RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
300 - Testo della trasmissione di martedì
26 ottobre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
In
un clima di massima tensione, il Parlamento israeliano vota stasera il piano
Sharon per il ritiro da Gaza. Conclusa l’incursione ebraica nei territori: 17 i
morti.
A
Baquba, uccisi dalla guerriglia un poliziotto ed un membro del Parlamento
iracheno. Nel raid americano su Falluja, assassinato un collaboratore di Al
Zarqawi
In Thailandia, scontri a
sfondo religioso nel sud del Paese provocano 84 morti
Vigilia del voto di
fiducia al nuovo esecutivo europeo di Bruxelles. Il presidente designato,
Barroso, rigetta l’ipotesi del rimpasto
26
ottobre 2004
VI BENEDICO DI CUORE E
CHIEDO A DIO DI COLMARE DI ABBONDANTI FRUTTI
LA VOSTRA NUOVA DIOCESI: COSI’ OGGI IL PAPA
NELL’UDIENZA AI PELLEGRINI
POLACCHI DI BYDGOSZCZ, IN AULA PAOLO VI
- A cura di Barbara Castelli -
“Spero che i vostri sforzi e la
stretta collaborazione dei sacerdoti, delle comunità religiose e di tutti i
fedeli con il vescovo portino abbondanti frutti” alla vostra “nuova diocesi”,
la cui istituzione è stata saluta da tutti con “gioia”. Con queste parole,
stamani in aula Paolo VI, Giovanni Paolo II ha salutato i fedeli della diocesi
polacca di Bydgoszcz. Il vostro pellegrinaggio, ha sottolineato il Papa, è teso
a ringraziare “Dio per la fondazione della vostra diocesi” e, contemporaneamente,
esprime “il legame che collega ogni Chiesa locale con la Santa Sede e con il
Successore di Pietro”. “Chiedo a Dio che colmi delle grazie necessarie la
vostra comunità diocesana – ha proseguito il Papa, rivolgendosi ai circa 800
fedeli presenti – e vi benedico di cuore. Portate questa benedizione alle
vostre case e ai vostri ambienti. Che essa abbracci anche la gioventù, i
bambini, e soprattutto i sofferenti”. “Insieme – ha concluso – impegnatevi per
lo sviluppo spirituale di tutti e cercate di tutelare particolarmente coloro
che esigono la cura della Chiesa”.
La diocesi di Bydgoszcz, situata nel nord della Polonia, è stata
istituita lo scorso 25 marzo e conta 600-700 mila fedeli.
ALTRE UDIENZE E NOMINE
Giovanni
Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, Mons.
Pierre Raffin, vescovo di Metz (Francia), in visita ad Limina, e tre
presuli della Conferenza episcopale
dell’Angola, in visita ad Limina.
In Messico, il Papa ha
nominato vescovo di Autlán il sacerdote Gonzalo Galván Castillo, finora vicario giudiziale della
diocesi di León. Il neo presule, 53 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1977.
Dopo tre anni di ministero parrocchiale, è stato inviato a Roma dove ha
frequentato la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo la licenza in
Diritto canonico. Tornato in diocesi, è stato tra l’altro professore di Diritto
nel Seminario di León, assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica e dei Cursillos de Cristiandad, Dal 1996 ad
oggi ha svolto più volte il ministero di parroco. Nel 1998, mons. Galván
Castillo è stato anche vicario episcopale della Zona pastorale di León.
In Algeria, il Pontefice ha nominato Vescovo di Laghouat il sacerdote padre Claude Rault, provinciale dei Padri Bianchi
in Algeria e Tunisia. Mons. Claude Rault
ha 64 anni ed ha compiuto i suoi studi di Filosofia nel Seminario
maggiore di Coutances, quindi, dopo l’ingresso nell’Istituto dei Padri Bianchi,
ha perfezionato gli studi ad Ottawa, in Canada e a Vals, in Francia. Dopo
l'ordinazione, ha svolto tra l’altro le mansioni di parroco, di vicario
generale diocesano
La
diocesi di Laghouat, già Vicariato apostolico di Ghardaia nel Sahara, si
estende su una superficie che comprende il 90% del territorio algerino, con una
popolazione di 3 milioni e 800 mila abitanti. Conta soltanto duemila cattolici:
alcuni disseminati nell'immenso territorio desertico del Sahara e i rimanenti
presenti nelle aree dei giacimenti petroliferi. In Diocesi, sono presenti 16
sacerdoti, sette fratelli religiosi, e 35 religiose.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il Medio Oriente: acceso dibattito al Parlamento israeliano sul
ritiro dell'esercito dalla Striscia di Gaza; i laburisti appoggiano il piano di
Sharon osteggiato dalla destra radicale e dai coloni.
Nelle
vaticane, l'udienza di Giovanni Paolo II al pellegrinaggio diocesano di
Bydgoszcz (Polonia).
Un
approfondito contributo di Dale O'Leary su "La questione del femminismo di
genere: correnti di pensiero che ostacolano la reale promozione della donna".
Una
pagina dedicata all'ingresso in diocesi dell'arcivescovo di Sassari.
Nelle
estere, due interventi della Santa Sede: sul decimo anniversario della Conferenza
del Cairo su Popolazione e Sviluppo; sul "New Partnership for Africa development".
Nella
pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "Due secoli
di storia dell'Italia meridionale": un libro di Maria Marcella Rizzo sulla
famiglia Winspeare.
Nella
pagina dell'"Osservatore libri", un articolo di Armando Genovese
riguardante due recenti volumi che ripropongono il pensiero dell'alessandrino
Origene.
Nelle
pagine italiane, in primo piano le elezioni suppletive, ed i temi della giustizia
e della finanziaria.
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26
ottobre 2004
DOMANI IL VOTO DEL PARLAMENTO EUROPEO ALLA NUOVA
COMMISSIONE BARROSO.
