RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 301  - Testo della trasmissione di mercoledì 27 ottobre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Appello del Papa per la riconciliazione in Iraq e la solidarietà alle vittime del terrorismo. All’udienza generale, la riflessione sul salmo 48, che condanna l’idolatria del denaro

 

La “Gaudium et spes” al centro dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio “Giustizia e pace”, conclusasi a Roma: ai nostri microfoni il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga

 

La religione sia strumento di dialogo contro ogni forma di violenza: così l’arcivescovo Celestino Migliore al Palazzo di Vetro nel dibattito sull’eliminazione delle discriminazioni religiose. Con noi, il diplomatico vaticano

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Il piano Sharon passa l’esame del Parlamento, ma il governo rischia la spaccatura. Israeliani e palestinesi divisi sul ritiro da Gaza, la Chiesa spera in un rilancio del processo di pace: con noi Antonio Ferrari, padre Pierluigi Pizzaballa, Nemer Hammad ed Elazar Coen

 

Barroso chiede tempo: sospesa la seduta del Parlamento europeo per la fiducia alla Commissione. A due giorni dalla firma del Trattato costituzionale, la testimonianza di Enrico Vinci, presente anche nel 1957

 

L’anima più classica e quella più moderna della pittura di Degas in mostra al Vittoriano, a Roma: ce ne parla Maria Teresa Benedetti

 

CHIESA E SOCIETA’:

Acceso il dibattito in Nuova Zelanda sulla normativa che mira a nazionalizzare le regioni costiere

 

Critica dei vescovi coreani per un disegno di legge sul sistema di gestione delle scuole non statali

 

La condizione dei migranti al centro di un incontro di due giorni, in Perù, tra i vescovi boliviani, cileni e peruviani

 

La preghiera dei fratelli nelle carceri del Kenya, attraverso la testimonianza di padre Eugenio Ferrari, missionario della Consolata

 

Aperto in Uganda l’incontro dei direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie dei Paesi africani anglofobi

 

Isolamento e lavori forzati per Nguyen Dan Que, noto attivista per i diritti umani in Vietnam

 

“Società aperta, società dinamica e sicura”: questo lo slogan, con cui è stato presentato oggi a Roma il 14.mo dossier statistico sulla immigrazione

 

24 ORE NEL MONDO:

Appello di Tokyo per la liberazione del giapponese rapito ieri in Iraq. I sequestratori chiedono il ritiro delle truppe entro 48 ore

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 ottobre 2004

 

APPELLO DEL PAPA PER LA RICONCILIAZIONE IN IRAQ E LA SOLIDARIETA’

ALLE VITTIME DEL TERRORISMO. ALL’UDIENZA GENERALE,

 LA RIFLESSIONE DEL PONTEFICE SUL SALMO 48,

CHE CONDANNA L’IDOLATRIA DEL DENARO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

         Il Papa vicino alle vittime, gli ostaggi, le famiglie colpiti dalla violenza cieca del terrorismo. L’appello di Giovanni Paolo II per l’Iraq e la sua popolazione ha chiuso poco fa l’udienza generale di questa mattina, in una Piazza San Pietro bagnata di pioggia, alla presenza di circa 20 mila persone. Il Pontefice ha dedicato la catechesi pubblica del mercoledì al Salmo 48, che parla dell’idolatria della ricchezza. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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“Accompagno ogni giorno nella preghiera la cara popolazione irachena, intenta a ricostruire le Istituzioni del proprio Paese”.

 

Le parole conclusive del Papa arrivano ancora una volta a manifestare la sua solidarietà per il dramma dell’Iraq. L’appello, pronunciato nella grigia e piovosa mattinata romana, è risuonato come un incoraggiamento per i cristiani “a continuare con generosità ad offrire il proprio fondamentale contributo per la riconciliazione dei cuori”. Ma soprattutto come segno di “affettuosa partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime e alle sofferenze degli ostaggi e di tutti gli innocenti colpiti – ha detto il Pontefice - dalla cieca barbarie del terrorismo”.

 

In precedenza, la tradizionale riflessione sui Salmi era stata dedicata alla seconda parte del Salmo 48, che stigmatizza una delle tentazioni “costanti dell’umanità”: quella di credere che il denaro possa, per così dire, avere potere anche sulla morte. Ma i versi del Salmo - ha osservato il Papa - condannano questa “illusione generata dall’idolatria della ricchezza”:

 

“Aggrappandosi al denaro, considerato come dotato di una forza invincibile, ci si illude di poter ‘comperare anche la morte’, allontanandola da sé”. 

 

In realtà, ha continuato Giovanni Paolo II, la morte “irrompe con la sua capacità di demolire ogni illusione, spazzando via ogni ostacolo, umiliando ogni confidenza in se stesso e avviando ricchi e poveri, sovrani e sudditi, stolti e sapienti verso l’aldilà”. Conquistare l’immortalità, dunque, è un atto di fede in Dio. Solo lui - ha affermato il Papa - può riscattarci “da quell’orizzonte oscuro e drammatico”. E ben appropriate sono le parole del Vangelo, che il Pontefice ha citato al termine della catechesi: “Accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignuola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.

 

Una nutrita schiera di personalità era presente oggi in Piazza San Pietro. Il Papa ha salutato in polacco il cardinale arcivescovo di Cracovia, Franciszek Macharski, e ha rivolto, tra l’altro, un benvenuto cordiale a due ministri del governo italiano: Gianni Alemanno, titolare del dicastero delle Politiche agricole e forestali, che accompagnava i partecipanti alla spedizione italiana sul K2, e Girolamo Sirchia, ministro della salute, insieme con i circa 4 mila anziani aderenti all’Osservatorio della terza età. Il saluto del Pontefice è andato anche ai diaconi dell’arcidiocesi di Milano e alla Delegazione di Montecassino, guidata dal vescovo, Bernardo D’Onorio, e dal presidente della Regione Lazio, Francesco Storace.

