RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
317 - Testo della trasmissione di venerdì
12 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Incontro
tra ebrei, musulmani e cristiani per parlare di pace: con noi padre Silvio da Costa
Junior
CHIESA E SOCIETA’:
Oggi, a Roma, Messa in occasione dell’anniversario della strage di
Nassirya
Si chiude oggi l’11.ma Assemblea generale della
Conferenza spagnola dei religiosi
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati ritira il personale dal Darfur
Crisi in Iraq:
violenti nuovi scontri a Falluja e Mossul
Dopo l’uccisione del regista Van
Gogh, la polizia olandese arrestate 29
presunti terroristi.
Vertice domenica prossima in
Nigeria per trovare una soluzione alla crisi in Costa d’Avorio.
12 novembre 2004
CHIESA E STATO PORTOGHESE UNITI NELLA SFIDA
CULTURALE
CONTRO LA CRISI DEI VALORI
NELLA SOCIETA’. COSI’ IL PAPA
AL PRESIDENTE DEL PORTOGALLO, JORGE SAMPAIO
- A cura di Alessandro De Carolis -
“La formazione di una coscienza
critica ordinata al discernimento del senso della vita e della storia
costituisce la sfida culturale più grande del momento attuale”, segnato da “una
grave crisi di valori” all’interno delle società. L’affermazione è contenuta
nel breve indirizzo di saluto che Giovanni Paolo II ha rivolto questa mattina
al presidente del Portogallo, Jorge Sampaio, ricevuto in udienza in Vaticano
con un piccolo seguito.
Il Papa ha ricordato la giornata
del 13 maggio del 2000, quando celebrò a Fatima la Messa di beatificazione dei
due pastorelli veggenti, Francesco e Giacinta. Quella “luce benefica, che
rifulse nella loro vita possa
estendersi a tutto il mondo”, ha auspicato, assicurando la piena collaborazione
della Chiesa con lo Stato portoghese, secondo quanto stabilito dal nuovo
Concordato che si appresta ad entrare in vigore.
NO ALL’EUTANASIA E
ALL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO CHE NEGANO ENTRAMBE
LA DIGNITA’ DELLA PERSONA.
SI’ INVECE ALLE CURE PALLIATIVE
E ALL’USO MISURATO DI ANALGESICI PER LENIRE LE SOFFERENZE DEI MALATI.
DAL PAPA I PARTECIPANTI ALLA 19.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL
TEMA
- Servizio di Roberta
Gisotti -
La voce del Papa si è levata stamane nell’Aula Paolo VI, per affermare
che “la medicina si pone sempre al servizio della vita.” Giovanni Paolo II si è
rivolto ai partecipanti - oltre 650 di 73 Paesi – della XIX Conferenza
internazionale su “Le cure palliative”, organizzata dal Pontificio Consiglio
per la pastorale della salute. Il servizio di Roberta Gisotti:
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Se la
medicina non può debellare una patologia - ha detto il Papa – deve applicarsi
per lenirne le sofferenze, “avendo coscienza dell’inalienabile dignità di ogni
essere umano, anche nello stato terminale”.
“Voglia
il Signore illuminare quanti sono vicini ai malati, incoraggiandoli a perseverare
nei distinti doni e nelle diverse responsabilità”.
Per il
cristiano ciò significa prendersi cura di Cristo stesso ed esiste infatti – ha
sottolineato il Santo Padre - un diretto legame tra la capacità di soffrire e
la capacità di aiutare chi soffre, sciogliendo “quell’enigma del dolore e della
morte che al di fuori del Vangelo ci opprime”.
Il
Papa ha affrontato poi il dramma dell’eutanasia, causato “da un’etica che pretende
di stabilire chi può vivere e chi deve morire”, che sopprime la persona invece
di riscattare la sua sofferenza, in forza di “una mal intesa compassione o di
una mal compresa dignità da preservare”, che arriva a cancellare la vita per
annientare il dolore, “stravolgendo così lo statuto etico della scienza
medica”.
“La vera compassione - ha
chiarito il Santo Padre - al contrario promuove ogni ragionevole sforzo per
favorire la guarigione del paziente” e al tempo stesso aiuta a fermarsi quando
nessuna azione risulta utile a tal fine” Ma “il rifiuto dell’accanimento terapeutico
non è rifiuto del paziente e della sua vita”, “è espressione del rispetto che
in ogni istante” si deve al malato. E qui si colloca la necessità delle cure palliative per rendere
sopportabile la sofferenza fisica e psichica, attraverso l’intervento di équipe
di specialisti, affiatati tra loro, “con competenza medica, psicologica e
religiosa”, e prevedendo l’uso di analgesici pure nel rispetto della libertà
dei pazienti, che per quanto possibile devono potersi preparare “con piena
coscienza all’incontro definitivo con Dio”. Ecco perché la somministrazione di
analgesici deve essere proporzionata all’intensità e alla cura del dolore, evitando
ingenti dosi allo scopo di provocare al morte.
Ma “la scienza e la
tecnica – ha concluso Giovanni Paolo II – non potranno mai dare risposta
soddisfacente agli interrogativi essenziali del cuore umano. A queste può rispondere
solo la fede”
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LA
MEDICINA RISPETTI SEMPRE LA DIGNITA’ DELL’ESSERE UMANO:
E’ IL
RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II NEL MESSAGGIO
ALL’ASSOCIAZIONE MEDICI CATTOLICI ITALIANI,
IN
OCCASIONE DEL SUO 23.MO CONGRESSO NAZIONALE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
La medicina deve sforzarsi di
essere “interlocutrice di ogni essere umano infermo, senza cedere a
discriminazioni, ma andando incontro alle necessità di tutta la persona”. E’ la
riflessione offerta da Giovanni Paolo II nel messaggio al prof. Domenico Di
Virgilio, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. Come medici,
evidenzia il Papa, avete “un’occasione privilegiata per contribuire
all’edificazione di un mondo sempre più rispondente alla dignità dell’essere umano”.
Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Nessun tipo di ricerca –
avverte il Papa – può ignorare l’intangibilità di ogni singolo essere umano:
violare questa barriera significa aprire le porte a una nuova forma di barbarie”.
