RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
316 - Testo della trasmissione di giovedì
11 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Giovanni Paolo II riceve in Vaticano l’ex presidente polacco Lech Walesa
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Pubblicato l’annuario statistico 2004 dell’ISTAT
Pubblicato a Mosca un libro di preghiere
russo-ortodosse in lingua cinese.
In Iraq, almeno 17 morti nel centro di Baghdad. Ripresi i bombardamenti americani su Falluja
L’esodo degli stranieri
dalla Costa d’Avorio. Cessati gli appelli contro la presenza dei militari
inviati da Parigi.
11 novembre 2004
QUESTA MATTINA, NELLA BASILICA VATICANA, LA MESSA
IN SUFFRAGIO
DEI CARDINALI E DEI VESCOVI
DEFUNTI NELL’ULTIMO ANNO.
IL PAPA HA PRESIEDUTO LA CERIMONIA
Alla presenza di cardinali, vescovi e ambasciatori,
Giovanni Paolo II ha presieduto questa mattina, nella Basilica di san Pietro,
una messa in memoria dei cardinali e dei vescovi morti nel corso dell’anno. La
cerimonia è stata celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, decano del collegio
cardinalizio. Il servizio di Barbara Castelli:
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“Iddio è fedele e la nostra speranza in lui non è vana”.
In occasione della santa messa in suffragio dei
cardinali e dei vescovi defunti nell’ultimo anno, Giovanni Paolo II è tornato a
riflettere sul “grande dono dell’Eucaristia”.
Ogni volta che celebriamo questo sacramento - ha detto il
Papa - “prendiamo parte alla Cena del Signore che anticipa il banchetto della
gloria celeste”, che avrà luogo “sul monte santo di Gerusalemme e scaccerà per
sempre la morte ed il lutto”. Il mistero della morte e della risurrezione di
Cristo - ha proseguito - si rende costantemente attuale nell’Eucaristia,
“banchetto mistico, nel quale il Messia dà se stesso in cibo ai convitati, per
unirli a sé in un vincolo d’amore e di vita più forte della morte”.
Il Pontefice ha, quindi, voluto
ricordare singolarmente, con particolare affetto, gli otto cardinali che nel
corso degli ultimi 12 mesi sono “passati da questo mondo al Padre”: Paulos
Tzadua, arcivescovo emerito di Addis Abeba (Etiopia); Opilio Rossi, presidente
emerito della Commissione Cardinalizia per i Pontifici Santuari di Pompei,
Loreto e Bari; Franz König, arcivescovo emerito di Wien (Austria), Hyacinthe
Thiandoum, arcivescovo emerito di Dakar (Senegal); Marcelo Gonzáles Martín,
arcivescovo emerito di Toledo (Spagna); Juan Francisco Fresno Larraín,
arcivescovo emerito di Santiago de Chile (Cile); James Aloysius Hickey,
arcivescovo emerito di Washington (Stati Uniti d’America); Gustaaf Joos, della
Diaconia di San Pier Damiani ai Monti di San Paolo. “Pensando ad essi – ha concluso
il Papa e rievocandone il servizio generosamente reso alla Chiesa, sembra di
sentirli ripetere con l’Apostolo: “La speranza non delude”.
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CORDOGLIO DEL PAPA PER LA MORTE DI YASSER ARAFAT,
UN “LEADER DI GRANDE CARISMA
CHE HA AMATO IL SUO POPOLO”.
IL SANTO PADRE PREGA AFFINCHE’ PALESTINESI E
ISRAELIANI
POSSANO
FINALMENTE TROVARE LA PACE
- Ai nostri microfoni Joaquín Navarro-Valls e
mons. Michel Sabbah -
Cordoglio di
Giovanni Paolo II per la morte di Yasser Arafat, spentosi nella notte a Parigi.
Informato della notizia, il Papa si è raccolto in preghiera per il leader
palestinese. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato,
Angelo Sodano, indirizzato al presidente del Consiglio legislativo palestinese
Rawhi Fattuh, il Pontefice esprime la sua vicinanza alla famiglia, alle
autorità e al popolo palestinese. “Il Santo Padre – si legge nel telegramma –
prega il Principe della Pace affinché la stella dell’armonia brilli presto
sulla Terra Santa e i due popoli che vi abitano possano vivere riconciliati tra
loro in due Stati indipendenti e sovrani”. Sulle reazioni della Santa Sede alla
morte di Arafat, ascoltiamo ai nostri microfoni il direttore della Sala Stampa
vaticana, dott. Joaquín Navarro-Valls:
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Saputo della
morte del presidente Yasser Arafat, la Santa Sede si unisce al dolore del popolo
palestinese per la sua scomparsa. Indubbiamente egli è stato un leader dal
grande carisma, che ha amato il suo popolo ed ha cercato di guidarlo verso
l’indipendenza nazionale. Certamente il Papa ha pregato per la sua anima e posso
aggiungere che Dio accolga nella Sua misericordia l’anima dell’illustre defunto
e conceda la pace alla Terra Santa, con due Stati indipendenti e sovrani,
pienamente riconciliati tra loro.
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Una
Patria per i palestinesi, sicurezza per gli israeliani. Questo il binomio
chiave invocato dal Papa negli incontri con il leader palestinese. Giovanni
Paolo II ed Arafat si sono incontrati in 12 diverse occasioni. Soprattutto in
Vaticano, come la prima volta nel 1982. A Castel Gandolfo, come nel settembre
del 1995 e nell’agosto del 2001, ma anche in Terra Santa, nel marzo del 2000,
quando il leader palestinese ricevette il Pontefice a Betlemme. Ripercorriamo,
dunque, i momenti salienti di questi incontri nel servizio di Alessandro
Gisotti:
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Una soluzione
equa e duratura della crisi mediorientale deve escludere il ricorso ad ogni
forma di violenza. E’ il 15 settembre del 1982 quando Giovanni Paolo II incontra
per la prima volta Yasser Arafat. Nel suo discorso, il Papa chiede con forza il
riconoscimento dei diritti di tutti i popoli. In particolare, quello del popolo
palestinese ad una propria Patria e di Israele alla sua sicurezza. Un appello
che verrà ripetuto in modo instancabile dal Pontefice nei molteplici incontri
con il leader palestinese. Nel 1988, Papa Wojtyla ribadisce al leader dell’Olp
di essere profondamente convinto che palestinesi ed israeliani abbiano un
identico fondamentale diritto ad avere una propria patria, nella quale vivere
in libertà, dignità e sicurezza. E il binomio della pace nella giustizia e del
rispetto per i diritti dell’altro torna anche nelle parole rivolte dal Papa ad
Arafat nell’udienza in Vaticano, dell’aprile 1990. Nell’ottobre del 1994
vengono avviate relazioni ufficiali tra la Santa Sede e l’Organizzazione per la
liberazione della Palestina. Quindi, nel settembre dell’anno successivo, il
Papa auspica, alla presenza di Arafat, che palestinesi e israeliani possano presto
godere dei frutti concreti della pace, grazie al loro sforzo di costruire una
reciproca fiducia “con un fattivo sostegno internazionale da parte degli amici
dei due Popoli”.
