RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 282 - Testo della trasmissione di venerdì 8 ottobre 2004

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Presentata la Lettera apostolica del Papa per l’Anno dell’Eucaristia che inizierà domenica 17 ottobre: Giovanni Paolo II invita a mettere al centro della propria vita il mistero eucaristico: intervista con il cardinale Francis Arinze

 

La responsabilità del ministero episcopale al centro del discorso del Papa ai vescovi statunitensi in visita ad Limina

 

Nel messaggio alle Settimane Sociali in corso a Bologna il Papa invita i cattolici a partecipare alla vita politica del Paese

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Difendere l’ambiente per costruire la pace: il Nobel alla keniana Wangari Maathai, fondatrice dell’Associazione “Green belt”: con noi padre Giulio Albanese ed Antonio Gaspari

 

Domani elezioni presidenziali in Afghanistan: intervista con Alberto Negri

 

CHIESA E SOCIETA’:

Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, ogni anno 11 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni muoiono per cause evitabili

 

Sempre difficile la situazione dei cattolici in Iran

 

La Conferenza episcopale di Haiti in un messaggio denuncia un dilagante individualismo e una lenta evoluzione socio-economica

 

Secondo un’indagine del ‘Palestinian Central Bureau of Statistics’, negli ultimi quattro anni, dopo l’esplosione della seconda Intifada, i bilanci familiari palestinesi si sono dimezzati

 

La riforma del “codice della famiglia” algerino: un segnale per il riconoscimento dei diritti della donna

 

Il Dalai Lama chiede alle autorità cinesi un’autonomia effettiva per il Tibet

 

Il ruolo dell’Interpol nella lotta al terrorismo al centro dell’Assemblea generale della polizia criminale internazionale

 

24 ORE NEL MONDO:

Terrore sul Mar Rosso: attacchi kamikaze antiisraeliani provocano la morte di 31 persone. Sharon punta l’indice contro Al Qaeda

 

Una TV araba annuncia l’uccisione dell’ostaggio inglese Bigley: Londra verifica l’attendibilità della notizia

 

Attacco terroristico all’ambasciata indonesiana a Parigi: 10 feriti, ingenti danni materiali. Rafforzate le misure di sicurezza nella capitale francese.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 ottobre 2004

 

 

PRESENTATA IN SALA STAMPA VATICANA LA LETTERA APOSTOLICA DEL PAPA

MANE NOBISCUM DOMINE, DEDICATA ALL’ANNO DELL’EUCARISTIA,

 CHE INIZIERA’ DOMENICA 17 OTTOBRE.

  IL PONTEFICE INVITA I FEDELI E PONE AL CENTRO DELLA PROPRIA VITA

IL MISTERO EUCARISTICO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

L’Eucaristia - “mistero di luce”, “sorgente di comunione” e “progetto di missione” - sia profondamente riscoperta dalla comunità cristiana universale come “cuore della domenica” e come ispiratrice di solidarietà e di pace. Si articola in cinque punti la Lettera apostolica Mane nobiscum Domine scritta da Giovanni Paolo II in occasione dell’Anno dell’Eucaristia, che inizierà domenica 17 ottobre. Presentato questa mattina in Sala stampa vaticana dal cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, il documento - dopo aver offerto una riflessione spirituale e una serie di indicazioni concrete - chiosa con queste parole del Papa: “Non chiedo che si facciano cose straordinarie”, ma che tutte le iniziative riguardanti questo Anno speciale “siano improntate a profonda interiorità”. Per conoscere il contenuto della lettera, ascoltiamo questo servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Ha una sua “icona”, l’Anno dell’Eucaristia, scrive il Papa nelle prime righe della Lettera apostolica: i discepoli di Emmaus. Entrambi avvertono il cuore via via riscaldarsi e illuminarsi alle parole dello sconosciuto Viandante che li ha affiancati, al punto da invitarlo a rimanere con loro: “Mane nobiscum domine, quoniam vesperascit”, gli dicono. “Resta con noi, Signore, che si fa sera”. Sono queste le parole che introducono la Lettera apostolica, la cui struttura segue concettualmente la progressione del celebre passo evangelico, dove l’iniziale oscurità che appesantisce l’animo dei due discepoli viene squarciata dalla luce di Cristo, e la sua sapienza e il gesto sacramentale della “frazione del pane” trasformano subito i due in annunciatori della sua Risurrezione.

 

Pur incentrandosi sulla spiegazione di un mistero che egli stesso definisce in più parti “ineffabile” e “mirabile”, il Papa tiene costantemente agganciato il piano spirituale della riflessione a quello umano e storico. Il terzo millennio, introdotto dal Grande Giubileo, è cominciato – osserva inizialmente il Pontefice – con una sequela di fatti legati “in una sorta di cruda continuità con gli eventi precedenti e spesso con quelli peggiori fra essi”. Tuttavia, giacché Cristo è, secondo le parole del Vaticano II, “il fine della storia umana”, ecco che l’oscurità del mondo viene costantemente illuminata dalla sua presenza. L’Eucaristia, afferma il Papa, è essa stessa “un mistero di luce” perché, pur nel totale nascondimento di Cristo, l’Ostia introduce il credente “nelle profondità della vita divina”. E qui, Giovanni Paolo II interviene con una primo invito alla “verifica” nelle comunità cristiane: la liturgia della Parola - che nella Messa precede, così come nel nell’episodio di Emmaus, la liturgia eucaristica - sia preparata con cura così da permettere alla Parola di Dio di toccare e illuminare la vita dell’uomo.

 

L’Eucaristia un “mistero ben celebrato”, dunque. Giovanni Paolo II lo ripete più avanti, invitando al decoro delle celebrazioni, al rispetto delle norme, all’uso di un’idonea musica liturgica, a dare il doveroso rilievo, afferma, “ai momenti di silenzio sia nella celebrazione che nell’adorazione eucaristica”. Anzi, l’adorazione fuori della Messa, soggiunge, “diventi durante questo anno, un impegno speciale per le singole comunità parrocchiali e religiose”. Anche la prossima festa del Corpus Domini con la tradizionale processione, esorta, siano vissute con “particolare fervore”. Ma l’Eucaristia è anche una “manifestazione” di comunione ecclesiale, che il Papa chiede conservi sempre il connotato della fraternità, specialmente a tutti i livelli della gerarchia ecclesiale. E nell’auspicare “un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa”, il Pontefice passa ad enunciare il “principio” e il “progetto di missione” insito nel sacramento eucaristico.

