RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
320 - Testo della trasmissione di lunedì
15 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
L’Iran sospende il programma nucleare. Ieri
l’accordo con i Paesi europei: con noi Alberto Zanconato
CHIESA E SOCIETA’:
Al
via oggi a Washington l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale degli
Stati Uniti
Roma
ospiterà la sede del segretariato generale dei premi Nobel per la pace
Consegnato il Premio giornalistico “Harambee 2002.
Comunicare l’Africa”
Iraq: si continua a combattere a Falluja - Elezioni oggi e domani in
Namibia.
15 novembre 2004
IL
GOVERNO IRACHENO SI IMPEGNI AFFINCHE’ LE PROSSIME ELEZIONI SIANO
UNA TAPPA FONDAMENTALE NEL
PERCORSO VERSO LA DEMOCRAZIA E LA PACE:
E’ L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI
PAOLO II AL NUOVO AMBASCIATORE DELL’IRAQ
PRESSO LA SANTA SEDE, RICEVUTO
STAMANI IN VATICANO
La Chiesa cattolica è vicina
alla popolazione dell’Iraq che affronta ora un difficile “processo di
transizione da un regime totalitario alla formazione di uno Stato democratico”
nel quale la dignità di ogni uomo venga rispettata. E’ quanto sottolineato da
Giovanni Paolo II nel discorso al nuovo ambasciatore straordinario e
plenipotenziario dell’Iraq presso la Santa Sede, Albert Edward Ismail Yelda,
ricevuto stamani in Vaticano. Il Papa ha messo l’accento sul fondamentale appuntamento
delle elezioni ed ha espresso la sua vicinanza alle vittime del terrorismo e
della violenza. Né ha mancato di esortare la comunità internazionale ad offrire
l’assistenza necessaria al popolo iracheno. Il 4 novembre scorso, il Papa ha
ricevuto in udienza il premier iracheno ad interim Iyad Allawi. Ma torniamo
all’udienza di stamani con il servizio di Alessandro Gisotti:
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“La
vera democrazia è possibile solo in uno Stato regolato dalla legge”. E’ il richiamo
di Giovanni Paolo II che, sottolineando l’importanza cruciale delle prossime elezioni
in Iraq, ha incoraggiato il governo di Baghdad a far sì che il voto “sia onesto
e trasparente” ed offra a “tutti i cittadini l’opportunità” di esercitare
questo “diritto democratico”. Ha così indicato nella violenza, la povertà e la
disoccupazione le sfide più urgenti da vincere per il popolo iracheno. E ha
espresso l’auspicio che il governo possa “risolvere i conflitti attraverso il
dialogo, il negoziato, ricorrendo alla forza solo come estrema risorsa”. E’
essenziale, ha aggiunto, che lo Stato – con l’assistenza della comunità
internazionale – “promuova la mutua comprensione e tolleranza tra i differenti
gruppi etnici e religiosi”. Tale impegno permetterà alla popolazione della
regione di creare un ambiente “non solo favorevole alla giustizia e alla pace”,
ma anche “capace di sostenere la necessaria crescita economica e lo sviluppo
integrale per il benessere dei cittadini e del Paese stesso. Insieme, è stata
la sua esortazione, le donne e gli uomini dell’Iraq possono “eliminare le cause
sociali e culturali che generano divisioni e conflitti”.
Ha così
sottolineato che l’Iraq è stato un esempio di come “i fedeli di diverse religioni
possano vivere in pace ed armonia”. Il Pontefice ha espresso l’auspicio che
mentre l’Iraq “muove verso la realizzazione della democrazia, i cardini della
sua storia tornino ad essere una parte essenziale della società”. Quindi, ha
messo l’accento sulla difesa dei diritti della persona quale “principio
fondamentale” per ogni società moderna che ricerca la promozione del bene
comune. In tale contesto, ha affermato, è necessario un reciproco rispetto tra
la sfera civile e quella religiosa. “Possa il popolo iracheno – ha esortato –
continuare a promuovere la sua lunga tradizione di tolleranza riconoscendo
sempre la libertà di credo religioso”. Questo diritto fondamentale, una volta
protetto dalla legislazione, ha ribadito, diverrà una parte viva del tessuto
sociale, contribuendo alla ricostruzione dell’Iraq. La Chiesa cattolica, e in
particolare i cristiani caldei, ha concluso, sono impegnati nel costruire una
nazione stabile e pacifica.
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L’ambasciatore Albert Edward Ismail Yelda è nato a Rammadi l'8 febbraio
1959. È sposato ed ha quattro figli. È in possesso di una laurea in Letteratura
antica e di una specializzazione in diritti umani internazionali. Dal 1987 al
2003 si è dedicato alla consulenza legale ed a progetti di assistenza per gli
immigrati iracheni a Londra.
FEDELTA’ CREATIVA AL
CARISMA DELLE ORIGINI PER SOCCORRERE GLI SCONFITTI
DELLA
VITA: L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE SUORE CAPITOLARI DI SANTA ELISABETTA
- A cura di Alessandro De Carolis -
Un
apostolato al passo coi tempi e realmente capace di beneficare “gli sconfitti
della vita” quanto più fedelmente ancorato al carisma originario che lo ispirò.
Un’esortazione cara a Giovanni Paolo II, che questa mattina è tornata a
risuonare nella Sala Clementina, durante l’udienza concessa dal Papa alle Suore
di Santa Elisabetta, riunite in capitolo generale fino a fine mese. Alla nuova
superiora generale, la 45.enne polacca Madre Samuela Werbińska, e alle
religiose capitolari, il Pontefice ha ricordato l’importanza dell’intuizione
che, a metà del 1800, ebbero le fondatrici dell’Istituto: Clara Wolff, Matilde
e Maria Meckert e Francesca Werner. Ispirandosi “all’esempio di Santa Elisabetta
d’Ungheria, scelta come Patrona della nascente Congregazione – ha detto il Papa
- esse si dedicarono totalmente ai poveri e ai bisognosi, contemplando nel loro
volto quello del Redentore”.
