RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
302 - Testo della trasmissione di giovedì
28 ottobre 2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Gravi le condizioni di salute di
Arafat. I palestinesi a Ramallah si stringono attorno al loro leader storico:
intervista con Janiki Cingoli
CHIESA E SOCIETA’:
Arrestati tre uomini per gli attacchi contro le Chiese cristiane nell’arcipelago
di Zanzibar
Domani a Roma la firma del Trattato costituzionale europeo
Uccisa una giornalista irachena a Baghdad. Rapita una cittadina polacca
A Kabul sono stati
sequestrati tre operatori dell’ONU
28 ottobre 2004
IL CRISTIANESIMO HA DATO “UN GRANDE APPORTO” A PLASMARE LA
CIVILTA’ EUROPEA: “RICONOSCIUTO O MENO NEI DOCUMENTI UFFICIALI E’ QUESTO UN
DATO INNEGABILE CHE NESSUNO STORICO POTRA’ DIMENTICARE”:
E’
QUANTO HA DETTO GIOVANNI PAOLO II INCONTRANDO OGGI IN VATICANO ROMANO PRODI
IL PAPA SI FELICITA CON IL PRESIDENTE DELLA
COMMISSIONE EUROPEA
PER L’OPERA SVOLTA DURANTE IL SUO MANDATO: DOMANI
A ROMA LA SOLENNE FIRMA
DEL TRATTATO COSTITUZIONALE EUROPEO
Giovanni
Paolo II ha ricevuto stamane in Vaticano il presidente della Commissione
Europea Romano Prodi giunto a Roma per la firma domani mattina in Campidoglio
del Trattato costituzionale europeo, da parte dei venticinque Stati dell'Unione
Europea. “Il luogo prescelto - quello stesso in cui nel 1957 nacque la Comunità
Europea - ha detto il Papa - riveste un chiaro valore simbolico: chi dice Roma,
dice, infatti, irradiazione di valori giuridici e spirituali universali”.
L’incontro è durato una ventina di minuti e si è svolto in un clima familiare:
con Prodi c’erano anche la moglie Flavia, i due figli con le coniugi e i
nipotini. Prodi successivamente ha incontrato il cardinale segretario di Stato
Angelo Sodano e l’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con
gli Stati. Nel corso di questi colloqui - precisa una nota del direttore della
Sala Stampa vaticana Joaquin Navarro-Valls - sono stati discussi “alcuni
problemi attuali, con speciale riferimento all’unità europea, ed al ruolo
internazionale dell’Europa, soprattutto per la pace nel mondo e per lo sviluppo
dei popoli, in particolare quelli dell’Africa”. Ma sul discorso del Papa
nell’incontro con Prodi ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti.
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“La Santa Sede - ha detto il
Papa - ha favorito la formazione dell'Unione Europea, ancor prima che si
strutturasse giuridicamente, e ne ha poi seguito con attivo interesse le varie
tappe. Essa si è anche sempre sentita in dovere di esprimere apertamente le
giuste attese di un grande numero di cittadini cristiani d'Europa, che
chiedevano il suo interessamento”. Quindi ha aggiunto:
“Per questo la
Santa Sede ha ricordato a tutti come il Cristianesimo, nelle sue varie
espressioni, abbia contribuito alla formazione di una coscienza comune dei
Popoli europei ed abbia dato un grande apporto a plasmare la loro civiltà. Riconosciuto
o meno nei documenti ufficiali è questo un dato innegabile che nessuno storico
potrà dimenticare”.
Giovanni Paolo II si è poi
felicitato con Romano Prodi “per l'opera svolta durante il suo mandato a guida
della Commissione Europea”, e nello stesso tempo ha espresso “l’auspicio che le difficoltà sorte in questi giorni a
riguardo della nuova Commissione possano trovare una soluzione di rispetto
reciproco in spirito di concordia fra tutte le istanze interessate”.
Il Pontefice ha invocato la
benedizione del Signore “su tutti i Rappresentanti degli Stati convenuti a Roma
per l'imminente firma del trattato costituzionale, e su tutti i Popoli
d'Europa”.
L'Unione Europea - ha concluso
il Papa - possa “esprimere sempre il meglio delle grandi tradizioni dei suoi
Stati membri, operare attivamente in campo internazionale per la pace tra i
Popoli, ed offrire un aiuto generoso per la crescita dei Popoli più bisognosi
degli altri continenti”.
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IL SOGNO EUROPEO DI
GIOVANNI PAOLO II: 26 ANNI DI IMPEGNO
INSTANCABILE PER UN CONTINENTE UNITO E SOLIDALE,
FORTE DELLE SUE RADICI CRISTIANE
- Servizio di Alessandro Gisotti -
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“Non vuole
forse Cristo, non dispone forse lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa
slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa cristiana?” Quando
Giovanni Paolo II pronuncia queste parole è il 3 giugno 1979. Karol Wojtyla è a
Gniezno, nella sua terra, per il suo primo storico viaggio apostolico in
Polonia, a meno di un anno dall’elezione a Pontefice. Siamo in piena Guerra
Fredda. L’Europa è divisa in due blocchi e proprio la Polonia è uno dei
tasselli di quella Cortina di Ferro, che da Stettino a Trieste taglia innaturalmente
in due il Vecchio Continente. La condizione dell’Europa riflette le scelte dei
vincitori della Seconda Guerra Mondiale. E’ il frutto del compromesso di Yalta.
Ma Giovanni Paolo II pensa ad un’altra Europa. Sostiene fin dall’inizio del suo
pontificato la necessità di costruire una “casa comune” dei popoli europei.
Dall’Atlantico agli Urali. Parla di “riunificazione”, non di “allargamento”. E
quando il Muro di Berlino crolla - sbriciolandosi assieme all’impero sovietico
- il Papa polacco avverte, ancora una volta a Gniezno, che senza la fede
cristiana, all’Europa mancherà l’anima.
Nel suo primo decennio di
Pontificato, Est ed Ovest sembrano termini contrapposti. Eppure, Giovanni Paolo
II sottolinea che l’Europa deve tornare a “respirare con due polmoni”. E’ in
tale contesto che proclama compatroni d’Europa i Santi Cirillo e Metodio,
evangelizzatori dei popoli slavi. Ai due fratelli, che portarono il
Cristianesimo nell’Europa orientale, dedica nel 1985 l’enciclica Slavorum
Apostoli. Accanto all’impegno per l’Europa unita, dunque, il Papa procede
convinto sulla via, non sempre facile, dell’ecumenismo. Lo fa con gesti che
lasciano il segno: a due anni dalla data spartiacque del 1989, convoca in
Vaticano un’assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei vescovi sul tema
“Insieme testimoni di Cristo che ci ha liberato” ed invita con diritto di
intervento anche i rappresentanti delle Chiese ortodosse.
