonianza le multiformi realtà
dell’associazione. L’Azione Cattolica è sempre stata e dev’essere fucina di formazione
di fedeli, impegnati in prima fila nella difesa del dono sacro della vita,
nella salvaguardia della dignità della persona umana, nella realizzazione della
libertà educativa, nella promozione del vero significato del matrimonio e della
famiglia, nell’esercizio della carità verso i più bisognosi, nella ricerca
della pace e della giustizia e nell’applicazione dei principi di sussidiarietà
e di solidarietà alle diverse realtà sociali interagenti tra loro.
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Il
raduno a Loreto dell'Azione Cattolica Italiana, che ha preso il via ieri sera
con il messaggio del Papa, prosegue con una tre giorni di momenti di festa
e di condivisione di esperienze, di incontri di riflessione e di
formazione. Il raduno nel Santuario
lauretano si iscrive nell'itinerario di rinnovamento dell'associazione, avviato
con la ridefinizione dello Statuto e proseguito con l'adozione di un nuovo
progetto formativo che a Loreto sarà consegnato ai presidenti parrocchiali.
Icona del cosiddetto "anno della fede" che l'AC ha vissuto in
preparazione all’appuntamento di Loreto è stata l'effigie della Virgo Lauretana
che ha visitato negli ultimi mesi le diocesi e associazioni locali di tutte le
regioni italiane. Il pellegrinaggio sarà
concluso proprio da Giovanni Paolo II che, domenica 5, presiederà, nella Piana
di Montorso, la beatificazione di tre "figli" dell'AC: Pietro Tarrés,
Alberto Marvelli e Pina Suriano.
Diverse le prospettive e gli spunti rispetto a tutti gli appuntamenti
precedenti, ma resta lo spirito dell’Azione cattolica al quale aveva aderito il
giovane riminese Alberto Marvelli. Della sua figura, ma innanzitutto del
significato della scelta del Papa di tornare al Santuario della Santa Casa, Giovanni
Peduto ha parlato con l’arcivescovo prelato di Loreto, mons. Angelo Comastri:
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R. – E’ la quinta volta che il
Papa torna a Loreto, ma ogni volta che torna il Papa è una novità, è un dono
straordinario. Per me personalmente, il ritorno del Papa a Loreto è un regalo
della Madonna. Un regalo di Maria ai pellegrini che vengono a Loreto e
riconoscono nel Papa il grande devoto di Maria. E’ l’uomo, affascinato dalla
bellezza di Maria, che ha rientusiasmato il popolo cristiano nella devozione
verso la Madre del Signore, riportando la devozione a Maria alle radici
bibliche. E questo è un grande dono che il Papa ha fatto alla Chiesa.
D. – Quale luce, per la Chiesa,
viene da Loreto?
R. – Loreto è il Santuario del ‘sì’ di Maria. Le povere
pietre, che formano la Santa Casa di Loreto, non sono altro che la memoria del
‘sì’ più impegnativo di tutta la storia. Il ‘sì’ che ha aperto a Dio una strada
dentro la nostra storia. Visitare Loreto vuol dire riascoltare quel ‘sì’, in
qualche modo, respirare l’‘Eccomi’ di Maria, per imparare da Maria lo stile del
‘sì’ e per imparare da Maria la fedeltà al ‘sì’. Loreto sta tutto in questo
mistero. Un ‘sì’ che ha cambiato la storia, un ‘sì’ che ha bisogno di essere
imparato, ancora oggi, per poter cambiare la storia di oggi.
D. – Chi era Alberto Marvelli,
che il Papa ha definito l’‘ingegnere manovale della carità’?
R. – Era un giovane riminese,
esattamente un ingegnere. Un giovane che, raggiunta la laurea in ingegneria,
durante la seconda guerra mondiale mise in atto una rete di carità
impressionante. E due cose sono belle in questo giovane: prima di tutto era un
giovane e come giovane si è fatto santo. In questa maniera Marvelli ci ricorda
che la giovinezza non è l’età della spensieratezza, né l’età del tempo da
bruciare e da buttar via, non è l’età dei capricci e dei divertimenti. La
giovinezza è il tempo più bello nel quale si può fare il bene. San Filippo Neri
diceva ai giovani dei suoi tempi: “Beati voi giovani che avete tanto tempo per
fare del bene!”. Alberto Marvelli l’aveva capito e ricorda ai giovani proprio
questa verità. Seconda cosa, era un giovane cristiano impegnato in politica ed
in politica ha lasciato un segno di pulizia, di trasparenza, di dignità, di
correttezza, che è un grande messaggio per i politici di oggi. Si può essere in
politica e si può essere santi. Anche questo è un grandissimo messaggio che
viene dalla vita di Alberto Marvelli.
D. – In particolare, ai giovani
di oggi, quale testimonianza ha lasciato Alberto Marvelli?
R. – Alberto Marvelli parla tantissimo ai giovani d’oggi.
Io ricordo un incontro di poco tempo fa. Avevo fatto una conferenza sulla
responsabilità educativa dei genitori, in un paese qui delle Marche. Terminata
la mia riflessione ci fu un po’ di dibattito, un po’ di approfondimento, poi ci
salutammo con i genitori. Uscendo dalla sala dell’incontro mi avvicina un papà
di 50-55 anni, penso, non di più, fuori della chiesa e mi dice: “Vede, io
faccio il giornalaio. Ho un figlio quasi trentenne. Tutti i venerdì, sabato e
domenica li passa nei divertimenti, tutta la notte. Poi ritorna alle 5, o alle
6 del mattino. Io vado ad aprire l’edicola, mio figlio mi passa davanti e mi
fa, ormai da tanti anni, ‘Buongiorno papà’, ed io gli faccio con tristezza ‘buona
notte figlio mio’”. Io lo guardo e non commento. Quell’uomo mi dice: “Padre, le
sembra vita, questa?”. Allora io prendo la parola e dico: “Questa non è vita.