Le
1.800 religiose che oggi proseguono quell’attività apostolica nelle oltre 230 case
che vanno dal Brasile alla Russia, attraversando molti Paesi dell’Europa
occidentale ed orientale, sono chiamate – ha affermato Giovanni Paolo II - “a rispondere
“con ‘fedeltà creativa’ alle sfide dell’odierna società”. Il “colloquio intimo”
con Cristo e la “comunione incessante” con Lui devono essere i capisaldi su cui
poggiare ogni progetto apostolico. “Occorre ripartire da Cristo – ha concluso
il Papa - e testimoniare, in maniera semplice e concreta, il suo amore
misericordioso per tutti, in modo speciale per quanti, ai margini delle nostre
società, sono considerati gli “sconfitti” della vita”.
ALTRE UDIENZE
Nel corso della mattina il Papa
ha ricevuto in successive udienze il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo
maggiore di Lviv degli Ucraini; mons. Brendan Michael O'Brien, arcivescovo di
Saint John, Newfoundland, presidente della Conferenza Episcopale Canadese, con
il vice-presidente mons. André Gaumond, arcivescovo di Sherbrooke, e con il
segretario generale mons. Mario Pasquette; mons. Cyryl Klimowicz, vescovo di
San Giuseppe a Irkutsk in Russia; e infine il prof. Stanisław Wilk, nuovo
rettore dell’Università Cattolica di Lublin in Polonia.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo "Non c'è vero ecumenismo senza interiore conversione":
Giovanni Paolo II presiede nella Basilica di San Pietro la solenne Celebrazione
dei Vespri nel XL anniversario della promulgazione del Decreto conciliare
"Unitatis redintegratio".
Nelle
vaticane, nel discorso al nuovo Ambasciatore dell'Iraq, il Papa auspica che il
Governo possa risolvere i conflitti e le dispute attraverso il dialogo. Il ricorso
alla forza militare - sottolinea il Santo Padre - sia considerato solo come una
risorsa estrema.
L'udienza
del Papa alle partecipanti al Capitolo Generale delle Suore di Santa Elisabetta.
Un
servizio sulla Concelebrazione Eucaristica presieduta dal cardinale Angelo Sodano
- nella Basilica Lateranense - per il 75 anniversario dei rapporti diplomatici
fra l'Irlanda e la Santa Sede.
Nelle
estere, Medio Oriente: Abu Mazen esce incolume da una sparatoria a Gaza; irruzione
di miliziani durante una commemorazione di Arafat.
Costa
d'Avorio: l'Unione Africana favorevole a sanzioni delle Nazioni Unite.
Nella
pagina culturale, un articolo di Agnese Pellegrini dal titolo "Il ragionamento
come equazione algebrica": "Vizi e virtù dell'animo umano" di
Seneca.
Nelle
pagine italiane, in primo piano l'emergenza maltempo.
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15
novembre 2004
IL CARDINALE PATRIARCA IGNACE MOUSSA I DAOUD FESTEGGIA I 50 ANNI
DI SACERDOZIO E PUBBLICA UN LIBRO SULLA VOCAZIONE
DI SAN PIETRO
- Intervista
con il Patriarca -
Il cardinale patriarca Ignace
Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha festeggiato
recentemente i 50 anni della sua ordinazione sacerdotale. In questa occasione
ha pubblicato anche un volume sulla vocazione di San Pietro dal titolo “Simon,
fils de Jean, m’aimes-tu?”(Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?”). Giovanni
Peduto ne ha parlato con lo stesso patriarca:
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R. – Sì, in vista di un
così felice traguardo ho raccolto pensieri e propositi maturati lungo l’intero
arco del mio servizio ecclesiale attorno alla figura di Pietro, con particolare
riferimento al dialogo tra Cristo e l’apostolo come è narrato nel capitolo 21
del Vangelo di Giovanni: si tratta della “storia semplice di una vocazione” ed
esprime la mia lode a Dio davanti ai fratelli. Ho redatto il testo in arabo,
mia lingua materna, ed è stata poi curata una traduzione in francese che reca
l’introduzione del cardinale Tomas Spidlik, al quale sono molto riconoscente.
D. – Beatitudine, può
sintetizzare per i nostri ascoltatori questa sua proposta?
R. – La vita è una storia
d’amore. Le più belle storie di vita sono le storie di vocazioni e tra queste
la più bella è quella di Pietro. E’ un tema che mi ha sempre appassionato. Mi
riempiva il cuore di consolazione la parola di Dio raccolta da san Paolo nella
lettera agli Efesini: “ci ha eletti prima della creazione del mondo per essere
santi… nell’amore”. La vedevo confermata nel dialogo tra il Signore e
l’apostolo Pietro, e particolarmente a quella sola domanda, ripetuta tre volte:
“Mi ami tu?”. La vita del sacerdote è profezia di una continua domanda e
risposta d’amore. Vorrei augurare ai sacerdoti di spendere la loro vita
consegnandola giorno per giorno, e con crescente gioia, proprio a questa
proposta di amore. Ma sento il desiderio di dire anche ai giovani e alle
giovani, che guardano con speranza e preoccupazione al loro futuro, di
lasciarsi interrogare dall’insistente richiesta di Cristo: “Mi ami tu?” Li
vorrei incoraggiare a rispondere con fiducia e con altrettanto amore nella
certezza che Egli non li deluderà mai.
