RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 327 - Testo della trasmissione di lunedì 22 novembre 2004

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Con la preghiera e l’azione, i fedeli si impegnino per la costruzione del Regno di Cristo: sull’esortazione del Papa, ieri all’Angelus, la riflessione di mons. Gianfranco Ravasi e Luigi Bobba

 

Fermare il “male comune” della guerra con la forza del “bene comune” della pace: lo ha detto il cardinale Renato Raffaele Martino, insignito a Pistoia del Premio Internazionale della Pace 2004

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La speranza della Chiesa in Costa d’Avorio perché torni la pace nel Paese africano: nostra intervista al cardinale Bernard Agre’

 

Dichiarazione finale ieri a Santiago del Cile al vertice dell’APEC, la Cooperazione economica Asia-Pacifico: con noi il prof. Mario Deaglio

 

Inizia domani a Roma il primo Congresso mondiale della vita consacrata sul tema: “Passione per Cristo, passione per l’umanità”: ce ne parla suor Chiara Stella Tenaglia

 

Nell’odierna ricorrenza di Santa Cecilia, vergine e martire, patrona dei musicisti, messa cantata a Roma presieduta dal cardinale Sebastiani: intervista con Bruno Cagli

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Abolite le leggi ingiuste e discriminatorie”. Questo l’appello al governo espresso dal presidente dei vescovi pakistani.

 

Stop alla corruzione, agli scandali e alla violenza: e’ il monito dell’arcivescovo di Panama, mons. Cedeno Delgado, in occasione della giornata di preghiera per la patria.

  

Condannati dai 3 ai 10 anni di carcere 17 montagnard in Vietnam. I cristiani protestanti sono accusati di aver causato disordini e minacciato la sicurezza nazionale la scorsa vigilia di Pasqua.

 

Ripristinata la pena capitale nello Sri Lanka dopo tre decenni. La decisione del governo di Colombo fa seguito all’omicidio di un magistrato dell’Alta Corte del Paese asiatico

 

Gravi danni ma fortunatamente nessuna vittima nell’ultimo attentato che ha colpito una scuola elementare cattolica nel Nepal occidentale.

 

Un film sulla drammatica vicenda dei ‘desaparecidos’ in Argentina si aggiudica il primo premio nel festival indipendente di Barcellona

 

24 ORE NEL MONDO:

Le elezioni presidenziali in Ucraina non sono democratiche: e’ la pesante denuncia degli osservatori europei dopo l’annuncio della vittoria del premier filo-russo. 

 

Ancora violenze in Iraq alla  vigilia dell’apertura dell’attesa conferenza a Sharm el Sheikh.

 

Colin Powell in Medio Oriente:  israeliani e palestinesi – afferma -  sono disponibili a rilanciare  il processo di pace  sulla base della road map

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 novembre 2004

 

 

CON LA PREGHIERA E L’AZIONE, I FEDELI SI IMPEGNINO PER LA COSTRUZIONE

DEL REGNO DI CRISTO: SULL’ESORTAZIONE DEL PAPA, IERI ALL’ANGELUS,

 LA RIFLESSIONE DI MONS. GIANFRANCO RAVASI E LUIGI BOBBA

 

I cristiani devono “assumere con maggior decisione” il loro impegno per l’edificazione del Regno di Cristo: è quanto sottolineato, ieri, da Giovanni Paolo II all’Angelus, incentrato sulla costituzione dogmatica Lumen Gentium, a 40 anni dalla promulgazione. Il Papa ha ricordato come questo documento conciliare, “pietra miliare nel cammino della Chiesa” esorti ogni battezzato, specie i fedeli laici, all’ “animazione evangelica dell’ordine temporale”. Qual è dunque il significato di queste parole del Pontefice per un fedele laico impegnato nella società? Alessandro Gisotti lo ha chiesto a Luigi Bobba, presidente delle Acli:

 

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R. – Credo che in questa esortazione ci sia la spinta, l’orientamento a superare quella frattura tra fede e vita di cui parlava Paolo VI. Non c’è ambiente che non possa essere animato, fermentato dalla esperienza vitale della fede, e credo che l’indicazione di Giovanni Paolo II sia stata proprio quella di non rinunciare proprio al volto pubblico del cristianesimo, alla testimonianza nel quotidiano, alla capacità di animare continuamente le realtà delle comunità in cui viviamo.

 

D. – Anche sulla scorta della sua esperienza personale, quali sono le difficoltà e quali le opportunità per un credente che si impegna nella società?

 

R. – Forse, la difficoltà principale è quella di resistere a questa deriva che sembra consegnare la fede alla sagrestia o al foro privato della coscienza. In secondo luogo, far sì che questa nostra esperienza di fede e testimonianza sociale si sappia muovere in quella duplice tensione di scomparire per essere efficace come il lievito che fa fermentare la pasta, ma allo stesso tempo essere anche come città sopra il monte, ben visibile, punto di orientamento: possiamo ancora lasciare tracce significative nelle nostre comunità.

 

D. – Il Papa ha ribadito la centralità della dottrina sociale della Chiesa, ricordando che recentemente è stato pubblicato un Compendio. Secondo lei, quanta attenzione c’è, quanto è viva oggi questa parte del Magistero della Chiesa nel confronto con le dinamiche della società odierna?

 

R. – C’è il rischio che, appunto, la parte sociale sia marginale nella nostra esperienza cristiana. Ha fatto molto bene la Chiesa a pubblicare questo compendio perché ci ricorda che c’è un insegnamento nel campo sociale che orienta, spinge all’azione… è criterio di discernimento per far sì che la nostra testimonianza abbia in qualche modo sempre una rotta. Ci induce a non essere rassegnati, pigri, a far sì che l’esperienza cristiana sia ancora capace di segnare sia il costume sociale che le nostre istituzioni.