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LA RELIGIONE SIA STRUMENTO DI DIALOGO CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA:

COSI’, L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE ALLE NAZIONI UNITE, INTERVENUTO AL PALAZZO DI VETRO

NEL DIBATTITO SULL’ELIMINAZIONE DELLE DISCRIMINAZIONI A SFONDO RELIGIOSO

- Ai nostri microfoni, mons. Celestino Migliore -

 

         La religione è una grande “risorsa nella lotta contro il terrorismo”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, che ieri è intervenuto all’Assemblea generale del Palazzo di Vetro sul tema dell’eliminazione di ogni forma di discriminazione religiosa. La religione - ha avvertito mons. Migliore - non deve essere mai utilizzata “come una minaccia alla coesistenza pacifica e alla mutua tolleranza”. Quindi, ha messo in luce come si stia affermando un’attitudine che tende “a confinare l’elemento religioso alla mera sfera privata”. D’altro canto, il diplomatico vaticano ha sottolineato che i tentativi volti “a secolarizzare o interferire negli affari interni delle istituzioni religiose” indeboliscono il tessuto della società. La libertà religiosa è dunque uno dei temi principali nell’agenda della Santa Sede. Aspetto, questo, ribadito dall’arcivescovo Migliore nell’intervista di Alessandro Gisotti:

 

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R. – E’ una priorità, perché si constata che laddove la libertà religiosa è adeguatamente rispettata e promossa si riscontrano anche volontà, attenzione, rispetto dei diritti personali, civici … E’ una priorità, poi, perché persistono qua e là fenomeni di persecuzione religiosa, di negazione dei diritti di manifestazione della propria religione. Nel mio intervento ho voluto richiamare in particolare l’attenzione su un fenomeno preoccupante, che si estende anche in ambienti di lunga tradizione democratica, dove i legislatori e i giudici vanno fieri del principio della libertà religiosa, ma sempre più spesso emettono sentenze, leggi e regolamenti che ne svuotano del tutto il contenuto.

 

D. – In questi giorni sono molti i temi cruciali in esame all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal disarmo allo sviluppo sociale. Quali sono state le proposte più significative della Santa Sede?

 

R. – In vista della Conferenza che si terrà nella primavera del 2005, la Santa Sede insiste e si adopera perché gli Stati abilitati a possedere armi nucleari intraprendano efficaci negoziati miranti all’eliminazione di questo tipo di armi. Su un altro versante, per il terzo anno consecutivo, l’Assemblea generale ha intrapreso quello che viene chiamato il dibattito del XXI secolo sulla clonazione umana. Il ‘no’ della Santa Sede alla clonazione umana di embrioni è radicato in una precisa convinzione antropologica e morale, che allo stesso tempo ci porta a lavorare, perché la scienza investa maggiormente in quelle terapie che già emergono come possibili ed efficaci alternative all’uso delle cellule staminali. E poi, nel campo dello sviluppo sociale, vorrei ricordare la partecipazione del cardinal segretario di Stato, al vertice di capi di Stato e di governo, per il lancio dell’iniziativa contro la fame e la povertà.

 

D. – All’ONU si fa sempre più serrato il dibattito sulla riforma del Consiglio di Sicurezza. Qual è la posizione della Santa Sede al riguardo?

 

R. – La Santa Sede è dell’opinione che il Consiglio di Sicurezza debba accogliere nel suo ambito un’adeguata rappresentazione della popolazione mondiale, dei diversi livelli di sviluppo economico e dei differenti modelli di civiltà. Occorrono, poi, all’ONU connessioni ben articolate con la società civile. Ciò renderebbe più semplice operare nella comunità internazionale secondo un principio di sussidiarietà.

 

D. – Il conflitto in Iraq domina l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Secondo lei, c’è all’ONU sufficiente attenzione per altre crisi, per le guerre dimenticate nel sud del mondo?

 

R. – Il Consiglio di Sicurezza ha un calendario sempre più fitto di dibattiti sulle varie situazioni di emergenza nel mondo. Regolarmente redige risoluzioni per una soluzione pacifica dei vari conflitti. L’ONU sostiene una ventina di operazioni di mantenimento della pace nei Paesi lacerati da conflitti. Ovviamente, l’efficacia di questi sforzi dipende molto dalla cooperazione e dalla buona volontà dei singoli Stati, proprio per la natura stessa dell’ONU, che non è un governo a sé ma rappresenta la somma delle volontà politiche dei Paesi membri.

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LA “GAUDIUM ET SPES” AL CENTRO DELL’ASSEMBLEA PLENARIA

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO “GIUSTIZIA E PACE”, CONCLUSASI STAMANI A ROMA

- Ai nostri microfoni, il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga -

 

Si sono chiusi stamani a Roma i lavori dell’Assemblea plenaria del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace incentrata su “La Gaudium et Spes ai giorni nostri: problemi e prospettive”. Al microfono di Giovanni Peduto, l’arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, sottolinea l’attualità di questo documento conciliare a 40 anni dalla sua promulgazione:

 

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R. – Mi sembra che sia ancora un documento nuovo, perché ci parla delle realtà umane che ci fanno tanto soffrire, per esempio la povertà, la disintegrazione della famiglia. Ancora tutti i problemi che derivano dal consumismo, che vengono da una libertà che non sa essere guidata verso il bene ma soltanto verso il piacere e, diciamo così, la gratificazione egoista della persona, senza vedere la comunità. Penso che sia opportuna più che mai questa riunione, penso che la missione di evangelizzare la cultura, attraverso la dottrina sociale della Chiesa sia una grande sfida per i tempi nostri.

 

D. – Cosa si può fare per fronteggiare queste sfide?

 

R. – Penso che la risposta si trovi in particolare nel Vangelo. Un Vangelo che non ha perduto per niente la sua opportunità per l’uomo e la donna di oggi. C’è bisogno di trovare la bussola per continuare il viaggio. Non si può navigare, “prendere il largo”, come ci ha detto il Santo Padre, senza avere alcuni principi basici che ci guidino nella scoperta di una vita più umana. Non è soltanto una vita piena di soldi, una vita piena di consumismo, che porterà ad una giustizia sociale e ad una vita di qualità.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo “Fondamentale il contributo dei cristiani iracheni per la riconciliazione dei cuori”: all’udienza generale Giovanni Paolo II rinnova la sua vicinanza alla “cara popolazione” dell’Iraq e la sua partecipazione al dolore di tutti gli innocenti colpiti dalla cieca barbarie del terrorismo. Intanto continua il dramma degli ostaggi: rapito un civile giapponese.

