RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 317  - Testo della trasmissione di venerdì 12 novembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Chiesa e Stato portoghese uniti nella sfida culturale contro la crisi dei valori in atto nelle società. Così il Papa al presidente del Portogallo, Jorge Sampaio, ricevuto in udienza

 

No all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, sì alle cure palliative che rispettano la dignità della persona. Così Giovanni Paolo II  ai partecipanti alla Conferenza internazionale sul tema

 

La medicina rispetti l’uomo e la sua sofferenza: il richiamo del Pontefice nel messaggio all’Associazione medici cattolici italiani, in occasione del suo 23.mo Congresso Nazionale

 

Accolte dal Papa nella sua cappella privata, le reliquie di Sant’Agostino, del quale ricorrono domani

i 1650 anni dalla nascita

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Emozione e tensione a Ramallah per la sepoltura di Arafat. Migliaia di palestinesi si sono raccolti attorno al feretro inumato alla Muqata, dopo i funerali al Cairo: ai nostri microfoni Guido Olimpio

 

L’impegno ecumenico al centro di un Convegno internazionale, a 40 anni dalla pubblicazione della Unitatis Redintegratio: ce ne parla padre Roberto Giraldo

 

Incontro tra ebrei, musulmani e cristiani per parlare di pace: con noi padre Silvio da Costa Junior

 

Vescovi africani ed europei si confrontano sull’evangelizzazione nei due continenti, al Simposio internazionale che riunisce le due realtà episcopali: il commento del vescovo Gabriel Mbilingi

 

Torna a risplendere dell’antico prestigio il teatro veneziano de “La Fenice”. Questa sera, prima inaugurale con la Traviata di Giuseppe Verdi: intervista con Sergio Segalini

 

CHIESA E SOCIETA’:

Oggi, a Roma, Messa in occasione dell’anniversario della strage di Nassirya

 

Si chiude oggi l’11.ma Assemblea generale della Conferenza spagnola dei religiosi

 

Riduzione degli arsenali militari e cooperazione tra gli Stati: le priorità emerse a conclusione del V Summit mondiale dei premi Nobel per la pace

 

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ritira il personale dal Darfur

 

Appello di Kofi Annan, per la raccolta di 1,7 miliardi di dollari per le vittime delle “crisi dimenticate” nel mondo

 

24 ORE NEL MONDO:

Crisi in Iraq: violenti nuovi scontri a Falluja e Mossul

 

Dopo l’uccisione del regista Van Gogh, la polizia olandese arrestate 29  presunti terroristi.

 

Vertice domenica prossima in Nigeria per trovare una soluzione alla crisi in Costa d’Avorio.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 novembre 2004

 

 

CHIESA E STATO PORTOGHESE UNITI NELLA SFIDA CULTURALE

CONTRO LA CRISI DEI VALORI NELLA SOCIETA’. COSI’ IL PAPA

AL PRESIDENTE DEL PORTOGALLO, JORGE SAMPAIO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“La formazione di una coscienza critica ordinata al discernimento del senso della vita e della storia costituisce la sfida culturale più grande del momento attuale”, segnato da “una grave crisi di valori” all’interno delle società. L’affermazione è contenuta nel breve indirizzo di saluto che Giovanni Paolo II ha rivolto questa mattina al presidente del Portogallo, Jorge Sampaio, ricevuto in udienza in Vaticano con un piccolo seguito.

 

Il Papa ha ricordato la giornata del 13 maggio del 2000, quando celebrò a Fatima la Messa di beatificazione dei due pastorelli veggenti, Francesco e Giacinta. Quella “luce benefica, che rifulse nella loro vita  possa estendersi a tutto il mondo”, ha auspicato, assicurando la piena collaborazione della Chiesa con lo Stato portoghese, secondo quanto stabilito dal nuovo Concordato che si appresta ad entrare in vigore.

 

 

NO ALL’EUTANASIA E ALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO CHE NEGANO ENTRAMBE

LA DIGNITA’ DELLA PERSONA. SI’ INVECE ALLE CURE PALLIATIVE

E ALL’USO MISURATO DI ANALGESICI PER LENIRE LE SOFFERENZE DEI MALATI.

 DAL PAPA I PARTECIPANTI ALLA 19.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL TEMA

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

La voce del Papa si è levata stamane nell’Aula Paolo VI, per affermare che “la medicina si pone sempre al servizio della vita.” Giovanni Paolo II si è rivolto ai partecipanti - oltre 650 di 73 Paesi – della XIX Conferenza internazionale su “Le cure palliative”, organizzata dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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Se la medicina non può debellare una patologia - ha detto il Papa – deve applicarsi per lenirne le sofferenze, “avendo coscienza dell’inalienabile dignità di ogni essere umano, anche nello stato terminale”.

 

“Voglia il Signore illuminare quanti sono vicini ai malati, incoraggiandoli a perseverare nei distinti doni e nelle diverse responsabilità”.

 

Per il cristiano ciò significa prendersi cura di Cristo stesso ed esiste infatti – ha sottolineato il Santo Padre - un diretto legame tra la capacità di soffrire e la capacità di aiutare chi soffre, sciogliendo “quell’enigma del dolore e della morte che al di fuori del Vangelo ci opprime”.

 

Il Papa ha affrontato poi il dramma dell’eutanasia, causato “da un’etica che pretende di stabilire chi può vivere e chi deve morire”, che sopprime la persona invece di riscattare la sua sofferenza, in forza di “una mal intesa compassione o di una mal compresa dignità da preservare”, che arriva a cancellare la vita per annientare il dolore, “stravolgendo così lo statuto etico della scienza medica”.

 

“La vera compassione - ha chiarito il Santo Padre - al contrario promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente” e al tempo stesso aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta utile a tal fine” Ma “il rifiuto dell’accanimento terapeutico non è rifiuto del paziente e della sua vita”, “è espressione del rispetto che in ogni istante” si deve al malato. E qui si colloca la  necessità delle cure palliative per rendere sopportabile la sofferenza fisica e psichica, attraverso l’intervento di équipe di specialisti, affiatati tra loro, “con competenza medica, psicologica e religiosa”, e prevedendo l’uso di analgesici pure nel rispetto della libertà dei pazienti, che per quanto possibile devono potersi preparare “con piena coscienza all’incontro definitivo con Dio”. Ecco perché la somministrazione di analgesici deve essere proporzionata all’intensità e alla cura del dolore, evitando ingenti dosi allo scopo di provocare al morte.

