RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
296 - Testo della trasmissione di venerdì
22 ottobre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Nuovo appello della Chiesa
in Colombia per il processo di pace
Ancora raid americani su
Falluja, almeno 7 morti. Intanto, gli ulema sunniti accusano le truppe USA di
aver rapito un loro esponente.
Con la ripresa dei negoziati in Nigeria, si ravviva la speranza nella martoriata regione sudanese del Darfur.
Elezioni domani in
Kosovo: la maggioranza albanese vuole l’indipendenza da Belgrado. La minoranza
serba boicotta il voto.
22
ottobre 2004
PACE E GIUSTIZIA
SOCIALE PER L’ANGOLA,
MA ANCHE RINASCITA SPIRITUALE E MORALE, DOPO I
DECENNI DI GUERRA CIVILE
CHE HANNO DISTRUTTO LA SOCIETA’ E FATTO “SOFFRIRE
ENORMEMENTE” LA CHIESA.
COSI’ IL PAPA AI VESCOVI DELL’ANGOLA E DI SAO
TOME, IN VISITA AD LIMINA,
NEL GIORNO IN CUI IL PONTEFICE CELEBRA IL 26.MO
ANNIVERSARIO
DI INIZIO
DEL MINISTERO PETRINO
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Aprire spazi di confronto
fraterno di idee e di collaborazione per ricostruire, dalle macerie della
guerra, un tessuto civile di riconciliazione in un Paese che, “oggi più che
mai”, ha bisogno “di pace e di giustizia”. Giovanni Paolo II ha lasciato questo
mandato ai vescovi dell’Angola e di Sao Tome, ricevuti oggi al termine della
loro visita ad Limina, nel giorno in cui il Papa ricorda il 26.mo anniversario
dell’inizio del suo ministero alla guida della Chiesa universale. Per i
particolari dell’intervento del Pontefice, il servizio di Alessandro De
Carolis:
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Il Papa si è rivolto ai presuli
del Paese africano avendo ben presente il drammatico quadro della situazione
interna. Venticinque anni di conflitto armato, scoppiato nel ’75 all’indomani
dell’indipendenza, e proseguito a fasi alterne, tra fragili tregue e sanguinose
recrudescenze, che hanno lasciato in eredità all’Angola un bilancio di uno-due
milioni di morti – ma cifre precise sono impossibili da stilare – centomila
mutilati, 4 milioni tra profughi e sfollati e dieci milioni di mine antiuomo su
12-13 milioni di abitanti. E, in generale, una situazione istituzionale e
sociale di grande incertezza, che il nuovo governo di José Eduardo dos Santos, nato dalla tregua del 2002, sta
tentando di ricomporre sulla strada della pacificazione democratica.
“E’ questa l’ora per una
profonda riconciliazione nazionale”, ha riconosciuto il Pontefice all’inizio
del suo discorso. “C’è bisogno di lavorare, senza sosta, per offrire alle
generazioni future un Paese dove possano convivere e collaborare fraternamente
tutte le componenti della società”. Il Papa – che ha riconosciuto come la
Chiesa abbia “sofferto enormemente” durante la guerra civile angolana - ha
elencato alcune delle situazioni che più hanno bisogno dell’attenzione e della
cura dei vescovi e di tutte le componenti della Chiesa locale: una “nuova
iniziazione cristiana” che permetta di “superare” le ancestrali credenze
feticiste e di “ribellarsi alla mentalità dominante secolarizzata e allo stesso
tempo agnostica”. Inoltre, la “difesa della santità” e del ruolo sociale della
famiglia, in un contesto in cui la “legislazione civile e i costumi
tradizionali poco favoriscono il matrimonio monogamico”. A questo proposito,
poligamia, divorzio e prostituzione - ha stigmatizzato il Papa - sono pratiche
diffuse e “immorali” che hanno una grande incidenza nella diffusione dell’AIDS:
una malattia, ha osservato il Pontefice, “che non può essere ignorata” per le
innumerevoli vittime che miete e per la “grave minaccia” che costituisce in
termini di stabilità sociale e di costo economico.
Per fra fronte a tutto ciò,
Giovanni Paolo II ha esortato i vescovi dell’Angola e di Sao Tomè a
intensificare l’annuncio e la diffusione dei valori del Vangelo, attraverso
l’istruzione soprattutto dei giovani e la formazione dei differenti agenti
dell’evangelizzazione: seminaristi, catechisti, vocazioni alla vita consacrata.
Ma, come sempre, il Papa ha dato grande
importanza alla “partecipazione attiva” dei cristiani nella vita pubblica, per
una crescita del senso “morale e religioso”, da promuovere - ha sottolineato -
grazie a una “collaborazione più stretta con il governo”. “Oggi più che mai
l’Angola ha bisogno di pace e di giustizia”, ma ha anche bisogno di una
rinascita spirituale. Una rinascita che ha nell’Eucaristia -“punto culminante
dell’iniziazione cristiana” – la sua radice più autentica e profonda.
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GLI STUDENTI DELLE PONTIFICIE UNIVERSITA’
ECCLESIASTICHE SI STRINGONO
INTORNO AL
PAPA: OGGI POMERIGGIO NELLA BASILICA
VATICANA LA MESSA
PER
L’INIZIO DEL NUOVO ANNO ACCADEMICO
- Intervista
con il cardinale Zenon Grocholewski -
Oggi
pomeriggio alle 17.30 gli studenti delle Pontificie Università ecclesiastiche
si stringeranno intorno al Papa nella Messa per l’inizio dell’Anno Accademico.
Giovanni Paolo II terrà l’omelia e impartirà la benedizione apostolica.
Presiederà la celebrazione il prefetto della Congregazione per l’educazione
cattolica, il cardinale Zenon Grocholewski. In tutto il mondo ci sono circa 170
facoltà ecclesiastiche: solo a Roma sono circa 20 mila gli studenti iscritti a
queste facoltà, 2000 i professori. La
Radio Vaticana seguirà l’evento in radiocronaca diretta con commento in
italiano sull’onda media di 585 Khz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz.