Rivolgendosi ai medici cattolici – in occasione del 23.mo Congresso nazionale
della loro Associazione – il Pontefice rileva che nella nostra società “prevale
a volte una mentalità arrogante, che pretende di discriminare tra vita e vita,
dimenticando che l’unica risposta veramente umana di fronte alla sofferenza
altrui è l’amore che si prodiga nell’accompagnamento e nella condivisione”. Non
trascurando “mai la dimensione spirituale dell’uomo”, è il suo richiamo, i
medici devono porsi “in ascolto di ogni uomo senza distinzione ed accogliendo tutti
per alleviare le sofferenze di ciascuno”. Per realizzare questo, aggiunge, la
ricerca medica “non può prescindere da un’attenta riflessione sulla natura
stessa dell’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza”.
L'uomo, ribadisce, “è centro e
vertice di tutto ciò che esiste sulla terra: nessun altro essere visibile
possiede la sua stessa dignità”. L’inviolabile dignità della persona, dunque,
deve “essere affermata con forza e coerenza oggi più che mai”. E qui il Papa
avverte che “non si può parlare di esseri umani che non sono più persone o che
ancora devono diventarlo” giacché la dignità personale appartiene radicalmente
a ciascun essere umano e nessuna disparità è accettabile né giustificabile”.
Richiama dunque i principi etici radicati nel Giuramento di Ippocrate: “Non vi
sono vite indegne di essere vissute – afferma con forza - non vi sono
sofferenze, per quanto penose, che possano giustificare la soppressione di
un’esistenza; non vi sono ragioni, per quanto alte – si legge ancora nel messaggio
- che rendano plausibile la “creazione” di esseri umani destinati ad essere utilizzati
e distrutti”. Giovanni Paolo II esorta infine i medici cattolici ad ispirarsi
sempre nelle loro scelte alla “convinzione che la vita va promossa e difesa dal
suo concepimento fino al suo tramonto naturale”.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Giovanni
Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il
cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, e l’on.
Francesco Storace, presidente della Regione Lazio.
Nel Suriname, il Papa ha nominato vescovo di Paramaribo
il sacerdote Wilhelmus de Bekker, amministratore diocesano e parroco della
medesima circoscrizione ecclesiastica”. Il nuovo presule, 65 anni, è
olandese di nascita ed ha conseguito la licenza in Antropologia culturale e
sociale. Al termine dei suoi studi si è trasferito nel Suriname ed ha lavorato
nella Direzione delle scuole cattoliche, soprattutto a favore dei bushnegreos e
degli amerindi all'interno del Paese. Ha compiuto la maggiore degli studi
ecclesiastici nel Suriname fino all’ordinazione sacerdotale. La Diocesi di
Paramaribo, creata nel 1958, è suffraganea dell'Arcidiocesi di Port of Spain.
Il Paese è stato evangelizzato dai francescani alla fine del XVII secolo. E'
situata sulla costa nordorientale del Sud America. Ha una superficie di 164
mila kmq e 460 mila abitanti, de quali oltre centomila sono cattolici,
suddivisi in 31 parrocchie, con 23 sacerdoti, 11 religiose e 114 catechisti.
ACCOLTE DAL PAPA NELLA SUA CAPPELLA
PRIVATA, LE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO,
DEL QUALE RICORRONO DOMANI I 1650 ANNI DALLA
NASCITA
- Servizio di Tiziana Campisi -
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“Bisogna leggere la storia nella
luce della Provvidenza divina che guida gli eventi verso l’incontro definitivo
col Padre. Orientaci verso mete di pace, alimentando nel nostro cuore il tuo
stesso anelito per quei valori sui quali è possibile con la forza che proviene
da Dio la città a misura dell’uomo”. Sono alcune parole scritte d Giovanni
Paolo II in una preghiera a Sant’Agostino, composta per il 1650.mo anniversario
della nascita del grande dottore della Chiesa. Un chiaro invito alla ricerca di
Dio, che vuole indirizzare gli uomini verso la pace.
Il Santo Padre ha accolto le
reliquie di San’Agostino ieri sera nella sua cappella privata. Ha voluto
pregare in silenzio e a lungo dinanzi all’urna del vescovo di Ippona, che i
padri agostiniani hanno lasciato nel Palazzo apostolico per una notte. E mentre
il Papa sostava in preghiera, una fiaccolata di giovani è partita da
Sant’Agnese in Agone per raggiungere la basilica di Sant’Agostino. Centinaia di
ragazzi hanno voluto pregare idealmente insieme al Papa, meditando
sull’Eucaristia, come il Pontefice stesso ha consigliato quest’anno, e sugli
scritti di Sant’Agostino. Don Mauro Parmeggiani, responsabile della Pastorale
giovanile della diocesi di Roma, che ha presieduto ieri sera la celebrazione
eucaristica, nella sua omelia ha tracciato l’esperienza di vita di Agostino: un
santo lontano da noi nel tempo, ma di cui possiamo dire – come ha scritto
Giovanni Paolo II – un po’ tutti ci sentiamo discepoli e figli. Si incontrano
due grandi cuori giovani, quello di Agostino e del Papa - ha proseguito mons.
Parmeggiani - volendo unire la preghiera dei ragazzi a quella del Santo Padre.
Oggi si celebra Giornata della
civiltà cristiana, dedicata ai politici e agli ambasciatori, alle 18 nella
basilica di Sant’Agostino. Presiederà la Messa il cardinale segretario di
Stato, Angelo Sodano. E domani, solenni celebrazioni per l’anniversario della
nascita di Sant’Agostino.
Per
la Radio Vaticana, Tiziana Campisi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Evitare
ogni forma di eutanasia.
Apre
la prima pagina il discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti al XIX
Congresso internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della
Salute.
La
somministrazione degli analgesici - si sottolinea con forza nel discorso -
dovrà essere effettivamente proporzionata all'intensità e alla cura del dolore
seza amministrare ingenti dosi proprio con lo scopo di provocare la morte.
Sempre
in prima, Medio Oriente: celebrate al Cairo le esequie di Arafat.
La
nuova dirigenza palestinese si prepara ad affrontare il difficile scenario politico
che si apre nella regione dopo la morte del rais.
Nelle
vaticane,il discorso del Papa al Presidente della Repubblica del Portogallo: La
formazione di una coscienza critica riguardo al discernimento del senso della
vita e della storia costituisce la sfida culturale più grande.