Nell’incontro
in Vaticano, nel dicembre del 1996, Arafat invita il Papa a recarsi a Betlemme
per il Giubileo del 2000. Un anno, quest’ultimo, particolarmente significativo
per i rapporti tra Vaticano e autorità palestinesi. Il 15 febbraio del 2000
viene infatti firmato l’Accordo fondamentale tra la Santa Sede e l’Olp. Nel
documento, viene ribadita la posizione vaticana per uno statuto speciale internazionale
di Gerusalemme e la richiesta di tutela dei Luoghi Santi. Dal canto suo, l’Olp
si impegna a riconoscere pienamente i diritti della Chiesa cattolica in
territorio palestinese. Un mese dopo, è il momento della storica visita di
Giovanni Paolo II in Terra Santa. In questa occasione, il 22 marzo, incontrerà
Arafat a Betlemme. Qui, ancora una volta, il Papa chiede pace per il popolo
palestinese, il cui tormento, sottolinea, “è andato avanti troppo a lungo”. E
manifesta con emozione la sua solidarietà alla popolazione, visitando il campo
profughi di Dheisheh. “La mia visita – avverte – serva a ricordare alla
comunità internazionale la necessità di una azione decisiva per migliorare la
situazione” palestinese. L’ultimo incontro avviene il 30 ottobre 2001. In Medio
Oriente imperversa la violenza, che miete vittime innocenti tra israeliani e
palestinesi. Il mondo è ancora sotto shock per l’attacco terroristico dell’11
settembre. Ma il Papa, come nel primo incontro con Arafat, continua ad invocare
la pace. E’ tempo di abbandonare le armi, è il richiamo di Giovanni Paolo II.
E’ tempo di riprendere i negoziati, “per assicurare ai popoli della regione rispetto
reciproco e sicurezza per tutti”.
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Al microfono
di Roberto Piermarini il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michael Sabbah,
ha sottolineato come gli incontri del Papa con Arafat “abbiano legittimato il
ruolo fondamentale del leader palestinese nel processo di pace in Medio
Oriente”:
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R. –
Giovanni Paolo II ha aperto gli occhi del mondo: anche gli avversari, cioè
l’autorità israeliana e il mondo negli accordi di Oslo, hanno riconosciuto un
leader di un popolo e, dunque, hanno riconosciuto i diritti di un popolo. Ormai
il mondo intero, anche Israele, l’America, riconoscono che ci sarà uno Stato
palestinese.
D. - Mons.
Sabbah, qual è stato il rapporto di Arafat con i cattolici di Terra Santa?
R. – La Palestina per lui non era solo la terra dei palestinesi o degli
israeliani, era anche la terra del mondo intero, per la presenza dei luoghi
santi cristiani. E perciò ha prestato un’attenzione speciale alla presenza
cristiana, alle chiese, ai cristiani-palestinesi stessi. Ha avuto tanti gesti
per permetterci di svolgere, a volte, le cerimonie religiose, specialmente a
Natale, o nel prendere delle decisioni per collocare sindaci cristiani nelle
città o nei villaggi dove c’era una certa presenza consistente cristiana, come
a Betlemme, Beit Sala, Beit Sahour. Questa visione universale, che sorpassa
anche il nazionalismo, può continuare - speriamo - con tutti i leader che prenderanno
il suo posto, come con tutti i responsabili della Palestina e di Israele.
D. –
Arafat era intervenuto anche nella questione della Moschea di Nazareth?
R. –
Ha preso una sua posizione, molto chiara: “Anche se fosse terra musulmana ne facciamo
regalo ai cristiani”.
D. –
Eccellenza, un suo ricordo personale di Arafat?
R. –
Il ricordo è la sua preghiera a Natale, benché non fosse cristiano. Apprezzava
molto il Canto degli Angeli di Natale: “Gloria a Dio nell’Altissimo e pace in
terra agli uomini di buona volontà”. Quando lo chiamavamo al telefono,
rispondeva subito. Ci era molto vicino. A volte è intervenuto in alcune
discussioni sui cristiani e musulmani, specialmente nella regione di Betlemme.
E’ intervenuto personalmente per mettere a posto le cose, ridare equilibrio ai
rapporti tra cristiani e musulmani.
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GIOVANNI PAOLO II RICEVE IN VATICANO
L’EX PRESIDENTE POLACCO LECH WALESA
Il presidente
emerito della Repubblica di Polonia, Lech Walesa, è stato ricevuto questa
mattina dal Papa in Vaticano. L’ex leader di Solidarnosc, e premio Nobel per la
pace nel 1983, ha tenuto ieri alla Pontificia Università Lateranense la lezione
d’inaugurazione dell’anno accademico 2004-2005.
DA QUESTA MATTINA IN VATICANO LA
CONFERENZA SULLE CURE PALLIATIVE,
PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE
DELLA SALUTE
- Intervista con il cardinale Javier Lozano
Barragán -
Le
cure palliative sono al centro della 19esima Conferenza internazionale promossa
dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, che apre oggi i lavori
che si concluderanno sabato. Giovanni Peduto ha chiesto, al presidente del
dicastero, cardinale Javier Lozano Barragán, se la Chiesa incoraggia la ricerca
medica sulle terapie contro il dolore:
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R. – Assolutamente sì. E questo
perché il Cristo è venuto per vincere il dolore con il dolore, ma, dunque, per
vincere il dolore. La Chiesa incoraggia, quindi, tutto quello che è possibile
fare per vincere il dolore stesso.
D. – Come spiegare a chi soffre
la contrarietà della Chiesa all’eutanasia?
R. – Spiegando loro che la vita
è un dono di Dio e non appartiene a nessuno, se non a Lui. L’eutanasia è quindi
prendere un qualcosa che non è proprio e toglierlo dalla mano di Dio. Così non
si può assolutamente procedere.
D. – Che accompagnamento dare ai
malati?
R. – L’accompagnamento deve
essere il più amorevole, il più caro, il più cristiano e il più caritatevole
possibile.
D. – In questa conferenza
parlerete anche del ruolo della psicologia?
R. – Sì, certo. La psicologia è
un qualcosa che ci aiuta ma, in questa conferenza, il ruolo è centrato nello specifico cristiano. Altre cose
certamente ci aiutano.