Costruttore di ponti, demolitore
di muri, il Papa indica costantemente la stella polare che l’Europa deve seguire:
quelle comuni “radici cristiane”, che non possono essere tagliate senza
smarrire la propria identità. Memorabile resta il vibrante appello che, nel
1982, Giovanni Paolo II lancia da Santiago de Compostela a tutta l’Europa:
“Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue
radici”. Esortazione che il Pontefice ripeterà più e più volte. Con parole diverse,
certo. Ma con lo stesso vigore, la stessa passione. Ribadisce, così, l’impegno
della Chiesa a costruire in Europa una “città degna dell’uomo”, alimentando “la
cultura della solidarietà” per “ridare vita ai valori universali dell’umana
convivenza”. La nuova Europa sia allora “una sinfonia di nazioni”, non una
fortezza chiusa in se stessa. Risponda ai bisogni dei più deboli. Di quell’Africa
così vicina, ma spesso così lontana dalle preoccupazioni degli europei. Il
processo di integrazione, avverte, “non può riguardare unicamente aspetti
geografici ed economici, ma deve tradursi in una rinnovata concordia di valori
da esprimere nel diritto e nella vita”.
D’altro canto, le “radici
cristiane” sono il leit motiv di discorsi e messaggi che il Papa ha
voluto dedicare all’Europa, con frequenza crescente, proprio mentre a Bruxelles
si lavorava alla redazione di una Costituzione europea. Il Cristianesimo,
afferma con la forza dell’evidenza, permea di sé la storia, l’arte e la cultura
dell’Europa:
“Dalle sue terre, nelle abbazie,
nelle cattedrali, nelle chiese si è levata incessante la lode a Cristo, Signore
del tempo e della storia”.
Nel giugno del 2003 – quasi a
suggello di questi interventi, ben 8 Angelus dedicati al tema in quell’estate -
viene pubblicata l’esortazione post sinodale Ecclesia in Europa.
Documento che individua problematiche e opportunità nella nuova stagione del
Vecchio Continente, tra spinte laiciste e ritrovata libertà. “La Chiesa di oggi
– scrive il Pontefice – avverte, con rinnovata responsabilità, l’urgenza” di
“aiutare l'Europa a costruire se stessa rivitalizzando le radici cristiane che
l’hanno originata”. Quindi, all’Angelus del 24 agosto 2003, leva una viva
esortazione:
“Riconoscere esplicitamente nel Trattato le radici
cristiane dell’Europa diventa per il Continente la principale garanzia di futuro”.
Quando, infine, il testo della
Carta costituzionale verrà approvato senza alcun riferimento al patrimonio
comune cristiano, Giovanni Paolo II non nasconderà la sua amarezza. “Non si
tagliano le radici dalle quali si è nati”, sarà il suo richiamo. Il Papa,
tuttavia, non si scoraggia. E affida le sue speranze ai giovani, come tante
altre volte nei suoi 26 anni di ministero petrino. Ricevendo il premio Carlo
Magno, il 24 marzo scorso, Giovanni Paolo II racconta il suo sogno europeo:
“Penso ad un’Europa unita grazie all’impegno dei giovani”, perché “con tanta
facilità i giovani si capiscono tra di loro, al di là dei confini geografici”.
Nell’Europa “che ho in mente”, rivela ancora, i cristiani si pongono “al
servizio di tutti per un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio”.
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PLAUSO DEL
PAPA PER L’OPERA DELLA SOCIETA’ EDITRICE “LA SCUOLA”.
GIOVANNI PAOLO II HA INCONTRATO OGGI IN VATICANO
ALCUNI MEMBRI
DELL’ISTITUZIONE, IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DI
FONDAZIONE
- A cura di Barbara Castelli -
“La verità di
Cristo, presentata con rispetto delle posizioni altrui e testimoniata con la
coerenza della propria vita, è un bene per tutti gli operatori scolastici: genitori
e figli, insegnanti e studenti, scuole statali e non statali”. Incontrando in
Vaticano i rappresentanti della Società Editrice “La Scuola”, in occasione del
centesimo di fondazione, Giovanni Paolo II ha ringraziato tutti per l’impegno
profuso affinché l’Istituzione “rimanesse fedele agli ideali delle origini”.
“Come sapete – ha detto il Papa – essa fu pensata e voluta come uno strumento
per assicurare alla scuola italiana l’ispirazione cristiana”. “Impresa non
facile – ha aggiunto – considerati gli orientamenti di non piccola parte della
cultura attuale”.
Invitando i presenti a
proseguire con impegno su questi cammino, il Papa ha poi passato a rassegna i
momenti chiave della Società: dalla nascita, per mano di un “gruppo di laici
cattolici, fra i quali il padre del Papa Paolo VI, Giorgio Montini”, fino ai
giorni drammatici della Seconda Guerra Mondiale, quando un bombardamento
distrusse l’Editrice.
Nel corso del
discorso il Pontefice ha ringraziato il Signore, “datore di ogni bene, per aver
ispirato questa iniziativa e per averla sostenuta nei giorni difficili”. “Il
centenario che state celebrando – ha concluso – è occasione anche per gettare
lo sguardo sul futuro. Non mancano prove e problemi. La Chiesa fa grande affidamento
su di voi nel preparare le opportune proposte per la formazione scolastica
delle nuove generazioni. Continuate ad essere seminatori di speranza”.
INAUGURATO IERI A ROMA
IL PRIMO CONGRESSO DEGLI ORGANISMI ECCLESIALI
IMPEGNATI PER LA PACE E LA GIUSTIZIA. GLI INTERVENTI
DEL CARDINALE ANGELO SODANO E DEL CARDINALE RENATO
RAFFAELE MARTINO
Occhi aperti, cuore sensibile e
mano pronta per promuovere la giustizia e la pace: sono i tre criteri indicati
a nome del Papa dal cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, agli oltre
trecento operatori degli organismi ecclesiali impegnati nella promozione della
giustizia e della pace, radunati a Roma da ieri pomeriggio fino a sabato per il
loro primo Congresso mondiale su iniziativa del competente dicastero vaticano
sul tema: Annunciare il Vangelo della
giustizia e della pace. Provengono da 92 Paesi del mondo, oltre ai
rappresentanti di 15 Conferenze episcopali regionali e di varie organizzazioni
internazionali. Servizio di Paolo Scappucci:
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Occhi aperti – ha spiegato il
porporato – vuol dire essere attenti ai segni dei tempi per vedere il mondo con
gli occhi di Dio, con uno sguardo d’amore, senza discriminazione alcuna, ma
anche vedere Dio nelle persone e negli eventi di oggi. Cuore sensibile
significa simpatia e attenzione per i diversi da noi ed è perciò l’opposto
della chiusura egoistica. Mano pronta per fare il bene, perché la fede senza le
opere è morta in se stessa: il messaggio sociale della Chiesa troverà
credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica
interna, come insegna la Centesimus
Annus. “La Chiesa, lungo la sua storia – ha detto il cardinale Sodano ai
presenti – si è sempre impegnata, sia come istituzione sia tramite i suoi
fedeli, nella promozione della giustizia e della pace. Noi abbiamo la
responsabilità di continuare in questo solco, annunciando il Vangelo di Cristo,
che è Vangelo di giustizia e di pace”.
