RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
278 - Testo della trasmissione di martedì 5 ottobre 2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Giuseppe Piccioni
racconta il desiderio d’amore e di vita nel suo nuovo film “La vita che
vorrei”.
CHIESA E SOCIETA’:
Agli americani Gross, Politzer e Wilczeck
il Nobel per la Fisica 2004
Simposio islamo-cristiano a Istanbul, il prossimo 7
ottobre
I vescovi dello Zambia chiedono l’abolizione della
pena di morte
E’ on-line il nuovo sito Internet per le
notizie sulla Chiesa in India
In Iraq ancora attacchi della guerriglia a Baghdad e a Mossul. Sgomento per l’ennesimo video di uccisioni
Proseguono le operazioni
dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza: 3 vittime palestinesi, tra cui
una adolescente
I negoziati tra l’Ue e
la Turchia si apriranno, ma senza certezze sulla loro irreversibilità: è quanto
emerge dalla bozza di raccomandazione che la Commissione presenterà domani
5 ottobre 2004
“GRAZIE A DIO SIETE
SALVE”. CON QUESTE PAROLE
GIOVANNI PAOLO II HA
SALUTATO SIMONA PARI E SIMONA TORRETTA,
ALL’UDIENZA IN FORMA
STRETTAMENTE PRIVATA
“Grazie a Dio siete salve”. Con queste parole
Giovanni Paolo II ha salutato questa mattina in Vaticano Simona Pari e Simona
Torretta. All’udienza in forma strettamente privata e durata pochi minuti,
hanno partecipato anche i familiari delle due giovani volontarie liberate in
Iraq la settimana scorsa dopo tre settimane di sequestro. Ad accompagnarle
Mons. Rino Fisichella. Nel corso dell’incontro, chiesto per ringraziare il Papa
per i numerosi appelli e interventi in favore della loro liberazione, le due
ragazze non hanno nascosto la loro commozione ed hanno sottolineato il bisogno
di solidarietà del popolo iracheno.
PROSEGUIRE NEL DIALOGO
CON TUTTE LE ISTANZE DELLA SOCIETÀ
E SUL PIANO ECUMENICO:
L’INCORAGGIAMENTO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI
EUROPEI
Sono rientrati
nei loro 34 Paesi dell’Europa dell’Est e dell’Ovest i vescovi, che hanno partecipato
per quattro giorni a Leeds, nel nord dell’Inghilterra, all’Assemblea plenaria
del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, che ha dibattuto sul ruolo
della Chiesa nelle diverse realtà del Continente. Obiettivo: raccogliere le
sfide di fronte alla crescente secolarizzazione e le speranze dei popoli alla
luce di una nuova evangelizzazione, così come il Papa ha raccomandato in un
messaggio, a firma del cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, indirizzato
al presidente dei presuli europei, mons. Amedée Grab. Il servizio di Roberta Gisotti:
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Il Papa prega perché “possiate
guidare i vostri rispettivi popoli a riscoprire le loro comuni radici
spirituali e la durevole sapienza della loro eredità cristiana”. Il Santo Padre
sa che il vostro “impegno per una nuova evangelizzazione è un atto di fede nel
valore perenne del Vangelo, che nella storia dei popoli europei ha prodotto
frutti abbondanti di santità, educazione, cultura e civilizzazione”. Forti di questo sostegno – espresso da Giovanni
Paolo II nel suo messaggio all’Assemblea - i vescovi europei porteranno nei
loro Paesi i fermenti raccolti a Leeds. “Con la vostra testimonianza – li ha
incoraggiati il Papa – i credenti saranno rafforzati nella loro specifica
identità e perciò saranno in grado di costruire insieme una cultura cristiana
capace di evangelizzare la cultura più ampia in cui vivono”. Per questo motivo
Giovanni Paolo II ha sollecitato i vescovi europei a proseguire il “positivo dialogo
con i rappresentanti dei diversi settori della cultura contemporanea: scienza,
tecnologia, arti, media, economia, politica”.
Tante le suggestioni uscite da
questa Assemblea, come documenta un comunicato finale dei lavori. Si è
dibattuto sul significato del Cristianesimo nell’Europa di oggi e su una serie
di temi di attualità politica: la Costituzione europea, la strategia di
Lisbona, il problema delle migrazioni, il rapporto della Commissione europea
sulla Turchia e le questioni bioetiche. Si è fatto, inoltre, il punto sul
dialogo ecumenico, ipotizzando una nuova iniziativa a livello europeo, per
continuare il processo avviato con le Assemblee di Basilea nell’89 e di Graz
nel ’97. Un evento che sia radicato a livello locale in tutta Europa; che sia
forte momento di spiritualità e comunione; che porti solidarietà tra Est e
Ovest, coinvolgendo attivamente le Chiese ortodosse. Da qui la gratitudine
dell’Assemblea per l’invito ufficiale ricevuto dalle Chiese di Romania. Alla
luce di tutte queste discussioni, la necessità emersa, infine, è di rinsaldare
la cooperazione tra le Conferenze dei vescovi cattolici e di dialogare con le
altre Chiese, religioni, credenti e culture.