D. – In questa conferenza viene
anche trattato il tema del rinnovamento dei sacramenti degli infermi?
R. – Questo è il tema
fondamentale. Le cure palliative per la Chiesa vogliono significare i mezzi più
forti per cercare di vincere il dolore. Questo palliativo del dolore è
rappresentato dall’Eucaristia, inteso come viatico, e l’unzione dei malati.
D. – Sulle cure palliative è
possibile instaurare un dialogo interconfessionale ed interreligioso?
R. – Sicuramente sì e proprio in
questa Conferenza lo instauriamo con gli ebrei, i musulmani, gli induisti ed i
buddisti. Quest’anno abbiamo poi una novità: instauriamo questo dialogo anche
con miscredenti d’Europa e cioè con il post-modernismo e la post-modernità.
D. – Eminenza, quale cultura
della vita c’è oggi nella nostra società?
R. – Direi che c’è piuttosto una
minaccia molto forte alla cultura della vita. Tutti gli attacchi sono stati,
infatti, diretti contro la fonte della vita. Un esempio sono le manipolazioni
del genoma umano.
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ACCOLTE
QUESTO POMERIGGIO NELLA CAPPELLA PRIVATA DEL PAPA
LE
RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO ARRIVATE A ROMA
PER I
1650 ANNI DALLA NASCITA DEL GRANDE DOTTORE DELLA CHIESA
- Intervista con Chiara D’Urso -
Saranno
accolte questo pomeriggio nella cappella privata del Papa le reliquie di
sant’Agostino arrivate a Roma, dove resteranno fino al 15 novembre, per i 1650
anni dalla nascita del grande dottore della Chiesa. Domani saranno riportate
nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio per la celebrazione della
giornata dedicata alla civiltà cristiana, ai politici e ai rappresentanti degli
Stati, a presiedere la messa solenne delle 18.00 sarà il Segretario di Stato
Vaticano, cardinale Angelo Sodano. Ma ascoltiamo la cronaca di oggi, giornata
dedicata ai giovani, nel servizio di Tiziana Campisi:
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Nella giornata
dedicata ai giovani alla ricerca della verità, le reliquie del vescovo di Ippona,
saranno trasportate questo pomeriggio all’Istituto Patristico Augustinianum, centro
studi sull’antichità cristiana, sui Padri della Chiesa e su Sant’Agostino in
particolare. L’Aula Magna sarà intitolata ad uno dei religiosi agostiniani
fondatori dell’istituto, padre Agostino Trapè, iniziatore dell’opera omnia in italiano e latino, la cui pubblicazione è stata
completata quest’anno dalla casa editrice Città Nuova. L’urna di Sant’Agostino
sosterà per la celebrazione dei Vespri solenni che saranno presieduti dal
presidente del Pontificio Consiglio della cultura, Paul Poupard. Alle 19.00 le
reliquie del Santo saranno trasferite nella cappella privata del Papa, dove
resteranno fino a domani mattina. Stasera alle 21.00 una fiaccolata di giovani
partirà dalla Chiesa di Sant’Agnese in Agone di Piazza Navona e raggiungerà la
Basilica di Sant’Agostino, dove si svolgerà una veglia di preghiera. Ma come
vedono i giovani Sant’Agostino? Lo abbiamo chiesto a Chiara D’Urso, appassionata
lettrice del vescovo d’Ippona:
R. – La cosa
che più mi affascina della sua figura è l’attenzione all’interiorità, quanto questa
sia importante nella sua vita. Infatti, penso che nel mondo di oggi, che ci bombarda
di notizie, di informazioni, di novità, i giovani abbiano perso questa dimensione
dell’interiorità, quindi l’abitudine a fermarsi, a guardarsi dentro, a
riflettere. Devono recuperare questa dimensione o, per dirla con le parole di
Agostino, “rientrare in se stessi”, che è una cosa che, secondo me, fanno molto
poco.
D. – Come lo si
può conoscere Agostino?
R. – Il modo
più diretto per conoscerlo è attraverso le sue opere, soprattutto attraverso
“Le Confessioni”, che è appunto l’opera più diretta. Una cosa che mi colpisce,
per esempio, ancora di lui è il rapporto che ha avuto con la madre, i rapporti
con i genitori, con gli amici. Quindi, tutta questa serie di esperienze che Agostino
ha avuto sono per me esempi di vita concreta.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il Medio Oriente.
I
palestinesi piangono la morte di Arafat.
La
salma attesa al Cairo per i funerali ufficiali ai quali parteciperanno decine
di capi di Stato e di governo.
La
Lettera del Papa - a firma del cardinale Angelo Sodano - in cui si esprime il
cordoglio per la morte di Arafat.
Sempre
in prima, un articolo sulla figura di Arafat dal titolo "Il rais simbolo
per decenni della lotta di un intero popolo".
Nelle
vaticane, l'omelia del Papa nella Concelebrazione Eucaristica in suffragio dei
cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell'anno.
Un
lungo e approfondito contributo del cardinale Walter Kasper in merito alla
Conferenza - in svolgimento a Rocca di Papa - sul tema: "Il Decreto
sull'Ecumenismo del Concilio Vaticano II quarant'anni dopo".
Nelle
estere, in rilievo l'Iraq: a Falluja l'offensiva Usa prosegue senza sosta.
Per
la rubrica dell'"Atlante geopolitico", un articolo di Gabriele Nicolò
dal titolo "Nassiriya: il ricordo di quel terribile 12 novembre".
Nella
pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "1989: un
grande passo di pace": quindici anni dalla caduta del muro di Berlino.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema della giustizia.
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11
novembre 2004
MORTO ARAFAT, DOMANI AL CAIRO I
FUNERALI.
