RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
327 - Testo della trasmissione di lunedì 22 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Le elezioni
presidenziali in Ucraina non sono democratiche: e’ la pesante denuncia degli
osservatori europei dopo l’annuncio della vittoria del premier filo-russo.
Ancora violenze in Iraq
alla vigilia dell’apertura dell’attesa
conferenza a Sharm el Sheikh.
Colin Powell in Medio
Oriente: israeliani e palestinesi –
afferma - sono disponibili a
rilanciare il processo di pace sulla base della road map
22
novembre 2004
CON LA PREGHIERA E L’AZIONE, I FEDELI SI IMPEGNINO
PER LA COSTRUZIONE
DEL REGNO DI CRISTO: SULL’ESORTAZIONE DEL PAPA,
IERI ALL’ANGELUS,
LA
RIFLESSIONE DI MONS. GIANFRANCO RAVASI E LUIGI
BOBBA
I cristiani devono “assumere con maggior
decisione” il loro impegno per l’edificazione del Regno di Cristo: è quanto
sottolineato, ieri, da Giovanni Paolo II all’Angelus, incentrato sulla
costituzione dogmatica Lumen Gentium, a 40 anni dalla promulgazione. Il
Papa ha ricordato come questo documento conciliare, “pietra miliare nel cammino
della Chiesa” esorti ogni battezzato, specie i fedeli laici, all’ “animazione
evangelica dell’ordine temporale”. Qual è dunque il significato di queste parole
del Pontefice per un fedele laico impegnato nella società? Alessandro Gisotti
lo ha chiesto a Luigi Bobba, presidente delle Acli:
**********
R. – Credo che in questa esortazione ci sia la spinta, l’orientamento
a superare quella frattura tra fede e vita di cui parlava Paolo VI. Non c’è
ambiente che non possa essere animato, fermentato dalla esperienza vitale della
fede, e credo che l’indicazione di Giovanni Paolo II sia stata proprio quella
di non rinunciare proprio al volto pubblico del cristianesimo, alla
testimonianza nel quotidiano, alla capacità di animare continuamente le realtà
delle comunità in cui viviamo.
D. – Anche sulla scorta della sua esperienza personale, quali sono le
difficoltà e quali le opportunità per un credente che si impegna nella società?
R. – Forse, la difficoltà principale è quella di resistere a questa
deriva che sembra consegnare la fede alla sagrestia o al foro privato della
coscienza. In secondo luogo, far sì che questa nostra esperienza di fede e
testimonianza sociale si sappia muovere in quella duplice tensione di
scomparire per essere efficace come il lievito che fa fermentare la pasta, ma
allo stesso tempo essere anche come città sopra il monte, ben visibile, punto
di orientamento: possiamo ancora lasciare tracce significative nelle nostre
comunità.
D. – Il Papa ha ribadito la centralità della dottrina sociale della
Chiesa, ricordando che recentemente è stato pubblicato un Compendio. Secondo
lei, quanta attenzione c’è, quanto è viva oggi questa parte del Magistero della
Chiesa nel confronto con le dinamiche della società odierna?
R. – C’è il rischio che, appunto, la parte sociale sia marginale nella
nostra esperienza cristiana. Ha fatto molto bene la Chiesa a pubblicare questo
compendio perché ci ricorda che c’è un insegnamento nel campo sociale che
orienta, spinge all’azione… è criterio di discernimento per far sì che la
nostra testimonianza abbia in qualche modo sempre una rotta. Ci induce a non
essere rassegnati, pigri, a far sì che l’esperienza cristiana sia ancora capace
di segnare sia il costume sociale che le nostre istituzioni.
**********
Azione concreta, dunque. Ma sempre all’Angelus di
ieri, il Pontefice ha ribadito che ogni impegno umano “deve trovare appoggio
nella preghiera”. Su questo appello, Alessandro Gisotti ha raccolto la
riflessione di mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della
Biblioteca Ambrosiana:
**********
R. – Vorrei esprimere la mia riflessione attraverso una piccola
parabola che è stata presentata tra l’altro da un filosofo mistico ebreo,
Heschel, il quale diceva che la preghiera dev’essere nell’interno
dell’esistenza quotidiana qualcosa di simile a quello che accade quando si
guarda una foglia in trasparenza, alla luce del sole. La foglia è costituita da
un tessuto connettivo e da una nervatura; se fosse soltanto nervatura, sarebbe
una sorta di mostro, si raggrinzirebbe su se stessa. Se fosse soltanto tessuto
connettivo, senza sostegno e alimento, si ridurrebbe alla fine ad essere un
pugno di cenere, di polvere che si dissolve. Ecco il rapporto tra impegno,
azione concreta da una parte; dall’altra parte, preghiera, festa, liturgia è un
po’ quello tra la nervatura e il tessuto connettivo.
D. – Mons. Ravasi, oggi viviamo in una società dove sono forti le
spinte secolarizzanti, eppure sempre più persone sentono il bisogno di pregare.
Perché, secondo lei?
R. – E’ vero. Esiste un po’ questo paradosso, perché da una parte la
società sembra sempre più distratta, più superficiale, sempre più immersa nella
piazza, incapace di raccogliere il mistero profondo che è in lei e al di fuori
di lei.. D’altra parte, però, l’uomo – diceva Pascal, grande filosofo francese
e credente – l’uomo supera infinitamente l’uomo, non può essere ridotto
soltanto alla piccola isola del suo corpo, non è un grumo di cellule, non è soltanto
avvolto nella pelle della quotidianità: ha dentro di sé una scintilla di
eternità e di infinito. Ed ecco, allora, che esiste questa continua tensione.
Perfino la preghiera dell’ateo che nel silenzio - come diceva uno scrittore
russo ateo, Zinoviev - nel non senso della sua vita urla: “Io ti supplico, o
Dio, cerca di esistere, perché una vita senza di te sarebbe una vita senza
testimoni, e ben triste!”.
