RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
301 - Testo della trasmissione di mercoledì
27 ottobre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Acceso
il dibattito in Nuova Zelanda sulla normativa che mira a nazionalizzare le
regioni costiere
Critica dei vescovi coreani per un disegno di legge
sul sistema di gestione delle scuole non statali
Isolamento
e lavori forzati per Nguyen Dan Que, noto attivista per i diritti umani in
Vietnam
Appello di Tokyo per la liberazione del giapponese
rapito ieri in Iraq. I sequestratori chiedono il ritiro delle truppe entro 48
ore
27
ottobre 2004
APPELLO DEL PAPA PER LA RICONCILIAZIONE IN IRAQ E
LA SOLIDARIETA’
ALLE
VITTIME DEL TERRORISMO. ALL’UDIENZA GENERALE,
LA RIFLESSIONE DEL PONTEFICE SUL SALMO 48,
CHE
CONDANNA L’IDOLATRIA DEL DENARO
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Il
Papa vicino alle vittime, gli ostaggi, le famiglie colpiti dalla violenza cieca
del terrorismo. L’appello di Giovanni Paolo II per l’Iraq e la sua popolazione
ha chiuso poco fa l’udienza generale di questa mattina, in una Piazza San
Pietro bagnata di pioggia, alla presenza di circa 20 mila persone. Il Pontefice
ha dedicato la catechesi pubblica del mercoledì al Salmo 48, che parla
dell’idolatria della ricchezza. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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“Accompagno
ogni giorno nella preghiera la cara popolazione irachena, intenta a ricostruire
le Istituzioni del proprio Paese”.
Le parole
conclusive del Papa arrivano ancora una volta a manifestare la sua solidarietà
per il dramma dell’Iraq. L’appello, pronunciato nella grigia e piovosa
mattinata romana, è risuonato come un incoraggiamento per i cristiani “a
continuare con generosità ad offrire il proprio fondamentale contributo per la
riconciliazione dei cuori”. Ma soprattutto come segno di “affettuosa
partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime e alle sofferenze degli
ostaggi e di tutti gli innocenti colpiti – ha detto il Pontefice - dalla cieca
barbarie del terrorismo”.
In precedenza,
la tradizionale riflessione sui Salmi era stata dedicata alla seconda parte del
Salmo 48, che stigmatizza una delle tentazioni “costanti dell’umanità”: quella
di credere che il denaro possa, per così dire, avere potere anche sulla morte.
Ma i versi del Salmo - ha osservato il Papa - condannano questa “illusione
generata dall’idolatria della ricchezza”:
“Aggrappandosi
al denaro, considerato come dotato di una forza invincibile, ci si illude di
poter ‘comperare anche la morte’, allontanandola da sé”.
In realtà, ha
continuato Giovanni Paolo II, la morte “irrompe con la sua capacità di demolire
ogni illusione, spazzando via ogni ostacolo, umiliando ogni confidenza in se
stesso e avviando ricchi e poveri, sovrani e sudditi, stolti e sapienti verso
l’aldilà”. Conquistare l’immortalità, dunque, è un atto di fede in Dio. Solo
lui - ha affermato il Papa - può riscattarci “da quell’orizzonte oscuro e
drammatico”. E ben appropriate sono le parole del Vangelo, che il Pontefice ha
citato al termine della catechesi: “Accumulatevi invece tesori nel cielo, dove
né tignuola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano.
Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.
Una nutrita
schiera di personalità era presente oggi in Piazza San Pietro. Il Papa ha salutato
in polacco il cardinale arcivescovo di Cracovia, Franciszek Macharski, e ha rivolto,
tra l’altro, un benvenuto cordiale a due ministri del governo italiano: Gianni
Alemanno, titolare del dicastero delle Politiche agricole e forestali, che
accompagnava i partecipanti alla spedizione italiana sul K2, e Girolamo
Sirchia, ministro della salute, insieme con i circa 4 mila anziani aderenti
all’Osservatorio della terza età. Il saluto del Pontefice è andato anche ai
diaconi dell’arcidiocesi di Milano e alla Delegazione di Montecassino, guidata
dal vescovo, Bernardo D’Onorio, e dal presidente della Regione Lazio, Francesco
Storace.
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LA RELIGIONE SIA
STRUMENTO DI DIALOGO CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA:
COSI’, L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE ALLE NAZIONI UNITE, INTERVENUTO AL
PALAZZO DI VETRO
NEL DIBATTITO SULL’ELIMINAZIONE DELLE
DISCRIMINAZIONI A SFONDO RELIGIOSO
- Ai nostri microfoni, mons. Celestino Migliore -
La religione è una grande “risorsa
nella lotta contro il terrorismo”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo
Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, che ieri è
intervenuto all’Assemblea generale del Palazzo di Vetro sul tema
dell’eliminazione di ogni forma di discriminazione religiosa. La religione - ha
avvertito mons. Migliore - non deve essere mai utilizzata “come una minaccia
alla coesistenza pacifica e alla mutua tolleranza”. Quindi, ha messo in luce
come si stia affermando un’attitudine che tende “a confinare l’elemento religioso
alla mera sfera privata”. D’altro canto, il diplomatico vaticano ha sottolineato
che i tentativi volti “a secolarizzare o interferire negli affari interni delle
istituzioni religiose” indeboliscono il tessuto della società. La libertà
religiosa è dunque uno dei temi principali nell’agenda della Santa Sede.
Aspetto, questo, ribadito dall’arcivescovo Migliore nell’intervista di Alessandro
Gisotti:
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R. – E’ una
priorità, perché si constata che laddove la libertà religiosa è adeguatamente
rispettata e promossa si riscontrano anche volontà, attenzione, rispetto dei diritti
personali, civici … E’ una priorità, poi, perché persistono qua e là fenomeni
di persecuzione religiosa, di negazione dei diritti di manifestazione della
propria religione. Nel mio intervento ho voluto richiamare in particolare
l’attenzione su un fenomeno preoccupante, che si estende anche in ambienti di
lunga tradizione democratica, dove i legislatori e i giudici vanno fieri del
principio della libertà religiosa, ma sempre più spesso emettono sentenze,
leggi e regolamenti che ne svuotano del tutto il contenuto.