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DOPO
LA SPARATORIA IERI A GAZA CITY, IL NUOVO LEADER DELL’OLP, ABU MAZEN,
CONTINUA LA PROPRIA MISSIONE. STASERA, UN
INCONTRO CON LE FORZE POLITICHE LOCALI PER DISCUTERE E ORGANIZZARE IL DOPO
ARAFAT,
IN
VISTA DELLE ELEZIONI POLITICHE DI GENNAIO 2005
-
Intervista con Guido Olimpio -
Dopo la
sparatoria di ieri a Gaza City, dove due agenti di sicurezza palestinesi hanno
perso la vita, il nuovo leader dell’Olp, Abu Mazen, continua la propria
missione. Il servizio di Eugenio Bonanata:
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Nella
notte scorsa Abu Mazen ha convocato una riunione straordinaria con i
responsabili dei servizi segreti aprendo un’inchiesta per rintracciare i responsabili
della sparatoria, mentre stasera è previsto un incontro con le forze politiche
locali per discutere e organizzare il dopo Arafat, in vista delle lezioni
politiche di gennaio 2005. E proprio su questo fronte, Abu Mazen ha definito
“premature” le notizie circa la sua candidatura specificando che “la questione
deve essere ancora discussa dal Consiglio Rivoluzionario e dal Comitato
centrale di Al Fatha”. Intanto, con un comunicato emesso la scorsa notte, le
Brigate dei martiri di al Aqsa assicurano l’estraneità dei propri membri agli
spari di ieri imputando la responsabilità ad “un gruppo che riceve ordini da
stranieri”. Secondo il capo di stato maggiore israeliano, Moshe Yaalon,
l’obiettivo degli estremisti palestinesi è impedire le trattative con Israele
volute da Abu Mazen, non escludendo il verificarsi di altri episodi anti
israeliani. Nel frattempo si è appresa la notizia del probabile arrivo, la
settimana prossima, del segretario di stato Colin Powell nel tentativo di
riavviare il dialogo israelo-palestinese.
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Ma che
significato dare alla sparatoria di ieri a Gaza? E’ un avvertimento contro Abu
Mazen? Roberto Piermarini lo ha chiesto all’inviato del Corriere della Sera a
Gerusalemme, Guido Olimpio:
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R. – E’ un avvertimento contro
Abu Mazen e contro Dhalan, in particolare contro la vecchia guardia del Fatah,
diciamo anche dell’Autorità palestinese, che sta cercando di rimpiazzare
Arafat. Il segnale è che non si possono fare accordi sottobanco e che va
rispettata la volontà popolare, ossia gli uomini di cui si parla, Dhalan e Abu
Mazen, anche Abu Ala, mancano di una legittimità popolare.
D. – E’ in atto, quindi, un
conflitto all’interno della dirigenza palestinese tra moderati ed
intransigenti?
R. – Non direi proprio tra
moderati ed intransigenti. Diciamo che Abu Mazen è un uomo rispettato, però
sappiamo benissimo che non ha una grande base popolare. Dall’altra, ci sono gli
attivisti del Fatah, le brigate al Aqsa, la popolazione dei campi profughi che
vorrebbero come candidato alla presidenza Marwan Barghouti. E questo perché
temono che la nuova leadership, se saranno confermati Abu Mazen e Abu Ala,
possa svendere l’Intifadah. Non dimentichiamo che Abu Mazen più volte ha
denunciato l’uso della violenza e ha detto: ‘Basta con l’Intifadah armata, ci
vogliono altri mezzi’. Chiaramente, questo non fa piacere alla ‘base’ che vuole
sempre qualche cosa, cioè vuole qualcosa di concreto.
D. – Dietro a quello che è
avvenuto ieri, c’è qualche regia?
R. – A Gaza, soprattutto, è
sempre difficile capire chi organizza queste cose. Sicuramente, le ipotesi
portano a pensare alle famose brigate al Aqsa. Non si possono però escludere
altri giochi, perché i gruppi armati a Gaza vengono poi spesso usati anche dai
responsabili della sicurezza nella lotta per il potere. Non ci si può infatti
attaccare direttamente, perché in questa fase tutti quanti invitano alla
coesione e all’unità. E’ chiaro che per colpire un avversario si utilizzano
questi gruppi, cioè le brigate al Aqsa, i comitati popolari, ci sono le
cosiddette ‘squadre della morte’ ... Ossia, sono strumenti per fare politica
con le armi.
D. – C’è stata qualche reazione
da parte di Israele a quanto accaduto ieri ad Abu Mazen?
R. –
Certamente, la valutazione israeliana è abbastanza preoccupata. Proprio ieri il
capo di Stato maggiore ha avvertito che potrebbero esserci nuovi attentati o
potrebbero anche esserci nuovi incidenti di questo tipo. Io ritengo che i
palestinesi abbiano interesse a mantenere la situazione entro una certa soglia
e quindi a non portare scontri in maniera più aperta. Però, sicuramente Israele
guarda con attenzione, perché ora ha un nuovo partner e spera che questo
partner possa controllare il campo.
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L’IRAN SOSPENDE IL PROGRAMMA NUCLEARE.
RAGGIUNTO L’ACCORDO CON I PAESI EUROPEI
-
Intervista con Alberto Zanconato -
L'Iran
sospenderà le attività del ciclo di arricchimento dell'uranio a partire dal 22
novembre. Lo ha detto oggi il capo del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, Hassan Rohani,
principale negoziatore iraniano in materia nucleare. La nuova sospensione
riguarderà le attività di conversione del minerale di uranio, prima
dell'immissione nelle centrifughe, oltre all'assemblaggio delle centrifughe
stesse. Ma che cosa
ha convinto i vertici iraniani a questa decisione? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto ad Alberto Zanconato dell’agenzia Ansa a Teheran:
**********
R. – Quello che può averli
convinti è la forte pressione esercitata dai Paesi europei – Francia, Germania
e Gran Bretagna – in questi ultimi mesi di trattative; il fronte comune tra gli
europei e gli Stati Uniti: il presidente americano Bush ha detto di appoggiare
le trattative degli europei con l’Iran. Da parte loro, gli europei hanno
mostrato una decisione, una fermezza notevole nei confronti dell’Iran. Va
detto, tra l’altro, che la sospensione dell’arricchimento dell’uranio è ancora
un provvedimento a tempo non illimitato ma fino a quando tutte le trattative
saranno state portate a compimento per fare chiarezza sul programma nucleare
iraniano; poi l’Iran si riserva quindi anche eventualmente di riprendere questa
attività.