Giovanni Peduto ha chiesto al cardinale Grocholewski quali sono gli auspici per
questo nuovo Anno Accademico:
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R. – Vorrei che venisse vissuto,
anzitutto, dalle nostre facoltà ecclesiastiche l’Anno dell’Eucaristia. Si
comprenda, sempre di più, che per conoscere le verità divine non basta
semplicemente lo studio, ma ci vuole il contatto con Dio, ci vuole la
preghiera. In realtà, i più grandi riformatori della Chiesa sono stati proprio
i Santi: santi che, oltre allo studio – come San Tommaso, Sant’Agostino,
Sant’Ignazio… – erano soprattutto uniti con Dio. Si dovrebbe dire, anzi, che ci
sono molti santi che non hanno fatto grandi studi e ciò nonostante hanno
influito fortemente sulla storia della Chiesa, come San Francesco, Santa
Caterina da Siena, che non sapeva neanche leggere e scrivere ma che ha dettato
delle cose stupende, e questa grande saggezza e questa grande scienza è stata
presa dal contatto, dalla meditazione e dall’unione con Dio. Vorrei che
quest’Anno dell’Eucaristia renda consapevoli i nostri studenti che la fonte
della saggezza, della sapienza viene proprio dalla preghiera.
D. – Che cosa offrono oggi le
Università ecclesiastiche?
R. – Penso che offrano quello di
cui, forse, il mondo di oggi ha più bisogno. Una riflessione sul senso, sulle
domande più profonde riguardanti l’esistenza umana. Sappiamo tutti che le
conquiste della scienza e della tecnica possono essere usate sia per il bene,
sia per il male. In realtà molto spesso vengono usate più per il male: grazie
alle conquiste della tecnica, le guerre ad esempio sono diventate più
terribili, le ingiustizie più raffinate, l’oppressione di un uomo sull’altro
più perfida e la minaccia stessa alla vita dell’uomo è più reale. Ci vuole una
riflessione sul senso, su cosa vogliamo veramente: qual è il senso della ricerca,
come dobbiamo sfruttare le conquiste della scienza e della tecnica? Penso che
questa riflessione sia necessaria e proprio questa è la riflessione che
propongono a tutti le facoltà ecclesiastiche.
D. – Uno sguardo alle principali
università ecclesiastiche, atenei ed istituti affini…
R. – Sono circa 170 diverse
facoltà ecclesiastiche nel mondo. Quello che vorrei però sottolineare è la
centralità della Città eterna. E’ un centro, questo, che rispecchia
l’universalità della Chiesa. Sono presenti professori e docenti provenienti da
tanti Paesi, sono presenti studenti che vengono da tutto il mondo (l’Università
Gregoriana, per esempio, ha studenti provenienti da 135 nazioni; lo stesso per
l’Angelicum, il Laterano e l’Urbaniana). Questo certamente rappresenta
l’universalità. Inoltre qui è possibile studiare tutte le possibili questioni
connesse con la missione della Chiesa. Queste università, facoltà ed istituti
offrono una vastissima gamma di materie affinché questi studi vengano ancorati
nella Chiesa, universale. Credo che questo rappresenti un grande vantaggio e
sempre con gioia celebro questa Messa dedicata agli studenti romani, che
cominciano l’Anno Accademico.
D. – Ci saranno novità,
quest’anno, dal punto di vista dei programmi e delle iniziative accademiche?
R. – Sono allo studio varie
iniziative e molte facoltà – come in parte mi è stato già preannunciato –
stanno cercando di preparare dei simposi, delle riflessioni proprio sul tema
dell’Eucaristia. E questo perché è proprio ciò che è stato proposto dal Santo Padre:
dobbiamo cioè approfondire questo, che rappresenta il più grande mistero, fonte
e culmine di tutta la vita cristiana. Da parte della nostra Congregazione
stiamo già studiando diverse cose: il problema per un miglior uso della lingua
latina negli studi ecclesiastici, la riflessione riguardo gli studi della
filosofia sia nelle facoltà ecclesiastiche della Filosofia, sia nell’ambito
degli studi teologici.
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ALTRE UDIENZE
Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto anche il
cardinale Daoud, prefetto della
Congregazione per le Chiese Orientali e seguito.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l'udienza di Giovanni Paolo II ai Vescovi della Conferenza
Episcopale di Angola e Sao Tome e Principe.
Nell'occasione
il Papa ha sottolineato che l'Angola ha urgente bisogno di pace, di
giustizia e di riconciliazione.
Nelle
vaticane, l'articolo del nostro inviato Gianluca Biccini a Malta, in occasione
del Convegno internazionale del Clero.
Nelle
estere, Iraq: nuovi bombardamenti dell'aviazione e dell'artiglieria Usa a Falluja.
Per
la rubrica dell' "Atlante geopolitico" un articolo di Gabriele Nicolò
dal titolo "Guarire il mondo dalla piaga della miseria".
Nella
pagina culturale, un articolo di Maria Maggi dedicato all'Organizzazione europea
per la ricerca nucleare (Cern), che celebra mezzo secolo di storia.
Nelle
pagine italiane, in rilievo i temi della giustizia e dell'immigrazione.
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22
ottobre 2004
CRUCIALE DIBATTITO
ALL’ONU SULLA CLONAZIONE UMANA: LA SANTA SEDE NE CHIEDE IL DIVIETO TOTALE E
INCORAGGIA LA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI ADULTE
A New
York è in corso da ieri all’Assemblea Generale dell’ONU un cruciale dibattito
sul bando della clonazione umana. Alcuni Paesi vorrebbero l’interdizione
totale, altri invece vorrebbero introdurre una distinzione tra clonazione
riproduttiva, per riprodurre cioè un essere umano destinato a vivere da
vietare, e clonazione terapeutica, da permettere, per la produzione di embrioni
utilizzati poi come materiale per curare malattie e a scopo di ricerca. Sul
dibattito in corso ascoltiamo il servizio di Elena Molinari:
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Il dibattito sulla clonazione
all’ONU è appena iniziato e già spacca alleanze storiche. La Gran Bretagna si è
schierata infatti ieri contro gli Stati Uniti, chiedendo alla comunità
internazionale di proseguire gli esperimenti sugli embrioni a scopo
terapeutico. Gli USA si erano presentati al consesso chiedendo invece un
divieto rigido ad ogni forma di clonazione umana, e raccogliendo così il
sostegno di Costa Rica, Italia, Australia, Cile, Irlanda e di molti Paesi
africani. Anche la Santa Sede ha chiesto
il divieto totale.