Questo è morire da vivi”. Alberto Marvelli ricorda ai giovani che la giovinezza
si può vivere in maniera completamente diversa e, vivendola come l’ha vissuta
lui, la giovinezza è bella e rende felici.
D. – Qual è il senso di questo
pellegrinaggio nazionale dell’Azione Cattolica Italiana a Loreto?
R. – L’Azione Cattolica è una
grande associazione di laici cristiani. La potremmo definire una casa dove
tanti battezzati hanno imparato a vivere il Battesimo. Una casa dove tanti
battezzati hanno imparato a vivere la santità nella loro professione. Oggi, noi
ci troviamo in un momento particolare: la società si sta scristianizzando, ci
sono tante aggressioni ai valori cristiani che sono stati l’eredità preziosa
della società italiana. Oggi c’è bisogno di nuovo, di laici missionari, di
laici che nella vita quotidiana profumino di Vangelo e rientusiasmino la gente
a vivere il Vangelo. L’Azione Cattolica torna a Loreto per prendere da Maria la
nota della missione, per uscire dalla casa di Nazareth e andare nelle strade
del mondo a cantare il Vangelo, come ha fatto Maria.
D. – Oggi, tanti cristiani
vivono la propria fede in modo individuale. Cosa vuol dire essere cristiani in
un’associazione, in un movimento, in una comunità?
R. – La fede va vissuta in
chiave personale, questo sì, ma non individuale. Personale vuol dire che io
rispondo personalmente delle mie scelte, delle mie azioni, di quello che io
faccio. Ma io, la fede, la devo vivere insieme agli altri. La fede mi fa
comunità, mi chiama ad essere comunità, mi convoca per fare la comunità. Non
per nulla, Ecclesia, o Eclesìa, in greco, vuol dire convocazione.
La Chiesa è una convocazione e si è convocati insieme, perché entrare nel mondo
della fede vuol dire rifiutare l’egoismo, perché l’egoismo è l’opposto di Dio.
Allora, la fede si deve vivere personalmente ma insieme agli altri, facendo
comunità, perché facendo comunità noi siamo insieme una fotografia di Dio, che
è il più grande mistero di comunione che ci possa essere.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Il
pressante appello di Giovanni Paolo II - all'udienza generale - affinché cessi
ovunque il ricorso alla violenza apre la prima pagina.
Il
dolore e la preoccupazione per gli attentati terroristici in Israele e in
Russia, e per il tormento dell'Iraq dove è impedito il ritorno al convivere
civile. La richiesta di liberare i giornalisti francesi tenuti in ostaggio - La
preghiera per la pace nell'anniversario dell'invasione della Polonia.
Sempre
in prima, la notizia del barbaro assassinio, in India, di un sacerdote cattolico.
Nelle
vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.
La
Lettera del Papa al Cardinale Eugenio de Araujo Sales per la nomina a suo
Inviato Speciale alle celebrazioni per il centesimo anniversario dell'incoronazione
di N.S. Aparecida.
Un
articolo sulla Santa Messa a vent'anni dalla nomina del prof. Mario Agnes a direttore
de "L'Osservatore Romano"
Nelle
estere, Russia: bambini in ostaggio del terrore. Commando sequestra 400 persone
in una scuola in Ossezia del Nord.
In
Nepal orrore e sdegno per la strage dei connazionali perpetrata in Iraq.
Un
articolo di Gaetano Vallini dedicato all'apertura del Congresso internazionale
dell'Azione Cattolica a Roma.
Nella
pagina culturale, un articolo di Paolo Miccoli dal titolo "Heidegger interprete
della vita religiosa": la lettura di Agostino del filosofo tedesco.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema del lavoro.
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1
settembre 2004
DIETRO L’ETICHETTA DEL TERRORISMO ISLAMICO,
INTERESSI DIVERSI E SCENARI COMPLESSI
- Intervista con Guido Olimpio -
Iraq, Medio Oriente, Caucaso: tre scenari sconvolti nel
giro di poche ore dalla violenza. Una serie di azioni, avvenute quasi in
contemporanea, che hanno provocato numerose vittime civili. Definirle
‘terrorismo islamico’, come verrebbe istintivo fare, significherebbe limitarsi
ad un’analisi superficiale. In Iraq, ad esempio, gli attentati falliti contro
Ahmed Chalabi, ex leader del Congresso nazionale, nascondono interessi diversi.
Andrea Sarubbi ne ha parlato con Guido Olimpio, esperto del Corriere della
Sera:
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R. – Chalabi è un personaggio
controverso. Era l’uomo degli americani prima della guerra e fino alla
conquista di Baghdad. Poi, lentamente, gli americani hanno preso le distanze,
quando si è scoperto che Chalabi aveva raccontato cose non vere sulle armi di
distruzione di massa e sui legami tra Al Qaeda e Saddam: tutte quelle
motivazioni, cioè, cui Washington era ricorsa per giustificare la guerra. Ma le
ragioni di questi attentati contro di lui sono anche altre: Chalabi aveva una
sua milizia, che ha ancora in parte, e l’ha utilizzata per regolare diversi
conti con i suoi avversari interni. È possibile, dunque, che gruppi della
resistenza islamica vogliano ucciderlo, così come anche dei sunniti, in quanto
lui è sciita. I suoi nemici sono tantissimi.
D. – Terrorismo ieri anche in
Israele, proprio nel giorno in cui Sharon aveva annunciato il piano di ritiro
da Gaza. Secondo te è una coincidenza?
R. – Può trattarsi di una
coincidenza, ma può anche esserci stata una preparazione: è possibile, cioè,
che questi kamikaze fossero in attesa di un ordine. Chiaramente, gli attentati
di ieri hanno la loro radice in Hamas, che voleva vendicarsi per l’uccisione di
Rantissi e dello sceicco Yassin. Ci aveva già provato diverse volte, senza
riuscirci. Noi diamo sempre notizia degli attentati riusciti, ma negli ultimi
due o tre mesi ci sono state decine di tentativi. Questa volta, ce l’hanno fatta.