TRA LE NOVITA’ DEL TRATTATO COSTITUZIONALE,
CHE I 25 SOTTOSCRIVERANNO A ROMA,
C’E’ IL RAFFORZAMENTO DELLE ISTITUZIONI
- Intervista con Richard Corbett -
“Un rimpasto creerebbe più
problemi istituzionali che risolverli”. Con queste parole il presidente
designato della Commissione europea, Josè Manuel Durao Barroso, si è espresso
questa mattina a Strasburgo, nel dibattito che sfocerà domani nel voto di
fiducia del Parlamento comunitario al nuovo euroesecutivo. Mentre le alleanze
politiche non sono ancora del tutto definite, è certo invece che, in base al
nuovo Trattato costituzionale che verrà sottoscritto il 29 novembre ancora una
volta a Roma - come il Trattato che dava il via all’avventura europea nel 1957
- altri cambiamenti si registreranno nel rafforzamento dei singoli poteri.
Nell’intervista di Fausta Speranza, Richard Corbett, europarlamentare
laburista, relatore al Parlamento sul Trattato Costituzionale, spiega perché il
nuovo Trattato rappresenta un passo in avanti significativo per Unione:
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R. – THE CONSTITUTIONAL TREATY…
Il
Trattato costituzionale migliora l’Unione Europea in diversi modi. Mostra cosa
effettivamente sia e perché esista l’Unione Europa. Mette insieme i differenti
trattati già esistenti in un unico, chiaro, documento che afferma i valori
dell’Unione, le procedure e il funzionamento. Rende l’Unione Europea più
efficace, grazie a procedure più efficienti, come, ad esempio, più voti dati a
maggioranza, che è molto importante quando si hanno 25 Paesi, o più, attorno ad
un tavolo. Certamente rafforza la posizione del Parlamento europeo e del
Parlamento nazionale nel sistema decisionale, rendendo l’Unione Europea più
responsabile, democraticamente.
D. – Pensa che
l’Unione Europea sarà in grado di avere una sola voce in politica estera?
R. – WE ARE GRADUALLY GETTING THERE…
Ci
stiamo arrivando gradualmente. L’Europa parla già come singola entità nelle
negoziazioni commerciali a livello mondiale nel WTO o nelle dispute commerciali
con gli Stati Uniti o altri Paesi. In alcuni degli aspetti politici della
sicurezza non ci siamo ancora riusciti, ma anche lì a volte parliamo con una
sola voce. Sono un esempio i Balcani, dove l’Unione Europea ha inviato le
proprie forze di peacekeeping: in Macedonia ed anche in Bosnia, le forze
sono espressione di una politica comune degli Stati membri.
D. – In
particolare parlando di Iraq, è mancata la coesione…
R. – WELL, IRAK IS A SUBJECT…
L’Iraq
è uno degli argomenti dove non siamo riusciti ad essere tutti d’accordo. C’è
stata una divisione sul dover intervenire militarmente o meno, un anno e mezzo
fa. Ora ci troviamo in una situazione differente. Dopo l’intervento militare,
oggi, sulla questione della ricostruzione dell’Iraq, ossia sull’obiettivo di un
Iraq democratico basato su una struttura federale e sugli aspetti legali, i
Paesi comunitari sono molto più uniti. Abbiamo molti punti di accordo su come
andare avanti d’ora in poi.
D.
–L’Europa riconosce e tutela valori fondamentali e abbiamo già una Charta dei
Diritti Umani, pienamente approvata. E’ importante avere anche un Trattato
costituzionale per il suo valore simbolico,
o c’è dell’altro?
R. – IT IS MORE…
Rappresenta
qualcosa di più. Significa consolidare quello che abbiamo raggiunto in 15 anni
di integrazione europea, mostrando chiaramente ai cittadini cosa sia l’Unione
Europea, cosa faccia, come lavori, quali siano le sue responsabilità e quali
no. Al momento, i vari trattati creano un po’ di confusione ai cittadini. Un
testo chiaro, invece, che afferma non
solo i valori, ma anche il modo di lavorare dell’Unione, cosa rappresenta, come
funziona, è un miglioramento molto importante ed utile.
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DOMENICA 30 NOVEMBRE, GIORNATA CONTRO LA PENA DI
MORTE.
ALLA PRESENTAZIONE DELL’EVENTO, LA COMUNITA’ DI
SANT’EGIDIO
HA OFFERTO
LA TESTIMONIANZA DI TRE CITTADINI AMERICANI
SCAMPATI AL BRACCIO DELLA MORTE
- Intervista con Mario Marazziti -
“No justice
without life”, non c’è giustizia senza vita, è lo slogan scelto dalla Comunità
di Sant’Egidio e da altre associazioni internazionali per la prossima Giornata
contro la pena di morte, in programma il 30 novembre. In questa occasione, 128
città illumineranno un monumento simbolo, per dichiarare la loro adesione
all’iniziativa. Se ne è parlato stamattina a Roma, in una conferenza stampa che
ha visto la partecipazione di tre cittadini statunitensi liberati dal braccio
della morte. Massimiliano Menichetti ha intervistato Mario Marazziti, portavoce
della Comunità di Sant’Egidio:
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R. –
Dobbiamo aiutare l’opinione pubblica, anche negli Stati che conservano la pena
di morte, a sapere che c’è una giustizia che non ha bisogno della morte, perché
togliere la vita impedisce di tornare indietro quando si commette un errore. E
in questo caso, abbiamo avuto errori terribili: persone che hanno passato molti
anni nel braccio della morte, hanno rischiato di essere uccisi ed erano innocenti.
Noi siamo contro la pena di morte in tutti i casi, perché la giustizia non può
che essere riabilitativa, in ogni caso. Anche chi crede che la pena di morte
possa essere qualcosa di necessario alla società, sappia che in troppi casi la
giustizia è fallace e quindi occorre ripensare e fermare tutto.