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PER LA
PRIMA VOLTA RIUNITI IN BRASILE I VESCOVI ED I DIRETTORI
DEI
CENTRI CULTURALI CATTOLICI, PER INIZIATIVA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO
PER LA
CULTURA E DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE LATINOAMERICANO
- A
cura di Roberta Gisotti -
Per la
prima volta vescovi e direttori dei Centri culturali cattolici del Brasile sono
riuniti per aprire “Un foro di dialogo tra identità cattolica, globalizzazione,
non credenza e pluralismo etnico”, promosso dal Pontificio Consiglio della
cultura insieme alla Conferenza episcopale brasiliana. L’incontro si è aperto
ieri a Joao Pessoa (Paraiba), dove i lavori proseguiranno anche oggi per poi
trasferirsi giovedì e venerdì nella città di San Paolo. La riunione, presieduta
dal cardinale Paul Poupard, presidente del Dicastero vaticano, è la prima del
genere organizzata a livello nazionale nel Paese latinoamericano, in continuità
con precedenti consultazioni regionali, tenutesi in Cile per il Cono Sud; in
Colombia per i Paesi Bolivariani e in Messico, per l’America centrale. La prima
parte dell’Incontro a João Pessoa verte
sulle sfide dell’identità cattolica in ambiente rurale, mentre la seconda focalizzerà
il tema dell’identità cattolica nelle città. Al termine dei due incontri il cardinale
Poupard si sposterà a Bogotá, in Colombia per inaugurare il Seminario di
formazione per operatori di pastorale della cultura che si svolgerà tra il 10
ed il 13 ottobre, convocato dal CELAM, il Consiglio episcopale latinoamericano,
in preparazione della prossima Assemblea plenaria dell’organismo, prevista a
Roma nel 2007.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“La brutalità del terrorismo scrive un nuovo
sanguinoso capitolo” è il titolo di apertura della prima pagina, mentre
attentati, imboscate e bombardamenti continuano ad imperversare in tutto il
Paese; per Donald Rumsfeld non vi è nessuna “prova formale” del legame tra bin
Laden e Saddam Hussein. Indonesia: violenta aggressione da parte dei fondamentalisti
islamici ai cattolici di Cileduk. L’UNHCR denuncia l’erosione del diritto
d’asilo in molti Paesi. India: l’Assam ancora insanguinato dagli attacchi dei
gruppi separatisti.
Nelle pagine vaticane, le celebrazioni per il 60.mo
di sacerdozio del cardinale Virgilio Noè e una pagina dedicata all’Anno
dell’Eucaristia.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: settimo giorno dell’offensiva israeliana, oltre 70 vittime nei
Territori autonomi. Spagna: Madrid ringrazia il governo francese per la cattura
dei vertici dell’ETA. Iran: nonostante le pressioni del Parlamento, il Governo
non rinuncia alle politiche riformiste. Afghanistan: per Hamid Karzai ci
vorranno due-tre anni per la ricostruzione delle Forze Armate.
Nella pagina culturale, un
ricordo dell’incisore Arnoldo Ciarrocchi, morto nella notte tra venerdì e
sabato. Per L’Osservatore Libri, la nuova edizione del volume “Fonti Francescane”
a cura di Ernesto Caroli.
Nelle pagine italiane, i temi
della Finanziaria, delle riforme e il processo per il crac della Parmalat.
Iraq: il governo chiamato a riferire in Parlamento sulla barbara uccisone
dell’imprenditore Wali.
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5 ottobre 2004
AD OLTRE UN MESE DALLA STRAGE DI BESLAN, L’OSSEZIA
DEL NORD
CERCA DI VOLTARE PAGINA, MA IL DOLORE E’ ANCORA
FORTE. LE AUTORITA’
TEMONO UN’ONDATA DI VIOLENZA AL TERMINE DEL
PERIODO DI LUTTO
- Intervista con Fabrizio Dragosei e Maria Giulia
Torrioli -
E’ passato oltre un mese dai
tragici fatti di Beslan, costati la vita a 331 persone, di cui 172 bambini al
di sotto degli 11 anni, ma l’orrore di quei giorni è ancora impresso negli occhi, nella mente e nel cuore di tutti. Lo
scorso 3 settembre, poco prima delle 11:30 ora italiana, scatta –
sembra dopo esplosioni accidentali – il blitz delle forze speciali russe per
liberare le centinaia di persone, soprattutto bambini, tenute in ostaggio da
tre giorni da un commando di terroristi ceceni in una scuola dell’Ossezia del
Nord. La repubblica autonoma oggi cerca lentamente e faticosamente di tornare
alla normalità, ma la sequela degli orrori è difficile da cancellare. Il
servizio di Giuseppe D’Amato:
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Beslan è sempre sotto shock e il
ritorno alla normalità è ancora lontano. Molti bambini con le loro famiglie
sono stati portati via a spese dello Stato. Quasi tutti sono sul mar Nero in
sanatori specializzati per il recupero psicologico. 227 feriti, di cui 150 minorenni, rimangono negli ospedali,
soprattutto a Mosca. Quattro giorni fa si sono celebrati gli ultimi funerali,
dopo che i resti di 12 persone sono stati identificati. 50 ex ostaggi restano dispersi.
Il numero di quanti fossero intrappolati nella scuola resta un mistero. Secondo
la commissione Beslan erano in 1388, per il ministero degli Interni 1189, per
un sito internet 1221, per altri 1347. I morti ufficiali variano da fonte a
fonte tra 331 e 338. L’estremista
Shamil Basaev si è assunto la responsabilità dell’azione ed il presidente separatista
Aslan Maskhadov ha promesso di processarlo. La commissione d’inchiesta della
Duma è già stata a Beslan. Uno dei mediatori, l’ex presidente inguscio Aushev,
ha dichiarato che il blitz delle forze speciali non era pianificato. I parenti
degli ostaggi, non si sa come all’interno del cordone di sicurezza, avrebbero
dato il via all’assalto. I federali hanno lanciato una campagna militare in
Cecenia per snidare i separatisti e gli estremisti. Mosca è riuscita finora
nell’arduo compito di evitare uno scontro armato fra caucasici.