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Azione concreta, dunque. Ma sempre all’Angelus di ieri, il Pontefice ha ribadito che ogni impegno umano “deve trovare appoggio nella preghiera”. Su questo appello, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana:

 

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R. – Vorrei esprimere la mia riflessione attraverso una piccola parabola che è stata presentata tra l’altro da un filosofo mistico ebreo, Heschel, il quale diceva che la preghiera dev’essere nell’interno dell’esistenza quotidiana qualcosa di simile a quello che accade quando si guarda una foglia in trasparenza, alla luce del sole. La foglia è costituita da un tessuto connettivo e da una nervatura; se fosse soltanto nervatura, sarebbe una sorta di mostro, si raggrinzirebbe su se stessa. Se fosse soltanto tessuto connettivo, senza sostegno e alimento, si ridurrebbe alla fine ad essere un pugno di cenere, di polvere che si dissolve. Ecco il rapporto tra impegno, azione concreta da una parte; dall’altra parte, preghiera, festa, liturgia è un po’ quello tra la nervatura e il tessuto connettivo.

 

D. – Mons. Ravasi, oggi viviamo in una società dove sono forti le spinte secolarizzanti, eppure sempre più persone sentono il bisogno di pregare. Perché, secondo lei?

 

R. – E’ vero. Esiste un po’ questo paradosso, perché da una parte la società sembra sempre più distratta, più superficiale, sempre più immersa nella piazza, incapace di raccogliere il mistero profondo che è in lei e al di fuori di lei.. D’altra parte, però, l’uomo – diceva Pascal, grande filosofo francese e credente – l’uomo supera infinitamente l’uomo, non può essere ridotto soltanto alla piccola isola del suo corpo, non è un grumo di cellule, non è soltanto avvolto nella pelle della quotidianità: ha dentro di sé una scintilla di eternità e di infinito. Ed ecco, allora, che esiste questa continua tensione. Perfino la preghiera dell’ateo che nel silenzio - come diceva uno scrittore russo ateo, Zinoviev - nel non senso della sua vita urla: “Io ti supplico, o Dio, cerca di esistere, perché una vita senza di te sarebbe una vita senza testimoni, e ben triste!”.

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UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto, nel corso della mattinata, nove presuli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America (Regione IX), in visita ad Limina.

 

         In Colombia, il Papa ha nominato vescovo di Libano-Honda il sacerdote José Miguel Gomez Rodriguez, del clero dell’arcidiocesi di Manizales, finora direttore del Dipartimento per la catechesi e la pastorale biblica del Segretariato permanente dell’episcopato colombiano. Il nuovo presule, 43 anni, dopo gli studi filosofici e teologici in patria, ha ottenuto la licenza in Sacra Scrittura presso l’Istituto Biblico di Roma.

 

Nella Repubblica democratica del Congo, il Pontefice ha nominato vescovo di Bokungu-Ikela il sacerdote padre Fridolin Ambongo Besungu, francescano cappuccino, finora vice-provinciale del suo Ordine nella Repubblica Democratica del Congo. Mons. Besungu ha 44 anni ed ha studiato nel suo Paese per poi perfezionarsi a Roma. Ha conseguito la Laurea in Teologia morale all’Alfonsianum.

 

Sempre nella Repubblica democratica del Congo, il Papa ha nominato ausiliare dell’Arcidiocesi di Bukavu mons. François Xavier Maroy, finora vicario generale della medesima arcidiocesi. Originario di Bukavu, dove è nato 48 anni fa, il neo ausiliare ha studiato in patria ed ha ricoperto, tra gli altri, gli incarichi di parroco, di prefetto e rettore al seminario minore, di vicario episcopale per la pastorale.

 

 

FERMARE IL “MALE COMUNE” DELLA GUERRA

CON LA FORZA DEL “BENE COMUNE” DELLA PACE:

LO HA DETTO IL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO,

INSIGNITO A PISTOIA DEL PREMIO INTERNAZIONALE DELLA PACE 2004

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Un premio di pace, dedicato ai bambini vittime della guerra, perché sono loro il simbolo innocente di un “male comune” assurdo e intollerabile, che insanguina tante parti del pianeta. Il cardinale Renato Raffaele  Martino, presidente di Giustizia e pace, ha rivolto un pensiero ai piccoli colpiti dai conflitti nel ricevere ieri pomeriggio, a Pistoia, il Premio internazionale della pace 2004, istituito dal Centro Studi “Giuseppe Donati” in memoria di Giorgio La Pira, del quale si celebra il centenario della nascita. Nella motivazione del premio, il porporato viene definito “testimone evangelico del bene della gente, dell’uomo, dei popoli, il cui messaggio è incentrato sui diritti dell’uomo, con l’auspicio della civiltà dell’amore”.

 

“Se la pace è quasi sinonimo di bene comune universale – è stata la riflessione del cardinale Martino - la violenza collettiva e la guerra costituiscono indubbiamente un male comune e, normalmente, un male infinitamente più grave degli eventuali beni e vantaggi particolari, che potrebbe procurare agli stessi vincitori”. Un male che la crescente potenza distruttiva delle armi ha reso “sempre più assurdo e intollerabile”, anche per i costi umani ed economici “che esso impone a tutta la comunità internazionale, anche al di là dei popoli direttamente coinvolti nel conflitto”. Dunque, ha affermato il presidente di Giustizia e Pace, è giunto per tutta l’umanità il momento di porre fine, una volta per tutte, a questo male comune; l’esigenza di superare questo stadio, per tanti aspetti pre-umano, della nostra storia si impone sempre di più come un’istanza etica fondamentale”.

 

La cerimonia di premiazione, svoltasi nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia, ha coinvolto anche altre personalità tra cui il prof. Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, e Fra’ Ibrahim Faltas, responsabile dello status quo nella Basilica della Natività a Betlemme, insigniti dei Premi della Cultura e della Solidarietà.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'Iraq: fissata per il 30 gennaio la data delle elezioni generali.

 

Nelle vaticane, all'Angelus Giovanni Paolo II ricorda il quarantesimo anniversario della "Lumen gentium", una tappa miliare nel cammino della Chiesa sulle strade del mondo.

La Concelebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale Angelo Sodano - a Split, in Croazia - in occasione dell'ordinazione episcopale di Mons. Martin Vidovic. I servizi del nostro inviato Giampaolo Mattei.

 

Nelle estere, Medio Oriente: la diplomazia statunitense all'opera nel tentativo di rilanciare il negoziato.