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UDIENZE E NOMINE
Giovanni
Paolo II ha ricevuto, nel corso della mattinata, nove presuli della Conferenza
episcopale degli Stati Uniti d’America (Regione IX), in visita ad Limina.
In
Colombia, il Papa ha nominato vescovo di Libano-Honda il sacerdote José Miguel
Gomez Rodriguez, del clero dell’arcidiocesi di Manizales, finora direttore del
Dipartimento per la catechesi e la pastorale biblica del Segretariato
permanente dell’episcopato colombiano. Il nuovo presule, 43 anni, dopo gli
studi filosofici e teologici in patria, ha ottenuto la licenza in Sacra
Scrittura presso l’Istituto Biblico di Roma.
Nella
Repubblica democratica del Congo, il Pontefice ha nominato vescovo di
Bokungu-Ikela il sacerdote padre Fridolin Ambongo Besungu, francescano
cappuccino, finora vice-provinciale del suo Ordine nella Repubblica Democratica
del Congo. Mons. Besungu ha 44 anni ed ha studiato nel suo Paese per poi
perfezionarsi a Roma. Ha conseguito la Laurea in Teologia morale
all’Alfonsianum.
Sempre
nella Repubblica democratica del Congo, il Papa ha nominato ausiliare
dell’Arcidiocesi di Bukavu mons. François Xavier Maroy, finora vicario generale
della medesima arcidiocesi. Originario di Bukavu, dove è nato 48 anni fa, il
neo ausiliare ha studiato in patria ed ha ricoperto, tra gli altri, gli
incarichi di parroco, di prefetto e rettore al seminario minore, di vicario
episcopale per la pastorale.
FERMARE IL “MALE COMUNE” DELLA GUERRA
CON LA FORZA DEL “BENE COMUNE” DELLA PACE:
LO HA DETTO IL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO,
INSIGNITO A PISTOIA DEL PREMIO INTERNAZIONALE
DELLA PACE 2004
- A cura di Alessandro De Carolis -
Un
premio di pace, dedicato ai bambini vittime della guerra, perché sono loro il
simbolo innocente di un “male comune” assurdo e intollerabile, che insanguina
tante parti del pianeta. Il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Giustizia e pace, ha rivolto un pensiero
ai piccoli colpiti dai conflitti nel ricevere ieri pomeriggio, a Pistoia, il
Premio internazionale della pace 2004, istituito dal Centro Studi “Giuseppe
Donati” in memoria di Giorgio La Pira, del quale si celebra il centenario della
nascita. Nella motivazione del premio, il porporato viene definito “testimone
evangelico del bene della gente, dell’uomo, dei popoli, il cui messaggio è
incentrato sui diritti dell’uomo, con l’auspicio della civiltà dell’amore”.
“Se la
pace è quasi sinonimo di bene comune universale – è stata la riflessione del
cardinale Martino - la violenza collettiva e la guerra costituiscono
indubbiamente un male comune e,
normalmente, un male infinitamente più grave degli eventuali beni e vantaggi
particolari, che potrebbe procurare agli stessi vincitori”. Un male che la
crescente potenza distruttiva delle armi ha reso “sempre più assurdo e
intollerabile”, anche per i costi umani ed economici “che esso impone a tutta
la comunità internazionale, anche al di là dei popoli direttamente coinvolti
nel conflitto”. Dunque, ha affermato il presidente di Giustizia e Pace, è
giunto per tutta l’umanità il momento di porre fine, una volta per tutte, a
questo male comune; l’esigenza di
superare questo stadio, per tanti aspetti pre-umano, della nostra storia si
impone sempre di più come un’istanza etica fondamentale”.
La
cerimonia di premiazione, svoltasi nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia,
ha coinvolto anche altre personalità tra cui il prof. Amos Luzzatto, presidente
dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, e Fra’ Ibrahim Faltas,
responsabile dello status quo nella
Basilica della Natività a Betlemme, insigniti dei Premi della Cultura e della
Solidarietà.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l'Iraq: fissata per il 30 gennaio la data delle elezioni
generali.
Nelle
vaticane, all'Angelus Giovanni Paolo II ricorda il quarantesimo anniversario
della "Lumen gentium", una tappa miliare nel cammino della Chiesa sulle
strade del mondo.
La
Concelebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale Angelo Sodano - a Split,
in Croazia - in occasione dell'ordinazione episcopale di Mons. Martin Vidovic.
I servizi del nostro inviato Giampaolo Mattei.
Nelle
estere, Medio Oriente: la diplomazia statunitense all'opera nel tentativo di
rilanciare il negoziato.
Per
la rubrica dell' "Atlante geopolitico", un articolo di Gabriele
Nicolò dal titolo "Thailandia: uno dei punti cruciali nella complessa
mappa del terrorismo internazionale".
Nella
pagina culturale, un approfondito contributo critico di Daniel Estivill in
merito ad un'opera di Jean-Auguste Dominique Ingres: "Maria e
l'Eucaristia".
Nelle
pagine italiane, in primo piano un articolo dal titolo "Sempre più grave
la tensione nella Cdl": attacco di Pera ad alleati e moderati - Dure le
repliche.
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22
novembre 2004
LA SPERANZA DELLA CHIESA DELLA COSTA
D’AVORIO
AFFINCHE’ TORNI LA PACE NEL PAESE AFRICANO
- Intervista con il cardinale Bernard
Agré -
Nuove polemiche nella crisi in Costa d’Avorio. La Francia ha
respinto con fermezza le accuse di violenze lanciate dal presidente ivoriano,
Laurent Gbagbo, contro il contingente di pace transalpino. Intanto, il capo
dello Stato del Sudafrica, Thabo Mbeki, rilancia la proposta di fare da
mediatore tra governo di Yamoussoukro e ribelli del nord. In quest’emergenza,
che ha coinvolto anche i militari francesi, gravi le difficoltà per la
popolazione civile che si sta rifugiando in Liberia, mentre gli stranieri sono
stati praticamente tutti evacuati. Ma come la Chiesa locale sta vivendo la
drammatica emergenza che colpisce il Paese ivoriano? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto al cardinale Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan, che è stato ricevuto
in udienza dal Papa giovedì scorso:
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R. – La speranza non è perduta. Nella vita non c’è Pasqua senza
Venerdì Santo. Noi viviamo tutto questo con molta fede e speranza. La gente
soffre molto, perché il Paese è diviso in due parti: nord e sud. Ma il nord non
è soltanto musulmano, perché anche la Chiesa è presente lì con tante parrocchie
e diocesi. Nel sud ci sono molti musulmani e cristiani, che convivono. Dobbiamo
cercare di creare amicizia tra musulmani e cristiani e lo facciamo già
abbastanza bene attraverso il perdono e la riconciliazione.
