RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 320  - Testo della trasmissione di lunedì 15 novembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il governo iracheno si impegni affinché le prossime elezioni siano una tappa fondamentale nel percorso verso la democrazia e la pace: così il Papa al nuovo ambasciatore dell’Iraq presso la Santa Sede, ricevuto stamani in Vaticano

 

Fedeltà creativa al carisma delle origini per soccorrere gli sconfitti della vita: l’esortazione di Giovanni Paolo II alle Suore Capitolari di Santa Elisabetta

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Il cardinale patriarca Ignace Moussa I Daoud festeggia i 50 anni di sacerdozio e pubblica un libro sulla vocazione di San Pietro: intervista con il Patriarca

 

 Dopo la sparatoria di ieri a Gaza il nuovo leader dell’OLP, Abu Mazen, continua gli incontri con le forze politiche  per discutere e organizzare il dopo Arafat: il commento di Guido Olimpio

 

 L’Iran sospende il programma nucleare. Ieri l’accordo con i Paesi europei: con noi Alberto Zanconato

 

L’Associazione “Biblia” ha concluso a Roma le celebrazioni per i 20 anni di fondazione con un Convegno sul tema dell’amore di Dio: ce ne parla Agnese Cini Tassinario

 

CHIESA E SOCIETA’:

Una Chiesa presente nel mondo, che vive l’annuncio e il dialogo, per costruire un avvenire comune. Questo il messaggio finale del Simposio dei vescovi africani ed europei, tenutosi a Roma  

 

Viva soddisfazione dell’arcivescovo ugandese di Gulu, mons. Odama, per il cessate il fuoco deciso dal presidente Museveni nella regione del nord Uganda

 

Al via oggi a Washington l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale degli Stati Uniti

 

Roma ospiterà la sede del segretariato generale dei premi Nobel per la pace

 

Le missionarie francescane di Maria celebrano oggi il centesimo anniversario della morte di Maria della Passione, la loro fondatrice

 

Consegnato il Premio giornalistico “Harambee 2002. Comunicare l’Africa”

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq: si continua a combattere a Falluja - Elezioni oggi e domani in Namibia.

IL PAPA E LA SANTA SEDE

15 novembre 2004

 

 

IL GOVERNO IRACHENO SI IMPEGNI AFFINCHE’ LE PROSSIME ELEZIONI SIANO

UNA TAPPA FONDAMENTALE NEL PERCORSO VERSO LA DEMOCRAZIA E LA PACE:

E’ L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II AL NUOVO AMBASCIATORE DELL’IRAQ

PRESSO LA SANTA SEDE, RICEVUTO STAMANI IN VATICANO

 

 

La Chiesa cattolica è vicina alla popolazione dell’Iraq che affronta ora un difficile “processo di transizione da un regime totalitario alla formazione di uno Stato democratico” nel quale la dignità di ogni uomo venga rispettata. E’ quanto sottolineato da Giovanni Paolo II nel discorso al nuovo ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell’Iraq presso la Santa Sede, Albert Edward Ismail Yelda, ricevuto stamani in Vaticano. Il Papa ha messo l’accento sul fondamentale appuntamento delle elezioni ed ha espresso la sua vicinanza alle vittime del terrorismo e della violenza. Né ha mancato di esortare la comunità internazionale ad offrire l’assistenza necessaria al popolo iracheno. Il 4 novembre scorso, il Papa ha ricevuto in udienza il premier iracheno ad interim Iyad Allawi. Ma torniamo all’udienza di stamani con il servizio di Alessandro Gisotti: 

 

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“La vera democrazia è possibile solo in uno Stato regolato dalla legge”. E’ il richiamo di Giovanni Paolo II che, sottolineando l’importanza cruciale delle prossime elezioni in Iraq, ha incoraggiato il governo di Baghdad a far sì che il voto “sia onesto e trasparente” ed offra a “tutti i cittadini l’opportunità” di esercitare questo “diritto democratico”. Ha così indicato nella violenza, la povertà e la disoccupazione le sfide più urgenti da vincere per il popolo iracheno. E ha espresso l’auspicio che il governo possa “risolvere i conflitti attraverso il dialogo, il negoziato, ricorrendo alla forza solo come estrema risorsa”. E’ essenziale, ha aggiunto, che lo Stato – con l’assistenza della comunità internazionale – “promuova la mutua comprensione e tolleranza tra i differenti gruppi etnici e religiosi”. Tale impegno permetterà alla popolazione della regione di creare un ambiente “non solo favorevole alla giustizia e alla pace”, ma anche “capace di sostenere la necessaria crescita economica e lo sviluppo integrale per il benessere dei cittadini e del Paese stesso. Insieme, è stata la sua esortazione, le donne e gli uomini dell’Iraq possono “eliminare le cause sociali e culturali che generano divisioni e conflitti”.

 

Ha così sottolineato che l’Iraq è stato un esempio di come “i fedeli di diverse religioni possano vivere in pace ed armonia”. Il Pontefice ha espresso l’auspicio che mentre l’Iraq “muove verso la realizzazione della democrazia, i cardini della sua storia tornino ad essere una parte essenziale della società”. Quindi, ha messo l’accento sulla difesa dei diritti della persona quale “principio fondamentale” per ogni società moderna che ricerca la promozione del bene comune. In tale contesto, ha affermato, è necessario un reciproco rispetto tra la sfera civile e quella religiosa. “Possa il popolo iracheno – ha esortato – continuare a promuovere la sua lunga tradizione di tolleranza riconoscendo sempre la libertà di credo religioso”. Questo diritto fondamentale, una volta protetto dalla legislazione, ha ribadito, diverrà una parte viva del tessuto sociale, contribuendo alla ricostruzione dell’Iraq. La Chiesa cattolica, e in particolare i cristiani caldei, ha concluso, sono impegnati nel costruire una nazione stabile e pacifica.