D. – Israele ha già detto che
reagirà. C’è quindi da aspettarsi che il conflitto si allarghi ulteriormente?
R. – C’è da attendersi una
risposta. E’ indicativo quello che hanno detto le fonti israeliane stamattina:
ritengono che Hamas vada colpita sia all’interno dei Territori che all’esterno.
C’è stato un riferimento esplicito a Damasco, accusata di ospitare la struttura
esterna di Hamas, da cui partono molti ordini. Da circa un anno, questa guerra
non ha più confini e va oltre quelli palestinesi ed israeliani.
D. – Passiamo al Caucaso:
stamattina la scuola in Ossezia, ieri la metropolitana di Mosca, a pochi giorni
dai due Tupolev. C’era da attendersi un peggioramento così netto della
situazione?
R. – Diciamo che era previsto e
prevedibile. I capi della guerriglia cecena e l’ala più dura avevano minacciato
operazioni di questo tipo: ogni cittadino russo doveva essere considerato un
obiettivo legittimo, perché i russi, a loro volta, colpiscono i cittadini
ceceni. Un’operazione, quindi, largamente attesa. C’era stato già un raid in
giugno in Inguscezia, in cui l’esercito russo aveva dimostrato di essere
scarsamente preparato. Sicuramente, esistono anche delle spinte dell’ala
internazionalista, che noi generalmente chiamiamo Al Qaeda, ma che in realtà è
un insieme di gruppi che si ispirano alla jihad internazionale e che in
questa fase rappresentano un punto di forza del separatismo ceceno. Ecco quindi
che questa spinta da un lato e dall’altro la coincidenza con le elezioni hanno
portato a questi attacchi. Ritengo, poi che l’attacco di oggi alla scuola in
Ossezia sia veramente molto grave.
D. – È facile racchiudere tutti
questi attentati dietro l’etichetta ‘terrorismo islamico’. Tu credi che esista
un legame tra tutte queste azioni terroristiche?
R. – Un legame operativo non
esiste assolutamente. Non c’è, perché è difficile che ci sia. C’è, però,
certamente una “comunione di intenti”, anche se gli obiettivi sono diversi.
Moti di questi attentatori e di queste organizzazioni ritengono che l’unico
mezzo sia la lotta armata, da portare avanti anche con i kamikaze e con gli
attacchi ai civili. Ognuno ha poi la sua agenda: Hamas ha la sua, relativa ad
Israele ed ai palestinesi; i ceceni la loro, e via dicendo. Certamente oggi,
con Internet e con la circolazione delle notizie attraverso le tv satellitari,
è abbastanza facile “coordinare” questi attacchi. Ma non ritengo che esista un
“grande vecchio”: Osama Bin Laden vorrebbe esserlo, ed in parte c’è anche
riuscito, ma adesso è tutto affidato alle varie crisi regionali.
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FERMA
CONDANNA, TRA GLI ALTRI, DELLA FEDERAZIONE ITALIANA
MEDICI PEDIATRI
ALLA
DECISIONE DELLE AUTORITÀ OLANDESI DI PERMETTERE L’EUTANASIA
SUI BAMBINI
-
Intervista con Pier Luigi Tucci e Manuel Castello -
Sgomento
nel mondo scientifico per la decisione delle autorità olandesi di autorizzare
una clinica universitaria alla pratica dell'eutanasia su bambini con età
inferiore a dodici anni se colpiti da “malattie incurabili che provocano
sofferenze intollerabili”. Netto il dissenso manifestato della Federazione
Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi. l’Osservatorio sui Diritti dei
Minori chiede al Parlamento europeo l’impegno a far recedere l'Olanda dalla decisione
presa. Il servizio è di Massimiliano Menichetti.
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La
morte “non è la panacea per tutti i mali fisici: la scienza è già in grado di
evitare la sofferenza”. Così il Movimento italiano genitori entra nel dibattito
sull’eutanasia, dopo la decisione della giustizia olandese di permettere
l’induzione della morte in casi di bambini al di sotto dei dodici anni colpiti
da patologie incurabili. Sulla stessa linea Pier Luigi Tucci presidente della
Federazione italiana medici pediatri:
R. –
Credo che ci siano alcune osservazioni riguardanti, primo, il problema di estendere
ad un minore una prassi che è già di per sé discutibile in un adulto. Poi, io
mi preoccupo anche dal punto di vista
del pediatra, perché in qualche modo tocca la radice di quello che è
l’essenza della professione, lo statuto stesso della pediatria, cioè
dell’essere al servizio della vita del nascituro, del neonato e del bambino
fino all’età adolescenziale e adulta.
D. –
Sì, ma spesso chi sostiene l’eutanasia sottolinea che la sofferenza è inaccettabile
...
R. – E’
vero che, in aggiunta al problema della sofferenza dell’adulto, la sofferenza
del bambino ha dei risvolti ancor più difficili da giustificare. Ciò non toglie
che lo scopo del medico è quello di aiutare a lenire queste sofferenze aiutando
la famiglia a ritrovare quei valori di fondo dell’esistenza e della vita.
Il
parlamento olandese é stato il primo al mondo ad approvare la legalizzazione,
molto contestata, dell’eutanasia, con una legge promulgata nell’aprile del
2002. Fino ad oggi tutti i malati incurabili a partire dai 12 anni di età
potevano ricorrervi, adesso il protocollo d’intesa tra la magistratura e
l’università, pur ammantandosi di garanzie mediche, abbatte anche questa
soglia. Ascoltiamo al proposito Manuel Castello, Direttore dell’Istituto
di Clinica Pediatrica dell’Università “La Sapienza” di Roma e presidente dell’Accademia
internazionale di pediatria:
R. – Io
credo che non si possa disporre della vita. Lo dico da un punto di vista
cristiano. Se poi, invece, si parla da un punto di vista scientifico, basta un
solo caso in cui si sarebbe potuto pensare che una persona avrebbe potuto
morire e invece non è morta... Ci sono casi per i quali noi non avremmo avuto
più alcuna speranza, pensavamo che quel bambino sarebbe morto e invece è ancora
vivo!