 

Eucaristia significa “rendimento di grazie”. Morendo, spiega Giovanni Paolo II, Gesù ha espresso con il suo “sì” a Dio il “sì” e il ‘grazie’ dell’umanità intera. La Chiesa, afferma “è chiamata a ricordare agli uomini questa grande verità. È urgente che ciò venga fatto soprattutto nella nostra cultura secolarizzata che respira l'oblio di Dio e coltiva la vana autosufficienza dell'uomo”.

 

“In questo Anno dell'Eucaristia ci si impegni, da parte dei cristiani, a testimoniare con più forza la presenza di Dio nel mondo. Non abbiamo paura di parlare di Dio e di portare a fronte alta i segni della fede. La ‘cultura dell'Eucaristia’ promuove una cultura del dialogo, che trova in essa forza e alimento. Ci si sbaglia a ritenere che il riferimento pubblico alla fede possa intaccare la giusta autonomia dello Stato e delle istituzioni civili, o che addirittura possa incoraggiare atteggiamenti di intolleranza. Se storicamente non sono mancati errori in questa materia anche nei credenti, come ebbi a riconoscere in occasione del Giubileo, ciò va addebitato non alle ‘radici cristiane’, ma all'incoerenza dei cristiani nei confronti delle loro radici. Chi impara a dire ‘grazie’ alla maniera del Cristo crocifisso, potrà essere un martire, ma non sarà mai un aguzzino.

 

Infine, lo sguardo del Pontefice si rivolge al mondo, molto spesso carente di pace e di solidarietà. Questi due doni, dice, nascono dal cuore stesso dell’Eucaristia, sacramento che lega in unità ogni popolazione della terra. “Il cristiano che partecipa all'Eucaristia – si legge nella Mane nobiscum Domine - apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà, in tutte le circostanze della vita. L'immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato il nuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra, chiama più che mai i cristiani a vivere l'Eucaristia come una grande scuola di pace, dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale, culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di comunione”.

 

“Perché dunque – si chiede in conclusione il Papa - non fare di questo Anno dell'Eucaristia un periodo in cui le comunità diocesane e parrocchiali si impegnano in modo speciale ad andare incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo?”.
 
“Penso al dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, penso alle malattie che flagellano i Paesi in via di sviluppo, alla solitudine degli anziani, ai disagi dei disoccupati, alle traversie degli immigrati. Sono mali, questi, che segnano - seppur in misura diversa - anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall'amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo. È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l'autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche.

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Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica afferma che nell’Eucaristia l’aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede è il mistero della presenzareale”. “Con tutta la tradizione della Chiesa, noi crediamo – scrive il Papa - che, sotto le specie eucaristiche, è realmente presente Gesù”. “Per questo la fede ci chiede di stare davanti all'Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo stesso”. Mistero di presenza che la teologia cattolica spiega con il termine di “transustanziazione”.  Giovanni Peduto ne ha parlato con il cardinale Francis Arinze:

 

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R. – Il termine “transustanziazione” è stato adottato dalla Chiesa nel Concilio Ecumenico di Trento e significa che dopo le parole di consacrazione il pane non c’è più, ma è il Corpo di Gesù; il vino non c’è più, non si tratta di vino benedetto, ma è il Sangue di Gesù. E’ Gesù stesso a dirci questo. Non siamo noi ad inventarlo. E’ Gesù, infatti, a prendere il pane, darlo ai discepoli e dire “Questo è il mio Corpo”; poi prende il calice del vino e dice: “questo è il mio sangue, versato per voi”. Quando Gesù disse: “Io vi darò il mio corpo come cibo; il mio sangue come bevanda”, alcuni ebrei dicevano: ma chi può credere questo? E andavano via. Gesù allora dice ai discepoli: volete anche voi andare via? E Pietro risponde: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Come se Pietro dicesse: “Signore non è che noi capiamo, ma sappiamo che tu sei il Figlio di Dio. Tu hai le parole di vita e noi ti seguiamo sia che capiamo, sia che non capiamo”. La fede non è un’opinione: Gesù ha detto così e allora è cosi. Dopo la consacrazione, quindi noi adoriamo, ci prostriamo davanti a Gesù ed è per questo che noi in Chiesa non parliamo, non conversiamo come se fossimo in uno stadio di calcio. Noi non entriamo in Chiesa vestiti in modo trascurato, ma siamo vestiti bene e questo perché andiamo da Gesù, Figlio di Dio. Questa è la nostra fede e noi siamo fieri di confessarlo.

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Durante la conferenza stampa per la presentazione della Lettera Apostolica del Papa mons. Domenico Sorrentino, segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha annunciato per la prossima settimana la pubblicazione di un sussidio dal titolo “Anno dell’Eucaristia: suggerimenti e proposte”: il sussidio  intende offrire alle diocesi degli “spunti operativi nei vari contesti cultuali, culturali e pastorali”. Alla conferenza stampa hanno preso parte una sessantina di persone, tra giornalisti e religiosi.

 

 

LA RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO EPISCOPALE

DI GUIDA E GOVERNO DEL POPOLO DI DIO,

 INSERITO NELLA PIU’ VASTA MISSIONE DELLA CHIESA UNIVERSALE

 

La responsabilità del ministero episcopale di guida e governo del Popolo di Dio, al centro del discorso del Papa ai vescovi statunitensi della Chiesa di New York, in visita ad Limina Apostolorum e ricevuti stamane in Vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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Il “potere del governo” affidato ai vescovi, “vicari e ambasciatori di Cristo” inteso come vocazione “di servizio non di onore”, per portare beneficio agli altri piuttosto che per dominarli. Un potere non di semplice “amministrazione” ed “esercizio di abilità organizzative”, quanto piuttosto per costruire il Regno di Dio. Giovanni Paolo II rivolto ai presuli americani ha ricordato loro che la funzione del pastore non può essere isolata dalla più ampia responsabilità per la Chiesa universale, rendendo questa capace di attingere dalla vita e dal carisma delle Chiese locali, in uno spirituale “scambio di doni”. Da qui l’incoraggiamento ai presuli di essere guide con l’esempio per evangelizzare il proprio gregge santificandolo, e disponendolo a condividere la Buona Novella con gli altri. “Favorite la comunione tra loro – ha raccomandato il Papa – per prepararli alla missione della Chiesa”. “Incoraggiando i vostri popoli - ha aggiunto il Santo Padre - ad approfondire la loro fedeltà al Magistero e la loro unione nella mente e nel cuore con il Successore di Pietro, voi offrirete loro la guida ispiratrice necessaria a condurli avanti nel terzo Millennio.” Non può esserci, infatti, unità di pratica senza un consenso sotteso e questo naturalmente può essere ottenuto attraverso il dialogo franco, e discussioni informate, basate su solidi principi teologici e pastorali.