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L’ambasciatore Albert Edward Ismail Yelda è nato a Rammadi l'8 febbraio 1959. È sposato ed ha quattro figli. È in possesso di una laurea in Letteratura antica e di una specializzazione in diritti umani internazionali. Dal 1987 al 2003 si è dedicato alla consulenza legale ed a progetti di assistenza per gli immigrati iracheni a Londra.

 

 

FEDELTA’ CREATIVA AL CARISMA DELLE ORIGINI PER SOCCORRERE GLI SCONFITTI

 DELLA VITA: L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II

ALLE SUORE CAPITOLARI DI SANTA ELISABETTA

- A cura di Alessandro De Carolis -

        

         Un apostolato al passo coi tempi e realmente capace di beneficare “gli sconfitti della vita” quanto più fedelmente ancorato al carisma originario che lo ispirò. Un’esortazione cara a Giovanni Paolo II, che questa mattina è tornata a risuonare nella Sala Clementina, durante l’udienza concessa dal Papa alle Suore di Santa Elisabetta, riunite in capitolo generale fino a fine mese. Alla nuova superiora generale, la 45.enne polacca Madre Samuela Werbińska, e alle religiose capitolari, il Pontefice ha ricordato l’importanza dell’intuizione che, a metà del 1800, ebbero le fondatrici dell’Istituto: Clara Wolff, Matilde e Maria Meckert e Francesca Werner. Ispirandosi “all’esempio di Santa Elisabetta d’Ungheria, scelta come Patrona della nascente Congregazione – ha detto il Papa - esse si dedicarono totalmente ai poveri e ai bisognosi, contemplando nel loro volto quello del Redentore”.

 

         Le 1.800 religiose che oggi proseguono quell’attività apostolica nelle oltre 230 case che vanno dal Brasile alla Russia, attraversando molti Paesi dell’Europa occidentale ed orientale, sono chiamate – ha affermato Giovanni Paolo II - “a rispondere “con ‘fedeltà creativa’ alle sfide dell’odierna società”. Il “colloquio intimo” con Cristo e la “comunione incessante” con Lui devono essere i capisaldi su cui poggiare ogni progetto apostolico. “Occorre ripartire da Cristo – ha concluso il Papa - e testimoniare, in maniera semplice e concreta, il suo amore misericordioso per tutti, in modo speciale per quanti, ai margini delle nostre società, sono considerati gli “sconfitti” della vita”.

 

ALTRE UDIENZE

 

Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto in successive udienze il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Lviv degli Ucraini; mons. Brendan Michael O'Brien, arcivescovo di Saint John, Newfoundland, presidente della Conferenza Episcopale Canadese, con il vice-presidente mons. André Gaumond, arcivescovo di Sherbrooke, e con il segretario generale mons. Mario Pasquette; mons. Cyryl Klimowicz, vescovo di San Giuseppe a Irkutsk in Russia; e infine il prof. Stanisław Wilk, nuovo rettore dell’Università Cattolica di Lublin in Polonia.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Non c'è vero ecumenismo senza interiore conversione": Giovanni Paolo II presiede nella Basilica di San Pietro la solenne Celebrazione dei Vespri nel XL anniversario della promulgazione del Decreto conciliare "Unitatis redintegratio".

 

Nelle vaticane, nel discorso al nuovo Ambasciatore dell'Iraq, il Papa auspica che il Governo possa risolvere i conflitti e le dispute attraverso il dialogo. Il ricorso alla forza militare - sottolinea il Santo Padre - sia considerato solo come una risorsa estrema.

L'udienza del Papa alle partecipanti al Capitolo Generale delle Suore di Santa Elisabetta.

Un servizio sulla Concelebrazione Eucaristica presieduta dal cardinale Angelo Sodano - nella Basilica Lateranense - per il 75 anniversario dei rapporti diplomatici fra l'Irlanda e la Santa Sede.

 

Nelle estere, Medio Oriente: Abu Mazen esce incolume da una sparatoria a Gaza; irruzione di miliziani durante una commemorazione di Arafat.

Costa d'Avorio: l'Unione Africana favorevole a sanzioni delle Nazioni Unite.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Agnese Pellegrini dal titolo "Il ragionamento come equazione algebrica": "Vizi e virtù dell'animo umano" di Seneca.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'emergenza maltempo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

15 novembre 2004

 

 

 

IL CARDINALE PATRIARCA IGNACE MOUSSA I DAOUD  FESTEGGIA I 50 ANNI

DI SACERDOZIO E PUBBLICA UN LIBRO SULLA VOCAZIONE DI SAN PIETRO

- Intervista  con il Patriarca -

 

Il cardinale patriarca Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha festeggiato recentemente i 50 anni della sua ordinazione sacerdotale. In questa occasione ha pubblicato anche un volume sulla vocazione di San Pietro dal titolo “Simon, fils de Jean, m’aimes-tu?”(Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?”). Giovanni Peduto ne ha parlato con lo stesso patriarca:

 

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R. – Sì, in vista di un così felice traguardo ho raccolto pensieri e propositi maturati lungo l’intero arco del mio servizio ecclesiale attorno alla figura di Pietro, con particolare riferimento al dialogo tra Cristo e l’apostolo come è narrato nel capitolo 21 del Vangelo di Giovanni: si tratta della “storia semplice di una vocazione” ed esprime la mia lode a Dio davanti ai fratelli. Ho redatto il testo in arabo, mia lingua materna, ed è stata poi curata una traduzione in francese che reca l’introduzione del cardinale Tomas Spidlik, al quale sono molto riconoscente.