Per la rubrica dell' "Atlante geopolitico", un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Thailandia: uno dei punti cruciali nella complessa mappa del terrorismo internazionale".

 

Nella pagina culturale, un approfondito contributo critico di Daniel Estivill in merito ad un'opera di Jean-Auguste Dominique Ingres: "Maria e l'Eucaristia".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano un articolo dal titolo "Sempre più grave la tensione nella Cdl": attacco di Pera ad alleati e moderati - Dure le repliche.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 novembre 2004

 

 

LA SPERANZA DELLA CHIESA DELLA COSTA D’AVORIO

AFFINCHE’ TORNI LA PACE NEL PAESE AFRICANO

- Intervista con il cardinale Bernard Agré -

 

Nuove polemiche nella crisi in Costa d’Avorio. La Francia ha respinto con fermezza le accuse di violenze lanciate dal presidente ivoriano, Laurent Gbagbo, contro il contingente di pace transalpino. Intanto, il capo dello Stato del Sudafrica, Thabo Mbeki, rilancia la proposta di fare da mediatore tra governo di Yamoussoukro e ribelli del nord. In quest’emergenza, che ha coinvolto anche i militari francesi, gravi le difficoltà per la popolazione civile che si sta rifugiando in Liberia, mentre gli stranieri sono stati praticamente tutti evacuati. Ma come la Chiesa locale sta vivendo la drammatica emergenza che colpisce il Paese ivoriano? Giancarlo La Vella lo ha chiesto al cardinale Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan, che è stato ricevuto in udienza dal Papa giovedì scorso:

 

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R. – La speranza non è perduta. Nella vita non c’è Pasqua senza Venerdì Santo. Noi viviamo tutto questo con molta fede e speranza. La gente soffre molto, perché il Paese è diviso in due parti: nord e sud. Ma il nord non è soltanto musulmano, perché anche la Chiesa è presente lì con tante parrocchie e diocesi. Nel sud ci sono molti musulmani e cristiani, che convivono. Dobbiamo cercare di creare amicizia tra musulmani e cristiani e lo facciamo già abbastanza bene attraverso il perdono e la riconciliazione.

 

D. – Proprio nei giorni scorsi il Sudafrica, con il presidente Tabo Mbeki, ha riproposto una mediazione per riportare la pace in Costa d’Avorio. E’, secondo lei, la via giusta?

 

R. – Potrebbe essere la via giusta, perché lui è venuto qui e ha visto come vanno le cose. Può, dunque, formulare una soluzione giusta, perché ha le informazioni giuste. I francesi hanno il loro punto di vista; pensano di poter rimanere nel Paese per aiutarlo, ma la gente non la vede così. E allora si creano contrasti. La gente, il governo, i francesi sono uomini. Solo le cime delle montagne non possono incontrarsi, ma le persone possono. Penso, quindi, che a poco a poco troveremo la strada giusta per la pace con i francesi e tra gli ivoriani.     

 

D. – La preoccupazione maggiore va alle condizioni della popolazione civile che chiaramente soffre più di ogni altro questa situazione. Che cosa si può fare per alleviarle?

 

R. – Almeno parlare, dare informazioni corrette, perché la gente soffre moltissimo il silenzio della comunità internazionale sulla Costa d’Avorio. E poi non si danno informazioni corrette. Ma a poco a poco sono certo che tutto cambierà in meglio, ma intanto la gente soffre, soffre molto.

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DICHIARAZIONE FINALE IERI DEL VERTICE DELL’APEC,

COOPERAZIONE ECONOMICA ASIA-PACIFICO

- Intervista con Mario Deaglio -

 

La dichiarazione finale firmata, ieri, a Santiago del Cile dai leader delle economie aderenti all’APEC, la Cooperazione economica Asia-Pacifico, affronta i temi legati al commercio internazionale, al terrorismo, alla corruzione ed allo sviluppo sostenibile. Un vertice caratterizzato dalla presenza del presidente statunitense Bush e dei maggiori leader mondiali. Ce ne parla Eugenio Bonanata:

 

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Le 21 economie d’America e Asia che si affacciano sul Pacifico hanno concluso il loro XII Vertice con l’adozione della “Dichiarazione di Santiago” che ha per titolo “Una comunità, il nostro futuro”. Sul fronte del commercio internazionale, si sottolinea soprattutto la priorità di favorire, attraverso accordi e trattati, il processo di liberalizzazione commerciale definendo, peraltro, una strategia di sviluppo sostenibile APEC per il 2005. La presenza del presidente americano, George Bush, oltre a dare visibilità all’evento, ha condizionato fortemente l’agenda dell’incontro proponendo temi preoccupanti per la Casa Bianca. Secondo fonti diplomatiche, si tratta di una anticipazione del tipo di “diplomazia aggressiva” che caratterizzerà sicuramente il “Bush 2” sul piano internazionale. A margine del vertice, il presidente americano ha sviluppato una serie di incontri bilaterali con i leader di Russia, Cina, Corea del Sud e Giappone da cui emerge un messaggio a Corea del Nord e Iran perché depongano i propri programmi nucleari. Attenzione, dunque, al problema del terrorismo internazionale che, secondo Bush, condiziona fortemente la libertà degli scambi commerciali. Al vertice APEC anche l’incontro tra il primo ministro giapponese, Koizumi, e il presidente cinese Hu Jintao. I due non sciolgono il gelo nei rapporti politici, ma riannodano i legami ''di comune interesse'' nella cooperazione economica.

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In primo piano all’APEC, dunque, economia e emergenze politiche, ennesima conferma del fatto che non si possono non considerare insieme. Ma per riflettere a questo proposito, Fausta Speranza ha intervistato l’economista Mario Deaglio:

                                    

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R. – E’ emerso un inventario di problemi cui è però difficile far seguire azioni concrete. E’ un quadro di crescente libertà di commercio secondo il modello americano classico, attenuata, se andiamo a vedere, da tutta una serie di restrizioni che i singoli Paesi continuano a mettere. Non solo, ma invece di una grande area pacifica, sta venendo fuori una forte area cinese che comprende anche alcuni Paesi limitrofi e l’area dei Paesi dell’Asia di Sudest che, con la loro organizzazione ASEAN, commerciano sempre più tra di loro. E’ una delle organizzazioni che, comunque, fanno parte del nuovo ordine mondiale e l’Europa è clamorosamente assente.