L’ambasciatore britannico si è
invece schierato con una proposta presentata dal Belgio a nome di una ventina
di Paesi, che vorrebbero il solo bando della clonazione a scopi riproduttivi.
Su questa linea, che ha raccolto ieri anche il consenso della Francia, si è
schierato anche il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Il tema già lo
scorso anno divise l’Assemblea generale, provocando un rinvio della discussione
e l’esito, quello della non-decisione, è ancora possibile. La Corea del Sud ha
infatti già proposto ieri sera di rimandare tutto a febbraio, con la
convocazione di una conferenza internazionale sulla ricerca sulle cellule
staminali.
La posizione del governo
americano divide gli stessi Stati Uniti ed è un tema caldo della campagna
elettorale presidenziale. Il candidato democratico John Kerry è infatti
favorevole alla ricerca sugli embrioni a scopi terapeutici affiancato
dall’Associazione americana per l’avanzamento delle scienze. Il presidente Bush
appoggia invece il bando totale di ogni forma di clonazione.
Elena Molinari per la Radio
Vaticana.
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E al dibattito all’ONU è
intervenuto ieri anche l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso le
Nazioni Unite l’arcivescovo Celestino Migliore. Il rappresentante pontificio ha
chiesto la creazione di uno strumento giuridico internazionale per vietare
totalmente la clonazione umana, invitando anche a sostenere la ricerca nel
campo delle cellule staminali adulte. Da New York ce ne parla Paolo
Mastrolilli:
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L’arcivescovo ha sottolineato
che da un punto di vista puramente scientifico, i progressi ottenuti con le
cellule staminali adulte, cioè provenienti dal midollo spinale e dal cordone
ombelicale e altri tessuti maturi, appaiono molto promettenti. La clonazione
degli embrioni, invece, è ancora lontana dai risultati che i suoi sostenitori
suggeriscono. Secondo il nunzio, del resto, la distinzione tra la clonazione
riproduttiva e quella terapeutica è speciosa, perché entrambe comportano la
mancanza di rispetto per la dignità dell’essere umano. Dal punto di vista etico
e antropologico, infatti, creare embrioni con l’intenzione di distruggerli
rende comunque la vita umana niente di più che lo strumento di un’altra.
Inoltre, l’impossibilità di distinguere tra gli embrioni clonati e quelli
creati in vitro renderebbe impossibile l’applicazione di una legge che
consentisse la clonazione terapeutica, vietando invece quella riproduttiva.
Visto che le cellule staminali adulte hanno già dato risultati e non sollevano
questioni etiche, sarebbe ragionevole proseguire questa ricerca prima di
imbarcarsi nella clonazione degli embrioni che rimane problematica sul piano
scientifico e morale. L’arcivescovo Migliore ha precisato che questo non
significa opporsi al progresso scientifico; la scelta – piuttosto – non è tra
scienza ed etica, ma tra la scienza eticamente responsabile e quella che non lo
è. Perciò la Santa Sede sostiene la creazione di uno strumento giuridico
internazionale per vietare completamente la clonazione embrionale umana.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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CONTINUA LA PROTESTA PACIFICA NELLE CARCERI
ITALIANE
CONTRO IL SOVRAFFOLLAMENTO E LA MALASANITA’
- Interviste con Vittorio Antonimi, don Sandro
Spriano e Claudio Messina -
Continua la protesta pacifica
nelle carceri italiane contro il sovraffollamento e la malasanità. Intanto ieri
nel nuovo complesso del carcere di Rebibbia a Roma si è aperta la terza
Assemblea nazionale del “Volontariato Giustizia” che opera nel mondo
carcerario. Tra le proposte avanzate l’opportunità di destinare i 320 milioni
di euro che il ministro della Giustizia Castelli intende utilizzare per la
costruzione di nuove carceri, in iniziative per la reintegrazione sociale degli
ex detenuti. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro:
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Sollecitare i parlamentari ed
amministratori locali a presentare proposte di legge contenenti un reale
provvedimento di indulto ed amnistia. Questo è uno degli obiettivi dei detenuti
che, da alcuni giorni, proseguono la loro protesta. Allarmanti i dati
ministeriali diffusi: in Italia è di 41.700 persone la capienza massima dei
penitenziari, ma attualmente il numero dei carcerati supera quota 56 mila; di
questi il 31 per cento sono stranieri e quasi il 28 per cento della popolazione
carceraria è rappresentata da tossicodipendenti. Ascoltiamo Vittorio Antonini,
dal 1985 ergastolano in condizioni di semi libertà e coordinatore nazionale
dell’Associazione culturale detenuti “Papillon Rebibbia”:
“Noi chiediamo un provvedimento che renda in qualche modo obbligatorio su
tutto il territorio nazionale e per tutti i detenuti, l’applicazione della
Legge Gozzini, che è la legge che prevede tutta una serie di passaggi che
accompagnano il detenuto in espiazione di pena verso l’esterno (permessi premi,
semilibertà, affidamento, etc.). Il mondo politico ha risposto con un
provvedimento – il cosiddetto “indultino” – che non è stato assolutamente in
grado di scalfire, neanche minimamente, il sovraffollamento presente nelle
carceri”.
Drammatica è la vita all’interno
delle carceri italiane. Per molti detenuti, la mancanza di sufficienti attività
riabilitative negli istituti vuol dire trascorrere giornate intere senza
lasciare, quasi mai, la propria cella. Ascoltiamo don Sandro Spriano,
cappellano della casa circondariale di Rebibbia, a Roma:
R. - Su
1.600, qui a Rebibbia, ce ne sono 1.300 che vivono 20 ore in cella e hanno 4
ore d’aria, senza fare nulla. Qualcuno poi va a scuola, qualcuno fa qualche
piccolo lavoro, qualcuno fa teatro. Ma si tratta di un numero molto esiguo: la
maggioranza vive, annoiandosi, 20 ore in cella.