 

D. – Beatitudine, può sintetizzare per i nostri ascoltatori questa sua proposta?

 

R. – La vita è una storia d’amore. Le più belle storie di vita sono le storie di vocazioni e tra queste la più bella è quella di Pietro. E’ un tema che mi ha sempre appassionato. Mi riempiva il cuore di consolazione la parola di Dio raccolta da san Paolo nella lettera agli Efesini: “ci ha eletti prima della creazione del mondo per essere santi… nell’amore”. La vedevo confermata nel dialogo tra il Signore e l’apostolo Pietro, e particolarmente a quella sola domanda, ripetuta tre volte: “Mi ami tu?”. La vita del sacerdote è profezia di una continua domanda e risposta d’amore. Vorrei augurare ai sacerdoti di spendere la loro vita consegnandola giorno per giorno, e con crescente gioia, proprio a questa proposta di amore. Ma sento il desiderio di dire anche ai giovani e alle giovani, che guardano con speranza e preoccupazione al loro futuro, di lasciarsi interrogare dall’insistente richiesta di Cristo: “Mi ami tu?” Li vorrei incoraggiare a rispondere con fiducia e con altrettanto amore nella certezza che Egli non li deluderà mai. 

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DOPO LA SPARATORIA IERI A GAZA CITY, IL NUOVO LEADER DELL’OLP, ABU MAZEN,

 CONTINUA LA PROPRIA MISSIONE. STASERA, UN INCONTRO CON LE FORZE POLITICHE LOCALI PER DISCUTERE E ORGANIZZARE IL DOPO ARAFAT,

IN VISTA DELLE ELEZIONI POLITICHE DI GENNAIO 2005

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Dopo la sparatoria di ieri a Gaza City, dove due agenti di sicurezza palestinesi hanno perso la vita, il nuovo leader dell’Olp, Abu Mazen, continua la propria missione. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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Nella notte scorsa Abu Mazen ha convocato una riunione straordinaria con i responsabili dei servizi segreti aprendo un’inchiesta per rintracciare i responsabili della sparatoria, mentre stasera è previsto un incontro con le forze politiche locali per discutere e organizzare il dopo Arafat, in vista delle lezioni politiche di gennaio 2005. E proprio su questo fronte, Abu Mazen ha definito “premature” le notizie circa la sua candidatura specificando che “la questione deve essere ancora discussa dal Consiglio Rivoluzionario e dal Comitato centrale di Al Fatha”. Intanto, con un comunicato emesso la scorsa notte, le Brigate dei martiri di al Aqsa assicurano l’estraneità dei propri membri agli spari di ieri imputando la responsabilità ad “un gruppo che riceve ordini da stranieri”. Secondo il capo di stato maggiore israeliano, Moshe Yaalon, l’obiettivo degli estremisti palestinesi è impedire le trattative con Israele volute da Abu Mazen, non escludendo il verificarsi di altri episodi anti israeliani. Nel frattempo si è appresa la notizia del probabile arrivo, la settimana prossima, del segretario di stato Colin Powell nel tentativo di riavviare il dialogo israelo-palestinese.

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Ma che significato dare alla sparatoria di ieri a Gaza? E’ un avvertimento contro Abu Mazen? Roberto Piermarini lo ha chiesto all’inviato del Corriere della Sera a Gerusalemme, Guido Olimpio:

 

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R. – E’ un avvertimento contro Abu Mazen e contro Dhalan, in particolare contro la vecchia guardia del Fatah, diciamo anche dell’Autorità palestinese, che sta cercando di rimpiazzare Arafat. Il segnale è che non si possono fare accordi sottobanco e che va rispettata la volontà popolare, ossia gli uomini di cui si parla, Dhalan e Abu Mazen, anche Abu Ala, mancano di una legittimità popolare.

 

D. – E’ in atto, quindi, un conflitto all’interno della dirigenza palestinese tra moderati ed intransigenti?

 

R. – Non direi proprio tra moderati ed intransigenti. Diciamo che Abu Mazen è un uomo rispettato, però sappiamo benissimo che non ha una grande base popolare. Dall’altra, ci sono gli attivisti del Fatah, le brigate al Aqsa, la popolazione dei campi profughi che vorrebbero come candidato alla presidenza Marwan Barghouti. E questo perché temono che la nuova leadership, se saranno confermati Abu Mazen e Abu Ala, possa svendere l’Intifadah. Non dimentichiamo che Abu Mazen più volte ha denunciato l’uso della violenza e ha detto: ‘Basta con l’Intifadah armata, ci vogliono altri mezzi’. Chiaramente, questo non fa piacere alla ‘base’ che vuole sempre qualche cosa, cioè vuole qualcosa di concreto.

 

D. – Dietro a quello che è avvenuto ieri, c’è qualche regia?

 

R. – A Gaza, soprattutto, è sempre difficile capire chi organizza queste cose. Sicuramente, le ipotesi portano a pensare alle famose brigate al Aqsa. Non si possono però escludere altri giochi, perché i gruppi armati a Gaza vengono poi spesso usati anche dai responsabili della sicurezza nella lotta per il potere. Non ci si può infatti attaccare direttamente, perché in questa fase tutti quanti invitano alla coesione e all’unità. E’ chiaro che per colpire un avversario si utilizzano questi gruppi, cioè le brigate al Aqsa, i comitati popolari, ci sono le cosiddette ‘squadre della morte’ ... Ossia, sono strumenti per fare politica con le armi.

 

D. – C’è stata qualche reazione da parte di Israele a quanto accaduto ieri ad Abu Mazen?

 

R. – Certamente, la valutazione israeliana è abbastanza preoccupata. Proprio ieri il capo di Stato maggiore ha avvertito che potrebbero esserci nuovi attentati o potrebbero anche esserci nuovi incidenti di questo tipo. Io ritengo che i palestinesi abbiano interesse a mantenere la situazione entro una certa soglia e quindi a non portare scontri in maniera più aperta. Però, sicuramente Israele guarda con attenzione, perché ora ha un nuovo partner e spera che questo partner possa controllare il campo.

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L’IRAN SOSPENDE IL PROGRAMMA NUCLEARE.