D. – In questi giorni sono molti
i temi cruciali in esame all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal
disarmo allo sviluppo sociale. Quali sono state le proposte più significative
della Santa Sede?
R. – In vista della Conferenza
che si terrà nella primavera del 2005, la Santa Sede insiste e si adopera
perché gli Stati abilitati a possedere armi nucleari intraprendano efficaci negoziati
miranti all’eliminazione di questo tipo di armi. Su un altro versante, per il
terzo anno consecutivo, l’Assemblea generale ha intrapreso quello che viene
chiamato il dibattito del XXI secolo sulla clonazione umana. Il ‘no’ della
Santa Sede alla clonazione umana di embrioni è radicato in una precisa
convinzione antropologica e morale, che allo stesso tempo ci porta a lavorare,
perché la scienza investa maggiormente in quelle terapie che già emergono come
possibili ed efficaci alternative all’uso delle cellule staminali. E poi, nel
campo dello sviluppo sociale, vorrei ricordare la partecipazione del cardinal
segretario di Stato, al vertice di capi di Stato e di governo, per il lancio
dell’iniziativa contro la fame e la povertà.
D. – All’ONU si fa sempre più
serrato il dibattito sulla riforma del Consiglio di Sicurezza. Qual è la
posizione della Santa Sede al riguardo?
R. – La Santa Sede è
dell’opinione che il Consiglio di Sicurezza debba accogliere nel suo ambito
un’adeguata rappresentazione della popolazione mondiale, dei diversi livelli di
sviluppo economico e dei differenti modelli di civiltà. Occorrono, poi, all’ONU
connessioni ben articolate con la società civile. Ciò renderebbe più semplice
operare nella comunità internazionale secondo un principio di sussidiarietà.
D. – Il conflitto in Iraq domina
l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Secondo lei, c’è all’ONU
sufficiente attenzione per altre crisi, per le guerre dimenticate nel sud del
mondo?
R. – Il Consiglio di Sicurezza
ha un calendario sempre più fitto di dibattiti sulle varie situazioni di
emergenza nel mondo. Regolarmente redige risoluzioni per una soluzione pacifica
dei vari conflitti. L’ONU sostiene una ventina di operazioni di mantenimento
della pace nei Paesi lacerati da conflitti. Ovviamente, l’efficacia di questi
sforzi dipende molto dalla cooperazione e dalla buona volontà dei singoli
Stati, proprio per la natura stessa dell’ONU, che non è un governo a sé ma
rappresenta la somma delle volontà politiche dei Paesi membri.
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LA “GAUDIUM ET SPES” AL
CENTRO DELL’ASSEMBLEA PLENARIA
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO “GIUSTIZIA E PACE”,
CONCLUSASI STAMANI A ROMA
- Ai nostri microfoni, il cardinale Oscar
Rodríguez Maradiaga -
Si sono chiusi stamani a Roma i
lavori dell’Assemblea plenaria del Pontificio consiglio della Giustizia e della
Pace incentrata su “La Gaudium et Spes ai giorni nostri: problemi e
prospettive”. Al microfono di Giovanni Peduto, l’arcivescovo di Tegucigalpa, il
cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, sottolinea l’attualità di questo documento
conciliare a 40 anni dalla sua promulgazione:
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R. – Mi sembra che sia ancora un
documento nuovo, perché ci parla delle realtà umane che ci fanno tanto
soffrire, per esempio la povertà, la disintegrazione della famiglia. Ancora
tutti i problemi che derivano dal consumismo, che vengono da una libertà che
non sa essere guidata verso il bene ma soltanto verso il piacere e, diciamo
così, la gratificazione egoista della persona, senza vedere la comunità. Penso
che sia opportuna più che mai questa riunione, penso che la missione di
evangelizzare la cultura, attraverso la dottrina sociale della Chiesa sia una
grande sfida per i tempi nostri.
D. – Cosa si può fare per
fronteggiare queste sfide?
R. – Penso che la risposta si
trovi in particolare nel Vangelo. Un Vangelo che non ha perduto per niente la
sua opportunità per l’uomo e la donna di oggi. C’è bisogno di trovare la bussola
per continuare il viaggio. Non si può navigare, “prendere il largo”, come ci ha
detto il Santo Padre, senza avere alcuni principi basici che ci guidino nella
scoperta di una vita più umana. Non è soltanto una vita piena di soldi, una vita
piena di consumismo, che porterà ad una giustizia sociale e ad una vita di qualità.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo “Fondamentale il contributo dei cristiani iracheni
per la riconciliazione dei cuori”: all’udienza generale Giovanni Paolo II
rinnova la sua vicinanza alla “cara popolazione” dell’Iraq e la sua
partecipazione al dolore di tutti gli innocenti colpiti dalla cieca barbarie
del terrorismo. Intanto continua il dramma degli ostaggi: rapito un civile
giapponese.
All’interno,
in evidenza, un articolo sulla firma della Costituzione europea, di
Pierluigi Natalia.
Nelle
vaticane, la catechesi e la cronaca dell’udienza generale.
Nelle
estere, Medio Oriente: storico “sì” d’Israele al ritiro da Gaza, dopo 37 anni
di occupazione.
Nella
pagina culturale, un approfondito contributo di Pietro Borzomati in merito alla
spiritualità cristologica di Alcide De Gasperi, la quale emerge soprattutto
dallo scambio epistolare con la figlia, suor Lucia.
L’Università
degli Studi di Salerno ha organizzato - dal 28 al 30 ottobre - un Convegno sul
tema: “Alcide De Gasperi nella storia dell’Italia Repubblicana a cinquant’anni
dalla morte”.
Una
pagina monografica - a cura di Giulio Colombi - dal titolo “Cent’anni dell’editrice
La Scuola”.
Nelle
pagine italiane, Cdl, riforma fiscale: nuovo rinvio. Due riunioni dopo la
sconfitta alle elezioni suppletive. Il
tema della giustizia.