D. – E quando escono, invece,
cosa succede?
R. – Succede che si ritrovano
nelle condizioni precedenti all’ingresso in carcere: di povertà, senza casa,
senza lavoro e senza famiglia. La vita fuori, quindi, non comincia nemmeno.
Spesso si ritorna in carcere la sera stessa o il giorno dopo.
Uno
spiraglio di luce per i detenuti è rappresentato dalla presenza degli oltre 8 mila
volontari che nei penitenziari italiani affiancano il lavoro degli educatori.
Claudio Messina, responsabile del settore carcerati della San Vincenzo De Paoli:
“I volontari si danno molto da
fare per costruire dei percorsi, per colmare anche un po’ quelle tante carenze
che ci sono nel sistema. Ci sono volontari, per esempio, che fanno tramite tra
l’università e il carcere; ci sono volontari – come me – che si occupano del
sostegno morale e del reinserimento sociale e teniamo quindi anche i contatti
con le famiglie, con gli avvocati. Questo per loro è sicuramente molto
importante, direi vitale, perché ci aspettano – ogni settimana – quando andiamo
con ansia e ci vedono come delle persone che sono vicino a loro e che possono
aiutarli anche a stemperare quell’ansia che spesso li assale”.
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CONVEGNO DI STUDIO ALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’
LATERANENSE PROMOSSO
DALLE ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO PER IL
BICENTENARIO
DELLA FONDATRICE SANTA MARIA DE MATTIAS
- Intervista con suor Vittoria Tomarelli -
E’ iniziato oggi presso la Pontificia Università Lateranense un convegno
di studio sulla spiritualità della Croce in Santa Maria De Mattias a duecento
anni dalla sua nascita. Le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, da lei
fondate, vogliono così mettere a fuoco uno degli aspetti del carisma di Maria
De Mattias, per condividere nella Chiesa tutta la ricchezza spirituale
racchiusa negli scritti della loro Santa fondatrice, in quest’anno giubilare le
cui celebrazioni culmineranno il 4 febbraio 2005. Con noi la superiora generale
delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, suor Vittoria Tomarelli: Giovanni
Peduto le ha chiesto di parlarci di Santa Maria De Mattias.
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R. – Santa Maria De Mattias nacque il 4 febbraio
1805 a Vallecorsa, un paesino del frusinate dove lei trascorse tutta la sua
giovinezza nella ricerca, direi drammatica, di una vita diversa, senza quei
condizionamenti culturali che le impedivano di donare tutta se stessa
sull’esempio di Gesù, Amore Crocifisso, da cui si sentiva attratta. Trovò il
modello di vita rispondente alla sua vocazione in San Gaspare del Bufalo.
Quando lo sentì parlare del Sangue di Gesù dal pulpito della Chiesa del suo
Paese, guardandolo ella disse a se stessa: “Voglio essere come lui”. Questa è
stata la sua via verso la santità.
D. – La criticavano perché
parlava sempre della Croce…
R. – Lei infatti dice: “Mi
dicono che parlo sempre di Croce. Ciò non è per complimento, ma per pura
affezione di cuore che ho per l’alta stima di quel vessillo adorabile”. Quello
della Croce è uno degli elementi più ricorrenti delle sue lettere e uno degli
aspetti della sua identità di fondatrice e di adoratrice del Divin Sangue..
D. – Cos’era la Croce per Maria
De Mattias?
R. – Maria De Mattias aveva
capito che essere visitate dalla Croce è un dono ed è un privilegio il
portarla. Lei diceva: “Se non capiamo questo siamo del tutto cieche”. Infatti
aveva sperimentato unitamente alla Croce le consolazioni del Crocifisso.
D. – Come comunicare alla
società secolarizzata di oggi il significato della Croce?
R. – Oggi è difficile parlare di
Croce, perché si tende ad esorcizzare il principio stesso della sofferenza, di
cui senza la fede non si può capire il valore. Oggi invece si è più disponibili
ad una immagine di Dio, direi non più come Padre, quanto piuttosto come
sorgente di vita, perché questo aspetto impegna molto di meno.
D. – Qual è la missione e il
carisma delle Adoratrici del Sangue di Cristo?
R. – Un elemento del nostro
carisma è proprio quello di far capire il valore della sofferenza e della
Croce. Noi cerchiamo di fare questa nostra missione in tutti i luoghi dove
siamo presenti. Siamo circa 1800 suore in 27 Paesi. E vogliamo dare proprio questo messaggio al mondo: comunicare il valore salvifico della Croce.
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22
ottobre 2004
SI
CONCLUDE OGGI A MALTA IL CONGRESSO INTERNAZIONALE PER I SACERDOTI,
ORGANIZZATO
DALLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO.
L’INCONTRO
HA PER TEMA: “SACERDOTI
FORGIATORI DI SANTI
PER IL NUOVO MILLENNIO,
SULLE ORME DELL’APOSTOLO PAOLO”
- A cura di Riccardo Maccioni -
GOZO. = Gli abitanti locali la
chiamano Ghadvekx, l’isola di Gozo, unita a Malta da un braccio di mare di 8
km. Il Santuario di Ta’ Pinu si trova proprio al centro e deve il nome ad un
certo Pino Gaucci, che restaurò la cappella originaria nel 1619. La Chiesa
attuale in stile romanico-bizantino è stata consacrata nel 1931, nel luogo in
cui – era il 1883 – una giovane contadina sentì la voce di Maria. Le
apparizioni si ripeterono nei tre anni successivi. Il sesto Congresso
internazionale dei sacerdoti finisce qui, questa sera, con la solenne
concelebrazione eucaristica, presieduta dal segretario di Stato vaticano,
cardinal Angelo Sodano. In questa piccola diocesi, che comprende anche la
minuscola isola di Comino, dove vivono solo quattro persone, l’accoglienza è
festosissima, con la gente tutta per strada. Ai balconi sono state esposte le
bandiere e i cartelli con la scritta “Benvenuti” in sei lingue. Nella
meditazione mattutina, il cardinal Sterzinski, arcivescovo di Berlino, richiama
al dovere della comunione ecclesiale, innanzitutto tra sacerdoti. Una comunità
in lite non attrae – spiega – e la credibilità del messaggio risente in modo
immensamente negativo delle controversie. Quasi a suggello delle sue parole,
nella Chiesa di San Giovanni, detta Rotunda, si alternano le testimonianze di
preti che arrivano da zone di guerra. Vengono da Israele, dall’Iraq, dal Sudan
e chiedono aiuto e preghiera. Ibrahim, palestinese di Betlemme va oltre: “Ci
sentiamo soli – dice – dovete venire da noi. Organizzate pellegrinaggi.