 

D. – Assente, perché?

 

R. – Ma ... si sarebbe tentati di dire assente per motivi geografici, ma noi siamo sempre stati presenti nell’area del Pacifico e siamo, come Unione Europea, il principale partner commerciale della Cina. Non veniamo però chiamati quando si tratta di mettere assieme, in qualche modo e anche solo a livello formale, economia e politica. Ma dobbiamo tener conto che nell’area del Pacifico vive più della metà della popolazione del mondo, la quale si sta avviando verso forme di sistemazioni che toccheranno tutto il pianeta, dalle quali noi siamo esclusi.

 

D. – Professor Deaglio, al di là dell’APEC, in altre occasioni di questo tipo di vertici mondali, c’è la voce dell’economia e voce della politica: chi parla più forte?

 

R. – E’ più forte la voce della politica. Questo è sempre stata una costante, tranne in pochi periodi. Secondo me, uno dei periodi è stato quello della globalizzazione di mercato che, a mio modo di vedere, incomincia verso la metà degli anni Ottanta e finisce con la crisi della borsa americana del 2000. In quel periodo lì, effettivamente, il mercato mondiale si è sviluppato al di là della politica, al di là delle aspettative dei politici, che avevano altro da fare: la caduta dell’Unione Sovietica e altre cose del genere ... Però, mi sembra che, dopo la crisi della borsa americana e dopo l’emergere del terrorismo internazionale del 2001, la politica abbia saldamente ripreso le redini.

 

D. – Secondo lei, lo fa rispettando i valori più alti della politica, in questo momento?

 

R. – La mia impressione viscerale è proprio di no. Misuriamo la mancanza di grandi visioni sul quadro politico. Una possibile grande visione che io non condivido proprio, ma alla quale però va dato il carattere di grande visione, è quella americana, che vede l’America al centro di Paesi che sono liberi ma in qualche modo riconoscono l’egemonia USA, si servono della moneta americana, vivono all’ombra della protezione americana e seguono regole americane. Gli americani sono fortemente convinti che questo sia il bene di tutti. Al di là di questo, io vedo fortissimi interessi meschini, legati a realizzazioni di profitti di natura immediata o quasi immediata: pensiamo alla protezione dell’America nel campo dell’inquinamento, del Trattato di Kyoto che non vogliono firmare. Insomma, abbiamo una serie di situazioni legate non già a grandi visioni, ma a interessi pratici. Purtroppo, questo riguarda anche noi europei che qualche volta pensiamo di essere più bravi degli altri, ma siamo allo stesso livello di miopia!

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INIZIA DOMANI A ROMA IL PRIMO CONGRESSO MONDIALE

 DELLA VITA CONSACRATA SUL TEMA:

“PASSIONE PER CRISTO, PASSIONE PER L’UMANITA’”

- Intervista con suor Chiara Stella Tenaglia -

 

Inizia domani a Roma il primo Congresso Mondiale della Vita Consacrata.  Presenti oltre 800 religiosi appartenenti alle due Unioni internazionali dei superiori e delle superiore generali. Obiettivo dell'incontro è quello di rilanciare la vita consacrata nel mondo contemporaneo. Tra le sfide principali: l’evangelizzazione, il dialogo, le ingiustizie sociali, la difesa della vita, le migrazioni.  Il Congresso si svolge sul tema “Passione per Cristo, passione per l’umanità”. Ma come possono oggi i religiosi dare questa testimonianza a tutta la società? Giovanni Peduto lo ha chiesto a suor Chiara Stella Tenaglia, delle Francescane Missionarie di Gesù Bambino, segretaria dell’Ufficio centrale dell’Unione Superiori Generali:

 

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R. – Questa testimonianza va data ed è fondamentale, altrimenti la vita consacrata è nulla. La passione per Cristo è fondamentale per ogni persona consacrata, nel senso che è una scelta radicale di Lui. Non si può vivere questa scelta senza un dono all’umanità, perché la salvezza è per tutti gli uomini e se noi dobbiamo essere strumenti dell’amore del Verbo incarnato, dobbiamo essere capaci di donare Cristo agli uomini in qualsiasi situazione e cultura.

 

D. – Quali sono le maggiori difficoltà che i religiosi incontrano nel mondo?

 

R. – La maggiore difficoltà è la diffusione di un laicismo che ci esclude a priori. E forse, l’altra difficoltà è questa: abbiamo una storia di strutture alle spalle che a volte non ci permette di entrare così, semplicemente, umanamente, come farebbe Cristo, in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo: così rischiamo di essere visti come lontani, sulla vetta di una montagna.

 

D. – Come vanno le vocazioni? Si può fare un calcolo di quanti sono i religiosi e le religiose nel mondo, approssimativamente?

 

R. – Approssimativamente siamo quasi un milione e 10 mila religiosi e religiose nel mondo. E’ una grande forza missionaria, una grande forza di evangelizzazione, ma anche una grande forza di testimonianza, al di là di quello che può capitare nella storia, perché le povertà ci sono sempre. Però, quello che è importante è che la vita religiosa ritorni ancora di più ad essere segno profondo in una società che sta cambiando radicalmente.

 

D. – E a proposito di segni. Povertà, castità, obbedienza: cosa dicono al mondo d’oggi?

 

R. – Io penso che è importante il modo in cui noi viviamo questi valori: possono essere un segno che qualche cosa di diverso può accadere, che qualche cosa può cambiare anche nel mondo sociale, perché non si è poveri per essere poveri, ma si è poveri per donare; non si è casti per essere casti, ma si è casti per aprire il cuore alla tenerezza e alla povertà del mondo; si è obbedienti per entrare in un grande disegno di Dio. Questo è molto importante!