D. –
Oggi, tre cittadini americani, fortunatamente liberati dal braccio della morte,
testimoniano che la giustizia può sbagliare…
R. – Il
messaggio forte che lanciano è: guardate, potrebbe accadere a chiunque. A
chiunque di essere preso, accusato frettolosamente da chi vuol chiudere il
caso, accusato dagli altri che hanno commesso il reato per scaricarsi della
responsabilità e finire nel braccio della morte. Questo è ciò che accade alle
minoranze sociali, alle minoranze etniche, e che accade in tanti Paesi diversi
dagli Stati Uniti, alle minoranze politiche e agli oppositori politici.
D. –
Qual è la condizione attuale della pena di morte nel mondo?
R. – La
pena di morte nel mondo sta arretrando. Ma la pena di morte oggi è molto praticata
in grandi Paesi come la Cina e il Giappone ed è praticata quasi in segreto. E’
praticata, poi, da grandi democrazie come l’India, gli Stati Uniti - e questa è
la ferita più grande per chi ritiene che democrazia e pena di morte non possano
andare d’accordo – e in molti Paesi arabi e musulmani.
D. – Ma
una moratoria da sola può fermare la pena di morte?
R. –
Assolutamente sì. In quasi tutti i casi in cui è stata lanciata una moratoria,
quasi mai si è tornati indietro, perché si comincia ad assaggiare che c’è una
giustizia senza morte.
D. –
Questa notte negli Stati Uniti un’altra vita verrà spezzata..
R. –
Nella camera della morte di Huntsville, questa notte, Dominique Green, un
afroamericano per cui la comunità di Sant’Egidio si è battuta molto,
probabilmente morirà, verrà ucciso. Noi ci auguriamo che questo ancora, per
miracolo, possa essere fermato.
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GRAZIE ALLA PRESENZA DELLA COMUNITA’
INTERNAZIONALE,
IL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE IN AFGHANISTAN E’
DESTINATO A CONSOLIDARSI. E’ QUANTO EMERSO IN UNA CONFERENZA PROMOSSA A ROMA
DALLA “CIVILTA’ CATTOLICA”
- Intervista con padre Angelo Macchi -
“Afghanistan 2004. Nuova
Costituzione ed elezioni presidenziali” è il tema della conferenza tenuta in
questi giorni a Roma da padre Angelo Macchi, redattore della rivista dei
gesuiti “Civiltà Cattolica”. Attraverso un excursus della storia più
recente del Paese – dagli attacchi angloamericani dell’ottobre 2001 allo
svolgimento delle elezioni presidenziali, lo scorso 9 ottobre, che vedono ormai
la vittoria matematica di Hamid Karzai – il religioso gesuita è giunto alla
conclusione che il processo di democratizzazione in Afghanistan sia ormai
inarrestabile. Eppure, sul terreno la violenza dei guerriglieri talebani non si
arresta. Ascoltiamo, in proposito, un commento dello stesso padre Macchi,
intervistato da Dorotea Gambardella.
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R. – La situazione interna
continuerà a rimanere preoccupante, perché non è che per il fatto che si siano
fatte le elezioni i guerriglieri talebani scompaiano. D’altra parte, credo che
l’alleanza internazionale rimarrà fino a quando non ci sarà una stabilizzazione.
D. – Lei ha
parlato della nuova Costituzione afghana nella quale viene sancita la parità
tra uomo e donna. Non crede che ci sia contraddizione con le donne ancora costrette
ad indossare il burka?
R.
– Il problema della parità deve essere mediato attraverso quelle consuetudini,
radicate da secoli. Che ci possa essere un obbligo giuridico, tale da
considerare chi non porta il burka colpevole di qualche reato, io non lo credo,
ma certamente non ci sarà un obbligo di non mettere il burka. Allora la parità
di diritti tra uomo e donna rimane il nucleo dei diritti. Certe modalità della
vita familiare sono un problema che sarà risolto con il tempo.
D. – Lei ha auspicato che in
Iraq si verifichi quanto accaduto in Afghanistan, però ha sottolineato anche la
differenza tra i due Paesi…
R. – In Afghanistan è presente l’ONU, tutta la
comunità internazionale. In Iraq c’è una spaccatura enorme rispetto alla
comunità internazionale. Quindi, questa è la prima grande differenza. La Germania,
che in Afghanistan sta dando il meglio di se stessa, in Iraq non metterà piede.
Il cancelliere Schroeder per vincere le elezioni ha detto: “Qualunque cosa
avvenga noi non metteremo piede in Iraq”. Seconda cosa, finora a dividere la
comunità internazionale è stata, in modo particolare, la Francia. C’è poi tutta
l’opinione pubblica di tanti Paesi europei contrari all’intervento
anglo-americano, perché lo considerano illegale, non essendoci stata una
delibera delle Nazioni Unite. Terza cosa, Saddam Hussein ha costruito attorno a
sé un sistema di controllo del Paese che non è scomparso e che adesso continua
ad alimentare tutte le strutture del terrorismo. Queste tre cose rendono la
situazione irachena molto più complessa di quella afghana.
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OGGI LA CONCLUSIONE IN
VATICANO DEL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE
SUL DRAMMA DEI RAGAZZI DI STRADA
- Intervista con Chiara Amirante -
Centocinquanta milioni di
ragazzi in tutto il mondo, praticamente abbandonati, spesso alla mercé di
trafficanti di droga, del mercato della prostituzione o del traffico degli
organi. Sono i cosiddetti “ragazzi di strada”, vittime di un fenomeno sociale
che non conosce confini territoriali e al quale dal Pontificio Consiglio per la
Pastorale dei Migranti ed itineranti ha dedicato il primo Incontro internazionale
per la pastorale dei ragazzi di strada che si conclude oggi in Vaticano. I
numeri sono impressionanti: 45 milioni di minori in America Latina, in
particolare in Brasile, altri 40 milioni in Asia, 10 milioni in Africa. In
Europa, questa piaga sociale si fa sempre più preoccupante in Russia e Romania.