 

Ma “la scienza e la tecnica – ha concluso Giovanni Paolo II – non potranno mai dare risposta soddisfacente agli interrogativi essenziali del cuore umano. A queste può rispondere solo la fede”

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LA MEDICINA RISPETTI SEMPRE LA DIGNITA’ DELL’ESSERE UMANO:

E’ IL RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II NEL MESSAGGIO

ALL’ASSOCIAZIONE MEDICI CATTOLICI ITALIANI,

IN OCCASIONE DEL SUO 23.MO CONGRESSO NAZIONALE

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

La medicina deve sforzarsi di essere “interlocutrice di ogni essere umano infermo, senza cedere a discriminazioni, ma andando incontro alle necessità di tutta la persona”. E’ la riflessione offerta da Giovanni Paolo II nel messaggio al prof. Domenico Di Virgilio, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. Come medici, evidenzia il Papa, avete “un’occasione privilegiata per contribuire all’edificazione di un mondo sempre più rispondente alla dignità dell’essere umano”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Nessun tipo di ricerca – avverte il Papa – può ignorare l’intangibilità di ogni singolo essere umano: violare questa barriera significa aprire le porte a una nuova forma di barbarie”. Rivolgendosi ai medici cattolici – in occasione del 23.mo Congresso nazionale della loro Associazione – il Pontefice rileva che nella nostra società “prevale a volte una mentalità arrogante, che pretende di discriminare tra vita e vita, dimenticando che l’unica risposta veramente umana di fronte alla sofferenza altrui è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione”. Non trascurando “mai la dimensione spirituale dell’uomo”, è il suo richiamo, i medici devono porsi “in ascolto di ogni uomo senza distinzione ed accogliendo tutti per alleviare le sofferenze di ciascuno”. Per realizzare questo, aggiunge, la ricerca medica “non può prescindere da un’attenta riflessione sulla natura stessa dell’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza”.

 

L'uomo, ribadisce, “è centro e vertice di tutto ciò che esiste sulla terra: nessun altro essere visibile possiede la sua stessa dignità”. L’inviolabile dignità della persona, dunque, deve “essere affermata con forza e coerenza oggi più che mai”. E qui il Papa avverte che “non si può parlare di esseri umani che non sono più persone o che ancora devono diventarlo” giacché la dignità personale appartiene radicalmente a ciascun essere umano e nessuna disparità è accettabile né giustificabile”. Richiama dunque i principi etici radicati nel Giuramento di Ippocrate: “Non vi sono vite indegne di essere vissute – afferma con forza - non vi sono sofferenze, per quanto penose, che possano giustificare la soppressione di un’esistenza; non vi sono ragioni, per quanto alte – si legge ancora nel messaggio - che rendano plausibile la “creazione” di esseri umani destinati ad essere utilizzati e distrutti”. Giovanni Paolo II esorta infine i medici cattolici ad ispirarsi sempre nelle loro scelte alla “convinzione che la vita va promossa e difesa dal suo concepimento fino al suo tramonto naturale”.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, e l’on. Francesco Storace, presidente della Regione Lazio.

 

Nel Suriname, il Papa ha nominato vescovo di Paramaribo il sacerdote Wilhelmus de Bekker, amministratore diocesano e parroco della medesima circoscrizione ecclesiastica”. Il nuovo presule, 65 anni, è olandese di nascita ed ha conseguito la licenza in Antropologia culturale e sociale. Al termine dei suoi studi si è trasferito nel Suriname ed ha lavorato nella Direzione delle scuole cattoliche, soprattutto a favore dei bushnegreos e degli amerindi all'interno del Paese. Ha compiuto la maggiore degli studi ecclesiastici nel Suriname fino all’ordinazione sacerdotale. La Diocesi di Paramaribo, creata nel 1958, è suffraganea dell'Arcidiocesi di Port of Spain. Il Paese è stato evangelizzato dai francescani alla fine del XVII secolo. E' situata sulla costa nord­orientale del Sud America. Ha una superficie di 164 mila kmq e 460 mila abitanti, de quali oltre centomila sono cattolici, suddivisi in 31 parrocchie, con 23 sacerdoti, 11 religiose e 114 catechisti.  

 

 

ACCOLTE DAL PAPA NELLA SUA CAPPELLA PRIVATA, LE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO,

DEL QUALE RICORRONO DOMANI I 1650 ANNI DALLA NASCITA

- Servizio di Tiziana Campisi -

 

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“Bisogna leggere la storia nella luce della Provvidenza divina che guida gli eventi verso l’incontro definitivo col Padre. Orientaci verso mete di pace, alimentando nel nostro cuore il tuo stesso anelito per quei valori sui quali è possibile con la forza che proviene da Dio la città a misura dell’uomo”. Sono alcune parole scritte d Giovanni Paolo II in una preghiera a Sant’Agostino, composta per il 1650.mo anniversario della nascita del grande dottore della Chiesa. Un chiaro invito alla ricerca di Dio, che vuole indirizzare gli uomini verso la pace.

 

Il Santo Padre ha accolto le reliquie di San’Agostino ieri sera nella sua cappella privata. Ha voluto pregare in silenzio e a lungo dinanzi all’urna del vescovo di Ippona, che i padri agostiniani hanno lasciato nel Palazzo apostolico per una notte. E mentre il Papa sostava in preghiera, una fiaccolata di giovani è partita da Sant’Agnese in Agone per raggiungere la basilica di Sant’Agostino. Centinaia di ragazzi hanno voluto pregare idealmente insieme al Papa, meditando sull’Eucaristia, come il Pontefice stesso ha consigliato quest’anno, e sugli scritti di Sant’Agostino. Don Mauro Parmeggiani, responsabile della Pastorale giovanile della diocesi di Roma, che ha presieduto ieri sera la celebrazione eucaristica, nella sua omelia ha tracciato l’esperienza di vita di Agostino: un santo lontano da noi nel tempo, ma di cui possiamo dire – come ha scritto Giovanni Paolo II – un po’ tutti ci sentiamo discepoli e figli. Si incontrano due grandi cuori giovani, quello di Agostino e del Papa - ha proseguito mons. Parmeggiani - volendo unire la preghiera dei ragazzi a quella del Santo Padre.