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UNA MESSA CANTATA IN ONORE DI SANTA CECILIA:

QUESTA MATTINA A ROMA NEL GIORNO IN CUI IL CALENDARIO LITURGICO

RICORDA LA PATRONA DEI MUSICISTI

- Ai nostri microfoni il cardinale Sergio Sebastiani e il prof. Bruno Cagli -

 

Una messa cantata in onore di Santa Cecilia, la patrona dei musicisti che oggi il calendario liturgico ricorda. L’ha celebrata questa mattina il cardinale Sabastiani nella Chiesa dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari, a Roma, con il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (Maestro del Coro, Roberto Gabbiani) e l’Orchestra della Fondazione Domenico Bartolucci, diretti dallo stesso Bartolucci, autore delle musiche e Maestro della Cappella Sistina. A.V.:

 

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(musica)

 

La tradizione rappresenta Santa Cecilia, la vergine e martire romana vissuta nel III sec. d.C., mentre si avvia al martirio, cantando accompagnandosi all’organo. Per questo è stata eletta a protettrice della musica e dei musicisti. A festeggiarla oggi l’Accademia musicale Nazionale a lei intitolata nel 1585, per volontà del presidente, Bruno Cagli:

 

“Quando sono diventato presidente per la prima volta  ho ristabilito il lusso di fare una messa cantata. Questo ha avuto una breve interruzione negli ultimi anni, ma adesso l’ho ripresa. La Messa viene celebrata in latino perché, come musicologo, ho anche il compito di valorizzare il grande patrimonio della musica sacra che, come sappiamo, è al 99 per cento in latino”.

 

Nella sua omelia, il cardinale Sergio Sebastiani ha lodato l’esecuzione e la capacità dell’arte di unire l’Europa sotto un’unica bandiera di fede e cultura:

 

“Santa Cecilia ci ha fatto oggi dono di uno stupendo modello di musica sacra, elevando a Dio i nostri pensieri e i nostri cuori. Possa la Santa Patrona intercedere per tutte le persone che hanno a cuore la ripresa, anzi lo sviluppo della musica sacra”.

 

Musica sacra esaltata nei Salmi, in Sant’Agostino, come strumento di preghiera e tramite fra l’uomo e Dio, ha detto il porporato. Lo conferma il musicologo Bruno Cagli:

 

“Già Raffaello, quando effigiava Santa Cecilia, aveva stabilito dei canoni filosofici. Abbiamo gli strumenti profani a terra, che indicano che c’è una musica profana di intrattenimento, come direi in termini moderni. Abbiamo Santa Cecilia con un organo in mano, quindi strumento di mediazione, e abbiamo in alto gli angeli che cantano. Quindi la musica celeste è quella vocale prima di tutto, che è una forma di comunicazione con Dio”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

22 novembre 2004

 

 

“ABOLITE LE LEGGI INGIUSTE E DISCRIMINATORIE”.

 QUESTO, IN SINTESI, L’APPELLO AL GOVERNO ESPRESSO DAL PRESIDENTE

 DELLA CONFERENZA EPISCOPALE PAKISTANA. I PRESULI AUSPICANO,

INOLTRE, LA GIUSTIZIA SOCIALE E LA COESISTENZA PACIFICA NEL PAESE

 

LAHORE. = Elogi per i passi avanti compiuti in Pakistan e precise richieste di abolire leggi “ingiuste e discriminatorie” ancora in vigore: sono i punti chiave della lettera che mons. Lawrence John Saldanha, arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza episcopale pakistana, ha inviato al presidente Pervez Musharraf e al primo ministro, Shuakat Aziz. Nella missiva il presule esprime apprezzamento, da parte di tutta la Conferenza episcopale, per la politica del governo, che sta tentando di rendere il Pakistan un Paese liberale, dove regna il benessere e basato su principi di giustizia sociale e coesistenza pacifica. Fatta questa premessa, tuttavia, mons. Saldanha segnala le grandi sfide che il Paese è chiamato ad affrontare e che la leadership politica deve tenere ben presenti. L’arcivescovo di Lahore nota che l’abolizione del sistema elettorale basato sull’appartenenza religiosa operata dal governo è stata un fatto positivo, che dovrebbe essere applicata anche agli organi di rappresentanza locali, nelle diverse province. Un capitolo particolarmente dettagliato è dedicato al cosiddetto “delitto di onore”, che vige ancora nella legislazione pakistana: una pratica che legittima l’uccisione di una donna ritenuta adultera. La lettera, tuttavia, sottolinea con rammarico che il Parlamento non ha preso in esame le raccomandazioni espresse dalla Commissione per la situazione della donna e da altre associazioni civili e religiose, che hanno chiesto a gran voce una modifica della legge. Quest’ultima, nota il vescovo, “riduce la donna ad un entità legale” e non persegue quanti si rendono colpevoli di violenza contro le donne nel vita domestica e sociale. Altra chiara richiesta del presidente della Conferenza episcopale pakistana è l’abolizione della legge sulla blasfemia, che punisce quanti pronunciano in modo offensivo il nome del Profeta Maometto. Ma essa è spesso utilizzata per colpire avversari o nemici e in numerosi casi i cristiani ne hanno fatto le spese. L’arcivescovo la ritiene “ingiusta e discriminatoria” e ne chiede, infine, la completa abrogazione. (B.C.)

 

 

STOP ALLA CORRUZIONE, AGLI SCANDALI E ALLA VIOLENZA: E’ IL MONITO

DELL’ARCIVESCOVO DI PANAMA, MONS. CEDENO DELGADO, IN OCCASIONE DELLA

GIORNATA DI PREGHIERA PER LA PATRIA. IL PRESULE INVITA, INOLTRE,

I FEDELI A PREGARE PER LA PACE E L’AMORE FRATERNO NEL PAESE

 

PANAMA. = La corruzione non si combatte con la vendetta né con l’impunità, ma con il ripristino dello stato di diritto. Con queste parole l’arcivescovo di Panama, mons. José Dimas Cedeño Delgado, indica al governo la strada maestra per riportare il Paese e le istituzioni alla legalità. Il presule invita, inoltre, i panamensi a “pregare affinché prevalga la pace e l’amore fraterno, ossia i due capisaldi per avviare il dialogo e superare i momenti di tensione causati dalla corruzione, dagli scandali, dai problemi economici e, non ultimo, dalle calamità naturali”. Secondo l’arcivescovo di Panama: “La distribuzione della ricchezza è iniqua e l’errata interpretazione della globalizzazione favorisce solo determinati settori economici”. Quanto alla violenza, mons. Dimas Cedeño Delgado è convinto che dipenda molto dalle “sfrenate passioni e dalla crisi dell’istituto familiare”. Il presule è intervenuto sulla crisi che investe il Paese in occasione della Giornata di preghiera per la patria, lo scorso 18 novembre nella Cattedrale metropolitana di Santa Maria la Antigua. Presenti alla cerimonia anche rappresentanti ortodossi, ebrei e mussulmani e lo stesso presidente panamense, Martin Torrijos. (D.D.)