D. – Proprio nei giorni scorsi il Sudafrica, con il presidente
Tabo Mbeki, ha riproposto una mediazione per riportare la pace in Costa
d’Avorio. E’, secondo lei, la via giusta?
R. – Potrebbe essere la via giusta, perché lui è venuto qui e ha
visto come vanno le cose. Può, dunque, formulare una soluzione giusta, perché
ha le informazioni giuste. I francesi hanno il loro punto di vista; pensano di
poter rimanere nel Paese per aiutarlo, ma la gente non la vede così. E allora
si creano contrasti. La gente, il governo, i francesi sono uomini. Solo le cime
delle montagne non possono incontrarsi, ma le persone possono. Penso, quindi,
che a poco a poco troveremo la strada giusta per la pace con i francesi e tra
gli ivoriani.
D. – La preoccupazione maggiore va alle condizioni della
popolazione civile che chiaramente soffre più di ogni altro questa situazione.
Che cosa si può fare per alleviarle?
R. – Almeno parlare, dare informazioni corrette, perché la gente
soffre moltissimo il silenzio della comunità internazionale sulla Costa
d’Avorio. E poi non si danno informazioni corrette. Ma a poco a poco sono certo
che tutto cambierà in meglio, ma intanto la gente soffre, soffre molto.
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DICHIARAZIONE FINALE IERI DEL VERTICE DELL’APEC,
COOPERAZIONE ECONOMICA
ASIA-PACIFICO
- Intervista con Mario Deaglio -
La
dichiarazione finale firmata, ieri, a Santiago del Cile dai leader delle
economie aderenti all’APEC, la Cooperazione economica Asia-Pacifico, affronta i
temi legati al commercio internazionale, al terrorismo, alla corruzione ed allo
sviluppo sostenibile. Un vertice caratterizzato dalla presenza del presidente
statunitense Bush e dei maggiori leader mondiali. Ce ne parla Eugenio Bonanata:
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Le 21 economie d’America e Asia
che si affacciano sul Pacifico hanno concluso il loro XII Vertice con
l’adozione della “Dichiarazione di Santiago” che ha per titolo “Una comunità,
il nostro futuro”. Sul fronte del commercio internazionale, si sottolinea
soprattutto la priorità di favorire, attraverso accordi e trattati, il processo
di liberalizzazione commerciale definendo, peraltro, una strategia di sviluppo
sostenibile APEC per il 2005. La presenza del presidente americano, George
Bush, oltre a dare visibilità all’evento, ha condizionato fortemente l’agenda
dell’incontro proponendo temi preoccupanti per la Casa Bianca. Secondo fonti
diplomatiche, si tratta di una anticipazione del tipo di “diplomazia
aggressiva” che caratterizzerà sicuramente il “Bush 2” sul piano
internazionale. A margine del vertice, il presidente americano ha sviluppato
una serie di incontri bilaterali con i leader di Russia, Cina, Corea del Sud e
Giappone da cui emerge un messaggio a Corea del Nord e Iran perché depongano i
propri programmi nucleari. Attenzione, dunque, al problema del terrorismo
internazionale che, secondo Bush, condiziona fortemente la libertà degli scambi
commerciali. Al vertice APEC anche l’incontro tra il primo ministro giapponese,
Koizumi, e il presidente cinese Hu Jintao. I due non sciolgono il gelo nei
rapporti politici, ma riannodano i legami ''di comune interesse'' nella
cooperazione economica.
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In primo piano
all’APEC, dunque, economia e emergenze politiche, ennesima conferma del fatto
che non si possono non considerare insieme. Ma per riflettere a questo
proposito, Fausta Speranza ha intervistato l’economista Mario Deaglio:
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R. – E’ emerso un inventario di
problemi cui è però difficile far seguire azioni concrete. E’ un quadro di
crescente libertà di commercio secondo il modello americano classico,
attenuata, se andiamo a vedere, da tutta una serie di restrizioni che i singoli
Paesi continuano a mettere. Non solo, ma invece di una grande area pacifica,
sta venendo fuori una forte area cinese che comprende anche alcuni Paesi
limitrofi e l’area dei Paesi dell’Asia di Sudest che, con la loro
organizzazione ASEAN, commerciano sempre più tra di loro. E’ una delle
organizzazioni che, comunque, fanno parte del nuovo ordine mondiale e l’Europa
è clamorosamente assente.
D. – Assente, perché?
R. – Ma ... si sarebbe tentati
di dire assente per motivi geografici, ma noi siamo sempre stati presenti
nell’area del Pacifico e siamo, come Unione Europea, il principale partner
commerciale della Cina. Non veniamo però chiamati quando si tratta di mettere
assieme, in qualche modo e anche solo a livello formale, economia e politica.
Ma dobbiamo tener conto che nell’area del Pacifico vive più della metà della
popolazione del mondo, la quale si sta avviando verso forme di sistemazioni che
toccheranno tutto il pianeta, dalle quali noi siamo esclusi.
D. – Professor Deaglio, al di là
dell’APEC, in altre occasioni di questo tipo di vertici mondali, c’è la voce
dell’economia e voce della politica: chi parla più forte?