Nel
rivolgere il primo saluto ai partecipanti a questo Congresso mondiale degli
organismi ecclesiali operanti per la giustizia e la pace, il presidente del
competente dicastero vaticano, il cardinale Renato Raffaele Martino, rilevando
l’eccezionalità dell’avvenimento che avviene per la prima volta nella storia
del Pontificio Consiglio, ne ha delineato gli scopi principali. Anzitutto fare
il punto sulla giustizia nell’era della globalizzazione, una sfida che ha un
significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché
nella storia si è aperta una nuovo epoca, che riguarda il destino dell’umanità.
Poi il
grande tema della pace. Dopo il crollo del sistema sovietico – ha rilevato il
cardinale – la guerra ha cambiato volto, ma non per questo è risultata meno
disumana. Il mondo deve fare i conti con un terrorismo, terribile e devastante,
che sta mettendo in atto una guerra al di fuori di tutti i canoni politici e
giuridici, con un’inedita irruzione nella nostra quotidianità, in grado di
colpire chiunque, in qualsiasi luogo e tempo. Un fatto tanto più sinistro e
sconvolgente, quando con orribile bestemmia si compie in nome di Dio.
A ruota viene il tema dei
diritti dell’uomo, con il grido straziante di milioni e milioni di persone, cui
è negata ogni dignità. Argomento questo al centro del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, reso pubblico lunedì
scorso, strumento importantissimo – ha detto il Presidente di Giustizia e Pace
- per realizzare la nuova evangelizzazione sollecitata con insistenza da
Giovanni Paolo II, al fine di costruire una città dell’uomo più umana perché
più conforme al Regno di Dio. Ma anche strumento per alimentare il dialogo a
livello ecumenico e interreligioso dei cattolici con tutti coloro che
desiderano sinceramente il bene di ogni persona umana.
Il Congresso
nelle intenzioni del Pontificio Consiglio servirà inoltre a trovare le strade
più opportune ed efficaci per un rilancio dell’azione pastorale della Chiesa
nella realtà sociale, così da essere pronti e in grado di affrontare le grandi
sfide di oggi nella realizzazione della civiltà dell’amore fondata su un umanesimo
integrale e solidale.
La relazione di apertura del
Congresso è stata svolta dal Sotto-Segretario generale del Dipartimento degli
Affari sociali ed economici delle Nazioni Unite, José Antonio Ocampo, sul tema:
giustizia e pace oggi.
SERVE UNA REALE
COOPERAZIONE DI TUTTI GLI STATI PER RENDERE LE NAZIONI UNITE UNO STRUMENTO
DAVVERO EFFICACE
PER PROMUOVERE LA PACE NEL MONDO:
E’ IL
RICHIAMO DELL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA
SANTA SEDE ALL’ONU,
INTERVENUTO AL PALAZZO DI VETRO SUL TEMA DELLA
CULTURA DELLA PACE
- A cura di Alessandro Gisotti -
“In un mondo
che mai come adesso ha bisogno di pace”, le Nazioni Unite sono una “istituzione
chiave a disposizione dell’uomo per la diffusione di una cultura della pace”
stessa. E’ quanto sottolineato dall’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore
permanente della Santa Sede all’Onu, intervenuto all’Assemblea generale del Palazzo
di Vetro sul tema della cultura della pace. Tuttavia, ha proseguito, serve “la
cooperazione di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite per renderle davvero
uno strumento efficace” per la pace nel mondo. Ha così messo l’accento sulla
necessità di una “volontà politica” per far sì che l’ONU non venga percepita
solo come un “mero forum di analisi” o una “macchina che sforna risoluzioni”.
D’altro canto, la globalizzazione sembra “incapace di prevenire le minacce alla
pace perché il relativismo culturale tende a creare muri che separano un popolo
dall’altro”. Il concetto stesso della sicurezza, ha poi constatato, “ha creato
continue tensioni tra interessi nazionali e internazionali”. Nel suo
intervento, mons. Migliore ha indicato una via per rinforzare la difesa della
pace. Innanzitutto, ha avvertito, questo obiettivo può essere raggiunto
“coltivando nelle menti di ogni persona di buona volontà l’imperativo di
diventare in qualche modo agenti della pace”.
Il diplomatico
vaticano ha, inoltre, ribadito il ruolo delle religioni nella promozione della
pace. I leader religiosi, è stato il suo forte richiamo, devono “contrastare il
sequestro dei valori religiosi quale pretesto per giustificare la violenza”.
Non ha poi mancato di soffermarsi sullo spinoso problema della diffusione delle
armi convenzionali e di distruzione di massa. La Santa Sede, ha affermato,
chiede alla comunità internazionale un “impegno più energico per rinvigorire il
legame tra la promozione di una cultura di pace, il disarmo e il processo di
non proliferazione”.
ALTRE UDIENZE E NOMINE
Il Papa nel
corso della mattina ha ricevuto il cardinale Telesphore
Placidus Toppo, arcivescovo
di Ranchi
in India.
Giovanni Paolo II ha nominato
vescovo di Juigalpa, in Nicaragua, mons. René Sócrates Sándigo Jirón,
del clero della diocesi di Granada, finora vicario episcopale della regione di
Rivas e parroco di San Jorge. Mons. Sándigo Jirón è nato a Diria, diocesi di
Granada, il 19 aprile 1965, ed è stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1992.
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“Il cristianesimo ha contribuito alla
formazione di una coscienza comune dei Popoli europei”: è il titolo che apre la
prima pagina, in riferimento al discorso di Giovanni Paolo II al presidente
Romano Prodi, alla vigilia della firma del Trattato costituzionale europeo.
Nelle
vaticane, il discorso del Papa ad una delegazione della Società editrice “La
Scuola”, di Brescia: continuate – ha esortato il Santo Padre - ad essere seminatori
di speranza, restando fedeli agli ideali dei fondatori per assicurare alla scuola
italiana l’ispirazione cristiana.
Una
pagina dedicata alle celebrazioni per i 1650 anni dalla nascita di
Sant’Agostino.
Nelle estere, in rilievo l’Iraq: assassinato a Baghdad un diplomatico
iracheno; rapita una donna polacca, i sequestratori chiedono il ritiro delle
truppe di Varsavia. Per la rubrica dell’“atlante geopolitica” un articolo di
Giuseppe Fiorentino dal titolo “Verso l’Unione Sudamericana”.