Per
la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Domenica oltre cinquemila
persone hanno presenziato a Beslan alla commemorazione delle vittime innocenti
di un odio cieco e senza senso. Secondo gli psicoterapeuti venuti da Mosca, i
sopravvissuti al sequestro sono come “reduci della guerra del Vietnam”: provano
paura, depressione, insonnia, aggressività. Ma cosa resta, dunque, nell’Ossezia
del Nord, di quei tragici giorni, oggi che i riflettori dei mass media sembrano
essersi spenti sul dolore delle famiglie? Barbara Castelli ha girato la domanda
a Fabrizio Dragosei, corrispondente a Mosca per il Corriere della Sera:
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R. – Purtroppo, in parte è vero.
Per chi ha vissuto quei momenti è ancora tutto vivissimo. Molti dei bambini
sopravvissuti alla strage sono ancora negli ospedali. Le altre scuole della
città hanno riaperto, ma la scuola numero uno rimane in ricordo di quei
terribili momenti.
D. – In qualche modo,
tristemente, sembra che le lacrime stiano lasciando il posto alla rabbia. E’ di
ieri la notizia che la madre di uno dei terroristi dovrà abbandonare l’Ossezia.
Quanto sono concrete, dunque, le possibilità che si scateni un’ondata di
violenza nella regione?
R. – I rapporti tra gli osseti e i vicini ingusci sono dei rapporti molto
tesi da sempre. Chiaramente questi episodi, che sono legati alla tragedia della
Cecenia, riaccendono anche gli odi interetnici tra queste due repubbliche
autonome confinanti, che sono state in guerra nel 1992. Qualcuno, anzi
parecchi, dicono che finiti i 40 giorni di lutto tradizionali degli osseti, il
13 ottobre prossimo, potrebbe scatenarsi una rappresaglia contro gli ingusci.
Io penso che potrebbe anche non andare così … spero che la ragione abbia la
meglio.
D. – In che modo Beslan ha
influenzato la politica di Vladimir Putin? Putin che domani incontrerà i
rappresentanti del Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan …
R. – Putin francamente non ha
reagito nel modo in cui tutti ci aspettavamo, nel modo in cui tutti i russi si
aspettavano, perché chiaramente la tragedia a Beslan ha dimostrato alcune cose.
Una di queste è la scarsa efficienza dei servizi di sicurezza, che non sono riusciti
a prevenire l’arrivo dei terroristi. Pensiamo poi a quello che è successo
quando c’è stata la prima esplosione all’interno della scuola. La reazione
delle forze di sicurezza è stata certamente molto approssimativa, non erano
pronti. Putin non se l’è presa con i servizi di sicurezza, con i responsabili
delle forze dell’ordine, se non ad un livello locale. Quello che, invece, Putin
ha fatto è stato di rafforzare quella che in Russia chiamano “la verticale del
potere”, cioè la rispondenza della base agli ordini che vengono dal vertice. E’
una struttura piramidale che lascia poco spazio non solo alla diffidenza, alla
discussione e all’opposizione, ma anche al semplice ragionamento sulle cose da
fare. A questo punto la Russia si trova a dipendere unicamente da un uomo, che
può sempre sbagliare, e questo è, comunque, da qualsiasi parte lo si veda, un
errore tecnico, oltre che politico.
D. – Il Papa in questi drammatici
giorni di orrore non si stanca mai di parlare di pace e di dialogo,
sottolineando che la “via della violenza è una strada senza uscita” …
R. – Sì, è vero e questo si
applica in maniera particolare alla Cecenia. La Cecenia oggi è una Repubblica
formalmente non più in guerra, ma nella quale la violenza si registra tutti i
giorni, esercitata da un lato dalle bande di guerriglieri e di terroristi e
dall’altra dall’esercito russo. La violenza cecena filo-russa è certamente ciò
che favorisce enormemente i terroristi. Permette la creazione di una realtà
dalla quale i terroristi poi tirano fuori e arruolano giovani e donne votate al
suicidio o al martirio, come dicono loro.
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I primi a pagare le conseguenze dell’egoismo e
della violenza degli adulti sono i bambini. I piccoli sopravvissuti di Beslan
non vogliono più studiare, avere amici, immaginarsi madri e padri, in alcuni
casi non vogliono più parlare. Una bambina di 9 anni, violentata dai
terroristi, trascorre tutto il giorno a muovere una mano nell’aria. Come è
possibile, dunque, aiutare quei bambini in questo difficilissimo momento?
Barbara Castelli ha girato la domanda alla dottoressa Maria Giulia Torrioli,
neuropsichiatra infantile al Policlinico Gemelli di Roma.
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R. – Quaranta giorni di lutto
finiscono, ma non finisce il lutto per i bambini. Bisogna dare loro tempo e
aiutarli ad accettare di ricordare quello che è successo e non di dimenticare.
Soltanto se un bambino riesce ad elaborare un lutto, così si dice in termini
tecnici, e questo significa capire che è successa una cosa catastrofica e
spaventosa, che però non rientra nella normalità, può ritornare ad essere
sereno. Se si obbliga, invece, a non pensarci più, a far finta che non sia
successo niente, l’evento resta nel bambino come un qualcosa di non digerito,
che seguiterà ad uscire per tutta la vita.
D. – I sopravvissuti di Beslan –
dicono gli esperti – vivono la psicosi dei sopravvissuti ai lager nazisti:
alcuni bambini non parlano, altri disegnano macchie nere in cielo e rosse in
terra, alcuni addirittura giocano ai terroristi e agli ostaggi. Potranno lasciarsi,
comunque, tutto alle spalle con il tempo?
R. – Tutto alle spalle sì, ma
come un loro bagaglio e non come un qualcosa che va dimenticato. Possono venire
fuori persone normali? Sì, questo sì. Vanno però aiutati, forse il fatto
proprio di poterci giocare è estremamente utile: il fatto che loro possano
rivivere in una situazione diversa da quella che hanno provato.