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27 ottobre 2004
IL PIANO SHARON PASSA L’ESAME DEL PARLAMENTO,
MA IL GOVERNO RISCHIA LA SPACCATURA.
ISRAELIANI E PALESTINESI DIVISI SUL RITIRO DA
GAZA,
LA CHIESA SPERA IN UN RILANCIO DEL PROCESSO DI
PACE
- Con noi Antonio Ferrari, padre
Pierluigi Pizzaballa,
Nemer Hammad ed Elazar Coen -
Fra il ritiro da Gaza e la
compattezza del governo, il Parlamento israeliano ha scelto la via che potrebbe
portare alla pace. “Una decisione coraggiosa”, commentano oggi la stampa e gli
osservatori internazionali, ripensando ai 67 voti che ieri sera hanno fatto
approvare il piano Sharon di disimpegno unilaterale entro il 2005 dalla
Striscia e da quattro piccoli insediamenti della Cisgiordania. Il premier, a
questo punto, deve risolvere diverse questioni spinose: la spaccatura
all’interno del suo partito, il Likud, ed il dissenso di cinque ministri, che
minacciano di dimettersi se il capo del governo non indirà entro due settimane
un referendum popolare sul provvedimento. Cosa che Sharon, al momento, non
sembra disposto a fare.
Nella scena politica israeliana,
dunque, lo scenario apertosi appare quanto mai complesso. Giancarlo La Vella ne
ha parlato con l’inviato speciale ed analista del Corriere della Sera, Antonio
Ferrari, raggiunto telefonicamente a Gerusalemme:
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Con il voto favorevole, Sharon
ottiene la possibilità di procedere allo smantellamento di tutti gli
insediamenti ebraici nella Striscia di Gaza. Però l’ottiene spaccando il suo
partito, mentre compattamente lo sostiene la sinistra. C’è anche da capire che
molti parlamentari del Likud sono stati eletti proprio con il voto dei coloni e
quindi non se la sono sentita forse di condividere questa scelta. E si tratta
di una scelta coraggiosa, perché per la prima volta in Palestina si riconosce
che la terra non è sacra, che la terra dove arrivano i coloni non è
intoccabile. È evidente che da questo risultato si dimostra che la coalizione
di governo, di fatto, non esiste più. Quindi, direi che l’ipotesi di un governo
allargato ai laburisti è una possibilità forte. Se questo poi non dovesse
accadere, credo che si terranno elezioni anticipate. Con una domanda cardine:
possono i coloni tenere in scacco la democrazia israeliana?
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Ma la rilevanza del voto di ieri
va oltre gli equilibri politici israeliani. Padre Pierluigi Pizzaballa, custode
di Terra Santa, confida le sue speranze di una pace stabile al microfono di
Andrea Sarubbi:
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R. – Il voto di ieri segna
sicuramente un momento storico. Creerà certamente una situazione nuova in Terra
Santa ed anche una nuova prospettiva di rapporti tra israeliani e palestinesi.
Bisogna vedere come tutto ciò sarà concretizzato, in quali tappe, e se ci sarà
un coordinamento anche con le realtà
palestinesi, in modo che non rimanga il vuoto. Sicuramente è un gesto
molto importante, che crea un’atmosfera nuova che porterà sicuramente delle
novità, penso, positive. Questo non può che farci piacere.
D. – Molti sono stupiti dal
fatto che questa decisione del ritiro sia stata presa proprio da un leader di
destra, come Sharon ...
R. – Se guardiamo alla storia
recente di questo Paese vediamo che molte di queste scelte difficili sono state
fatte da governi di destra. Gli accordi di Camp David sono stati fatti da
Begin, anch’egli del Likud. Quindi non stupisce che sia stato Sharon. Destra o
sinistra, credo comunque che fosse un passo dovuto.
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Il voto di ieri, però, non
convince del tutto i palestinesi. Nemer Hammad, delegato dell’Autorità
nazionale palestinese in Italia, spiega perché:
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R. – La preoccupazione è grande,
perché studiando la proposta si vede che Israele continuerà a controllare tutte
le frontiere della Striscia di Gaza. Praticamente è stata presa una decisione
che crea nella striscia stessa una grande prigione per i palestinesi, senza
alcuna responsabilità da parte degli israeliani all’interno di essa. In qualunque
momento l’esercito israeliano può entrare, può continuare a bombardare e ad
uccidere.
D. – Mi sembra che lei stia
vedendo più il bicchiere mezzo vuoto che quello mezzo pieno ...
R. – Il bicchiere mezzo pieno
potremmo vederlo se questo ritiro fosse parte dell’applicazione della road
map, se rientrasse in un accordo che prevede una presenza internazionale.
Ma tutto questo non c’è.
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Secondo i palestinesi, dunque, si tratta di una
decisione unilaterale, presa dal governo Sharon senza l’avallo della
comunità internazionale. La parola ad
Elazar Coen, ministro dell’ambasciata israeliana a
Roma:
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R. – Israele non può fare
altrimenti. Purtroppo, dato che non abbiamo un interlocutore da parte
dell’Autorità Palestinese, questo è un programma unilaterale. Ma noi continuiamo
a sperare che si trovi finalmente un partner palestinese per attuare questo
programma di disimpegno attraverso un accordo bilaterale.
D. – Secondo lei, c’è la
possibilità seria che attraverso questo accordo si arrivi poi alla pace?
R. – Questo dipende solamente
dai palestinesi. Quando la società palestinese troverà una leadership più
responsabile di quella attuale di Arafat, si potrà cominciare a parlare seriamente
del rilancio del processo di pace. Adesso, dato che non abbiamo un interlocutore,
stiamo facendo tutto questo unilateralmente.
