RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
282 - Testo della trasmissione di venerdì 8 ottobre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Domani elezioni presidenziali
in Afghanistan: intervista con Alberto Negri
CHIESA E SOCIETA’:
Sempre difficile la
situazione dei cattolici in Iran
Il Dalai Lama chiede alle autorità cinesi
un’autonomia effettiva per il Tibet
Terrore sul Mar Rosso:
attacchi kamikaze antiisraeliani provocano la morte di 31 persone. Sharon punta
l’indice contro Al Qaeda
Una TV araba annuncia
l’uccisione dell’ostaggio inglese Bigley: Londra verifica l’attendibilità della
notizia
Attacco terroristico
all’ambasciata indonesiana a Parigi: 10 feriti, ingenti danni materiali.
Rafforzate le misure di sicurezza nella capitale francese.
8 ottobre 2004
PRESENTATA IN SALA
STAMPA VATICANA LA LETTERA APOSTOLICA DEL PAPA
MANE NOBISCUM DOMINE, DEDICATA ALL’ANNO DELL’EUCARISTIA,
CHE
INIZIERA’ DOMENICA 17 OTTOBRE.
IL
PONTEFICE INVITA I FEDELI E PONE AL CENTRO DELLA PROPRIA
VITA
IL MISTERO EUCARISTICO
- Servizio di Alessandro De Carolis -
L’Eucaristia - “mistero di
luce”, “sorgente di comunione” e “progetto di missione” - sia profondamente
riscoperta dalla comunità cristiana universale come “cuore della domenica” e
come ispiratrice di solidarietà e di pace. Si articola in cinque punti la
Lettera apostolica Mane nobiscum Domine scritta da Giovanni Paolo II in
occasione dell’Anno dell’Eucaristia, che inizierà domenica 17 ottobre.
Presentato questa mattina in Sala stampa vaticana dal cardinale Francis Arinze,
prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei
Sacramenti, il documento - dopo aver offerto una riflessione spirituale e una serie
di indicazioni concrete - chiosa con queste parole del Papa: “Non chiedo che si
facciano cose straordinarie”, ma che tutte le iniziative riguardanti questo
Anno speciale “siano improntate a profonda interiorità”. Per conoscere il
contenuto della lettera, ascoltiamo questo servizio di Alessandro De Carolis.
**********
Ha una sua “icona”, l’Anno
dell’Eucaristia, scrive il Papa nelle prime righe della Lettera apostolica: i
discepoli di Emmaus. Entrambi avvertono il cuore via via riscaldarsi e
illuminarsi alle parole dello sconosciuto Viandante che li ha affiancati, al
punto da invitarlo a rimanere con loro: “Mane nobiscum domine, quoniam
vesperascit”, gli dicono. “Resta con noi, Signore, che si fa sera”. Sono queste
le parole che introducono la Lettera apostolica, la cui struttura segue concettualmente
la progressione del celebre passo evangelico, dove l’iniziale oscurità che
appesantisce l’animo dei due discepoli viene squarciata dalla luce di Cristo, e
la sua sapienza e il gesto sacramentale della “frazione del pane” trasformano subito
i due in annunciatori della sua Risurrezione.
Pur incentrandosi sulla
spiegazione di un mistero che egli stesso definisce in più parti “ineffabile” e
“mirabile”, il Papa tiene costantemente agganciato il piano spirituale della
riflessione a quello umano e storico. Il terzo millennio, introdotto dal Grande
Giubileo, è cominciato – osserva inizialmente il Pontefice – con una sequela di
fatti legati “in una sorta di cruda continuità con gli eventi precedenti e
spesso con quelli peggiori fra essi”. Tuttavia, giacché Cristo è, secondo le
parole del Vaticano II, “il fine della storia umana”, ecco che l’oscurità del
mondo viene costantemente illuminata dalla sua presenza. L’Eucaristia, afferma
il Papa, è essa stessa “un mistero di luce” perché, pur nel totale nascondimento
di Cristo, l’Ostia introduce il credente “nelle profondità della vita divina”.
E qui, Giovanni Paolo II interviene con una primo invito alla “verifica” nelle
comunità cristiane: la liturgia della Parola - che nella Messa precede, così
come nel nell’episodio di Emmaus, la liturgia eucaristica - sia preparata con
cura così da permettere alla Parola di Dio di toccare e illuminare la vita
dell’uomo.
L’Eucaristia un “mistero ben celebrato”, dunque. Giovanni Paolo II lo ripete
più avanti, invitando al decoro delle celebrazioni, al rispetto delle norme,
all’uso di un’idonea musica liturgica, a dare il doveroso rilievo, afferma, “ai
momenti di silenzio sia nella celebrazione che nell’adorazione eucaristica”.
Anzi, l’adorazione fuori della Messa, soggiunge, “diventi durante questo anno,
un impegno speciale per le singole comunità parrocchiali e religiose”. Anche la
prossima festa del Corpus Domini con la tradizionale processione, esorta, siano
vissute con “particolare fervore”. Ma l’Eucaristia è anche una “manifestazione”
di comunione ecclesiale, che il Papa chiede conservi sempre il connotato della
fraternità, specialmente a tutti i livelli della gerarchia ecclesiale. E
nell’auspicare “un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la
Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa”, il Pontefice passa ad
enunciare il “principio” e il “progetto di missione” insito nel sacramento
eucaristico.
Eucaristia significa “rendimento di grazie”. Morendo, spiega Giovanni
Paolo II, Gesù ha espresso con il suo “sì” a Dio il “sì” e il ‘grazie’ dell’umanità
intera. La Chiesa, afferma “è chiamata a ricordare agli uomini questa grande
verità. È urgente che ciò venga fatto soprattutto nella nostra cultura
secolarizzata che respira l'oblio di Dio e coltiva la vana autosufficienza
dell'uomo”.
Infine,
lo sguardo del Pontefice si rivolge al mondo, molto spesso carente di pace e di
solidarietà. Questi due doni, dice, nascono dal cuore stesso dell’Eucaristia,
sacramento che lega in unità ogni popolazione della terra. “Il cristiano che
partecipa all'Eucaristia – si legge nella Mane nobiscum Domine - apprende
da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà, in
tutte le circostanze della vita. L'immagine lacerata del nostro mondo, che ha
iniziato il nuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della
guerra, chiama più che mai i cristiani a vivere l'Eucaristia come una
grande scuola di pace, dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di
responsabilità nella vita sociale, culturale, politica, si fanno tessitori di
dialogo e di comunione”.