 

Giovanni Paolo II ha quindi espresso apprezzamento per l’impegno dei presuli statunitensi nel campo della difesa della vita, dell’educazione e della pace, e li ha esortati a porre ancora attenzione particolare ad alcuni temi come “il declino nella presenza a Messa e nel ricorso ai sacramenti della Riconciliazione, le minacce al matrimonio e le necessità religiose degli immigrati”.

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NEL MESSAGGIO ALLE SETTIMANE SOCIALI, IN CORSO A BOLOGNA,

IL PAPA INVITA I CATTOLICI A PARTECIPARE ALLA VITA POLITICA DEL PAESE

 

“I cattolici sono invitati non soltanto a impegnarsi per rendere viva e dinamica la società civile” ma anche a “riconsiderare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici e istituzionali, in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive significative e in quello della politica, intesa nel senso alto del termine”. Lo afferma Giovanni Paolo II nel messaggio inviato alla 44.ma Settimana Sociale dei cattolici italiani in corso di svolgimento a Bologna. Il servizio di Stefano Andrini:

 

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“In Italia” afferma il Santo Padre “la democrazia e la libertà politica appaiono ormai felicemente consolidate”. “A nessuno sfuggono però i rischi e le minacce che, per un autentico assetto democratico, possono derivare da certe correnti filosofiche, visioni antropologiche e concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici” come ad esempio “la tendenza a ritenere che il relativismo sia l’atteggiamento di pensiero meglio rispondente alla forme politiche democratiche, come se la conoscenza della verità e l’adesione ad essa costituissero un impedimento”. “Se l’azione politica” scrive ancora il Papa “ non si confronta con una superiore istanza etica, illuminata a sua volta da una visione integrale dell'uomo e della società, finisce per essere asservita a fini inadeguati, se non illeciti. La verità, invece, è il miglior antidoto contro i fanatismi ideologici”.

 

Introducendo i lavori della Settimana sociale il cardinal Camillo Ruini, presidente della CEI si è soffermato sul ruolo che i cattolici possono svolgere nella società italiana. “L’apporto primario dei cattolici alla democrazia” ha affermato il cardinale “riguarda la trascendenza del soggetto umano che oggi è da “rimotivare” all’interno della cultura attuale e degli interrogativi radicali che essa ha aperto”.

 

Nella prolusione inaugurale Francesco Paolo Casavola, presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana ha affermato che “se la democrazia saprà dimostrare di essere la forma politica di organizzazione del mondo ispirata a preservare i valori della vita, della cultura e della coscienza dell’uomo, forse alla generazione vivente sarà lecito nutrire ancora grandi speranze”.

 

Nella seconda giornata di lavori il cardinal Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha annunciato che il 25 ottobre sarà reso pubblico l’atteso Compendio della dottrina sociale della Chiesa.  Si tratta ha affermato il cardinal Martino di “uno strumento indispensabile per annunciare e attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali” ma anche  “per il discernimento morale e pastorale dei complessi eventi che caratterizzano i nostri tempi”. Esso è diviso in tre parti, che trattano dei fondamenti, dei contenuti e delle prospettive pastorali, offrendo un quadro complessivo delle linee fondamentali dell’insegnamento sociale cattolico. Il porporato ha poi proposto di promuovere le Settimane Sociali dei Cattolici Europei in considerazione dell’importanza che ha assunto il processo di unificazione. La prima tavola rotonda è stata invece dedicata al rapporto tra scienza e tecnologia.

 

Da Bologna per la Radio Vaticana, Stefano Andrini.

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ALTRE UDIENZE

 

Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto in successive udienze mons. Friedhelm Hofmann, vescovo di Wurzburg in Germania; l’arcivescovo Andrés Carrascosa Coso, nunzio apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon, con i familiari; il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

La prima pagina è aperta dalla Lettera Apostolica “Mane Nobiscum Domine” di Giovanni Paolo II all’episcopato, al clero e ai fedeli per l’Anno dell’Eucaristia.

“Consentite alla Chiesa Universale di attingere a vita e carismi della Chiesa locale per un reciproco arricchimento”, è il messaggio rivolto dal Papa ai vescovi statunitensi in visita “ad Limina”.

“L’azione politica deve confrontarsi con una superiore istanza etica illuminata da una visione integrale dell’uomo e della società”, è il messaggio del Pontefice ai partecipanti alla 44.ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.

Il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, ha conferito l’ordinazione episcopale a mons. Andrés Carrascosa Coso, nunzio apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon.

Egitto: strage di turisti israeliani nel Sinai, tre bombe in località balneari provocano decine di morti e di feriti.

 

Nelle pagine vaticane, il servizio del nostro inviato Piero Amici sulla prima giornata della 44.ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.

Il convegno a Kigali, in Rwanda, nell’ambito dello “scambio fraterno” con la diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca.

 

Nelle pagine estere, Iraq: raid USA a Falluja contro gli uomini di Al Zarqawi provoca la morte di undici persone. UNICEF: secondo il Rapporto annuale, undici milioni di bambini uccisi ogni anno da ingiustizie e discriminazioni. Afghanistan: attacco a base statunitense alla vigilia delle presidenziali. Sudan: Khartoum annuncia il ritorno a casa di oltre 200 mila sfollati del Darfur.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Felice Accrocca su “San Francesco, le armi e la guerra”.