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BARROSO CHIEDE TEMPO: SOSPESA LA SEDUTA DEL
PARLAMENTO EUROPEO
PER LA
FIDUCIA ALLA COMMISSIONE. A DUE GIORNI DALLA FIRMA
DEL TRATTATO COSTITUZIONALE, L’INTERVISTA CON
ENRICO VINCI,
PRESENTE ALLA STORICA FIRMA DEL 1957, SEMPRE A
ROMA
Nulla di fatto a Strasburgo dove
era in programma per oggi il voto di fiducia dell’Europarlamento, che avrebbe
insediato ufficialmente la nuova Commissione europea, guidata dal portoghese
Barroso. Lo stesso presidente designato ha chiesto un rinvio del
pronunciamento, non presentando la propria squadra. Starebbe ora esaminando la possibilità di un rimpasto. Il servizio di Barbara Castelli:
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“Sono arrivato alla conclusione
che un voto oggi non sarebbe stato positivo per il progetto e le istituzioni
europee. Stando così le cose, ho deciso di non presentare la nuova
commissione”. Con queste parole il presidente designato della Commissione
dell’UE, Barroso, ha chiesto al Parlamento europeo “più tempo” per la
presentazione del suo esecutivo. L’ex premier portoghese ha così riconosciuto
che la sua squadra non avrebbe avuto i numeri sufficienti per essere approvata
del Parlamento europeo. “Sono a favore di una coalizione tra tutti coloro che
sono a favore del progetto europeo, ha aggiunto il presidente designato,
l’Europa è una realtà pluralistica e di tolleranza, di equilibrio e di consenso
tra i cittadini”. Subito dopo l’intervento di Barroso, accolto con applausi dai
banchi dei gruppi, il presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell, ha
sospeso la seduta. La presidenza olandese, intanto, tramite il suo
rappresentante presente in aula, ha informato che, a seguito dell’annuncio di
Barroso, la commissione presieduta da Romano Prodi resta per il momento in
carica. Tutta la procedura, quindi, dovrebbe ora slittare alla prossima
plenaria dell’assemblea di Strasburgo, in programma dal 15 al 18 novembre prossimi.
Nella seduta del 16 novembre Barroso potrà presentare la sua nuova squadra
sulla cui investitura si voterà il giorno successivo. L’ex premier portoghese,
la cui commissione avrebbe dovuto insediarsi il prossimo primo novembre, è
stato molto criticato per la distribuzione di tre incarichi. Il caso
dell’italiano Rocco Buttiglione, che si è detto “sereno”, è stato quello di cui
si è parlato maggiormente, anche perché ha ricevuto una bocciatura, mentre
sugli altri sono state espresse riserve. “E’ mia intenzione – ha
sottolineato Barroso, incontrando la stampa – cambiare il necessario e il
sufficiente”. “Ora devo consultare i membri del Consiglio europeo e poi i vari
gruppi del Parlamento europeo. Non posso fare dunque nomi, ma posso dire che
troveremo una soluzione che abbia un appoggio largo”.
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Sulla coincidenza temporale tra
la sospensione del via libera del Parlamento all’euroesecutivo e la storica
firma del Trattato costituzionale tra due giorni a Roma, il servizio di Fausta
Speranza:
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Lo stop a Barroso può essere interpretato come una crisi di
decisionalità all’interno dell’Unione ma anche come un esempio concreto
dell’esercizio della democrazia. Così come all’interno di ogni Paese
democratico, il Parlamento, che è espressione diretta del voto popolare, deve
dare la propria vincolante fiducia all’esecutivo. E’ anche vero che è la prima volta che l’Assemblea di Strasburgo
di fatto boccia una Commissione. In ogni caso, tutto avviene a due giorni dalla
storica firma del Trattato costituzionale. Per capirne l’importanza si deve
tornare al 25 marzo 1957 quando sei Paesi (Belgio, Olanda, Germania, Francia,
Italia e Lussemburgo) firmano i Trattati di Roma con cui nascevano la CEE e
l’EURATOM. E con cui, dunque comincia l’avventura europea.
Da ricordare, poi, ci sono le
tappe dell’allargamento che fanno sì che all’altro Trattato storico sono 12 i
capi di Stato e di governo. Parliamo del Trattato firmato a Maastricht, in
Olanda, nel 1992, che dà vita all’Unione Europea. Non c’è più solo il piano
degli scambi commerciali ma si parla di tre pilastri: l’unione economica e monetaria;
la politica estera e di difesa comune e la cooperazione nella giustizia e
affari interni.
Significativa la data del 1
gennaio 2002: nell’Unione ormai a 15 Paesi in 12 di questi entra in vigore la
moneta unica. Nella cosiddetta “area dell’euro” gli Stati membri devono
rispettare rigorosi parametri economici.
Con un salto che certamente
tralascia qualche altra tappa significativa, arriviamo al 18 giugno 2004 quando
i capi di Stato e di governo dell’UE approvano a Bruxelles il Trattato
costituzionale, composto da un Preambolo e quattro parti. Dopo la storica firma
a Roma, venerdì prossimo, per entrare in vigore a partire dal 2009, tale
Trattato dovrà essere prima ratificato dai singoli Stati membri.
Stiamo vivendo, dunque, una
decisiva fase di quell’avventura europea nata 47 anni fa, sempre nella capitale
italiana. Era presente alla storica prima firma nella sala degli Uriazi e
Curiazi del Campidoglio, Enrico Vinci, che collaborava con l’allora ministro
degli esteri, Gaetano Martino. Enrico Vinci ha poi lavorato al Parlamento
europeo partecipando anche alla prima seduta del 1979 e diventandone poi il
segretario generale. Ascoltiamo come ricorda lo spirito e l’atmosfera di allora:
R. – Ho avuto la fortuna,
sebbene ancora molto giovane, di partecipare a quelli che furono i negoziati
della conferenza di Messina e poi successivamente al Trattato di Roma. Devo
raccontare, pensando a quei tempi, lo spirito, l’entusiasmo, quella specie di
volontà che costituiva la base dell’intesa europea.
D. – Come ricorda la speranza
che era riposta sicuramente in questa firma?