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“NOI
VI APPREZZIAMO”: MESSAGGIO DELL’UNESCO
IN
OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEGLI INSEGNANTI
- Intervista con il prof. Giovanni Pugliesi -
“Noi vi apprezziamo”: questo, il
semplice, ma efficace messaggio delle direzioni di UNESCO, UNICEF, ILO e UNDP
nel discorso congiunto in occasione della Giornata mondiale degli insegnanti,
in corso oggi, 5 ottobre. L’iniziativa, sul tema “Insegnanti di qualità per
un’educazione di qualità”, vuole valorizzare la professione docente in tutto il
mondo, sul piano sociale, culturale ed economico. Nell’intervista di Roberta
Moretti, il prof. Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale
italiana per l’UNESCO e rettore della IULM di Milano:
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R. –
Essere insegnante in Italia, negli Stati Uniti, oppure nel Bangladesh o nel
Burkina Faso, non è la stessa cosa. Esiste una profonda differenza che è
determinata dalle condizioni di formazione, dalle condizioni di vita. Le
principali difficoltà della professione nascono oggi da una grande confusione
che c’è all’interno dei sistemi giuridici e normativi di tutti i Paesi, in
particolare quelli occidentali, dove la professione degli insegnanti non è
codificata in modo uniforme. E’ una professione che oggi viene poco
considerata, perché sono di moda le professioni ricche di soddisfazioni dal
punto di vista dell’impatto sociale e della remunerazione. E, ahimé, la
professione dell’insegnante non rientra non solo nei Paesi in via di sviluppo,
ma purtroppo non rientra neanche nei Paesi a capitalismo avanzato. Mi auguro
che questa iniziativa, che oggi muove dall’Unesco, serva ancora una volta a
dare uno scossone a governanti, ai parlamenti, ai sindacati, alla società
civile, perché la centralità dell’educazione è l’anima di un Paese e di un
mondo libero e democratico.
D. –
Come si possono fronteggiare concretamente questi problemi?
R. – La
cultura della cooperazione multilaterale è fondamentale da questo punto di
vista. In tema di education, cioè della cooperazione allo sviluppo nel
campo dell’educazione, l’Italia da anni sostiene fortemente la Palestina e i Paesi
del Medio Oriente di area araba. Credo che questo sia un grande contributo che
il nostro Paese sta dando alla pace in Medio Oriente, cioè quello di creare
condizioni di coscienza culturale che determini l’acquisizione di una
sensibilità pacifista.
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“IO SONO NESSUNO”: LA
STRAORDINARIA PARABOLA DI ANNALENA TONELLI,
LA MISSIONARIA LAICA UCCISA IN SOMALIA IL 5
OTTOBRE 2003,
RIVIVE NEL LIBRO OMONIMO PRESENTATO OGGI A ROMA
- Intervista con Miela Fagiolo D’Attilia -
Un anno fa, un colpo di pistola sparato a bruciapelo da uno sconosciuto
all’interno dell’ospedale che lei stessa aveva creato a Borama, in Somalia,
poneva fine in modo tragico alla vita di Annalena Tonelli, una laica
missionaria divenuta per decenni madre, medico e speranza di migliaia di malati
di tubercolosi. Personalità ricca di dinamismo e di grande generosità, sin
dagli anni giovanili – era nata a Forlì nel 1943 – la Tonelli fece la scelta di
dedicarsi ai poveri, volando per la prima volta in Africa nel 1969, a 26 anni.
Di lì, prende il via una storia eccezionale di carità vissuta, di dialogo con i
musulmani e di grande indipendenza, che la renderanno un simbolo per la nazione
adottiva ma anche un bersaglio per chi mal sopportava la sua schietta
determinazione. Oggi a Roma, alla presenza del cardinale Ersilio Tonini, i
giornalisti Miela Fagiolo D’Attilia e Roberto Italo Zanini hanno presentato un
libro dedicato alla Tonelli. Un libro agile intitolato con la definizione che
Annalena aveva riservato per sé: “Io sono nessuno”. Alessandro De Carolis ne ha
parlato con Miela Fagiolo D’Attilia:
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R. – Annalena Tonelli era
veramente una donna fuori dal comune. Dovunque lei arrivava, lungo tutto l’arco
della sua vita, fino alla morte violenta, Annalena ha sempre cambiato tutto
quello che c’era intorno a lei: portava movimento, portava iniziative di
solidarietà. Si impegnò, ad esempio, per una raccolta di fondi per bambini
abbandonati, già al Casermone di Forlì negli anni Sessanta. Era una giovane
attivissima nella Fuci. Detto questo, da sottolineare è anche la sua capacità
di stare ferma, in ginocchio davanti all’Ostia consacrata. Una pratica di
adorazione giornaliera, quotidiana, di ore. Ci sono quindi due immagini della
Tonelli: una donna che sapeva stare ferma solo davanti a Dio, ma che tra i
fratelli era veramente una fucina di idee e di iniziative, con una allegria ed
una attenzione davvero materna a chi era vicino a lei. Come una madre ha saputo
curare i suoi malati di TBC, seguire le famiglie, come pure dare da mangiare a
tremila persone al giorno nella Mogadiscio della caduta di Siad Barre. Annalena
era veramente una donna fuori dal comune. Sapeva esprimere questa carica
interiore, questa carica spirituale nel servizio ai fratelli.
D. - Annalena Tonelli, da
giovane crebbe e si formò sugli insegnamenti di Ghandi, de Foucault, si
infiammò per l’azione di Raoul Follerau. Che
cosa, secondo te, lei ha trasferito di questi maestri nella sua esperienza di
vita?