R. – E’ più forte la voce della
politica. Questo è sempre stata una costante, tranne in pochi periodi. Secondo
me, uno dei periodi è stato quello della globalizzazione di mercato che, a mio
modo di vedere, incomincia verso la metà degli anni Ottanta e finisce con la
crisi della borsa americana del 2000. In quel periodo lì, effettivamente, il
mercato mondiale si è sviluppato al di là della politica, al di là delle
aspettative dei politici, che avevano altro da fare: la caduta dell’Unione
Sovietica e altre cose del genere ... Però, mi sembra che, dopo la crisi della
borsa americana e dopo l’emergere del terrorismo internazionale del 2001, la
politica abbia saldamente ripreso le redini.
D. – Secondo lei, lo fa
rispettando i valori più alti della politica, in questo momento?
R. – La mia impressione
viscerale è proprio di no. Misuriamo la mancanza di grandi visioni sul quadro
politico. Una possibile grande visione che io non condivido proprio, ma alla
quale però va dato il carattere di grande visione, è quella americana, che vede
l’America al centro di Paesi che sono liberi ma in qualche modo riconoscono
l’egemonia USA, si servono della moneta americana, vivono all’ombra della
protezione americana e seguono regole americane. Gli americani sono fortemente
convinti che questo sia il bene di tutti. Al di là di questo, io vedo
fortissimi interessi meschini, legati a realizzazioni di profitti di natura
immediata o quasi immediata: pensiamo alla protezione dell’America nel campo
dell’inquinamento, del Trattato di Kyoto che non vogliono firmare. Insomma,
abbiamo una serie di situazioni legate non già a grandi visioni, ma a interessi
pratici. Purtroppo, questo riguarda anche noi europei che qualche volta
pensiamo di essere più bravi degli altri, ma siamo allo stesso livello di
miopia!
**********
INIZIA DOMANI A ROMA IL PRIMO CONGRESSO MONDIALE
DELLA VITA
CONSACRATA SUL TEMA:
“PASSIONE PER CRISTO, PASSIONE PER L’UMANITA’”
- Intervista con suor Chiara Stella Tenaglia -
Inizia
domani a Roma il primo Congresso Mondiale della Vita Consacrata. Presenti oltre 800 religiosi
appartenenti alle due Unioni internazionali dei superiori e delle superiore
generali. Obiettivo dell'incontro è quello di rilanciare la vita consacrata nel
mondo contemporaneo. Tra le sfide principali: l’evangelizzazione, il dialogo,
le ingiustizie sociali, la difesa della vita, le migrazioni. Il Congresso si svolge sul tema “Passione
per Cristo, passione per l’umanità”. Ma come possono oggi i religiosi dare
questa testimonianza a tutta la società? Giovanni Peduto lo ha chiesto a suor
Chiara Stella Tenaglia, delle Francescane Missionarie di Gesù Bambino,
segretaria dell’Ufficio centrale dell’Unione Superiori Generali:
************
R. – Questa testimonianza va
data ed è fondamentale, altrimenti la vita consacrata è nulla. La passione per
Cristo è fondamentale per ogni persona consacrata, nel senso che è una scelta
radicale di Lui. Non si può vivere questa scelta senza un dono all’umanità,
perché la salvezza è per tutti gli uomini e se noi dobbiamo essere strumenti
dell’amore del Verbo incarnato, dobbiamo essere capaci di donare Cristo agli
uomini in qualsiasi situazione e cultura.
D. – Quali sono le maggiori
difficoltà che i religiosi incontrano nel mondo?
R. – La maggiore difficoltà è la
diffusione di un laicismo che ci esclude a priori. E forse, l’altra difficoltà
è questa: abbiamo una storia di strutture alle spalle che a volte non ci
permette di entrare così, semplicemente, umanamente, come farebbe Cristo, in
mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo: così rischiamo di essere visti
come lontani, sulla vetta di una montagna.
D. – Come vanno le vocazioni? Si
può fare un calcolo di quanti sono i religiosi e le religiose nel mondo,
approssimativamente?
R. – Approssimativamente siamo
quasi un milione e 10 mila religiosi e religiose nel mondo. E’ una grande forza
missionaria, una grande forza di evangelizzazione, ma anche una grande forza di
testimonianza, al di là di quello che può capitare nella storia, perché le
povertà ci sono sempre. Però, quello che è importante è che la vita religiosa
ritorni ancora di più ad essere segno profondo in una società che sta cambiando
radicalmente.
D. – E a proposito di segni.
Povertà, castità, obbedienza: cosa dicono al mondo d’oggi?
R. – Io penso che è importante
il modo in cui noi viviamo questi valori: possono essere un segno che qualche
cosa di diverso può accadere, che qualche cosa può cambiare anche nel mondo
sociale, perché non si è poveri per essere poveri, ma si è poveri per donare;
non si è casti per essere casti, ma si è casti per aprire il cuore alla
tenerezza e alla povertà del mondo; si è obbedienti per entrare in un grande
disegno di Dio. Questo è molto importante!
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UNA MESSA CANTATA IN ONORE DI SANTA CECILIA:
QUESTA MATTINA A ROMA NEL GIORNO IN CUI IL CALENDARIO LITURGICO
RICORDA LA PATRONA DEI MUSICISTI
- Ai nostri microfoni il cardinale Sergio
Sebastiani e il prof. Bruno Cagli -
Una messa cantata in onore di
Santa Cecilia, la patrona dei musicisti che oggi il calendario liturgico
ricorda. L’ha celebrata questa mattina il cardinale Sabastiani nella Chiesa dei
Santi Biagio e Carlo ai Catinari, a Roma, con il Coro dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia (Maestro del Coro, Roberto Gabbiani) e l’Orchestra della
Fondazione Domenico Bartolucci, diretti dallo stesso Bartolucci, autore delle
musiche e Maestro della Cappella Sistina. A.V.:
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(musica)
La tradizione rappresenta Santa
Cecilia, la vergine e martire romana vissuta nel III sec. d.C., mentre si avvia
al martirio, cantando accompagnandosi all’organo. Per questo è stata eletta a
protettrice della musica e dei musicisti. A festeggiarla oggi l’Accademia
musicale Nazionale a lei intitolata nel 1585, per volontà del presidente, Bruno
Cagli:
“Quando sono diventato
presidente per la prima volta ho
ristabilito il lusso di fare una messa cantata. Questo ha avuto una breve
interruzione negli ultimi anni, ma adesso l’ho ripresa. La Messa viene celebrata
in latino perché, come musicologo, ho anche il compito di valorizzare il grande
patrimonio della musica sacra che, come sappiamo, è al 99 per cento in latino”.