 

Oggi si celebra Giornata della civiltà cristiana, dedicata ai politici e agli ambasciatori, alle 18 nella basilica di Sant’Agostino. Presiederà la Messa il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. E domani, solenni celebrazioni per l’anniversario della nascita di Sant’Agostino.

 

         Per la Radio Vaticana, Tiziana Campisi.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Evitare ogni forma di eutanasia.

Apre la prima pagina il discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti al XIX Congresso internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.

La somministrazione degli analgesici - si sottolinea con forza nel discorso - dovrà essere effettivamente proporzionata all'intensità e alla cura del dolore seza amministrare ingenti dosi proprio con lo scopo di provocare la morte.

Sempre in prima, Medio Oriente: celebrate al Cairo le esequie di Arafat.

La nuova dirigenza palestinese si prepara ad affrontare il difficile scenario politico che si apre nella regione dopo la morte del rais.

 

Nelle vaticane,il discorso del Papa al Presidente della Repubblica del Portogallo: La formazione di una coscienza critica riguardo al discernimento del senso della vita e della storia costituisce la sfida culturale più grande.

 

Nelle estere, il Messaggio di Giovanni Paolo II al XXIII Congresso Nazionale dell'Associazione Medici Cattolici Italiani.

L'intervento della Santa Sede sull'azione dell'"UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East", durante la 59 sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite: "La realizzazione delle legittime aspirazioni di tutti i popoli della Terra Santa sarà possibile soltanto in un clima di pace giusta e permanente, non imposta con la forza ma ottenuta tramite negoziato".

L'intervento della Santa Sede sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza, durante la stessa sessione all'Onu.

Una pagina - a cura di Giuseppe Fiorentino e di Marcello Filotei - dedicata al tema "Il bacino del Nilo: la questione delle risorse idriche nel cuore dell'Africa". 

 

Nella pagina culturale, un articolo di Umberto Santarelli dal titolo "Un canone severo di moralità civile": a proposito di "maturità democratica".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della finanziaria.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 novembre 2004

 

 

EMOZIONE E TENSIONE A RAMALLAH PER LA SEPOLTURA DI ARAFAT,

DOVE MIGLIAIA DI PALESTINESI SI SONO RACCOLTI PER TRIBUTARE L’ESTREMO SALUTO AL LORO LEADER, DOPO I FUNERALI SVOLTISI

STAMANI AL CAIRO. POCO FA E’ ESPLOSA UN’AUTOBOMBA VICINO RAMALLAH, MENTRE E’

 MASSIMA ALLERTA NELLO STATO DI ISRAELE

- Con noi, il giornalista Guido Olimpio -

 

Per Yasser Arafat è stato oggi il momento dell’estremo commosso saluto da parte del suo popolo. Poco fa, il corpo del leader palestinese è stato seppellito nella Muqata, il suo quartiere generale, dove in migliaia - fin da questa notte – si sono raccolti in attesa della cerimonia di sepoltura. In studio, ci riferisce Alessandro Gisotti:

 

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Una marea umana ha accolto l’arrivo del feretro di Arafat a Ramallah in un clima di altissima tensione. Grande l’emozione con la quale migliaia di palestinesi hanno tributato l’ultimo abbraccio al loro leader storico. La bara, avvolta nella bandiera palestinese, è stata accompagnata nel suo percorso verso la Muqata da urla di slogan, pugni alzati in segno di vittoria, e ancora sventolio di bandiere, e colpi di arma da fuoco. Una struttura in legno è crollata sotto il peso della folla e ci sarebbero dei feriti. Alcuni miliziani vestiti di nero sono saliti sul feretro trasportato a spalla sulla spianata, verso il luogo di sepoltura. La polizia palestinese ha sparato in aria, invano, per allontanare la folla che premeva durante il difficoltoso passaggio del feretro verso il quartier generale palestinese, dove è stato inumato. Ambulanze sono entrate alla Muqata, dove le forze di sicurezza palestinesi hanno faticato a tenere la situazione sotto controllo. Intanto, mentre è stato di massima allerta in tutto Israele per paura di possibili attentati, un’esplosione, in apparenza causata da un’autobomba, si è verificata vicino a Ramallah, provocando un numero imprecisato di vittime. La salma di Arafat è giunta a Ramallah dalla capitale egiziana, dove stamani si sono svolti i solenni funerali alla presenza di numerose delegazioni istituzionali di diversi Paesi. Presente anche una delegazione vaticana, guidata da mons. Michel Sabbah, Patriarca latino di Gerusalemme, oltre a mons. Dennis Kuruppassery, incaricato d’Affari al Cairo e padre Camillo Ballin. Per una cronaca del rito funebre al Cairo, il servizio di Graziano Motta:

 

Due i momenti dei funerali di Arafat a Eliopolis, alla periferia della capitale egiziana: quello religioso, nella piccola moschea del complesso militare di al Galaab – vi hanno partecipato, con il presidente egiziano Mubarak e il presidente dell’OLP, Abu Mazen, alcuni capi di Stato e di governo musulmani. All’esterno della moschea c’era la folla di personalità – ministri, autorità civili e religiose – venuti da una cinquantina di Paesi. Quindi, il momento più spettacolare delle esequie: tutti i partecipanti hanno accompagnato a piedi il feretro avvolto nella bandiera palestinese e deposto su un affusto di cannone, dalla moschea al vicino aeroporto, dove era in attesa l’aereo che avrebbe poco dopo trasportato il feretro all’aeroporto di el Arish. In prima fila, davanti all’aereo, sono stati in lacrime la moglie e la giovanissima figlia di Arafat. Poi, la presentazione delle condoglianze e il mesto commiato.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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La cerimonia funebre, svoltasi stamattina al Cairo, ha affermato il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, è “un doveroso omaggio alla figura di Yasser Arafat, capo-simbolo della causa palestinese e persona di enorme valore per questa questione”. E tra i numerosi messaggi di cordoglio, anche quello del segretario generale dell’Onu, Annan, che ha sottolineato come Arafat abbia simboleggiato per 40 anni “nella propria persona le aspirazioni nazionali del popolo palestinese”. Dolore ed emozione al Cairo e Ramallah, dunque, ma intanto si pensa già al futuro politico con l’insediamento dei nuovi vertici palestinesi: da Abu Mazen, a capo dell’Olp, al neo presidente ad interim dell'Autorità nazionale palestinese, Rawhi Fattuh. Mentre Faruq Kaddoumi è stato proiettato alla guida di Al Fatah. Potrà dunque aprirsi ora una nuova stagione per il Medio Oriente? Giada Aquilino lo ha chiesto a Guido Olimpio, inviato del Corriere della Sera a Gerusalemme:

 

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R. – Potrebbe aprirsi, ma è ancora prematuro fare previsioni, in quanto l’instabilità è ancora forte in campo palestinese, perché si deve rafforzare il potere dei nuovi leader, i quali devono conquistarsi una legittimità. Dall’altra parte, Israele deve essere pronto a fare dei gesti concreti. Bisogna essere, quindi, molto cauti.

 

D. – Gli israeliani chiedono alla nuova leadership palestinese un impegno reale contro il terrorismo. Che ruolo avrà il nuovo leader di Al Fatah, Kaddoumi?

 

R. – Kaddoumi, che è in esilio ed è ha una posizione radicale, può darsi pure che voglia usare questo per “sponsorizzare”, diciamo così, una linea più militante. Il problema vero è che l’impegno più grande è sulle spalle di Abu Mazel e Abu Ala, che devono da una parte convincere i militanti a non fare azioni, e dall’altra non svendere la causa palestinese o comunque non apparire come traditori della stessa.

 

D. – La leadership palestinese è cambiata velocemente dopo la morte di Arafat, ma quanto rimane influente l’esponente di Al Fatah, Barghuti, attualmente in carcere?

 

R. – La sua influenza è assolutamente fortissima sulla base di Al Fatah. Se si presentasse oggi alle elezioni verrebbe sicuramente eletto come leader palestinese. E’ quindi possibile, anzi sicuramente dal carcere, continua a dare istruzioni ed ordini. E’ una persona fortissima, sui cui Al Fatah conta moltissimo, anche se in questa fase è prigioniero e quindi non è a tempo pieno.

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LA STORIA, IL PRESENTE E IL FUTURO DELL’IMPEGNO ECUMENICO

DISCUSSI IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE, A 40 ANNI

DALLA PUBBLICAZIONE DEL DECRETO CONCILIARE, UNITATIS REDINTEGRATIO

- Intervista con padre Roberto Giraldo -

 

         Una retrospettiva sull’impegno ecumenico della Chiesa, lo stato della situazione attuale, gli sviluppi futuri. Su queste tre linee, si sono snodati questa mattina gli interventi dei relatori all’Incontro internazionale dedicato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani ai 40 anni dalla pubblicazione dell’Unitatis redintegratio, il decreto del Vaticano II sull’ecumenismo. I tre relatori intervenuti questa mattina ai lavori - in corso da ieri e fino a domani, a Rocca di Papa - sono stati il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, il segretario del dicastero organizzatore, mons. Brian Farrell, e il sottosegretario, mons. Eleutrio Fortino. Per un’impressione sull’andamento dell’Incontro, Giovanni Peduto ha sentito uno dei partecipanti, padre Roberto Giraldo, preside dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino del Pontificio Ateneo Antonianum:

 

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R. – Direi innanzitutto che sono stato colpito dall’alto livello delle relazioni, sia da parte cattolica, metodista e ortodossa. Mi è piaciuto proprio rivedere la Unitatis Redintegratio e gli spunti che il documento ancora può offrire, perché credo sia un tema ancora attuale, quello dell’ecumenismo, un tema ancora da sviluppare molto.

 

D. – Le sue impressioni sul cammino ecumenico, oggi. Qualcuno dice: “C’è un rallentamento”...

 

R. – Non so a livello di Chiesa internazionale, ma posso vederlo dal mio punto di vista. Quello che mi preoccupa – e non so se si tratta di un rallentamento o una marcia in realtà mai partita – riguarda il fatto che, mentre io e altri restiamo sempre meravigliati da ciò che viene conquistato pian pianino a livello di dialoghi ecumenici, di Chiese, questo non viene quasi mai recepito – per esempio – nei programmi di studio dei nostri seminari, e quindi non influisce nell’educazione dei nostri futuri sacerdoti e professori di teologia.

 

D. – Quindi, cosa suggerisce lei per l’attuazione più piena della Unitatis Redintegratio?

 

R. – Riscoprirla meglio, e recepire anche l’invito del Direttorio ecumenico e anche della Ut unum sint, dove dice che ci occorrono istituti e studi per far sì che la vocazione, il dono alla chiamata dell’unità della Chiesa, diventi anche davvero un impegno. E credo che lo studio della propria Chiesa, ma anche dei tesori delle altre Chiese, sia fondamentale per ridare nuovo slancio all’ecumenismo.

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ALL’ASCOLTO DI DIO CHE PARLA DI PACE: A ROMA, IN DIALOGO,

EBREI, MUSULMANI E CRISTIANI, IN UN INCONTRO CURATO DAI CARMELITANI

- Intervista con padre Silvio da Costa Junior -

 

“Sulle orme del profeta Elia, musulmani, ebrei e cristiani in ascolto di Dio che parla di pace”: un titolo che ben esprime lo spirito con il quale questa mattina, a Roma, personalità delle tre religioni abramitiche si sono incontrati per una riflessione congiunta sull’importanza del dialogo interreligioso in vista della pace. L’incontro, organizzato dalla Commissione internazionale di giustizia e pace dell’Ordine Carmelitano, ha visto la partecipazione del teologo musulmano, il prof. Adnane Mokrani, della giornalista ebrea, Lisa Palmieri Billig, vicepresidente della sessione europea della Conferenza sulle religioni e la pace, e il sacerdote carmelitano, padre Craig Morrison, docente di aramaico al Biblicum di Roma. La collega del Programma brasiliano, Cristiane Murray, ha raccolto la testimonianza del religioso carmelitano, padre Antonio Silvio da Costa Junior:

 

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R. – Il profeta Elia nella Bibbia è quello che ascolta Dio e che cerca di far camminare il popolo. E’ il simbolo del profetismo, perché cerca di avvicinare sempre di più il popolo, il cuore del popolo, al cuore di Dio. La Bibbia stessa dice di avvicinare il cuore dei figli a quello dei padri. Nella tradizione ebraica, Elia è uno di quegli uomini che ascolta, studia, riflette la parola di Dio, la Torah. Nella tradizione musulmana, il Corano lo tratta come l’uomo che ascolta Dio, che dice la verità al popolo, cercando di avvicinare il popolo ad Allah, il Misericordioso, il Pacifico, il Giusto. Quindi nelle tre tradizioni, Elia è l’uomo che ascolta la Parola di Dio e cerca di annunciarla, come un profeta, così da avvicinare il popolo al Signore della pace.