D. –
Qual è il dovere di un pediatra?
R. – Il
dovere di un pediatra è assistere amorevolmente
tutti i bambini, specialmente quelli che si vede stanno terminando la loro
vita. Ma questo non significa che si debba accelerarne la morte.
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IN TEMA DI MIGRAZIONI UN’ANALISI DEL PUNTO DI
VISTA DI CHI ABBANDONA UN PAESE: LA TESTIMONIANZA DA HAITI
-
Intervista con Richard Gerard -
Mentre si parla molto del
fenomeno migrazione, in particolare in relazione all’arrivo in Paesi europei,
allarghiamo l’orizzonte con un’analisi del punto di vista di chi abbandona un
Paese come Haiti. Giovanni Peduto ha intervistato Richard Gerard, un giovane di
Haiti. Ha 28 anni, studia a Roma presso l’Istituto teologico scalabrinaino, è
prossimo alla licenza in Teologia fondamentale e sarà sacerdote scalabriniano.
Ascoltiamo la sua testimonianza sulla situazione ad Haiti oggi.
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R. – E’ una situazione molto
preoccupante. Abbiamo vissuto ultimamente, all’inizio del 2004, un momento
molto brutto. Purtroppo, nonostante che il presidente sia stato eletto
democraticamente, il popolo non è rimasto soddisfatto del lavoro fatto. Quindi,
la situazione è molto precaria. Stiamo vivendo un periodo di transizione.
Abbiamo, infatti, un presidente ed un primo ministro provvisori. Quindi ci
troviamo in un processo verso la normalizzazione. Speriamo che, prossimamente,
con l’intervento dell’Onu ad Haiti, le cose si aggiustino per il meglio.
D. – Ci sono flussi migratori ad
Haiti e dove si dirigono?
R. – Sì, ci sono e si dirigono
soprattutto verso la Repubblica Dominicana e gli Stati Uniti. La gente va lì,
perché la Repubblica Dominicana è molto vicina ad Haiti. Si tratta della stessa
isola divisa in due parti, che la gente attraversa più facilmente. Si dirigono
anche negli Stati Uniti, perché lì c’è lavoro. Quindi, la gente cerca sempre
con tutti i mezzi di andare negli Usa per il lavoro. C’è anche il Canada. Ma lì
vanno soprattutto gli intellettuali di Haiti.
D. – Quindi c’è un impoverimento
intellettuale del tuo Paese?
R. – Questa è una grande
preoccupazione. Non essendoci le strutture ad Haiti, questa gente cerca altrove
di sviluppare la sua capacità intellettuale.
D. – E’ facile lasciare Haiti e
dirigersi altrove?
R. – Per alcuni è facile,
soprattutto per quelli che hanno i soldi e possono pagarsi il viaggio. Per
altri non lo è e cercano di farlo attraverso le navi, per esempio per andare
verso gli Stati Uniti. Una volta arrivati lì, però, non vengono accolti da
nessuno. Per questo, non è facile per la gente povera andare negli Stati Uniti
o nella Repubblica Dominicana.
D. – Perché la gente lascia il
tuo Paese?
R. –
Innanzitutto per la povertà. E’ uno dei Paesi più poveri del mondo e in America
è il più povero. La gente cerca una vita migliore altrove. Non ci sono poi
strutture. Ad esempio per i nostri giovani non c’è possibilità per un futuro
migliore. La gente, quindi, per tutti questi motivi cerca altrove una vita migliore.
D. – A cosa vorrai
dedicarti in particolare una volta diventato sacerdote?
R. – Io faccio parte della
Congregazione dei missionari di San Carlo, gli scalabriniani, quindi la nostra
missione è rivolta agli immigrati. Il mio lavoro sarà rivolto agli immigrati,
alla mia gente praticamente, perché faccio parte di questa categoria di gente.
Sono contento di dedicarmi definitivamente ai migranti.
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TRA
QUALCHE ORA, L’INAUGURAZIONE A VENEZIA
DELLA 61.MA MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE
CINEMATOGRAFICA.
DOPO
L’IMMANCABILE PASSERELLA DEI DIVI IL PRIMO FILM PROTAGONISTA
FUORI
CONCORSO E’ “THE TERMINAL” DI STEVEN SPIELBERG
-
Servizio di Luca Pellegrini -
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Quando,
in un aeroporto internazionale, ci si avvicina al fatidico sportello, quello
del controllo passaporti, un dubbio ti assale, una crisi d’identità, il
sentirsi straniero in terra straniera, in balia del potere, della burocrazia,
nell’attesa di un fatidico “welcome”. E’ la sensazione più forte ed autentica
che Steven Spielberg, prima di tuffarsi nelle acque dolci della commedia,
condensa nelle prime immagini di “The Terminal”, il film prescelto per
l’inaugurazione, nel tardo pomeriggio di oggi, di questa 61.ma Mostra
Internazionale d’arte cinematografica.
La si
comprende bene, questa sensazione, in tempi di terrorismo e di diffidenza,
soprattutto in un paese, l’America, che si sente assediato. Fa capolino,
dunque, ancora una volta, il dramma contemporaneo del ‘dopo-torri’, mentre si
immagina che Tom Hanks, straordinario Viktor Navorski che parla una lingua
sconosciuta e si muove alla Jacques Tati, arrivi da un immaginario paese
dell’Est europeo a New York (per motivi che saranno svelati alla fine, e sono
commoventi) e rimanga bloccato nell’area internazionale. La sua nazione,
infatti, a causa di un sanguinario golpe, è sparita dalla cartina geografica,
con abolizione delle relazioni diplomatiche e dei collegamenti. Fondato su un
vero caso accaduto anni fa ad un iraniano bloccato al Charles De Gaulle di
Parigi per anni, lo ‘straniero’ sperimenta la necessità della sopravvivenza non
più su di un’isola deserta (come accadeva a Hanks in “Cast Away”) ma nel
crogiuolo di razze e culture del “terminal”.