Vedrete, non c’è nessun pericolo”.
IL SACERDOTE BURUNDESE,
ASSASSINATO MARTEDI’ IN UN AGGUATO STRADALE, E’ STATO VITTIMA DI UN “OMICIDIO
MIRATO”. LO DENUNCIANO FONTI DELL’AGENZIA FIDES. AI FUNERALI DELLO SCORSO 20
OTTOBRE
HANNO PARTECIPATO 8 MILA PERSONE
BUJUMBURA. = Padre Gerard Nzeyimana è stato vittima
di un “omicidio mirato”. Lo sottolineano fonti dell’agenzia Fides, riferendosi
all’assassinio del sacerdote della diocesi di Bururi, in Burundi, avvenuto il
19 ottobre scorso in una agguato stradale. “Abbiamo perso un altro uomo di
pace” ha dichiarato un sacerdote presente ai funerali di padre Gerard, ai quali
hanno partecipato 8 mila persone. Una partecipazione commossa, lo scorso 20
ottobre, che ha toccato tutti, non solo la comunità cattolica. Una delegazione
protestante, infatti, ha cantato alla messa, mentre rappresentati della
comunità mussulmana hanno elevato una preghiera al momento della tumulazione.
“Padre Gerard – ricorda ancora il sacerdote – era una vera forza della natura.
Aveva 65 anni ma ne dimostrava 20 di meno. Era impegnato nella promozione della
pace e denunciava il male da qualsiasi parte provenisse. Il progetto al quale
stava lavorando nel suo vicariato riguardava l’insegnamento della cultura della
pace in vista delle prossime elezioni generali”. Sono emersi, intanto, nuovi
particolari sull’uccisione di padre Gerard Nzeyimana. “Gli assassini dopo aver
fermato l’automobile con a bordo il sacerdote e 4 donne, 3 suore e una ragazza
– riferiscono le fonti di Fides – hanno preso il passaporto del sacerdote e
hanno confrontato a lungo la fotografia del documento con il viso del
sacerdote, per accertarsi che fosse veramente lui. Quindi, lo hanno fatto
scendere dalla vettura e lo hanno ucciso con un colpo alla nuca”. Sull’identità
degli assassini ancora non vi è certezza, ma “l’opinione generale – sostengono
ancora le fonti dell’agenzia missionaria – è che si sia trattato dei ribelli
delle Forze Nazionali di Liberazione (FNL)”. L’FNL, il secondo gruppo di
guerriglia del Paese africano, infatti, non ha firmato alcun accordo di pace
con il governo, a differenza delle Forze per la Difesa della Democrazia (FDD),
il maggior movimento di guerriglia burundese. (B.C.)
NUOVO
APPELLO DELLA CHIESA IN COLOMBIA PER IL PROCESSO DI PACE.
“OCCORRE INDIVIDUARE
ALTRE ALTERNATIVE – HA DETTO L’ARCIVESCOVO DI TUNJA, RIVOLGENDOSI ALLE FARC –
PER ARRIVARE AD UN ACCORDO UMANITARIO”
BOGOTA’. = Il vice presidente della Conferenza
episcopale colombiana e arcivescovo di Tunja, Luis Augusto Castro Quiroga, ha
chiesto alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) di ritirare la richiesta
di un’area neutrale e della smilitarizzazione di due aree del Paese
latinoamericano per procedere al rilascio degli ostaggi. “Si tratta di una
proposta che non può essere accolta dal governo – ha sottolineato il presule –
quindi è bene individuare altre alternative per arrivare ad un accordo
umanitario”. Attualmente, sono una sessantina gli ostaggi nelle mani delle
FARC: tra questi, politici, soldati e poliziotti. La condizione per il rilascio
dettata dai ribelli è che l’esecutivo liberi cinquecento loro compagni e
proceda alla smilitarizzazione dei comuni del Caquetá, rispettivamente San
Vicente del Caguán e Cartagena del Chairá. Lo scorso lunedì, il portavoce Raul
Reyes aveva annunciato che avrebbe accolto di buon grado la mediazione della
Chiesa nelle trattative. (D.D.)
I VESCOVI ITALIANI
RIVOLGONO UN “PRESSANTE INVITO A STUDENTI E
FAMIGLIE PERCHE’ DIANO LA LORO ADESIONE ALL’ORA DI
RELIGIONE”.
L’APPELLO CONTENUTO NELL’ANNUALE MESSAGGIO DELLA
CEI
CITTA’ DEL VATICANO. = Scegliere l’ora di religione a
scuola per scoprire l’apporto che questa offre al cammino formativo. L’invito è
contenuto nell’annuale messaggio della Conferenza episcopale italiana, diffuso
ieri, dal titolo “L’insegnamento della religione cattolica nel contesto della
riforma della scuola per l’educazione integrale della persona”. L’ora di
religione, si augurano i vescovi, “diventi un’occasione per capire e vivere il
nostro tempo, così incerto e conflittuale, nella ricerca della verità, per una
piena umanizzazione della propria esperienza di vita, aprendosi al dialogo e
facendosi testimoni di speranza”. Il messaggio fa poi riferimento al grande
numero di studenti che si avvalgono di questo insegnamento, quasi il 93% nello
scorso anno scolastico, che annualmente devono rinnovare la propria scelta.