 

D. – Padre Silvio, perché, in questa società secolarizzata, le persone tendono ad osteggiare le religioni in tutto il mondo, sia per quanto riguarda i cristiani, che per i musulmani e gli ebrei?

 

R. – Noi viviamo nel terzo millennio che all’inizio, con un’idea forse un po’ romantica, abbiamo creduto sarebbe stato bello se non ci fossero state più guerre e più pace. Ma, purtroppo, fin dai primi anni, questo nuovo millennio è stato caratterizzato da una serie di eventi che ci rammaricano tanto e provocano tanto dolore all’umanità. Questi tragici eventi, purtroppo, coinvolgono anche aspetti religiosi per i musulmani, gli ebrei, i cristiani, come se la religione fosse la causa di tutto questo. Noi vogliamo veramente dimostrare, invece - come dice anche il Santo Padre - che questa interpretazione non è vera. Le religioni possono essere ponti e non rappresentano dei muri. Queste tre religioni, che hanno la stessa origine, poi interpretata in modi diversi, appartengono alla stessa tradizione cristiana.

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VESCOVI AFRICANI ED EUROPEI SI CONFRONTANO SULL’EVANGELIZZAZIONE

E SULLE ESIGENZE SOCIALI NEI DUE CONTINENTI, AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE

CHE RIUNISCE PER LA PRIMA VOLTA ENTRAMBE LE REALTA’ EPISCOPALI

- Intervista con il vescovo Gabriel Mbilingi -

 

Le Chiese di Africa e Europa unite per confrontare i mille volti di realtà ecclesiali molto diverse fra loro. Da due giorni, e ancora fino a domani, una sessantina di vescovi dei due continenti sono riuniti a Roma per partecipare al Simposio internazionale organizzato dalle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), con il patrocinio della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e la collaborazione di organismi di solidarietà. Padre Joseph Ballong, responsabile del Programma francese-Africa della nostra emittente, ha avvicinato uno dei partecipanti, il vescovo angolano di Lwena, Gabriel Mbilingi:

 

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R. – Questo raduno vede i vescovi dell’Europa e quelli dell’Africa ascoltare insieme ciò che la Chiesa vive in ciascun continente, le sfide che troviamo in ambedue i continenti e anche ciò che l’avvenire ci propone, perché l’evangelizzazione sia condotta in modo da andare incontro all’uomo. Questa comunione e anche questa solidarietà, che iniziano proprio dal condividere le idee e le esperienze, è già un fatto per me molto positivo, anche perché lo  facciamo per la prima volta. Non dimentichiamo che noi rappresentiamo tante Chiese dell’Africa, come i vescovi europei rappresentano tante realtà della Chiesa in Europa. E questo, in un certo senso, ci fa approfondire sempre di più la conoscenza dell’altro, della sua realtà per capire meglio le ragioni per cui la società cammina in quel modo. Se guardiamo alla globalizzazione, ormai una realtà, ci sono tante cose che dall’Africa entrano nel mondo europeo, come tante realtà europee arrivano in Africa anche tramite i media, per cui è bene che ci incontriamo e rivalutiamo tutto ciò che stiamo vivendo per proporre delle piste di evangelizzazione. E’ quello che stiamo cercando di fare.

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TORNA A RISPLENDERE DELL’ANTICO PRESTIGIO

IL CELEBRE TEATRO VENEZIANO DE “LA FENICE”.

 QUESTA SERA, LA PRIMAINAUGURALE CON LA TRAVIATA DI GIUSEPPE VERDI

- Intervista con il Maestro Sergio Segalini -

 

Si inaugura questa sera con “La Traviata” di Giuseppe Verdi - diretta da Lorin Maazel e con Patrizia Ciofi protagonista - la nuova stagione lirica del rinato Teatro La Fenice di Venezia. Un appuntamento artistico lungamente atteso dagli appassionati e dal mondo della cultura, dopo il terribile incendio avvenuto nel 1996. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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Da quel terribile incendio doloso del 29 gennaio 1996 sono passati otto anni e dieci mesi. Questa sera, rinasce letteralmente dalle proprie ceneri uno dei teatri più belli e famosi del mondo, La Fenice. Dopo la parziale inaugurazione dello scorso anno, il palcoscenico finalmente accoglie questa sera l’opera lirica, con l’augurio che possa ritornare ad essere una vetrina splendida per artisti e capolavori, com’è stato fin dal 1792, anno di nascita del teatro veneziano. Confermato il suo prestigio con la presentazione di un cartellone ricchissimo, gradito dal pubblico che ha già esaurito tutte le recite degli spettacoli d’opera. Cosa significa questo appuntamento davvero storico per il mondo della cultura musicale italiana ed europea? Lo abbiamo chiesto a Sergio Segalini, direttore artistico della Fondazione:

 

R. – Credo che per noi rappresenti un appuntamento molto importante, non solo per Venezia e non solo per La Fenice, ma per il mondo intero. E questo perché La Fenice è un teatro simbolo della cultura mondiale, giacché è stata la culla di quasi tutti i grandi compositori, e quasi tutti i grandi compositori hanno composto in prima assoluta delle opere per Venezia. La Fenice è al livello della Scala o del Teatro San Carlo di Napoli: teatri, questi, importantissimi per la storia, che hanno scritto nell’arco dei loro due secoli.

 

D. – Maestro, la filosofia che ha condotto i lavori di ricostruzione fino alla data odierna, nella quale l’opera ritorna a La Fenice, risponde al motto: “Dov’era, com’era”. Tradizione, memoria e libertà, er questo teatro antico e nuovo?