 RAGGIUNTO L’ACCORDO CON I PAESI EUROPEI

- Intervista con Alberto Zanconato -

 

L'Iran sospenderà le attività del ciclo di arricchimento dell'uranio a partire dal 22 novembre. Lo ha detto oggi il capo del Supremo consiglio per la  sicurezza nazionale, Hassan Rohani, principale negoziatore iraniano in materia nucleare. La nuova sospensione riguarderà le attività di conversione del minerale di uranio, prima dell'immissione nelle centrifughe, oltre all'assemblaggio delle centrifughe stesse. Ma che cosa ha convinto i vertici iraniani a questa decisione? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Alberto Zanconato dell’agenzia Ansa a Teheran:

 

 

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R. – Quello che può averli convinti è la forte pressione esercitata dai Paesi europei – Francia, Germania e Gran Bretagna – in questi ultimi mesi di trattative; il fronte comune tra gli europei e gli Stati Uniti: il presidente americano Bush ha detto di appoggiare le trattative degli europei con l’Iran. Da parte loro, gli europei hanno mostrato una decisione, una fermezza notevole nei confronti dell’Iran. Va detto, tra l’altro, che la sospensione dell’arricchimento dell’uranio è ancora un provvedimento a tempo non illimitato ma fino a quando tutte le trattative saranno state portate a compimento per fare chiarezza sul programma nucleare iraniano; poi l’Iran si riserva quindi anche eventualmente di riprendere questa attività.

 

D. – Qual è stata la moneta di scambio per arrivare a questa decisione?

 

R. – La moneta di scambio è quella che tutta l’Unione Europea ha deciso di usare, cioè incentivi economici, in particolare la ripresa delle trattative per la conclusione di un accordo economico-commerciale tra l’Iran e la stessa Unione Europea; poi, fornitura di tecnologia anche in campo nucleare-civile da parte di questi tre Paesi che sono le tre grandi potenze nucleari dell’Unione Europea. Francia, Germania e Gran Bretagna si impegnano quindi a fornire combustibile per le centrali nucleari, quindi uranio già arricchito, che poi l’Iran dovrà restituire dopo l’uso. Inoltre, offrono una collaborazione per costruire una centrale ad acqua leggera che si presta meno al possibile uso per un’eventuale costruzione di ordigni nucleari.

 

D. – E’ una decisione importante anche dal punto di vista politico, secondo te, che consente di non aumentare la tensione nell’area?

 

R. – Sì, perché va ricordato che già l’anno scorso l’Iran si era impegnato a sospendere tutte le attività di arricchimento dell’uranio con questi stessi tre Paesi che poi, però, non si erano detti soddisfatti, come non si era detta soddisfatta l’Agenzia internazionale per l’energia atomica della cooperazione dell’Iran. Se comunque a questo accordo, e chiarezza verrà fatta, questa sarà la dimostrazione che un’azione diplomatica forte e anche ferma può dare dei risultati e questo potrebbe anche convincere l’amministrazione americana che varrebbe la pena seguire questa strada!

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L’ASSOCIAZIONE  “BIBLIA”  HA CONCLUSO A ROMA LE CELEBRAZIONI PER I 20 ANNI

DI FONDAZIONE CON UN CONVEGNO SUL TEMA DELL’AMORE DI DIO

- Intervista con Agnese Cini Tassinario -

 

“Con la Bibbia nel cuore, nel cuore della Bibbia”. Così recita il motto di Biblia, associazione laica di cultura biblica che ha concluso ieri a Roma le celebrazioni per il suo ventennale con un Convegno sul tema: “L’amore di Dio”. All’iniziativa hanno partecipato esponenti cristiani, ebrei e musulmani  per parlare dell’amore di Dio  e della risposta dell’uomo a questo amore, che può arrivare  fino al  martirio.  Roberta Moretti ha intervistato la presidente di Biblia, la dott.ssa Agnese Cini Tassinario:

 

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R. – Nella Bibbia l’amore di Dio viene presentato come il fulcro di tutta la Bibbia stessa e Dio viene presentato come il Dio dell’amore e come dice Geremia come “Colui che ha amato di amore eterno i suoi figli”, o come dice anche Osea: “Colui che ha sposato il suo popolo e gli è rimasto fedele, anche quando il popolo lo ha tradito”; ed infine, come dice Giovanni nel Nuovo Testamento: “Colui che ha tanto amato il mondo da donargli Suo Figlio”. Questo amore chiede, però, di essere corrisposto. La regola principale, che poi i Vangeli riprenderanno, e anche del Deuteronomio, dice infatti: “Amerai il Signore, Dio Tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le forze”.

 

D. – In questo senso il martirio è la massima espressione dell’amore dell’uomo verso Dio?

 

R. – Martire è un termine che viene dal greco e che vuol dire “testimone”. Indica, soprattutto all’inizio, coloro che confessano la fede in Dio e in Gesù, fino a perdere la vita piuttosto che rinnegarla. Il martirio è, quindi, la testimonianza estrema dell’amore e della fedeltà a Dio, per quanto riguarda ovviamente gli ebrei, e a Gesù Cristo, per quanto riguarda invece i cristiani. Nel mondo islamico ha subito una trasformazione moderna, discosta da questo termine di martirio, che appartiene alla storia.

 

D. – In cosa consiste l’attività di “Biblia”?

 

R. – Ogni anno noi organizziamo da sei a sette convegni o seminari su temi o personaggi biblici. Organizziamo anche corsi indirizzati ad insegnanti di introduzione generale allo studio della Bibbia, sempre in chiave interconfessionale e laica. Facciamo anche dei corsi di greco ed ebraico biblico ed un viaggio di studio all’anno in terre dove la Bibbia è nata  o si è sviluppata particolarmente.