 

Nelle pagine italiane, i temi delle riforme, della giustizia, della Finanziaria. Aerei: radar guasti a Linate e nebbia a Fiumicino, pesanti disagi in tutto il Paese.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 ottobre 2004

 

DIFENDERE L’AMBIENTE PER COSTRUIRE LA PACE:

IL NOBEL ALLA KENIANA WANGARI MAATHAI,

FONDATRICE DELL’ASSOCIAZIONE “GREEN BELT”

- Con noi, padre Giulio Albanese ed Antonio Gaspari -

 

Per la prima volta nella storia, il premio Nobel per la pace è stato assegnato oggi ad una donna africana. È la keniana Wangari Maathai, biologa impegnata nella difesa dei diritti umani, fondatrice nel 1977 dell’associazione ambientalista “Green belt”, “cintura verde”, che ha piantato oltre 30 milioni di alberi in Africa per lottare contro la desertificazione. Roberto Piermarini ha intervistato padre Giulio Albanese, fondatore dell’agenzia missionaria Misna, che l’ha conosciuta a Nairobi:

 

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R. – Wangari Maathai sicuramente è una donna che ha colto l’importanza di questo tema proprio in rapporto al futuro sostenibile dell’Africa; è una donna che ha colto anche lo stretto rapporto che c’è tra la questione ambientale e il rispetto dei diritti umani, quindi non si può parlare di rispetto dell’habitat se non si tiene conto soprattutto del valore e della sacralità della persona. A questo riguardo vorrei citare un aneddoto. Alcuni anni fa, quando la incontrai, mi disse che uno dei grandi paradossi del suo Paese, il Kenya, appunto, è il fatto che molta gente è reclusa nelle baraccopoli: non dimentichiamo che una città come Nairobi, la capitale, ha centinaia di questi agglomerati dove la gente vive in condizioni subumane. Ebbene, lei diceva: “Nel nostro Paese, molta gente è costretta a vivere nelle gabbie come bestie, nelle baraccopoli ... poi, abbiamo animali che sono liberi di scorrazzare a destra e a manca nei grandi safari”. Ecco, importante è capire e comprendere che se vogliamo affrontare la questione ambientale dobbiamo cogliere l’armonia del rapporto tra persona e ambiente.

 

D. – Maathai è stata anche un’esponente dell’opposizione nel regime di Arap Moi. Ecco, possiamo leggere in questo Nobel per la Pace anche una motivazione politica?

 

R. – Sicuramente è una donna che è sempre stata attenta alla questione dei diritti umani, dunque una donna che ha sempre sostenuto a denti stretti la democrazia. Ha sempre creduto nel dibattito politico e devo dire che, in questo senso, è sicuramente una figura illuminata.

 

D. – Si tratta poi della prima donna africana a ricevere questo ambito riconoscimento ...

 

R. – C’è da considerare che in Africa è molto, molto importante rivalutare il ruolo delle donne che giocano, peraltro, un ruolo strategico nella società, da tutti i punti di vista. Il fatto che vi sia stato questo riconoscimento a livello internazionale credo che sia un grande tributo a quello che le donne africane fanno nei confronti della res pubblica, del bene comune, in un continente sappiamo straziato da tante sofferenze.

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La causa ecologista – ha sottolineato la stessa Wangari Maathai, nelle sue prime dichiarazioni alla tv norvegese – è “un aspetto importante della pace, perché, mentre le risorse diminuiscono, noi ci battiamo per appropriarcene”. Proprio sul legame tra la difesa dell’ambiente e l’impegno per la pace, Andrea Sarubbi ha intervistato Antonio Gaspari, direttore del Master in scienze ambientali del Pontificio ateneo Regina apostolorum:

 

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R. – C’è un legame molto stretto, nel senso che anche nell’interpretazione cristiana è il peccato dell’uomo che rovina l’ambiente, e ovviamente invece tutto quello che l’uomo riesce a fare in termini di sviluppo del creato, questo contribuisce alla pace.

 

D. – Il fatto che il Nobel per la Pace sia andato non solo ad un’ecologista, ma ad un’ecologista africana, che segnale è per l’Africa?

 

R. – Il segnale è fortissimo! L’Africa è il continente – dal punto di vista delle risorse – più ricco del Paese: in Africa c’è il 60 per cento del petrolio, l’80 per cento dell’oro, i diamanti, non c’è minerale che non ci sia in Africa! Ma è il continente, anche, con la più bassa densità demografica del pianeta ed anche quello più travolto da conflitti interni, da malattie, da epidemie, da siccità ... Credo che il 70 per cento della popolazione che soffre la fame e che vive con meno di un dollaro al giorno, stia in Africa. Quindi, conferire un Premio Nobel per la Pace ad un’africana con l’intenzione – spero! – di indicare una riscossa di questo continente, soprattutto da un punto di vista umano, secondo me è un segnale molto bello e positivo!

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DOMANI LE PRIME ELEZIONI DEMOCRATICHE IN AFGHANISTAN.

OLTRE DIECI MILIONI DI PERSONE SONO CHIAMATE

AL VOTO PER ELEGGERE IL NUOVO CAPO DI STATO.

IL FAVORITO È L’ATTUALE PRESIDENTE AD INTERIM HAMID KARZAI

- Intervista con Alberto Negri -

 

In Afghanistan oltre 10 milioni di persone sono chiamate domani all’appuntamento con le urne per le elezioni presidenziali. Si tratta della prima consultazione libera e democratica nella storia del Paese. I candidati sono 18 ed il favorito è l’attuale presidente ad interim, Hamid Karzai, che ha l’appoggio dell’etnia Pashtun. Sui recenti sviluppi storici in Afghanistan e sul significato di queste elezioni, organizzate dalle Nazioni Unite, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Situato in una posizione strategica dell’Asia centrale, l’Afghanistan ha sempre pagato a caro prezzo la sua condizione di Stato cuscinetto: conflitti ed occupazioni, la cruenta guerra civile che seguì il ritiro dell’armata russa nel 1989 e l’ascesa del movimento dei Talebani, provenienti dalle scuole coraniche sunnite del Pakistan, hanno caratterizzato la recente storia del Paese. Uno Stato segnato dall’inquietante legame tra il regime dei Talebani e la rete terroristica di Al Qaeda, responsabile di una sanguinosa campagna antiamericana. Il culmine di questa serie di azioni contro gli Stati Uniti viene raggiunto la mattina dell’11 settembre 2001 con i drammatici attacchi alle Torri gemelle. La reazione americana e degli alleati è decisa: dopo mesi di bombardamenti, viene deposto il regime del Mullah Omar e dei Talebani, accusati di nascondere in Afghanistan il leader di Al Qaeda, Osama Bin Laden.