D. – Qual è stata la moneta di
scambio per arrivare a questa decisione?
R. – La moneta di scambio è
quella che tutta l’Unione Europea ha deciso di usare, cioè incentivi economici,
in particolare la ripresa delle trattative per la conclusione di un accordo
economico-commerciale tra l’Iran e la stessa Unione Europea; poi, fornitura di
tecnologia anche in campo nucleare-civile da parte di questi tre Paesi che sono
le tre grandi potenze nucleari dell’Unione Europea. Francia, Germania e Gran
Bretagna si impegnano quindi a fornire combustibile per le centrali nucleari,
quindi uranio già arricchito, che poi l’Iran dovrà restituire dopo l’uso.
Inoltre, offrono una collaborazione per costruire una centrale ad acqua leggera
che si presta meno al possibile uso per un’eventuale costruzione di ordigni
nucleari.
D. – E’ una decisione importante
anche dal punto di vista politico, secondo te, che consente di non aumentare la
tensione nell’area?
R. – Sì, perché va ricordato che
già l’anno scorso l’Iran si era impegnato a sospendere tutte le attività di
arricchimento dell’uranio con questi stessi tre Paesi che poi, però, non si
erano detti soddisfatti, come non si era detta soddisfatta l’Agenzia
internazionale per l’energia atomica della cooperazione dell’Iran. Se comunque
a questo accordo, e chiarezza verrà fatta, questa sarà la dimostrazione che
un’azione diplomatica forte e anche ferma può dare dei risultati e questo
potrebbe anche convincere l’amministrazione americana che varrebbe la pena
seguire questa strada!
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L’ASSOCIAZIONE
“BIBLIA” HA CONCLUSO A ROMA LE
CELEBRAZIONI PER I 20 ANNI
DI FONDAZIONE CON UN CONVEGNO SUL TEMA DELL’AMORE
DI DIO
- Intervista con Agnese Cini Tassinario -
“Con la Bibbia nel cuore, nel
cuore della Bibbia”. Così recita il motto di Biblia, associazione laica di
cultura biblica che ha concluso ieri a Roma le celebrazioni per il suo
ventennale con un Convegno sul tema: “L’amore di Dio”. All’iniziativa hanno
partecipato esponenti cristiani, ebrei e musulmani per parlare dell’amore di Dio
e della risposta dell’uomo a questo amore, che può arrivare fino al
martirio. Roberta Moretti ha
intervistato la presidente di Biblia, la dott.ssa Agnese Cini Tassinario:
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R. – Nella Bibbia l’amore di Dio
viene presentato come il fulcro di tutta la Bibbia stessa e Dio viene
presentato come il Dio dell’amore e come dice Geremia come “Colui che ha amato
di amore eterno i suoi figli”, o come dice anche Osea: “Colui che ha sposato il
suo popolo e gli è rimasto fedele, anche quando il popolo lo ha tradito”; ed
infine, come dice Giovanni nel Nuovo Testamento: “Colui che ha tanto amato il
mondo da donargli Suo Figlio”. Questo amore chiede, però, di essere
corrisposto. La regola principale, che poi i Vangeli riprenderanno, e anche del
Deuteronomio, dice
infatti: “Amerai il Signore, Dio Tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
anima e con tutte le forze”.
D. – In questo senso il martirio
è la massima espressione dell’amore dell’uomo verso Dio?
R. – Martire è un termine che
viene dal greco e che vuol dire “testimone”. Indica, soprattutto all’inizio,
coloro che confessano la fede in Dio e in Gesù, fino a perdere la vita
piuttosto che rinnegarla. Il martirio è, quindi, la testimonianza estrema
dell’amore e della fedeltà a Dio, per quanto riguarda ovviamente gli ebrei, e a
Gesù Cristo, per quanto riguarda invece i cristiani. Nel mondo islamico ha
subito una trasformazione moderna, discosta da questo termine di martirio, che
appartiene alla storia.
D. – In cosa consiste l’attività
di “Biblia”?
R. – Ogni anno noi organizziamo
da sei a sette convegni o seminari su temi o personaggi biblici. Organizziamo
anche corsi indirizzati ad insegnanti di introduzione generale allo studio
della Bibbia, sempre in chiave interconfessionale e laica. Facciamo anche dei
corsi di greco ed ebraico biblico ed un viaggio di studio all’anno in terre
dove la Bibbia è nata o si è sviluppata
particolarmente.
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15
novembre 2004
UNA CHIESA
PRESENTE NEL MONDO, CHE VIVE L’ANNUNCIO E IL DIALOGO,
PER
COSTRUIRE UN AVVENIRE COMUNE. QUESTO, IN SINTESI IL MESSAGGIO FINALE DEL SIMPOSIO DEI VESCOVI AFRICANI ED
EUROPEI,
TENUTOSI A ROMA DA 10 AL 13 NOVEMBRE
- A cura di Roberta Moretti -
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ROMA. = “Vivere la comunione e la solidarietà tra l’Africa
e l’Europa in una Chiesa presente nel mondo, in una Chiesa portatrice di
speranza, che vive l’annuncio e il dialogo, in una Chiesa preoccupata per i
valori da promuovere e per costruire un avvenire comune”. E’ questo, in
sintesi, il messaggio finale del Simposio dei vescovi africani ed europei, tenutosi
a Roma da 10 al 13 novembre sul tema: “Comunione e solidarietà tra Africa ed
Europa: Cristo ci chiama, Cristo ci invia”. I vescovi, in primo luogo, ricordano
ai Paesi ricchi l’impegno di dedicare lo 0,7% del loro prodotto interno lordo
per l’aiuto pubblico allo sviluppo. “Interpelleremo senza sosta – dice il
messaggio – i nostri governi e l’Unione Europea sulla necessità di una
cancellazione del debito, di regole commerciali giuste e di una mondializzazione
dal volto umano”. Le Chiese africana ed europea hanno il dovere di operare
“ovunque per la giustizia e per la pace, con sforzi di riconciliazione e di
difesa dei diritti dell’uomo”.