IL RAIS SARÀ SEPPELLITO ALLA MUQATA
- Intervista con Antonio Ferrari
-
Si è conclusa questa notte l’agonia del presidente palestinese Yasser Arafat,
morto all’età di 75 anni. Dopo l’omaggio a Parigi del presidente francese Chirac,
la salma
del rais sarà trasportata oggi al Cairo, dove domani si svolgeranno i funerali
ufficiali. Arafat sarà poi trasferito in elicottero a Ramallah e verrà
seppellito alla Muqata, il palazzo presidenziale dove ha vissuto
ininterrottamente negli ultimi tre anni. Il servizio di Graziano Motta:
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Non
sono stati ancora definiti i particolari delle esequie. Domani, comunque, alle
10.00 dovrebbe svolgersi una cerimonia ufficiale di addio al Cairo; confermata
invece la sepoltura alla Muqata di Ramallah. La città della Cisgiordania è in
lutto, con preghiere nelle moschee, spari di fucili e pneumatici in fiamme per
le strade. Questa mattina il Consiglio legislativo ha nominato il suo presidente,
Rawhi Fattuh, presidente ad interim dell’Autorità Palestinese. Egli ha
prestato solenne giuramento. Proclamato un lutto nazionale di 40 giorni, dovrà
indire entro 60 giorni le elezioni generali per la successione di Arafat. Già
un’ipoteca è stata posta oggi dal Comitato centrale dell’OLP, con l’unanime
elezione a suo presidente di Abu Mazen, che da primo ministro aveva accettato
la road-map per la pace, d’intesa con il premier israeliano. E proprio
Sharon, parlando con i giornalisti dopo un incontro con l’italiano Giancarlo
Fini in visita in Israele, ha subito ravvisato buone prospettive. “La scomparsa
di Arafat – ha detto – può segnare una svolta storica. Come Paese che aspira
alla pace, Israele proseguirà gli sforzi per cercare presto un accordo con i
palestinesi, la cui leadership – ha aggiunto – spero comprenda che una soluzione
dipende dall’arresto del terrorismo e della lotta armata contro di esso”. Ma
questo è il tasto dolente: il movimento fondamentalista Hamas, con il suo
leader Mashallah, accusa Israele di avere ucciso Arafat per avvelenamento. Afferma
che la morte del raìs rafforza “il nostro impegno e la nostra fermezza a continuare
la Jihad, cioè la guerra santa, contro il nemico sionista, fino alla vittoria
finale e alla liberazione di tutta la terra araba.
Per la
Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Ma che cosa
ha rappresentato Arafat in mezzo secolo di crisi mediorientali? Giancarlo La
Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della
Sera, che ha incontrato molte volte il leader palestinese:
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R. – Io l’ho intervistato,
credo, 25 volte. E’ stato un grande capo guerrigliero, che ad un certo punto ha
avuto il coraggio di cercare di riconvertirsi a leader politico. Ha avuto il
coraggio di riconoscere lo Stato di Israele e in fondo di presentarsi come
l’alfiere di un futuro governo palestinese. Ma dall’Arafat guerrigliero
all’Arafat politico, ce ne passa. Purtroppo negli ultimi anni c’era un rapporto
difficile con tutti i fratelli arabi e, in effetti, non gli hanno mai
riconosciuto una grande affidabilità. Credo che chi a Camp David non abbia
accettato di firmare, non ha capito che questo è stato il suo grande limite
politico. La seconda Intifada era cominciata da pochi mesi, dopo l’attacco alle
Torri Gemelle ed il mondo era cambiato. Quello sarebbe stato, forse, il momento
per fare veramente un salto di qualità e denunciare in maniera aperta questi
attentati terroristi che in effetti hanno cambiato il mondo.
D. – Il rapporto personale di
Arafat con la pace. Più volte è stato accusato dagli israeliani di non volerla…
R. – Riguardo al discorso della
pace, la scomparsa di Rabin credo che abbia creato una specie di shock. Alla
fine, pur dicendo di voler credere alla pace, aveva recuperato in qualche
misura i valori della guerra. Questo era il personaggio e, nel bene e nel male,
Arafat è il simbolo della causa palestinese e sicuramente lo resterà anche da
morto.
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Con la scomparsa di Arafat, ad
assumere formalmente la leadership dell’Autorità nazionale palestinese è il
presidente del Parlamento, Rawhi Fattuh, per un periodo transitorio di 60
giorni. Al termine, dovrebbero svolgersi le elezioni presidenziali per la definizione
del successore di Arafat. Sui candidati più accreditati a succedere al rais,
ascoltiamo il servizio di Stefano Leszczynski:
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Quattro le personalità politiche
palestinesi che potrebbero aspirare ad una successione nella guida dell’ANP del
post Yasser Arafat. Il più accreditato, secondo gli analisti internazionali,
sarebbe l’ex premier Mahmud Abbas, 70 anni, meglio noto come Abu Mazen, attuale
segretario generale del Comitato esecutivo dell'Olp. Moderato, oppositore
dell'Intifada, Abbas è un esponente politico palestinese apparentemente gradito
a Israele e Stati Uniti. Non gode tuttavia di popolarità nei Territori e
potrebbe non ricevere l’appoggio di Al-Fatah, principale movimento politico
palestinese, quando si terranno le elezioni per scegliere il nuovo presidente.
Il secondo candidato potrebbe essere l’attuale primo ministro Ahmed Qurea, 67
anni, noto anche come Abu Ala. Il suo status all'interno di Al Fatah però è
debole, poiché in passato si è occupato più delle finanze che dei processi
politici nell'Olp. Viene ricordato anche come uno degli 'architetti' degli
accordi di Oslo. In corsa potrebbe risultare anche l'ex ministro della sicurezza
Mohammed Dahlan, 43 anni, divenuto nell'ultimo anno “l'uomo-forte” di Gaza.
Resta l’incognita del segretario generale di Al Fatah, Marwan Barghuti,
considerato l'esponente palestinese più popolare. Barghuti si trova però in
carcere in Israele, dove sconta una condanna a vari ergastoli legata all'Intifada
armata. E Israele fa sapere di escluderlo come leader.
Stefano Leszczynski, per la Radio Vaticana.
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ECONOMIA ETICA E TERRORISMO AL CENTRO OGGI DEL
QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI
PREMI NOBEL PER LA PACE.
DOMANI LA CERIMONIA CONCLUSIVA ALL’AUDITORIUM DI
ROMA
- Intervista con Rigoberta Menchù -
Prosegue a Roma il quinto summit
mondiale dei Premi Nobel per la Pace, sul tema “Un mondo unito o un mondo
diviso? Multietnicità, diritti umani, terrorismo”. Oggi, la riflessione è
dedicata in particolare al ruolo dell’economia etica per superare disparità e
divisioni in un mondo globalizzato, al terrorismo e alle altre minacce alla sicurezza
dell’umanità. Nella sessione di ieri pomeriggio si è parlato di diritto alla
terra dei popoli nativi. “Dobbiamo creare nuove relazioni tra i popoli indigeni
e gli Stati – ha sottolineato la
guatemalteca Rigoberta Menchù – tutti devono avere accesso ad una vita
dignitosa”. E la premio Nobel per la Pace 1992 ha aggiunto che “semplicemente
l’esistenza di questi popoli mette in discussione il modello capitalista dello
sfruttamento, che esiste nel nostro sistema e non dà valore all’essere umano”.