**********
Giovanni Paolo II nella Lettera
Apostolica afferma che nell’Eucaristia l’aspetto che più di tutti mette alla
prova la nostra fede è il mistero della presenza “reale”. “Con
tutta la tradizione della Chiesa, noi crediamo – scrive il Papa - che, sotto le
specie eucaristiche, è realmente presente Gesù”. “Per questo la fede ci chiede
di stare davanti all'Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a
Cristo stesso”. Mistero di presenza che la teologia cattolica spiega con il
termine di “transustanziazione”.
Giovanni Peduto ne ha parlato con il cardinale Francis Arinze:
**********
R. – Il termine
“transustanziazione” è stato adottato dalla Chiesa nel Concilio Ecumenico di
Trento e significa che dopo le parole di consacrazione il pane non c’è più, ma
è il Corpo di Gesù; il vino non c’è più, non si tratta di vino benedetto, ma è
il Sangue di Gesù. E’ Gesù stesso a dirci questo. Non siamo noi ad inventarlo.
E’ Gesù, infatti, a prendere il pane, darlo ai discepoli e dire “Questo è il
mio Corpo”; poi prende il calice del vino e dice: “questo è il mio sangue,
versato per voi”. Quando Gesù disse: “Io vi darò il mio corpo come cibo; il mio
sangue come bevanda”, alcuni ebrei dicevano: ma chi può credere questo? E
andavano via. Gesù allora dice ai discepoli: volete anche voi andare via? E
Pietro risponde: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Come
se Pietro dicesse: “Signore non è che noi capiamo, ma sappiamo che tu sei il
Figlio di Dio. Tu hai le parole di vita e noi ti seguiamo sia che capiamo, sia
che non capiamo”. La fede non è un’opinione: Gesù ha detto così e allora è
cosi. Dopo la consacrazione, quindi noi adoriamo, ci prostriamo davanti a Gesù
ed è per questo che noi in Chiesa non parliamo, non conversiamo come se fossimo
in uno stadio di calcio. Noi non entriamo in Chiesa vestiti in modo trascurato,
ma siamo vestiti bene e questo perché andiamo da Gesù, Figlio di Dio. Questa è
la nostra fede e noi siamo fieri di confessarlo.
**********
Durante
la conferenza stampa per la presentazione della Lettera Apostolica del Papa
mons. Domenico Sorrentino, segretario della Congregazione per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti, ha annunciato per la prossima settimana la
pubblicazione di un sussidio dal titolo “Anno dell’Eucaristia: suggerimenti e
proposte”: il sussidio intende offrire
alle diocesi degli “spunti operativi nei vari contesti cultuali, culturali e
pastorali”. Alla conferenza stampa hanno preso parte una sessantina di persone,
tra giornalisti e religiosi.
LA RESPONSABILITA’ DEL
MINISTERO EPISCOPALE
DI GUIDA E GOVERNO DEL
POPOLO DI DIO,
INSERITO NELLA PIU’ VASTA MISSIONE DELLA
CHIESA UNIVERSALE
La responsabilità del ministero episcopale di guida e governo del Popolo
di Dio, al centro del discorso del Papa ai vescovi statunitensi della Chiesa di
New York, in visita ad Limina Apostolorum e ricevuti stamane in
Vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti:
**********
Il “potere del governo” affidato ai vescovi, “vicari e ambasciatori di Cristo”
inteso come vocazione “di servizio non di onore”, per portare beneficio agli
altri piuttosto che per dominarli. Un potere non di semplice “amministrazione”
ed “esercizio di abilità organizzative”, quanto piuttosto per costruire il
Regno di Dio. Giovanni Paolo II rivolto ai presuli americani ha ricordato loro
che la funzione del pastore non può essere isolata dalla più ampia
responsabilità per la Chiesa universale, rendendo questa capace di attingere
dalla vita e dal carisma delle Chiese locali, in uno spirituale “scambio di
doni”. Da qui l’incoraggiamento ai presuli di essere guide con l’esempio per
evangelizzare il proprio gregge santificandolo, e disponendolo a condividere la
Buona Novella con gli altri. “Favorite la comunione tra loro – ha raccomandato
il Papa – per prepararli alla missione della Chiesa”. “Incoraggiando i vostri
popoli - ha aggiunto il Santo Padre - ad approfondire la loro fedeltà al
Magistero e la loro unione nella mente e nel cuore con il Successore di Pietro,
voi offrirete loro la guida ispiratrice necessaria a condurli avanti nel terzo
Millennio.” Non può esserci, infatti, unità di pratica senza un consenso
sotteso e questo naturalmente può essere ottenuto attraverso il dialogo franco,
e discussioni informate, basate su solidi principi teologici e pastorali.
Giovanni Paolo II ha quindi espresso apprezzamento per l’impegno dei
presuli statunitensi nel campo della difesa della vita, dell’educazione e della
pace, e li ha esortati a porre ancora attenzione particolare ad alcuni temi
come “il declino nella presenza a Messa e nel ricorso ai sacramenti della Riconciliazione,
le minacce al matrimonio e le necessità religiose degli immigrati”.
**********
NEL MESSAGGIO ALLE SETTIMANE SOCIALI, IN CORSO A BOLOGNA,
IL PAPA INVITA I
CATTOLICI A PARTECIPARE ALLA VITA POLITICA DEL PAESE
“I cattolici sono
invitati non soltanto a impegnarsi per rendere viva e dinamica la società
civile” ma anche a “riconsiderare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici
e istituzionali, in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive
significative e in quello della politica, intesa nel senso alto del termine”.
Lo afferma Giovanni Paolo II nel messaggio inviato alla 44.ma Settimana Sociale
dei cattolici italiani in corso di svolgimento a Bologna. Il servizio di
Stefano Andrini:
***********
“In Italia” afferma il Santo
Padre “la democrazia e la libertà politica appaiono ormai felicemente
consolidate”. “A nessuno sfuggono però i rischi e le minacce che, per un
autentico assetto democratico, possono derivare da certe correnti filosofiche,
visioni antropologiche e concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici”
come ad esempio “la tendenza a ritenere che il relativismo sia l’atteggiamento
di pensiero meglio rispondente alla forme politiche democratiche, come se la
conoscenza della verità e l’adesione ad essa costituissero un impedimento”. “Se
l’azione politica” scrive ancora il Papa “ non si confronta con una superiore
istanza etica, illuminata a sua volta da una visione integrale dell'uomo e
della società, finisce per essere asservita a fini inadeguati, se non illeciti.