Nelle
estere, il Messaggio di Giovanni Paolo II al XXIII Congresso Nazionale
dell'Associazione Medici Cattolici Italiani.
L'intervento
della Santa Sede sull'azione dell'"UN Relief and Works Agency for
Palestine Refugees in the Near East", durante la 59 sessione
dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite: "La realizzazione delle
legittime aspirazioni di tutti i popoli della Terra Santa sarà possibile
soltanto in un clima di pace giusta e permanente, non imposta con la forza ma
ottenuta tramite negoziato".
L'intervento
della Santa Sede sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza,
durante la stessa sessione all'Onu.
Una
pagina - a cura di Giuseppe Fiorentino e di Marcello Filotei - dedicata al tema
"Il bacino del Nilo: la questione delle risorse idriche nel cuore
dell'Africa".
Nella
pagina culturale, un articolo di Umberto Santarelli dal titolo "Un canone
severo di moralità civile": a proposito di "maturità democratica".
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema della finanziaria.
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12
novembre 2004
EMOZIONE E TENSIONE A RAMALLAH
PER LA SEPOLTURA DI ARAFAT,
DOVE MIGLIAIA DI PALESTINESI SI
SONO RACCOLTI PER TRIBUTARE L’ESTREMO SALUTO AL LORO LEADER,
DOPO I FUNERALI SVOLTISI
STAMANI AL CAIRO. POCO FA E’ ESPLOSA
UN’AUTOBOMBA VICINO RAMALLAH, MENTRE E’
MASSIMA ALLERTA NELLO STATO DI ISRAELE
- Con noi, il giornalista Guido
Olimpio -
Per Yasser Arafat è stato oggi il
momento dell’estremo commosso saluto da parte del suo popolo. Poco fa, il corpo
del leader palestinese è stato seppellito nella Muqata, il suo quartiere
generale, dove in migliaia - fin da questa notte – si sono raccolti in attesa
della cerimonia di sepoltura. In studio, ci riferisce Alessandro Gisotti:
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Una marea umana ha accolto l’arrivo
del feretro di Arafat a Ramallah in un clima di altissima tensione. Grande
l’emozione con la quale migliaia di palestinesi hanno tributato l’ultimo
abbraccio al loro leader storico. La bara, avvolta nella bandiera palestinese,
è stata accompagnata nel suo percorso verso la Muqata da urla di slogan, pugni
alzati in segno di vittoria, e ancora sventolio di bandiere, e colpi di arma da
fuoco. Una struttura in legno è crollata sotto il peso della folla e ci sarebbero
dei feriti. Alcuni miliziani vestiti di nero sono saliti sul feretro trasportato
a spalla sulla spianata, verso il luogo di sepoltura. La polizia palestinese ha
sparato in aria, invano, per allontanare la folla che premeva durante il difficoltoso
passaggio del feretro verso il quartier generale palestinese, dove è stato
inumato. Ambulanze sono entrate alla Muqata, dove le forze di sicurezza palestinesi
hanno faticato a tenere la situazione sotto controllo. Intanto, mentre è stato
di massima allerta in tutto Israele per paura di possibili attentati,
un’esplosione, in apparenza causata da un’autobomba, si è verificata vicino a
Ramallah, provocando un numero imprecisato di vittime. La salma di Arafat è
giunta a Ramallah dalla capitale egiziana, dove stamani si sono svolti i
solenni funerali alla presenza di numerose delegazioni istituzionali di diversi
Paesi. Presente anche una delegazione vaticana, guidata da mons. Michel Sabbah,
Patriarca latino di Gerusalemme, oltre a mons. Dennis Kuruppassery, incaricato
d’Affari al Cairo e padre Camillo Ballin. Per una cronaca del rito funebre al
Cairo, il servizio di Graziano Motta:
Due i
momenti dei funerali di Arafat a Eliopolis, alla periferia della capitale egiziana:
quello religioso, nella piccola moschea del complesso militare di al Galaab –
vi hanno partecipato, con il presidente egiziano Mubarak e il presidente
dell’OLP, Abu Mazen, alcuni capi di Stato e di governo musulmani. All’esterno
della moschea c’era la folla di personalità – ministri, autorità civili e
religiose – venuti da una cinquantina di Paesi. Quindi, il momento più
spettacolare delle esequie: tutti i partecipanti hanno accompagnato a piedi il
feretro avvolto nella bandiera palestinese e deposto su un affusto di cannone,
dalla moschea al vicino aeroporto, dove era in attesa l’aereo che avrebbe poco
dopo trasportato il feretro all’aeroporto di el Arish. In prima fila, davanti
all’aereo, sono stati in lacrime la moglie e la giovanissima figlia di Arafat.
Poi, la presentazione delle condoglianze e il mesto commiato.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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La cerimonia funebre, svoltasi stamattina al Cairo, ha
affermato il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, è “un doveroso
omaggio alla figura di Yasser Arafat, capo-simbolo della causa palestinese e
persona di enorme valore per questa questione”. E tra i numerosi messaggi di
cordoglio, anche quello del segretario generale dell’Onu, Annan, che ha
sottolineato come Arafat abbia simboleggiato per 40 anni “nella propria persona
le aspirazioni nazionali del popolo palestinese”. Dolore ed emozione al Cairo e
Ramallah, dunque, ma intanto si pensa già al futuro politico con l’insediamento
dei nuovi vertici palestinesi: da Abu Mazen, a capo dell’Olp, al neo presidente
ad interim dell'Autorità nazionale palestinese, Rawhi Fattuh. Mentre Faruq
Kaddoumi è stato proiettato alla guida di Al Fatah. Potrà dunque aprirsi ora
una nuova stagione per il Medio Oriente? Giada Aquilino lo ha chiesto a Guido
Olimpio, inviato del Corriere della Sera a Gerusalemme:
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R. – Potrebbe aprirsi, ma è
ancora prematuro fare previsioni, in quanto l’instabilità è ancora forte in
campo palestinese, perché si deve rafforzare il potere dei nuovi leader, i
quali devono conquistarsi una legittimità. Dall’altra parte, Israele deve
essere pronto a fare dei gesti concreti. Bisogna essere, quindi, molto cauti.
D. – Gli israeliani chiedono alla
nuova leadership palestinese un impegno reale contro il terrorismo. Che ruolo
avrà il nuovo leader di Al Fatah, Kaddoumi?