 

Ora il Paese è chiamato, per la prima volta, all’elezione diretta del presidente. Il principale antagonista del superfavorito Karzai è l’ex ministro dell’educazione, Yunus Qanuni, che tre anni fa ha sostenuto le truppe statunitensi nella cacciata dei Talebani. L’esito della consultazione, che si svolgerà sotto la protezione di circa 30 mila soldati stranieri, si conoscerà tra due settimane. La popolazione afghana, circa 25 milioni di persone delle quali il 70 per cento analfabete, è chiamata ad esprimere un voto che potrebbe avere importanti ripercussioni mondiali. Il risultato che uscirà dagli oltre cinquemila distretti elettorali sparsi tra i deserti ricchi di petrolio, tra le verdissime montagne del nord e tra le catene montuose del sud precederà infatti quello delle presidenziali del prossimo 2 novembre negli Stati Uniti e delle elezioni previste in Iraq a gennaio. E come l’Iraq anche l’Afghanistan ha problemi di sicurezza. La vigilia della consultazione, che si terrà alla presenza di 300 osservatori internazionali è stata caratterizzata dalle violenze: nelle ultime 24 ore sono stati sparati in diverse aree del Paese, senza causare vittime, una ventina di razzi. Due di questi sono caduti nei pressi della sede del comando americano della forza militare multinazionale, a poche centinaia di metri dall’ambasciata americana a Kabul.

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Ma qual è la mobilitazione nel Paese, soprattutto fuori Kabul e le grandi città? Risponde l’inviato del ‘Sole 24 Ore’ in Afghanistan, Alberto Negri, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. - A Kabul una buona parte della popolazione è mobilitata per le elezioni di domani e soprattutto lo sono le minoranze che, dopo decenni in cui non hanno potuto esprimere la loro opinione, vedono nelle elezioni un’occasione per riaffermare la loro presenza e la loro identità. Fuori da Kabul, la situazione è molto più difficile perché il Paese è controllato dai “signori della guerra”, dai capi clan, dalle tribù. Ci sono poi anche le incognite dovute alle minacce dei Taleban in alcune zone del sud e del sud-est, dominate dall’etnia Pashtun: si dice addirittura che forse non si voterà soltanto domani, ma le urne in alcune zone potrebbero restare aperte anche il giorno successivo.

 

D. – La popolazione afghana è in maggioranza analfabeta e molte donne, nascoste dal loro burqa, hanno già detto non sapere nulla di queste elezioni. Allora che voto sarà?

 

R. – Certamente sarà un voto dimezzato. Non può essere altrimenti in un Paese dove c’è un tasso di analfabetismo altissimo, siamo al 60-70 per cento e la cifra sale ancora di più se ci si riferisce alla popolazione femminile. Dobbiamo ricordare che durante l’epoca talebana ed i vent’anni di guerra civile, in questo Paese molto spesso le scuole sono rimaste chiuse ed intere generazioni sono state “perdute”. In ogni caso, anche se dimezzato, anche se influenzato pesantemente dalle divisioni etniche e dalle minacce dei “signori della guerra” e dei capi clan, questo voto è comunque un riscatto per un Paese che ha visto quasi sempre risolvere i suoi problemi con la canna del fucile.

 

D.- Questo in Afghanistan è un voto che potrebbe avere ripercussioni sulle presidenziali di novembre negli Stati Uniti. Ma potrà essere anche una prova generale per le consultazioni di gennaio in Iraq?

 

R. – Io non credo che questo voto in Afghanistan avrà influenze sulla situazione irachena. Si tratta di due realtà molto differenti per quanto riguarda la presenza internazionale. Se è vero che qui c’è un contingente americano di 18 mila uomini ed uno della forza multinazionale di 9 mila e c’è un presidente - Karzai, che verrà probabilmente riconfermato dalle urne - che è fortemente sostenuto dagli americani, è anche vero comunque che non c’è la stessa presenza che si sente in Iraq. Nel Paese del Golfo le forze americane sono percepite come forze di occupazione. Qui in Afghanistan gli statunitensi sono invece visti come ospiti, che si spera – dicono i locali – se ne vadano via al più presto. La situazione, a mio avviso, è dunque completamente diversa.   

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CHIESA E SOCIETA’

8 ottobre 2004

                                                                            

 

IL MONDO NON RIESCE A PRENDERSI CURA DEL PROPRIO FUTURO.

SECONDO L’ULTIMO RAPPORTO DELL’UNICEF, OGNI ANNO 11 MILIONI DI BAMBINI

AL DI SOTTO DEI 5 ANNI MUOIONO PER CAUSE EVITABILI. ANCORA LONTANO L’OBIETTIVO DEL MILLENNIO DI RIDURRE

DI DUE TERZI LA MORTALITA’ INFANTILE ENTRO IL 2015

 

GINEVRA. = Un bambino su 12 nel mondo non raggiunge i cinque anni. E’ la denuncia contenuta nel rapporto “Progresso per l’infanzia”, presentato ieri dall’Unicef. “Il diritto alla vita di un bambino – ha detto la direttrice generale dell’organizzazione internazionale, Carol Bellamy – è il primo criterio di uguaglianza, di possibilità di avvenire e di libertà”. Ma tale diritto è spesso violato e la comunità internazionale non sta rispettando l’impegno di ridurre i tassi di mortalità infantile. Senza interventi drastici, infatti, il mondo non manterrà la promessa fatta nel 2002 di ridurre il tasso di mortalità infantile di due terzi entro il 2015. I progressi compiuti fino ad ora sono lenti e ogni anno – afferma l’Unicef – circa 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono per cause evitabili. “In un’epoca dove la tecnologia e la medicina accumulano successi sorprendenti – ha sottolineato Bellamy – è  inaccettabile che la sopravvivenza dei bambini, in particolare quelli che sono poveri ed emarginati, sia ancora così fragile”.  Il divario tra nord e sud del mondo è immenso. Nei Paesi industrializzati, secondo le statistiche rese note nel rapporto, un bambino su 143 muore prima di cinque anni, in Africa subsahariana ne muore uno su sei, nel sud Asia un bambino su dieci e in America latina uno su 29. Nella graduatoria generale, la Sierra Leone continua a registrare il tasso di mortalità infantile più alto al mondo – oltre un bambino su quattro muore prima dei cinque anni – mentre i Paesi scandinavi registrano i tassi più bassi. Malnutrizione, mancanza di acqua potabile e di installazioni sanitarie sono le cause di circa metà dei decessi, ma i bambini muoiono anche di infezioni respiratorie acute (18%), diarrea (15%), malaria (10%) e morbillo (5%), mentre condizioni inadeguate durante il parto causano ancora il 23% dei decessi. L’Aids resta una delle principali cause di mortalità infantile, soprattutto nell’Africa subsahariana. Altri fattori: i conflitti armati e l’instabilità sociale, come in Iraq e in Afghanistan. (B.C.)

 

 

SEMPRE DIFFICILE LA SITUAZIONE DEI CATTOLICI IN IRAN.