Proprio questa grande percentuale deve rappresentare, per i docenti, un
ulteriore stimolo a trattare la disciplina “con grande cura, mettendo a
disposizione di tutti una proposta significativa dei valori evangelici,
favorendo al contempo l’educazione all’accoglienza di tutti, nel rispetto delle
diverse identità etniche e religiose”. Un invito particolare è rivolto agli
studenti della scuola secondaria, che scelgono in prima persona l’ora di
religione. A costoro, i vescovi chiedono “di non lasciarsi tentare dal
disimpegno, ma di assumere con coraggio le fatiche di un processo formativo che
include valori religiosi ed etici, che sono non solo parte integrante del
patrimonio storico e culturale dell’Italia e dell’Europa, ma anche capaci di dare
valide risposte alle più radicali domande di senso della vita”. Infine, il
messaggio fa riferimento al processo di riforma in atto nella scuola italiana,
nel quale “anche l’insegnamento della religione cattolica è chiamato in causa
per dare il suo contributo”. (F.R.)
“I
CITTADINI SONO CHIAMATI AD ESSERE MEMBRI ATTIVI DI UNA COMUNITA’
E NON SPETTATORI PASSIVI
DELLE DECISIONI CHE PIU’ STRETTAMENTE
LI RIGUARDANO”: COSI’ LA
CHIESA IN VENEZUELA, A DUE SETTIMANE DALLE
ELEZIONI REGIONALI E
MUNICIPALI NEL PAESE LATINOAMERICANO
CARACAS. = A due settimane dalle elezioni
regionali e municipali, la Conferenza episcopale venezuelana ha pubblicato una
nota nella quale invita la popolazione a partecipare attivamente alla tornata
elettorale e le autorità a garantire che tutto si svolga con regolarità. Il
testo ricorda che “l’esercizio del voto è un diritto e un dovere di tutti i
cittadini e, come tali, dobbiamo essere membri attivi di una comunità e non
spettatori passivi delle decisioni che più strettamente ci riguardano”. Al
Consiglio elettorale nazionale, i vescovi chiedono “il rispetto dei diritti dei
venezuelani” e sollecitano i partiti a “chiamare alla partecipazione, evitando
gli interessi individuali”. “E’ fondamentale recuperare il senso della
politica, inteso come esercizio coerente e democratico del potere – si legge
ancora nel testo – che non inganna la gente (in particolare i più poveri) e che
sia fedele ai principi della dignità umana e del bene comune”. Si sono
smorzati, intanto, i toni del dibattito pre-referendum tra i vescovi
venezuelani e l’esecutivo guidato da Chavez. Martedì scorso, il numero due del
governo, José Vicente Rangel, ha incontrato privatamente una delegazione di
presuli nella sede della Cev. Presenti il presidente, mons. Enrique Porras
Cardozo Baltazar, il segretario, mons. José Luis Ayala Azuaje, l’arcivescovo di
Maracaibo, mons. Ubaldo Ramón Santana Sequera e l’arcivescovo di Valencia,
mons. Jorge Liberato Urosa Savino. (D.D.)
SI APRONO OGGI POMERIGGIO A ROMA I LAVORI DEL
CONGRESSO NAZIONALE
DEL MOVIMENTO ECCLESIALE DI IMPEGNO CULTURALE.
LA RIFORMA
DELL’ORDINAMENTO DELLO STATO E IL REFERENDUM
SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA SARANNO I TEMI AL
CENTRO DEL DIBATTITO
- A cura di Ignazio Ingrao -
ROMA. = I delegati degli oltre
100 gruppi del MEIC, presenti in tutta Italia, si ritrovano a Roma per l’ottavo
Congresso nazionale, che porta un titolo di grande effetto: “Correre,
competere, configgere. E contemplare?”. La relazione di apertura del presidente
nazionale, Renato Balduzzi, affronterà tra l’altro due temi destinati ad
animare il dibattito congressuale. Il primo riguarda la riforma istituzionale.
Suscita preoccupazione e perplessità – osserva Balduzzi – una revisione
costituzionale così ampia come quella recentemente approvata dalla Camera dei
deputati, che appare non condivisa a livello politico e istituzionale. Ma oltre
al confronto sul federalismo, il presidente del MEIC invita gli intellettuali
cattolici ad intervenire anche nel dibattito sulla fecondazione assistita.
Riuscire a far riflettere quanti più italiani possibile sul dato di fatto che,
per essere adulto, bisogna essere passati per lo stato embrionale e che,
dunque, non è seriamente sostenibile la tesi dell’embrione come mero grumo di
cellule – invita Balduzzi – sembra essere in questo momento il compito più
importante degli intellettuali cattolici. Sia sulla riforma costituzionale sia
sul referendum sulla fecondazione assistita, sono attesi due documenti che
saranno discussi dal Congresso.
NUOVE FORME DI POVERTA’
IN ITALIA: LA DENUNCIA CONTENUTA
NELL’ULTIMO RAPPORTO
DELLA CARITAS, PRESENTATO OGGI A ROMA.
CRESCE ANCHE
L’EMARGINAZIONE TRA I MALATI E GLI IMMIGRATI
ROMA. = L’Italia cambia volto e diventa più povera:
i fattori di esclusione sociale diventano sempre più complessi e la maggioranza
dei cittadini si sente a rischio. E’ quanto emerge dallo studio condotto dalla
Caritas italiana, presentato oggi a Roma. L’indagine, contenuta nel volume “Vuoti a
perdere”, edito da Feltrinelli e curato dalla Caritas Italiana e dalla
Fondazione Zancan di Padova, mette in luce, tra le espressioni del disagio e
della vulnerabilità degli italiani, le nuove dipendenze, la depressione, la
demenza senile e le conseguenze psicosociali della flessibilità del lavoro.