R. – Kaddoumi, che è in esilio
ed è ha una posizione radicale, può darsi pure che voglia usare questo per
“sponsorizzare”, diciamo così, una linea più militante. Il problema vero è che
l’impegno più grande è sulle spalle di Abu Mazel e Abu Ala, che devono da una
parte convincere i militanti a non fare azioni, e dall’altra non svendere la
causa palestinese o comunque non apparire come traditori della stessa.
D. – La leadership palestinese è
cambiata velocemente dopo la morte di Arafat, ma quanto rimane influente
l’esponente di Al Fatah, Barghuti, attualmente in carcere?
R. – La sua influenza è
assolutamente fortissima sulla base di Al Fatah. Se si presentasse oggi alle
elezioni verrebbe sicuramente eletto come leader palestinese. E’ quindi possibile,
anzi sicuramente dal carcere, continua a dare istruzioni ed ordini. E’ una
persona fortissima, sui cui Al Fatah conta moltissimo, anche se in questa fase
è prigioniero e quindi non è a tempo pieno.
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LA STORIA, IL PRESENTE E IL FUTURO DELL’IMPEGNO
ECUMENICO
DISCUSSI IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE, A 40 ANNI
DALLA PUBBLICAZIONE DEL DECRETO CONCILIARE, UNITATIS
REDINTEGRATIO
- Intervista con padre Roberto Giraldo -
Una
retrospettiva sull’impegno ecumenico della Chiesa, lo stato della situazione
attuale, gli sviluppi futuri. Su queste tre linee, si sono snodati questa
mattina gli interventi dei relatori all’Incontro internazionale dedicato dal
Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani ai 40 anni
dalla pubblicazione dell’Unitatis
redintegratio, il decreto del Vaticano II sull’ecumenismo. I tre relatori
intervenuti questa mattina ai lavori - in corso da ieri e fino a domani, a
Rocca di Papa - sono stati il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di
Malines-Bruxelles, il segretario del dicastero organizzatore, mons. Brian
Farrell, e il sottosegretario, mons. Eleutrio Fortino. Per un’impressione
sull’andamento dell’Incontro, Giovanni Peduto ha sentito uno dei partecipanti,
padre Roberto Giraldo, preside dell’Istituto di studi ecumenici San Bernardino
del Pontificio Ateneo Antonianum:
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R. – Direi innanzitutto che sono
stato colpito dall’alto livello delle relazioni, sia da parte cattolica,
metodista e ortodossa. Mi è piaciuto proprio rivedere la Unitatis
Redintegratio e gli spunti che il documento ancora può offrire, perché
credo sia un tema ancora attuale, quello dell’ecumenismo, un tema ancora da
sviluppare molto.
D. – Le sue impressioni sul
cammino ecumenico, oggi. Qualcuno dice: “C’è un rallentamento”...
R. – Non so a livello di Chiesa
internazionale, ma posso vederlo dal mio punto di vista. Quello che mi
preoccupa – e non so se si tratta di un rallentamento o una marcia in realtà
mai partita – riguarda il fatto che, mentre io e altri restiamo sempre
meravigliati da ciò che viene conquistato pian pianino a livello di dialoghi
ecumenici, di Chiese, questo non viene quasi mai recepito – per esempio – nei
programmi di studio dei nostri seminari, e quindi non influisce nell’educazione
dei nostri futuri sacerdoti e professori di teologia.
D. – Quindi, cosa suggerisce lei
per l’attuazione più piena della Unitatis Redintegratio?
R. – Riscoprirla meglio, e
recepire anche l’invito del Direttorio ecumenico e anche della Ut unum sint,
dove dice che ci occorrono istituti e studi per far sì che la vocazione, il
dono alla chiamata dell’unità della Chiesa, diventi anche davvero un impegno. E
credo che lo studio della propria Chiesa, ma anche dei tesori delle altre
Chiese, sia fondamentale per ridare nuovo slancio all’ecumenismo.
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ALL’ASCOLTO DI DIO CHE PARLA
DI PACE: A ROMA, IN DIALOGO,
EBREI, MUSULMANI E CRISTIANI, IN UN INCONTRO
CURATO DAI CARMELITANI
- Intervista con padre Silvio da Costa Junior -
“Sulle orme del profeta Elia,
musulmani, ebrei e cristiani in ascolto di Dio che parla di pace”: un titolo
che ben esprime lo spirito con il quale questa mattina, a Roma, personalità
delle tre religioni abramitiche si sono incontrati per una riflessione congiunta
sull’importanza del dialogo interreligioso in vista della pace. L’incontro, organizzato
dalla Commissione internazionale di giustizia e pace dell’Ordine Carmelitano,
ha visto la partecipazione del teologo musulmano, il prof. Adnane Mokrani,
della giornalista ebrea, Lisa Palmieri Billig, vicepresidente della sessione
europea della Conferenza sulle religioni e la pace, e il sacerdote carmelitano,
padre Craig Morrison, docente di aramaico al Biblicum di Roma. La collega del
Programma brasiliano, Cristiane Murray, ha raccolto la testimonianza del
religioso carmelitano, padre Antonio Silvio da Costa Junior:
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R. – Il profeta Elia nella
Bibbia è quello che ascolta Dio e che cerca di far camminare il popolo. E’ il
simbolo del profetismo, perché cerca di avvicinare sempre di più il popolo, il
cuore del popolo, al cuore di Dio. La Bibbia stessa dice di avvicinare il cuore
dei figli a quello dei padri. Nella tradizione ebraica, Elia è uno di quegli
uomini che ascolta, studia, riflette la parola di Dio, la Torah. Nella
tradizione musulmana, il Corano lo tratta come l’uomo che ascolta Dio, che dice
la verità al popolo, cercando di avvicinare il popolo ad Allah, il Misericordioso,
il Pacifico, il Giusto. Quindi nelle tre tradizioni, Elia è l’uomo che ascolta
la Parola di Dio e cerca di annunciarla, come un profeta, così da avvicinare il
popolo al Signore della pace.
D. – Padre Silvio, perché, in
questa società secolarizzata, le persone tendono ad osteggiare le religioni in
tutto il mondo, sia per quanto riguarda i cristiani, che per i musulmani e gli
ebrei?