La verità, invece, è il miglior antidoto contro i fanatismi ideologici”.
Introducendo i lavori della
Settimana sociale il cardinal Camillo Ruini, presidente della CEI si è
soffermato sul ruolo che i cattolici possono svolgere nella società italiana. “L’apporto primario dei cattolici
alla democrazia” ha affermato il cardinale “riguarda la trascendenza del
soggetto umano che oggi è da “rimotivare” all’interno della cultura attuale e
degli interrogativi radicali che essa ha aperto”.
Nella prolusione inaugurale Francesco Paolo Casavola, presidente
dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana ha affermato che “se la democrazia
saprà dimostrare di essere la forma politica di organizzazione del mondo
ispirata a preservare i valori della vita, della cultura e della coscienza
dell’uomo, forse alla generazione vivente sarà lecito nutrire ancora grandi
speranze”.
Nella seconda giornata di lavori il cardinal Renato Martino, presidente
del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha annunciato che il 25
ottobre sarà reso pubblico l’atteso Compendio
della dottrina sociale della Chiesa.
Si tratta ha affermato il cardinal Martino di “uno strumento
indispensabile per annunciare e attualizzare il Vangelo nella complessa rete
delle relazioni sociali” ma anche “per il
discernimento morale e pastorale dei complessi eventi che caratterizzano i
nostri tempi”. Esso è diviso in tre parti, che trattano dei fondamenti, dei
contenuti e delle prospettive pastorali, offrendo un quadro complessivo delle
linee fondamentali dell’insegnamento sociale cattolico. Il porporato ha poi
proposto di promuovere le Settimane Sociali dei Cattolici Europei in
considerazione dell’importanza che ha assunto il processo di unificazione. La
prima tavola rotonda è stata invece dedicata al rapporto tra scienza e
tecnologia.
Da Bologna per la Radio
Vaticana, Stefano Andrini.
**********
ALTRE UDIENZE
Nel corso
della mattina il Papa ha ricevuto in successive udienze mons. Friedhelm Hofmann, vescovo di
Wurzburg in Germania; l’arcivescovo Andrés Carrascosa
Coso, nunzio apostolico nella Repubblica del Congo
e in Gabon, con i familiari; il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina è aperta dalla Lettera Apostolica
“Mane Nobiscum Domine” di Giovanni Paolo II all’episcopato, al clero e ai
fedeli per l’Anno dell’Eucaristia.
“Consentite alla Chiesa Universale di attingere a
vita e carismi della Chiesa locale per un reciproco arricchimento”, è il
messaggio rivolto dal Papa ai vescovi statunitensi in visita “ad Limina”.
“L’azione politica deve confrontarsi con una
superiore istanza etica illuminata da una visione integrale dell’uomo e della
società”, è il messaggio del Pontefice ai partecipanti alla 44.ma Settimana
Sociale dei Cattolici Italiani.
Il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, ha
conferito l’ordinazione episcopale a mons. Andrés Carrascosa Coso, nunzio
apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon.
Egitto: strage di turisti israeliani nel Sinai, tre
bombe in località balneari provocano decine di morti e di feriti.
Nelle pagine vaticane, il servizio del nostro
inviato Piero Amici sulla prima giornata della 44.ma Settimana Sociale dei
Cattolici Italiani.
Il convegno a Kigali, in Rwanda, nell’ambito dello
“scambio fraterno” con la diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca.
Nelle pagine estere, Iraq: raid
USA a Falluja contro gli uomini di Al Zarqawi provoca la morte di undici
persone. UNICEF: secondo il Rapporto annuale, undici milioni di bambini uccisi
ogni anno da ingiustizie e discriminazioni. Afghanistan: attacco a base
statunitense alla vigilia delle presidenziali. Sudan: Khartoum annuncia il
ritorno a casa di oltre 200 mila sfollati del Darfur.
Nella pagina culturale, un
articolo di Felice Accrocca su “San Francesco, le armi e la guerra”.
Nelle pagine italiane, i temi
delle riforme, della giustizia, della Finanziaria. Aerei: radar guasti a Linate
e nebbia a Fiumicino, pesanti disagi in tutto il Paese.
=======ooo=======
8
ottobre 2004
DIFENDERE L’AMBIENTE PER
COSTRUIRE LA PACE:
IL NOBEL ALLA KENIANA
WANGARI MAATHAI,
FONDATRICE DELL’ASSOCIAZIONE
“GREEN BELT”
- Con noi, padre Giulio Albanese
ed Antonio Gaspari -
Per la prima volta nella storia, il premio Nobel per la pace è stato
assegnato oggi ad una donna africana. È la keniana Wangari Maathai, biologa
impegnata nella difesa dei diritti umani, fondatrice nel 1977 dell’associazione
ambientalista “Green belt”, “cintura verde”, che ha piantato oltre 30 milioni
di alberi in Africa per lottare contro la desertificazione. Roberto Piermarini
ha intervistato padre Giulio Albanese, fondatore dell’agenzia missionaria
Misna, che l’ha conosciuta a Nairobi:
**********
R. – Wangari Maathai sicuramente
è una donna che ha colto l’importanza di questo tema proprio in rapporto al
futuro sostenibile dell’Africa; è una donna che ha colto anche lo stretto
rapporto che c’è tra la questione ambientale e il rispetto dei diritti umani,
quindi non si può parlare di rispetto dell’habitat se non si tiene conto
soprattutto del valore e della sacralità della persona. A questo riguardo
vorrei citare un aneddoto. Alcuni anni fa, quando la incontrai, mi disse che
uno dei grandi paradossi del suo Paese, il Kenya, appunto, è il fatto che molta
gente è reclusa nelle baraccopoli: non dimentichiamo che una città come
Nairobi, la capitale, ha centinaia di questi agglomerati dove la gente vive in
condizioni subumane. Ebbene, lei diceva: “Nel nostro Paese, molta gente è
costretta a vivere nelle gabbie come bestie, nelle baraccopoli ... poi, abbiamo
animali che sono liberi di scorrazzare a destra e a manca nei grandi safari”.