Ma qual è la situazione in Italia? Giovanni Peduto lo ha chiesto a Chiara
Amirante, fondatrice della comunità “Nuovi Orizzonti”:
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R. – E’
piuttosto drammatica. Quando ho iniziato ad andare in strada, diversi anni fa,
non immaginavo davvero che ci fosse un popolo così sterminato di ragazzi di
strada. Le problematiche sono le più varie. Oggi incontriamo tanti ragazzi di
strada con problemi di tossicodipendenza, di alcoolismo, di carcere, di Aids.
Forse prima si incontravano più poveri, migranti. Adesso c’è tutto questo nuovo
mondo che io chiamo il popolo della notte, che è caratterizzato da queste nuove
povertà. Quanti sono? Secondo le stime dell’Unicef, si parla di 500 mila
ragazzi in Italia.
D. – Cosa fa lo Stato per loro?
Cosa fa la Chiesa?
R. – Per quanto
riguarda lo Stato, mi sembra che per quanto si tenti di incidere in qualche
modo, gli interventi siano del tutto insufficienti perché la richiesta è enorme,
le strutture sono indubbiamente pochissime. La Chiesa sta provando ad
affacciarsi su questo nuovo popolo che bussa con prepotenza, ma certamente c’è
un bisogno enorme, disperato di un maggiore intervento perché sia nella
prevenzione, sia nel recupero, sia nel reinserimento, sia nell’accoglienza le
strutture sono del tutto insufficienti.
D. – Un normale
cittadino, diciamo così, che incontra questi ragazzi, cosa è chiamato a fare?
R. - Per la mia
esperienza - ormai sono 10 anni che in questi centri di accoglienza vivo a contatto giorno e notte con i ragazzi di
strada - mi sono resa conto che l’intervento che loro ci chiedono non può
limitarsi ad un intervento di tipo caritativo. Ci vuole necessariamente un
intervento che si faccia carico delle loro piaghe, del loro grido, della loro
disperazione e li accompagni con molta pazienza e con molto amore in un
processo di guarigione del cuore, di
ricostruzione umana e spirituale, che possa portarli a decidere una rinascita.
Fondamentalmente, il vero male che ho trovato nei ragazzi di strada non è tanto
la povertà materiale, ma la morte dell’anima. Quindi hanno proprio bisogno di
incontrare Colui che ci dà la possibilità di rinascere, di fare l’esperienza
della risurrezione. Una persona normale, naturalmente, non può farsi carico di
un accompagnamento così complesso che richiede una ricostruzione totale
dell’individuo, però certamente può aiutare questi ragazzi ad orientarsi verso
le varie comunità che operano in questo senso.
D. – In proposito, ci parli della
sua comunità “Nuovi Orizzonti”...
R. – “Nuovi
Orizzonti” è nata fondamentalmente dal desiderio di condividere la gioia
dell’incontro con Cristo risorto proprio con quei ragazzi che vedevo nella
disperazione, in particolare i ragazzi della Stazione Termini a Roma. Ho
iniziato nel 1991 a recarmi di notte alla Stazione e di fronte a tanti che con
le lacrime agli occhi mi abbracciavano chiedendomi: “Portami via da questo
inferno. Anche noi vogliamo incontrare questo Gesù che ti ha cambiato la vita e
chi ti ha portato ad essere qui, a rischiare la tua vita per noi”. Così, nel
‘91 è nata l’idea di una comunità dove accogliere questi giovani. Ed è stata
sorprendente la risposta di questi ragazzi, anche dei più lontani, dei più
anticlericali, a questa proposta di provare a vivere il Vangelo. Tanti di loro
– adesso sono 223 – hanno fatto una scelta di consacrazione e hanno sentito
proprio questo impegno nella pastorale di strada, una pastorale che non sia
tanto di bravi predicatori, che vanno a fare un annuncio, ma che trova la forza
nella testimonianza di ciò che l’incontro con Cristo può operare nella nostra
vita quando c’è vuoto, morte, disperazione. Abbiamo avuto modo di incontrare un
milione di ragazzi con varie iniziative di evangelizzazione di strada ed abbiamo
visto che la risposta è sempre veramente impressionante.
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AL VIA LE CELEBRAZIONI PER IL 50.MO
ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DEL GESUITA FRANCESE, TEILHARD DE CHARDIN,
GEOLOGO E PALEONTOLOGO DI FAMA MONDIALE
- Intervista con padre Marc Le Clerc -
Scienziati,
filosofi, teologi, antropologi, economisti si sono riuniti in questi giorni
presso la Pontificia Università Gregoriana, a Roma, per ricordare Pierre
Teilhard de Chardin, il gesuita francese, geologo e paleontologo, a quasi 50
anni dalla sua morte, avvenuta nel 1955 a New York. “Un mondo in evoluzione:
fede, scienza e teologia” è il titolo di questo convegno, che si inserisce in
una serie di manifestazioni in diversi Paesi del mondo per celebrare
l’importante anniversario. Per tracciare un profilo di Teilhard de Chardin,
Debora Donnini ha intervistato padre Marc Le Clerc, professore di filosofia
moderna alla Gregoriana:
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R. –
E’ un grande credente, un religioso sempre fedele alla Compagnia, alla Chiesa.
Un uomo mistico, in più un poeta, ma anche un grande scienziato, geologo,
paleontologo che ha lavorato tutta la sua vita in questo campo.
D. –
Qual è stato il fulcro del suo pensiero?
R. –
Che Cristo è il centro dell’universo, il centro del mondo. Che in Cristo tutte
le cose trovano la propria consistenza, come dice Paolo stesso nella Lettera ai
Colossesi, ma che se Cristo riprende in sé tutto ciò che c’è, tutto l’universo,
deve anche assumere in sé un universo in evoluzione, come lo scopre la scienza
del suo tempo. Quindi, da lì il senso di Cristo non soltanto Redentore
dell’uomo, ma anche fine, termine e motore di tutta l’evoluzione del cosmo e
dell’uomo.