R. – Noi viviamo nel terzo
millennio che all’inizio, con un’idea forse un po’ romantica, abbiamo creduto
sarebbe stato bello se non ci fossero state più guerre e più pace. Ma, purtroppo,
fin dai primi anni, questo nuovo millennio è stato caratterizzato da una serie
di eventi che ci rammaricano tanto e provocano tanto dolore all’umanità. Questi
tragici eventi, purtroppo, coinvolgono anche aspetti religiosi per i musulmani,
gli ebrei, i cristiani, come se la religione fosse la causa di tutto questo.
Noi vogliamo veramente dimostrare, invece - come dice anche il Santo Padre -
che questa interpretazione non è vera. Le religioni possono essere ponti e non
rappresentano dei muri. Queste tre religioni, che hanno la stessa origine, poi
interpretata in modi diversi, appartengono alla stessa tradizione cristiana.
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VESCOVI AFRICANI ED EUROPEI SI CONFRONTANO
SULL’EVANGELIZZAZIONE
E SULLE ESIGENZE SOCIALI NEI DUE CONTINENTI, AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE
CHE RIUNISCE PER LA PRIMA VOLTA ENTRAMBE LE
REALTA’ EPISCOPALI
- Intervista con il vescovo Gabriel Mbilingi -
Le Chiese di Africa e Europa
unite per confrontare i mille volti di realtà ecclesiali molto diverse fra
loro. Da due giorni, e ancora fino a domani, una sessantina di vescovi dei due
continenti sono riuniti a Roma per partecipare al Simposio internazionale
organizzato dalle Conferenze episcopali
di Africa e Madagascar (SECAM) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa (CCEE), con il patrocinio della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli e la collaborazione di organismi di solidarietà. Padre Joseph
Ballong, responsabile del Programma francese-Africa della nostra emittente, ha
avvicinato uno dei partecipanti, il vescovo angolano di Lwena,
Gabriel Mbilingi:
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R. – Questo raduno vede i
vescovi dell’Europa e quelli dell’Africa ascoltare insieme ciò che la Chiesa
vive in ciascun continente, le sfide che troviamo in ambedue i continenti e anche
ciò che l’avvenire ci propone, perché l’evangelizzazione sia condotta in modo
da andare incontro all’uomo. Questa comunione e anche questa solidarietà, che
iniziano proprio dal condividere le idee e le esperienze, è già un fatto per me
molto positivo, anche perché lo
facciamo per la prima volta. Non dimentichiamo che noi rappresentiamo
tante Chiese dell’Africa, come i vescovi europei rappresentano tante realtà della
Chiesa in Europa. E questo, in un certo senso, ci fa approfondire sempre di più
la conoscenza dell’altro, della sua realtà per capire meglio le ragioni per cui
la società cammina in quel modo. Se guardiamo alla globalizzazione, ormai una
realtà, ci sono tante cose che dall’Africa entrano nel mondo europeo, come
tante realtà europee arrivano in Africa anche tramite i media, per cui è bene
che ci incontriamo e rivalutiamo tutto ciò che stiamo vivendo per proporre
delle piste di evangelizzazione. E’ quello che stiamo cercando di fare.
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TORNA A RISPLENDERE DELL’ANTICO
PRESTIGIO
IL CELEBRE TEATRO VENEZIANO DE “LA FENICE”.
QUESTA
SERA, LA PRIMAINAUGURALE CON LA TRAVIATA DI GIUSEPPE VERDI
- Intervista con il Maestro Sergio Segalini -
Si inaugura questa sera con “La
Traviata” di Giuseppe Verdi - diretta da Lorin Maazel e con Patrizia Ciofi
protagonista - la nuova stagione lirica del rinato Teatro La Fenice di Venezia.
Un appuntamento artistico lungamente atteso dagli appassionati e dal mondo
della cultura, dopo il terribile incendio avvenuto nel 1996. Il servizio di
Luca Pellegrini.
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Da quel terribile incendio
doloso del 29 gennaio 1996 sono passati otto anni e dieci mesi. Questa sera,
rinasce letteralmente dalle proprie ceneri uno dei teatri più belli e famosi
del mondo, La Fenice. Dopo la parziale inaugurazione dello scorso anno, il
palcoscenico finalmente accoglie questa sera l’opera lirica, con l’augurio che
possa ritornare ad essere una vetrina splendida per artisti e capolavori, com’è
stato fin dal 1792, anno di nascita del teatro veneziano. Confermato il suo
prestigio con la presentazione di un cartellone ricchissimo, gradito dal pubblico
che ha già esaurito tutte le recite degli spettacoli d’opera. Cosa significa
questo appuntamento davvero storico per il mondo della cultura musicale
italiana ed europea? Lo abbiamo chiesto a Sergio Segalini, direttore artistico
della Fondazione:
R. – Credo che per noi
rappresenti un appuntamento molto importante, non solo per Venezia e non solo
per La Fenice, ma per il mondo intero. E questo perché La Fenice è un teatro
simbolo della cultura mondiale, giacché è stata la culla di quasi tutti i
grandi compositori, e quasi tutti i grandi compositori hanno composto in prima
assoluta delle opere per Venezia. La Fenice è al livello della Scala o del Teatro
San Carlo di Napoli: teatri, questi, importantissimi per la storia, che hanno
scritto nell’arco dei loro due secoli.
D. – Maestro, la filosofia che
ha condotto i lavori di ricostruzione fino alla data odierna, nella quale
l’opera ritorna a La Fenice, risponde al motto: “Dov’era, com’era”. Tradizione,
memoria e libertà, er questo teatro antico e nuovo?
R. – Credo che “dov’era,
com’era” fosse indispensabile. Non era immaginabile a Venezia un teatro moderno,
in questa città che è una città di storia. La Fenice doveva restare com’era -
anche nella sua programmazione - e com’era nel suo passato glorioso. La Fenice,
semplicemente, ha sempre avuto un ruolo di faro sulla cultura internazionale.
Oggi, quindi, rinascendo deve continuare lo stesso discorso: La Fenice deve
rimanere teatro di proposte, come lo è sempre stato, di repertorio. Un
repertorio che deve per forza spaziare dal barocco, e quindi da Monteverdi,
fino alla creazione contemporanea.