Nella
pagina culturale, un articolo di Franco Patrono dal titolo “Tv-verità e voyeurismo”:
riflessioni su attuali programmi televisivi.
Nelle
pagine italiane, in merito al tema del risparmio, un articolo dal titolo “Proposta
sui poteri della Banca d’Italia: la Consob potrà accedere alla centrale monitoraggio
rischi”; riprende l’iter parlamentare del disegno di legge.
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28
ottobre 2004
GRAVI LE CONDIZIONI DI SALUTE DI ARAFAT.
I
PALESTINESI A RAMALLAH SI STRINGONO ATTORNO AL LORO LEADER STORICO
-
Intervista con Janiki Cingoli -
Tornano a farsi critiche le condizioni di salute di
Yasser Arafat. Il presidente palestinese, 76 anni, ieri ha perso conoscenza e
oggi, dopo un iniziale miglioramento, le notizie del peggioramento diffuse
dalla radio israeliana. Davanti a quartier generale della Muqata, a Ramallah,
si radunano di ora in ora centinaia di palestinesi in ansia per le sorti del
loro leader storico, che viene sottoposto a cure intensive. Intanto, già si
parla della sua successione. Il servizio di Graziano Motta:
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Dopo un lieve miglioramento
notato in mattinata – ha consentito al rais di unirsi alla preghiera del
Ramadan – sarebbe sopravvenuto un peggioramento. Sono giunti a Ramallah dei
medici egiziani e giordani e si sono uniti ai medici locali e tunisini,
arrivati questi già sabato scorso quando venivano espresse preoccupazioni sul
suo stato di salute, minata – secondo quanto rivelano ora i giornali israeliani
– da un tumore allo stomaco in fase terminale. E’ questa la ragione per cui è
stata chiamata la moglie di Arafat che vive a Parigi con la figlia. Il primo
ministro israeliano Sharon ha dato il permesso perché il rais possa lasciare la
Muqata, ove è confinato da quasi tre anni per recarsi in un ospedale di sua scelta,
anche all’estero. Sul piano politico le funzioni del rais sono esercitate da un
triumvirato composto dal primo ministro Abu Ala, dal suo predecessore Abu Mazen,
che da sempre è il numero due dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione
della Palestina, e dal presidente del Consiglio legislativo Selim Alzanun. I
comitati esecutivi dell’Olp e di Al Fatah, il partito fondato da Arafat, si
riuniscono in giornata. I servizi di sicurezza palestinese sono in stato di
allerta, come i soldati in Giordania, per timore di una situazione caotica nei
Territori. Intanto, il ministro degli Esteri israeliano Shalom ha detto che un
nuovo vertice palestinese potrà consentire la ripresa del dialogo di pace.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Ma con l’aggravarsi delle condizioni di salute di
Yasser Arafat c’è il rischio di un vuoto di potere nell’Autorità nazionale
palestinese? Risponde Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace
in Medio Oriente, intervistato da Giada Aquilino:
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R. – Il rischio
c’è. Arafat ha sempre concentrato su di sé tutti i poteri, evitando
sostanzialmente di creare la figura di un successore, che in qualche maniera avrebbe
potuto fargli ombra. Ora, se dovessero aggravarsi ulteriormente le sue
condizioni di salute, nell’ambito della successione si crea un problema di
lotta di potere tra le diverse componenti interne all’Olp e Al Fatah.
D. – Quanto potrebbe funzionare l’idea di un
triumvirato tra il premier Abu
Ala, il predecessore Abu Mazen e l’esponente
dell'Olp Salim Zaanun?
R. – Sarebbe
chiaramente una soluzione transitoria, tenendo presente che questi personaggi
sono esponenti della vecchia generazione. Ce n’è una nuova che guarda a Marwan
Barghouthi - attualmente in carcere in Israele - e che preme per prendere il potere.
D. – E allora quali altre
alternative potrebbero esserci?
R. – Ci sarà un processo
complesso, difficile ed anche aspro, che si svolge nel momento in cui da parte
israeliana si sviluppa l’idea del ritiro da Gaza, già approvato dal Parlamento
israeliano. E anche questo è un fatto che apre grossi problemi, soprattutto a
Gaza: lì l’Anp controlla ormai solo virtualmente la realtà sul terreno e c’è la
questione del confronto con Hamas e con gli altri gruppi estremisti
palestinesi. Ci sono stati addirittura scontri armati nelle scorse settimane
tra fazioni palestinesi a Gaza. Da non dimenticare, poi, che c’è Mohammed
Dahlan - il ministro degli Interni all’epoca di Abu Mazen, poi dimissionato da
Arafat - che guida la contestazione anti-Arafat a Gaza. Al processo di
transizione complesso inoltre si aggiunge un vuoto internazionale che coincide
con le elezioni americane e con il ricambio dell’amministrazione di Washington.
Fino a febbraio-marzo, quindi, gli Stati Uniti non potranno svolgere un grande
ruolo nell’area.
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OGGI E DOMANI ALL’URBANIANA IL CONVEGNO
PER IL
40.MO DEL DECRETO CONCILIARE AD GENTES
E PER
IL 15.MO DELL’ENCICLICA REDEMPTORIS MISSIO
- Intervista con padre Francesco Ciccimarra -
Si tiene oggi e domani alla
Pontificia Università Urbaniana un Convegno dal titolo Missio ad Gentes:
orizzonti del terzo millennio in occasione del 40.mo anniversario del
Decreto conciliare Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa, e
per il 15.mo anniversario dell’enciclica Redemptoris Missio di Giovanni
Paolo II sulla perenne validità del mandato missionario. Le relazioni
metteranno a fuoco l’impegno missionario delle Chiese locali dell’Asia, lo
sviluppo della Chiesa cattolica in Cina, l’attività delle Società missionarie
di origine asiatica, il dinamismo missionario dell’Africa, la missionarietà
delle Chiese orientali. I lavori si concluderanno con una commemorazione dei
missionari martiri. Ma cosa è cambiato oggi nella missione? Giovanni Peduto lo
ha chiesto a padre Francesco Ciccimarra, decano della Facoltà di Teologia
presso la Pontificia Università Urbaniana:
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R. –
Rispetto al decreto conciliare Ad Gentes è radicalmente cambiato lo scenario
mondiale della missione. Quel documento aveva come sfondo e come destinatari
delle realtà sociali e politiche sostanzialmente statiche, alle quali e dentro
le quali poter organizzare la missione. Oggi non è più così. I mutamenti socio
politici e socio culturali sono sotto gli occhi di tutti. La globalizzazione
dei problemi umani, sociali, e religiosi, favorita non poco dall’enorme
problema migratorio comporta un radicale cambiamento nei luoghi, nei metodi e
nei contenuti della missione ad gentes. I Paesi di antica tradizione cristiana
non sono più quelli di 40 ani or sono. Si sono caratterizzati nel tempo dalla
sempre maggiore ricchezza, dall’invecchiamento, dalla tecnologia, e… dalla
crescente scristianizzazione. I valori cristiani sembrano essere stati
soppiantati da altri valori: il benessere, la libertà sfrenata in tutti i
campi, l’invecchiamento, il sincretismo religioso, ecc. Se a questo si aggiunge
il cambiamento sociale apportato dal flusso migratorio ci si rende conto di
quanto è cambiata la realtà di riferimento per l’attività missionaria della
Chiesa.