Ecco, importante è capire e comprendere che se vogliamo affrontare la questione
ambientale dobbiamo cogliere l’armonia del rapporto tra persona e ambiente.
D. – Maathai è stata anche
un’esponente dell’opposizione nel regime di Arap Moi. Ecco, possiamo leggere in
questo Nobel per la Pace anche una motivazione politica?
R. – Sicuramente è una donna che
è sempre stata attenta alla questione dei diritti umani, dunque una donna che
ha sempre sostenuto a denti stretti la democrazia. Ha sempre creduto nel
dibattito politico e devo dire che, in questo senso, è sicuramente una figura
illuminata.
D. – Si tratta poi della prima
donna africana a ricevere questo ambito riconoscimento ...
R. – C’è da considerare che in
Africa è molto, molto importante rivalutare il ruolo delle donne che giocano,
peraltro, un ruolo strategico nella società, da tutti i punti di vista. Il
fatto che vi sia stato questo riconoscimento a livello internazionale credo che
sia un grande tributo a quello che le donne africane fanno nei confronti della res
pubblica, del bene comune, in un continente sappiamo straziato da tante
sofferenze.
**********
La causa ecologista – ha sottolineato la stessa Wangari Maathai, nelle
sue prime dichiarazioni alla tv norvegese – è “un aspetto importante della
pace, perché, mentre le risorse diminuiscono, noi ci battiamo per
appropriarcene”. Proprio sul legame tra la difesa dell’ambiente e l’impegno per
la pace, Andrea Sarubbi ha intervistato Antonio Gaspari, direttore del Master
in scienze ambientali del Pontificio ateneo Regina apostolorum:
**********
R. – C’è un legame molto
stretto, nel senso che anche nell’interpretazione cristiana è il peccato
dell’uomo che rovina l’ambiente, e ovviamente invece tutto quello che l’uomo
riesce a fare in termini di sviluppo del creato, questo contribuisce alla pace.
D. – Il fatto che il Nobel per
la Pace sia andato non solo ad un’ecologista, ma ad un’ecologista africana, che
segnale è per l’Africa?
R. – Il segnale è fortissimo!
L’Africa è il continente – dal punto di vista delle risorse – più ricco del
Paese: in Africa c’è il 60 per cento del petrolio, l’80 per cento dell’oro, i
diamanti, non c’è minerale che non ci sia in Africa! Ma è il continente, anche,
con la più bassa densità demografica del pianeta ed anche quello più travolto
da conflitti interni, da malattie, da epidemie, da siccità ... Credo che il 70
per cento della popolazione che soffre la fame e che vive con meno di un
dollaro al giorno, stia in Africa. Quindi, conferire un Premio Nobel per la
Pace ad un’africana con l’intenzione – spero! – di indicare una riscossa di
questo continente, soprattutto da un punto di vista umano, secondo me è un
segnale molto bello e positivo!
**********
DOMANI LE PRIME ELEZIONI DEMOCRATICHE IN
AFGHANISTAN.
OLTRE DIECI MILIONI DI PERSONE SONO CHIAMATE
AL VOTO PER ELEGGERE IL NUOVO CAPO DI STATO.
IL FAVORITO È L’ATTUALE PRESIDENTE AD INTERIM HAMID
KARZAI
- Intervista con Alberto Negri -
In Afghanistan oltre 10 milioni
di persone sono chiamate domani all’appuntamento con le urne per le elezioni
presidenziali. Si tratta della prima consultazione libera e democratica nella
storia del Paese. I candidati sono 18 ed il favorito è l’attuale presidente ad
interim, Hamid Karzai, che ha l’appoggio dell’etnia Pashtun. Sui recenti
sviluppi storici in Afghanistan e sul significato di queste elezioni,
organizzate dalle Nazioni Unite, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:
**********
Situato in una posizione
strategica dell’Asia centrale, l’Afghanistan ha sempre pagato a caro prezzo la
sua condizione di Stato cuscinetto: conflitti ed occupazioni, la cruenta guerra
civile che seguì il ritiro dell’armata russa nel 1989 e l’ascesa del movimento
dei Talebani, provenienti dalle scuole coraniche sunnite del Pakistan, hanno
caratterizzato la recente storia del Paese. Uno Stato segnato dall’inquietante
legame tra il regime dei Talebani e la rete terroristica di Al Qaeda,
responsabile di una sanguinosa campagna antiamericana. Il culmine di questa serie di azioni contro gli
Stati Uniti viene raggiunto la mattina dell’11 settembre 2001 con i drammatici attacchi alle Torri
gemelle. La reazione americana e degli alleati è decisa: dopo mesi di
bombardamenti, viene deposto il regime del Mullah Omar
e dei Talebani, accusati di nascondere in Afghanistan il leader di Al Qaeda,
Osama Bin Laden.
Ora
il Paese è chiamato, per la prima volta, all’elezione diretta del presidente.
Il principale antagonista del superfavorito Karzai è l’ex ministro
dell’educazione, Yunus Qanuni, che tre anni fa ha sostenuto le truppe statunitensi
nella cacciata dei Talebani. L’esito della consultazione, che si svolgerà sotto
la protezione di circa 30 mila soldati stranieri, si conoscerà tra due
settimane. La popolazione afghana, circa 25 milioni di persone delle quali il
70 per cento analfabete, è chiamata ad esprimere un voto che potrebbe avere
importanti ripercussioni mondiali. Il risultato che uscirà dagli
oltre cinquemila distretti elettorali sparsi tra i deserti ricchi di petrolio,
tra le verdissime montagne del nord e tra le catene montuose del sud precederà
infatti quello delle presidenziali del prossimo 2 novembre negli Stati Uniti e
delle elezioni previste in Iraq a gennaio. E come l’Iraq anche l’Afghanistan ha
problemi di sicurezza. La vigilia della consultazione, che si terrà alla presenza
di 300 osservatori internazionali è stata caratterizzata dalle violenze: nelle
ultime 24 ore sono stati sparati in diverse aree del Paese, senza causare
vittime, una ventina di razzi. Due di questi sono
caduti nei pressi della sede del comando americano della forza militare
multinazionale, a poche centinaia di metri dall’ambasciata americana a Kabul.