R. – Era forte il ricordo della
guerra, il dopo guerra, le difficoltà. Tutto quello che abbiamo provato nell’immediato
dopoguerra è stato un incitamento maggiore a sentire l’esigenza di quell’unità
europea, che valesse anche come sentimento morale di accordo tra popoli che si
erano combattuti fino a pochi anni prima. Si chiamò allora il famoso “spirito
di Messina” che veniva dopo il fallimento del Trattato della Comunità europea
di difesa e che fece in modo che fossero risolti i problemi che si erano posti
allora. E’ vero, eravamo soltanto sei Paesi, che appartenevano al continente,
il “muro del continente”, però è altrettanto vero che a quel tempo c’era uno
spirito che ci animava tutti e ci dava un entusiasmo maggiore capace di farci
superare le difficoltà obiettive che esistevano. A quel tempo le economie dei
sei Paesi erano lontane l’una dall’altra. Tutti quanti noi, in fondo, dipendevamo
dall’assistenza degli Stati Uniti d’America. Avevamo ancora davanti a noi il
ricordo di momenti terribili della seconda guerra mondiale. Eppure questo
spirito europeo ci animava in maniera da entusiasmare le nostre azioni.
D. – Ma l’idea era di costruire
che cosa?
R. – L’idea era quella di
costruire un patrimonio europeo comune per raggiungere quella che era un’intesa
basata su comuni convinzioni, morali ed etiche, che ci davano la speranza di un
popolo europeo che non si sovrapponesse, ma si unisse al sentimento nazionale
di ciascuno di noi.
D. – Lei ha parlato di
difficoltà: qual era la resistenza?
R. – La resistenza era anzitutto
da parte delle forze economiche. A quel tempo il nazionalismo economico
prevaleva. Lo stesso Trattato di Roma prevedeva infatti un periodo transitorio
prima di poter giungere a quello che era il mercato comune. Non era semplice
poter immaginare la libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone.
D. – Con il suo sguardo, uno
sguardo che ha tutto lo spessore del tempo trascorso dal 1957 ad oggi, come
legge questa firma del Trattato costituzionale, ancora una volta a Roma?
R. – Lo leggo evidentemente in
maniera positiva anche se esito a dire in maniera molto positiva. Siamo ormai
25 Paesi, 500 milioni di persone e quindi, questo è oggi il miglior Trattato
che si poteva realizzare e merita quindi di essere approvato. Però, non c’è dubbio
che c’è un sentimento di mancata occasione nei nostri animi. Avremmo sperato in
un Trattato più denso di sentimenti, più denso di volontà politica, più denso
di partecipazione. E’ un Trattato che non riesce ad entusiasmare, a riscaldare
i nostri cuori, al contrario di quello che è stato, appunto, il Trattato del
1957. Anche il non voler inserire nelle clausole del Trattato il riferimento
alle radici giudeo-cristiane dell’Europa è un esempio di come si sia
tralasciato quello che è il sentimento capace di infiammare la volontà dei
popoli, la volontà dei cittadini.
D. – In questi anni, c’è stato
qualche momento in cui ha pensato che fosse impensabile anche un Trattato come
questo?
R. – Certamente sì. L’Europa è
cresciuta attraverso successive crisi. Immagini le crisi della famosa sedia
vuota, voluta dalla Francia quando si trattò di unificare la politica agricola
comune. L’Europa è cresciuta fra crisi diverse: La crisi dell’allargamento: il
secondo allargamento, quello alla Gran Bretagna indubbiamente costituì un momento
di svolta dell’Europa. Non dimentichiamoci che la Gran Bretagna è sempre stata
favorevole ad un’Europa come territorio di libero scambio, un’Europa economica
più che politica, quindi è stata uno degli elementi frenanti di quel processo
di costruzione europea che aveva dei contenuti politici. Abbiamo avuto molti
momenti assai difficili che l’Europa ha superato. Perché? Perché in realtà
l’idea è viva e vitale nonostante le difficoltà. I cittadini italiani,
francesi, spagnoli, tedeschi che siano, sentono che c’è bisogno di questa unità
fra i nostri popoli. Sentono che c’è bisogno di sentirsi appartenenti ad un comune
destino europeo
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LA VIBRANTE ARTE DI DEGAS SBARCA AL VITTORIANO A
ROMA.
NUMEROSE LE OPERE ESPOSTE, CHE DESCRIVONO LA
PASSIONE DELL’ARTISTA PER
LO STUDIO DEL MOVIMENTO E DELL’ARTE CLASSICA E
RINASCIMENTALE
- Servizio di Francesca Sabatinelli -
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(musica)
Ballerine in piedi, alla sbarra,
nel foyer, mentre riposano oppure a lezione. Senz’altro Degas è l’artista che
più ha ritratto il mondo della danza, ma è ingiusto e improprio, sottolineano
gli storici dell’arte, definirlo il pittore delle ballerine. Edgar Degas,
francese con sangue italiano, ma anche americano, con i suoi quadri ci regala
la sua passione per lo studio del movimento, accanto alle fanciulle in tutù,
eleganti e nervosi cavalli, agili fantini, lavandaie e stiratrici, e
l’immediatezza dei loro gesti. “Sono un osservatore della bestia umana che si occupa
di se stessa”, diceva di sé.
La rassegna, dal titolo “Degas
classico e moderno”, esprime la sua costante tensione verso i valori dell’arte
classica e rinascimentale e l’esigenza di riflettere nel suo lavoro il mondo
contemporaneo. Curatrice della Mostra è Maria Teresa Benedetti:
(musica)
R. – Degas è nato nei musei. Ha fatto il copista fino agli anni Ottanta.
Andava a copiare nei musei ed era uno che riconosceva la grande autorità dei
classici. Ad un certo momento ha detto “non posso più fare un’arte che dipenda
dai musei, devo fare l’arte del mio tempo”, come aveva detto Boudelaire, devo
dipingere la modernità”. Allora, naturalmente, tutte queste cose sono rimaste
dentro di lui e quando analizziamo, ad esempio, un quadro di cavalli, vediamo
che lui ha pensato alla battaglia di San Romano di Paolo Uccello, che ha
pensato al Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli. Quando dipinge una ballerina
stanca, con le braccia dietro la schiena, lui immagina uno dei ladroni della
Crocifissione di Mantegna che sta, appunto, con i gomiti alzati e le braccia
dietro la schiena. Perché gli piacciono le ballerine? Perché ricordano il
movimento dei greci. Queste erano le frasi di Degas. C’è in lui una grande
sintesi di tutta la cultura del passato ed un affaccio violento, duro e
disperato sull’arte moderna.