D. –
E come accolse la Chiesa le sue teorie, e oggi come vengono viste?
R. –
All’inizio c’era sicuramente un po’ di diffidenza, perché erano molto nuove. Forse,
non si vedeva molto bene come conciliare – come voleva fare padre Teilhard – i
dati scientifici con i dati tradizionali e teologici della fede cattolica. Poi,
a poco a poco, le acque si sono calmate
e con il distacco del tempo vediamo molto meglio che il suo tentativo di
conciliazione era molto rispettoso, in realtà, della diversità dei piani
scientifico, filosofico e teologico.
D. – A volte, Teilhard de Chardin è stato accostato
– diciamo così – al New Age. Secondo lei, questa non è una lettura giusta?
R. – E’ vero che le sue espressioni non sono sempre
del tutto precise, e quindi si può capire che alcuni l’abbiano inteso così,
perché manca a volte nella sua espressione la precisione tecnica: lui non era
né un filosofo di mestiere né un teologo professionista, quindi aveva una
visione grande, forte, bella, poetica, ma che bisogna seguire fino in fondo per
capire fino a che punto fosse di fatto radicata nella fede della Chiesa. E lì,
padre De Lubac ha reso un immenso servizio mostrando questa coerenza e
apportando al pensiero di Teilhard a volte la precisione che gli mancava.
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26 ottobre 2004
DA DOMANI A SABATO PROSSIMO A JOHANNESBURG
L’INCONTRO
DEI MEMBRI E CONSULTORI AFRICANI DEL PONTIFICIO
CONSIGLIO DELLA CULTURA
- A cura di Giovanni Peduto -
JOHANNESBURG. = A partire da domani, fino a sabato
prossimo 30 ottobre, i membri e consultori africani del Pontificio Consiglio
della Cultura daranno
vita ad un incontro sul tema: “Una
sola famiglia di Dio nella diversità delle culture”. L’incontro si svolgerà a Johannesburg,
in Sud Africa. Saranno presenti anche i vescovi responsabili della pastorale
della cultura nei loro rispettivi Paesi nell’Africa meridionale (Angola, Sao
Tomé, Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sud Africa, Swaziland e Zimbabwe).
Questo incontro fa parte di una serie di iniziative che ha lo scopo di
promuovere la pastorale della cultura nelle diverse parti del mondo. L’ultimo
incontro di questo genere in Africa si era svolto a Yaoundé nel 2000, ed esso
diede ai vescovi dell’Africa centrale
l’occasione di proporre “Una cultura cristiana della pace”. In
questa occasione, sarà posta speciale
attenzione all’evangelizzazione delle culture, con una particolare enfasi sulle
questioni riguardanti l’unità e la diversità. Nel contesto attuale, fortemente
segnato dal fenomeno della globalizzazione, la Chiesa si sforza di promuovere
la diversità culturale nell’unità della fede in Cristo e la diffusione della cultura della solidarietà
e della fratellanza. Il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, terrà la
relazione centrale intitolata:
“L’Eucaristia e la Chiesa, sorgente e strumento dell’unità dei popoli nella
loro diversità culturale”.
CRESCE L’IMPEGNO DEI LAICI NELLA COMUNITA’
CATTOLICA DI HONG KONG,
CON LA
CREAZIONE DI NUMEROSE COMMISSIONI LAICALI PER L’INSERIMENTO
DEI
NON CONSACRATI NELLE ATTIVITA’ PASTORALI
HONG
KONG. = In aumento la consapevolezza e l’impegno dei laici nella comunità cattolica
di Hong Kong. Come comunicato dall’Ufficio diocesano per la formazione dei
laici, 26 parrocchie sulle 53 esistenti nella diocesi hanno formato una
Commissione laicale e lavorano a pieno ritmo per la formazione e l’inserimento
dei laici nelle diverse attività pastorali. Kevin Lai Yuk Ching, segretario
dell’Ufficio diocesano, se ne rallegra e auspica che presto anche le altre
parrocchie seguano l’esempio. In un’intervista al settimanale diocesano in
lingua inglese, Sunday Examiner, il segretario ha spiegato che esse
vengono chiamate “unità pastorali” o “commissioni laicali”, e che si occupano
soprattutto della catechesi e delle attività di apostolato sociale. Secondo
Kevin Lai Yuk ching, occorre convincersi sempre più che il lavoro pastorale non
può essere solo appannaggio del clero e dei religiosi: l’apporto dei laici
diventa sempre più importante. “Per questo - ha sottolineato - la Chiesa non
deve smettere di curarne la formazione, organizzando specifici seminari di
studio e di approfondimento biblico”. A Hong Kong, esiste anche una commissione
che si occupa della formazione di diaconi permanenti. (R.M.)
IL PROGRAMMA ALIMENTARE
MONDIALE DELL’ONU HA ANNUNCIATO CHE RIDURRÀ
LE RAZIONI ALIMENTARI PER I PROFUGHI DI BURUNDI
E REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, OSPITATI IN
TANZANIA
DAR ES SALAAM. = “Siamo costretti a diminuire le razioni di cibo a
circa 400 mila profughi ospitati in Tanzania. A causa di alcuni ritardi non
possiamo utilizzare, infatti, i soldi prima di qualche mese”. Lo ha detto all’Agenzia
missionaria Misna la portavoce del Programma alimentare mondiale delle Nazioni
Unite (PAM) a Dar Es Salaam. L’agenzia dell’ONU ha anche lanciato un appello
alla comunità internazionale perché stanzi al più presto 14 milioni di dollari.