All’interno, in evidenza, un articolo sulla firma della Costituzione europea, di Pierluigi Natalia.

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell’udienza generale.

 

Nelle estere, Medio Oriente: storico “sì” d’Israele al ritiro da Gaza, dopo 37 anni di occupazione.

 

Nella pagina culturale, un approfondito contributo di Pietro Borzomati in merito alla spiritualità cristologica di Alcide De Gasperi, la quale emerge soprattutto dallo scambio epistolare con la figlia, suor Lucia.

L’Università degli Studi di Salerno ha organizzato - dal 28 al 30 ottobre - un Convegno sul tema: “Alcide De Gasperi nella storia dell’Italia Repubblicana a cinquant’anni dalla morte”.

Una pagina monografica - a cura di Giulio Colombi - dal titolo “Cent’anni dell’editrice La Scuola”.

 

Nelle pagine italiane, Cdl, riforma fiscale: nuovo rinvio. Due riunioni dopo la sconfitta alle elezioni suppletive. Il tema della giustizia.  

        

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 ottobre 2004

 

 

IL PIANO SHARON PASSA L’ESAME DEL PARLAMENTO,

MA IL GOVERNO RISCHIA LA SPACCATURA.

ISRAELIANI E PALESTINESI DIVISI SUL RITIRO DA GAZA,

LA CHIESA SPERA IN UN RILANCIO DEL PROCESSO DI PACE

- Con noi Antonio Ferrari, padre Pierluigi Pizzaballa,

Nemer Hammad ed Elazar Coen -

 

Fra il ritiro da Gaza e la compattezza del governo, il Parlamento israeliano ha scelto la via che potrebbe portare alla pace. “Una decisione coraggiosa”, commentano oggi la stampa e gli osservatori internazionali, ripensando ai 67 voti che ieri sera hanno fatto approvare il piano Sharon di disimpegno unilaterale entro il 2005 dalla Striscia e da quattro piccoli insediamenti della Cisgiordania. Il premier, a questo punto, deve risolvere diverse questioni spinose: la spaccatura all’interno del suo partito, il Likud, ed il dissenso di cinque ministri, che minacciano di dimettersi se il capo del governo non indirà entro due settimane un referendum popolare sul provvedimento. Cosa che Sharon, al momento, non sembra disposto a fare.

 

Nella scena politica israeliana, dunque, lo scenario apertosi appare quanto mai complesso. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’inviato speciale ed analista del Corriere della Sera, Antonio Ferrari, raggiunto telefonicamente a Gerusalemme:

 

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Con il voto favorevole, Sharon ottiene la possibilità di procedere allo smantellamento di tutti gli insediamenti ebraici nella Striscia di Gaza. Però l’ottiene spaccando il suo partito, mentre compattamente lo sostiene la sinistra. C’è anche da capire che molti parlamentari del Likud sono stati eletti proprio con il voto dei coloni e quindi non se la sono sentita forse di condividere questa scelta. E si tratta di una scelta coraggiosa, perché per la prima volta in Palestina si riconosce che la terra non è sacra, che la terra dove arrivano i coloni non è intoccabile. È evidente che da questo risultato si dimostra che la coalizione di governo, di fatto, non esiste più. Quindi, direi che l’ipotesi di un governo allargato ai laburisti è una possibilità forte. Se questo poi non dovesse accadere, credo che si terranno elezioni anticipate. Con una domanda cardine: possono i coloni tenere in scacco la democrazia israeliana?

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Ma la rilevanza del voto di ieri va oltre gli equilibri politici israeliani. Padre Pierluigi Pizzaballa, custode di Terra Santa, confida le sue speranze di una pace stabile al microfono di Andrea Sarubbi:

 

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R. – Il voto di ieri segna sicuramente un momento storico. Creerà certamente una situazione nuova in Terra Santa ed anche una nuova prospettiva di rapporti tra israeliani e palestinesi. Bisogna vedere come tutto ciò sarà concretizzato, in quali tappe, e se ci sarà un coordinamento anche con le realtà  palestinesi, in modo che non rimanga il vuoto. Sicuramente è un gesto molto importante, che crea un’atmosfera nuova che porterà sicuramente delle novità, penso, positive. Questo non può che farci piacere.

 

D. – Molti sono stupiti dal fatto che questa decisione del ritiro sia stata presa proprio da un leader di destra, come Sharon ...

 

R. – Se guardiamo alla storia recente di questo Paese vediamo che molte di queste scelte difficili sono state fatte da governi di destra. Gli accordi di Camp David sono stati fatti da Begin, anch’egli del Likud. Quindi non stupisce che sia stato Sharon. Destra o sinistra, credo comunque che fosse un passo dovuto.

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Il voto di ieri, però, non convince del tutto i palestinesi. Nemer Hammad, delegato dell’Autorità nazionale palestinese in Italia, spiega perché:

 

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R. – La preoccupazione è grande, perché studiando la proposta si vede che Israele continuerà a controllare tutte le frontiere della Striscia di Gaza. Praticamente è stata presa una decisione che crea nella striscia stessa una grande prigione per i palestinesi, senza alcuna responsabilità da parte degli israeliani all’interno di essa. In qualunque momento l’esercito israeliano può entrare, può continuare a bombardare e ad uccidere.

 

D. – Mi sembra che lei stia vedendo più il bicchiere mezzo vuoto che quello mezzo pieno ...

 

R. – Il bicchiere mezzo pieno potremmo vederlo se questo ritiro fosse parte dell’applicazione della road map, se rientrasse in un accordo che prevede una presenza internazionale. Ma tutto questo non c’è.