R. – Moltissime cose. Intanto,
ad esempio, di de Foucault il senso del deserto come luogo spirituale di
preghiera, di silenzio, di contemplazione di Dio. Di Ghandi, il senso della non
violenza e sicuramente del dialogo, che lei coltivò intensamente con i musulmani.
Ma penso anche a Carlo Carretto, a questa spiritualità vissuta senza segni esteriori,
senza manifestazioni particolari. Un anziano musulmano che lei aveva guarito
dalla TBC, grazie alla cura particolare da lei inventata e poi adottata
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità - le aveva detto: “Noi musulmani
abbiamo la fede, ma voi cristiani avete l’amore”. Ecco, questa per me è la
sintesi della volontà di dialogo che animò Annalena durante tutta la sua vita.
D. – Annalena Tonelli per
trent’anni è stata un angelo e una madre per quei “brandelli di umanità
ferita”, come li chiamava lei stessa: i suoi malati di tubercolosi. Oggi che
ricordo hanno di lei, lì a Borama?
R. – Lei è rimasta la
“Hooyedeen”, che in somalo vuol dire la “grande madre”. I bambini la chiamavano
nonna. Ed è stata una figura di grandissimo rilievo a livello di governo, a
livello della rappresentanza della Somalia, che è uno Stato non riconosciuto a
livello internazionale. Ma al di là di questo, c’è il grande amore che lei ha
lasciato fra le persone che ha curato, i figli adottivi che ha portato avanti per
anni. Tant’è che, ad un anno dalla morte, il suo ospedale continua ad andare
avanti: nulla è stato toccato, nella sua stanza neanche un foglio è stato
spostato. Il rispetto che questa donna si è guadagnato con il suo servizio, con
l’umiltà della sua presenza, naturalmente ha lasciato una grossa traccia. C’è
anche chi non amava Annalena, però, e questo va detto. Annalena, infatti, non
aveva due parole, non sottostava ai ricatti, non si faceva intimidire. Era una
persona che dialogava alla pari con tutti e sicuramente non tutti l’hanno amata
nella stessa maniera, tanto è vero che Annalena è stata uccisa, purtroppo.
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UN’ILLUSIONE, UN MELODRAMMA, UN GIOCO: SONO QUESTI
I CONFINI ENTRO I QUALI GIUSEPPE PICCIONI NARRA IL DESIDERIO D’AMORE E DI VITA DI
DUE ATTORI INQUIETI NEL SUO NUOVO FILM, “LA VITA CHE VORREI”
- Il servizio di Luca Pellegrini -
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Quanti sono gli insoddisfatti che aspirano ad una vita
diversa? E che non sanno esprimersi su quella che vorrebbero? Giuseppe
Piccioni, con un espediente cinematografico non nuovo, il cinema nel cinema, ma
estremamente rigoroso dal punto di vista narrativo e delle scelte registiche,
coglie nel mestiere dell’attore tutte le pulsioni e i fallimenti, le menzogne e
le verità che accompagnano la vita e le aspirazioni dell’uomo, al cui centro
palpita il desiderio di amore condiviso. Laura e Stefano, bravissimi Sandra
Ceccarelli e Luigi Lo Cascio, fanno lo stesso mestiere, l’attore, hanno
caratteri e passati diversi: lei naviga a vista con una certa innocenza e
paura, lui è pesantemente disilluso e cinico. Ma sono accompagnati dalla stessa
inquietudine: “Un attore se non ha una parte non è nessuno”. Ossia: senza una
scena, gli attori sono privi della loro vita. La cercano in quella reale, la
fingono in quella del set, mentre i due protagonisti girano un dramma
d’appendice ottocentesco. E s’innamorano, cercandosi e respingendosi.
Interessante: il piano della realtà si confonde. Quando i due sono dentro il
cinema, non hanno sentimenti veri, e viceversa, quando sono dentro i
sentimenti, si trovano fuori dal film. E Piccioni li guarda, questi due attori,
senza spiarli; li commenta, senza giudicarli; li ama a sua volta, perché sono
attori veri e lui fa il regista e anche lui ama il lavoro che fa. Li illumina
di penombra, perché, a suo dire, questo film vive di superfici che vogliono
soltanto raccontare e non penetrare l’interiorità. Cambiano, Laura e Stefano,
mano a mano che si conoscono e mano a mano che il loro film in costume sta per
finire e la realtà avanza, esigendo risposte: dovranno capire chi sono,
decidere quale vita davvero vogliono vivere, in altre parole, all’altezza dei
loro sentimenti e delle loro responsabilità, non sfuggirsi, ma capirsi. Essere
un poco migliori, anche se si è attori, come dice la finale battuta di Stefano
contemplando il bambino, il loro, che Laura ha da poco dato alla luce. I primi
vagiti di un figlio sono il dono più emozionante che un uomo e una donna
possano ricevere e li spinge a guardare, conquistare un futuro diverso.
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5 ottobre 2004
AGLI AMERICANI GROSS,
POLITZER E WILCZECK IL NOBEL PER LA FISICA 2004.