**********
Ma qual
è la mobilitazione nel Paese, soprattutto fuori Kabul e le grandi città? Risponde
l’inviato del ‘Sole 24 Ore’ in Afghanistan, Alberto Negri, intervistato da
Giada Aquilino:
**********
R. -
A Kabul una buona parte della popolazione è mobilitata per le elezioni di
domani e soprattutto lo sono le minoranze che, dopo decenni in cui non hanno
potuto esprimere la loro opinione, vedono nelle elezioni un’occasione per
riaffermare la loro presenza e la loro identità. Fuori da Kabul, la situazione
è molto più difficile perché il Paese è controllato dai “signori della guerra”,
dai capi clan, dalle tribù. Ci sono poi anche le incognite dovute alle minacce
dei Taleban in alcune zone del sud e del sud-est, dominate dall’etnia Pashtun:
si dice addirittura che forse non si voterà soltanto domani, ma le urne in
alcune zone potrebbero restare aperte anche il giorno successivo.
D. –
La popolazione afghana è in maggioranza analfabeta e molte donne, nascoste dal
loro burqa, hanno già detto non sapere nulla di queste elezioni. Allora che
voto sarà?
R. –
Certamente sarà un voto dimezzato. Non può essere altrimenti in un Paese dove
c’è un tasso di analfabetismo altissimo, siamo al 60-70 per cento e la cifra
sale ancora di più se ci si riferisce alla popolazione femminile. Dobbiamo
ricordare che durante l’epoca talebana ed i vent’anni di guerra civile, in
questo Paese molto spesso le scuole sono rimaste chiuse ed intere generazioni
sono state “perdute”. In ogni caso, anche se dimezzato, anche se influenzato
pesantemente dalle divisioni etniche e dalle minacce dei “signori della guerra”
e dei capi clan, questo voto è comunque un riscatto per un Paese che ha visto
quasi sempre risolvere i suoi problemi con la canna del fucile.
D.-
Questo in Afghanistan è un voto che potrebbe avere ripercussioni sulle presidenziali
di novembre negli Stati Uniti. Ma potrà essere anche una prova generale per le
consultazioni di gennaio in Iraq?
R. –
Io non credo che questo voto in Afghanistan avrà influenze sulla situazione
irachena. Si tratta di due realtà molto differenti per quanto riguarda la
presenza internazionale. Se è vero che qui c’è un contingente americano di 18
mila uomini ed uno della forza multinazionale di 9 mila e c’è un presidente -
Karzai, che verrà probabilmente riconfermato dalle urne - che è fortemente
sostenuto dagli americani, è anche vero comunque che non c’è la stessa presenza
che si sente in Iraq. Nel Paese del Golfo le forze americane sono percepite
come forze di occupazione. Qui in Afghanistan gli statunitensi sono invece
visti come ospiti, che si spera – dicono i locali – se ne vadano via al più
presto. La situazione, a mio avviso, è dunque completamente diversa.
**********
=======ooo=======
8
ottobre 2004
IL MONDO NON RIESCE A PRENDERSI CURA DEL PROPRIO
FUTURO.
SECONDO L’ULTIMO RAPPORTO DELL’UNICEF, OGNI ANNO
11 MILIONI DI BAMBINI
AL DI SOTTO DEI 5 ANNI MUOIONO PER CAUSE
EVITABILI. ANCORA LONTANO L’OBIETTIVO DEL MILLENNIO DI RIDURRE
DI DUE TERZI LA MORTALITA’ INFANTILE ENTRO IL 2015
GINEVRA. = Un bambino su 12 nel
mondo non raggiunge i cinque anni. E’ la denuncia contenuta nel rapporto
“Progresso per l’infanzia”, presentato ieri dall’Unicef. “Il diritto alla vita
di un bambino – ha detto la direttrice generale dell’organizzazione
internazionale, Carol Bellamy – è il primo criterio di uguaglianza, di
possibilità di avvenire e di libertà”. Ma tale diritto è spesso violato e la
comunità internazionale non sta rispettando l’impegno di ridurre i tassi di
mortalità infantile. Senza interventi drastici, infatti, il mondo non manterrà
la promessa fatta nel 2002 di ridurre il tasso di mortalità infantile di due
terzi entro il 2015. I progressi compiuti fino ad ora sono lenti e ogni anno –
afferma l’Unicef – circa 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni
muoiono per cause evitabili. “In un’epoca dove la tecnologia e la medicina
accumulano successi sorprendenti – ha sottolineato Bellamy – è inaccettabile che la sopravvivenza dei
bambini, in particolare quelli che sono poveri ed emarginati, sia ancora così
fragile”. Il divario tra nord e sud del
mondo è immenso. Nei Paesi industrializzati, secondo le statistiche rese note
nel rapporto, un bambino su 143 muore prima di cinque anni, in Africa
subsahariana ne muore uno su sei, nel sud Asia un bambino su dieci e in America
latina uno su 29. Nella graduatoria generale, la Sierra Leone continua a
registrare il tasso di mortalità infantile più alto al mondo – oltre un bambino
su quattro muore prima dei cinque anni – mentre i Paesi scandinavi registrano i
tassi più bassi. Malnutrizione, mancanza di acqua potabile e di installazioni
sanitarie sono le cause di circa metà dei decessi, ma i bambini muoiono anche
di infezioni respiratorie acute (18%), diarrea (15%), malaria (10%) e morbillo
(5%), mentre condizioni inadeguate durante il parto causano ancora il 23% dei
decessi. L’Aids resta una delle principali cause di mortalità infantile,
soprattutto nell’Africa subsahariana. Altri fattori: i conflitti armati e
l’instabilità sociale, come in Iraq e in Afghanistan. (B.C.)
NONOSTANTE
LE RIFORME DEL PRESIDENTE KHATAMI, RIFERISCE UN REPORTAGE
DEL
CATHOLIC NEWS SERVICE, LA PICCOLA COMUNITA’ CONTINUA
AD
ESSERE OGGETTO DI DISCRIMINAZIONI
TEHERAN. = Nonostante la
situazione sia migliorata rispetto ai primi anni della rivoluzione khomeinista,
per la piccolissima comunità cattolica iraniana, come per le altre minoranze
religiose in Iran, la vita continua ad essere difficile. Lo rileva Cindy
Wooden, corrispondente del Catholic News Service, in un lungo reportage sulla
situazione religiosa nella Repubblica islamica, che ha visitato lo scorso settembre.