D. – La scelta della Traviata
per la serata inaugurale è stata dettata da ragioni storico- artistiche
indiscutibili…
R. – E’ stata scelta la Traviata
come opera-simbolo della Fenice, dato che Verdi conobbe in Fenice e proprio con
la Traviata il suo fiasco più clamoroso. E’ diventata soltanto dopo una delle
opere più care al pubblico, non solo veneziano ma di tutto il mondo. Ridorare
quindi La Fenice con un’opera che ha fatto parte della sua storia ci è sembrato
opportuno.
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12 novembre 2004
“E’ PASSATO UN ANNO, MA SIAMO RIMASTI FEDELI AL
LORO SACRIFICIO”.
COSI’ L’ORDINARIO MILITARE PER L’ITALIA, MONS.
ANGELO BAGNASCO,
NELLA MESSA DI QUESTA MATTINA A ROMA
IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI NASSIRYA
ROMA. = “L’abbraccio iniziato un
anno fa, con un’interminabile fila di cittadini che ha reso omaggio all’altare
della Patria, continua fino ad oggi. E’ passato un anno, ma siamo rimasti
fedeli al loro sacrificio”. Sono state queste, le parole dell’ordinario militare
per l’Italia, mons. Angelo Bagnasco, durante l’omelia della Messa svoltasi
questa mattina nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli, nel primo
anniversario della strage di Nassirya, in Iraq, in cui morirono 12 carabinieri,
5 soldati dell’Esercito e 2 civili italiani. Alla funzione hanno partecipato il
presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, accompagnato dalla signora
Franca, il premier, Silvio Berlusconi, il presidente della Camera, Pier
Ferdinando Casini, e diversi ministri e rappresentanti delle istituzioni.
Presenti anche alcuni parenti delle vittime e i sopravvissuti all’attentato che
distrusse completamente la base Maestrale, visibilmente commossi nel ricordare
i familiari e i colleghi morti nell’esplosio-ne. Mons. Bagnasco ha parlato a
una comunità “piegata nel dolore ma non nella speranza”, e ha poi ricordato una
frase di Giovanni Paolo II: “E’ profanazione della religione proclamarsi terroristi
in nome di Dio. La pretesa di agire nel nome dei poveri è una palese falsità”.
Il presule ha concluso ricordando che i 19 morti sono “caduti nell'adempimento
del loro dovere per la pace e il bene comune”. (R.M.)
SI CHIUDE OGGI L’11.MA
ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA SPAGNOLA
DEI RELIGIOSI. TEMA DELL’INCONTRO:
LA VITA CONSACRATA COME “PRESENZA PROFETICA DI
FRONTIERA”
MADRID. = A conclusione delle celebrazioni
commemorative del suo cinquantenario, la Conferenza Spagnola dei Religiosi
(CONFER) è riunita in questi giorni a Madrid per la sua 11.ma Assemblea
generale sul tema: “Vita Religiosa: presenza profetica di frontiera”.
L’organismo riunisce 652 superiori e superiore provinciali di 391
Congregazioni, in rappresentanza di 64.500 religiosi operanti in Spagna e di
circa 10.000 missionari e missionarie ad
gentes. Con questo incontro, la CONFER vuole favorire la riflessione e il
dinamismo della missione per annunciare il Vangelo in modo credibile in
qualsiasi luogo e situazione. Durante i lavori, sono stati presentati 6
progetti inter-congregazionali di aiuto alle persone socialmente escluse,
orientati alla trasformazione della società. L’iniziativa è segno di comunione
tra i diversi Istituti, maschili e femminili, sottolineando il carattere
complementare dei differenti carismi: “Progetto di accoglienza agli immigranti
Cintra-Benallar”, a Barcellona; “Centro di accoglienza e orientamento della
donna”, a Valencia; “Progetto Atalaya” di servizio integrale agli immigrati, a
Burgos; “Progetto Vita”, programma educativo-terapeutico per il trattamento dei
problemi di dipendenza in cui sono coinvolte più di 20 Congregazioni, a Extremadura;
“Gli Amici del Popolo Latinoamericano”, a cui collaborano 17 Congregazioni
religiose; “Progetto Incontro” per l’accoglienza e l’attenzione alle donne
coinvolte nel giro della prostituzione, ad Almería. (R.M.)
RIDUZIONE DEGLI ARESENALI MILITARI E COOPERAZIONE
TRA GLI STATI.
SONO QUESTE ALCUNE DELLE PRIORITA’ EMERSE NELLA
GIORNATA CONCLUSIVA
DEL QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA
PACE
- A cura di Amedeo Lomonaco -
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ROMA. = La stabilità mondiale
non deriva dalla sicurezza militare ma dalla cooperazione. Un mondo unito per
la difesa della pace è un grande nemico per la proliferazione delle armi
nucleari. E’ questa la convinzione espressa dal copresidente dell’Associazione
internazionale dei medici contro la guerra nucleare, Westberg, nella giornata
conclusiva del V Summit mondiale dei premi Nobel per la pace. “L’attuale
disponibilità di armi nucleari – ha spiegato Westberg, accompagnando le proprie
parole con il ticchettio di un metronomo – consentirebbe il lancio di una bomba
atomica ogni secondo per tre giorni di seguito”. Dopo questa ipotetica e
tragica prospettiva di distruzione globale è stato poi affrontato un dramma
reale, quello dell’Iraq. Sulla situazione del Paese arabo si sono alternati gli
accorati interventi di rappresentanti della società civile irachena.
“Nonostante la presenza di molte risorse – ha detto il presidente del sindacato
dei lavoratori di Bassora – le condizioni di vita degli iracheni sono dominate
dalla insicurezza e dalla miseria. L’ultimo barile di petrolio uscirà dall’Iraq
– ha proseguito – rimarcando le potenzialità economiche del proprio Paese”. Un
sociologo del quartiere Sadr City di Baghdad, appartenente all’Associazione
umanitaria “Luce”, ha affermato che il terrorismo e l’intervento militare
stanno distruggendo l’Islam. “Dio è pace e nel Corano il ricorso alla violenza
è sempre condannato”, ha rimarcato inoltre un imam dell’Associazione dei
religiosi in Iraq. Durante il confronto, sono emerse due priorità: ritirare le
truppe della coalizione, perché la presenza militare in Iraq determina una
maggiore diffusione della violenza, e favorire la partecipazione di tutte le
componenti della società irachena alle prossime elezioni previste a gennaio.