Ma ascoltiamola al microfono di Barbara Castelli che ha seguito i lavori per
noi:
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LA TIERRA PARA NOSOTROS NO SOLO
ES UNA FUENTE…
“La terra, per noi, non
è soltanto una fonte di “oro nero”, come avviene per l’Iraq. Il petrolio
scatena sempre grandi ambizioni in alcuni capi di Stato, non soltanto degli
Stati Uniti, ma anche di altri Paesi. La terra è la nostra madre, la nostra fonte
di energia, la nostra fonte di vita, fonte di spiritualità, memoria storica. La
terra rappresenta il sito sacro dei nostri sogni per il futuro. Oggi, il nostro
messaggio continua ad essere la rivendicazione dell’equilibrio e l’equilibrio è
rappresentato da tutto quello che è stato detto qui. E’ necessario eliminare il
divario tra la povertà e la ricchezza, l’opulenza, la cupidigia, la superbia,
l’accaparramento e l’irresponsabilità individuale e cercare di avere un senso comune
di vita nel Pianeta. Non è possibile capire i diritti dei popoli indigeni se
non nel segno di una coesistenza nel pianeta, dove necessariamente la legge
stessa dell’esistenza deve essere il rispetto. Se avessimo saputo rispettare
maggiormente gli altri, sicuramente gli indigeni oggi avrebbero una scienza
prospera, capace di dare luce ad una vera globalizzazione, più che ad una
globalizzazione della sofferenza, della povertà, dei bambini di strada. Siamo
un simbolo di resistenza, siamo un esempio di una libera determinazione. Io
vedo una gioventù caratterizzata da una forte identità. Il messaggio che io
desidero far partire da qui è quindi questo: è giunto il momento che i popoli
indigeni siano visti come attori e non soltanto come vittime.
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L’ITALIA COMMEMORA LE
VITTIME DELLA STRAGE DI NASSIRIYA,
AD UN ANNO DALL’ATTENTATO
CHE IL 12 NOVEMBRE DEL 2003
UCCISE 19 ITALIANI E 9 IRACHENI
- Intervista con il
tenente colonnello Giovanni Ramunno -
Un anno dopo, l’Italia ricorda con emozione le vittime del terribile
attentato in Iraq contro la base dei Carabinieri a Nassiriya, che provocò la
morte di 12 membri dell’Arma, cinque militari dell’Esercito e due civili
italiani, oltre a nove civili iracheni. Composto il dolore dei famigliari delle
vittime, mentre il presidente della Repubblica, Ciampi, ha ribadito come quel
tragico 12 novembre del 2003 ricordi agli italiani chi sono e le ragioni per
cui stanno insieme dalla stessa parte. Domani alle ore 10.00 - alla presenza
delle più alte autorità dello Stato, si terrà la Messa di suffragio nella
Basilica romana di S. Maria degli Angeli, presieduta dall’Ordinario Militare
d’Italia, l’arcivescovo Angelo Bagnasco. Se, dunque, l’Italia commemora i suoi
caduti, a Nassiriya il lavoro dei militari continua. E proprio questo impegno è
il modo migliore per onorare le vittime della strage di un anno fa. Lo sottolinea
il tenente colonnello Giovanni Ramunno, portavoce del contingente italiano in
Iraq, raggiunto telefonicamente a Nassiriya da Alessandro Gisotti:
*********
R. – Ovviamente non
dimentichiamo la ferita aperta ed ancora una volta esprimiamo un sentimento di
solidarietà alle famiglie dei caduti. Riteniamo, però, che il modo migliore per
onorarne la memoria sia quello di continuare la loro opera nella missione di
pace.
D. – Il presidente della
Repubblica Italiana, Ciampi, ha affermato che “la memoria delle vittime ha
rafforzato l’unità del Paese”. Come avete accolto queste parole a Nassiriya?
R. – Noi lo sentiamo. Sentiamo il
Paese molto vicino a noi, sentiamo che ci sostiene e noi ovviamente pensiamo di
meritare la fiducia che ci viene accordata dal Paese.
D. – Oltre al controllo del
territorio, oltre alla questione della sicurezza, quali sono le attività che
caratterizzano il lavoro dei militari italiani in Iraq?
R. – La distribuzione degli
aiuti umanitari ritengo sia un’attività prioritaria. C’è poi tutta la parte
relativa alla ricostruzione delle infrastrutture: noi abbiamo attualmente una
dozzina di lavori per terminare scuole sia a Nassirya che a Suqash Shuyukh e al
Ar Rifa’i. Abbiamo già ristrutturato delle stazioni di pompaggio sempre a
Rifa’i e nel nord ad Al Gharraf. Abbiamo inoltre consegnato materiale ai Vigili
del Fuoco sia a Nassirya che a Suqash Shuyukh. Penso che l’attività sia
gratificante per il contingente, perché vediamo i risultati e ritengo che dopo
un anno il bilancio sia positivo.
D. – Se a Nassiriya la
situazione è relativamente tranquilla, a nord, nell’area sunnita, la guerra
sembra, purtroppo, non essere mai finita. Qual è l’atteggiamento della popolazione
verso la presenza straniera? C’è stato un cambiamento in questo ultimo periodo,
secondo lei?
R. – Un cambiamento comunque
positivo. Noi sentiamo sia la popolazione locale che le autorità civili e
religiose molto vicine a noi. Ce lo riconfermano ogni giorno sia in dichiarazioni
ufficiali sia quando, controllando le strade, vediamo i bambini e le donne che
si avvicinano senza problemi alle nostre pattuglie, che peraltro rappresentano
una sicurezza per loro.
D. – C’è un momento
dell’esperienza in Iraq che ricorda con particolare emozione?
R. – Sì. Un paio di settimane fa
siamo andati a Al Gharraf per ripristinare una stazione di pompaggio: gli occhi
dei bambini e la riconoscenza che esprimevano le autorità locali, gli sceicchi
ed anche le persone comuni mi hanno colpito particolarmente. Mi ha emozionato,
direi. Il “metodo Nassiriya”, che utilizziamo qui nella ricostruzione e nella
distribuzione degli aiuti, funziona.
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LE SALE DEI CINEMA
PARROCCHIALI, PATRIMONIO CULTURALE DA DIFENDERE:
SE NE PARLA DA IERI AL
CONVEGNO PROMOSSO A GENOVA DALL’ASSOCIAZIONE CATTOLICA
ESERCENTI CINEMA, CON L’UFFICIO COMUNICAZIONI SOCIALI DELLA CEI
- Intervista con mons.
Roberto Busti e Francesco Giraldo -
“Il Pubblico delle Sale della Comunità”: per parlarne si è aperto ieri a
Genova il convegno promosso dall’ACEC, l’Associazione Cattolica Esercenti
Cinema, insieme con l’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI.