Ci sono
istanti di piacevole tenerezza ed altri di drammatica denuncia, quando Viktor
deve fronteggiare l’ottusità del sistema, quando l’uomo sembra fatto per le leggi, e non viceversa. Fa
piacere che la solidarietà si metta in moto, oltrepassando barriere altrimenti
oggi invalicabili, per sopperire le primarie esigenze di un innocente
stritolato da un sistema assurdo. E soprattutto che questo messaggio arrivi da
un Paese che parrebbe aver imboccato vie più belligeranti. Nel frattempo
nascono un’impossibile storia d’amore con la hostess Catherine Zeta-Jones ed
altrettante impossibili storie che la fantasia di Spielberg partorisce
assecondando il suo lato più fantasy.
Tributo
all’Italia, invece, per la prima opera della rinata ‘sezione mezzanotte’: si
tratta di un film giovane, crudo e ben diretto da Eugenio Cappuccio, tratto
dall’omonimo romanzo di Massimo Lolli, “Volevo soltanto dormirle addosso”.
Nella Milano degli affari, abulica, spietata e distratta, il rampante Marco
Pressi (l’attore Giorgio Pasotti, approdato giustamente al cinema dopo un buon
lancio televisivo) assume l’incarico spiacevole e crudele di un “eliminatore”:
sfrondare di 25 “unità” la multinazionale alla quale dedica, praticamente, la
vita. Per scoprire, alla fine, che la vita è assai più importante della multinazionale.
Infine,
in “Throw down” di Johnnie To, judo, scommesse clandestine e alcool in Cina,
nel surreale di un film cantonese fuori concorso che tenta di portare il manga
animato nella realtà.
Da
Venezia, Luca Pellegrini, per Radio Vaticana.
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1
settembre 2004
LA CHIESA CATTOLICA INDIANA IN LUTTO PER
L’ASSASSINIO
DI PADRE JOB, SACERDOTE DELLO STATO DEL KERALA.
PER LA POLIZIA,
SI E’ TRATTATO DI UN’ESECUZIONE IN PIENA REGOLA.
AI FUNERALI, LA COMMOZIONE DEI FEDELI
NEW DELHI.= La comunità
cattolica del Kerala, Stato dell’India sudoccidentale, è sotto shock per il
brutale assassinio di padre Job Chittilappilly, 71 anni, ucciso la mattina del
28 agosto nella sua residenza della parrocchia di Nostra Signora delle Grazie,
nella città di Thuruthiparambu. Secondo le prime indagini compiute dalla
polizia – riferisce l’agenzia Fides - padre Job è stato trovato morto
alle prime ore del mattino, ucciso da diverse ferite da taglio. Il movente del
delitto resta ancora incerto ma, secondo gli inquirenti, la dinamica
dell’assassinio fa pensare a un’esecuzione in piena regola. Nulla è stato
toccato o prelevato dalla casa del sacerdote, che per 45 anni ha svolto
servizio pastorale nella comunità cattolica di rito siro-malabarese, fortemente
radicata in Kerala. Mons. James Pazhayattil, vescovo di Irinjalakuda, ha
spiegato all’agenzia Fides: “Padre Job stava recitando il Rosario, prima della
Santa Messa che avrebbe dovuto celebrare alle 6,30, quando è stato aggredito e
ucciso a coltellate. La nostra comunità diocesana è profondamente scossa da
questo evento. Non sappiamo chi possa averlo ucciso”.
Secondo fonti della Chiesa locale, il sacerdote aveva ricevuto tempo fa alcune
telefonate intimidatorie che lo minacciavano di morte se egli non avesse smesso
quella che definiamo l’attività di proselitismo. Il sacerdote usava visitare anche
famiglie Indù, dalle quali era accolto volentieri. Padre Job è stato sepolto
presso la Chiesa di Sant’Antonio a Moorkanadu, sua parrocchia di nascita. Al
rito delle esequie, celebrate da mons. James Pazhayattil, hanno partecipato
numerosi sacerdoti, religiosi e fedeli, alla presenza di personalità civili e
politiche. L’episodio è l’ultimo di una catena di aggressioni contro persone e
luoghi cristiani, denunciate di recente dai vescovi indiani. (A.G.)
DOMANI, CENTO METRI PER LA PACE A LORETO: L’EVENTO
E’ PROMOSSO DALL’AZIONE CATTOLICA IN OCCASIONE DEL PELLEGRINAGGIO DEL PAPA AL
SANTUARIO MARIANO.
AL
MOMENTO SPORTIVO SI LEGANO MOMENTI DI PREGHIERA E UNA RACCOLTA
FONDI
PER LE POPOLAZIONI DELL’IRAQ E DELLA PALESTINA
LORETO.= In perfetta
sintonia con lo spirito delle Olimpiadi appena concluse, un nuovo evento
sportivo per promuovere la pace. 4.500 sono i chilometri che uniscono Loreto,
Betlemme e Baghdad. Domani, 45.000 persone percorreranno 100 metri ognuna fino
a raggiungere insieme simbolicamente questi 4.500 chilometri. I partecipanti
correranno questa distanza presso il Santuario mariano di Loreto per lanciare
al mondo un messaggio di pace, unendo idealmente queste tre città attraverso
una staffetta. Si tratta di una delle attività che fanno parte del programma
del pellegrinaggio di Azione Cattolica che culminerà con la presenza di
Giovanni Paolo II il 5 settembre a Loreto. “L’idea è quella di portare un
intenso messaggio di pace al mondo intero”, hanno affermato in un comunicato
gli organizzatori. La staffetta verrà corsa su una pista a quattro corsie
preparata nella piazza antistante il Santuario di Loreto. Per 60 ore si
alterneranno nella staffetta giovani, adulti, disabili, sportivi, personaggi
del mondo della musica, della politica e rappresentanti ecclesiali, compresi
diversi vescovi. L’iniziativa, che prevede momenti di preghiera e
contemplazione, ha il patrocinio dell’Ufficio Nazionale della Cei per la
Pastorale del Tempo Libero, del Turismo e dello Sport, e del Centro Sportivo
Italiano. I “100 metri per la pace” prevedono momenti di preghiera giornalieri,
come la preghiera mariana “Akathistos” di rito orientale, suppliche e
adorazione eucaristica dalle 3.00 alle 5.00 di mattina. La corsa comincerà
giovedì e terminerà domenica. Verrà anche organizzata una raccolta di fondi per
due iniziative di pace: un progetto sportivo ad Ain Arik in Palestina e “Una
casa per l’Iraq”, come segno di solidarietà verso questo Paese. (A.G.)