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L’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I
RIFUGIATI RITIRA IL PERSONALE DAL DARFUR MERIDIONALE A CAUSA DELLE RESTRIZIONI
DELLE AUTORITA’ SUDANESI
GINEVRA. = L’Alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha annunciato ieri il “ritiro temporaneo”
di tre dei quattro funzionari internazionali dell'UNHCR presenti nel Darfur
meridionale, la regione del Sudan in preda ad una grave crisi umanitaria. “Le
autorità sudanesi - afferma in un comunicato pubblicato a Ginevra - impediscono
ai funzionari dell’Agenzia dell’ONU di portare avanti il loro lavoro di
protezione in favore delle migliaia di sfollati interni”. Da ormai quasi tre
settimane, il personale dell’UNHCR è stato confinato a Nyala, nel sud del
Darfur, su ordine delle autorità sudanesi. Questo provvedimento, deciso dopo
l'intervento lo scorso 20 ottobre del personale dell’UNHCR e dell’ONU per porre
fine ad un’operazione per il trasferimento forzato di sfollati, avrebbe dovuto
essere revocato il 6 novembre scorso. Ieri, Jean-Marie Fakhouri, direttore
delle operazioni UNHCR in Sudan, ha deciso di trasferire temporaneamente alcuni
funzionari dell'Agenzia presenti a Nyala a El Geneina, ad ovest della Darfur.
Dallo scoppio delle violenze, nel febbraio 2003, sono oltre 1,8 milioni di
persone che hanno abbandonato le proprie case. Di questi, 1,6 milioni risultano
sfollati all’interno del Darfur, mentre circa 200 mila hanno attraversato il
confine ed hanno cercato rifugio nel vicino Ciad. Il rappresentante del
segretario generale dell'Onu sugli sfollati, Walter Kaelin, ha espresso “profonda
preoccupazione” per le notizie di nuove operazioni di trasferimenti forzati:
“E’ una grave violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti
umani”, ha commentato Kaelin. (R.M.)
APPELLO DEL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI
ANNAN, PER LA RACCOLTA DI 1,7 MILIARDI DI DOLLARI PER LE VITTIME DELLE “CRISI
DIMENTICATE” NEL MONDO
NEW YORK. = Il segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha sollecitato la raccolta di 1,7
miliardi di dollari per garantire la sopravvivenza a tutti coloro che, specialmente
in Africa, sono vittime delle “crisi dimenticate”. “Siamo qui per lanciare un
allarme a nome di 26 milioni di persone che lottano per sopravvivere agli
orrori della guerra e ad altre emergenze”, ha dichiarato Annan ai donatori
americani, europei e giapponesi riuniti a New York. Per la prima volta il
segretario generale dell’Onu ha scritto ai ministri nazionali che si occupano
della cooperazione allo sviluppo, chiedendo di compiere i necessari adempimenti
per le donazioni e di comunicare, entro la metà di gennaio del 2005, le intenzioni
finanziarie dei propri governi. “Attraverso questo appello umanitario, 104 agenzie
umanitarie propongono un’azione concentrata ed effettiva per salvare vite e
alleviare la sofferenza”, ha affermato il segretario generale aggiunto per gli
affari umanitari, Jan Egeland, precisando: “L’appello si basa su valutazioni di
necessità, delle priorità e delle attività di coordinamento che sono state
condotte in modo rigoroso”. Egeland ha anche invitato i donatori a “effettuare
i loro finanziamenti in maniera tempestiva”. Il precedente appello umanitario
ha ottenuto solamente il 52% dell’importo complessivo che era stato richiesto.
Questa lacuna riflette un’inver-sione di tendenza del 50% in confronto con il
2003 e del 18% se paragonata al 2002, quando i contributi in favore di Iraq e
Afghanistan raggiunsero il loro massimo. (R.M.)
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12 novembre 2004
- A cura
di Barbara Castelli -
L’Iraq ancora in preda alla
violenza. Proseguono gli scontri nella roccaforte sunnita di Falluja, mentre
l’ennesimo soldato statunitense ha perso la vita ieri a Mossul. La tensione
resta alta anche a Baghdad, dove l’esercito americano ha tratto in arresto tre
ulema, e a Ramadi. Il nostro servizio:
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Sempre più caotica la situazione
a Falluja, dove da giorni è in corso l’operazione “Phantom Fury”. Le truppe
americane hanno annunciato di aver preso il controllo di gran parte della
roccaforte sunnita, intrappolando i ribelli nella zona sud. “Non possono andare
a nord perché lì ci siamo noi – ha detto il sergente maggiore, Roy Meek – non
possono andare ad ovest perché c’é l'Eufrate e non possono andare ad est perché
lì abbiamo una forte presenza”. Eppure la resistenza non vuole cedere. Violenti
combattimenti, infatti, sono esplosi stamani vicino ad una moschea nel
distretto di Jolan. E mentre il primo ministro ad interim iracheno, Iyad
Allawi, ha difeso l’offensiva contro Falluja, dove, secondo forze statunitensi,
hanno perso la vita 600 tra insorti sunniti e terroristi di Abu Musab
al-Zarqawi, anche la città di Mossul è nuovamente finita sotto il fuoco aereo
americano. Obiettivo dei bombardamenti: gli insorti che negli ultimi giorni
hanno attaccato stazioni di polizia e combattuto aspramente nelle strade della
città. Scontri poi si sono registrati tra guerriglieri e forze statunitensi
nell’area in cui sorge il carcere di Abu Ghraib, nella periferia occidentale di
Baghdad. Nuove notizie anche nella sempre più difficile questione dei
sequestri. Secondo l’emittente al Jazira, insorti iracheni hanno rapito un
americano che lavorava come manager all’aeroporto di Baghdad. A firmare
l’azione, le “Brigate Rivoluzione 1920”. In questo fiume di violenza, oggi c’è
anche spazio per la memoria. Due cerimonie, a Roma e Nassiriya, hanno celebrato
il primo anniversario della strage del 12 novembre scorso, il più grave attentato
dalla fine della seconda guerra mondiale nei confronti dei militari italiani,
in cui morirono 12 carabinieri, 5 soldati dell’Esercito e 2 civili. Mentre
nella basilica capitolina di Santa Maria degli Angeli hanno partecipato alla
cerimonia il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il premier,
Silvio Berlusconi, e il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, a
rendere omaggio ai caduti a Camp Mittica, la base italiana alle porte di
Nassiriya, è stato il ministro della Difesa, Antonio Martino. “Resteremo qui
quanto necessario - ha detto - né un giorno di meno, né un giorno di più”.