Per far fronte a questa emergenza, è stato deciso di ridurre le razioni di
cereali e legumi del 24 per cento passando da da 2,5 kg a 1,9 kg settimanali
per persona. Il provvedimento, che riguarda oltre 400 mila profughi provenienti
da Burundi e Repubblica democratica del Congo, sarà in vigore fino al mese di
febbraio, data in cui dovrebbe arrivare il denaro necessario per acquistare
circa 40 mila tonnellate di cibo. “Si tratta di misure che cerchiamo di evitare
– ha spiegato la portavoce del Pam, Karla Hershey - perché tendono ad aumentare
l’insicurezza all’interno dei campi”. Questa drammatica situazione – ha
aggiunto – non dipende da una minore generosità dei donatori ma, piuttosto, dal
tardivo utilizzo dei fondi. Una misura simile a quella adottata in Tanzania è
stata presa all’inizio di ottobre anche nella Zambia, dove il Pam ha annunciato
di essere costretto a dimezzare le razioni alimentari per oltre 100 mila
profughi. (A.L.)
IL DIRETTORE DELLA
MISSIONE ONU IN GUATEMALA “MINUGUA” TRACCIA UN BILANCIO SULLA SITUAZIONE DEL
PAESE POCO PRIMA
DELLA SCADENZA DEL MANDATO ALLA FINE DELL’ANNO
CITTA’ DEL GUATEMALA. = Soddisfazione per il
rafforzamento della società civile e di alcune istituzioni impegnate nella
difesa dei diritti umani, ma anche preoccupazione per la debolezza dello Stato
di diritto. Sono alcune delle valutazioni sul Guatemala espresse al quotidiano
“Prensa Libre” dal capo della missione ONU “Minugua”, Tom Koenigs. Il mandato
della missione delle Nazioni Unite in Guatemala, creata nel 1994 per cercare di risolvere il conflitto
civile che insanguinava il Paese dal 1960,
scade alla fine dell’anno. Dopo questa data sarà
la Procura speciale per i diritti umani ad assumere la funzione di verifica
degli accordi di pace. I principali obiettivi
indicati in un recente rapporto dell’ONU sul Guatemala, sono il libero accesso alle terre per i nativi ed
una più diffusa alfabetizzazione. “Non
possiamo parlare di violazioni sistematiche dei diritti umani – spiega Koenigs
- ma il razzismo e la discriminazione impediscono ancora la creazione di uno
Stato multiculturale, plurilingue e multietnico”. “La presenza di indigeni
nelle istituzioni – aggiunge il capo della missione delle Nazioni Unite - è
ancora molto limitata e in Parlamento ci sono solo 16 nativi su un totale di
158”. Prima di lasciare il Paese, la Minugua ha organizzato un congresso
internazionale dal titolo “Costruendo la pace in Guatemala da un punto di vista
comparato”, che si terrà da domani fino al prossimo 29 ottobre a Città del Guatemala.
“Gli argomenti principali di questo incontro – afferma Koenigs - saranno la
riforma del sistema giudiziario, la lotta contro la povertà, la criminalità, la
discriminazione e l’impegno della comunità internazionale nella costruzione
della pace nello Stato centro americano”. (A.L.)
ABBATTUTO IERI IL MURO CHE DA
OTTOBRE IMPEDIVA L’ACCESSO
A UNA SCUOLA CATTOLICA DI
GIAKARTA ACCUSATA DI CONVERTIRE I MUSULMANI
GIAKARTA. = E’ stato abbattuto, ieri a Giakarta, un muro eretto in ottobre da estremisti islamici
per impedire l’accesso alla scuola cattolica di “Sang Timur”, accusata di
convertire i musulmani. Secondo quanto riferisce il quotidiano “Gakarta Post”, le autorità ne hanno ordinato la demolizione poche ore prima
dell’arrivo sul luogo di Abdurrahman Wahid, grande fautore del dialogo
interreligioso, già presidente
indonesiano, per anni a capo della più grande organizzazione musulmana del
Paese, “Nahadlatul Ulama”, con oltre 30 milioni di seguaci. Un
religioso della scuola, Padre Derkson Turnip, intervistato dal quotidiano di
Giakarta, ha parlato dell’importanza della tolleranza reciproca, sottolineando
la necessità di “evitare il ricorso della violenza a causa delle differenze”.
(E.B.)
A DON MARIO PICCHI, PRESIDENTE DEL CENTRO ITALIANO DI SOLIDARIETA’ DI
ROMA,
LA
DECORAZIONE BOLIVIANA “SIMÓN BOLÍVAR”, PER LA VENTENNALE ATTIVITA’
DI
SOSTEGNO ALLO SVILUPPO SOCIO-SANITARIO IN BOLIVIA.
LA
CERIMONIA, OGGI POMERIGGIO NELLA SEDE ROMANA DEL CENTRO
ROMA. = Per oltre 20 anni di
attività in Bolivia, don Mario Picchi, presidente del Centro Italiano di
Solidarietà di Roma (CeIS), verrà insignito oggi pomeriggio della decorazione
“Simón Bolívar”, con il grado di commendatore della Repubblica boliviana. La
cerimonia sarà presieduta dal ministro degli Esteri della Bolivia, Juan Ignacio
Siles, e dall’ambasciatrice boliviana, Moira Paz Estenssoro. Don Picchi ha
operato nel Paese sudamericano sin dagli anni ’80 alla guida del CeIS, organizzazione
non governativa incaricata dagli uffici dell’ONU per la Lotta alla droga di
realizzare progetti di “sviluppo socio-comunitario e salute” nella regione del
Nord Yungas, nella provincia di La Paz. L’attività di maggior rilievo è stata
la costruzione e l’allestimento dell’Ospedale generale degli Yungas, aperto a
Coroico nel 1990 e consegnato al ministero della Salute boliviano. Primo in
Bolivia a raggiungere i livelli di qualità standard necessari nell’offerta dei
servizi sanitari, quello di Coroico è stato anche il primo ospedale rurale
riconosciuto come “Amico della madre e del bambino”, per il pieno rispetto dei
requisiti e delle raccomandazioni dell’UNICEF, l’ente ONU per l’infanzia. Tra
le altre opere realizzate in questi due decenni, la formazione di operatori
sanitari, attività per il trattamento e la riabilitazione di tossicodipendenti
in istituzioni non governative, laboratori educativi per bambine orfane e abbandonate
della città di Potosí. Nel 2004, il CeIS ha dato inizio anche al progetto “Educazione
e comunicazione comunitaria in salute materna”, finanziato dalla Conferenza episcopale
italiana e ha ottenuto dalla Farmacap, azienda delle farmacie capitoline, una cospicua
donazione di farmaci per l'Ospedale generale universitario degli Yungas. (R.M.)