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Secondo i palestinesi, dunque, si tratta di una decisione unilaterale, presa dal  governo  Sharon senza  l’avallo della  comunità  internazionale.  La parola ad

Elazar Coen, ministro dell’ambasciata israeliana a Roma:

 

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R. – Israele non può fare altrimenti. Purtroppo, dato che non abbiamo un interlocutore da parte dell’Autorità Palestinese, questo è un programma unilaterale. Ma noi continuiamo a sperare che si trovi finalmente un partner palestinese per attuare questo programma di disimpegno attraverso un accordo bilaterale.

 

D. – Secondo lei, c’è la possibilità seria che attraverso questo accordo si arrivi poi alla pace?

 

R. – Questo dipende solamente dai palestinesi. Quando la società palestinese troverà una leadership più responsabile di quella attuale di Arafat, si potrà cominciare a parlare seriamente del rilancio del processo di pace. Adesso, dato che non abbiamo un interlocutore, stiamo facendo tutto questo unilateralmente.

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BARROSO CHIEDE TEMPO: SOSPESA LA SEDUTA DEL PARLAMENTO EUROPEO

 PER LA FIDUCIA ALLA COMMISSIONE. A DUE GIORNI DALLA FIRMA

DEL TRATTATO COSTITUZIONALE, L’INTERVISTA CON ENRICO VINCI,

PRESENTE ALLA STORICA FIRMA DEL 1957, SEMPRE A ROMA

 

Nulla di fatto a Strasburgo dove era in programma per oggi il voto di fiducia dell’Europarlamento, che avrebbe insediato ufficialmente la nuova Commissione europea, guidata dal portoghese Barroso. Lo stesso presidente designato ha chiesto un rinvio del pronunciamento, non presentando la propria squadra. Starebbe ora esaminando la possibilità di un rimpasto. Il servizio di Barbara Castelli:

 

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“Sono arrivato alla conclusione che un voto oggi non sarebbe stato positivo per il progetto e le istituzioni europee. Stando così le cose, ho deciso di non presentare la nuova commissione”. Con queste parole il presidente designato della Commissione dell’UE, Barroso, ha chiesto al Parlamento europeo “più tempo” per la presentazione del suo esecutivo. L’ex premier portoghese ha così riconosciuto che la sua squadra non avrebbe avuto i numeri sufficienti per essere approvata del Parlamento europeo. “Sono a favore di una coalizione tra tutti coloro che sono a favore del progetto europeo, ha aggiunto il presidente designato, l’Europa è una realtà pluralistica e di tolleranza, di equilibrio e di consenso tra i cittadini”. Subito dopo l’intervento di Barroso, accolto con applausi dai banchi dei gruppi, il presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell, ha sospeso la seduta. La presidenza olandese, intanto, tramite il suo rappresentante presente in aula, ha informato che, a seguito dell’annuncio di Barroso, la commissione presieduta da Romano Prodi resta per il momento in carica. Tutta la procedura, quindi, dovrebbe ora slittare alla prossima plenaria dell’assemblea di Strasburgo, in programma dal 15 al 18 novembre prossimi. Nella seduta del 16 novembre Barroso potrà presentare la sua nuova squadra sulla cui investitura si voterà il giorno successivo. L’ex premier portoghese, la cui commissione avrebbe dovuto insediarsi il prossimo primo novembre, è stato molto criticato per la distribuzione di tre incarichi. Il caso dell’italiano Rocco Buttiglione, che si è detto “sereno”, è stato quello di cui si è parlato maggiormente, anche perché ha ricevuto una bocciatura, mentre sugli altri sono state espresse riserve. “E’ mia intenzione – ha sottolineato Barroso, incontrando la stampa – cambiare il necessario e il sufficiente”. “Ora devo consultare i membri del Consiglio europeo e poi i vari gruppi del Parlamento europeo. Non posso fare dunque nomi, ma posso dire che troveremo una soluzione che abbia un appoggio largo”.

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Sulla coincidenza temporale tra la sospensione del via libera del Parlamento all’euroesecutivo e la storica firma del Trattato costituzionale tra due giorni a Roma, il servizio di Fausta Speranza:

 

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 Lo stop a Barroso può essere interpretato come una crisi di decisionalità all’interno dell’Unione ma anche come un esempio concreto dell’esercizio della democrazia. Così come all’interno di ogni Paese democratico, il Parlamento, che è espressione diretta del voto popolare, deve dare la propria vincolante fiducia all’esecutivo.  E’ anche vero che è la prima volta che l’Assemblea di Strasburgo di fatto boccia una Commissione. In ogni caso, tutto avviene a due giorni dalla storica firma del Trattato costituzionale. Per capirne l’importanza si deve tornare al 25 marzo 1957 quando sei Paesi (Belgio, Olanda, Germania, Francia, Italia e Lussemburgo) firmano i Trattati di Roma con cui nascevano la CEE e l’EURATOM. E con cui, dunque comincia l’avventura europea.

 

Da ricordare, poi, ci sono le tappe dell’allargamento che fanno sì che all’altro Trattato storico sono 12 i capi di Stato e di governo. Parliamo del Trattato firmato a Maastricht, in Olanda, nel 1992, che dà vita all’Unione Europea. Non c’è più solo il piano degli scambi commerciali ma si parla di tre pilastri: l’unione economica e monetaria; la politica estera e di difesa comune e la cooperazione nella giustizia e affari interni.

 

Significativa la data del 1 gennaio 2002: nell’Unione ormai a 15 Paesi in 12 di questi entra in vigore la moneta unica. Nella cosiddetta “area dell’euro” gli Stati membri devono rispettare rigorosi parametri economici.

 

Con un salto che certamente tralascia qualche altra tappa significativa, arriviamo al 18 giugno 2004 quando i capi di Stato e di governo dell’UE approvano a Bruxelles il Trattato costituzionale, composto da un Preambolo e quattro parti. Dopo la storica firma a Roma, venerdì prossimo, per entrare in vigore a partire dal 2009, tale Trattato dovrà essere prima ratificato dai singoli Stati membri.