L’aspirazione degli iracheni, ha aggiunto, è di “difendersi da soli dalla
minaccia terroristica: quando ne saranno capaci, chiederanno prima di diminuire
la visibilità delle forze della coalizione e poi la presenza stessa”.
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Come abbiamo sentito, quindi, la
situazione a Falluja resta difficile. Ma perché le truppe americane fanno
fatica a piegare la resistenza nella roccaforte sunnita? Massimiliano
Menichetti lo ha chiesto a Mohammed Alla, responsabile del Centro studi per i
Diritti e la democrazia di Falluja, a Roma per un incontro promosso, tra gli
altri, dalle Organizzazioni “Un ponte per…”, Beati i Costruttori di Pace e Pax
Christi:
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R. - THE FALLUJA’S PEOPLE
La gente di Falluja rappresenta,
di fatto, la leadership intellettuale e politica della società irachena e per
questo motivo non hanno accettato passivamente quella che considerano una
prepotenza delle forze di occupazione nella città. Questo farà sì che
continueranno ad opporsi ai militari della coalizione. I militari sono,
infatti, visti come dominatori di una forza straniera. A tal proposito, bisogna
sottolineare un aspetto importante: la grande offensiva americana di aprile ha
di fatto unificato l’insieme delle forze irachene sotto il simbolo che Falluja
ha rappresentato.
D. – Ma il governo provvisorio
di Allawi non è un interlocutore con cui si può parlare?
R. – THE FALLUJA’S PEOPLE …
La gente di Falluja è stata tra
i primi a chiedere di poter trattare con un governo legittimo iracheno e non
con forze di occupazione straniere. Ma quando questo governo disattende le
proprie responsabilità e competenze ed arriva ad agire in un modo considerato
ostile per gli interessi del popolo, si pone automaticamente fuori della legalità
e del riconoscimento da parte della popolazione. Chi vive a Falluja non ha mai
rinunciato a qualunque soluzione pacifica del problema. Si è tentato fortemente
di coinvolgere le Nazioni Unite in questo.
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Dopo l’uccisione del regista Van
Gogh, continuano le operazioni della polizia olandese contro il terrorismo
islamico. Un nuovo blitz delle forze di sicurezza contro ambienti
dell’estremismo ha portato all’arresto di 29 persone in un campo di
addestramento del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Falso allarme
oggi, intanto, in una fabbrica chimica, vicino Amsterdam, evacuata per la possibile
presenza di una bomba.
Cala la tensione
tra India e Pakistan sulla contesa regione del Kashmir. Il premier indiano
Singh ha annunciato una riduzione delle truppe di New Delhi schierate
nell’area, spiegando che negli ultimi mesi sono diminuite le infiltrazioni di
ribelli dal Pakistan. Da parte sua, Islamabad ha accolto favorevolmente la
decisione indiana, sottolineando che si tratta di un passo nella giusta direzione.
Proseguiranno anche
oggi i negoziati tra Iran ed Unione Europea sul programma nucleare di Teheran.
Sulle trattative c’è ottimismo da entrambe le parti. L’Agenzia Internazionale
per l’Energia atomica (AIEA) punta, invece, il dito contro la Corea del Sud. In
un rapporto pubblicato ieri a Vienna, si legge che Seul ha svolto in passato
attività nucleari in contrasto con gli accordi internazionali in vigore.
Sono stati
“almeno 37” i casi di atrocità ai danni di stranieri commessi nei giorni scorsi
in Costa d’Avorio, teatro di ripetuti disordini anti-francesi. Lo ha riferito
la delegata francese nel Paese africano, Catherine Rechenmann, specificando che
decine di donne sono state violentate. Il Foreign Office, intanto, ha dato
istruzioni affinché i cittadini britannici che si trovano nel Paese si radunino
in vista della loro evacuazione “sotto la protezione delle forze britanniche”.
Si svolgerà, infine, domenica prossima in Nigeria un vertice ristretto di Paesi
africani per cercare di trovare utili strade negoziali per risolvere la
tragedia della Costa d’Avorio. L’incontro si svolgerà sotto l’egida dell’Unione
Africana (UA). Il servizio di Giulio Albanese:
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L’invito a partecipare al
vertice è stato rivolto anche al presidente ivoriano, Laurent Gbagbo, che
pare abbia già confermato la sua presenza, ritenuta indispensabile dai
diplomatici dell’Unione. Ieri, intanto, a Johannesburg, in Sudafrica, i
rappresentanti dell’opposizione ivoriana si sono incontrati con il presidente
sudafricano, Thabo Mbeki. Erano presenti anche alcuni esponenti di spicco della
dissidenza in esilio ivoriana, tra cui l’ex primo ministro Wattarà. Assenti,
invece, i leader dei gruppi armati ivoriani. L’intento del presidente
sudafricano è quello di creare un consenso attorno al progetto di
riconciliazione nazionale e, mentre continua la fuga degli stranieri da Abidjan, il governo ivoriano ha chiesto
un’inchiesta internazionale su ciò che definisce violazione dei diritti umani e
della legge internazionale compiuta in questi giorni dalle truppe francesi sul
suo territorio.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Almeno 33 persone sono morte
nell’esplosione di gas in una miniera di carbone nella provincia centrale
cinese dello Henan. La miniera Pingdingshan della città di Liangwa era
formalmente in disuso e l’estrazione di carbone avveniva in maniera illegale:
per questo motivo tutti i dirigenti sono fuggiti al momento del grave incidente
e mancano informazioni sul numero di minatori che si trovavano ancora nei
cunicoli. Nei primi nove mesi di quest’anno, oltre 4.000 minatori hanno
perso la vita sul lavoro.
Almeno 10 morti ed
un centinaio di feriti. Questo è il tragico bilancio del deragliamento di un
treno nelle Filippine sud-occidentali. Fonti locali hanno spiegato che
l’incidente con ogni probabilità è stato causato dall’eccessiva velocità del treno.
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