“Illuminati dalla Dottrina sociale della Chiesa”, i prelati saranno al fianco
dei “cristiani che partecipano alle decisioni nel campo economico e politico”.
I vescovi sottolineano, poi, la necessità di un sostegno reciproco tra le
persone, consacrate e laiche, impegnate per la missione nei due continenti. In
questo senso, fondamentale è anche il dialogo con le altre religioni, in
particolare con l’Islam. “Dobbiamo conciliare il rispetto dovuto alla libertà
religiosa, la stima e la volontà di collaborazione con la proclamazione serena,
ma senza ambiguità, della nostra fede in Cristo e della nostra tradizione”. E’
necessaria, inoltre la promozione di una “cultura della vita”, in nome de
valori comuni che uniscono Africa ed Europa. Un particolare riferimento è
rivolto alla famiglia, fondamento della società, “profondamente ferita oggi” e
bisognosa di una “pastorale particolare”. Il messaggio si conclude con l’invito
ad un “avvenire comune” dei cristiani d’Africa e d’Europa, animati dalla forza
dello Spirito, nell’anno che il Papa ha dedicato all’Eucaristia. (R.M.)
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AL VIA OGGI A WASHINGTON L’ASSEMBLEA PLENARIA
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI. TRA GLI OBIETTIVI DELL’INCONTRO,
DEFINIRE UNA LINEA
PASTORALE COMUNE NEI CONFRONTI DEI POLITICI
CON POSIZIONI
CONTRASTANTI CON LA DOTTRINA
CRISTIANA
WASHINGTON. = Prende il via, oggi a Washington,
l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Ricca e
articolata l’agenda dei lavori che comprenderà anche temi particolarmente
delicati. In primo piano sarà infatti il vivace dibattito, che ha animato in
quest’ultimo anno la campagna elettorale per le presidenziali, sui politici che
assumono posizioni in aperto contrasto con la dottrina cristiana, soprattutto
sulla difesa della vita. I vescovi esamineranno un rapporto preparato da una
commissione ad hoc che indica la linea pastorale comune da seguire in questi
casi, alla luce delle indicazioni della Congregazione per la Dottrina della
fede. Altro tema scottante, sarà poi quello dei matrimoni omosessuali, sul
quale è prevista la pubblicazione di un documento nell’ambito di un più vasto
piano di azione pastorale sul matrimonio. Durante i lavori, sarà poi approvato
il primo “Catechismo per adulti degli Stati Uniti”. Si tratta di un volume di
456 pagine che, pur seguendo la struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica
del 1992, ne adatta il contenuto alla specificità del contesto statunitense. I
presuli americani dovranno inoltre decidere se aderire alla neonata
associazione ecumenica “Christian Churches Together in the Usa” (CctUsa),
un’iniziativa del Consiglio nazionale delle Chiese (Ncc), volta a promuovere il
dialogo ecumenico e la collaborazione con le Chiese che attualmente non sono
membri dello stesso Consiglio, come quella cattolica e le nuove Chiese
evangeliche e pentecostali. Tra gli altri punti all’ordine del giorno
dell’Assemblea, figurano l’approvazione di tre nuovi testi liturgici in lingua
spagnola ad uso della Chiesa negli Stati Uniti, la promozione di nuove
iniziative di collaborazione e aiuto alla Chiesa africana e l’esame
dell’attuazione nelle diocesi statunitensi della “Carta per la protezione dei
bambini e dei giovani”, approvata nel 2002 dopo lo scandalo della pedofilia.
L’Assemblea dovrà infine designare il nuovo presidente e vicepresidente della
Conferenza episcopale e approvare il bilancio di previsione 2005 che quest’anno
supera i 129 milioni di dollari. (L.Z.)
VIVA SODDISFAZIONE DELL’ARCIVESCOVO UGANDESE DI
GULU, MONS. ODAMA,
PER IL CESSATE IL FUOCO DECISO DAL PRESIDENTE
MUSEVENI NELLA REGIONE
DEL NORD UGANDA, MARTORIATA DAL CONFLITTO
TRA TRUPPE GOVERNATIVE E GRUPPI RIBELLI
GULU.= “Ringraziamo il presidente Museveni e l’Esercito di resistenza del
signore per questo passo importante verso la pace”. Così, mons. John Baptist
Odama, arcivescovo di Gulu, nel nord Uganda, ha commentato all’Agenzia Fides il
cessate il fuoco di sette giorni in un’area del nord del Paese africano deciso
unilateralmente dal presidente ugandese Museveni. “Chiediamo ai responsabili
politici a livello locale e nazionale e alla comunità internazionale che questa
nuova iniziativa sfoci nella pace”, ha aggiunto mons. Odama, che è anche leader
del gruppo interreligioso Acholi. Il cessate il fuoco, che inizia oggi alle 18
locali, servirà a verificare se i segnali di disponibilità negoziale giunti dai ribelli dell’Esercito
di resistenza del signore (Lra) siano concreti, o semplicemente un tentativo
per guadagnare tempo in un momento di grave difficoltà sul campo. Il ministro
del nord dell'Uganda sembra, comunque, aver avuto chiari segni di disponibilità
negoziale da parte della leadership dei guerriglieri. La scorsa settimana,
inoltre, un gruppo di mediatori indipendenti aveva riferito che i ribelli
avevano chiesto colloqui di pace, ma con la condizione che si svolgessero in un
Paese neutrale. (A.G.)