        

Stiamo vivendo, dunque, una decisiva fase di quell’avventura europea nata 47 anni fa, sempre nella capitale italiana. Era presente alla storica prima firma nella sala degli Uriazi e Curiazi del Campidoglio, Enrico Vinci, che collaborava con l’allora ministro degli esteri, Gaetano Martino. Enrico Vinci ha poi lavorato al Parlamento europeo partecipando anche alla prima seduta del 1979 e diventandone poi il segretario generale. Ascoltiamo come ricorda lo spirito e l’atmosfera di allora:

 

R. – Ho avuto la fortuna, sebbene ancora molto giovane, di partecipare a quelli che furono i negoziati della conferenza di Messina e poi successivamente al Trattato di Roma. Devo raccontare, pensando a quei tempi, lo spirito, l’entusiasmo, quella specie di volontà che costituiva la base dell’intesa europea.

 

D. – Come ricorda la speranza che era riposta sicuramente in questa firma?

 

R. – Era forte il ricordo della guerra, il dopo guerra, le difficoltà. Tutto quello che abbiamo provato nell’immediato dopoguerra è stato un incitamento maggiore a sentire l’esigenza di quell’unità europea, che valesse anche come sentimento morale di accordo tra popoli che si erano combattuti fino a pochi anni prima. Si chiamò allora il famoso “spirito di Messina” che veniva dopo il fallimento del Trattato della Comunità europea di difesa e che fece in modo che fossero risolti i problemi che si erano posti allora. E’ vero, eravamo soltanto sei Paesi, che appartenevano al continente, il “muro del continente”, però è altrettanto vero che a quel tempo c’era uno spirito che ci animava tutti e ci dava un entusiasmo maggiore capace di farci superare le difficoltà obiettive che esistevano. A quel tempo le economie dei sei Paesi erano lontane l’una dall’altra. Tutti quanti noi, in fondo, dipendevamo dall’assistenza degli Stati Uniti d’America. Avevamo ancora davanti a noi il ricordo di momenti terribili della seconda guerra mondiale. Eppure questo spirito europeo ci animava in maniera da entusiasmare le nostre azioni. 

 

D. – Ma l’idea era di costruire che cosa?

 

R. – L’idea era quella di costruire un patrimonio europeo comune per raggiungere quella che era un’intesa basata su comuni convinzioni, morali ed etiche, che ci davano la speranza di un popolo europeo che non si sovrapponesse, ma si unisse al sentimento nazionale di ciascuno di noi.

 

D. – Lei ha parlato di difficoltà: qual era la resistenza?

 

R. – La resistenza era anzitutto da parte delle forze economiche. A quel tempo il nazionalismo economico prevaleva. Lo stesso Trattato di Roma prevedeva infatti un periodo transitorio prima di poter giungere a quello che era il mercato comune. Non era semplice poter immaginare la libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone.

 

D. – Con il suo sguardo, uno sguardo che ha tutto lo spessore del tempo trascorso dal 1957 ad oggi, come legge questa firma del Trattato costituzionale, ancora una volta a Roma?

 

R. – Lo leggo evidentemente in maniera positiva anche se esito a dire in maniera molto positiva. Siamo ormai 25 Paesi, 500 milioni di persone e quindi, questo è oggi il miglior Trattato che si poteva realizzare e merita quindi di essere approvato. Però, non c’è dubbio che c’è un sentimento di mancata occasione nei nostri animi. Avremmo sperato in un Trattato più denso di sentimenti, più denso di volontà politica, più denso di partecipazione. E’ un Trattato che non riesce ad entusiasmare, a riscaldare i nostri cuori, al contrario di quello che è stato, appunto, il Trattato del 1957. Anche il non voler inserire nelle clausole del Trattato il riferimento alle radici giudeo-cristiane dell’Europa è un esempio di come si sia tralasciato quello che è il sentimento capace di infiammare la volontà dei popoli, la volontà dei cittadini.

 

D. – In questi anni, c’è stato qualche momento in cui ha pensato che fosse impensabile anche un Trattato come questo?

 

R. – Certamente sì. L’Europa è cresciuta attraverso successive crisi. Immagini le crisi della famosa sedia vuota, voluta dalla Francia quando si trattò di unificare la politica agricola comune. L’Europa è cresciuta fra crisi diverse: La crisi dell’allargamento: il secondo allargamento, quello alla Gran Bretagna indubbiamente costituì un momento di svolta dell’Europa. Non dimentichiamoci che la Gran Bretagna è sempre stata favorevole ad un’Europa come territorio di libero scambio, un’Europa economica più che politica, quindi è stata uno degli elementi frenanti di quel processo di costruzione europea che aveva dei contenuti politici. Abbiamo avuto molti momenti assai difficili che l’Europa ha superato. Perché? Perché in realtà l’idea è viva e vitale nonostante le difficoltà. I cittadini italiani, francesi, spagnoli, tedeschi che siano, sentono che c’è bisogno di questa unità fra i nostri popoli. Sentono che c’è bisogno di sentirsi appartenenti ad un comune destino europeo

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LA VIBRANTE ARTE DI DEGAS SBARCA AL VITTORIANO A ROMA.

NUMEROSE LE OPERE ESPOSTE, CHE DESCRIVONO LA PASSIONE DELL’ARTISTA PER

LO STUDIO DEL MOVIMENTO E DELL’ARTE CLASSICA E RINASCIMENTALE

- Servizio di Francesca Sabatinelli -

 

 

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Ballerine in piedi, alla sbarra, nel foyer, mentre riposano oppure a lezione. Senz’altro Degas è l’artista che più ha ritratto il mondo della danza, ma è ingiusto e improprio, sottolineano gli storici dell’arte, definirlo il pittore delle ballerine. Edgar Degas, francese con sangue italiano, ma anche americano, con i suoi quadri ci regala la sua passione per lo studio del movimento, accanto alle fanciulle in tutù, eleganti e nervosi cavalli, agili fantini, lavandaie e stiratrici, e l’immediatezza dei loro gesti. “Sono un osservatore della bestia umana che si occupa di se stessa”, diceva di sé. 