 

 

CONDANNATI DAI 3 AI 10 ANNI DI CARCERE 17 MONTAGNARD IN VIETNAM.

I CRISTIANI PROTESTANTI SONO ACCUSATI DI AVER CAUSATO DISORDINI E

MINACCIATO LA SICUREZZA NAZIONALE LA SCORSA VIGILIA DI PASQUA

 

HANOI. = Condanne fino a 10 anni di detenzione in Vietnam per 17 Montagnard, accusati di aver minacciato la sicurezza e l’unità nazionale durante le proteste avvenute la vigilia della scorsa Pasqua. Secondo quanto riferisce l’agenzia Asianews, la scorsa settimana, nella provincia di Dak Nong, il Tribunale provinciale del popolo, in seguito a 3 processi distinti, ha condannato alcuni abitanti dell’altopiano centrale del Vietnam dai 3 ai 10 anni di carcere. I 17 sono accusati di aver costretto persone della loro etnia a scappare nella vicina Cambogia e di aver convinto altri Montagnard a unirsi alla protesta, causando disordini pubblici e andando contro la polizia del Partito comunista e il governo. Nel weekend di Pasqua decine di migliaia di tribali degli altopiani, cristiani protestanti, sono scesi in piazza nelle province di Daklak, Dak Nong e Gia Lai per protestare in modo pacifico contro la repressione religiosa del governo e la continua confisca delle loro terre. Secondo organizzazioni internazionali per i diritti umani, 10 manifestanti sono morti negli scontri con la polizia. Hanoi, invece, ha dichiarato solo 2 vittime, colpite dalle pietre lanciate dagli altri protestanti. Attualmente sono almeno una dozzina i Montagnard incarcerati nella province di Daklak e Gia Lai, accusati di essere coinvolti nelle manifestazioni; più di 500 quelli fuggiti in Cambogia e ora sotto la protezione Onu per i rifugiati. Da anni i Montagnard subiscono esproprio di terre e persecuzione religiosa da parte del governo. (B.C.)

 

 

RIPRISTINATA LA PENA CAPITALE NELLO SRI LANKA DOPO TRE DECENNI.

LA DECISIONE DEL GOVERNO DI COLOMBO FA SEGUITO ALL’OMICIDIO

DI UN MAGISTRATO DELL’ALTA CORTE DEL PAESE ASIATICO

 

COLOMBO. = Notizia shock dallo Sri Lanka. Il governo di Colombo, infatti, riferisce l’agenzia Misna, ha deciso di ripristinare la pena di morte 28 anni dopo l’ultima esecuzione capitale. La decisione è stata adottata in seguito all’assassinio del magistrato dell’Alta corte dello Sri Lanka, Sarath Ambepitiya, ucciso insieme con la sua guardia del corpo fuori dalla sua abitazione nella capitale. Ignota, al momento, l’identità degli assassini, sebbene i sospetti degli inquirenti cadano sulle bande di spacciatori o le Tigri Tamil, gruppi ai quali recentemente il giudice aveva comminato pesanti pene detentive. La pena capitale, secondo l’ufficio della presidente Chandrika Kumaratunga, sarà applicabile ai reati di omicidio, traffico di droga e stupro. Il governo ha, inoltre, espresso la volontà di riorganizzare e rafforzare “con effetto immediato” anche l’unità di polizia specializzata nella prevenzione del crimine. Le ultime impiccagioni nell’isola a sud dell’India risalgono al 1976. Da allora molti assassini e narcotrafficanti sono stati condannati a morte, ma hanno avuto la pena commutata nell’ergastolo. (B.C.)

 

 

GRAVI DANNI MA FORTUNATAMENTE NESSUNA VITTIMA NELL’ULTIMO

ATTENTATO CHE HA COLPITO UNA SCUOLA ELEMENTARE CATTOLICA

NEL NEPAL OCCIDENTALE. DIETRO IL FOLLE GESTO, CON OGNI

PROBABILITA’, I GUERRIGLIERI ANTIGOVERNATIVI

 

KATHMANDU. = Ennesimo attentato in Nepal contro un istituto cattolico. Lo scorso 18 novembre, una bomba a orologeria ha distrutto una scuola cattolica gestita dalle suore di Maria Bambina. I sospetti, riferisce l’agenzia Fides, ricadono su gruppi di guerriglieri antigovernativi, ultime frange dell’estremismo comunista radicale. Dopo un breve tregua, gli scontri fra l’esercito regolare e i ribelli sono ripresi nel Paese, ma la recrudescenza contro le istituzioni cattoliche era inattesa. L’esplosione contro la scuola elementare di San Capitanio a Tansen, nell’Ovest del Paese, a circa 300 km dalla capitale Kathmandu, ha causato ingenti danni: i vetri alle finestre sono infranti, i muri sono crepati, oggetti e arredi scolastici sono stati distrutti. Fortunatamente la bomba non ha causato né vittime, né feriti. Suor Berard Kurien, superiora della Casa, ha informato che le lezioni sono sospese almeno fino al 3 dicembre. “Siamo sconvolte – ha detto – perché poteva esserci qualcuno all’interno della scuola”. Questo è il terzo attentato contro scuole cattoliche in Nepal nel 2004. Il primo è stato condotto contro l’istituto Piccolo Fiore a Narayanghat, nell’est del Paese, il 6 giugno scorso; mentre il secondo alla St. Joseph School di Gorkha, il 12 settembre. La comunità cattolica in Nepal conta 7.500 fedeli. La Chiesa, con le sue 23 scuole, riesce a dare istruzione a molti ragazzi nepalesi, soprattutto non cristiani e a quelli delle famiglie più povere provvede con borse di studio offerte dall’estero. (B.C.)