Nella sua omelia, il cardinale
Sergio Sebastiani ha lodato l’esecuzione e la capacità dell’arte di unire
l’Europa sotto un’unica bandiera di fede e cultura:
“Santa Cecilia ci ha fatto oggi
dono di uno stupendo modello di musica sacra, elevando a Dio i nostri pensieri
e i nostri cuori. Possa la Santa Patrona intercedere per tutte le persone che
hanno a cuore la ripresa, anzi lo sviluppo della musica sacra”.
Musica sacra esaltata nei Salmi,
in Sant’Agostino, come strumento di preghiera e tramite fra l’uomo e Dio, ha
detto il porporato. Lo conferma il musicologo Bruno Cagli:
“Già Raffaello, quando effigiava
Santa Cecilia, aveva stabilito dei canoni filosofici. Abbiamo gli strumenti
profani a terra, che indicano che c’è una musica profana di intrattenimento,
come direi in termini moderni. Abbiamo Santa Cecilia con un organo in mano,
quindi strumento di mediazione, e abbiamo in alto gli angeli che cantano.
Quindi la musica celeste è quella vocale prima di tutto, che è una forma di
comunicazione con Dio”.
(musica)
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22
novembre 2004
“ABOLITE LE LEGGI INGIUSTE E DISCRIMINATORIE”.
QUESTO, IN SINTESI,
L’APPELLO AL GOVERNO ESPRESSO DAL PRESIDENTE
DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE PAKISTANA. I PRESULI AUSPICANO,
INOLTRE, LA GIUSTIZIA SOCIALE E LA COESISTENZA PACIFICA NEL
PAESE
LAHORE. = Elogi per i passi avanti compiuti in Pakistan e
precise richieste di abolire leggi “ingiuste e discriminatorie” ancora in
vigore: sono i punti chiave della lettera che mons. Lawrence John Saldanha,
arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza episcopale pakistana, ha
inviato al presidente Pervez Musharraf e al primo ministro, Shuakat Aziz. Nella
missiva il presule esprime apprezzamento, da parte di tutta la Conferenza
episcopale, per la politica del governo, che sta tentando di rendere il Pakistan
un Paese liberale, dove regna il benessere e basato su principi di giustizia
sociale e coesistenza pacifica. Fatta questa premessa, tuttavia, mons. Saldanha
segnala le grandi sfide che il Paese è chiamato ad affrontare e che la
leadership politica deve tenere ben presenti. L’arcivescovo di Lahore nota che
l’abolizione del sistema elettorale basato sull’appartenenza religiosa operata
dal governo è stata un fatto positivo, che dovrebbe essere applicata anche agli
organi di rappresentanza locali, nelle diverse province. Un capitolo
particolarmente dettagliato è dedicato al cosiddetto “delitto di onore”, che
vige ancora nella legislazione pakistana: una pratica che legittima l’uccisione
di una donna ritenuta adultera. La lettera, tuttavia, sottolinea con rammarico
che il Parlamento non ha preso in esame le raccomandazioni espresse dalla
Commissione per la situazione della donna e da altre associazioni civili e
religiose, che hanno chiesto a gran voce una modifica della legge.
Quest’ultima, nota il vescovo, “riduce la donna ad un entità legale” e non
persegue quanti si rendono colpevoli di violenza contro le donne nel vita
domestica e sociale. Altra chiara richiesta del presidente della Conferenza
episcopale pakistana è l’abolizione della legge sulla blasfemia, che punisce
quanti pronunciano in modo offensivo il nome del Profeta Maometto. Ma essa è
spesso utilizzata per colpire avversari o nemici e in numerosi casi i cristiani
ne hanno fatto le spese. L’arcivescovo la ritiene “ingiusta e discriminatoria”
e ne chiede, infine, la completa abrogazione. (B.C.)
STOP ALLA CORRUZIONE, AGLI
SCANDALI E ALLA VIOLENZA: E’ IL MONITO
DELL’ARCIVESCOVO DI PANAMA, MONS. CEDENO DELGADO,
IN OCCASIONE DELLA
GIORNATA DI PREGHIERA PER LA PATRIA. IL PRESULE
INVITA, INOLTRE,
I FEDELI A PREGARE PER LA PACE E L’AMORE FRATERNO
NEL PAESE
PANAMA.
= La corruzione non si combatte con la vendetta né con l’impunità, ma con il
ripristino dello stato di diritto. Con queste parole l’arcivescovo di Panama,
mons. José Dimas Cedeño Delgado, indica al governo la strada maestra per
riportare il Paese e le istituzioni alla legalità. Il presule invita, inoltre,
i panamensi a “pregare affinché prevalga la pace e l’amore fraterno, ossia i
due capisaldi per avviare il dialogo e superare i momenti di tensione causati
dalla corruzione, dagli scandali, dai problemi economici e, non ultimo, dalle
calamità naturali”. Secondo l’arcivescovo di Panama: “La distribuzione della
ricchezza è iniqua e l’errata interpretazione della globalizzazione favorisce
solo determinati settori economici”. Quanto alla violenza, mons. Dimas Cedeño
Delgado è convinto che dipenda molto dalle “sfrenate passioni e dalla crisi
dell’istituto familiare”. Il presule è intervenuto sulla crisi che investe il
Paese in occasione della Giornata di preghiera per la patria, lo scorso 18
novembre nella Cattedrale metropolitana di Santa Maria la Antigua. Presenti
alla cerimonia anche rappresentanti ortodossi, ebrei e mussulmani e lo stesso
presidente panamense, Martin Torrijos. (D.D.)