 

La rassegna, dal titolo “Degas classico e moderno”, esprime la sua costante tensione verso i valori dell’arte classica e rinascimentale e l’esigenza di riflettere nel suo lavoro il mondo contemporaneo. Curatrice della Mostra è Maria Teresa Benedetti:

 

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R. – Degas è nato nei musei. Ha fatto il copista fino agli anni Ottanta. Andava a copiare nei musei ed era uno che riconosceva la grande autorità dei classici. Ad un certo momento ha detto “non posso più fare un’arte che dipenda dai musei, devo fare l’arte del mio tempo”, come aveva detto Boudelaire, devo dipingere la modernità”. Allora, naturalmente, tutte queste cose sono rimaste dentro di lui e quando analizziamo, ad esempio, un quadro di cavalli, vediamo che lui ha pensato alla battaglia di San Romano di Paolo Uccello, che ha pensato al Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli. Quando dipinge una ballerina stanca, con le braccia dietro la schiena, lui immagina uno dei ladroni della Crocifissione di Mantegna che sta, appunto, con i gomiti alzati e le braccia dietro la schiena. Perché gli piacciono le ballerine? Perché ricordano il movimento dei greci. Queste erano le frasi di Degas. C’è in lui una grande sintesi di tutta la cultura del passato ed un affaccio violento, duro e disperato sull’arte moderna.

 

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La mostra ripercorre, dunque, l’intero cammino creativo di Degas. Solo alcuni esempi: “La classe di danza”, proveniente da Washington; “Ballerine in rosa e verde” e “Donna seduta davanti ad un vaso di fiori”, dal Metropolitan di New York.

 

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CHIESA E SOCIETA’

27 ottobre 2004

 

 

ACCESO IL DIBATTITO IN NUOVA ZELANDA SULLA NORMATIVA CHE MIRA

A NAZIONALIZZARE LE REGIONI COSTIERE. APPELLO DEI VESCOVI AL GOVERNO

PER UN ONESTO DIALOGO CON LA MINORANZA MAORI

 

WELLINGTON. = In un appello congiunto, i vescovi cattolici e protestanti della Nuova Zelanda chiedono al governo di riprendere il dialogo con i maori, riesaminando in modo “onesto” la questione della legislazione che regola lo sfruttamento delle coste, dove vive la minoranza indigena. Il provvedimento, infatti, presentato in Parlamento, ha innescato la forte opposizione dei maori e i vescovi temono che la questione possa spaccare il Paese, allargando il fossato fra i due gruppi etnici presenti nella nazione. I presuli, quindi, chiedono al governo di fare un passo di apertura e di promuovere un dialogo senza pregiudizi con i maori, nel rispetto dei loro diritti e dei loro costumi di vita. La normativa mira a nazionalizzare le regioni costiere, impedendo il diritto di usufrutto ai maori. La nuova legge potrebbe privare così la minoranza di aree da loro utilizzate per la pesca e la raccolta di frutti di mare. I maori insistono sul rispetto del Trattato di Waitangi, stipulato nel 1840 con la Corona Inglese, che accordava alla popolazione indigena “la piena, esclusiva e indisturbata proprietà di terra, boschi e fondali pescosi”. I circa 530.000 maori presenti in Nuova Zelanda costituiscono il 12,5 per cento della popolazione neozelandese e costituiscono la parte di popolazione più povera del Paese. (B.C.)

 

 

CRITICA DEI VESCOVI COREANI PER UN DISEGNO DI LEGGE SUL SISTEMA

DI GESTIONE DELLE SCUOLE NON STATALI. SECONDO I PRESULI IL PROVVEDIMENTO RAPPRESENTA UNA LIMITAZIONE DELLA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO NEL PAESE

 

SEOUL. = I vescovi coreani hanno espresso forti critiche su un disegno di legge che vuole riformare il sistema di gestione delle scuole non statali nel Paese. In una dichiarazione pubblicata nei giorni scorsi, al termine della loro plenaria, i presuli esortano i fedeli ad opporsi al provvedimento in quanto - affermano - limiterà l’autonomia delle scuole non statali e, quindi, anche di quelle cattoliche. Nello specifico, il progetto riduce parte del potere decisionale dei presidi e delle fondazioni delle scuole private in materie quali la gestione finanziaria e la definizione dei loro programmi a favore dei consigli di istituto composti da insegnanti, genitori e studenti e che attualmente hanno solo compiti consultivi. L’obiettivo, secondo il governo coreano, è di ridurre la corruzione nelle scuole non statali. Un motivo giudicato, invece, pretestuoso dai vescovi, per i quali il provvedimento costituisce una seria limitazione alla libertà di insegnamento in Corea. (L.Z.)

 

 

LA CONDIZIONE DEI MIGRANTI AL CENTRO DI UN INCONTRO

DI DUE GIORNI, IN PERU’, TRA I VESCOVI BOLIVIANI, CILENI E PERUVIANI

 

TACNA. = Impegnarsi per la pace, la solidarietà e il dialogo sociale. E’ con questo spirito che domani e venerdì si terrà un incontro tra tutti i vescovi boliviani, cileni e peruviani delle diocesi al confine tra i tre Paesi. Durante la riunione, convocata nella città peruviana di Tacna, i presuli, ospiti del vescovo di Tacna e Moquegua, mons. José Hugo Garaycoa Hawkins, si confronteranno sulle problematiche dei migranti, che hanno lasciato il loro Paese natale alla ricerca di condizioni di vita migliori per sé e le loro famiglie. Dall’incontro dovrebbe anche scaturire un piano d’azione coordinato per l’evangelizzazione della regione, con lo scopo di dare assistenza spirituale ai rispettivi connazionali che vivono all’estero. (A.G.)

 

 

LA PREGHIERA DEI FRATELLI NELLE CARCERI DEL KENYA, ATTRAVERSO

 LA TESTIMONIANZA DI PADRE EUGENIO FERRARI,

 MISSIONARIO DELLA CONSOLATA

 

NAIROBI. = “Anche in carcere si può essere missionari. Lo ripeto sempre ai miei fratelli carcerati, che incontro ogni giovedì nel penitenziario di massima sicurezza di Kamiti”. E’ la testimonianza – raccolta dall’agenzia Fides – di padre Eugenio Ferrari, missionario della Consolata e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie del Kenya. “Nel carcere – rivela – si è creata una fervente comunità cattolica. Vi sono catechisti, animatori e persino un coro che canta durante la messa che celebro tutte le domeniche. Io non ho bisogno di organizzare la cerimonia. Sono gli stessi detenuti che preparano i canti, stabiliscono i lettori e si offrono per il servizio liturgico all’altare”. Ai detenuti, prosegue il religioso, ricordo che “anche loro possono essere missionari con la preghiera e offrendo le loro sofferenze per il bene della Chiesa e dell’umanità. Vi sono persone che sono detenute da oltre 25 anni e anche a loro chiedo di offrire la loro preghiera”. “Per il mese missionario – sottolinea – ho proposto ai miei fratelli in carcere di pregare per i missionari. Il 24 ottobre anche i detenuti nel braccio della morte hanno partecipato alla preghiera per i non cristiani”. (A.G.)