Così, oltre alla dipendenza da droga, alcol e farmaci, il Rapporto racconta che
gli italiani oggi soffrono di “shopping compulsivo”, spesso sono maniaci
dell’esercizio fisico, soffrono la cyberdipendenza e usano in maniera smodata i
telefonini. Un fattore di grande interesse è quello relativo alla povertà:
dallo studio condotto in 222 Caritas diocesane emerge che i poveri oggi sono i
disoccupati, gli emarginati e i migranti, ma anche i diplomati, le famiglie
monoreddito con molti figli e i pensionati. Il monitoraggio relativo al
trimestre gennaio-marzo 2004 rivela che tre quarti delle persone che si sono
rivolte ai Centri di ascolto avevano difficoltà legate al reddito, al lavoro e
all’alloggio. Ampio spazio viene dedicato nel rapporto ai lavoratori atipici, i
“vulnerabili”. La Caritas ricorda che “sul totale degli occupati, i lavoratori
con contratti di collaborazione coordinata e continuativa costituiscono l’11
per cento, quelli occupati a tempo determinato quasi il 10 per cento e quelli
che lavorano part-time quasi il 9 per cento. Il lavoro nero interessa quasi il
20 per cento delle persone che lavorano”.
Il Rapporto presenta, infine, i risultati di un’indagine sul rapporto
tra povertà delle famiglie e accesso ai servizi sanitari. In Italia, ad
esempio, soffrono di Alzheimer più di 500 mila anziani ultrasessantacinquenni e
i costi diretti e indiretti della malattia sono stimati in 50 mila euro
all’anno per paziente. Problema aggravato dalle condizioni economiche, dalla
solitudine e dalla tendenza a ospedalizzare il paziente, anziché sostenere la
persona e la rete familiare. (B.C.)
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22 ottobre 2004
- A cura
di Alessandro Gisotti -
Bombardamenti
americani senza sosta, in queste ore, sulla città sunnita di Fallujah. I raid
hanno preso di mira alcuni edifici nei quali si ritiene sia rifugiato il
terrorista al-Zarqawi. Secondo fonti ospedaliere, almeno 7 persone sarebbero
state uccise e tre ferite. Tra le vittime anche dei bambini. Intanto, la Casa
Bianca ha ringraziato il governo britannico per aver deciso il ridispiegamento
delle proprie truppe, come richiesto dal Pentagono. E proprio in Gran Bretagna
si accende la polemica sulla volontaria rapita in Iraq. Ce ne parla Alessandro
Gisotti:
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Tony Blair farebbe meglio a tacere. E’ quanto affermato da
Tahsine Ali Hassan, l'iracheno marito di Margaret, la volontaria inglese responsabile
di “Care International” a Baghdad, rapita nei giorni scorsi in Iraq. “Blair –
ha detto Hassan – continua a ripetere che il suo governo sta cercando di liberarla,
mettendola così in grave pericolo”. Sul terreno, mentre Falluja continua ad
essere oggetto dell’offensiva americana e scontri a fuoco si registrano anche a
Mossul, il consiglio degli Ulema iracheni ha denunciato l’arresto da parte
delle truppe statunitensi del direttore delle scuole religiose sunnite. Notizia
smentita dal comando alleato. Intanto, il dipartimento di Stato americano ha
lanciato un serio allarme: le forze di sicurezza irachene sarebbero
“pesantemente infiltrate” dai ribelli. I guerriglieri disporrebbero di fondi
“praticamente illimitati” per finanziare gli attacchi alle forze della
coalizione. Si tratterebbe di denaro proveniente da simpatizzanti in Arabia
Saudita, tramite organizzazioni di beneficenza e rapporti di affari. Se, dunque,
la situazione è quanto mai incandescente, si pensa comunque alle prossime
elezioni. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha dichiarato che le
elezioni previste in gennaio sono ancora possibili malgrado la limitata
presenza Onu sul terreno. Dal canto suo, il segretario di Stato americano
Powell ha confermato oggi che le forze della coalizione sotto comando
statunitense contribuiranno ad organizzare la tornata elettorale, se non sarà
possibile trovare una forza adeguata fornita da altri Paesi. Negli Stati Uniti,
il sergente Ivan Frederick, che si era dichiarato colpevole di abusi sui
detenuti nel carcere di Abu Ghraib è stato condannato ad 8 anni di carcere. In
Italia, invece, fa discutere il provvedimento emesso dal Giudice per le
indagini preliminari di Bari in cui si definiscono “mercenari” gli ex ostaggi
italiani - sequestrati in Iraq per 56 giorni - Cupertino, Stefio, Agliana e
Quattrocchi, quest'ultimo ucciso durante la prigionia.
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In
Afghanistan, il partito che appoggia il presidente ad interim, Hamid Karzai, ha
affermato oggi – attraverso il suo portavoce – di essere sicuro al “100 per
cento” della vittoria di Karzai, alle elezioni presidenziali del 9 ottobre
scorso. La dichiarazione è stata resa nota pochi minuti fa dall’agenzia France
Presse.
E’
salito a 64 morti il bilancio del disastro avvenuto ieri nella miniera di
Daping, nella Cina centrale. I minatori dispersi sono 84, e le speranze di ritrovarne qualcuno vivo diminuiscono di ora
in ora. Migliaia di soccorritori sono sul posto e continuano a scavare tra le
macerie provocate dall' esplosione di grisou che nella notte tra mercoledì e
giovedì ha fatto crollare il tetto della miniera. Il presidente Hu Jintao ha
chiesto una “completa spiegazione” sul modo nel quale si è prodotta la
tragedia.
In Giappone, è di 67 morti e 21 dispersi il bilancio
ufficiale delle vittime del tifone Tokage, che ha investito l’arcipelago. Era
dal 1979 che il passaggio di un tifone non provocava tante perdite. Tokage, che
in giapponese vuol dire “lucertola”, ha attraversato il Giappone seminando
distruzione. Sono state devastate oltre 20 mila case e sfollate almeno 13 mila
persone. I feriti sono 281. Il tifone è ormai declassato a tempesta tropicale.