 

R. – Credo che “dov’era, com’era” fosse indispensabile. Non era immaginabile a Venezia un teatro moderno, in questa città che è una città di storia. La Fenice doveva restare com’era - anche nella sua programmazione - e com’era nel suo passato glorioso. La Fenice, semplicemente, ha sempre avuto un ruolo di faro sulla cultura internazionale. Oggi, quindi, rinascendo deve continuare lo stesso discorso: La Fenice deve rimanere teatro di proposte, come lo è sempre stato, di repertorio. Un repertorio che deve per forza spaziare dal barocco, e quindi da Monteverdi, fino alla creazione contemporanea.

 

D. – La scelta della Traviata per la serata inaugurale è stata dettata da ragioni storico- artistiche indiscutibili…

 

R. – E’ stata scelta la Traviata come opera-simbolo della Fenice, dato che Verdi conobbe in Fenice e proprio con la Traviata il suo fiasco più clamoroso. E’ diventata soltanto dopo una delle opere più care al pubblico, non solo veneziano ma di tutto il mondo. Ridorare quindi La Fenice con un’opera che ha fatto parte della sua storia ci è sembrato opportuno.

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CHIESA E SOCIETA’

12 novembre 2004

 

 

“E’ PASSATO UN ANNO, MA SIAMO RIMASTI FEDELI AL LORO SACRIFICIO”.

COSI’ L’ORDINARIO MILITARE PER L’ITALIA, MONS. ANGELO BAGNASCO,

NELLA MESSA DI QUESTA MATTINA A ROMA

IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI NASSIRYA

 

ROMA. = “L’abbraccio iniziato un anno fa, con un’interminabile fila di cittadini che ha reso omaggio all’altare della Patria, continua fino ad oggi. E’ passato un anno, ma siamo rimasti fedeli al loro sacrificio”. Sono state queste, le parole dell’ordinario militare per l’Italia, mons. Angelo Bagnasco, durante l’omelia della Messa svoltasi questa mattina nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli, nel primo anniversario della strage di Nassirya, in Iraq, in cui morirono 12 carabinieri, 5 soldati dell’Esercito e 2 civili italiani. Alla funzione hanno partecipato il presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, accompagnato dalla signora Franca, il premier, Silvio Berlusconi, il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, e diversi ministri e rappresentanti delle istituzioni. Presenti anche alcuni parenti delle vittime e i sopravvissuti all’attentato che distrusse completamente la base Maestrale, visibilmente commossi nel ricordare i familiari e i colleghi morti nell’esplosio-ne. Mons. Bagnasco ha parlato a una comunità “piegata nel dolore ma non nella speranza”, e ha poi ricordato una frase di Giovanni Paolo II: “E’ profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio. La pretesa di agire nel nome dei poveri è una palese falsità”. Il presule ha concluso ricordando che i 19 morti sono “caduti nell'adempimento del loro dovere per la pace e il bene comune”. (R.M.)

 

SI CHIUDE OGGI L’11.MA ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA SPAGNOLA

DEI RELIGIOSI. TEMA DELL’INCONTRO:

LA VITA CONSACRATA COME “PRESENZA PROFETICA DI FRONTIERA”

 

MADRID. = A conclusione delle celebrazioni commemorative del suo cinquantenario, la Conferenza Spagnola dei Religiosi (CONFER) è riunita in questi giorni a Madrid per la sua 11.ma Assemblea generale sul tema: “Vita Religiosa: presenza profetica di frontiera”. L’organismo riunisce 652 superiori e superiore provinciali di 391 Congregazioni, in rappresentanza di 64.500 religiosi operanti in Spagna e di circa 10.000 missionari e missionarie ad gentes. Con questo incontro, la CONFER vuole favorire la riflessione e il dinamismo della missione per annunciare il Vangelo in modo credibile in qualsiasi luogo e situazione. Durante i lavori, sono stati presentati 6 progetti inter-congregazionali di aiuto alle persone socialmente escluse, orientati alla trasformazione della società. L’iniziativa è segno di comunione tra i diversi Istituti, maschili e femminili, sottolineando il carattere complementare dei differenti carismi: “Progetto di accoglienza agli immigranti Cintra-Benallar”, a Barcellona; “Centro di accoglienza e orientamento della donna”, a Valencia; “Progetto Atalaya” di servizio integrale agli immigrati, a Burgos; “Progetto Vita”, programma educativo-terapeutico per il trattamento dei problemi di dipendenza in cui sono coinvolte più di 20 Congregazioni, a Extremadura; “Gli Amici del Popolo Latinoamericano”, a cui collaborano 17 Congregazioni religiose; “Progetto Incontro” per l’accoglienza e l’attenzione alle donne coinvolte nel giro della prostituzione, ad Almería. (R.M.)

 

 

RIDUZIONE DEGLI ARESENALI MILITARI E COOPERAZIONE TRA GLI STATI.

SONO QUESTE ALCUNE DELLE PRIORITA’ EMERSE NELLA GIORNATA CONCLUSIVA

DEL QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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ROMA. = La stabilità mondiale non deriva dalla sicurezza militare ma dalla cooperazione. Un mondo unito per la difesa della pace è un grande nemico per la proliferazione delle armi nucleari. E’ questa la convinzione espressa dal copresidente dell’Associazione internazionale dei medici contro la guerra nucleare, Westberg, nella giornata conclusiva del V Summit mondiale dei premi Nobel per la pace. “L’attuale disponibilità di armi nucleari – ha spiegato Westberg, accompagnando le proprie parole con il ticchettio di un metronomo – consentirebbe il lancio di una bomba atomica ogni secondo per tre giorni di seguito”. Dopo questa ipotetica e tragica prospettiva di distruzione globale è stato poi affrontato un dramma reale, quello dell’Iraq. Sulla situazione del Paese arabo si sono alternati gli accorati interventi di rappresentanti della società civile irachena. “Nonostante la presenza di molte risorse – ha detto il presidente del sindacato dei lavoratori di Bassora – le condizioni di vita degli iracheni sono dominate dalla insicurezza e dalla miseria. L’ultimo barile di petrolio uscirà dall’Iraq – ha proseguito – rimarcando le potenzialità economiche del proprio Paese”. Un sociologo del quartiere Sadr City di Baghdad, appartenente all’Associazione umanitaria “Luce”, ha affermato che il terrorismo e l’intervento militare stanno distruggendo l’Islam. “Dio è pace e nel Corano il ricorso alla violenza è sempre condannato”, ha rimarcato inoltre un imam dell’Associazione dei religiosi in Iraq. Durante il confronto, sono emerse due priorità: ritirare le truppe della coalizione, perché la presenza militare in Iraq determina una maggiore diffusione della violenza, e favorire la partecipazione di tutte le componenti della società irachena alle prossime elezioni previste a gennaio.