NONOSTANTE LE RIFORME DEL PRESIDENTE KHATAMI, RIFERISCE UN REPORTAGE

DEL CATHOLIC NEWS SERVICE, LA PICCOLA COMUNITA’ CONTINUA

AD ESSERE OGGETTO DI DISCRIMINAZIONI

 

TEHERAN. = Nonostante la situazione sia migliorata rispetto ai primi anni della rivoluzione khomeinista, per la piccolissima comunità cattolica iraniana, come per le altre minoranze religiose in Iran, la vita continua ad essere difficile. Lo rileva Cindy Wooden, corrispondente del Catholic News Service, in un lungo reportage sulla situazione religiosa nella Repubblica islamica, che ha visitato lo scorso settembre. Durante il suo soggiorno, la giornalista statunitense ha avuto modo di intervistare diversi esponenti religiosi, compresi alcuni sacerdoti cattolici. Nessun vescovo locale, invece, ha accettato di rilasciare interviste. Da queste conversazioni, e da altre interviste realizzate a Roma, è emersa l’impressione che sebbene la comunità cattolica iraniana abbia beneficiato delle riforme del presidente Khatami, sia ancora oggetto di discriminazioni, soprattutto sul posto di lavoro e nelle università e preferisca mantenere un basso profilo. “Siamo sopravvissuti grazie alla nostra discrezione”, ha spiegato uno degli intervistati. L’esercizio del culto in Iran è ammesso solo in privato, mentre le attività catechistiche nelle parrocchie devono essere svolte con estrema discrezione, per evitare l’accusa di proselitismo, rigidamente vietato nel Paese. La Chiesa cattolica gestisce attualmente tre scuole (contro le 32 esistenti prima del 1979), che devono, comunque, attenersi all’obbligo di insegnare anche i fondamenti dell’Islam agli studenti. I dati ufficiali dell’Annuario Pontificio parlano di 25 mila cattolici (latini, caldei e armeni), ma in realtà sarebbero molti di meno, forse circa 10 mila, su una popolazione di 69 milioni di abitanti. Quando possono emigrano, come conferma il recente rapporto annuale del Dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa nel mondo. (L.Z.)

 

 

C’E’ L’URGENZA DI CONVOCARE UN’ASSEMBLEA DEL POPOLO PER DISCUTERE

CONCRETAMENTE SUL FUTURO DEL PAESE. NE E’ CONVINTA LA CONFERENZA EPISCOPALE DI HAITI, CHE IN UN MESSAGGIO DENUNCIA UN DILAGANTE INDIVIDUALISMO E UNA LENTA EVOLUZIONE SOCIO-ECONOMICA

 

PORT-AU-PRINCE. =  Il cittadino haitiano “ha perso la fiducia in se stesso”, a causa “della menzogna, dello sfruttamento e della corruzione, di cui è sempre stato vittima”. Questo contesto, inoltre, “ha contribuito a creare una particolare mentalità di ricerca del profitto immediato, caratterizzata dall’individualismo e dall’aggressività gestuale e verbale”. Questa, in sintesi, la denuncia della Conferenza episcopale haitiana, contenuta nel messaggio “Fare strada insieme al popolo”. Il documento, redatto a conclusione dell’Assemblea plenaria dei presuli, invoca, inoltre, la convocazione di “assemblea del popolo”, composta da esponenti di tutte le classi sociali e delle categorie professionali, per parlare del futuro del Paese ed “edificare una società e una civiltà di pace e di amore”. Alle origini di quello che è definito “un sotto-sviluppo cronico” della società haitiana, i presuli individuano “i ritardi socio-economici registrati nel Paese durante tutta la sua storia, l’instabilità politica, l’intolleranza e l’antagonismo delle classi sociali e dei partiti, che hanno provocato l’ingerenza di forze politiche straniere, mettendo la popolazione sotto la tutela dell’occupazione militare”. Secondo i vescovi, il consiglio elettorale provvisorio deve anche procedere nell’organizzazione delle nuove elezioni, previste entro il 2005, “senza lasciarsi influenzare da pressioni interne o esterne”. (B.C.)

 

 

RESTA DRAMMATICA LA SITUAZIONE IN MEDIO ORIENTE.

SECONDO UN’INDAGINE DEL ‘PALESTINIAN CENTRAL BUREAU OF STATISTICS’,

NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI, DOPO L’ESPLOSIONE DELLA SECONDA INTIFADA,

I BILANCI FAMILIARI PALESTINESI SI SONO DIMEZZATI

 

GERUSALEMME. = Il reddito di circa 226.000 famiglie palestinesi sarebbe calato di oltre il 50 per cento, mentre il 22,6 per cento dei nuclei familiari residenti nella Striscia di Gaza soffre condizioni di vita critiche. E’ quanto rivela un recente studio condotto dall’Ufficio statistico centrale palestinese (Palestinian Central Bureau of Statistics – Pcbs) e commentato con parole di amarezza dalla Caritas di Gerusalemme. “Il popolo palestinese – si legge in un comunicato dell’istituzione cattolica – è sempre più nell’abisso della povertà e della disperazione”. Nel rapporto, il Pcbs passa in rassegna alcune voci fondamentali del bilancio familiare dei nuclei palestinesi e sottolinea come il peggioramento complessivo della condizione di centinaia di migliaia di persone sia stato provocato dalle misure adottate dal governo israeliano. Da quanto si apprende dalle circa 20 pagine del documento, negli ultimi quattro anni, prima dell’esplosione della seconda Intifada, il reddito medio dei Territori palestinesi è sceso dai 2.500 nis (circa 705 euro) a 1.600 nis (pari a circa 290 euro). La riduzione, tuttavia, varia da regione a regione, per cui si è passati da 847 a 360 euro al mese della Cisgiordania ai 215 euro (invece di 423) delle famiglie residenti nella Striscia. Sempre secondo la ricerca dell’Ufficio centrale di statistica, il 58,2 per cento della popolazione nei Territori occupati ha ridotto il consumo di beni primari. Per quanto riguarda gli aiuti umanitari, infine, dai quali la popolazione palestinese continua a essere largamente dipendente, il 13,1 per cento del campione ha dichiarato di non aver ricevuto più di 100 nis (circa 28 euro), il 39,5 per cento di aver avuto meno di 200 nis e il 58,2 per cento meno di 300 nis. (B.C.)