D. – Gran Parte
dell’umanità ancora non conosce Cristo: che fare?
R. – La crescita demografica a
livello planetario ha fatto ancor più emergere il problema
dell’evangelizzazione, della missio ad gentes. La Redemptoris Missio
lo dice in maniera esplicita: il mandato della Chiesa si è fatto ancora più
urgente e drammatico. Non c’è dubbio che la realtà del cristianesimo è cresciuta,
in termini assoluti. Basta consultare l’Archivio Statistico della Chiesa
Universale; tuttavia la crescita demografica è aumentata in maniera più esponenziale.
Che fare? Una risposta appare scontata:
la Chiesa deve quotidianamente ricordare e riscoprire la sua vera natura: un
popolo in missione, un popolo, non soltanto una parte di esso, ma tutti i
battezzati devono sentirsi inviati in missione nelle diverse situazioni. Si
tratta anzitutto di una missione fatta di autenticità e di radicalità
evangelica, nella consapevolezza di essere un umile strumento nelle mani dello
Spirito, che converte e salva. Occorre riscoprire e rafforzare maggiormente il
ruolo missionario del laicato, soprattutto nei Paesi di antica tradizione
cristiana. Al numero decrescente delle vocazioni deve corrispondere un numero
crescente di missionari laici. Una Chiesa che vive in maniera autentica la sua
fede, è una Chiesa autenticamente missionaria. Più che di semplice “questione
organizzativa” (pur necessaria), si tratta di questione di autenticità e di
testimonianza.
D. - Quali sono i contenuti più
forti della Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II?
R. - Di questa grande enciclica
missionaria si possono sottolineare tanti aspetti. Qui ne richiamiamo alcuni: a) la preoccupazione del Papa sulla tensione
missionaria della Chiesa: il documento si fa carico di esplicitare una
sorta di stasi della missione ad gentes, un rallentamento della pulsione
missionaria, e quindi la necessità di riprendere forza e vigore nell’attività
evangelizzatrice, superando il rischio di una sorta di sincretismo religioso in
base al quale una religione equivale ad un’altra; b) il richiamo alla specificità della missio ad gentes, di fronte a specifiche tendenze miranti a far rientrare nella pastorale
ordinaria della Chiesa l’impegno
per l’evangelizzazione di quanti non credono in Cristo, la missiologia che
viene assorbita dall’ecclesiologia; c) l’esigenza della rievangelizzazione
dei Paesi di antica tradizione cristiana, attratti dal materialismo e
dall’indifferentismo religioso; d) la consapevolezza dei mutamenti
socio-culturali, politici, religiosi del mondo: la caduta e il fallimento dei
regimi comunisti, l’accentuarsi dei flussi migratori tra continenti,
l’urbanesimo, l’uso delle ricerche scientifiche in funzione del benessere
dell’uomo, l’evoluzione demografica del pianeta con grandi masse di giovani in
alcune parti e il fenomeno dell’invecchiamento in altre, i nuovi areopaghi nel
villaggio globale del mondo, in primo luogo la comunicazione tecnologica,
l’area della pace, lo sviluppo e la
liberazione dei popoli; e) le vie
della missione: la testimonianza autentica personale e comunitaria, la
centralità di Cristo salvatore, la Formazione delle Chiese locali,
l’inculturazione, che esige tempi lunghi, poiché richiede l’adesione
intima alle esigenze e ai valori del Vangelo. E poi ancora il dialogo con le
altre religioni, nel quale non deve mai mancare la consapevolezza che la
Chiesa è la via ordinaria di salvezza, e che solo essa possiede
la pienezza dei mezzi di salvezza: il tutto ad evitare che si ingeneri una
distorsione nelle attese e negli obiettivi.
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28
ottobre 2004
L’ARABIA SAUDITA CONDANNA A 10 MESI DI
PRIGIONE E 300 FRUSTATE
UN
PROTESTANTE, ACCUSATO DI “DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO”.
NUMEROSI
GLI APPELLI LANCIATI A FAVORE DEL GIOVANE,
DETENUTO
IN CARCERE DALLO SCORSO 25 MARZO
RIAD. = Dieci mesi di prigione e
trecento frustate. E’ la condanna emessa lo scorso 20 ottobre dal tribunale di
Riad, in Arabia Saudita, contro Brian Savio O’Connor, un cristiano indiano
accusato di diversi reati, tra cui quello di “diffusione del cristianesimo”. La
notizia è stata resa nota dalle agenzie Fides e Asia News che citano Middle East Concern (MEC),
un’organizzazione a favore dei cristiani in Medio Oriente, che da mesi sta
seguendo il caso del protestante, originario del Karnataka. L’Azione
Cattolica indiana (All India Catholic Union) e l’analoga istituzione
protestante (All India Christian Council) hanno chiesto al Re Saudita la liberazione
di O’Connor e l’interessamento del governo indiano. O’Connor è detenuto dal 25 marzo scorso nel carcere di Olaya,
dopo essere stato rapito all’esterno della propria abitazione a Riad dalla Muttawa
(la polizia religiosa saudita) e torturato per 24 ore in una moschea. In
seguito è stato accusato di predicazione del cristianesimo, vendita di liquori,
uso di droga e possesso di materiale video pornografico. O’Connor ha
sempre negato le accuse a suo carico. “Siamo certi che non resteremo delusi in
questo appello per la misericordia e la giustizia in nome della fratellanza
universale, della dignità umana e delle relazioni amichevoli tra India e Arabia
Saudita”: scrive in una nota John Dayal, presidente della All India Catholic
Union e segretario generale dell’All India Christian Council. L’arresto di
O’Connor, la sua incarcerazione e la sentenza di pochi giorni fa hanno causato
“profonda preoccupazione” nella comunità cristiana indiana, sottolinea,
inoltre, Dayal. “O’Connor non ha mai avuto problemi con la giustizia nel suo
Paese – aggiunge – pensiamo sia stato arrestato solo a causa delle sue
convinzioni religiose”. (B.C.)
LA
SOLUZIONE ALLA CRISI NON PUO’ VENIRE DALL’ESTERNO.
LA COSTA D’AVORIO E’ CHIAMATA A METTERE DA PARTE
LE DIVERGENZE
PER RISCOPRIRE L’AMORE DI PATRIA.