Durante il suo soggiorno, la giornalista statunitense ha avuto modo di
intervistare diversi esponenti religiosi, compresi alcuni sacerdoti cattolici.
Nessun vescovo locale, invece, ha accettato di rilasciare interviste. Da queste
conversazioni, e da altre interviste realizzate a Roma, è emersa l’impressione
che sebbene la comunità cattolica iraniana abbia beneficiato delle riforme del
presidente Khatami, sia ancora oggetto di discriminazioni, soprattutto sul
posto di lavoro e nelle università e preferisca mantenere un basso profilo.
“Siamo sopravvissuti grazie alla nostra discrezione”, ha spiegato uno degli
intervistati. L’esercizio del culto in Iran è ammesso solo in privato, mentre
le attività catechistiche nelle parrocchie devono essere svolte con estrema
discrezione, per evitare l’accusa di proselitismo, rigidamente vietato nel
Paese. La Chiesa cattolica gestisce attualmente tre scuole (contro le 32 esistenti
prima del 1979), che devono, comunque, attenersi all’obbligo di insegnare anche
i fondamenti dell’Islam agli studenti. I dati ufficiali dell’Annuario
Pontificio parlano di 25 mila cattolici (latini, caldei e armeni), ma in realtà
sarebbero molti di meno, forse circa 10 mila, su una popolazione di 69 milioni
di abitanti. Quando possono emigrano, come conferma il recente rapporto annuale
del Dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa nel mondo. (L.Z.)
C’E’ L’URGENZA DI CONVOCARE UN’ASSEMBLEA DEL POPOLO PER DISCUTERE
CONCRETAMENTE SUL FUTURO
DEL PAESE. NE E’ CONVINTA LA CONFERENZA EPISCOPALE DI HAITI, CHE IN UN
MESSAGGIO DENUNCIA UN DILAGANTE INDIVIDUALISMO E UNA LENTA EVOLUZIONE
SOCIO-ECONOMICA
PORT-AU-PRINCE.
= Il cittadino haitiano “ha perso la fiducia in se
stesso”, a causa “della menzogna, dello sfruttamento e della corruzione, di cui
è sempre stato vittima”. Questo contesto, inoltre, “ha contribuito a creare una
particolare mentalità di ricerca del profitto immediato, caratterizzata
dall’individualismo e dall’aggressività gestuale e verbale”. Questa, in
sintesi, la denuncia della Conferenza episcopale haitiana, contenuta nel messaggio
“Fare strada insieme al popolo”. Il documento, redatto a conclusione
dell’Assemblea plenaria dei presuli, invoca, inoltre, la convocazione di
“assemblea del popolo”, composta da esponenti di tutte le classi sociali e
delle categorie professionali, per parlare del futuro del Paese ed “edificare
una società e una civiltà di pace e di amore”. Alle origini di quello che è
definito “un sotto-sviluppo cronico” della società haitiana, i presuli individuano
“i ritardi socio-economici registrati nel Paese durante tutta la sua storia,
l’instabilità politica, l’intolleranza e l’antagonismo delle classi sociali e
dei partiti, che hanno provocato l’ingerenza di forze politiche straniere,
mettendo la popolazione sotto la tutela dell’occupazione militare”. Secondo i
vescovi, il consiglio elettorale provvisorio deve anche procedere
nell’organizzazione delle nuove elezioni, previste entro il 2005, “senza lasciarsi
influenzare da pressioni interne o esterne”. (B.C.)
RESTA DRAMMATICA LA
SITUAZIONE IN MEDIO ORIENTE.
SECONDO UN’INDAGINE DEL
‘PALESTINIAN CENTRAL BUREAU OF STATISTICS’,
NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI, DOPO L’ESPLOSIONE DELLA
SECONDA INTIFADA,
I BILANCI FAMILIARI
PALESTINESI SI SONO DIMEZZATI
GERUSALEMME.
= Il reddito di circa 226.000 famiglie palestinesi sarebbe calato di oltre il
50 per cento, mentre il 22,6 per cento dei nuclei familiari residenti nella
Striscia di Gaza soffre condizioni di vita critiche. E’ quanto rivela un
recente studio condotto dall’Ufficio statistico centrale palestinese (Palestinian
Central Bureau of Statistics – Pcbs) e commentato con parole di amarezza dalla
Caritas di Gerusalemme. “Il popolo palestinese – si legge in un comunicato
dell’istituzione cattolica – è sempre più nell’abisso della povertà e della
disperazione”. Nel rapporto, il Pcbs passa in rassegna alcune voci fondamentali
del bilancio familiare dei nuclei palestinesi e sottolinea come il
peggioramento complessivo della condizione di centinaia di
migliaia di persone sia stato provocato dalle misure adottate dal governo
israeliano. Da quanto si apprende dalle circa 20 pagine del documento, negli
ultimi quattro anni, prima dell’esplosione della seconda Intifada, il reddito
medio dei Territori palestinesi è sceso dai 2.500 nis (circa 705 euro) a 1.600
nis (pari a circa 290 euro). La riduzione, tuttavia, varia da regione a
regione, per cui si è passati da 847 a 360 euro al mese della Cisgiordania ai
215 euro (invece di 423) delle famiglie residenti nella Striscia. Sempre
secondo la ricerca dell’Ufficio centrale di statistica, il 58,2 per cento della
popolazione nei Territori occupati ha ridotto il consumo di beni primari. Per
quanto riguarda gli aiuti umanitari, infine, dai quali la popolazione palestinese
continua a essere largamente dipendente, il 13,1 per cento del campione ha
dichiarato di non aver ricevuto più di 100 nis (circa 28 euro), il 39,5 per
cento di aver avuto meno di 200 nis e il 58,2 per cento meno di 300 nis. (B.C.)
LA
RIFORMA DEL “CODICE DELLA FAMIGLIA” ALGERINO: UN SEGNALE
PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DELLA
DONNA. L’ATTENZIONE SI
SPOSTA
ORA SUL DIBATTITO PARLAMENTARE
ALGERI.