LE LORO TEORIE HANNO PERMESSO DI COMPLETARE
IL MODELLO DELLA FISICA DELLE PARTICELLE,
CHE SPIEGA
IN CHE MODO I QUARK INTERAGISCONO TRA LORO
STOCCOLMA. = Dopo i due americani insigniti ieri del
Premio Nobel per la Medicina, oggi è stata la volta di un altro terzetto di
statunitensi, David J. Gross, David Politzer, e Frank Wilczeck, che si
aggiudicano il Nobel 2004 per la Fisica. I nomi sono stati resi noti dall'Accademia
Reale Svedese delle Scienze, che ha spiegato che i tre sono stati insigniti per
un’importante scoperta nel mondo della fisica atomica. Una scoperta - ha
stabilito la giuria - di “decisiva importanza per la nostra comprensione di
come funziona una delle parti fondamentali della natura, la forza che lega
insieme le più piccole parti della materia, i quark”. Le ricerche, dunque, che
hanno meritato il Nobel riguardano uno dei problemi più importanti della fisica
degli ultimi decenni, ossia un passo avanti nella comprensione del modo in cui
si comportano le forze fondamentali della natura. E' grazie a queste forze che
gli elementi più piccoli della materia, i quark, sono legati gli uni agli
altri. La teoria formulata dai tre fisici americani ha permesso di completare
il cosiddetto “Modello standard della fisica delle particelle”, ossia il
modello che descrive il modo in cui gli oggetti più piccoli esistenti in natura
interagiscono fra loro. Lo stesso modello fornisce anche una descrizione
unificata di tutte le forze che agiscono sulla materia, sia a distanze
piccolissime, come quelle esistenti fra gli atomi, sia alle grandissime
distanze presenti nell'universo. Gli scienziati riceveranno il premio di 10
milioni di corone (circa un milione e 100 mila euro) il 10 dicembre,
anniversario della morte di Alfred Nobel. (A.D.C.)
LETTERA PASTORALE DEI
VESCOVI DELLO ZIMBABWE AI LORO CONNAZIONALI,
PER L’AVVIO DI UN PROCESSO ELETTORALE CREDIBILE E
CORRETTO,
IN VISTA DELLE LEGISLATIVE DEL 2005
- A cura di Alessandro De Carolis -
HARARE. = Le
tentazioni patite da Cristo nel deserto come paradigma delle tentazioni alle
quali potrebbe cedere un candidato politico. Con una originale applicazione del
celebre passo del Vangelo alle contingenze sociopolitiche dello Zimbabwe, i
vescovi dello Stato africano hanno indirizzato ai cristiani, ai cittadini in
generale e alle autorità civili una lunga lettera incentrata sulla preparazione
alle prossime elezioni parlamentari fissate nel 2005. Nel loro documento,
ribadendo a chiare note che la Chiesa in quanto istituzione “non è partigiana”,
i presuli si soffermano minuziosamente sui rapporti che legano la Chiesa alla
società e sul significato della democrazia in quanto sistema di governo che
consente ai cittadini di operare scelte politiche. Si parla di uno Stato garantito
dalle leggi e “da un corretto concetto della persona umana”, secondo le parole
di Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa. Per
i vescovi dello Zimbabwe, allestire “un credibile processo elettorale per una
leadership fidata e responsabile” – come recita il titolo della lettera
pastorale – presuppone anzitutto che tale processo si fondi sul requisito della
“integrità morale”, senza la quale – affermano - si apre la strada alle
controversie e, in ultima analisi, alla violenza, come già accaduto nel 2000.
Ecco, dunque, l’iniziale richiamo ad una visione “alta” del ruolo di candidato
elettorale e di futuro amministratore della cosa pubblica nel confronto con la pagina
evangelica delle tentazioni. Come Cristo nel deserto - scrivono i presuli - un
candidato potrebbe cedere alla tentazione della politica “dello stomaco”, che
promette “miracolosamente cibo gratis”. Oppure potrebbe essere tentato dal
“rifiuto della responsabilità”, con un atteggiamento all’insegna del “non me ne
curo”. O ancora di adottare mezzi diabolici pur di ottenere un buon fine. Di
fronte a ciò, i vescovi concludono con un ammonimento: nessun individuo,
politico o partito può reclamare la facoltà di provvedere da solo alla nostra
nazione. E’ Dio che può far questo. E noi siamo chiamati a partecipare al
progetto di Dio come costruttori”.
SIMPOSIO ISLAMO-CRISTIANO A ISTANBUL, IL PROSSIMO
7 OTTOBRE.
L’INCONTRO, PROMOSSO DALLA LOCALE FRATERNITA’ DEI
CAPPUCCINI,
SARA’ DEDICATO AL RAPPORTO TRA DIO, L’UOMO E IL
CREATO
NELLA CONCEZIONE DELLE DUE RELIGIONI
- A cura di Padre Egidio Picucci -
ISTANBUL. = Nel clima di dialogo
che si è instaurato da tempo in Turchia tra cattolici e musulmani, grazie anche
agli incontri culturali che vi si tengono da alcuni anni, avrà inizio il 7
ottobre un nuovo Simposio per una maggiore conoscenza delle due religioni. Su
iniziativa della Fraternità dei Cappuccini di Yeşilköi, nei pressi di
Istanbul, professori dell’università locale e studiosi cattolici parleranno del
“Rapporto tra Dio, l’uomo e il creato
nella concezione islamo-cristiana”.
Al Simposio, giunto alla seconda edizione, parteciperanno anche gli
studenti dell’università del Bosforo, i religiosi presenti a Istanbul, giornalisti
e intellettuali interessati ai molti
temi che uniscono cattolici e musulmani. Il Simposio si rivela quanto mai
attuale, non solo perché si parlerà di temi attuali e scottanti, come il
conflitto tra i popoli, la salvaguardia del creato, la libertà religiosa, ma
anche perché il discorso si allargherà all’attesa e imminente decisione
sull’ammissione della Turchia alla comunità europea, argomento che divide
l’opinione pubblica del continente. I lavori del Simposio termineranno domenica
10 ottobre.
I VESCOVI DELLO ZAMBIA CHIEDONO L’ABOLIZIONE DELLA
PENA DI MORTE.
LE ULTIME ESECUZIONI RISALGONO AL 1997
ZAMBIA.