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CHIESA E SOCIETA’

15 novembre 2004

 

 

 

UNA CHIESA PRESENTE NEL MONDO, CHE VIVE L’ANNUNCIO E IL DIALOGO,

 PER COSTRUIRE UN AVVENIRE COMUNE. QUESTO, IN SINTESI IL MESSAGGIO FINALE  DEL SIMPOSIO DEI VESCOVI AFRICANI ED EUROPEI,

TENUTOSI A ROMA DA 10 AL 13 NOVEMBRE

- A cura di Roberta Moretti -

 

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ROMA. = “Vivere la comunione e la solidarietà tra l’Africa e l’Europa in una Chiesa presente nel mondo, in una Chiesa portatrice di speranza, che vive l’annuncio e il dialogo, in una Chiesa preoccupata per i valori da promuovere e per costruire un avvenire comune”. E’ questo, in sintesi, il messaggio finale del Simposio dei vescovi africani ed europei, tenutosi a Roma da 10 al 13 novembre sul tema: “Comunione e solidarietà tra Africa ed Europa: Cristo ci chiama, Cristo ci invia”. I vescovi, in primo luogo, ricordano ai Paesi ricchi l’impegno di dedicare lo 0,7% del loro prodotto interno lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo. “Interpelleremo senza sosta – dice il messaggio – i nostri governi e l’Unione Europea sulla necessità di una cancellazione del debito, di regole commerciali giuste e di una mondializzazione dal volto umano”. Le Chiese africana ed europea hanno il dovere di operare “ovunque per la giustizia e per la pace, con sforzi di riconciliazione e di difesa  dei diritti dell’uomo”. “Illuminati dalla Dottrina sociale della Chiesa”, i prelati saranno al fianco dei “cristiani che partecipano alle decisioni nel campo economico e politico”. I vescovi sottolineano, poi, la necessità di un sostegno reciproco tra le persone, consacrate e laiche, impegnate per la missione nei due continenti. In questo senso, fondamentale è anche il dialogo con le altre religioni, in particolare con l’Islam. “Dobbiamo conciliare il rispetto dovuto alla libertà religiosa, la stima e la volontà di collaborazione con la proclamazione serena, ma senza ambiguità, della nostra fede in Cristo e della nostra tradizione”. E’ necessaria, inoltre la promozione di una “cultura della vita”, in nome de valori comuni che uniscono Africa ed Europa. Un particolare riferimento è rivolto alla famiglia, fondamento della società, “profondamente ferita oggi” e bisognosa di una “pastorale particolare”. Il messaggio si conclude con l’invito ad un “avvenire comune” dei cristiani d’Africa e d’Europa, animati dalla forza dello Spirito, nell’anno che il Papa ha dedicato all’Eucaristia. (R.M.)

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AL VIA OGGI A WASHINGTON L’ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI. TRA GLI OBIETTIVI DELL’INCONTRO, DEFINIRE UNA LINEA

 PASTORALE COMUNE NEI CONFRONTI DEI POLITICI CON POSIZIONI

CONTRASTANTI CON LA DOTTRINA CRISTIANA

 

WASHINGTON. = Prende il via, oggi a Washington, l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Ricca e articolata l’agenda dei lavori che comprenderà anche temi particolarmente delicati. In primo piano sarà infatti il vivace dibattito, che ha animato in quest’ultimo anno la campagna elettorale per le presidenziali, sui politici che assumono posizioni in aperto contrasto con la dottrina cristiana, soprattutto sulla difesa della vita. I vescovi esamineranno un rapporto preparato da una commissione ad hoc che indica la linea pastorale comune da seguire in questi casi, alla luce delle indicazioni della Congregazione per la Dottrina della fede. Altro tema scottante, sarà poi quello dei matrimoni omosessuali, sul quale è prevista la pubblicazione di un documento nell’ambito di un più vasto piano di azione pastorale sul matrimonio. Durante i lavori, sarà poi approvato il primo “Catechismo per adulti degli Stati Uniti”. Si tratta di un volume di 456 pagine che, pur seguendo la struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, ne adatta il contenuto alla specificità del contesto statunitense. I presuli americani dovranno inoltre decidere se aderire alla neonata associazione ecumenica “Christian Churches Together in the Usa” (CctUsa), un’iniziativa del Consiglio nazionale delle Chiese (Ncc), volta a promuovere il dialogo ecumenico e la collaborazione con le Chiese che attualmente non sono membri dello stesso Consiglio, come quella cattolica e le nuove Chiese evangeliche e pentecostali. Tra gli altri punti all’ordine del giorno dell’Assemblea, figurano l’approvazione di tre nuovi testi liturgici in lingua spagnola ad uso della Chiesa negli Stati Uniti, la promozione di nuove iniziative di collaborazione e aiuto alla Chiesa africana e l’esame dell’attuazione nelle diocesi statunitensi della “Carta per la protezione dei bambini e dei giovani”, approvata nel 2002 dopo lo scandalo della pedofilia. L’Assemblea dovrà infine designare il nuovo presidente e vicepresidente della Conferenza episcopale e approvare il bilancio di previsione 2005 che quest’anno supera i 129 milioni di dollari. (L.Z.)

 

 

VIVA SODDISFAZIONE DELL’ARCIVESCOVO UGANDESE DI GULU, MONS. ODAMA,

PER IL CESSATE IL FUOCO DECISO DAL PRESIDENTE MUSEVENI NELLA REGIONE

DEL NORD UGANDA, MARTORIATA DAL CONFLITTO

TRA TRUPPE GOVERNATIVE E GRUPPI RIBELLI

 

GULU.= “Ringraziamo il presidente Museveni e l’Esercito di resistenza del signore per questo passo importante verso la pace”. Così, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, nel nord Uganda, ha commentato all’Agenzia Fides il cessate il fuoco di sette giorni in un’area del nord del Paese africano deciso unilateralmente dal presidente ugandese Museveni. “Chiediamo ai responsabili politici a livello locale e nazionale e alla comunità internazionale che questa nuova iniziativa sfoci nella pace”, ha aggiunto mons. Odama, che è anche leader del gruppo interreligioso Acholi. Il cessate il fuoco, che inizia oggi alle 18 locali, servirà a verificare se i segnali di disponibilità  negoziale giunti dai ribelli dell’Esercito di resistenza del signore (Lra) siano concreti, o semplicemente un tentativo per guadagnare tempo in un momento di grave difficoltà sul campo. Il ministro del nord dell'Uganda sembra, comunque, aver avuto chiari segni di disponibilità negoziale da parte della leadership dei guerriglieri. La scorsa settimana, inoltre, un gruppo di mediatori indipendenti aveva riferito che i ribelli avevano chiesto colloqui di pace, ma con la condizione che si svolgessero in un Paese neutrale. (A.G.)