ROMA OSPITERA’ LA SEDE DEL SEGRETARIATO GENERALE
DEI PREMI NOBEL PER LA PACE. L’INIZIATIVA È STATA APPROVATA ALL’UNANIMITA’ A
CONCLUSIONE
DEL V SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE,
ORGANIZZATO DALLA FONDAZIONE GORBACIOV E DAL
COMUNE DI ROMA
ROMA. = Roma ospiterà la sede
del Segretariato generale dei Premi Nobel per la Pace. L’iniziativa, su
proposta del Presidente Mikhail Gorbaciov e dell’ex presidente coreano, Kim
Dae-Jung, in accordo col comitato di Oslo, è stata approvata all’unanimità a
conclusione del V Summit mondiale dei Premi Nobel per la Pace, organizzato dalla
Fondazione Gorbaciov e dal Comune di Roma. Il Segretariato generale sarà un
vero e proprio osservatorio sulla politica mondiale. Insieme al compito di
raccordare le attività dei Premi Nobel per la Pace, il Segretariato generale
avrà, tra gli obiettivi principali, la programmazione di interventi nelle aree
di crisi e l’elaborazione di risoluzioni congiunte in materia di prevenzione
dei conflitti e di rispetto dei diritti umani. I Premi Nobel hanno inoltre
attivato la procedura formale per il riconoscimento del Segretariato generale
quale ONG delle Nazioni Unite. La decisione è stata comunicata stamani al
sindaco di Roma, Walter Veltroni, e alle massime cariche dello Stato italiano.
(R.M.)
LE MISSIONARIE FRANCESCANE DI MARIA CELEBRANO OGGI
IL CENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELLA LORO
FONDATRICE,
MARIA
DELLA PASSIONE, BEATIFICATA DA GIOVANNI PAOLO II NEL 2002
ROMA.
= Ricorre oggi il centesimo anniversario della morte di Maria della Passione,
fondatrice delle Missionarie Francescane di Maria, beatificata da Giovanni
Paolo II nel 2002. Nata come Helen de Chappotin nel 1839, in Bretagna, Maria
della Passione è stata la prima donna a fondare una congregazione, dando vita
alle Missionarie Francescane di Maria nel 1877. Oggi le missionarie della
Congregazione sono 7.500, di 80 diverse nazionalità e attive in 77 Paesi, 18
dei quali in Africa, dall’Algeria al Madagascar. Il loro carisma si esprime nell'offerta della vita per la
salvezza del mondo, al seguito di Cristo che si offre al Padre nel mistero dell’Incarnazione
e della Pasqua, nella vita contemplativa centrata sulla celebrazione e
l'adorazione eucaristica, fonte del dinamismo missionario, nell’universalità
della missione per l’avvento del Regno e nell’ispirazione mariana: Maria, “via
nella via”, “Ecce”, “Fiat”. Tali aspetti sono permeati dalla spiritualità
francescana, che fa vivere il Vangelo in mezzo al mondo in semplicità, pace e
gioia. (R.M.)
CONSEGNATO IL PREMIO
GIORNALISTICO “HARAMBEE 2002. COMUNICARE L’AFRICA”. L’APPUNTAMENTO SI E’ SVOLTO
NELLA SALA DELLA PROTOMOTECA
IN CAMPIDOGLIO A ROMA
- A cura di Giovanna Bove -
**********
ROMA. = La premiazione è stata
occasione per parlare dell’Africa, dei suoi problemi, delle sue innumerevoli
risorse e dell’informazione “frammentaria – così l’ha definita Giovanni Minoli,
moderatore dell’incontro – e troppo spesso legata alle emergenze”. Ma l’Africa
comincia a fare breccia nelle redazioni, se è vero che alla giuria del premio
“Harambee 2002”, costituita da studiosi e professionisti della comunicazione, sono giunti 51 filmati. Tre sono stati i
premiati. Il conferimento per il miglior documentario prodotto da una ONG che
lavora in Africa è andato a Lena Slachmuijilder, per un video proveniente dal
Burundi. La produzione ha raccontato l’esperienza dell’emittente radiofonica
“Studio Ijambio”, dove lavorano giornalisti Hutu e Tutsi, ed è stato premiato –
si legge nella motivazione – per aver mostrato “il ruolo che possono avere i
media nel promuovere la pace”. Il documentario “Inhlanyelo Fund”, dell’autrice
Michelle Makori, dello staff della Tv SABC, ha puntato l’obiettivo
sull’importanza del microcredito, capace di offrire “condizioni e un minimo di
mezzi per lavorare con dignità”. Raisat Ragazzi ha presentato il suo video “Il
mondo raccontato dai bambini: l’Eritrea”, realizzato da Serena Laudisa. Secondo
la motivazione, “l’originale impostazione supera gli stereotipi nella
presentazione della realtà africana, e mostra con semplicità e freschezza che
le altre persone sono come noi, solo che vivono immerse in circostanze più
difficili”. Il premio audiovisivo è
stato organizzato dall’Opus Dei nell’ambito dell’iniziativa di solidarietà
“Harambee 2002”, istituita in occasione della canonizzazione di Josemarìa
Escrivà de Balaguer. Raccolti finora 850 mila euro, che hanno finanziato 24
progetti per l’Africa. In Sierra Leone, ad esempio, ci si è impegnati per ridare una famiglia agli ex
bambini soldato. In Sudan si è lavorato per metter su un Corso di cucina e
panetteria, promosso dalle Suore canossiane mentre in Nigeria sono stati
costruiti pozzi di acqua potabile.