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26 ottobre 2004
- A cura di Alessandro Gisotti -
Tra tensioni e speranze, si vive
oggi in Medio Oriente una giornata davvero cruciale per la pace nella
martoriata regione. La Knesset, il Parlamento israeliano vota stasera – in un
clima di forte polarizzazione – sul piano di ritiro militare da Gaza che,
secondo il premier Sharon, richiede una decisione fatidica. La votazione
avviene proprio mentre si contano i morti dell’incursione israeliana nella
Striscia di Gaza, durata tre giorni. Nel corso dell’operazione, 17 palestinesi
sono stati uccisi e 76 feriti. Distrutti anche 23 edifici. Secondo fonti
locali, le truppe israeliane si sono ritirate stamani dal campo profughi di
Khan Yunis. Il servizio di Graziano Motta:
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Tra accesissimi contrasti che
riflettono la profonda divisione nel Paese – migliaia di manifestanti sono in
piazza per protesta e circondano l’edificio della Knesset – si conclude in
serata il dibattito parlamentare sul controverso piano di ritiro di soldati e
coloni dalla striscia di Gaza e da quattro piccoli insediamenti della
Cisgiordania. Previsto un voto a favore del primo ministro, ma gli verrà solo
da parte della maggioranza di governo, in particolare da appena metà del
partito Likud, di cui è leader. Il deficit sarà colmato dall’opposizione di
sinistra, soprattutto dai laburisti. Una situazione di accentuata crisi,
destinata alla nascita di una nuova coalizione o allo scioglimento della
legislatura. Intanto, mentre da Khan Yunis, nella striscia di Gaza, è
cominciato questa mattina il ritiro dei soldati israeliani a conclusione
dell’operazione militare, suscita inquietudine la salute di Yasser Arafat,
anche se ufficialmente si parla delle conseguenze di un raffreddore. Il leader
palestinese, che ha 75 anni, ha rifiutato l’autorizzazione israeliana a
lasciare Ramallah, ove è isolato da quasi tre anni, per farsi curare in un
ospedale vicino. Alcuni esami e le cure mediche gli vengono assicurati anche da
medici egiziani e tunisini.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Sono almeno 84 i morti negli incidenti di ieri nel sud della Thailandia,
dove le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco su una folla di musulmani che
manifestavano davanti a un commissariato. Lo ha reso noto oggi un funzionario
del Ministero della giustizia thailandese. La collera della folla era stata
provocata dall’arresto dei sei responsabili, accusati di false dichiarazioni in
merito a un furto d'armi. Secondo le autorità locali la maggior parte delle
persone sono morte nella calca seguita agli spari. Nel sud della Thailandia, teatro
di una ribellione separatista, scontri e violenze hanno causato oltre 300 morti
dall'inizio dell'anno.
In Iraq le forze dell’ordine continuano ad essere bersaglio
degli attacchi della guerriglia. Un poliziotto è morto ed altri sette sono
stati feriti nei pressi di Baquba, a nord est di Baghdad, per l’esplosione di
due ordigni artigianali. La prima bomba è
esplosa al passaggio di una pattuglia sulla strada per l’università di Diyala.
La seconda deflagrazione è avvenuta mentre i feriti venivano trasportati
d’urgenza all’ospedale. L’area del cosiddetto triangolo sunnita è stata teatro
di altri episodi di violenza. Ce ne parla Amedeo Lomonaco:
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Un collaboratore di Al Zarqawi è stato ucciso questa notte
in seguito ad un raid aereo sulla città di Falluja. Lo hanno reso noto le Forze
armate americane, precisando che le recenti operazioni condotte dall’aviazione
hanno ridotto la capacità di compiere attacchi da parte della rete del
terrorista giordano. E proprio sulla difficile situazione di Falluja, il governo
provvisorio del Paese arabo ha negato di avere interrotto i colloqui con i
negoziatori tesi a ristabilire un clima di pace nella città sunnita, bombardata
in continuazione dalle truppe statunitensi. Continuano, intanto, le indagini
sul programma “Oil for Food”, iniziato subito dopo la fine della prima
guerra del Golfo. Il presidente della Commissione di inchiesta dell’ONU, Paul
Volcker, ha dichiarato in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore che “sarà
fatta luce sul traffico di denaro sporco durante il regime di Saddam Hussein”.
Nel programma delle Nazioni Unite, “Oil for Food” sono coinvolti almeno
5000 gruppi: “Se le accuse di corruzione saranno confermate – spiega Volcker,
ex governatore della Federal Reserve americana – l’ONU dovrà cambiare”. E per
protestare contro uno dei più grandi drammi che colpiscono l’attuale Iraq,
quello dei sequestri, centinaia di disabili hanno manifestato ieri, davanti
alla sede di ‘Care International’, chiedendo la liberazione della responsabile
anglo irachena dell’ONG, Margaret Hassan. “Dopo il suo rapimento – hanno detto
alcuni disabili – la nostra vita è diventata ancora più miserabile”. Da
registrare, infine, è stato liberato un giordano rapito 13 giorni fa. A
riferirlo è stato un funzionario del ministero degli Esteri di Amman.
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Il segretario di stato americano, Colin Powell, in visita a Seul, ha
sollecitato la Corea del nord a tornare - subito dopo le elezioni presidenziali
americane del 2 novembre - al tavolo del negoziato sulla crisi innescata dai
suoi programmi nucleari.