 

 

ROMA OSPITERA’ LA SEDE DEL SEGRETARIATO GENERALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE. L’INIZIATIVA È STATA APPROVATA ALL’UNANIMITA’ A CONCLUSIONE

DEL V SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE,

ORGANIZZATO DALLA FONDAZIONE GORBACIOV E DAL COMUNE DI ROMA

 

ROMA. = Roma ospiterà la sede del Segretariato generale dei Premi Nobel per la Pace. L’iniziativa, su proposta del Presidente Mikhail Gorbaciov e dell’ex presidente coreano, Kim Dae-Jung, in accordo col comitato di Oslo, è stata approvata all’unanimità a conclusione del V Summit mondiale dei Premi Nobel per la Pace, organizzato dalla Fondazione Gorbaciov e dal Comune di Roma. Il Segretariato generale sarà un vero e proprio osservatorio sulla politica mondiale. Insieme al compito di raccordare le attività dei Premi Nobel per la Pace, il Segretariato generale avrà, tra gli obiettivi principali, la programmazione di interventi nelle aree di crisi e l’elaborazione di risoluzioni congiunte in materia di prevenzione dei conflitti e di rispetto dei diritti umani. I Premi Nobel hanno inoltre attivato la procedura formale per il riconoscimento del Segretariato generale quale ONG delle Nazioni Unite. La decisione è stata comunicata stamani al sindaco di Roma, Walter Veltroni, e alle massime cariche dello Stato italiano. (R.M.)

 

 

LE MISSIONARIE FRANCESCANE DI MARIA CELEBRANO OGGI

IL CENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELLA LORO FONDATRICE,

 MARIA DELLA PASSIONE, BEATIFICATA DA GIOVANNI PAOLO II NEL 2002

 

ROMA. = Ricorre oggi il centesimo anniversario della morte di Maria della Passione, fondatrice delle Missionarie Francescane di Maria, beatificata da Giovanni Paolo II nel 2002. Nata come Helen de Chappotin nel 1839, in Bretagna, Maria della Passione è stata la prima donna a fondare una congregazione, dando vita alle Missionarie Francescane di Maria nel 1877. Oggi le missionarie della Congregazione sono 7.500, di 80 diverse nazionalità e attive in 77 Paesi, 18 dei quali in Africa, dall’Algeria al Madagascar.  Il loro carisma si esprime nell'offerta della vita per la salvezza del mondo, al seguito di Cristo che si offre al Padre nel mistero dell’Incarnazione e della Pasqua, nella vita contemplativa centrata sulla celebrazione e l'adorazione eucaristica, fonte del dinamismo missionario, nell’universalità della missione per l’avvento del Regno e nell’ispirazione mariana: Maria, “via nella via”, “Ecce”, “Fiat”. Tali aspetti sono permeati dalla spiritualità francescana, che fa vivere il Vangelo in mezzo al mondo in semplicità, pace e gioia. (R.M.)

 

 

 

 

CONSEGNATO IL PREMIO GIORNALISTICO “HARAMBEE 2002. COMUNICARE L’AFRICA”. L’APPUNTAMENTO SI E’ SVOLTO NELLA SALA DELLA PROTOMOTECA

IN CAMPIDOGLIO A ROMA

- A cura di Giovanna Bove -

 

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ROMA. = La premiazione è stata occasione per parlare dell’Africa, dei suoi problemi, delle sue innumerevoli risorse e dell’informazione “frammentaria – così l’ha definita Giovanni Minoli, moderatore dell’incontro – e troppo spesso legata alle emergenze”. Ma l’Africa comincia a fare breccia nelle redazioni, se è vero che alla giuria del premio “Harambee 2002”, costituita da studiosi e professionisti della comunicazione,  sono giunti 51 filmati. Tre sono stati i premiati. Il conferimento per il miglior documentario prodotto da una ONG che lavora in Africa è andato a Lena Slachmuijilder, per un video proveniente dal Burundi. La produzione ha raccontato l’esperienza dell’emittente radiofonica “Studio Ijambio”, dove lavorano giornalisti Hutu e Tutsi, ed è stato premiato – si legge nella motivazione – per aver mostrato “il ruolo che possono avere i media nel promuovere la pace”. Il documentario “Inhlanyelo Fund”, dell’autrice Michelle Makori, dello staff della Tv SABC, ha puntato l’obiettivo sull’importanza del microcredito, capace di offrire “condizioni e un minimo di mezzi per lavorare con dignità”. Raisat Ragazzi ha presentato il suo video “Il mondo raccontato dai bambini: l’Eritrea”, realizzato da Serena Laudisa. Secondo la motivazione, “l’originale impostazione supera gli stereotipi nella presentazione della realtà africana, e mostra con semplicità e freschezza che le altre persone sono come noi, solo che vivono immerse in circostanze più difficili”.  Il premio audiovisivo è stato organizzato dall’Opus Dei nell’ambito dell’iniziativa di solidarietà “Harambee 2002”, istituita in occasione della canonizzazione di Josemarìa Escrivà de Balaguer. Raccolti finora 850 mila euro, che hanno finanziato 24 progetti per l’Africa. In Sierra Leone, ad esempio, ci si  è impegnati per ridare una famiglia agli ex bambini soldato. In Sudan si è lavorato per metter su un Corso di cucina e panetteria, promosso dalle Suore canossiane mentre in Nigeria sono stati costruiti pozzi di acqua potabile. o audiovisivo è stato voluto dall', e mostra con semplicità e freschezza che le altre persone sono come noi, solo che vivon

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24 ORE NEL MONDO

15 novembre 2004

 

A cura di  Fausta Speranza –

 

 