= Passa all’esame del Consiglio dei ministri algerino un disegno di legge che
prevede la riforma del “Codice della famiglia”. In vigore dal 1984, le
associazioni femministe lo hanno ribattezzato il “codice dell’infamia”,
affermando che traduce in norma la negazione dei diritti della donna, minando
le fondamenta dell’istituzione familiare. La donna, secondo le associazioni,
diventa proprietà legale dell’uomo attraverso il matrimonio ed è costretta,
istituzionalmente, nel silenzio e nella sottomissione, a subire ogni tipo di
violenza. Un rapporto, redatto in aprile e reso noto il 20 settembre dal
quotidiano algerino “Quotidian d’Oren”, aveva fatto luce sulla violenza
quotidiana subita dalle donne, concludendo che solo “una rivoluzione culturale”
della società algerina avrebbe permesso di porre fine al degrado della
condizione femminile. L’azione di revisione del codice, fin dalle prime
battute, ha riscontrato una forte contestazione da parte degli islamici
radicali. L’impegno da parte dell’ex marito, in caso di divorzio, a fornire un
alloggio e l’abolizione della tutela matrimoniale che obbliga la donna ad avere
un tutore per contrarre il matrimonio, rappresentano condizioni maggiormente
favorevoli per l’evoluzione della condizione femminile. Tuttavia, la poligamia
resterà formalmente in vigore, pur dipendendo dall’autorizzazione di un tribunale.
(E.B.)
IL DALAI LAMA CHIEDE ALLE AUTORITA’ CINESI
UN’AUTONOMIA EFFETTIVA
PER IL TIBET,
MA SOTTOLINEA: “NON CERCHIAMO L’INDIPENDENZA”
CITTA’ DEL MESSICO. = La Cina
deve concedere un’autonomia “autentica” al Tibet. Lo ha dichiarato il Dalai
Lama, in questi giorni in Messico, sottolineando che si tratta di un diritto
garantito dalla Costituzione. Tuttavia, “nei regimi totalitari – ha
riconosciuto il leader spirituale buddista – c’è sempre uno scarto fra ciò che
è scritto e ciò che succede nella realtà”. “Deve essere chiaro, comunque, che non cerchiamo l’indipendenza”,
ha concluso il Dalai Lama, ma solo un’autonomia “maggiore” per il Tibet. Nelle
scorse settimane, una delegazione di rappresentanti tibetani ha trascorso due
settimane in Cina. Attualmente, tuttavia, non è ancora noto il contenuto dei
colloqui con le autorità cinesi. (E.B.)
IL
RUOLO DELL’INTERPOL NELLA LOTTA AL TERRORISMO AL CENTRO
DELL’ASSEMBLEA
GENERALE DELLA POLIZIA CRIMINALE INTERNAZIONALE.
AL
VERTICE DI CANCUN, IN MESSICO, PARTECIPANO RAPPRESENTANTI DI 175 PAESI
CANCUN.
= Il terrorismo e la sicurezza nazionale sono stati i temi al centro della
73.ma Assemblea generale dell’Interpol, la polizia criminale internazionale, a
Cancun, in Messico. Centosettantacinque le delegazioni di tutti i continenti
presenti ai lavori, che si concludono oggi. “Il terrorismo è la principale
minaccia globale – ha dichiarato il presidente dell’Interpol, lo spagnolo Jesus
Espigares – e il mondo deve utilizzare ogni mezzo per contrastarlo, senza
sottovalutare il ruolo dell’Interpol”. “L’Interpol è indispensabile e non deve
essere sottovalutatata”, ha aggiunto Espigares, secondo il quale “di fronte
alla minaccia del terrorismo si devono ridurre le aree di impunità degli
attentatori”. Il segretario generale dell’Interpol, lo statunitense Ronald K.
Noble, ha, inoltre, invitato gli Stati membri “ad una maggiore collaborazione”.
Noble ha rivelato che “negli ultimi tre anni” l’Interpol ha sventato attentati
“contro un centinaio di obiettivi in tutto il mondo”. Nell’agenda del vertice
di Cancun anche: lotta al narcotraffico e alla tratta di esseri umani;
cooperazione nella ricerca dei latitanti e repressione della criminalità
economica e finanziaria ad alta tecnologia. (R.G.)
=======ooo=======
8 ottobre 2004
- A cura di Alessandro Gisotti -
Israele
ancora tragicamente colpito dal terrorismo: questa volta, fuori dai confini
nazionali. Sono almeno 31 i morti, e decine i feriti, a seguito di tre attentati
kamikaze, che, nella notte, hanno preso di mira tre luoghi turistici nella
penisola egiziana del Sinai: l’hotel Hilton a Taba e due campeggi nella
località di Rash Shitan. Tutti frequentati tradizionalmente da cittadini
israeliani. Durissima la condanna della comunità internazionale, mentre un
gruppo islamico, finora sconosciuto - “Le Brigate islamiche dell'unificazione”
- ha rivendicato l’attentato. Tuttavia, secondo il premier israeliano Sharon,
che ha convocato una riunione d’emergenza del governo, dietro la strage ci
sarebbe la mano di Al Qaeda. Opinione condivisa anche da Guido Olimpio, esperto
di terrorismo del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:
**********
R. – Ritengo che la matrice sia
quella che riconduce ad Al Qaeda. Il gruppo che ha rivendicato l’attentato è
sconosciuto del tutto, quindi non è probante la loro rivendicazione. Del resto
Al Qaeda e gruppi vicini hanno già colpito Israele in passato. Non bisogna mai
dimenticare che Al Qaeda cerca sempre di fare quello che promette. Pochi giorni
fa il numero due di Al Qaeda ha promesso azioni contro Israele e gli Stati
Uniti su scala globale. E’ stato Zawahiri, il numero due. Poi vediamo che gli
attacchi avvengono.
D. – La tecnica dell’attentato
cosa fa pensare?
R. – Certamente fa pensare primo
ad una grande organizzazione in un Paese dove c’è uno Stato di Polizia, che è
l’Egitto. Quindi, la capacità di infiltrarsi, di colpire a distanza nello
stesso momento. Quindi un attacco multiplo, con grande forza.
D. – Perché colpire proprio
Taba?
R. – Purtroppo racchiude tutti i
simboli che si vogliono cercare. Primo, è un simbolo del turismo. A Taba vanno
molti israeliani e molti occidentali. Secondo, è un posto storico. Nell’albergo
Hilton si sono fatte moltissime trattative legate al negoziato di pace
israelo-palestinese, ormai defunto. Terzo, Taba è in Egitto e l’Egitto è uno
dei Paesi alleati degli americani. L’Egitto, poi, è un paese importantissimo, è
nei negoziati con Isreale, è sulla scena mediorientale. E’ un elemento di
stabilizzazione. Quindi, si colpisce l’economia egiziana che vive soprattutto
di turismo, quindi favorire tensioni sociali.