 

 

APERTO IN UGANDA L’INCONTRO DEI DIRETTORI NAZIONALI DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE DEI PAESI AFRICANI ANGLOFONI: UN OCCASIONE PER COOPERARE

E APPROFONDIRE LA CONOSCENZA DELLA REALTA’ DELLA CHIESA AFRICANA

 

KAMPALA. = Si è aperto ieri l’incontro dei Direttori delle Pontificie Opere Missionarie dei Paesi africani di lingua inglese (NDESA). Secondo quanto riferito dall’agenzia Fides, l’incontro, che si terrà fino al 2 novembre prossimo presso il centro delle suore di Maria Riparatrice di Entebbbe, interessa Paesi come Etiopia, Kenya, Sudan, Liberia, Zambia, Nigeria e Sierra Leone. L’incontro, che l’anno scorso si è svolto in Tanzania, permette ai Direttori Nazionali di studiare nuove opportunità di cooperazione nell’ambito missionario, di incontrare nuove culture e nuove popolazioni, espandendo la conoscenza della realtà della Chiesa africana. (E.B.)

 

 

ISOLAMENTO E LAVORI FORZATI PER NGUYEN DAN QUE, NOTO ATTIVISTA

PER I DIRITTI UMANI IN VIETNAM. LA DENUNCIA DELLA SORELLA,

PREOCCUPATA PER LE SUE CONDIZIONI DI SALUTE

 

HO CHI MINH CITY. = Inasprite in Vietnam le condizioni di detenzione per Nguyen Dan Que, noto attivista per i diritti umani. Il medico 62.enne, da anni obiettivo della repressione del governo, è stato trasferito in una zona isolata nella giungla di Thanh Hoa. A renderlo noto è la sorella, Quan Nguyen, preoccupata per le gravi condizioni di salute del fratello. Il campo di Lam Son, dove si trova ora Dan Que, è noto per essere un campo di lavori forzati per criminali. Dan Que ha già scontato più di 20 anni di prigione, torture e arresti domiciliari a causa dei suoi appelli pubblici per un sistema politico multipartitico e la fine della censura in Vietnam. L’ultima volta è stato arrestato il 17 marzo 2003 per aver inviato ad un parente via internet un documento, nel quale sosteneva la necessità di riforme politiche e garanzie per i diritti umani in Vietnam. Lo scorso 29 luglio è stato così condannato a 2 anni e mezzo di carcere per “abuso di libertà democratiche anti-governative”. Dan Que, oltre ad essere il fondatore del movimento “High tide of Humanism”, è un medico da sempre impegnato a favore dei poveri. Ha istituito una clinica basata sul lavoro di volontari e si è battuto per il miglioramento del sistema carcerario, per i diritti umani e per le minoranze etniche nel Paese. (B.C.)

 

 

“SOCIETÀ APERTA, SOCIETÀ DINAMICA E SICURA”: QUESTO LO SLOGAN,

CON CUI E’ STATO PRESENTATO OGGI A ROMA IL 14.MO DOSSIER STATISTICO

SULLA IMMIGRAZIONE. PRESENTE ANCHE IL SINDACO CAPITOLINO, WALTER VELTRONI

- A cura di Stefano Leszczynski -

 

ROMA. = Tra il 2000 e l’inizio del 2004 si è verificato il raddoppio degli immigrati presenti in Italia, con 2 milioni e 600 mila presenze regolari, equivalenti al 4,5 per cento della popolazione italiana. Il dossier ha stimato questa presenza complessiva, basata su criteri prudenziali, aggiungendo le persone registrate dal ministero dell’Interno, che sono circa 2,2 milioni, esattamente 400 mila minori, che aumentano a ritmo di 65 mila l’anno, e cioè 35 mila come nuovi nati in Italia e 25 mila come nuovi ingressi. I primi tre gruppi nazionali registrati sono quelli di Romania, Marocco, Albania, ciascuno con circa 230-240 mila soggiornanti registrati, che hanno rafforzato la loro consistenza. E’ aumentata notevolmente la presenza di immigrati dell’est Europa, in prevalenza ortodossi, che ha portato i cristiani a sfiorare la metà del totale, 49,5 per cento delle presenze, seguiti dai musulmani con un terzo delle presenze, ovvero il 33 per cento. La ripartizione territoriale degli immigrati ovviamente vede una preponderanza al nord, con il 60 per cento, un 30 per cento di presenze nel centro e soltanto un 10 per cento di presenze nel Meridione, dove la prima regione per presenza di immigrati è la Campania. Evidente la tendenza a crescere dell’immigrazione, non soltanto in Italia, ma in tutta Europa, per l’apertura delle frontiere ad est. Necessario adattare il sistema all’insegna di tre principali parole d’ordine: cioè programmare, accogliere e integrare, tutti e tre ambiti in cui in Italia si può migliorare fortemente.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 ottobre 2004

- A cura di Amedeo Lomonaco ed Eugenio Bonanata  -

 

 

In Iraq un soldato americano è rimasto ucciso ed un altro è stato ferito in seguito all’esplosione di una bomba a Sindiayah, nella parte orientale del Paese. Il ministro degli Esteri giapponese, Machimura, ha lanciato intanto un appello chiedendo la liberazione del connazionale rapito ieri nel Paese arabo. Il nostro servizio:

 