 

 

UN FILM SULLA DRAMMATICA VICENDA DEI ‘DESAPARECIDOS’ IN ARGENTINA

SI AGGIUDICA IL PRIMO PREMIO NEL FESTIVAL INDIPENDENTE DI BARCELLONA

 

BARCELLONA. = Il lungometraggio “Los Rubios” (“I Biondi”), della cineasta argentina Albertina Carri, ha vinto l’undicesima edizione del “Festival indipendente di Barcellona, l’Alternativa”. La pellicola, di 89 minuti, racconta il dolore della tragica vicenda dei ‘desaparecidos’ argentini, tra i quali anche i genitori della regista. Alternando documentario e finzione cinematografica, la cineasta argentina, si scontra con l’impossibilità di ricostruire la vita dei suoi genitori, rapiti nel 1977 dalla polizia militare (la dittatura in Argentina cominciò nel 1976 per concludersi solo nel 1983) e mai più ritrovati vivi. Il film è interpretato da Analía Couceyro, Marcelo Zanelli, Santiago Giralt, Jesica Suarez e sceneggiato, oltre che diretto, dalla Carri. All’undicesima edizione del festival indipendente hanno partecipato più di 400 lungometraggi e cortometraggi di 36 diversi Paesi. (B.C.)

 

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24 ORE NEL MONDO

22 novembre 2004

 

- A cura di Fausta Speranza –

 

Ancora violenze in Iraq a poche ore dall’apertura dell’attesa Conferenza a Sharm el Sheikh. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Tre morti, tra cui un bambino, nella capitale in diversi episodi di violenza: il piccolo ucciso da un colpo di mortaio in un quartiere residenziale; un iracheno morto in una sparatoria; un soldato americano vittima di un attacco. A Mossul, nel nord, assassinato un religioso sunnita, membro del comitato degli ulema. E i marines americani hanno catturato un uomo che ritengono essere il comandante in capo della guerriglia sunnita nella provincia  occidentale di Anbar, che comprende Falluja e Ramadi. Si pensa che fosse l'organizzatore della guerriglia attiva proprio in questa vasta provincia. Gli americani restano impegnati a rastrellare Falluja, annunciando di aver preso 1.000 prigionieri.

 

Sul fronte politico il partito Baath, al potere durante gli anni di Saddam Hussein, ha definito “vana” la Conferenza che si apre oggi a Sharm el Sheikh. Nella località marittima egiziana, lontano dalla  violenza irachena, oppositori e sostenitori della guerra in Iraq  si riuniscono da oggi pomeriggio per la prima volta insieme dopo l'inizio del  conflitto un anno e mezzo fa. La riunione è stata voluta dal  governo ad interim di Baghdad che cercherà di ottenere un forte  sostegno internazionale nella speranza di conquistare una  legittimità interna, finora carente se non nulla.  Una ventina i ministri degli esteri e davvero ampia la sfera dei partecipanti: potenze industriali del G8, Paesi limitrofi dell'Iraq, (Iran, Kuwait, Arabia Saudita, Siria, Giordania e Turchia) e poi Egitto, 'Unione Europea, Organizzazione Conferenze Islamiche, Lega Araba, 'troika' araba per l'Iraq (Tunisia,  Bahrein e Algeria), più il segretario generale dell'Onu, Kofi  Annan, e il rappresentante della Cina all'Onu.

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E proprio a margine del vertice dedicato all’Iraq si terrà domani a Sharm el Sheikh una riunione del Quartetto – Onu, Stati Uniti, Unione Europea e Russia – dedicata alla crisi in Medio Oriente ed al possibile rilancio della “road map”. “Entrambe le parti sono disponibili”, ha dichiarato stamattina il segretario di Stato americano, Powell, dopo avere incontrato a Gerico le autorità palestinesi e quelle israeliane a Gerusalemme. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Unico il tema prevalente, quello delle elezioni presidenziali palestinesi del 9 gennaio, che definisce una reale, positiva opportunità per la pace, evocando e ribadendo l’impegno di Bush per la Road map.

 

“THE PRESIDENT REMAINS COMMITTED TO THE ROAD MAP…”

E’ l’unica strada - conferma – e va percorsa passo per passo. E’ tuttavia necessaria prima una chiara presa di distanza palestinese dal terrorismo, la resa di ogni violenza, la nascita di istituzioni che possano garantire un effettivo cessate il fuoco.

 

Dichiarazioni fatte nel corso di una conferenza stampa con Shalom, che da parte sua afferma:

 

“THEY ARE INTERNAL PALESTINIAN MATTERS…”

Sono un problema interno, ma la morte di Arafat e i progressi conseguiti in Iraq dischiudono nella regione pace apportatrice di democrazia, sicurezza e libertà per tutti.

 

Israele farà tutto il possibile per il loro regolare svolgimento, rimuovendo ogni ostacolo, assicurando libertà di movimento, facendovi partecipare anche gli arabi residenti a Gerusalemme est, che pure votano per le amministrative israeliane. Su questa prospettiva si sono pronunciati pure Shalom e Powell. Nell’insistere tutti sulla necessità di una lotta palestinese alla violenza, Shalom ha posto l’accento su un altro scenario:

 

“I RACE WITH THE SECRETARY ISRAEL’S CONCERNS REGARDING…

 C’è l’urgenza di un impegno della comunità internazionale contro i fondamentalisti libanesi hezbollah, che con il sostegno dell’Iran e della Siria hanno assunto il ruolo chiave di guida del terrorismo.

 

Ai leader palestinesi Powell ha dato anche un supporto finanziario di 20 milioni di dollari per lo svolgimento delle elezioni e il supporto politico per la nascita dello Stato indipendente.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta. 