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15 novembre 2004
A cura
di Fausta Speranza –
Combattimenti ripresi a Falluja dopo che le forze
americane hanno lanciato attacchi con artiglierie e aerei contro presunte
postazioni dei ribelli. Le forze americane durante la notte hanno anche
attaccato alcuni obiettivi a colpi di mortaio. Ma sull’Iraq, in studio Fausta
Speranza:
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Colpi di artiglierie e da aerei
almeno cinque volte sulla parte meridionale della città e poco dopo sparatorie
e esplosioni. Le forze americane spiegano di aver attaccato un bunker
sotterraneo, dotato di gallerie rinforzate per depositi di armi, fra cui un
cannone antiaereo. Sostengono di eliminare le “residue sacche di resistenza”,
smantellando depositi di armi allestiti in edifici, comprese moschee. E
ufficiali americani affermano di aver ripreso il pieno controllo di Falluja
dopo una settimana di intensi combattimenti. Ma c’è da dire che la Mezzaluna
Rossa ha annunciato di non poter entrare nella città sunnita: i militari
americani hanno negato l'ingresso a Falluja, adducendo ragioni di sicurezza. Il
convoglio umanitario, dunque, lascerà l'ospedale dove attendeva da ormai quasi
due giorni di entrare nel centro abitato.
Ma non è solo Falluja sotto
tiro: attacchi aerei e terrestri da parte delle forze armate americane hanno
colpito anche Baquba dopo scontri armati fra ribelli e forze di sicurezza
irachene. E’ un ufficiale americano a confermare che i morti sono almeno 20.
C’è da
dire che, per la prima volta, un esponente del governo provvisorio iracheno ha
ammesso che le cruciali elezioni di gennaio potrebbero essere rinviate se la
violenza continuerà. E’ il vice premier Barham Salih, in un'intervista al
quotidiano britannico The Guardian, ad affermare che prima del voto sarà
necessario verificare la situazione della sicurezza.
Al di là
della cronaca sul campo, inoltre, il collegio di difesa italiano di Tareq Aziz,
ex vicepresidente iracheno e consigliere di Saddam Hussein, ha annunciato per
giovedì prossimo una conferenza stampa sul ricorso presentato la settimana
scorsa all’Onu a Ginevra. Tareq Aziz, catturato alla fine di aprile dell'anno scorso, è detenuto in una località
segreta di Baghdad e, come lamentano i suoi difensori, non può avere contatti
nè con i familiari nè con i suoi legali. E poi c’è l’annuncio dell’esercito
Usa: un ufficiale americano è stato incriminato dalla giustizia militare per
omicidio premeditato in relazione al suo ruolo presunto nell'esecuzione di un iracheno che era già stato ferito.
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Abidjan
celebra oggi la giornata della pace,
festa nazionale in Costa d'Avorio, dopo giorni di violenze anti francesi. E’ festa nazionale, istituita dal primo
presidente ivoriano Felix Houphou -Boigny. Già nel fine settimana comunque non
si sono più registrati atti o manifestazioni contro le truppe francesi che
stazionano nel Paese nel quadro di una
missione Onu. In seguito alla crisi
scoppiata il 6 novembre, con l'uccisione di nove militari francesi, e durata tre giorni, dal Paese
sono partiti più di 5.000 occidentali,
la maggior parte francesi.
La
Namibia si reca oggi e domani alle urne per eleggere il nuovo presidente.
Secondo gli osservatori internazionali non si prevedono sorprese in quanto il
partito Swapo, che controlla saldamente il 70% dei voti, ha già designato il
successore del presidente Nujoma che lascia, dopo 15 anni, dopo aver portato il
Paese all’indipendenza. Ce ne parla Laura Mezzanotte:
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In quel Congresso, il presidente
e ‘padre della patria’ era riuscito a far designare Hifikepunye
Pohamba come suo delfino. Nujoma non lascia veramente il potere, è stato il
commento generale; Pohamba è amico personale del presidente, il suo compagno
dagli anni della lotta contro il dominio sudafricano. Non solo: Nujoma resterà
a capo del partito fino al 2007. Elezioni senza storia, dunque, ma non senza
conseguenze. Pohamba è stato finora ministro della terra e questo sarà il tema
politico dei prossimi anni, in Namibia. Il Paese ha avviato un processo di
riappropriazione delle terre, in gran parte ancora in mano alla minoranza
bianca. E, nonostante le continue assicurazioni del governo che tutto si
svolgerà nell’ordine e nella legalità, ci sono segnali di una possibile
‘sindrome zimbabwana’ con un comportamento assai ambiguo dell’esecutivo. Quanto
all’altro grave problema del Paese – l’AIDS – si ha l’impressione che il mondo
politico se ne occupi più a parole che con i fatti.
Laura Mezzanotte per
la Radio Vaticana.
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Dalle scuole materne ai licei,
dai maestri agli insegnanti, dai bidelli ai presidi, oggi il mondo della scuola
è in sciopero in tutta Italia contro le riforme Moratti e i tagli della
Fiinanziaria, ma anche per sollecitare il rinnovo dei contratti di lavoro. La
protesta, organizzata da un ampio schieramento di sindacati prevede oltre
all'astensione dal lavoro una manifestazione
nazionale a Roma, che Paolo Ondarza sta seguendo per noi:
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La Finanziaria è una
dichiarazione di morte alla scuola pubblica: così Enrico Panini, segretario
generale della Fondazione Lavoratori della Conoscenza. La denuncia
rappresentata in piazza dal sindacato confederale è resa visibile dallo sfilare
di bare portate a spalla da docenti, studenti, genitori, personale Ata che
chiedono al governo la riapertura delle trattative su legge Moratti e
Finanziaria. Hanno dato il colpo di grazia a tutto il sistema scuola – si legge
nei necrologi affissi alle transenne. Un unico sciopero, due i cortei
organizzati nella capitale da CGIL, CISL e UIL, Cobas e Gilda. Escluso solo lo
SNALS, per il quale la protesta è sola rimandata al 29 novembre.