(musica)
La mostra ripercorre, dunque,
l’intero cammino creativo di Degas. Solo alcuni esempi: “La classe di danza”, proveniente
da Washington; “Ballerine in rosa e verde” e “Donna seduta davanti ad un vaso
di fiori”, dal Metropolitan di New York.
(musica)
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27
ottobre 2004
ACCESO IL DIBATTITO IN NUOVA
ZELANDA SULLA NORMATIVA CHE MIRA
A NAZIONALIZZARE LE REGIONI COSTIERE. APPELLO DEI
VESCOVI AL GOVERNO
PER UN ONESTO DIALOGO CON LA MINORANZA MAORI
WELLINGTON. = In un appello congiunto, i vescovi
cattolici e protestanti della Nuova Zelanda chiedono al governo di riprendere
il dialogo con i maori, riesaminando in modo “onesto” la questione della
legislazione che regola lo sfruttamento delle coste, dove vive la minoranza
indigena. Il provvedimento, infatti, presentato in Parlamento, ha innescato la
forte opposizione dei maori e i vescovi temono che la questione possa spaccare
il Paese, allargando il fossato fra i due gruppi etnici presenti nella nazione.
I presuli, quindi, chiedono al governo di fare un passo di apertura e di
promuovere un dialogo senza pregiudizi con i maori, nel rispetto dei loro
diritti e dei loro costumi di vita. La normativa mira a nazionalizzare le
regioni costiere, impedendo il diritto di usufrutto ai maori. La nuova legge
potrebbe privare così la minoranza di aree da loro utilizzate per la pesca e la
raccolta di frutti di mare. I maori insistono sul rispetto del Trattato di
Waitangi, stipulato nel 1840 con la Corona Inglese, che accordava alla
popolazione indigena “la piena, esclusiva e indisturbata proprietà di terra,
boschi e fondali pescosi”. I circa 530.000 maori presenti in Nuova Zelanda
costituiscono il 12,5 per cento della popolazione neozelandese e costituiscono
la parte di popolazione più povera del Paese. (B.C.)
CRITICA
DEI VESCOVI COREANI PER UN DISEGNO DI LEGGE SUL SISTEMA
DI GESTIONE DELLE SCUOLE NON
STATALI. SECONDO I PRESULI IL PROVVEDIMENTO RAPPRESENTA UNA LIMITAZIONE DELLA
LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO NEL PAESE
SEOUL. = I vescovi coreani hanno
espresso forti critiche su un disegno di legge che vuole riformare il sistema
di gestione delle scuole non statali nel Paese. In una dichiarazione pubblicata
nei giorni scorsi, al termine della loro plenaria, i presuli esortano i fedeli
ad opporsi al provvedimento in quanto - affermano - limiterà l’autonomia delle
scuole non statali e, quindi, anche di quelle cattoliche. Nello specifico, il
progetto riduce parte del potere decisionale dei presidi e delle fondazioni
delle scuole private in materie quali la gestione finanziaria e la definizione
dei loro programmi a favore dei consigli di istituto composti da insegnanti,
genitori e studenti e che attualmente hanno solo compiti consultivi.
L’obiettivo, secondo il governo coreano, è di ridurre la corruzione nelle
scuole non statali. Un motivo giudicato, invece, pretestuoso dai vescovi, per i
quali il provvedimento costituisce una seria limitazione alla libertà di
insegnamento in Corea. (L.Z.)
LA CONDIZIONE DEI MIGRANTI AL CENTRO DI UN
INCONTRO
DI DUE GIORNI, IN PERU’, TRA I VESCOVI BOLIVIANI,
CILENI E PERUVIANI
TACNA.
= Impegnarsi per la pace, la solidarietà e il dialogo sociale. E’ con questo
spirito che domani e venerdì si terrà un incontro tra tutti i vescovi
boliviani, cileni e peruviani delle diocesi al confine tra i tre Paesi. Durante
la riunione, convocata nella città peruviana di Tacna, i presuli, ospiti del vescovo di Tacna e
Moquegua, mons. José Hugo Garaycoa Hawkins,
si confronteranno sulle problematiche dei migranti, che hanno lasciato il loro
Paese natale alla ricerca di condizioni di vita migliori per sé e le loro famiglie.
Dall’incontro dovrebbe anche scaturire un piano d’azione coordinato per
l’evangelizzazione della regione, con lo scopo di dare assistenza spirituale ai
rispettivi connazionali che vivono all’estero. (A.G.)
LA PREGHIERA DEI FRATELLI NELLE CARCERI DEL KENYA,
ATTRAVERSO
LA
TESTIMONIANZA DI PADRE EUGENIO FERRARI,
MISSIONARIO DELLA CONSOLATA
NAIROBI. = “Anche in carcere si può essere missionari. Lo
ripeto sempre ai miei fratelli carcerati, che incontro ogni giovedì nel
penitenziario di massima sicurezza di Kamiti”. E’ la testimonianza – raccolta
dall’agenzia Fides – di padre Eugenio Ferrari, missionario della Consolata e
direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie del Kenya. “Nel carcere
– rivela – si è creata una fervente comunità cattolica. Vi sono catechisti,
animatori e persino un coro che canta durante la messa che celebro tutte le
domeniche. Io non ho bisogno di organizzare la cerimonia. Sono gli stessi
detenuti che preparano i canti, stabiliscono i lettori e si offrono per il
servizio liturgico all’altare”. Ai detenuti, prosegue il religioso, ricordo che
“anche loro possono essere missionari con la preghiera e offrendo le loro
sofferenze per il bene della Chiesa e dell’umanità. Vi sono persone che sono
detenute da oltre 25 anni e anche a loro chiedo di offrire la loro preghiera”.