PORTARE
LA PAROLA DI DIO NELLE CARCERI DI MASSIMA SICUREZZA KENYANE:
E’ LA TOCCANTE
INIZIATIVA DELLE FIGLIE DI SAN PAOLO DI NAIROBI,
CHE HANNO INCONTRATO
CENTINAIA DI DETENUTI
NAIROBI.= Le Figlie di
San Paolo di Nairobi sono riuscite ad entrare nel carcere di massima sicurezza
“Kamiti” per far arrivare a 4000 prigionieri la Parola di Dio. Accordatesi con
il cappellano – riferisce l’agenzia Fides - le suore hanno attraversato i vari
cancelli di sicurezza insieme al nunzio apostolico, mons. Giovanni Tonucci. I
carcerati, preparati precedentemente dai catechisti e dal cappellano, hanno
fatto ala al loro passaggio accogliendo festosamente la visita con canti e
danze. Il nunzio ha potuto celebrare l’Eucaristia animata dagli stessi
detenuti. Nel grande cortile dove erano raccolti, i carcerati hanno potuto
anche rivolgere alcune domande: molte sono state le richieste di spiegazioni,
tutte appropriate e motivate, cui il nunzio ha cercato di rispondere. Tra le
richieste espresse anche quella dell’abolizione della pena di morte e quella di
avere giornali e riviste per sapere cosa succede nel mondo. A tutti è stata
rivolta una parola di fede e molti hanno espresso la loro riconoscenza per
questa visita inaspettata. Le suore hanno distribuito Bibbie in inglese e
swahili e a tutti, prigionieri e guardie carcerarie, è stato consegnato un
libretto con alcune riflessioni spirituali. (A.G.)
CONTRO LA PIAGA DELLE LOCUSTE, I
PAESI DELL’AFRICA OCCIDENTALE
MOBILITANO L’ESERCITO. SECONDO LA FAO, NELLA SOLA
MAURITANIA, GLI SCIAMI
DI INSETTI HANNO DISTRUTTO OLTRE UN MILIONE DI
ETTARI DI TERRA ARABILE
DAKAR.= I Paesi dell'Africa occidentale hanno deciso di utilizzare
l'esercito per fronteggiare la peggiore invasione di locuste degli ultimi 15 anni.
La decisione è stata presa ieri dai rappresentanti di una dozzina di Paesi
della regione che, riuniti a Dakar, si sono accordati sulla creazione di
quattro-cinque basi operative militari (Senegal, Mali, Mauritania e Niger)
incaricate di gestire l'emergenza e combattere gli sciami dei voraci insetti.
Il presidente senegalese, Abdoulaye Wade, ha sottolineato la necessità di
mobilitare l'esercito. “Questa è una vera guerra" ha ribadito più volte -
per coordinare e condurre operazioni di fumigazione nelle aree a rischio. Il
Paese maggiormente colpito dall'invasione di locuste, secondo l'ultimo rapporto
della Fao, resta la Mauritania, dove gli sciami hanno distrutto oltre un
milione di ettari di terra arabile. Gli esperti concordano nel sostenere che
l'eccezionale invasione di quest'anno stia minacciando seriamente le attività
agricole di molti Paesi africani, anche perché coincide con la stagione della
semina. (A.G.)
IN BRASILE SGOMINATA BANDA DEDITA AL TRAFFICO DI
SCHIAVE: DECINE
DI RAGAZZE VENIVANO INVIATE IN SPAGNA E COSTRETTE
A PROSTITUIRSI
BRASILIA.=
La polizia brasiliana ha sgominato in questi giorni una banda internazionale di
traffico di donne, che aveva inviato almeno 56 brasiliane in Spagna negli
ultimi cinque mesi. Una decina di persone sono state arrestate nell'ambito
dell'operazione “Andaluz” a Rio de Janeiro e in altri due Stati brasiliani. La
polizia ha inoltre liberato 7 donne in stato di schiavitù, che la banda
intendeva imbarcare per la Spagna nei prossimi giorni. Adesso l’Interpol e le
autorità spagnole cercheranno di rintracciare le malcapitate, che si trovano
già in Europa e che, secondo le prime confessioni degli arrestati, sono ridotte
in stato di schiavitù e costrette ad esercitare la prostituzione in alcune
città spagnole. Uno degli arrestati ha ammesso che riceveva 200 euro per ogni ragazza
che inviava in Spagna. Gli inquirenti hanno trovato ricevute per almeno 56 biglietti aerei a nome di donne negli ultimi
cinque mesi. (A.G.)
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1
settembre 2004
- A cura
di Barbara Castelli -
La Russia nel mirino dei
terroristi. Un commando kamikaze ha assaltato questa mattina una scuola nella
regione autonoma caucasica dell’Ossezia del Nord, prendendo in ostaggio
centinaia di persone tra studenti, insegnanti e genitori. I terroristi
minacciano di far esplodere l’edificio, se le forze federali non si ritireranno
dalla Cecenia e se non verranno liberati guerriglieri islamico-separatisti
arrestati nel giugno scorso, e minacciano di uccidere 50 bambini per ogni
guerrigliero che venisse ucciso dalle forze speciali che circondano l’istituto;
20 bambini per ogni guerrigliero
ferito. Il comandante dei ribelli separatisti ceceni, Aslan Mashkadov,
ha subito preso le distanze dall’assalto alla scuola di Beslan, mentre secondo
l’agenzia Intar-Tass, 15 degli scolari sono stati rimessi in libertà. Ma le
notizie sono confuse e non è stato chiarito se facciano parte dei 50 ragazzi
riusciti a scappare nel corso della mattinata. L’azione segue di poche ore
l’ennesimo attentato, compiuto ieri sera da una donna kamikaze nel centro di
Mosca, vicino alla stazione Rizhskaia, che ha provocato 11 morti e 51 feriti.