COSI’ I VESCOVI IVORIANI IN UNA DICHIARAZIONE
PUBBLICATA AD ABIDJAN
ABIDJAN.
= Dinanzi alla grave crisi che sta vivendo il Paese, gli arcivescovi e i
vescovi della Costa d’Avorio hanno esortato i politici a riscoprire l’amore di
patria. Lo hanno fatto con una dichiarazione, pubblicata ad Abidjan, nella
quale ribadiscono che la soluzione della crisi non può venire dall’esterno,
perché è un dovere del “popolo ivoriano unirsi per poter analizzare e per poter
decidere ciò che gli è utile e necessario per ritrovare la propria unità e la
pace”. “Nella situazione attuale – ammoniscono i presuli – la ripresa della
guerra sarebbe un disastro per il Paese. Un colpo di Stato non offrirebbe
alcuna soluzione durevole: tale alternativa è da respingere”. “La situazione è
certamente complessa e difficile – si legge ancora nel documento – ma con Dio
tutto è possibile”. “Sforziamoci – esorta la Chiesa in Costa d’Avorio – a
mettere da parte le nostre divergenze, accettando di unire le nostre forze per
il bene del nostro Paese. Dio ci sosterrà: ci aiuterà ad uscire dalla nostra
crisi”. (A.M.)
A DUE ANNI DALLA FINE DELLA GUERRA
CIVILE IN ANGOLA,
IL
SEGRETARIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE, MONS. DAL CORSO,
TRACCIA
UN BILANCIO DELLA SITUAZIONE NEL PAESE AFRICANO.
LA
FASE DI RICOSTRUZIONE, HA DETTO, E’ DESTINATA A DURARE ANCORA A LUNGO
ROMA. = “A due anni dalla fine della guerra civile in
Angola, il Paese sta vivendo una fase di ricostruzione, che è destinata a
durare ancora a lungo”. Lo ha sottolineato ai microfoni dell’agenzia Fides
mons. Eugenio Dal Corso, vescovo di Saurimo e segretario della Conferenza
episcopale angolana. Nel 2002 si è conclusa nel Paese africano la sanguinosa
guerra civile esplosa nel 1975 e mons. Dal Corso ha tracciato un bilancio di
questi due anni di pace. “Sul piano politico l’Angola si sta preparando per le
elezioni generali – ha detto il presule – la cui data non è stata ancora
stabilita”. “L’amministrazione statale si sta consolidando su tutto il territorio
e i diversi governatori hanno preso le loro funzioni”. “Uno dei problemi più
gravi – ha sottolineato il vescovo – è lo stato disastroso delle
infrastrutture, in particolare di ponti e strade che rendono difficile gli
spostamenti”. Mons. Dal Corso ha evidenziato poi il problema del reinserimento
dei profughi, che durante la guerra si erano rifugiati nei Paesi vicini:
Zambia, Namibia, Repubblica Democratica del Congo. “Chi cerca di rientrare da
solo si trova in serie difficoltà perché privo di assistenza – ha detto – molti
invece ritornano in Angola grazie all’aiuto del governo e dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati”. Seriamente compromesso,
secondo il vescovo, anche il sistema scolastico, per l’assenza di strutture e
insegnanti. Distrutte anche molte scuole cattoliche, case parrocchiali e
missioni. “Registriamo un aumento delle vocazioni – ha concluso mons. Dal Corso
– purtroppo però abbiamo pochi posti nei seminari locali. Vi è la necessità di
costruire un Seminario Maggiore per le province del sud. Per questo, diversi
seminaristi angolani studiano in Portogallo, in Italia e in Brasile”. (R.M.)
ARRESTATI TRE UOMINI PER GLI ATTACCHI COMPIUTI
NELL’ULTIMO MESE
CONTRO
ALCUNE CHIESE NELL’ARCIPELAGO DI ZANZIBAR.
LA
POLIZIA NON HA RESO NOTO LE GENERALITA’
DEI
SOSPETTI, MENTRE PROSEGUE NELLE INDAGINI
DAR-ES-SALAAM. = Procedono le indagini sugli attacchi condotti
nell’ultimo mese contro alcune chiese nell’arcipelago di Zanzibar. Secondo
quanto riferisce l’agenzia Misna, tre persone sono finite in manette negli
ultimi giorni, durante un’operazione di polizia condotta nella zona di Unguja,
la principale isola dell’arcipelago semi-autonomo nel mare di fronte alla
Tanzania. La polizia non ha fornito le generalità dei sospetti, spiegando che
le ricerche sono ancora in corso per individuare gli altri partecipanti alle
aggressioni contro i luoghi di culto Il commissario della polizia di Zanzibar,
Khalid Iddi Nuizany, ha precisato, tuttavia, che i tre uomini compariranno al
più presto di fronte a un tribunale. A ottobre, almeno cinque Chiese – quattro
cattoliche ed una protestante – sono state attaccate, e in alcuni casi date
parzialmente alle fiamme, da sconosciuti nella stessa zona. A Zanzibar i
cattolici sono circa 15.000, mentre la maggioranza della popolazione è
musulmana. Nello scorso aprile tre chiese e una scuola cattolica sono state
attaccate con ordigni esplosivi. (B.C.)
RINVIATA AL PROSSIMO 10 NOVEMBRE LA SENTENZA D’APPELLO
IN NIGERIA
PER LA
DICIOTTENNE ACCUSATA DI ADULTERIO IN BASE ALLA LEGGE DELLA SHARÌA.
LA
GIOVANE RISCHIA LA LAPIDAZIONE
DASS. =
È stata rinviata al prossimo 10 novembre la sentenza della Corte di appello di
Dass, nel nord della Nigeria, sulla condanna a morte per lapidazione di Hajara
Ibrahim, una 18.enne accusata di adulterio in base alla legge islamica della Sharìa.
La ragazza, al settimo mese di gravidanza, è comparsa nella mattinata di ieri
davanti al tribunale islamico senza prendere la parola, mentre il suo avvocato
esponeva gli argomenti della difesa e ne chiedeva l’assoluzione. Il difensore
ha sostenuto che l’adulterio non può essere provato, non essendo stato consumato
il suo matrimonio combinato. Sposata ad un uomo di Lafia, città a 220 chilometri
dall’abitazione della giovane, Hajara non è mai andata a vivere con suo marito.
Si è invece innamorata di un giovane del suo villaggio, Dauda, che l’ha
invitata a divorziare per poi sposarla. Se confermata, la condanna alla
lapidazione sarebbe rinviata a tempo indeterminato fin dopo la nascita del
bambino. Il caso è l’ultimo di questo tipo, in ordine di tempo, negli stati
federali del nord della Nigeria che hanno adottato la Sharia. La
Costituzione nigeriana prevede, comunque, la laicità dello Stato. Finora non è
stata eseguita alcuna condanna a morte, ma nel solo Stato di Bauchi, da dove
proviene Hajara, sono cinque – tra uomini e donne – i condannati a morte
ricorsi in appello. (R.M.)