 

 

LA RIFORMA DEL “CODICE DELLA FAMIGLIA” ALGERINO: UN SEGNALE

 PER IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DELLA DONNA. L’ATTENZIONE SI

SPOSTA ORA SUL DIBATTITO PARLAMENTARE

 

ALGERI. = Passa all’esame del Consiglio dei ministri algerino un disegno di legge che prevede la riforma del “Codice della famiglia”. In vigore dal 1984, le associazioni femministe lo hanno ribattezzato il “codice dell’infamia”, affermando che traduce in norma la negazione dei diritti della donna, minando le fondamenta dell’istituzione familiare. La donna, secondo le associazioni, diventa proprietà legale dell’uomo attraverso il matrimonio ed è costretta, istituzionalmente, nel silenzio e nella sottomissione, a subire ogni tipo di violenza. Un rapporto, redatto in aprile e reso noto il 20 settembre dal quotidiano algerino “Quotidian d’Oren”, aveva fatto luce sulla violenza quotidiana subita dalle donne, concludendo che solo “una rivoluzione culturale” della società algerina avrebbe permesso di porre fine al degrado della condizione femminile. L’azione di revisione del codice, fin dalle prime battute, ha riscontrato una forte contestazione da parte degli islamici radicali. L’impegno da parte dell’ex marito, in caso di divorzio, a fornire un alloggio e l’abolizione della tutela matrimoniale che obbliga la donna ad avere un tutore per contrarre il matrimonio, rappresentano condizioni maggiormente favorevoli per l’evoluzione della condizione femminile. Tuttavia, la poligamia resterà formalmente in vigore, pur dipendendo dall’autorizzazione di un tribunale. (E.B.)

 

 

IL DALAI LAMA CHIEDE ALLE AUTORITA’ CINESI UN’AUTONOMIA EFFETTIVA

 PER IL TIBET, MA SOTTOLINEA: “NON CERCHIAMO L’INDIPENDENZA”

 

CITTA’ DEL MESSICO. = La Cina deve concedere un’autonomia “autentica” al Tibet. Lo ha dichiarato il Dalai Lama, in questi giorni in Messico, sottolineando che si tratta di un diritto garantito dalla Costituzione. Tuttavia, “nei regimi totalitari – ha riconosciuto il leader spirituale buddista – c’è sempre uno scarto fra ciò che è scritto e ciò che succede nella realtà”. “Deve essere chiaro, comunque, che non cerchiamo l’indipendenza”, ha concluso il Dalai Lama, ma solo un’autonomia “maggiore” per il Tibet. Nelle scorse settimane, una delegazione di rappresentanti tibetani ha trascorso due settimane in Cina. Attualmente, tuttavia, non è ancora noto il contenuto dei colloqui con le autorità cinesi. (E.B.)  

 

 

IL RUOLO DELL’INTERPOL NELLA LOTTA AL TERRORISMO AL CENTRO

DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA POLIZIA CRIMINALE INTERNAZIONALE.

AL VERTICE DI CANCUN, IN MESSICO, PARTECIPANO RAPPRESENTANTI DI 175 PAESI

 

CANCUN. = Il terrorismo e la sicurezza nazionale sono stati i temi al centro della 73.ma Assemblea generale dell’Interpol, la polizia criminale internazionale, a Cancun, in Messico. Centosettantacinque le delegazioni di tutti i continenti presenti ai lavori, che si concludono oggi. “Il terrorismo è la principale minaccia globale – ha dichiarato il presidente dell’Interpol, lo spagnolo Jesus Espigares – e il mondo deve utilizzare ogni mezzo per contrastarlo, senza sottovalutare il ruolo dell’Interpol”. “L’Interpol è indispensabile e non deve essere sottovalutatata”, ha aggiunto Espigares, secondo il quale “di fronte alla minaccia del terrorismo si devono ridurre le aree di impunità degli attentatori”. Il segretario generale dell’Interpol, lo statunitense Ronald K. Noble, ha, inoltre, invitato gli Stati membri “ad una maggiore collaborazione”. Noble ha rivelato che “negli ultimi tre anni” l’Interpol ha sventato attentati “contro un centinaio di obiettivi in tutto il mondo”. Nell’agenda del vertice di Cancun anche: lotta al narcotraffico e alla tratta di esseri umani; cooperazione nella ricerca dei latitanti e repressione della criminalità economica e finanziaria ad alta tecnologia. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

8 ottobre 2004

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Israele ancora tragicamente colpito dal terrorismo: questa volta, fuori dai confini nazionali. Sono almeno 31 i morti, e decine i feriti, a seguito di tre attentati kamikaze, che, nella notte, hanno preso di mira tre luoghi turistici nella penisola egiziana del Sinai: l’hotel Hilton a Taba e due campeggi nella località di Rash Shitan. Tutti frequentati tradizionalmente da cittadini israeliani. Durissima la condanna della comunità internazionale, mentre un gruppo islamico, finora sconosciuto - “Le Brigate islamiche dell'unificazione” - ha rivendicato l’attentato. Tuttavia, secondo il premier israeliano Sharon, che ha convocato una riunione d’emergenza del governo, dietro la strage ci sarebbe la mano di Al Qaeda. Opinione condivisa anche da Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. – Ritengo che la matrice sia quella che riconduce ad Al Qaeda. Il gruppo che ha rivendicato l’attentato è sconosciuto del tutto, quindi non è probante la loro rivendicazione. Del resto Al Qaeda e gruppi vicini hanno già colpito Israele in passato. Non bisogna mai dimenticare che Al Qaeda cerca sempre di fare quello che promette. Pochi giorni fa il numero due di Al Qaeda ha promesso azioni contro Israele e gli Stati Uniti su scala globale. E’ stato Zawahiri, il numero due. Poi vediamo che gli attacchi avvengono.

 

D. – La tecnica dell’attentato cosa fa pensare?

 

R. – Certamente fa pensare primo ad una grande organizzazione in un Paese dove c’è uno Stato di Polizia, che è l’Egitto. Quindi, la capacità di infiltrarsi, di colpire a distanza nello stesso momento. Quindi un attacco multiplo, con grande forza.

 

D. – Perché colpire proprio Taba?

 

R. – Purtroppo racchiude tutti i simboli che si vogliono cercare. Primo, è un simbolo del turismo. A Taba vanno molti israeliani e molti occidentali. Secondo, è un posto storico. Nell’albergo Hilton si sono fatte moltissime trattative legate al negoziato di pace israelo-palestinese, ormai defunto. Terzo, Taba è in Egitto e l’Egitto è uno dei Paesi alleati degli americani. L’Egitto, poi, è un paese importantissimo, è nei negoziati con Isreale, è sulla scena mediorientale. E’ un elemento di stabilizzazione. Quindi, si colpisce l’economia egiziana che vive soprattutto di turismo, quindi favorire tensioni sociali.