“Per il mese missionario – sottolinea – ho proposto ai miei fratelli in carcere
di pregare per i missionari. Il 24 ottobre anche i detenuti nel braccio della
morte hanno partecipato alla preghiera per i non cristiani”. (A.G.)
APERTO IN UGANDA L’INCONTRO DEI
DIRETTORI NAZIONALI DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE DEI PAESI AFRICANI
ANGLOFONI: UN OCCASIONE PER COOPERARE
E APPROFONDIRE LA CONOSCENZA
DELLA REALTA’ DELLA CHIESA AFRICANA
KAMPALA. = Si è aperto ieri l’incontro dei Direttori delle
Pontificie Opere Missionarie dei Paesi africani di lingua inglese (NDESA).
Secondo quanto riferito dall’agenzia Fides, l’incontro, che si terrà fino al 2
novembre prossimo presso il centro delle suore di Maria Riparatrice di
Entebbbe, interessa Paesi come Etiopia, Kenya, Sudan, Liberia, Zambia, Nigeria
e Sierra Leone. L’incontro, che l’anno scorso si è svolto in Tanzania, permette
ai Direttori Nazionali di studiare nuove opportunità di cooperazione
nell’ambito missionario, di incontrare nuove culture e nuove popolazioni,
espandendo la conoscenza della realtà della Chiesa africana. (E.B.)
ISOLAMENTO E LAVORI FORZATI
PER NGUYEN DAN QUE, NOTO ATTIVISTA
PER I DIRITTI UMANI IN VIETNAM. LA DENUNCIA DELLA
SORELLA,
PREOCCUPATA PER LE SUE CONDIZIONI DI SALUTE
HO CHI MINH CITY. = Inasprite in Vietnam le
condizioni di detenzione per Nguyen Dan Que, noto attivista per i diritti
umani. Il medico 62.enne, da anni obiettivo della repressione del governo, è
stato trasferito in una zona isolata nella giungla di Thanh Hoa. A renderlo
noto è la sorella, Quan Nguyen, preoccupata per le gravi condizioni di salute
del fratello. Il campo di Lam Son, dove si trova ora Dan Que, è noto per essere
un campo di lavori forzati per criminali. Dan Que ha già scontato più di 20
anni di prigione, torture e arresti domiciliari a causa dei suoi appelli
pubblici per un sistema politico multipartitico e la fine della censura in
Vietnam. L’ultima volta è stato arrestato il 17 marzo 2003 per aver inviato ad
un parente via internet un documento, nel quale sosteneva la necessità di riforme
politiche e garanzie per i diritti umani in Vietnam. Lo scorso 29 luglio è
stato così condannato a 2 anni e mezzo di carcere per “abuso di libertà
democratiche anti-governative”. Dan Que, oltre ad essere il fondatore del
movimento “High tide of Humanism”, è un medico da sempre impegnato a favore dei
poveri. Ha istituito una clinica basata sul lavoro di volontari e si è battuto
per il miglioramento del sistema carcerario, per i diritti umani e per le minoranze
etniche nel Paese. (B.C.)
“SOCIETÀ APERTA, SOCIETÀ DINAMICA E SICURA”:
QUESTO LO SLOGAN,
CON CUI E’ STATO PRESENTATO OGGI A ROMA IL 14.MO
DOSSIER STATISTICO
SULLA IMMIGRAZIONE. PRESENTE ANCHE IL SINDACO
CAPITOLINO, WALTER VELTRONI
- A cura di Stefano Leszczynski -
ROMA. = Tra il 2000 e l’inizio del 2004 si è verificato il
raddoppio degli immigrati presenti in Italia, con 2 milioni e 600 mila presenze
regolari, equivalenti al 4,5 per cento della popolazione italiana. Il dossier
ha stimato questa presenza complessiva, basata su criteri prudenziali,
aggiungendo le persone registrate dal ministero dell’Interno, che sono circa
2,2 milioni, esattamente 400 mila minori, che aumentano a ritmo di 65 mila
l’anno, e cioè 35 mila come nuovi nati in Italia e 25 mila come nuovi ingressi.
I primi tre gruppi nazionali registrati sono quelli di Romania, Marocco,
Albania, ciascuno con circa 230-240 mila soggiornanti registrati, che hanno
rafforzato la loro consistenza. E’ aumentata notevolmente la presenza di immigrati
dell’est Europa, in prevalenza ortodossi, che ha portato i cristiani a sfiorare
la metà del totale, 49,5 per cento delle presenze, seguiti dai musulmani con un
terzo delle presenze, ovvero il 33 per cento. La ripartizione territoriale
degli immigrati ovviamente vede una preponderanza al nord, con il 60 per cento,
un 30 per cento di presenze nel centro e soltanto un 10 per cento di presenze
nel Meridione, dove la prima regione per presenza di immigrati è la Campania.
Evidente la tendenza a crescere dell’immigrazione, non soltanto in Italia, ma
in tutta Europa, per l’apertura delle frontiere ad est. Necessario adattare il
sistema all’insegna di tre principali parole d’ordine: cioè programmare, accogliere
e integrare, tutti e tre ambiti in cui in Italia si può migliorare fortemente.