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L’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI RITIRA IL PERSONALE DAL DARFUR MERIDIONALE A CAUSA DELLE RESTRIZIONI DELLE AUTORITA’ SUDANESI

 

GINEVRA. = L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha annunciato ieri il “ritiro temporaneo” di tre dei quattro funzionari internazionali dell'UNHCR presenti nel Darfur meridionale, la regione del Sudan in preda ad una grave crisi umanitaria. “Le autorità sudanesi - afferma in un comunicato pubblicato a Ginevra - impediscono ai funzionari dell’Agenzia dell’ONU di portare avanti il loro lavoro di protezione in favore delle migliaia di sfollati interni”. Da ormai quasi tre settimane, il personale dell’UNHCR è stato confinato a Nyala, nel sud del Darfur, su ordine delle autorità sudanesi. Questo provvedimento, deciso dopo l'intervento lo scorso 20 ottobre del personale dell’UNHCR e dell’ONU per porre fine ad un’operazione per il trasferimento forzato di sfollati, avrebbe dovuto essere revocato il 6 novembre scorso. Ieri, Jean-Marie Fakhouri, direttore delle operazioni UNHCR in Sudan, ha deciso di trasferire temporaneamente alcuni funzionari dell'Agenzia presenti a Nyala a El Geneina, ad ovest della Darfur. Dallo scoppio delle violenze, nel febbraio 2003, sono oltre 1,8 milioni di persone che hanno abbandonato le proprie case. Di questi, 1,6 milioni risultano sfollati all’interno del Darfur, mentre circa 200 mila hanno attraversato il confine ed hanno cercato rifugio nel vicino Ciad. Il rappresentante del segretario generale dell'Onu sugli sfollati, Walter Kaelin, ha espresso “profonda preoccupazione” per le notizie di nuove operazioni di trasferimenti forzati: “E’ una grave violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani”, ha commentato Kaelin. (R.M.)

 

APPELLO DEL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN, PER LA RACCOLTA DI 1,7 MILIARDI DI DOLLARI PER LE VITTIME DELLE “CRISI DIMENTICATE” NEL MONDO

 

NEW YORK. = Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha sollecitato la raccolta di 1,7 miliardi di dollari per garantire la sopravvivenza a tutti coloro che, specialmente in Africa, sono vittime delle “crisi dimenticate”. “Siamo qui per lanciare un allarme a nome di 26 milioni di persone che lottano per sopravvivere agli orrori della guerra e ad altre emergenze”, ha dichiarato Annan ai donatori americani, europei e giapponesi riuniti a New York. Per la prima volta il segretario generale dell’Onu ha scritto ai ministri nazionali che si occupano della cooperazione allo sviluppo, chiedendo di compiere i necessari adempimenti per le donazioni e di comunicare, entro la metà di gennaio del 2005, le intenzioni finanziarie dei propri governi. “Attraverso questo appello umanitario, 104 agenzie umanitarie propongono un’azione concentrata ed effettiva per salvare vite e alleviare la sofferenza”, ha affermato il segretario generale aggiunto per gli affari umanitari, Jan Egeland, precisando: “L’appello si basa su valutazioni di necessità, delle priorità e delle attività di coordinamento che sono state condotte in modo rigoroso”. Egeland ha anche invitato i donatori a “effettuare i loro finanziamenti in maniera tempestiva”. Il precedente appello umanitario ha ottenuto solamente il 52% dell’importo complessivo che era stato richiesto. Questa lacuna riflette un’inver-sione di tendenza del 50% in confronto con il 2003 e del 18% se paragonata al 2002, quando i contributi in favore di Iraq e Afghanistan raggiunsero il loro massimo. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 novembre 2004

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

L’Iraq ancora in preda alla violenza. Proseguono gli scontri nella roccaforte sunnita di Falluja, mentre l’ennesimo soldato statunitense ha perso la vita ieri a Mossul. La tensione resta alta anche a Baghdad, dove l’esercito americano ha tratto in arresto tre ulema, e a Ramadi. Il nostro servizio:

 

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Sempre più caotica la situazione a Falluja, dove da giorni è in corso l’operazione “Phantom Fury”. Le truppe americane hanno annunciato di aver preso il controllo di gran parte della roccaforte sunnita, intrappolando i ribelli nella zona sud. “Non possono andare a nord perché lì ci siamo noi – ha detto il sergente maggiore, Roy Meek – non possono andare ad ovest perché c’é l'Eufrate e non possono andare ad est perché lì abbiamo una forte presenza”. Eppure la resistenza non vuole cedere. Violenti combattimenti, infatti, sono esplosi stamani vicino ad una moschea nel distretto di Jolan. E mentre il primo ministro ad interim iracheno, Iyad Allawi, ha difeso l’offensiva contro Falluja, dove, secondo forze statunitensi, hanno perso la vita 600 tra insorti sunniti e terroristi di Abu Musab al-Zarqawi, anche la città di Mossul è nuovamente finita sotto il fuoco aereo americano. Obiettivo dei bombardamenti: gli insorti che negli ultimi giorni hanno attaccato stazioni di polizia e combattuto aspramente nelle strade della città. Scontri poi si sono registrati tra guerriglieri e forze statunitensi nell’area in cui sorge il carcere di Abu Ghraib, nella periferia occidentale di Baghdad. Nuove notizie anche nella sempre più difficile questione dei sequestri. Secondo l’emittente al Jazira, insorti iracheni hanno rapito un americano che lavorava come manager all’aeroporto di Baghdad. A firmare l’azione, le “Brigate Rivoluzione 1920”. In questo fiume di violenza, oggi c’è anche spazio per la memoria. Due cerimonie, a Roma e Nassiriya, hanno celebrato il primo anniversario della strage del 12 novembre scorso, il più grave attentato dalla fine della seconda guerra mondiale nei confronti dei militari italiani, in cui morirono 12 carabinieri, 5 soldati dell’Esercito e 2 civili. Mentre nella basilica capitolina di Santa Maria degli Angeli hanno partecipato alla cerimonia il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il premier, Silvio Berlusconi, e il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, a rendere omaggio ai caduti a Camp Mittica, la base italiana alle porte di Nassiriya, è stato il ministro della Difesa, Antonio Martino. “Resteremo qui quanto necessario - ha detto - né un giorno di meno, né un giorno di più”. L’aspirazione degli iracheni, ha aggiunto, è di “difendersi da soli dalla minaccia terroristica: quando ne saranno capaci, chiederanno prima di diminuire la visibilità delle forze della coalizione e poi la presenza stessa”.