Al centro del dibattito: profili, consumi culturali, immagini e vissuti della
Sala. Il servizio di Luca Pellegrini:
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L’evangelizzazione passa anche
attraverso la sala di un cinema. Per questo da 55 anni l’ACEC è impegnata in
prima linea nella difesa di questo straordinario patrimonio culturale legato
all’attività pastorale delle parrocchie italiane. Nell’ambito dei lavori sono
stati diffusi i risultati di un’indagine dell’Università Cattolica di Milano
che traccia il profilo del pubblico delle oltre 1.000 Sale della Comunità oggi
in funzione. Chiediamo a mons. Roberto Busti, presidente dell’ACEC, di indicare
i motivi per i quali nacque l’Associazione nel 1949:
“Si sono ritrovati gli esercenti delle sale
cinematografiche parrocchiali, soprattutto cinematografiche ma non dimentichiamo
che c’era anche l’ambito del teatro amatoriale, per fare delle scelte di fronte
alla realtà cinematografica, in modo tale da prendere delle pellicole che
fossero adatte al loro pubblico. Naturalmente, tutta questa realtà si è
inserita dentro il tessuto della Chiesa fino a giungere al punto che essa viene
riconosciuta nel nuovo Direttorio sulle Comunicazioni sociali: una realtà che
fa parte dei nuovi media che devono essere presenti dentro alla parrocchia.
Rientra in questa logica la scelta delle comunità cristiane di dotarsi di una
‘sala della comunità’ o di ritornarne in possesso. Questa sala diventa un po’
l’ambito di accoglienza, di dialogo per tutta la realtà parrocchiale, quasi una
prefazione, un’introduzione alla realtà del tempo. Non è tanto il momento in
cui viene proclamata la Parola, ma in cui questa Parola si fa vita dentro una
realtà sociale e culturale alla quale tutti sono invitati”.
Francesco Giraldo, segretario
generale, ci fornisce una sintesi dell’inchiesta:
“Riguarda il pubblico della sala
e, con nostra grande sorpresa, abbiamo rilevato che è formato prevalentemente
da spettatori di età compresa tra i 35 e i 44 anni. E’ un pubblico che al 72%
possiede un diploma di scuola media superiore e al 27% possiede una laurea.
Questo dimostra che tutta la politica associativa seguita in questi anni, che è
quella della ‘fidelizzazione’, sta dando i suoi frutti. In questo momento, noi
stiamo andando in controtendenza, rispetto ad una chiusura generalizzata di un
esercizio chiamato ‘monoschermo’, così: abbiamo ogni anno comunque una riapertura
di 15-20 sale. Teniamo presente che negli anni Sessanta erano presenti nel
nostro territorio 6.500 sale. Queste sale sono ancora lì, magari sono state
chiuse, ma difficilmente hanno avuto una variazione nell’uso della sala. Un
nuovo decreto legge del 22 gennaio 2004 comprende una grande novità, che è
quella di un contributo che viene concesso alle sale disattivate per poterle
riaprire. E questo, insieme con altre sinergie che la Chiesa dovrà chiaramente
mettere in campo nei prossimi mesi, nei prossimi anni, potrà diventare la soglia
d’ingresso per tutto quel mondo che i cosiddetti ‘non credenti’ o, come tante
volte vengono chiamati, ‘gli ultimi’. Difficilmente possono accedere alla vita
sacramentale, ma possono avere un primo incontro con la comunità ecclesiale
attraverso la ‘sala della comunità’.
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11 novembre 2004
“C’È STATA MOLTA OSCURITÀ INTORNO ALLA MORTE DI ARAFAT. MA COSÌ HA
VOLUTO LA POLITICA”. COSI’ IL PATRIARCA DI ALESSANDRIA D’EGITTO,
OGGI A
BOLOGNA PER UN INCONTRO SULLA CHIESA COPTA
- A
cura di Stefano Andrini -
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BOLOGNA.
=. “C’è stata molta oscurità intorno alla morte di Arafat. Ma così ha voluto la
politica”. Lo ha detto, incontrando i giornalisti, Sua Beatitudine il cardinale
Stéfanos II Ghattas, patriarca di Alessandria d’Egitto che nel capoluogo emiliano
terrà un incontro sulla Chiesa copta promosso dal “Centro della Voce” in
collaborazione con la diocesi di Bologna. “Di Arafat – ha detto il patriarca –
si sapeva che era morto clinicamente da una settimana ma si taceva. È stato
addirittura ricoverato in una clinica militare dove della sua salute non si
poteva parlare. Questo è dovuto alla politica. In realtà Arafat era il capo di
un popolo che soffre e voleva con tutto il suo cuore dare ai palestinesi la
gioia di poter essere riconosciuti, di essere liberi, di aver la loro capitale.
È stato un capo che soffriva per non essere riuscito a liberare il suo popolo
dal giogo israeliano”. Il cardinale Ghattas ha poi risposto a qualche domanda
sulla situazione irachena. “Con la guerra – ha ricordato – non si risolve
nulla. Quante volte il Santo Padre ha detto no alla guerra invitando alla pace
e al dialogo. Invece in Iraq non è stato così. Tutti quanti si sono messi l’un
contro l’altro. Ma in questo modo ci sono molte difficoltà a raggiungere la
libertà e la pace”. Nel corso dell’incontro con la stampa il cardinale, che
sabato presiederà sempre a Bologna una celebrazione eucaristica in rito copto alessandrino
nella chiesa di San Bartolomeo si è soffermato anche sulla situazione della
convivenza tra cattolici e musulmani in Egitto. “Noi – ha detto il patriarca –
abbiamo la libertà di praticare la religione: alcune difficoltà sussistono per
costruire, edificare, riparare le chiese che al Cairo sono quasi 300. Possiamo
dunque fare tutte le nostre pratiche, esercizi spirituali compresi. Non ci è
invece consentito il proselitismo”.
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IN
ITALIA SI VIVE DI PIU’, MA SI E’ MENO SODDISFATTI DELLE CONDIZIONI DI VITA.