CONDANNATI DAI 3 AI 10 ANNI DI CARCERE 17
MONTAGNARD IN VIETNAM.
I CRISTIANI PROTESTANTI SONO ACCUSATI
DI AVER CAUSATO DISORDINI E
MINACCIATO LA SICUREZZA NAZIONALE LA SCORSA
VIGILIA DI PASQUA
HANOI.
= Condanne fino a 10 anni di detenzione in Vietnam per 17 Montagnard, accusati
di aver minacciato la sicurezza e l’unità nazionale durante le proteste
avvenute la vigilia della scorsa Pasqua. Secondo quanto riferisce l’agenzia
Asianews, la scorsa settimana, nella provincia di Dak Nong, il Tribunale
provinciale del popolo, in seguito a 3 processi distinti, ha condannato alcuni
abitanti dell’altopiano centrale del Vietnam dai 3 ai 10 anni di carcere. I 17
sono accusati di aver costretto persone della loro etnia a scappare nella
vicina Cambogia e di aver convinto altri Montagnard a unirsi alla protesta,
causando disordini pubblici e andando contro la polizia del Partito comunista e
il governo. Nel weekend di Pasqua decine di migliaia di tribali degli
altopiani, cristiani protestanti, sono scesi in piazza nelle province di
Daklak, Dak Nong e Gia Lai per protestare in modo pacifico contro la
repressione religiosa del governo e la continua confisca delle loro terre.
Secondo organizzazioni internazionali per i diritti umani, 10 manifestanti sono
morti negli scontri con la polizia. Hanoi, invece, ha dichiarato solo 2
vittime, colpite dalle pietre lanciate dagli altri protestanti. Attualmente
sono almeno una dozzina i Montagnard incarcerati nella province di Daklak e Gia
Lai, accusati di essere coinvolti nelle manifestazioni; più di 500 quelli
fuggiti in Cambogia e ora sotto la protezione Onu per i rifugiati. Da anni i
Montagnard subiscono esproprio di terre e persecuzione religiosa da parte del
governo. (B.C.)
RIPRISTINATA LA PENA CAPITALE NELLO
SRI LANKA DOPO TRE DECENNI.
LA DECISIONE DEL GOVERNO DI COLOMBO FA SEGUITO
ALL’OMICIDIO
DI UN MAGISTRATO DELL’ALTA CORTE DEL PAESE
ASIATICO
COLOMBO.
= Notizia shock dallo Sri Lanka. Il governo di Colombo, infatti, riferisce
l’agenzia Misna, ha deciso di ripristinare la pena di morte 28 anni dopo
l’ultima esecuzione capitale. La decisione è stata adottata in seguito
all’assassinio del magistrato dell’Alta corte dello Sri Lanka, Sarath
Ambepitiya, ucciso insieme con la sua guardia del corpo fuori dalla sua
abitazione nella capitale. Ignota, al momento, l’identità degli assassini,
sebbene i sospetti degli inquirenti cadano sulle bande di spacciatori o le
Tigri Tamil, gruppi ai quali recentemente il giudice aveva comminato pesanti
pene detentive. La pena capitale, secondo l’ufficio della presidente Chandrika
Kumaratunga, sarà applicabile ai reati di omicidio, traffico di droga e stupro.
Il governo ha, inoltre, espresso la volontà di riorganizzare e rafforzare “con
effetto immediato” anche l’unità di polizia specializzata nella prevenzione del
crimine. Le ultime impiccagioni nell’isola a sud dell’India risalgono al 1976.
Da allora molti assassini e narcotrafficanti sono stati condannati a morte, ma
hanno avuto la pena commutata nell’ergastolo. (B.C.)
GRAVI DANNI
MA FORTUNATAMENTE NESSUNA VITTIMA NELL’ULTIMO
ATTENTATO
CHE HA COLPITO UNA SCUOLA ELEMENTARE CATTOLICA
NEL
NEPAL OCCIDENTALE. DIETRO IL FOLLE GESTO, CON OGNI
PROBABILITA’,
I GUERRIGLIERI ANTIGOVERNATIVI
KATHMANDU. = Ennesimo attentato
in Nepal contro un istituto cattolico. Lo scorso 18 novembre, una bomba a
orologeria ha distrutto una scuola cattolica gestita dalle suore di Maria
Bambina. I sospetti, riferisce l’agenzia Fides, ricadono su gruppi di
guerriglieri antigovernativi, ultime frange dell’estremismo comunista radicale.
Dopo un breve tregua, gli scontri fra l’esercito regolare e i ribelli sono
ripresi nel Paese, ma la recrudescenza contro le istituzioni cattoliche era
inattesa. L’esplosione contro la scuola elementare di San Capitanio a Tansen,
nell’Ovest del Paese, a circa 300 km dalla capitale Kathmandu, ha causato
ingenti danni: i vetri alle finestre sono infranti, i muri sono crepati,
oggetti e arredi scolastici sono stati distrutti. Fortunatamente la bomba non
ha causato né vittime, né feriti. Suor Berard Kurien, superiora della Casa, ha
informato che le lezioni sono sospese almeno fino al 3 dicembre. “Siamo
sconvolte – ha detto – perché poteva esserci qualcuno all’interno della
scuola”. Questo è il terzo attentato contro scuole cattoliche in Nepal nel
2004. Il primo è stato condotto contro l’istituto Piccolo Fiore a Narayanghat,
nell’est del Paese, il 6 giugno scorso; mentre il secondo alla St. Joseph
School di Gorkha, il 12 settembre. La comunità cattolica in Nepal conta 7.500
fedeli. La Chiesa, con le sue 23 scuole, riesce a dare istruzione a molti
ragazzi nepalesi, soprattutto non cristiani e a quelli delle famiglie più
povere provvede con borse di studio offerte dall’estero. (B.C.)
UN FILM SULLA DRAMMATICA
VICENDA DEI ‘DESAPARECIDOS’ IN ARGENTINA
SI AGGIUDICA IL PRIMO PREMIO NEL FESTIVAL
INDIPENDENTE DI BARCELLONA
BARCELLONA.