= Stop alle esecuzioni capitali nello Zambia. A chiederlo alle autorità sono
stati i vescovi del Paese africano, attraverso un documento presentato ieri
alla Commissione per la revisione della Costituzione. Una proposta che, secondo
alcuni dati forniti da Amnesty International, assicurerebbe il diritto di
esistenza ad almeno 200 persone detenute nei bracci della morte, in attesa
della propria esecuzione. Il presidente in carica, Levy Mwanawasha, ha
sottolineato in diverse occasioni pubbliche la propria avversione nei confronti
della pena capitale assicurando che, per l’intera durata del suo mandato, non
avverranno esecuzioni. Come evidenzia l’agenzia Misna, è dal 1997 che nello
Stato africano non si registrano esecuzioni. Inoltre, la grazia concessa negli
ultimi mesi ad una sessantina di condannati conferma l’orientamento del governo
in direzione dell’abolizione. (E.B.)
E’ ON-LINE IL NUOVO SITO
INTERNET PER LE NOTIZIE SULLA CHIESA IN INDIA.
LA PAGINA WEB, WWW.THEINDIANCATHOLIC.COM,
OFFRE INFORMAZIONI
UTILI SULLA STORIA, L’ATTIVITA’
E LA MISSIONE DELLA COMUNITÀ CATTOLICA NEL PAESE
NEW DELHI. = Lanciato nel web un
nuovo sito che raccoglierà e divulgherà notizie sulla comunità cattolica
indiana. La pagina è stata ideata dall’Ufficio per i Mass media e
l’informazione della Conferenza episcopale indiana. All’indirizzo www.theindiancatholic.com
si possono trovare informazioni utili sulla storia, le attività e la missione
dei cattolici di tre riti (latino, siro-malabarese e siro-malankarese)
esistenti nel Paese, che conta un miliardo di persone. La navigazione nella
pagina web è semplice e chiara. Gli utenti della rete possono accedere con
facilità a preziose informazioni per comprendere sempre meglio la natura e la
missione della Chiesa in India. Il sito si propone di informare correttamente
tutti, fedeli e non cristiani. Non di rado, infatti, la comunità cattolica nel
subcontinente è oggetto di attacchi di gruppi fondamentalisti indù, che accusano
falsamente la Chiesa di condurre un’opera di proselitismo mascherata da
servizio sociale. (B.C.)
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5 ottobre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq proseguono le
azioni della guerriglia: un civile è rimasto ucciso a Baghdad quando numerosi
proiettili di mortaio sono caduti nei pressi di un ufficio passaporti del
ministero dell’Interno. Un soldato statunitense è morto, questa notte, in
seguito all’esplosione di una bomba al passaggio del suo convoglio diretto
verso la capitale irachena. Episodi di violenza si registrano anche a Mossul.
Ce ne parla Amedeo Lomonaco:
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Guerriglieri hanno
attaccato con un’autobomba un convoglio americano e tre civili iracheni sono
morti nella sparatoria verificatasi subito dopo l’attentato. E sempre a Mossul
la polizia irachena ha trovato due cadaveri decapitati. Nei giorni scorsi era
stato rinvenuto il corpo senza vita di un’altra persona. Tutte e tre le vittime
sarebbero iracheni. In questo susseguirsi di odio e violenze si inseriscono
anche le agghiaccianti immagini di un drammatico video che documenta le
esecuzioni di due ostaggi: si tratta dell’imprenditore iracheno Ajad Anwar
Wali, da molti anni residente in Italia, e di un cittadino turco, Yalmaz Dabja.
Il sedicente gruppo armato delle ‘Brigate salafiste di Abu Bakr’ ha rivendicato
le due barbare uccisioni. Sempre sul versante ostaggi, il leader radicale
sciita, Moqtada al Sadr, ha chiesto la liberazione dei due giornalisti francesi
sequestrati lo scorso 20 agosto. Su questa vicenda il premier francese, Jean
Pierre Raffarin, ha dichiarato che i negoziati per ottenere il rilascio dei due
reporter si sono interrotti nei giorni scorsi. Commentando il complesso
scenario iracheno, il ministro della Difesa americano, Donald Rumsfeld, ha affermato
che la situazione attuale pur presentando numerose difficoltà, non degenererà
in una guerra civile. Il capo del Pentagono ha aggiunto, inoltre, che non c’è
mai stata alcuna “prova evidente” dell’esistenza di un legame fra il regime di
Saddam Hussein e l’organizzazione terroristica di Al Qaeda. L’ex governatore
americano in Iraq, Paul Bremer, ha ammesso che gli Stati Uniti non hanno “mai”
disposto di sufficienti forze militari per assicurare un’adeguata cornice di
sicurezza nel Paese. La Polonia ha annunciato, infine, il
ritiro delle proprie truppe dall’Iraq entro il 2005.
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E sono soprattutto i bambini che
subiscono le drammatiche conseguenze del conflitto iracheno. Ieri mattina
alcuni minori hanno perso la vita nell’esplo-sione di un’autobomba a Mossul. Questo
episodio è avvenuto quattro giorni dopo la strage di Baghdad, nella quale sono
rimasti uccisi 35 bambini. Dalla capitale irachena, ascoltiamo il servizio di
Barbara Schiavulli:
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“Mi piace giocare con le bambole
e la cosa di cui ho paura sono le esplosioni delle mine”, dice Darah, 8 anni,
una bella bambina dagli occhi chiari. “Non voglio più vedere gente che muore,
ma voglio solo studiare. Mi piace andare a scuola, perché ci sono i miei amici”.