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Come abbiamo sentito, quindi, la situazione a Falluja resta difficile. Ma perché le truppe americane fanno fatica a piegare la resistenza nella roccaforte sunnita? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Mohammed Alla, responsabile del Centro studi per i Diritti e la democrazia di Falluja, a Roma per un incontro promosso, tra gli altri, dalle Organizzazioni “Un ponte per…”, Beati i Costruttori di Pace e Pax Christi:

 

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R. - THE FALLUJA’S PEOPLE

La gente di Falluja rappresenta, di fatto, la leadership intellettuale e politica della società irachena e per questo motivo non hanno accettato passivamente quella che considerano una prepotenza delle forze di occupazione nella città. Questo farà sì che continueranno ad opporsi ai militari della coalizione. I militari sono, infatti, visti come dominatori di una forza straniera. A tal proposito, bisogna sottolineare un aspetto importante: la grande offensiva americana di aprile ha di fatto unificato l’insieme delle forze irachene sotto il simbolo che Falluja ha rappresentato.

 

D. – Ma il governo provvisorio di Allawi non è un interlocutore con cui si può parlare?

 

R. – THE FALLUJA’S PEOPLE …

La gente di Falluja è stata tra i primi a chiedere di poter trattare con un governo legittimo iracheno e non con forze di occupazione straniere. Ma quando questo governo disattende le proprie responsabilità e competenze ed arriva ad agire in un modo considerato ostile per gli interessi del popolo, si pone automaticamente fuori della legalità e del riconoscimento da parte della popolazione. Chi vive a Falluja non ha mai rinunciato a qualunque soluzione pacifica del problema. Si è tentato fortemente di coinvolgere le Nazioni Unite in questo.

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Dopo l’uccisione del regista Van Gogh, continuano le operazioni della polizia olandese contro il terrorismo islamico. Un nuovo blitz delle forze di sicurezza contro ambienti dell’estremismo ha portato all’arresto di 29 persone in un campo di addestramento del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Falso allarme oggi, intanto, in una fabbrica chimica, vicino Amsterdam, evacuata per la possibile presenza di una bomba.

 

Cala la tensione tra India e Pakistan sulla contesa regione del Kashmir. Il premier indiano Singh ha annunciato una riduzione delle truppe di New Delhi schierate nell’area, spiegando che negli ultimi mesi sono diminuite le infiltrazioni di ribelli dal Pakistan. Da parte sua, Islamabad ha accolto favorevolmente la decisione indiana, sottolineando che si tratta di un passo nella giusta direzione.

 

Proseguiranno anche oggi i negoziati tra Iran ed Unione Europea sul programma nucleare di Teheran. Sulle trattative c’è ottimismo da entrambe le parti. L’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica (AIEA) punta, invece, il dito contro la Corea del Sud. In un rapporto pubblicato ieri a Vienna, si legge che Seul ha svolto in passato attività nucleari in contrasto con gli accordi internazionali in vigore.

 

Sono stati “almeno 37” i casi di atrocità ai danni di stranieri commessi nei giorni scorsi in Costa d’Avorio, teatro di ripetuti disordini anti-francesi. Lo ha riferito la delegata francese nel Paese africano, Catherine Rechenmann, specificando che decine di donne sono state violentate. Il Foreign Office, intanto, ha dato istruzioni affinché i cittadini britannici che si trovano nel Paese si radunino in vista della loro evacuazione “sotto la protezione delle forze britanniche”. Si svolgerà, infine, domenica prossima in Nigeria un vertice ristretto di Paesi africani per cercare di trovare utili strade negoziali per risolvere la tragedia della Costa d’Avorio. L’incontro si svolgerà sotto l’egida dell’Unione Africana (UA). Il servizio di Giulio Albanese:

 

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L’invito a partecipare al vertice è stato rivolto anche al presidente ivoriano, Laurent Gbagbo, che pare abbia già confermato la sua presenza, ritenuta indispensabile dai diplomatici dell’Unione. Ieri, intanto, a Johannesburg, in Sudafrica, i rappresentanti dell’opposizione ivoriana si sono incontrati con il presidente sudafricano, Thabo Mbeki. Erano presenti anche alcuni esponenti di spicco della dissidenza in esilio ivoriana, tra cui l’ex primo ministro Wattarà. Assenti, invece, i leader dei gruppi armati ivoriani. L’intento del presidente sudafricano è quello di creare un consenso attorno al progetto di riconciliazione nazionale e, mentre continua la fuga degli stranieri da Abidjan, il governo ivoriano ha chiesto un’inchiesta internazionale su ciò che definisce violazione dei diritti umani e della legge internazionale compiuta in questi giorni dalle truppe francesi sul suo territorio.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Almeno 33 persone sono morte nell’esplosione di gas in una miniera di carbone nella provincia centrale cinese dello Henan. La miniera Pingdingshan della città di Liangwa era formalmente in disuso e l’estrazione di carbone avveniva in maniera illegale: per questo motivo tutti i dirigenti sono fuggiti al momento del grave incidente e mancano informazioni sul numero di minatori che si trovavano ancora nei cunicoli. Nei primi nove mesi di quest’anno, oltre 4.000 minatori hanno perso la vita sul lavoro.

 

Almeno 10 morti ed un centinaio di feriti. Questo è il tragico bilancio del deragliamento di un treno nelle Filippine sud-occidentali. Fonti locali hanno spiegato che l’incidente con ogni probabilità è stato causato dall’eccessiva velocità del treno.

 

 

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