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Le autorità francesi, intanto, hanno consegnato al nipote di Arafat, Nasser al-Qidwa, copia della cartella clinica del defunto leader palestinese. Continuano a succedersi le voci su un suo possibile avvelenamento: lo stesso Nasser al-Qidwa ha dichiarato, stamattina, di non poter escludere l’ipotesi.

 

Dopo mesi di tensione, sembra vicina ad una conclusione positiva la crisi nucleare iraniana. L’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, ha infatti annunciato stamattina la sospensione, da parte di Teheran, del suo programma di arricchimento dell’uranio. “Quasi tutte le condizioni richieste sono state già rispettate”, ha detto il direttore dell’Aiea, El Baradei, precisando che comunque l’Iran non aveva prodotto “materiale sufficiente per creare una bomba atomica”. L'Iran aveva annunciato che la sospensione sarebbe stata effettiva dal 22 novembre, cioè oggi. In tal modo Teheran ha ridotto la minaccia che l'Aiea, che si riunirà da giovedì a Vienna, mandi il dossier davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu.

 

L’Onu si prepara a inviare in Sudan almeno 7 mila ‘caschi blu’ a partire dal febbraio 2005, non appena governo e ribelli avranno firmato un accordo di pace definitivo. Lo ha annunciato il rappresentante speciale delle Nazioni Unite a Khartoum, Jan Pronk. Venerdì scorso, le autorità di Khartoum e gli indipendentisti del sud si erano impegnati davanti al Consiglio di sicurezza, riunito in seduta straordinaria a Nairobi, in Kenya, a sottoscrivere un’intesa entro il 31 dicembre.

 

“Un voto non in linea con gli standard democratici”. È il giudizio degli osservatori internazionali sul ballottaggio di ieri in Ucraina, che ha visto sfidarsi, per la carica di presidente della Repubblica, il premier Yanukovic ed il capo dell’opposizione Yushenko. La vittoria del primo – al quale la Commissione elettorale attribuisce oltre il 49 per cento dei consensi – è duramente contestata nel Paese: sono oltre 100 mila le persone scese in piazza nel centro di Kiev, per una protesta che si annuncia a tempo indefinito. Andrea Sarubbi ha raggiunto telefonicamente l’inviato del Corriere della Sera, Fabrizio Dragosei:

 

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R. - C’è una certa tensione, anche se non siamo in una situazione paragonabile a quella della Georgia, della cosiddetta Rivoluzione delle Rose, e ancora di meno a quella che si verificò in Serbia quando riuscirono a cacciare Milosevic. La gente è molto tranquilla. Ci sono delle manifestazioni pacifiche. Rumoreggiano davanti alla Commissione elettorale e soprattutto hanno occupato la via centrale di Kiev. Chiedono che i risultati, che secondo loro sono del tutto falsi, vengano annullati, e che venga proclamato vincitore Yushenko, il candidato dell’opposizione.

 

D. – Se anche l’OSCE parla di voto non democratico vuol dire che i brogli sono stati evidenti?

 

R. – Sicuramente brogli ce ne sono stati e sono stati anche notevoli. Nelle zone sud orientali dove il primo ministro Yanukovich è più forte, le zone filorusse, ci sono state affluenze alle urne superiori al 99 per cento in alcune zone e chiaramente si tratta di affluenze assolutamente sospette, così come per i risultati elettorali. Ci sono stati alcuni distretti dove ha preso oltre il 90 per cento dei voti. Si tratta sicuramente di risultati risibili.

 

D. – Quali conseguenze può avere adesso questa spaccatura del Paese?

 

R. – Diciamo che la situazione può diventare veramente molto difficile, perché a questo punto, con un risultato proclamato ci vorrà qualcosa di grosso perché le cosi cambino. A questo punto bisognerà vedere un po’ che atteggiamento prenderanno l’Europa e gli Stati Uniti nei confronti di questo risultato. Però, francamente, io dubito che la semplice pressione diplomatica dell’Occidente possa avere degli effetti, anche perché, ricordiamo, il primo ministro, ora proclamato vincitore, ha l’appoggio pieno della Russia, del presidente Putin, che è venuto qui due volte durante la campagna elettorale a sostenerlo.

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In Cina, le autorità della provincia settentrionale dell’Hebei stanno contando le vittime dell’incendio di sabato in cinque miniere di ferro, nei pressi della città di Shae. Sono già stati recuperati i corpi di 49 lavoratori, ed altri 8 cadaveri sono all’interno delle cave. Tre i dispersi, 46 i minatori tratti in salvo.

 

Diplomazia al lavoro, in India, per l’arrivo del premier pakistano, Shaukat Aziz. La prima visita ufficiale del capo del governo di Islamabad, atteso domani a New Delhi, rappresenta infatti un’occasione importante per appianare le divergenze riemerse, negli ultimi giorni, sulla questione del Kashmir. Fa il punto per noi, dalla capitale indiana, Maria Grazia Coggiola:

 

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In agenda ci sarà soprattutto il dialogo di pace, avviato lo scorso gennaio dall’ex primo ministro indiano Vajpayee. I due Paesi rivali dovranno dare l’avvallo politico al secondo round di negoziati previsti a fine mese. Ma soprattutto dovranno cercare di ripianare le differenze emerse nei battibecchi degli ultimi giorni a proposito del nodo Kashmir. Mentre si sono moltiplicate in questi mesi le misure di distensione – come la decisione di New Delhi, la scorsa settimana, di ridurre la presenza dell’esercito – non si intravede nessun possibile accordo per un compromesso sulla vallata himalayana. Il premier indiano Singh, nella sua visita a Srinagar, capoluogo del Kashmir indiano, ha respinto l’ipotesi di Musharraf di demilitarizzare la regione e porla sotto controllo congiunto o sotto amministrazione dell’ONU, il che ha mandato su tutte le furie Musharraf che ha accusato New Delhi di scarsa sensibilità ed ha ricordato che il Pakistan ha rinunciato a chiedere il rispetto delle risoluzioni ONU, che prevedono un plebiscito popolare. Ieri Singh ha invitato alla pazienza e ha reiterato l’impegno dell’India a negoziare. Ma a questo punto molte nubi si addensano sul suo incontro con il collega pachistano Aziz.

 

         Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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