= Il lungometraggio “Los Rubios” (“I Biondi”), della cineasta argentina
Albertina Carri, ha vinto l’undicesima edizione del “Festival indipendente di
Barcellona, l’Alternativa”. La pellicola, di 89 minuti, racconta il dolore
della tragica vicenda dei ‘desaparecidos’ argentini, tra i quali anche i
genitori della regista. Alternando documentario e finzione cinematografica, la
cineasta argentina, si scontra con l’impossibilità di ricostruire la vita dei
suoi genitori, rapiti nel 1977 dalla polizia militare (la dittatura in
Argentina cominciò nel 1976 per concludersi solo nel 1983) e mai più ritrovati
vivi. Il film è interpretato da Analía Couceyro, Marcelo Zanelli, Santiago
Giralt, Jesica Suarez e sceneggiato, oltre che diretto, dalla Carri.
All’undicesima edizione del festival indipendente hanno partecipato più di 400
lungometraggi e cortometraggi di 36 diversi Paesi. (B.C.)
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22 novembre 2004
- A cura di Fausta Speranza –
Ancora violenze in Iraq a poche
ore dall’apertura dell’attesa Conferenza a Sharm el Sheikh. Il servizio di
Fausta Speranza:
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Tre
morti, tra cui un bambino, nella capitale in diversi episodi di violenza: il
piccolo ucciso da un colpo di mortaio in un quartiere residenziale; un iracheno
morto in una sparatoria; un soldato americano vittima di un attacco. A Mossul,
nel nord, assassinato un religioso sunnita, membro del comitato degli ulema. E
i marines americani hanno catturato un uomo che ritengono essere il comandante
in capo della guerriglia sunnita nella provincia occidentale di Anbar, che comprende Falluja e Ramadi. Si pensa
che fosse l'organizzatore della guerriglia attiva proprio in questa vasta provincia.
Gli americani restano impegnati a rastrellare Falluja, annunciando di aver
preso 1.000 prigionieri.
Sul
fronte politico il partito Baath, al potere durante gli anni di Saddam Hussein,
ha definito “vana” la Conferenza che si apre oggi a Sharm el Sheikh. Nella
località marittima egiziana, lontano dalla
violenza irachena, oppositori e sostenitori della guerra in Iraq si riuniscono da oggi pomeriggio per la
prima volta insieme dopo l'inizio del
conflitto un anno e mezzo fa. La riunione è stata voluta dal governo ad interim di Baghdad che cercherà
di ottenere un forte sostegno
internazionale nella speranza di conquistare una legittimità interna, finora carente se non nulla. Una ventina i ministri degli esteri e
davvero ampia la sfera dei partecipanti: potenze industriali del G8, Paesi
limitrofi dell'Iraq, (Iran, Kuwait, Arabia Saudita, Siria, Giordania e Turchia)
e poi Egitto, 'Unione Europea, Organizzazione Conferenze Islamiche, Lega Araba,
'troika' araba per l'Iraq (Tunisia,
Bahrein e Algeria), più il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, e il rappresentante della Cina
all'Onu.
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E proprio a margine del vertice dedicato all’Iraq
si terrà domani a Sharm el Sheikh una riunione del Quartetto – Onu, Stati Uniti,
Unione Europea e Russia – dedicata alla crisi in Medio Oriente ed al possibile
rilancio della “road map”. “Entrambe le parti sono disponibili”, ha dichiarato
stamattina il segretario di Stato americano, Powell, dopo avere incontrato a
Gerico le autorità palestinesi e quelle israeliane a Gerusalemme. Il servizio
di Graziano Motta:
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Unico il tema prevalente, quello delle elezioni
presidenziali palestinesi del 9 gennaio, che definisce una reale, positiva opportunità
per la pace, evocando e ribadendo l’impegno di Bush per la Road map.
“THE PRESIDENT REMAINS
COMMITTED TO THE ROAD MAP…”
E’ l’unica strada - conferma – e va percorsa passo
per passo. E’ tuttavia necessaria prima una chiara presa di distanza palestinese
dal terrorismo, la resa di ogni violenza, la nascita di istituzioni che possano
garantire un effettivo cessate il fuoco.
Dichiarazioni fatte nel corso di una conferenza
stampa con Shalom, che da parte sua afferma:
“THEY ARE INTERNAL
PALESTINIAN MATTERS…”
Sono un problema interno, ma la morte di Arafat e i
progressi conseguiti in Iraq dischiudono nella regione pace apportatrice di
democrazia, sicurezza e libertà per tutti.
Israele farà tutto il possibile per il loro
regolare svolgimento, rimuovendo ogni ostacolo, assicurando libertà di
movimento, facendovi partecipare anche gli arabi residenti a Gerusalemme est,
che pure votano per le amministrative israeliane. Su questa prospettiva si sono
pronunciati pure Shalom e Powell. Nell’insistere tutti sulla necessità di una
lotta palestinese alla violenza, Shalom ha posto l’accento su un altro
scenario:
“I RACE WITH THE SECRETARY
ISRAEL’S CONCERNS REGARDING…
C’è l’urgenza di un impegno della comunità internazionale
contro i fondamentalisti libanesi hezbollah, che con il sostegno dell’Iran e
della Siria hanno assunto il ruolo chiave di guida del terrorismo.
Ai leader palestinesi Powell ha dato anche un
supporto finanziario di 20 milioni di dollari per lo svolgimento delle elezioni
e il supporto politico per la nascita dello Stato indipendente.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Le autorità francesi, intanto,
hanno consegnato al nipote di Arafat, Nasser
al-Qidwa, copia della cartella clinica del defunto leader palestinese.
Continuano a succedersi le voci su un suo possibile avvelenamento: lo stesso
Nasser al-Qidwa ha dichiarato, stamattina, di non poter escludere l’ipotesi.
Dopo mesi di
tensione, sembra vicina ad una conclusione positiva la crisi nucleare iraniana.