Combattimenti  ripresi a Falluja dopo che le forze americane hanno lanciato attacchi con artiglierie e aerei contro presunte postazioni dei ribelli. Le forze americane durante la notte hanno anche attaccato alcuni obiettivi a colpi di mortaio. Ma sull’Iraq, in studio Fausta Speranza:

 

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Colpi di artiglierie e da aerei almeno cinque volte sulla parte meridionale della città e poco dopo sparatorie e esplosioni. Le forze americane spiegano di aver attaccato un bunker sotterraneo, dotato di gallerie rinforzate per depositi di armi, fra cui un cannone antiaereo. Sostengono di eliminare le “residue sacche di resistenza”, smantellando depositi di armi allestiti in edifici, comprese moschee. E ufficiali americani affermano di aver ripreso il pieno controllo di Falluja dopo una settimana di intensi combattimenti. Ma c’è da dire che la Mezzaluna Rossa ha annunciato di non poter entrare nella città sunnita: i militari americani hanno negato l'ingresso a Falluja, adducendo ragioni di sicurezza. Il convoglio umanitario, dunque, lascerà l'ospedale dove attendeva da ormai quasi due giorni di entrare nel centro abitato.

 

Ma non è solo Falluja sotto tiro: attacchi aerei e terrestri da parte delle forze armate americane hanno colpito anche Baquba dopo scontri armati fra ribelli e forze di sicurezza irachene. E’ un ufficiale americano a confermare che i morti sono almeno 20.

 

C’è da dire che, per la prima volta, un esponente del governo provvisorio iracheno ha ammesso che le cruciali elezioni di gennaio potrebbero essere rinviate se la violenza continuerà. E’ il vice premier Barham Salih, in un'intervista al quotidiano britannico The Guardian, ad affermare che prima del voto sarà necessario verificare la situazione della sicurezza.

 

Al di là della cronaca sul campo, inoltre, il collegio di difesa italiano di Tareq Aziz, ex vicepresidente iracheno e consigliere di Saddam Hussein, ha annunciato per giovedì prossimo una conferenza stampa sul ricorso presentato la settimana scorsa all’Onu a Ginevra. Tareq Aziz, catturato alla  fine di aprile dell'anno scorso, è detenuto in una località segreta di Baghdad e, come lamentano i suoi difensori, non può avere contatti nè con i familiari nè con i suoi legali. E poi c’è l’annuncio dell’esercito Usa: un ufficiale americano è stato incriminato dalla giustizia militare per omicidio premeditato in relazione al suo ruolo presunto nell'esecuzione  di un iracheno che era già stato ferito.

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Abidjan celebra oggi la giornata  della pace, festa nazionale in Costa d'Avorio, dopo giorni di  violenze anti francesi. E’ festa nazionale, istituita dal primo presidente ivoriano Felix Houphou -Boigny. Già nel fine settimana comunque non si sono più registrati atti o manifestazioni contro le truppe francesi che stazionano  nel Paese nel quadro di una missione Onu. In seguito alla crisi  scoppiata il 6 novembre, con l'uccisione di nove militari  francesi, e durata tre giorni, dal Paese sono partiti più di  5.000 occidentali, la maggior parte francesi.   

 

La Namibia si reca oggi e domani alle urne per eleggere il nuovo presidente. Secondo gli osservatori internazionali non si prevedono sorprese in quanto il partito Swapo, che controlla saldamente il 70% dei voti, ha già designato il successore del presidente Nujoma che lascia, dopo 15 anni, dopo aver portato il Paese all’indipendenza. Ce ne parla Laura Mezzanotte:

 

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In quel Congresso, il presidente e ‘padre della patria’ era riuscito a far designare Hifikepunye Pohamba come suo delfino. Nujoma non lascia veramente il potere, è stato il commento generale; Pohamba è amico personale del presidente, il suo compagno dagli anni della lotta contro il dominio sudafricano. Non solo: Nujoma resterà a capo del partito fino al 2007. Elezioni senza storia, dunque, ma non senza conseguenze. Pohamba è stato finora ministro della terra e questo sarà il tema politico dei prossimi anni, in Namibia. Il Paese ha avviato un processo di riappropriazione delle terre, in gran parte ancora in mano alla minoranza bianca. E, nonostante le continue assicurazioni del governo che tutto si svolgerà nell’ordine e nella legalità, ci sono segnali di una possibile ‘sindrome zimbabwana’ con un comportamento assai ambiguo dell’esecutivo. Quanto all’altro grave problema del Paese – l’AIDS – si ha l’impressione che il mondo politico se ne occupi più a parole che con i fatti.

 

Laura Mezzanotte per la Radio Vaticana.

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Dalle scuole materne ai licei, dai maestri agli insegnanti, dai bidelli ai presidi, oggi il mondo della scuola è in sciopero in tutta Italia contro le riforme Moratti e i tagli della Fiinanziaria, ma anche per sollecitare il rinnovo dei contratti di lavoro. La protesta, organizzata da un ampio schieramento di sindacati prevede oltre all'astensione dal lavoro una manifestazione  nazionale a Roma, che Paolo Ondarza sta seguendo per noi:

 

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La Finanziaria è una dichiarazione di morte alla scuola pubblica: così Enrico Panini, segretario generale della Fondazione Lavoratori della Conoscenza. La denuncia rappresentata in piazza dal sindacato confederale è resa visibile dallo sfilare di bare portate a spalla da docenti, studenti, genitori, personale Ata che chiedono al governo la riapertura delle trattative su legge Moratti e Finanziaria. Hanno dato il colpo di grazia a tutto il sistema scuola – si legge nei necrologi affissi alle transenne. Un unico sciopero, due i cortei organizzati nella capitale da CGIL, CISL e UIL, Cobas e Gilda. Escluso solo lo SNALS, per il quale la protesta è sola rimandata al 29 novembre.