A
GORIZIA, OPERATORI DEL SOCIALE ED ENTI LOCALI PER TRE GIORNI A CONVEGNO
SUI DIRITTI DEI MINORI, A 15 ANNI DALLA
CONVENZIONE ONU
SUI DIRITTI DELL’INFANZIA
- A cura di Stefano Leszczynski -
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GORIZIA. = “Alice, Pollicino, la
Gabbianella e il Gatto”. Il titolo del Convegno nazionale in corso a Gorizia da
oggi fino al 30 ottobre riassume con una metafora i diversi ambiti che
caratterizzano la vita del fanciullo. Il difficile passaggio dall’infanzia
all’adolescenza, le problematiche familiari, l’educazione degli adulti di
domani. La Conferenza promossa dal Tutore pubblico dei minori del Friuli Venezia
Giulia e dall’Università di Gorizia vuole tracciare un bilancio della trasformazione
del diritto, della cultura e dell’educazione a 15 anni dalla approvazione della
Convenzione ONU sui diritti dei minori avvenuta il 20 novembre 1989. “Il
principio da cui vogliamo muovere – spiega Francesco Milanese, tutore pubblico
dei minori del Friuli – e cui vogliamo tendere è quello dell’autentica
protezione del minore, inteso come individuo che più di ogni altro necessita
della tutela del diritto e che risente dei suoi limiti”. Limiti che sono stati
messi in parte in luce da Alfredo Carlo Moro, magistrato minorile, che ha
auspicato una maggiore lungimiranza del legislatore nel tentare di riformare il
diritto minorile avendo a cuore la centralità della persona del minore, come
parte in causa rispetto agli avvenimenti che lo circondano. Allo stesso tempo
ha messo in evidenza quegli aspetti della società che oggi più che mai negano
personalità umana alla figura del ‘figlio’ bambino, che diventa in tal modo non
più dono misterioso della vita, ma risorsa dell’adulto, perché risultato di un
progetto posto in atto quando ritenuto utile ed opportuno. Ma i problemi
dell’infanzia delineati in questa prima giornata hanno riguardato anche i difficili
settori delle adozioni internazionali, dello sfruttamento lavorativo e sessuale
dell’infanzia, del disagio e della carenza di mezzi di cui la società civile
dispone per fornire una risposta efficace.
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SARA’ SUOR
MARIEZCURRENA LA NUOVA SUPERIORA GENERALE
DELLE TERZIARIE CAPPUCCINE DELLA SACRA FAMIGLIA. L’ELEZIONE
E’ AVVENUTA
DURANTE IL XX CAPITOLO GENERALE DELLE SORELLE,
IN CORSO A ROMA FINO AL 31 OTTOBRE
ROMA. = Durante
il XX Capitolo Generale delle Sorelle Terziarie Cappuccine della Sacra Famiglia,
in corso a Roma fino al 31 ottobre, è stata eletta superiora generale suor
Julia Apesteguia Mariezcurrena, già vicaria generale negli scorsi sei anni. Lo
scorso 25 ottobre, le sorelle capitolari sono state ricevute in udienza dal
Pontefice, che ha esortato le religiose a trovare il “modo più adeguato per
testimoniare e annunciare Cristo nel mondo di oggi, sempre più globalizzato”.
Dopo averle invitate a “intensificare ogni giorno di più l’unione con Cristo,
mediante la contemplazione e la preghiera assidua”, Giovanni Paolo II ha
espresso il vivo ringraziamento della Chiesa per il lavoro delle Terziarie
Cappuccine in favore dei più bisognosi, degli anziani, degli infermi e dei
bambini in difficoltà. (R.M.)
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28 ottobre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Il presidente designato
della Commissione europea, José Manuel
Durao Barroso, avrà un incontro, stasera a Roma, con il premier olandese,
Balkenende, presidente di turno della UE. L'incontro - ha riferito la portavoce
di Barroso - servirà ad una prima valutazione della situazione creatasi dopo
la decisione del presidente designato
di ritirare la sua proposta di Commissione che avrebbe dovuto fare ieri al
Parlamento europeo. Domani i leader europei avranno colloqui durante il pranzo
ufficiale. Alla domanda dei giornalisti se Barroso incontrerà nella capitale
italiana dove arriva già oggi pomeriggio, il premier Berlusconi per discutere
del problema di Rocco Buttiglione, la portavoce non ha confermato né smentito.
Di certo c’è che resta formalmente in carica quale capo dell’esecutivo Romano
Prodi. E che domani, i capi di Stato e di governo porranno la firma al primo
Trattato costituzionale dell’Unione. Ma come fotografare e sintetizzare questo
testo? Ci prova per noi Fausta Speranza:
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Non chiamatela Costituzione -
spiegano i giuristi - perché è un accordo tra Stati. Ma i leader europei amano
definirla Costituzione, spiegando che non è paragonabile ad altri Trattati.
Qualcuno sottolinea: bisognerebbe trovare un termine nuovo perché una nuova
realtà sta nascendo. A parte le dotte disquisizioni, il cittadino vorrebbe
capire che cosa ci si può fare con un Preambolo denso e significativo e ben 448
articoli.
Innanzitutto, per la prima volta
l’entità europea ha una personalità giuridica internazionale, pari a quella
degli Stati nazionali. Primo esempio: la Carta dei diritti, già sottoscritta da
tempo, inglobata nel Trattato avrà un altro valore perché i suoi principi
saranno più vincolanti della legislazione dei singoli Paesi.
E poi: si prevede un ministro
degli esteri in grado di pronunciare quella parola politica che finora è
mancata. Si dà spessore al ruolo del presidente del Consiglio affidandogli un
mandato di 2 anni e mezzo piuttosto che di sei mesi.
Un altro punto cruciale è il
voto a maggioranza su molte materie, che darà spazio di manovra all’elefantiaca
Europa a 25 immobilizzata da una improbabile unanimità. Ma sta qui la prima
medaglia da guardare sulle due facce: l’unanimità resta su materie chiave come
settori della politica estera e coordinamento delle politiche economiche.
Dunque, i passi in avanti ci
sono ma non erano quelli sperati. E’ la delusione di tutti: questo non è il
miglior Trattato possibile. E – aggiunge il presidente Prodi – è anche purtroppo
abbastanza blindato, visto che per cambiare anche alcuni regolamenti ci vorrà
la procedura della revisione costituzionale mentre si sarebbe voluto scorporare
alcune parti per affidarle ad una procedura normale. Citiamo brevemente, solo
perché già discussa, la delusione per il mancato riferimento alle radici
cristiane.
In definitiva, ci auguriamo che
l’obiettivo ultimo sia quello indicato proprio nel Preambolo di questa discussa
Carta: “L’Europa offre ai suoi popoli le migliori possibilità di proseguire (…)
la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza
umana”.