In Giappone, messi in ginocchio dal terremoto più grave negli ultimi
dieci anni, gli abitanti della prefettura di Niigata devono ora fare i conti
con la pioggia, e il pericolo di frane. Sono più di 100 mila i sopravvissuti al
sisma di sabato, che per la terza notte consecutiva hanno dormito
all’addiaccio. Il bilancio è pesante: oltre ai 31 morti, più di 2.900 persone
sono rimaste ferite e tre, tra i quali due bambini, sono ancora disperse. A ostacolare
i soccorsi, contribuisce il maltempo.
Manifestazioni
contrastanti, in India, per il capo della giunta militare birmana di Myanmar,
il generalissimo Than Shwe, che ieri ha incontrato il premier indiano, Singh.
Centinaia di oppositori birmani, esiliati a New Delhi, hanno protestato contro
la visita del numero uno della giunta davanti al Parlamento, accusando Shwe di
essere un “dittatore”. Dal canto suo, il generalissimo ha dichiarato all’India
“il sincero impegno del suo governo a instaurare la democrazia”. L'India è uno
dei pochi Paesi a mantenere rapporti diplomatici con Rangoon.
In Pakistan, il presidente
Pervez Musharraf ha proposto ieri un dibattito nazionale, nel Paese, sui modi
di risolvere la controversia con l'India per la contesa regione del Kashmir.
E' salito a 122 morti accertati
il bilancio delle vittime del disastro avvenuto venerdì scorso nella miniera di
Daping, nella Cina centrale. Lo afferma oggi l'agenzia Nuova Cina.
In Kosovo, è ufficiale la
vittoria del partito del presidente Rugova. L’OSCE, Organizzazione per la
Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ha infatti confermato il successo della
“Lega democratica” alle elezioni di sabato scorso. Il partito del presidente si
conferma, dunque, prima forza della provincia balcanica a maggioranza albanese,
che ora chiede con più forza l’indipendenza. Da Belgrado, Emiliano Bos:
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“Insisto perché venga
riconosciuta l’indipendenza del Kosovo”: con queste parole, a scrutinio quasi
completo, il leader moderato Rugova ha ribadito ieri le richieste autonomiste
di Pristina, forte del successo elettorale ormai sancito dal conteggio delle
schede. Rugova ha ottenuto poco più del 45 per cento delle preferenze, espresse
quasi esclusivamente dagli albanesi. La tornata elettorale è stata, infatti,
caratterizzata dal pressoché totale boicottaggio della minoranza serba, che ha
scelto il non voto come forma di protesta contro la mancanza di sicurezza e di
libertà di movimento. La protesta della minoranza slava preoccupa anche
l’Unione Europea, ma il capo della missione dell’ONU nella provincia a
maggioranza albanese si è detto convinto che i dieci seggi, sul totale di 120,
riservati alla minoranza serba rappresenteranno anche coloro che hanno avuto
paura di votare.
Da Belgrado, per la Radio
Vaticana, Emiliano Bos.
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Il governo del Sudan ha
rifiutato l’ingresso sul proprio territorio a un reggimento di soldati rwandesi
del contingente d’interposizione messo a disposizione dall'Unione Africana, e
incaricato di controllare la tenuta del cessate-il-fuoco tra le truppe di
Khartoum e i ribelli nella tormentata regione occidentale del Darfur. Intanto,
ad Abuja – capitale della Nigeria – sono ripresi tra mille difficoltà i
negoziati per risolvere quella che l’ONU ha definito la più grave crisi
umanitaria attuale.
A partire dall’8 novembre
prossimo, a Cuba non saranno più accettati i dollari statunitensi per le
transazioni sull'isola. Lo ha annunciato la Banca centrale cubana con un
comunicato letto in tv alla presenza del presidente Fidel Castro, tornato a
comparire in pubblico dopo la caduta della scorsa settimana.
Sette a zero per il centrosinistra. In Italia, le elezioni suppletive per
la Camera registrano la vittoria inequivocabile dell’alleanza ulivista. Nel
centrodestra, si segnala il forte astensionismo, ma sia l’UDC che AN ammettono
la “sconfitta”. Stamani, intanto, si è tenuto un vertice di maggioranza a
Palazzo Chigi. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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L’Ulivo ha strappato tre collegi
alla Casa delle Libertà. Il risultato politicamente più significativo è quello
nel collegio 3 di Milano, dove nel 2001 era stato eletto Umberto Bossi e dove
ieri ha vinto l’ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria. Il centrosinistra esulta
e parla di vittoria inequivocabile. “Uniti stravinciamo”, sottolinea Romano
Prodi. Il centrodestra si interroga sul risultato e parla di un campanello di
allarme da non sottovalutare, ma neppure da drammatizzare. E ora, nell’uno e
nell’altro schieramento si mettono a punto candidature e alleanze per le
Regionali del prossimo anno, la prova generale delle elezioni politiche in programma
nel 2006.
Per la Radio Vaticana, Giampiero
Guadagni.
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Le Forze armate rivoluzionarie
della Colombia (FARC) hanno fatto pervenire ai familiari di 12 ex-deputati
sequestrati nell’aprile 2002 una videocassetta in cui gli ostaggi chiedono al
presidente Alvaro Uribe di raggiungere un’intesa con la guerriglia, che consenta
la loro liberazione.
Un battaglione di soldati
spagnoli, inviato in Afghanistan per assicurare il servizio d'ordine alle
elezioni presidenziali, comincerà probabilmente a ritornare in patria alla fine
della settimana. Lo ha annunciato il ministro della Difesa spagnolo, José Bono.
In Egitto, i presunti
responsabili degli attentati del 7 ottobre scorso - nei quali sono morte 34
persone - verranno processati per omicidio premeditato, appartenenza a organizzazione
terroristica e detenzione di armi proibite. Lo ha annunciato stasera l'agenzia
“Mena”, citando la procura generale.
In Australia, il premier conservatore John Howard ha prestato oggi giuramento
con il suo governo per un quarto mandato, dopo la netta vittoria elettorale del
9 ottobre scorso.
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