 

Per le vie di Roma, sotto un cielo bianco, bagnate dalla pioggia oltre un milione di persone, tra dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo. Otto milioni gli studenti coinvolti. Si protesta contro la mancanza di contratto per 800 mila dipendenti tra insegnanti e personale Ata, ma si sciopera anche contro i tagli previsti dalla Finanziaria: 14 mila posti di lavoro in meno.Sotto accusa anche la riforma Moratti e la rivoluzione delle tre i: più impresa, Internet ed inglese. Preoccupa i sindacati la riduzione dell’orario scolastico, da 30 a 27 ore e l’introduzione del tutor che secondo la legge 53 /potrebbe diminuire numericamente il corpo docente e svilirne il ruolo. Sulla protesta massiccia oggi è intervenuta la vice della Moratti, Maria Grazia Filiquini, che ha parlato di uno sciopero politico condito da falsità.

 

Ma il disagio è generale e la voce degli studenti, dei docenti e dei genitori stamattina ha vinto il maltempo per contrastare l’azione di un governo accusato di dare una spallata distruttiva alla scuola pubblica.

 

                   Da piazza Navona, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.

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“Gli ideali della Resistenza cui tanti uomini e donne sacrificarono generosamente la loro vita, in Italia come in tutti i Paesi dell'Europa occupata dal nazismo, furono all'origine del movimento per la pacificazione e l'unificazione dei popoli europei''. Lo ha affermato il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, intervenendo a Palestrina alla commemorazione del 60/o dell'eccidio di Vigesimo nel quale i nazifasciti uccisero 121 martiri della libertà.  Ciampi, che stamani ha deposto una corona d'alloro al monumento ai caduti della cittadina laziale, ha ricordato che  Palestrina, ''posta nelle immediate vicinanze di Cassino e di  Anzio, fu distrutta da cannoneggiamenti e bombardamenti aerei.  Divenne campo di battaglia. Dallo sbarco di Anzio fino al primo  giugno del '44, tre giorni prima della liberazione, si contarono  a Palestrina molte centinaia di vittime, circa il 5% della sua  popolazione e i tre quarti delle sue abitazioni furono distrutti  o danneggiati''.

 

Cessazione di ogni attività paramilitare da parte degli estremisti Unionisti; assicurazione da parte dei governi di Londra e Dublino che i paramilitari Nazionalisti dell’Ira distruggeranno i loro arsenali: sono due momenti positivi che fanno sperare in una nuova alba di pace per l’Irlanda del Nord. Il servizio di Enzo Farinella:

 

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Dalla mezzanotte di oggi l’Associazione di difesa dell’Ulster, l’Organizzazione paramilitare estremista degli Unionisti nel Nord Irlanda, ha cessato per sempre le sue operazioni militari e il governo di Londra ha riconosciuto ufficialmente questa decisione. In un comunicato stampa rilasciato ieri, l’Associazione di difesa dell’Ulster si è impegnata ad abbandonare ogni forma di violenza e a lavorare per la fine di tutte le ostilità paramilitari. Dall’altro fronte, i paramilitari nazionalisti dell’Ira, che da un decennio fanno tacere le loro armi, non hanno ancora dichiarato ufficialmente che la guerra nel Nord Irlanda è finita. La mancata prova visiva che evidenzi la distruzione dei loro arsenali si frappone ancora come ostacolo per gli Unionisti ad accettare un nuovo governo di coalizione. Comunque, i primi ministri Blair e Ahern hanno dato tempo fino al 26 novembre ai Nazionalisti di Jerry Adams e agli Unionisti di Ian Paisly per raggiungere un accordo, e si spera che i Democratici Unionisti accettino le assicurazioni dei due governi sulla genuina buona fede dei paramilitari dell’Ira, pronti a porre fine ad ogni ostilità e a distruggere i loro arsenali per abbracciare totalmente il processo di pace. Purtroppo la sfiducia tra le due comunità è ancora profonda, ma si crede che si potrà raggiungere presto un accordo definitivo per una pace giusta e duratura in quest’angolo meraviglioso dell’Unione Europea.

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Il portavoce ufficiale del governo  giapponese Jiroyuki Hosoda ha dato oggi una valutazione  cautamente positiva dei colloqui con la Corea del nord svoltisi  fino ad ieri a Pyongyang sulla sorte di 10 connazionali rapiti  negli anni '70 e '80 dai servizi segreti nordcoreani.  ''Non è l'ora di pensare a sanzioni economiche'' - ha detto -  aggiungendo che i contatti con la Corea del Nord “continueranno in varie forme''.   Il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi, ha commentato che la speranza era che tornassero loro, in carne ed ossa, da Pyongyang, e invece sono arrivati con un volo charter quattro container pieni di ''prove documentali'' della loro morte ‘nell'inferno’ della Corea del Nord, dopo una difficile vita da rapiti per essere trasformati in improbabili istruttori di spie e agenti segreti.

 

Massicce proteste sindacali sono in corso in Corea del sud contro un progetto di legge del governo per introdurre flessibilità nel mercato del lavoro, consentendo alle imprese di impiegare più dipendenti con contratti temporanei.    Ieri decine di migliaia di affiliati alla Confederazione coreana dei sindacati (Kctu) sono scesi in piazza a Seul contro quello che hanno definito un attacco ai diritti base dei lavoratori.  Oggi almeno 40.000 dipendenti pubblici hanno incrociato le braccia, chiedendo il diritto di rappresentanza sindacale e sfidando le minacce di arresti in massa per sciopero illegale fatte dal governo, che ha mobilitato 16.000 poliziotti nella capitale. Il governo del presidente riformista e progressista Roh Moo Yun intende presentare la prossima settimana in parlamento una legge che consente alle imprese di estendere l'impiego con contratti a tempo. ''E' una manovra per trasformare tutti in lavoratori precari e sottopagati'', accusano i sindacati.  Ancor più delicata la situazione per i dipendenti pubblici, scesi in piazza per ottenere il diritto di sciopero.'' Tutti  quelli che parteciperanno alle proteste di oggi saranno puniti'', ha minacciato il ministro dell'Interno, Hung Sung Kwan.

 

 

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