L’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, ha infatti annunciato
stamattina la sospensione, da parte di Teheran, del suo programma di
arricchimento dell’uranio. “Quasi tutte le condizioni richieste sono state già
rispettate”, ha detto il direttore dell’Aiea, El Baradei, precisando che
comunque l’Iran non aveva prodotto “materiale sufficiente per creare una bomba
atomica”. L'Iran aveva annunciato che la sospensione sarebbe stata effettiva
dal 22 novembre, cioè oggi. In tal modo Teheran ha ridotto la minaccia che
l'Aiea, che si riunirà da giovedì a Vienna, mandi il dossier davanti al
Consiglio di sicurezza dell'Onu.
L’Onu
si prepara a inviare in Sudan almeno 7 mila ‘caschi blu’ a partire dal febbraio
2005, non appena governo e ribelli avranno firmato un accordo di pace
definitivo. Lo ha annunciato il rappresentante speciale delle Nazioni Unite a
Khartoum, Jan Pronk. Venerdì scorso, le autorità di Khartoum e gli
indipendentisti del sud si erano impegnati davanti al Consiglio di sicurezza,
riunito in seduta straordinaria a Nairobi, in Kenya, a sottoscrivere un’intesa
entro il 31 dicembre.
“Un
voto non in linea con gli standard democratici”. È il giudizio degli
osservatori internazionali sul ballottaggio di ieri in Ucraina, che ha visto
sfidarsi, per la carica di presidente della Repubblica, il premier Yanukovic ed
il capo dell’opposizione Yushenko. La vittoria del primo – al quale la
Commissione elettorale attribuisce oltre il 49 per cento dei consensi – è
duramente contestata nel Paese: sono oltre 100 mila le persone scese in piazza
nel centro di Kiev, per una protesta che si annuncia a tempo indefinito. Andrea
Sarubbi ha raggiunto telefonicamente l’inviato del Corriere della Sera,
Fabrizio Dragosei:
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R. - C’è una certa tensione,
anche se non siamo in una situazione paragonabile a quella della Georgia, della
cosiddetta Rivoluzione delle Rose, e ancora di meno a quella che si verificò in
Serbia quando riuscirono a cacciare Milosevic. La gente è molto tranquilla. Ci
sono delle manifestazioni pacifiche. Rumoreggiano davanti alla Commissione
elettorale e soprattutto hanno occupato la via centrale di Kiev. Chiedono che i
risultati, che secondo loro sono del tutto falsi, vengano annullati, e che
venga proclamato vincitore Yushenko, il candidato dell’opposizione.
D. – Se anche l’OSCE parla di
voto non democratico vuol dire che i brogli sono stati evidenti?
R. – Sicuramente brogli ce ne
sono stati e sono stati anche notevoli. Nelle zone sud orientali dove il primo
ministro Yanukovich è più forte, le zone filorusse, ci sono state affluenze
alle urne superiori al 99 per cento in alcune zone e chiaramente si tratta di
affluenze assolutamente sospette, così come per i risultati elettorali. Ci sono
stati alcuni distretti dove ha preso oltre il 90 per cento dei voti. Si tratta
sicuramente di risultati risibili.
D. – Quali conseguenze può avere
adesso questa spaccatura del Paese?
R. – Diciamo che la situazione
può diventare veramente molto difficile, perché a questo punto, con un
risultato proclamato ci vorrà qualcosa di grosso perché le cosi cambino. A
questo punto bisognerà vedere un po’ che atteggiamento prenderanno l’Europa e
gli Stati Uniti nei confronti di questo risultato. Però, francamente, io dubito
che la semplice pressione diplomatica dell’Occidente possa avere degli effetti,
anche perché, ricordiamo, il primo ministro, ora proclamato vincitore, ha
l’appoggio pieno della Russia, del presidente Putin, che è venuto qui due volte
durante la campagna elettorale a sostenerlo.
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In Cina, le autorità
della provincia settentrionale dell’Hebei stanno contando le vittime
dell’incendio di sabato in cinque miniere di ferro, nei pressi della città di
Shae. Sono già stati recuperati i corpi di 49 lavoratori, ed altri 8 cadaveri
sono all’interno delle cave. Tre i dispersi, 46 i minatori tratti in salvo.
Diplomazia al lavoro, in India,
per l’arrivo del premier pakistano, Shaukat Aziz. La prima visita ufficiale del
capo del governo di Islamabad, atteso domani a New Delhi, rappresenta infatti
un’occasione importante per appianare le divergenze riemerse, negli ultimi
giorni, sulla questione del Kashmir. Fa il punto per noi, dalla capitale
indiana, Maria Grazia Coggiola:
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In agenda ci sarà soprattutto il
dialogo di pace, avviato lo scorso gennaio dall’ex primo ministro indiano
Vajpayee. I due Paesi rivali dovranno dare l’avvallo politico al secondo round
di negoziati previsti a fine mese. Ma soprattutto dovranno cercare di ripianare
le differenze emerse nei battibecchi degli ultimi giorni a proposito del nodo
Kashmir. Mentre si sono moltiplicate in questi mesi le misure di distensione –
come la decisione di New Delhi, la scorsa settimana, di ridurre la presenza
dell’esercito – non si intravede nessun possibile accordo per un compromesso
sulla vallata himalayana. Il premier indiano Singh, nella sua visita a Srinagar, capoluogo del Kashmir
indiano, ha respinto l’ipotesi di Musharraf di demilitarizzare la regione e
porla sotto controllo congiunto o sotto amministrazione dell’ONU, il che ha
mandato su tutte le furie Musharraf che ha accusato New Delhi di scarsa
sensibilità ed ha ricordato che il Pakistan ha rinunciato a chiedere il
rispetto delle risoluzioni ONU, che prevedono un plebiscito popolare. Ieri
Singh ha invitato alla pazienza e ha reiterato l’impegno dell’India a
negoziare. Ma a questo punto molte nubi si addensano sul suo incontro con il
collega pachistano Aziz.
Da New Delhi, per la Radio Vaticana,
Maria Grazia Coggiola.
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