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Il rapimento del giapponese è stato annunciato con un video diffuso su internet da un gruppo legato alla rete terroristica del giordano Al Zarqawi. I sequestratori minacciano di decapitare l’ostaggio se Tokyo non ritirerà le proprie truppe entro 48 ore. Ma il premier giapponese, Junichiro Koizumi, ha già dichiarato che il governo manterrà il suo contingente nel Paese arabo. Il sedicente ‘Esercito Ansar Al Sunna’ ha pubblicato, inoltre, un filmato che mostra 11 soldati della guardia nazionale irachena. Nel comunicato della formazione islamica si precisa che i militari sono stati rapiti nei giorni scorsi lungo l’autostrada che porta da Baghdad ad Hilla. Ed in questo drammatico scenario continuano le operazioni delle forze della coalizione per garantire una più adeguata cornice di sicurezza. Le truppe britanniche hanno cominciato a lasciare Bassora per dirigersi verso nord, dove saranno impiegate in aree più calde intorno a Baghdad, come deciso dal premier, Tony Blair, che ha accolto una richiesta degli Stati Uniti. L’amministrazione americana sta considerando, inoltre, il rafforzamento del contingente militare in vista delle elezioni, in Iraq, del prossimo gennaio. Le ipotesi sulle quali si lavora in questo momento sono quelle di estendere il periodo di fermo di alcune divisioni e di accelerare il dispiegamento di altre.

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Ed il conflitto in Iraq continua a fare da sfondo alla compagna elettorale di Bush e Kerry. I due candidati alla Casa Bianca, ancora alla pari nei sondaggi, ieri si sono ritrovati nel Mid-West. Ascoltiamo il servizio di Elena Molinari:

 

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E’ il centro dell’America e dell’America rurale ed operaia, religiosa e lavoratrice, che negli aspiranti presidenti cerca soprattutto una faccia di cui fidarsi. Ecco allora Bush in Wisconsin e nell’Iowa, Stati che il presidente perse quattro anni fa, a parlare di economia e a sostenere che Kerry aumenterà le tasse. Ed ecco il suo rivale John Kerry, nel Wisconsin e poi appunto nell’Iowa, anche in Nevada e nel New Mexico, ad incolpare Bush della sparizione in Iraq di 350 tonnellate di esplosivo. Sono quelli, infatti, gli Stati determinanti nel voto di martedì prossimo, così come saranno chiave le scelte dei nuovi votanti, giovani ma anche meno giovani, che hanno scoperto la politica solo dopo i traumi del terrorismo e dell’Iraq.

 

Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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Il primo ministro libanese, Omar Karami, ha annunciato la composizione del nuovo governo, filo siriano come il precedente. Nella compagine, formata equamente da musulmani e cristiani, compaiono per la prima volta due donne: Lelia al-Solh, all’Industria e Wafa Hamzeh, ministro senza portafoglio. Il nuovo esecutivo, che dovrebbe facilmente ottenere la fiducia del Parlamento, succede a quello di Rafiq Hariri, dimessosi la scorsa settimana dopo aver contestato l’approvazione del controverso emendamento che prolunga per altri tre anni il mandato presidenziale.

 

Il cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, ed il presidente francese, Jacques Chirac, hanno rinnovato il loro appoggio per l’ingresso della Turchia nell’UE. Incontrando ieri a Berlino il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, i leader politici di Francia e Germania hanno assicurato che al Vertice europeo, in programma il prossimo 17 dicembre a Bruxelles, voteranno in favore della raccomandazione della Commissione per l’avvio dei negoziati di adesione con la Turchia.

 

Una nuova scossa ha colpito il Giappone dopo il violento sisma dei giorni scorsi che ha causato 31 morti, oltre 3.400 feriti, costringendo almeno 100 mila persone a lasciare le proprie abitazioni. Dalle informazioni della Farnesina, al momento, non risultano italiani coinvolti. L’ambasciata italiana a Tokyo ha preso contatto con i connazionali presenti nel territorio istituendo una cellula di risposta per le emergenze.

 

In Papua Nuova Guinea circa 4000 persone sono state costrette a lasciare le loro case per l’eruzione del vulcano ‘Iabu’, sull’isola di Manam. Non si ha finora notizia di vittime. La prima eruzione registrata risale al 1616 e da allora il vulcano, uno dei 14 attivi nel cosiddetto ‘anello di fuoco’ dell’arcipelago, si è risvegliato almeno 20 volte. L’ultima, avvenuta nel 1996, ha causato la morte di 13 persone.

 

Instaurare la democrazia nel Myanmar. Lo ha promesso il capo della giunta militare birmana, Than Shwe, in visita in India. La missione del generale a New Delhi giunge ad una settimana dalla sostituzione del premier moderato di Rangoon, Khin Nyunt. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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E’ la prima visita in quasi 25 anni e segna una nuova svolta nelle relazioni tra i due Paesi. Dopo aver sostenuto in passato il dissenso del Myanmar e la causa del premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, da alcuni anni l’India ha avviato rapporti commerciali e militari più stretti con il regime birmano. Le delegazioni di Delhi e di Yangoon hanno firmato accordi comuni contro il terrorismo, il narcotraffico, il crimine organizzato e progetti idroelettrici. Al premier indiano, Manmohan Singh, il generale Than Shwe, al potere dal 1962, ha assicurato il suo impegno a riportare la democrazia, ritenuta come l’unica strada verso la pace e la prosperità. Ha poi promesso di intervenire contro elementi anti indiani presenti nel suo territorio, riferendosi ai guerriglieri separatisti attivi nelle regioni del nord-est.

 

Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Gli avvocati d’ufficio designati a settembre per difendere l’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, hanno chiesto di essere esonerati dall’incarico. La camera del consiglio del Tribunale penale internazionale sull’ex Jugoslavia può accettare o rifiutare tale richiesta che giunge dopo forti tensioni tra gli stessi avvocati e Milosevic, che ha da sempre dichiarato di volersi difendere da solo.

 

La Camera dei Lord ha ammorbidito un progetto di legge per il divieto della caccia alla volpe in Inghilterra e nel Galles. Con 322 voti favorevoli e 72 contrari ha autorizzato i cacciatori, muniti di uno speciale permesso, a praticare tale attività venatoria.

 

 

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