Per le vie di Roma, sotto un
cielo bianco, bagnate dalla pioggia oltre un milione di persone, tra dirigenti
scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo. Otto milioni gli
studenti coinvolti. Si protesta contro la mancanza di contratto per 800 mila
dipendenti tra insegnanti e personale Ata, ma si sciopera anche contro i tagli
previsti dalla Finanziaria: 14 mila posti di lavoro in meno.Sotto accusa anche
la riforma Moratti e la rivoluzione delle tre i: più impresa, Internet
ed inglese. Preoccupa i sindacati la riduzione dell’orario scolastico, da 30 a
27 ore e l’introduzione del tutor che secondo la legge 53 /potrebbe
diminuire numericamente il corpo docente e svilirne il ruolo. Sulla protesta
massiccia oggi è intervenuta la vice della Moratti, Maria Grazia Filiquini, che
ha parlato di uno sciopero politico condito da falsità.
Ma il disagio è generale e la
voce degli studenti, dei docenti e dei genitori stamattina ha vinto il maltempo
per contrastare l’azione di un governo accusato di dare una spallata
distruttiva alla scuola pubblica.
Da
piazza Navona, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.
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“Gli ideali della Resistenza cui
tanti uomini e donne sacrificarono generosamente la loro vita, in Italia come
in tutti i Paesi dell'Europa occupata dal nazismo, furono all'origine del
movimento per la pacificazione e l'unificazione dei popoli europei''. Lo ha
affermato il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi,
intervenendo a Palestrina alla commemorazione del 60/o dell'eccidio di Vigesimo
nel quale i nazifasciti uccisero 121 martiri della libertà. Ciampi, che stamani ha deposto una corona
d'alloro al monumento ai caduti della cittadina laziale, ha ricordato che Palestrina, ''posta nelle immediate
vicinanze di Cassino e di Anzio, fu
distrutta da cannoneggiamenti e bombardamenti aerei. Divenne campo di battaglia. Dallo sbarco di Anzio fino al
primo giugno del '44, tre giorni prima
della liberazione, si contarono a
Palestrina molte centinaia di vittime, circa il 5% della sua popolazione e i tre quarti delle sue
abitazioni furono distrutti o
danneggiati''.
Cessazione di ogni attività
paramilitare da parte degli estremisti Unionisti; assicurazione da parte dei
governi di Londra e Dublino che i paramilitari Nazionalisti dell’Ira
distruggeranno i loro arsenali: sono due momenti positivi che fanno sperare in
una nuova alba di pace per l’Irlanda del Nord. Il servizio di Enzo Farinella:
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Dalla
mezzanotte di oggi l’Associazione di difesa dell’Ulster, l’Organizzazione
paramilitare estremista degli Unionisti nel Nord Irlanda, ha cessato per sempre
le sue operazioni militari e il governo di Londra ha riconosciuto ufficialmente
questa decisione. In un comunicato stampa rilasciato ieri, l’Associazione di
difesa dell’Ulster si è impegnata ad abbandonare ogni forma di violenza e a
lavorare per la fine di tutte le ostilità paramilitari. Dall’altro fronte, i
paramilitari nazionalisti dell’Ira, che da un decennio fanno tacere le loro
armi, non hanno ancora dichiarato ufficialmente che la guerra nel Nord Irlanda
è finita. La mancata prova visiva che evidenzi la distruzione dei loro arsenali
si frappone ancora come ostacolo per gli Unionisti ad accettare un nuovo
governo di coalizione. Comunque, i primi ministri Blair e Ahern hanno dato
tempo fino al 26 novembre ai Nazionalisti di Jerry Adams e agli Unionisti di
Ian Paisly per raggiungere un accordo, e si spera che i Democratici Unionisti
accettino le assicurazioni dei due governi sulla genuina buona fede dei
paramilitari dell’Ira, pronti a porre fine ad ogni ostilità e a distruggere i
loro arsenali per abbracciare totalmente il processo di pace. Purtroppo la
sfiducia tra le due comunità è ancora profonda, ma si crede che si potrà
raggiungere presto un accordo definitivo per una pace giusta e duratura in
quest’angolo meraviglioso dell’Unione Europea.
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Il portavoce ufficiale del governo giapponese Jiroyuki Hosoda ha dato oggi una
valutazione cautamente positiva dei
colloqui con la Corea del nord svoltisi
fino ad ieri a Pyongyang sulla sorte di 10 connazionali rapiti negli anni '70 e '80 dai servizi segreti
nordcoreani. ''Non è l'ora di pensare a
sanzioni economiche'' - ha detto -
aggiungendo che i contatti con la Corea del Nord “continueranno in varie
forme''. Il primo ministro giapponese
Junichiro Koizumi, ha commentato che la speranza era che tornassero loro, in
carne ed ossa, da Pyongyang, e invece sono arrivati con un volo charter quattro
container pieni di ''prove documentali'' della loro morte ‘nell'inferno’ della
Corea del Nord, dopo una difficile vita da rapiti per essere trasformati in
improbabili istruttori di spie e agenti segreti.
Massicce
proteste sindacali sono in corso in Corea del sud contro un progetto di legge
del governo per introdurre flessibilità nel mercato del lavoro, consentendo alle
imprese di impiegare più dipendenti con contratti temporanei. Ieri decine di migliaia di affiliati alla
Confederazione coreana dei sindacati (Kctu) sono scesi in piazza a Seul contro
quello che hanno definito un attacco ai diritti base dei lavoratori. Oggi almeno 40.000 dipendenti pubblici hanno
incrociato le braccia, chiedendo il diritto di rappresentanza sindacale e
sfidando le minacce di arresti in massa per sciopero illegale fatte dal
governo, che ha mobilitato 16.000 poliziotti nella capitale. Il governo del
presidente riformista e progressista Roh Moo Yun intende presentare la prossima
settimana in parlamento una legge che consente alle imprese di estendere
l'impiego con contratti a tempo. ''E' una manovra per trasformare tutti in
lavoratori precari e sottopagati'', accusano i sindacati. Ancor più delicata la situazione per i
dipendenti pubblici, scesi in piazza per ottenere il diritto di sciopero.''
Tutti quelli che parteciperanno alle
proteste di oggi saranno puniti'', ha minacciato il ministro dell'Interno, Hung
Sung Kwan.
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