Ed arriva ad una settimana dalla doppia esplosione in volo simultanea dei 2
Tupolev, costata la vita a 89 persone, causata anch’essa da donne suicide. Il
servizio di Giuseppe d’Amato:
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Nell’assalto, tre persone sono
state uccise e 11 ferite. All’interno della scuola sono tenuti in ostaggio in
400. In Russia, il primo giorno di scuola, il 1° settembre, è sempre una festa,
con alunni, insegnanti e genitori tutti insieme. Una cinquantina di ragazzi
sono riusciti a fuggire, mentre numerosi alunni sono legati alle finestre e
tenuti come scudi umani per evitare un blitz. Alcuni studenti riescono a
comunicare con l’esterno, grazie ai cellulari. Il gruppo, composto, secondo alcune
fonti, da 17 terroristi, tutti vestiti di nero, con le donne con i fianchi
cinti da una cintura esplosiva, è arrivato alla scuola a bordo di un camion
rubato alla polizia. Le trattative sarebbero già incominciate. I terroristi
richiedono la mediazione dei presidenti assetino, Dzasochov, ed in
guscio, Ziazikov. Il
ministro della difesa Igor Ivanov ha detto che il terrorismo internazionale ha
dichiarato guerra alla Russia.
Da Mosca, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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In Iraq il
capitolo dei sequestri continua ad essere denso di sviluppi: l’emittente ‘Al
Arabiya’ ha annunciato la liberazione di sette ostaggi, tre kenyani, tre
indiani e un egiziano, da parte della guerriglia irachena. La televisione turca
‘Ntv’ ha riferito, inoltre, che è stato rilasciato un camionista turco
recentemente sequestrato da un gruppo di guerriglieri. Ma oltre a queste buone
notizie si devono registrare, purtroppo, anche nuovi rapimenti. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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Un uomo di affari iracheno, provvisto
di passaporto italiano, è stato rapito ieri pomeriggio a Baghdad. Il governo di Amman ha dichiarato, inoltre, che è stato
sequestrato un cittadino giordano precisando che i guerriglieri hanno richiesto
un riscatto per la sua liberazione. E dopo l’annuncio di un imminente rilascio
dato dai media arabi continua l’angoscia per i due giornalisti francesi tenuti
in ostaggio dai miliziani del sedicente ‘Esercito islamico’. L’ultimatum dei
ribelli è stato prorogato di altre 24 ore e scade questa sera. La Francia si è stretta intorno
alle famiglie dei due sequestrati, ribadendo fermamente il rifiuto del ricatto
dei terroristi. I rapitori chiedono l’abrogazione della
legge che proibisce l’ostentazione nelle scuole pubbliche di simboli religiosi,
tra i quali il velo islamico. Per invocare il rilascio dei reporter si sono
svolte ieri, in tutto il Paese, diverse manifestazioni.
Nella moschea di Parigi la comunità musulmana della capitale ha partecipato ad
una preghiera collettiva alla quale si sono uniti anche il sindaco ed il
ministro dell’Interno. Sul terreno, intanto, un
cittadino iracheno è morto e dodici persone sono rimaste ferite per un attacco
contro la sede del governatore della provincia di Ninive. L’ex esponente
del governo provvisorio, Ahmed Chalabi, è inoltre uscito incolume da un agguato
teso da un gruppo di combattenti al suo convoglio diretto a Baghdad. E forti
esplosioni sono risuonate nel centro della capitale dove stamani si è riunita
la nuova Assemblea nazionale provvisoria per la seduta inaugurale ed il
giuramento dei 100 deputati. Il Parlamento, che affiancherà il governo del
premier Iyad Allawi, sarà chiamato a votare il bilancio dello Stato, a
monitorare l’applicazione delle leggi da parte dell’esecutivo e a sostenere il
processo elettorale. Poco prima della cerimonia di insediamento, colpi di
mortaio sono stati sparati contro la ‘Zona Verde’, il quartiere fortificato
dove hanno sede, oltre agli edifici governativi, anche le ambasciate.
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Il massacro dei 12 ostaggi in
Iraq ha provocato questa mattina una grande protesta in Nepal. Una folla
immensa si è riversata nelle strade della capitale Katmandu, incendiando la
moschea. Per placare i disordini, il governo ha decretato il coprifuoco a tempo
indeterminato. Il servizio di Silvia Del Conte:
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Oggi a Katmandu le agenzie di
collocamento sono state saccheggiate e bruciate, accusate di aver inviato in
Iraq i 12 nepalesi sequestrati e poi uccisi e di inviare forza lavoro illegale
per lavori all’estero. Una persona è morta mentre cercava di entrare in uno di
questi uffici: un cavo della corrente le è caduto addosso. I manifestanti hanno
anche assaltato e saccheggiato la moschea più grande della capitale, a poche
centinaia di metri dal cuore turistico di Katmandu e dal Palazzo reale. La
polizia e l’esercito erano in tenuta anti-sommossa e più volte sono intervenuti
con lacrimogeni, caricando la folla con manganelli. Dalle due del pomeriggio di
oggi, abbiamo il coprifuoco. Le persone sono tutte chiuse in casa e il governo
sta aspettando che la situazione si calmi. Oggi è stata attaccata anche la sede
del “Kantipur Pubblication”, uno dei giornali in prima linea per la democrazia.
Da Katmandu, in Nepal, per la
Radio Vaticana, Silva Del Conte.