**********
In Iraq,
è di 10 morti e 16 feriti il nuovo bilancio del raid americano effettuato
stanotte su Falluja, roccaforte dei ribelli sunniti dove si nasconderebbe il
terrorista al Zarqawi. Secondo fonti locali, il raid avrebbe colpito i
partecipanti ad una festa di nozze. Intanto, secondo la Tv di Abu Dhabi sarebbe
stato ucciso l’ostaggio inglese Ken Bigley, in mano ad un gruppo terroristico.
Una notizia di pochi minuti fa, sulla quale ci riferisce Alessandro Gisotti:
**********
Ken
Bigley è stato ucciso. E’ questa la terribile notizia diffusa poco fa dalla Tv
araba di Abu Dhabi, che cita “fonti informate in Iraq”. Il britannico 62 enne
Bigley era stato sequestrato il 16 settembre scorso dal gruppo “Monoteismo e
guerra santa” assieme a due americani decapitati poco dopo il rapimento. I suoi
appelli al premier Tony Blair hanno scosso la comunità internazionale. Il
ministero degli Esteri britannico, ha riferito un portavoce, sta indagando
sulla notizia diramata dalla tv di Abu Dhabi. Ma proprio poco fa anche la tv
inglese Sky News - citando fonti del governo britannico - ha confermato
l’uccisione di Ken Bigley. Sempre sul terreno, a Nassirya due soldati italiani
sono stati feriti per errore da colpi di arma da fuoco di una pattuglia rumena.
Intanto, si registrano delle novità sul piano politico e diplomatico: il
governo transitorio iracheno ha accolto con soddisfazione un’offerta di disarmo
delle milizie avanzata dal leader radicale sciita al Sadr. Intanto, il
pachistano Ashraf Jehangir Qazi, inviato speciale per l'Iraq del segretario
generale dell’Onu, è tornato a Baghdad per riprendere i contatti con i leader
politici iracheni. Qazi, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite, Fred
Eckhard si incontrerà con le personalità del governo locale e i diplomatici
stranieri, “per vedere come l’ONU possa aiutare al meglio il processo di
transizione”. E la crisi irachena sta infiammando il dibattito politico
americano, a tre settimane dalle elezioni presidenziali. Botta e risposta,
ieri, tra il presidente Bush e lo sfidante Kerry dopo che il rapporto della CIA
ha confermato che Saddam Hussein non possedeva armi di distruzione di massa
all’epoca della guerra in Iraq. Bush ha ribadito di avere preso “la decisione
giusta” perché il rapporto afferma comunque che Saddam era pronto a riprendere
i programmi di produzione di armi di sterminio “appena il mondo si fosse
voltato dall’altra parte”. Kerry, dal canto suo, ha affermato che il rapporto
della CIA “è la prova definitiva che Bush non dovrebbe essere rieletto”. Oggi,
intanto, il comitato militare della Nato ha approvato un piano generale per la
missione di addestramento delle nuove forze armate irachene.
**********
Attentato
terroristico a Parigi, dove un’esplosione ha colpito poco prima dell'alba l'esterno
dell’ambasciata indonesiana, provocando il ferimento lieve di una decina di
persone. La deflagrazione – ha dichiarato il prefetto della polizia parigina -
è stata causata da una bomba di medie dimensioni. L’attentato ha causato
ingenti danni materiali e devastato le finestre degli edifici vicini del
quartiere, nella parte occidentale della città. Michel Barnier, ministro degli
Esteri francese, ha affermato che “nessuno è al riparo” dal terrorismo. A
Parigi, sono state rafforzate le misure di sicurezza.
Giro di
vite dell’Unione europea nei confronti del Myanmar, l’ex Birmania, per le ripetute
violazioni dei diritti e libertà fondamentali. I ministri degli Esteri
dell’Unione saranno chiamati probabilmente lunedì prossimo - nella riunione in
programma a Lussemburgo - ad adottare nuove sanzioni nei confronti del Paese
asiatico. Lo ha annunciato oggi la presidenza olandese dell'Unione europea
aggiungendo come sia “chiaro che in materia di diritti umani la situazione nel
Myanmar non è affatto migliorata”.
Una nuova era di “amicizia e
collaborazione” tra Italia e Libia. E’ questo in sintesi il risultato
dell’incontro di ieri a Tripoli tra Berlusconi e Gheddafi. I due leader hanno
inaugurato un gasdotto “in un luogo che una volta - ha detto Gheddafi - è stato
campo di vendette e di battaglia, con l'obiettivo di fare del Mediterraneo un
mare di pace”. Berlusconi ha chiesto a Gheddafi di consentire il rientro degli
italiani, che nel 1970 furono espulsi e privati dei loro beni. Impegno che il
colonnello ha sostanzialmente preso, riconoscendo il “grande impegno” di Roma
per l'abolizione dell'embargo internazionale contro la Libia.
Impennata per i prezzi del
petrolio, che in fine mattinata hanno interrotto la discesa e hanno ripreso a
salire sui timori che le scorte per l'inverno siano scarse. All'Ipe di Londra
il Brent (il greggio del Mare del Nord) è arrivato a un passo dai 50 dollari al
barile, al prezzo record di 49,30 dollari.
Tre delle cinque
persone fermate martedì dalla Guardia civile spagnola, nei Paesi Baschi e in
Navarra, con l’accusa di essere legati all’organizzazione terroristica ETA,
sono state rilasciate questa mattina. I cinque arresti, rientrano nel quadro
dell'operazione coordinata dalla polizia francese e spagnola che, domenica
scorsa, aveva portato alla cattura di 21 presunti terroristi, nel sud della Francia,
tra cui uno dei leader dell’ETA, “Mikel Antza”.
Almeno trenta contadini sono stati arrestati nella provincia dello
Shaanxi nella Cina settentrionale mentre protestavano per l'espropriazione
delle loro terre. Secondo fonti locali, gli arresti sono stati effettuati tra
il 3 ed il 4 ottobre, quando i contadini che avevano occupato un terreno sono
stati evacuati con la forza da 1.600 poliziotti.
=======ooo=======