Pensieri, questi, semplici che raccontano come le piccole esigenze dei bambini
in Iraq sono calpestate e spesso ignorate. E’ lo stesso per tutti gli altri,
poveri o ricchi, che vivono nello stesso tipo di angoscia: dalla ragazzina che
alle cinque della sera si mette davanti alla porta ed ha un attacco di panico
se il papà ritarda di dieci minuti a quello che da quando c’è la guerra non può
più andare nella sua piscina, non lontano dall’hotel Palestine, bersaglio dei
mortai. “Come descriverei l’Iraq? Direi che fa caldo e ci sono tante
esplosioni”, dice Osama. “Cos’è la felicità?”. Osama non ha dubbio: “Giocare a
calcio, naturalmente”, anche se la mamma resta col fiato sospeso ogni volta che
esce di casa.
Barbara Schiavulli, da Baghdad,
per la Radio Vaticana.
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Restiamo
in Medio Oriente, dove una ragazza palestinese di 16 anni, Iman al-Hamas, è
stata uccisa questa mattina dai soldati israeliani di guardia all’avamposto
israeliano di Girit, al confine tra il territorio egiziano e la Striscia di
Gaza. Secondo fonti militari, la vittima
si sarebbe avvicinata al posto di blocco con una borsa che si presumeva
contenesse materiale esplosivo. E sempre nella Striscia di Gaza altri due
palestinesi sono morti in seguito a due distinte operazioni condotte
dall’esercito israeliano a sud del blocco di insediamenti di Gush Katif e nel
campo profughi di Jabaliya. Obiettivo delle forze dello Stato ebraico è quello
di porre fine agli attacchi con razzi ‘Qassam’ contro città israeliane.
In
Cecenia ha prestato giuramento il nuovo presidente della Repubblica caucasica,
Alu Alkhanov, ex ministro degli Interni. Il neo capo di Stato succede a Akhmad
Kadyrov, rimasto ucciso lo scorso 9 maggio in un attentato perpetrato da
ribelli indipendentisti. Alla cerimonia, che si è svolta tra rigide misure di
sicurezza, hanno presenziato circa 400 persone. Ad Alkanov, eletto con quasi il
74 per cento dei voti nelle elezioni presidenziali del 29 agosto, è giunto un
messaggio di congratulazioni del presidente russo, Vladimir Putin.
I
negoziati tra l’Ue e la Turchia si apriranno, ma senza nessuna certezza sulla
loro irreversibilità: è quanto emerge
dalla bozza di raccomandazione che la Commissione presenterà domani e che viene
discussa in una lunga riunione dei capi
di gabinetto oggi pomeriggio e stasera.
Per il momento dunque solo indiscrezioni, di cui ci riferisce Fausta Speranza:
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Sembra
certo che sia un sì ma un sì fortemente condizionato. Per la prima volta si
dice ad un Paese che inizia i negoziati che in qualunque momento potrà essere
tutto sospeso in caso di mancato rispetto di clausole fondamentali. A preoccupare
l’esecutivo dell’Unione sono questioni
note sulle quali la Turchia ha compiuto passi in avanti ma sulle quali l’Europa
non intende fare sconti pur apprezzando gli sforzi fatti. Sono: tortura; problema delle minoranze (curdi); altri diritti umani e
libertà fondamentali (tra cui
quella religiosa) e poi il ruolo
dell'esercito nella società. Sembra
chiaro che Bruxelles intende seguire molto da vicino l’attuazione concreta di
riforme approvate: questo il senso del cosiddetto “partenariato per le riforme”
che la Commissione propone. Non c’è solo il piano dei criteri politici ma anche
quello della dimensione economica: l’esecutivo suggerisce di non correre nei
tempi: i negoziati non si concludano prima dell'approvazione delle nuove
prospettive finanziarie che dovranno seguire quelle in corso di definizione per
gli anni 2007-2013.
In
molti, poi, sottolineano il piano culturale: la popolazione della Turchia da
sola supera la somma della popolazione dei dieci Paesi ultimi entrati ed è in
maggioranza musulmana. Una sfida di “convivenza tra differenze”, come sempre il
presidente della Commissione europea, Prodi, spiega di intendere la stessa
Unione, ma anche un passo da preparare bene, come da più parti si raccomanda.
Nel testo dell’esecutivo si sottolinea
il grande ruolo della Turchia e la necessità di mantenere in ogni caso
relazioni speciali con questo Paese. Va detto che, da parte sua, il primo
ministro Erdogan, proprio oggi ha affermato, in un’intervista a Repubblica, che
la Turchia punta ad un’adesione a tutti gli effetti e non a una “terza via”.
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Stimolare
la partecipazione dei serbi alle elezioni politiche, in programma in Kosovo il
prossimo 23 ottobre: è questo l’obiettivo dell’incontro previsto oggi a
Belgrado tra il commissario europeo alle Relazioni esterne, Chris Patten,
l’alto rappresentante per la politica Estera e la Sicurezza comune, Javier
Solana, e leader serbi.
Negli Stati Uniti prosegue frenetica la campagna elettorale in
vista delle presidenziali del prossimo 2 novembre. Oggi nell’Ohio sarà la volta
del dibattito fra i due candidati alla vicepresidenza, il repubblicano Dick
Cheney e il democratico John Edwards. Uno dei sondaggi americani più seguiti,
intanto, quello pubblicato dal Washington Post e dalla Abc, sostiene che
l’attuale presidente, George Bush, rimane in testa nei sondaggi rispetto al suo
avversario Kerry, considerato il vincitore del dibattito televisivo di giovedì
scorso.
Il petrolio ha toccato nuovi record sia a Londra che a New York.
Sulla piazza americana è salito a 50,48 dollari, un centesimo in più rispetto
al massimo raggiunto lo scorso 28 settembre. A Londra, il Brent è arrivato a
46,87 dollari al barile.
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