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27 ottobre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco ed Eugenio
Bonanata -
In
Iraq un soldato americano è rimasto ucciso ed un altro è stato ferito in seguito
all’esplosione di una bomba a Sindiayah, nella parte orientale del Paese. Il
ministro degli Esteri giapponese, Machimura, ha lanciato intanto un appello
chiedendo la liberazione del connazionale rapito ieri nel Paese arabo. Il
nostro servizio:
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Il rapimento del
giapponese è stato annunciato con un video diffuso su internet da un gruppo
legato alla rete terroristica del giordano Al Zarqawi. I sequestratori
minacciano di decapitare l’ostaggio se Tokyo non ritirerà le proprie truppe
entro 48 ore. Ma il premier giapponese, Junichiro Koizumi, ha già dichiarato
che il governo manterrà il suo contingente nel Paese arabo. Il sedicente
‘Esercito Ansar Al Sunna’ ha pubblicato, inoltre, un filmato che mostra 11
soldati della guardia nazionale irachena. Nel comunicato della formazione
islamica si precisa che i militari sono stati rapiti nei giorni scorsi lungo
l’autostrada che porta da Baghdad ad Hilla. Ed in questo drammatico scenario
continuano le operazioni delle forze della coalizione per garantire una più
adeguata cornice di sicurezza. Le truppe britanniche hanno cominciato a
lasciare Bassora per dirigersi verso nord, dove saranno impiegate in aree più
calde intorno a Baghdad, come deciso dal premier, Tony Blair, che ha accolto
una richiesta degli Stati Uniti. L’amministrazione americana sta considerando,
inoltre, il rafforzamento del contingente militare in vista delle elezioni, in
Iraq, del prossimo gennaio. Le ipotesi sulle quali si lavora in questo momento
sono quelle di estendere il periodo di fermo di alcune divisioni e di
accelerare il dispiegamento di altre.
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Ed il conflitto in Iraq continua a fare da sfondo alla
compagna elettorale di Bush e Kerry. I due candidati alla Casa Bianca, ancora
alla pari nei sondaggi, ieri si sono ritrovati nel Mid-West. Ascoltiamo il
servizio di Elena Molinari:
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E’ il centro dell’America e
dell’America rurale ed operaia, religiosa e lavoratrice, che negli aspiranti
presidenti cerca soprattutto una faccia di cui fidarsi. Ecco allora Bush in
Wisconsin e nell’Iowa, Stati che il presidente perse quattro anni fa, a parlare
di economia e a sostenere che Kerry aumenterà le tasse. Ed ecco il suo rivale
John Kerry, nel Wisconsin e poi appunto nell’Iowa, anche in Nevada e nel New
Mexico, ad incolpare Bush della sparizione in Iraq di 350 tonnellate di esplosivo.
Sono quelli, infatti, gli Stati determinanti nel voto di martedì prossimo, così
come saranno chiave le scelte dei nuovi votanti, giovani ma anche meno giovani,
che hanno scoperto la politica solo dopo i traumi del terrorismo e dell’Iraq.
Elena Molinari, per la Radio
Vaticana.
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Il primo
ministro libanese, Omar Karami, ha annunciato la composizione del nuovo governo,
filo siriano come il precedente. Nella compagine, formata equamente da musulmani
e cristiani, compaiono per la prima volta due donne: Lelia al-Solh,
all’Industria e Wafa Hamzeh, ministro senza portafoglio. Il nuovo esecutivo,
che dovrebbe facilmente ottenere la fiducia del Parlamento, succede a quello di
Rafiq Hariri, dimessosi la scorsa settimana dopo aver contestato l’approvazione
del controverso emendamento che prolunga per altri tre anni il mandato
presidenziale.
Il
cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, ed il presidente francese, Jacques
Chirac, hanno rinnovato il loro appoggio per l’ingresso della Turchia nell’UE.
Incontrando ieri a Berlino il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, i leader
politici di Francia e Germania hanno assicurato che al Vertice europeo, in
programma il prossimo 17 dicembre a Bruxelles, voteranno in favore della
raccomandazione della Commissione per l’avvio dei negoziati di adesione con la
Turchia.
Una nuova scossa ha colpito il
Giappone dopo il violento sisma dei giorni scorsi che ha causato 31 morti,
oltre 3.400 feriti, costringendo almeno 100 mila persone a lasciare le proprie
abitazioni. Dalle informazioni della Farnesina, al momento, non risultano
italiani coinvolti. L’ambasciata italiana a Tokyo ha preso contatto con i
connazionali presenti nel territorio istituendo una cellula di risposta per le
emergenze.
In Papua Nuova Guinea circa 4000 persone sono state
costrette a lasciare le loro case per l’eruzione del vulcano ‘Iabu’, sull’isola
di Manam. Non si ha finora notizia di vittime. La prima eruzione registrata
risale al 1616 e da allora il vulcano, uno dei 14 attivi nel cosiddetto ‘anello
di fuoco’ dell’arcipelago, si è risvegliato almeno 20 volte. L’ultima, avvenuta
nel 1996, ha causato la morte di 13 persone.
Instaurare
la democrazia nel Myanmar. Lo ha promesso il capo della giunta militare birmana,
Than Shwe, in visita in India. La missione del generale a New Delhi giunge ad
una settimana dalla sostituzione del premier moderato di Rangoon, Khin Nyunt.
Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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E’ la prima visita in quasi 25
anni e segna una nuova svolta nelle relazioni tra i due Paesi. Dopo aver
sostenuto in passato il dissenso del Myanmar e la causa del premio Nobel per la
pace, Aung San Suu Kyi, da alcuni anni l’India ha avviato rapporti commerciali
e militari più stretti con il regime birmano. Le delegazioni di Delhi e di
Yangoon hanno firmato accordi comuni contro il terrorismo, il narcotraffico, il
crimine organizzato e progetti idroelettrici. Al premier indiano, Manmohan Singh, il generale Than Shwe, al potere dal 1962, ha
assicurato il suo impegno a riportare la democrazia, ritenuta come l’unica
strada verso la pace e la prosperità. Ha poi promesso di intervenire contro
elementi anti indiani presenti nel suo territorio, riferendosi ai guerriglieri
separatisti attivi nelle regioni del nord-est.
Da New Delhi, per la Radio
Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Gli avvocati d’ufficio designati a
settembre per difendere l’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, hanno
chiesto di essere esonerati dall’incarico. La camera del consiglio del Tribunale
penale internazionale sull’ex Jugoslavia può accettare o rifiutare tale
richiesta che giunge dopo forti tensioni tra gli stessi avvocati e Milosevic,
che ha da sempre dichiarato di volersi difendere da solo.
La Camera dei Lord ha ammorbidito un
progetto di legge per il divieto della caccia alla volpe in Inghilterra e nel
Galles. Con 322 voti favorevoli e 72 contrari ha autorizzato i cacciatori,
muniti di uno speciale permesso, a praticare tale attività venatoria.
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