Per
la quarta volta dalla fine dell'amministrazione serba, il Kosovo si prepara –
domani - ad andare alle urne per le elezioni politiche. Un appuntamento particolarmente
importante, giacché precedono di poco più di sei mesi l'avvio dei negoziati per
la scelta dello status definitivo della provincia: gli albanesi pretendono
l’indipendenza, i serbi sono decisi a concedere al massimo l'autonomia. Dal Kosovo,
il servizio di Emiliano Bos:
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In lizza 33 partiti
per scegliere 120 deputati e un nuovo governo; un milione e 300 mila elettori
per un voto che alimenta aspettative diametralmente opposte. Gli albanesi
vogliono istituzioni sempre più indipendenti per raggiungere la piena autonomia
da Belgrado, i serbi annunciano il boicottaggio del voto per protestare contro
la comunità internazionale accusata di non garantire loro diritti e sicurezza.
Dopo cinque anni di amministrazione da parte delle Nazioni Unite e la presenza
di quasi 20 mila soldati della missione di pace guidati dalla NATO, il Kosovo è
piegato oggi da una forte crisi economica e da una disoccupazione superiore al
60 per cento, ma soprattutto resta irrisolta la questione dello status
definitivo della provincia, cioè se Pristina debba rimanere o no formalmente
legata alla Serbia-Montenegro. In campagna elettorale, tutti i partiti
albanesi, a partire dalla Lega democratica del presidente Ibrahim Rugova,
chiedono l’indipendenza il più presto possibile.
Da Pristina, per la
Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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In Medio Oriente: un
militante del braccio armato di Hamas è stato ucciso stamani a Khan Yunes, nel
sud della striscia di Gaza, dal fuoco di militari israeliani. Questo nuovo
episodio giunge all' indomani della eliminazione a Gaza di un ingegnere
ritenuto essere il “cervello” del braccio armato di Hamas. Dal canto suo,
l’organizzazione terroristica ha giurato vendetta contro Israele.
Anche se entreranno nel vivo solo lunedì, sono stati formalmente
aperti ad Abuja in Nigeria, i negoziati per risolvere la crisi umanitaria del
Darfur, regione occidentale sudanese teatro negli ultimi mesi di scontri tra
ribelli e governo centrale. L'inviato speciale dell'Unione Africana in Darfur
ha precisato che questa nuova tornata di colloqui durerà tre settimane. Resta tuttavia valida la minaccia di sanzioni da parte dell’ONU
per spingere il governo di Khartoum ad interrompere i massacri nella martoriata
regione. Sull’efficacia di un eventuale embargo, Fabio Colagrande ha
intervistato Stefano Squarcina, collaboratore della rivista “Nigrizia”, da poco
rientrato dal Darfur:
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R. – Dobbiamo essere
attenti: chi vuole oggi le sanzioni contro il regime del Sudan, delle vere
sanzioni? Abbiamo la Lega Araba, di cui il Sudan fa parte ed è un Paese
importante, contro questa opportunità; ci sono i Paesi confinanti del Sudan che
temono lo strumento delle sanzioni perché non vogliono indebolire ulteriormente
il regime di Khartoum perché ritengono che da questa prospettiva si produrrebbe
solo un’esplosione regionale in quella parte importante dell’Africa. Purtroppo,
i presupposti in qualche modo ci sono. E poi, nonostante le dichiarazioni
ufficiali, alla fine non le vuole neanche l’Unione Europea, le sanzioni. Il
governo sudanese ha amici importanti come la Russia, la Cina ... ad esempio,
sapete che il 70 per cento del petrolio sudanese va in Cina? Questa la dice
lunga, perché la Cina ha potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite! Ecco perché non si riesce a sbloccare la situazione!
D. – Cosa è
cambiato, dunque? Cosa sono riusciti a cambiare questi interventi diplomatici?
R. – Da un punto di
vista – come dire – geo-strategico, è chiaro che gli Stati Uniti sono il Paese
che mantiene più forte la pressione sul Sudan, dunque siamo di fronte ad un
governo – quello di Khartoum – che conta sul fatto che, passate le elezioni
negli Stati Uniti, di Darfur non se ne parlerà più. L’unica cosa che ha potere
nei confronti del Sudan è mantenere alta la pressione, ma ci deve essere anche
una politica coerente, non ci deve essere una politica di connivenza con una
politica militare che nel Darfur sta producendo solo mostruosità: 70 mila
morti, 10 mila al mese, bambini, donne ... questo è inaccettabile per la
comunità internazionale.
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A
Cuba, nella notte, il presidente Fidel Castro è stato sottoposto a un
intervento chirurgico alla rotula sinistra in seguito alla caduta avvenuta ieri
nel corso di una cerimonia a Santa Rosa. L'intervento è durato poco più di tre
ore. I medici hanno anche immobilizzato il braccio destro del lider maximo.
Nel
nord dell'Uganda si consuma una delle più gravi crisi umanitarie nel mondo, con
oltre 20.000 bambini coinvolti nella guerra civile: è la denuncia delle Nazioni
Unite, che hanno lanciato un appello alla comunità internazionale perché faccia
di più per porre fine a questa “litania di orrori”. A darne notizia è oggi la Bbc
online.
Un
gruppo di 29 nordcoreani si sono rifugiati stamani chiedendo asilo politico in
una scuola per sudcoreani a Pechino. Lo hanno reso noto dirigenti della scuola
citati dall’agenzia di stampa sudcoreana “Yonhap”. E’ l'ennesima fuga di
nordcoreani rifugiatisi clandestinamente nella vicina Cina, in fuga dalla fame
di massa e dalla repressione politica nel proprio Paese. Tuttavia, è la prima
volta che i rifugiati scelgono una scuola sudcoreana. In tutti i casi
precedenti si erano rifugiati nell'ambasciata o nel consolato sudcoreani a
Pechino.
Le forze armate
pachistane hanno bombardato oggi presunte basi di militanti islamici, senza
però riuscire a individuare il responsabile del rapimento di due ingegneri
cinesi, nella regione del Waziristan, a cui stanno dando la caccia da mercoledì
scorso.
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