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In Iraq, è di 10 morti e 16 feriti il nuovo bilancio del raid americano effettuato stanotte su Falluja, roccaforte dei ribelli sunniti dove si nasconderebbe il terrorista al Zarqawi. Secondo fonti locali, il raid avrebbe colpito i partecipanti ad una festa di nozze. Intanto, secondo la Tv di Abu Dhabi sarebbe stato ucciso l’ostaggio inglese Ken Bigley, in mano ad un gruppo terroristico. Una notizia di pochi minuti fa, sulla quale ci riferisce Alessandro Gisotti:

 

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Ken Bigley è stato ucciso. E’ questa la terribile notizia diffusa poco fa dalla Tv araba di Abu Dhabi, che cita “fonti informate in Iraq”. Il britannico 62 enne Bigley era stato sequestrato il 16 settembre scorso dal gruppo “Monoteismo e guerra santa” assieme a due americani decapitati poco dopo il rapimento. I suoi appelli al premier Tony Blair hanno scosso la comunità internazionale. Il ministero degli Esteri britannico, ha riferito un portavoce, sta indagando sulla notizia diramata dalla tv di Abu Dhabi. Ma proprio poco fa anche la tv inglese Sky News - citando fonti del governo britannico - ha confermato l’uccisione di Ken Bigley. Sempre sul terreno, a Nassirya due soldati italiani sono stati feriti per errore da colpi di arma da fuoco di una pattuglia rumena. Intanto, si registrano delle novità sul piano politico e diplomatico: il governo transitorio iracheno ha accolto con soddisfazione un’offerta di disarmo delle milizie avanzata dal leader radicale sciita al Sadr. Intanto, il pachistano Ashraf Jehangir Qazi, inviato speciale per l'Iraq del segretario generale dell’Onu, è tornato a Baghdad per riprendere i contatti con i leader politici iracheni. Qazi, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite, Fred Eckhard si incontrerà con le personalità del governo locale e i diplomatici stranieri, “per vedere come l’ONU possa aiutare al meglio il processo di transizione”. E la crisi irachena sta infiammando il dibattito politico americano, a tre settimane dalle elezioni presidenziali. Botta e risposta, ieri, tra il presidente Bush e lo sfidante Kerry dopo che il rapporto della CIA ha confermato che Saddam Hussein non possedeva armi di distruzione di massa all’epoca della guerra in Iraq. Bush ha ribadito di avere preso “la decisione giusta” perché il rapporto afferma comunque che Saddam era pronto a riprendere i programmi di produzione di armi di sterminio “appena il mondo si fosse voltato dall’altra parte”. Kerry, dal canto suo, ha affermato che il rapporto della CIA “è la prova definitiva che Bush non dovrebbe essere rieletto”. Oggi, intanto, il comitato militare della Nato ha approvato un piano generale per la missione di addestramento delle nuove forze armate irachene.

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Attentato terroristico a Parigi, dove un’esplosione ha colpito poco prima dell'alba l'esterno dell’ambasciata indonesiana, provocando il ferimento lieve di una decina di persone. La deflagrazione – ha dichiarato il prefetto della polizia parigina - è stata causata da una bomba di medie dimensioni. L’attentato ha causato ingenti danni materiali e devastato le finestre degli edifici vicini del quartiere, nella parte occidentale della città. Michel Barnier, ministro degli Esteri francese, ha affermato che “nessuno è al riparo” dal terrorismo. A Parigi, sono state rafforzate le misure di sicurezza.

 

Giro di vite dell’Unione europea nei confronti del Myanmar, l’ex Birmania, per le ripetute violazioni dei diritti e libertà fondamentali. I ministri degli Esteri dell’Unione saranno chiamati probabilmente lunedì prossimo - nella riunione in programma a Lussemburgo - ad adottare nuove sanzioni nei confronti del Paese asiatico. Lo ha annunciato oggi la presidenza olandese dell'Unione europea aggiungendo come sia “chiaro che in materia di diritti umani la situazione nel Myanmar non è affatto migliorata”.

 

Una nuova era di “amicizia e collaborazione” tra Italia e Libia. E’ questo in sintesi il risultato dell’incontro di ieri a Tripoli tra Berlusconi e Gheddafi. I due leader hanno inaugurato un gasdotto “in un luogo che una volta - ha detto Gheddafi - è stato campo di vendette e di battaglia, con l'obiettivo di fare del Mediterraneo un mare di pace”. Berlusconi ha chiesto a Gheddafi di consentire il rientro degli italiani, che nel 1970 furono espulsi e privati dei loro beni. Impegno che il colonnello ha sostanzialmente preso, riconoscendo il “grande impegno” di Roma per l'abolizione dell'embargo internazionale contro la Libia.

 

Impennata per i prezzi del petrolio, che in fine mattinata hanno interrotto la discesa e hanno ripreso a salire sui timori che le scorte per l'inverno siano scarse. All'Ipe di Londra il Brent (il greggio del Mare del Nord) è arrivato a un passo dai 50 dollari al barile, al prezzo record di 49,30 dollari.

Si è chiusa ieri in Australia la campagna elettorale per le elezioni politiche generali di domani, le prime da quando l'Australia ha partecipato all'invasione dell'Iraq. I pronostici sul risultato restano incerti: la coalizione di centro destra guidata dal premier John Howard - al potere da otto anni e mezzo - è accreditato di un leggero vantaggio ma i laburisti guidati da Mark Latham sono molto vicini agli avversari negli ultimi sondaggi.

 

Tre delle cinque persone fermate martedì dalla Guardia civile spagnola, nei Paesi Baschi e in Navarra, con l’accusa di essere legati all’organizzazione terroristica ETA, sono state rilasciate questa mattina. I cinque arresti, rientrano nel quadro dell'operazione coordinata dalla polizia francese e spagnola che, domenica scorsa, aveva portato alla cattura di 21 presunti terroristi, nel sud della Francia, tra cui uno dei leader dell’ETA, “Mikel Antza”.

 

Almeno trenta contadini sono stati arrestati nella provincia dello Shaanxi nella Cina settentrionale mentre protestavano per l'espropriazione delle loro terre. Secondo fonti locali, gli arresti sono stati effettuati tra il 3 ed il 4 ottobre, quando i contadini che avevano occupato un terreno sono stati evacuati con la forza da 1.600 poliziotti. 

 

 

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