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Una forte esplosione è stata
sentita oggi a Islamabad, capitale del Pakistan, e nella vicina città di
Rawalpindi. Al momento, tuttavia, non si hanno ancora notizie sulle cause della
deflagrazione, che non sembra aver causato vittime. E’ finito in manette,
intanto, un importante responsabile egiziano della rete terroristica Al-Qaeda,
identificato come Sharif al Misri. Lo ha reso noto il ministro
dell’Informazione ad interim, Sheikh Rashid.
Il
giorno dopo i due attentati di Beer Sheva, dove due kamikaze di Hamas hanno
ucciso 16 civili a bordo di due autobus, Israele torna ad insistere sulla
barriera di separazione dai Territori. Il muro – ha detto questa mattina il
ministro della Difesa, Shaoul Mofaz – deve essere costruito anche in quel
tratto, nel minor tempo possibile. Secondo i servizi segreti dello Stato
ebraico, l’azione terroristica sarebbe stata concepita in Siria.
George
Bush e il suo vice Dick Cheney hanno ricevuto dalla Convention di New York
l’investitura ufficiale del partito repubblicano alla sfida per la conquista
della Casa Bianca, il 2 novembre prossimo. Dopo l’apertura dedicata alla
memoria dell’11 settembre, ieri è stato il giorno dell’ex attore Arnold
Schwarzenegger e della moglie del presidente Bush, Laura. Ci riferisce Paolo
Mastrolilli:
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L’ex culturista, oggi
governatore della California, ha raccontato come era immigrato dall’Austria per
inseguire il “sogno americano” e come è riuscito a realizzarlo. Quindi ha detto
che il partito repubblicano è depositario di valori di libertà che consentono
questo sogno, invitando tutti gli immigrati a sostenerlo. Secondo
Schwarzenegger, però, per continuare a mantenere le sue promesse l’America ha
bisogno di rieleggere Bush, perché ha la fermezza necessaria per guidare la
guerra al terrorismo e la ripresa economica attraverso le riduzioni fiscali.
L’intervento in Iraq, secondo l’ex attore, è stato un capitolo di questa lotta,
combattuta per difendere libertà e democrazia e non per imperialismo. Poco dopo
è salita sul palco Laura Bush, introdotta dalle figlie Gene e Barbara e
presentata dal marito in collegamento televisivo. La first lady aveva il
compito di mostrare il lato umano del presidente e ha sottolineato la fermezza
del suo carattere. Nello stesso tempo, però, ha cercato di allargare lo scopo
politico del suo intervento raccontando come ha vissuto in prima persona il
processo che ha portato alla guerra in Iraq. Laura Bush ha concluso che il
marito non voleva il conflitto, ma è stato obbligato ad ordinarlo per difendere
il Paese.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Ancora difficile la situazione
in Sudan. Tre rappresentanti del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni
Unite e tre del comitato sudanese della Mezzaluna Rossa nelle mani del
Movimento di liberazione del Sudan, sono stati rilasciati questa mattina nella
regione occidentale del Darfur. Del gruppo si erano perse le tracce sabato
scorso, a una trentina di chilometri da El Facher. E mentre il governo di
Khartoum ha criticato l’ultimatum lanciato dalle Nazioni Unite per garantire la
sicurezza degli sfollati e la libera circolazione degli aiuti umanitari, non si
hanno ancora notizie degli altri 22 operatori rapiti ieri. Giulio Albanese:
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Il sequestro
sarebbe stato compiuto da ribelli del Movimento Giustizia ed Eguaglianza (GEM),
uno dei due che si oppongono al governo di Khartoum negli scontri in corso nel
Darfur dal febbraio del 2003. Ma da Abuja, in Nigeria, dove sono in corso
trattative tra il governo di Khartoum ed i ribelli, fonti del GEM hanno negato
la partecipazione all’azione di sequestro. La sensazione, a detta degli
osservatori, è che manchi la volontà politica di risolvere la questione del
Darfur, nonostante la forte pressione internazionale, non solo da parte di
Khartoum ma anche da parte dei ribelli, che non sembrano dare molto credito
alla mediazione dell’Unione Africana in corso di svolgimento nella capitale nigeriana.
Le condizioni di vita, intanto, per oltre un milione e 200 mila profughi nel
Darfur, si sono aggravate a causa delle violenze, delle epidemie e delle forti
piogge: è quanto ha denunciato ieri un nuovo rapporto dell’ONU, dal quale
emergono alcuni dati inquietanti. Sono oltre 50 mila le persone morte
dall’inizio del conflitto e più di un milione quelle che sono state costrette a
lasciare le proprie abitazioni per la paura di attacchi da parte delle milizie
arabe janjaweed, accusate di pulizia etnica e di massacri della popolazione
civile.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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E’ stato sospeso ‘sine die’ il
processo ai 19 presunti cospiratori di un golpe nella Guinea Equatoriale,
arrestati nel marzo scorso. Il giudice ha deciso di prolungare le indagini dopo
l’arresto di Mark Thatcher, figlio dell’ex premier britannico Margaret
Thatcher, in Sudafrica, con l’accusa di aver finanziato il complotto per
rovesciare il regime di Malabo.
Cinque morti e 142 feriti: è il
bilancio di un’esplosione verificatasi in un impianto di etilene nella
cittadina sudafricana di Secunda, a est di Johannesburg. Lo ha riferito il
portavoce della Sasol, la società sudafricana per i minerali e gli idrocarburi.
L’ex ministro dell’Interno
macedone, Ljube Boskovski, è stato arrestato in Croazia sulla base di un ordine
di cattura emesso dalla procura generale di Skopje. Lo ha reso noto ieri la
radio di Stato macedone. Boskovski è accusato di avere ordinato nell’estate
2002 il sequestro e l’uccisione di sette clandestini pachistani, presentati
all’opinione pubblica come terroristi islamici. Secondo le autorità macedoni,
invece, l’uccisione sarebbe stata ordinata come semplice atto di propaganda per
dimostrare alle autorità americane
l’impegno di Boskovski nella lotta al terrorismo internazionale.
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