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Ancora
una giornata di sangue in Iraq. Baghdad è stata colpita stamani dall’esplosione
di un’autobomba e nelle città del cosiddetto triangolo sunnita si sono
verificati nuovi episodi di violenza. Il nostro servizio:
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Un
ennesimo raid aereo americano su Falluja ha provocato, nella notte, la morte di
tre persone. E a Baquba sconosciuti hanno fermato un taxi e ucciso a colpi di
arma da fuoco i viaggiatori, due funzionari di polizia, e l’autista. A Ramadi
due iracheni sono rimasti uccisi in seguito a furiosi scontri tra guerriglieri
sunniti e forze statunitensi. Un soldato americano ed un civile iracheno sono
morti, inoltre, per l’esplosione di una bomba avvenuta lungo una strada molto
trafficata di Baghdad. E sempre nella capitale, uomini armati hanno ucciso la
giornalista Liqaa Abdul Razzaq, molto nota per aver condotto, durante il regime
di Saddam Hussein, i telegiornali dell’emittente televisiva statale. Ma in Iraq
la violenza non è solo quella compiuta con bombe e attentati. Nell’università
di Mosul, nel nord del Paese, gli studenti cristiani sono minacciati dal
continuo terrorismo psicologico esercitato dagli estremisti islamici. Vittime
di questa allarmante strategia, che colpisce anche la popolazione musulmana,
sono soprattutto le ragazze.
Intricato
anche il capitolo relativo ai sequestri. Oggi la televisione del Qatar, Al Jazeera,
ha riferito che è stata rapita una donna polacca. I sequestratori chiedono il
ritiro delle truppe polacche ma il governo di Varsavia ha già dichiarato che
non rimpatrierà il proprio contingente. In un nuovo video l’operatrice anglo irachena
Margaret Hassan ha chiesto, infine, il rilascio delle donne detenute in Iraq,
il ritiro delle truppe britanniche e la chiusura degli uffici dell’ONG ‘Care
International’.
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E le vicende irachene dominano la
campagna elettorale per le presidenziali americane che si svolgeranno il 2
novembre prossimo. In particolare la vicenda delle 380 tonnellate di esplosivo
trafugate in un deposito iracheno e nelle possibili mani dei terroristi, anche
ieri è stata al centro dello scontro elettorale tra Bush e Kerry con la
risposta veemente del capo della Casa Bianca. Il servizio di Elena Molinari:
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Il presidente americano Bush ha condannato le accuse di Kerry e ha avanzato
l’ipotesi che gli esplosivi fossero stati spostati prima dell’inva-sione americana.
Anche gli elettori più indecisi si stanno schierando, così come hanno fatto i
maggiori quotidiani americani. E Kerry gode dell’appoggio della maggior parte
delle testate USA, comprese 36, che nel 2000 avevano invece appoggiato Bush. Ma
in realtà a 5 giorni dal voto ufficiale un elettore su 10 si è già espresso per
corrispondenza o nei 32 Stati dove è possibile farlo in anticipo. I risultati
di questa pretornata danno Bush al 51 per cento, stando agli exit poll della
rete ‘ABC’, ma l’errore del rilevamento è molto elevato. I sondaggi
tradizionali vedono, infatti, i due candidati in perfetto equilibrio. Una
previsione più attendibile, invece che il voto del 2 novembre, potrebbe vedere
la più alta affluenza alle urne dal 1968. Ci si aspetta, infatti, che si
esprimerà il 60 per cento degli aventi diritto, pari a 121 milioni di persone.
Elena Molinari, per la Radio
Vaticana.
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In Afghanistan
sono stati rapiti, a Kabul, tre impiegati dell’ONU: si tratta due donne,
un’irlandese e una kosovara, e di un filippino. Il sequestro è stato rivendicato
da un gruppo islamico afgano, il sedicente ‘Esercito dei musulmani’. I tre
stranieri lavoravano nella commissione elettorale congiunta ‘Afghanistan - Nazioni
Unite’ che ha controllato lo svolgimento del voto per le presidenziali dello
scorso 9 ottobre. A quasi un mese dalla consultazione, è stato ufficialmente
dichiarato concluso lo spoglio delle schede.
Ha preso il via
oggi in Indonesia il processo contro il leader radicale Abu Bakar Baashyir,
incriminato per gli attentati a Bali e contro l’hotel Marriot di Giacarta. L’imam, che rischia la pena di morte, si è
detto innocente, sottolineando di essere perseguitato per essersi opposto agli
interessi del presidente americano George Bush. L’uomo, 66 anni, è finito in
manette subito dopo l’attentato che nell’ottobre 2002 a Bali provocò 202 morti.
Quattro britannici,
rilasciati dal centro di detenzione a Guantanamo, riservato dalle autorità
americane ai presunti terroristi e talebani, hanno denunciato per torture il
ministro della Difesa, Donald Rumsfeld, e diversi alti ufficiali del Pentagono.
L’istanza è stata presentata ad un tribunale distrettuale di Washington dal
Centro per i diritti costituzionali. I quattro, che hanno chiesto un
risarcimento danni di 10 milioni di dollari, sostengono di essere stati
sottoposti a “torture e ad altre violazioni dei diritti umani” durante la detenzione
a Cuba.
L’ETA è disposta ad intavolare un negoziato per
trovare una soluzione alla crisi in Spagna. E’ quanto emerge da un comunicato
dell’organizzazione separatista basca nel quale si sottolinea come sia
necessario promuovere ‘un processo di dialogo concreto’. La dichiarazione
dell’ETA è stata pubblicata alcune settimane dopo l’arresto dei suoi principali
leader, Antza e Anboto.
In Lettonia si
è dimesso il governo del premier Indulis Emsis. Il Parlamento di Riga aveva
bocciato la legge finanziaria per il 2005. Cinquantatre deputati hanno votato
contro il progetto, 39 a favore e cinque si sono astenuti. Si apre così una
crisi politica nel Paese baltico recentemente entrato nell'Unione Europea. Il
presidente Vaira Vike-Freiberga dovrà designare un nuovo primo ministro.
In
Siberia sono 13 i morti e 23 i feriti per un’esplosione avvenuta stamani nella
miniera di carbone di Listvianino, nella regione di Kemerovo. Il ministero
della Protezione Civile ha comunicato la fine del lavoro dei soccorritori che,
con nove squadre impegnate per quattro ore, ha portato in salvo 67 lavoratori
incolumi. Lo scoppio sembra si sia verificato in una zona in cui erano in corso
lavori di manutenzione degli impianti di metano. Intanto, mentre i sindacati
avanzano critiche nei confronti delle condizioni di lavoro nelle miniere ex
sovietiche, il governo federale annuncia un’inchiesta.
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