E’
QUANTO EMERGE DALL’ANNUARIO STATISTISTICO 2004 DELL’ISTAT
- A cura di Debora Donnini -
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ROMA. = In Italia si vive di più, ma ci si percepisce più
poveri e si è meno soddisfatti delle condizioni di vita. A scattare una fotografia
del Belpaese, relativa all’anno 2003, è l’Annuario Statistico, l’indagine
annuale dell’ISTAT. Cresce l’aspettativa di vita per gli italiani con quasi 83
anni per le donne e 77 per gli uomini, inferiore soltanto a due Paesi europei:
Spagna e Svezia. Aumenta anche la popolazione, che supera i 57 milioni, con
circa 500 mila unità in più dell’anno precedente, e non per effetto delle
nascite ma dell’immigrazione. I permessi di soggiorno agli stranieri sono
aumentati del 4 per cento in più rispetto all’anno prima. Secondo l’Annuario
Statistico dell’ISTAT, le famiglie italiane si sentono però più povere. Il 47,5
per cento nel 2003 ritiene peggiorata rispetto all’anno precedente la propria
situazione economica, contro il 40,4 per cento del 2002 e addirittura il 20,3
per cento nel 2001. Più in generale, chi si ritiene poco o per nulla
soddisfatto delle proprie condizioni di vita è il 44 per cento delle persone,
un dato anche questo in aumento rispetto agli anni precedenti e soprattutto nel
centro nord. L’aumento delle spese della famiglia è uno dei versanti principali
di questo malessere economico. Viene calcolato che la spesa media mensile per
un nucleo familiare sia intorno ai 2.313 euro. Complessivamente buono, invece,
il giudizio sulla propria salute: così la valutano tre italiani su quattro. Tra
le malattie croniche più diffuse: artrosi, artrite, ipertensione e malattie
allergiche. Si rivela poi un progresso occupazionale con 225 mila unità in più,
soprattutto fra le donne. In diminuzione invece i matrimoni: sono stati meno di
260 mila.
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METTERE
INSIEME I CARISMI DEGLI ANTICHI ORDINI RELIGIOSI E DEI NUOVI MOVIMENTI PER
RILANCIARE LA MISSIONE E CONTRASTARE LA SCRISTIANIZZAZIONE.
QUESTO,
L’INVITO DEL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI, NELLA TERZA GIORNATA
DELL’ASSEMBLEA DEI SUPERIORI MAGGIORI, AD ASSISI
- A cura
di Egidio Picucci -
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ASSISI.
= I lavori della terza giornata dell’Assemblea dei Superiori Maggiori, che si
tiene in questi giorni ad Assisi, si sono aperti con la concelebrazione presieduta
dal cardinale Camillo Ruini nella basilica di Santa Maria degli Angeli.
Nell’omelia il porporato ha raccomandato ai religiosi di non essere immemori
del dono ricevuto. Ha ribadito che la Chiesa fa molto affidamento sulla loro
testimonianza e ha ricordato che mettere insieme i loro carismi con quelli dei
nuovi movimenti (argomento su cui si confronta l’Assemblea) è un’urgenza
storica per rilanciare la missione, contrastando gli impeti della scristianizzazione.
“La comunione - ha detto il cardinale - è ordinata alla missione e la missione
facilita la comunione”. Principio confermato da padre Raniero Cantalamessa, il
quale, parlando della propria esperienza, ha detto di essere passato da un
atteggiamento critico, alla conversione verso un determinato movimento,
trovandovi un aiuto prezioso per scoprire la missione di predicatore itinerante
che svolge attualmente, senza aver mai pensato, per questo, a rinunciare alla
sua identità di frate minore cappuccino. Giuridico, il tema proposto da mons.
Gerosa: parlando dell’autorità, ha suggerito di cambiare il termine “collegialità”
con quello più corretto di “solidarietà”, perché consente di capir meglio la
comune responsabilità di chi compone il popolo di Dio a collaborare nei vari ambiti
dell’apostolato. In questo campo hanno ancora spazio rilevante – ha detto un
docente universitario – gli Ordini e gli Istituti di antica fondazione, che si
configurano con una fisionomia istituzionale maggiormente definita rispetto ai
nuovi movimenti, i quali devono guardarli come una realtà originaria, come
punto di riferimento e come testimonianza di un’altra scelta possibile: quella
dell’abbandono della vita laica in funzione di una testimonianza vocazionale
pienamente religiosa.
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“MIGRANTI:
TESSITORI DI UN’INTEGRAZIONE EQUA ALLE FRONTIERE TRA BOLIVIA, CILE E PERU’”.
QUESTO IL MESSAGGIO FINALE DEL II INCONTRO DI PASTORALE
DELLA
MOBILITA’ UMANA DI FRONTIERA, CONCLUSOSI NEI GIORNI SCORSI
NELLA
CITTA’ PERUVIANA DI TACNA
TACNA. =
“Migranti: tessitori di un’integrazione equa alle frontiere tra Bolivia, Cile e
Perù”. Così titola il messaggio finale del II Incontro di Pastorale della Mobilità
Umana di frontiera, tenutosi nei giorni scorsi nella città peruviana di Tacna.
Scopo dell’incontro è stato riflettere ed analizzare il fenomeno dei movimenti
migratori nei tre Paesi sudamericani, per definire un piano coordinato di
evangelizzazione che garantisca alle migliaia di emigranti consulenza,
accompagnamento ed assistenza spirituale. In questa prospettiva, all’evento
hanno partecipato i vescovi delle diocesi confinanti assieme ai delegati del Dipartimento
di pastorale della mobilità umana delle Conferenze episcopali. Nel messaggio i
prelati sottolineano come il processo di globalizzazione disuguale che
caratterizza il nuovo millennio, con squilibri economici e demografici,
intensifichi la mobilità delle persone, alla ricerca di nuove aspettative e
opportunità di vita. In più, “questo fenomeno assume una speciale drammaticità
per le condizioni di sfruttamento, xenofobia, solitudine e sradicamento in cui
si sviluppa”. I vescovi denunciano inoltre che “le politiche restrittive al libero
transito e alla residenza delle persone non sono una soluzione al fenomeno,
bensì favoriscono un maggiore incremento delle migrazioni irregolari, il
traffico e la tratta delle persone, lo sfruttamento lavorativo dei migranti”.
Il messaggio si conclude con l’esortazione agli Stati, alla società civile e
alla Chiesa stessa ad unire gli sforzi per definire politiche congiunte e programmi
d’intervento idonei alle nuove sfide che pone questo fenomeno. (R.M.)
APPROFONDIRE
LA CULTURA COME STRUMENTO DI MISSIONE NELL’ESEMPIO
DEL
CARDINALE STEFANO BORGIA, PREFETTO DI PROPAGANDA FIDE NEL 18.MO SECOLO. QUESTO,
L’INVITO DEL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, INSIGNITO STAMANI
DEL
“PREMIO EUROPEO STEFANO BORGIA”, DURANTE L’INAUGURAZIONE
DELL’ANNO
ACCADEMICO 2004-2005 DELLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA
- A cura di Beatrice Luccardi -
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ROMA. =
Il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per
l'Evan-gelizzazione dei Popoli, ha ricevuto questa mattina a Roma il Premio
Europeo Stefano Borgia. La cerimonia ha avuto luogo nell’Aula Magna della
Pontificia Università Urbaniana di Roma, nell’ambito delle cerimonie per
l’inaugurazione dell'Anno Accademico 2004-2005 dell'Ateneo e delle celebrazioni
del bicentenario della morte del cardinale Borgia. Come sottolineato nel corso
dell’evento, Stefano Borgia, prefetto di Propaganda Fide nel XVIII secolo, ha
fra i suoi meriti l’aver valorizzato e approfondito le varietà culturali mantenendo
costante la prospettiva missionaria. L’Atto accademico dell’Urbaniana è quindi
proseguito con contributi di grande rilievo. Tra questi, l’intervento di mons.
Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri-Segni; del Rettore dell’Urbaniana,
professor Giuseppe Cavallotto; del Rettore del Collegio Urbano, professor Fidel
Gonzales.
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PUBBLICATO A MOSCA UN LIBRO DI PREGHIERE RUSSO-ORTODOSSE IN LINGUA CINESE.
IL GOVERNO DI PECHINO, INTANTO, SI DIMOSTRA MENO DURO VERSO LA CHIESA ORTODOSSA IN CINA
MOSCA.
= I cristiani ortodossi cinesi potranno finalmente pregare nella loro lingua.
La cattedrale dell’Annunciazione a Mosca ha pubblicato 1000 copie di un libro
nella lingua di Pechino, contenente i principi fondamentali della dottrina
cristiana e le preghiere più note. È la seconda volta che un’opera simile viene
pubblicata. L’estate scorsa il libro era uscito come copia di consultazione per
un gruppo di studio del Patriarcato di Mosca sulla questione della Chiesa
ortodossa in Cina, dove circa 12 mila fedeli sperano in un rinvigorimento della
comunità religiosa. In questo senso, comunque, Pechino comincia a dimostrarsi
meno dura. Le autorità hanno concesso il permesso a 18 studenti cinesi di studiare
in seminari russi, a Mosca e a San Pietroburgo. Il governo ha anche stabilito
che due antiche chiese ortodosse a Shanghai, delle quali una trasformata in nightclub,
dovranno tornare ad un uso “più serio”. Una di esse diventerà un centro artistico
dedicato alla storia della presenza russa in Cina. Fonti locali a Mosca
dichiarano che la questione dei rapporti della Cina con la Chiesa ortodossa in
patria è stata discussa durante l’ultima visita del presidente russo Vladimir
Putin a Pechino. (R.M)
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11 novembre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Una nuova esplosione nel centro di Baghdad, la
deflagrazione di un altro ordigno a Kirkuk, un ennesimo attacco dei
guerriglieri a Mossul e la ripresa dei combattimenti a Falluja. Gli ultimi
sviluppi dell’intricato scenario iracheno, nel nostro servizio:
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Almeno 17 iracheni sono morti per la deflagrazione
di un’autobomba avvenuta in una zona commerciale del centro di Baghdad dove il
veicolo guidato da un attentatore suicida ha preso di mira un posto di blocco
della polizia. Un altro ordigno è esploso a Kirkuk, centro dell’industria petrolifera
irachena del nord, provocando il ferimento di 17 persone. L’obiettivo di questo attacco era
il governatore di Kirkuk, Abdelrahman Mustafa Mohammad, scampato all’attentato.
A Mossul guerriglieri hanno attaccato sei posti di polizia impadronendosi di
armi e incendiando diversi edifici. L’aviazione statunitense ha ripreso,
inoltre, i bombardamenti sulla città sunnita di Falluja, roccaforte della
resistenza antiamericana. Durante le operazioni militari condotte
congiuntamente da forze statunitensi e irachene contro covi di miliziani, sono
stati trovati tre ostaggi iracheni, incappucciati e affamati, nello scantinato
di una casa. E continua ad essere molto critica anche la situazione della
popolazione locale: la luce elettrica e l’acqua mancano da cinque giorni e comincia
anche a scarseggiare il cibo per le migliaia di persone rimaste intrappolate
nelle loro abitazioni. La Romania, infine, si sta preparando ad inviare altri
100 soldati per garantire in Iraq una più adeguata cornice di sicurezza durante
le elezioni, previste a gennaio.
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In Afghanistan, venti donne si sono dichiarate
pronte a prendere il posto dei tre impiegati delle Nazioni Unite rapiti lo
scorso 28 ottobre da un gruppo di talebani. “Il sequestro è una vergogna, non
abbiamo mai visto nulla di simile nella storia del nostro Paese”, ha detto una
delle donne, tutte giornaliste impegnate nella difesa dei diritti umani con Organizzazioni
non governative.
L’ex tecnico nucleare israeliano
Mordechai Vanunu, 50 anni, è stato arrestato dalla polizia a Gerusalemme. E’
sospettato di aver trasmesso notizie segrete e di aver violato le restrizioni
cui era stato sottoposto dopo la sua scarcerazione in aprile. Vanunu aveva scontato
18 anni di reclusione per aver svelato al ‘Sunday Times’ alcuni segreti
nucleari di Israele, appresi negli anni in cui aveva lavorato nella centrale di
Dimona, nel deserto del Negev.
Il Parlamento lituano ha ratificato il nuovo
Trattato costituzionale dell’Unione Europea, firmato dai leader dei 25 Stati
membri lo scorso 29 ottobre a Roma. I voti a favore sono stati 84, i contrari
quattro e tre le astensioni. La Lituania è il primo Paese ad aver approvato la
Carta UE.
In Olanda è tornata
la calma all’Aja, dove ieri si è concluso con un improvviso blitz delle unità
speciali antiterrorismo e con l’arresto
di sette persone, l’assedio che per oltre undici ore ha visto impegnati all’Aja
più di duecento agenti speciali. Un gruppo armato si era asserragliato in un
edificio, minacciando di farlo esplodere.
Prosegue
l’esodo dei francesi e di altri stranieri dalla Costa d’Avorio. Due aerei, dopo
i quattro di ieri, sono decollati dalla pista dell’aeroporto di Abidjan e sono
attesi per il tardo pomeriggio a Parigi. Lasciano il Paese anche i familiari
dei dipendenti della Croce rossa. Il ministro della Difesa, Michele
Alliot-Marie definisce intanto “fragile la calma che regna oggi nel Paese
africano”. Radio e televisione sotto il controllo del presidente Laurent Gbagbo
hanno cessato, inoltre, di lanciare appelli per la mobilitazione contro la presenza
dei militari francesi.
Il presidente
statunitense, George Bush, ha nominato il consigliere legale della Casa Bianca
Alberto Gonzales ministro della Giustizia. Prenderà il posto di John Ashcroft.
Se confermato dal Senato, Gonzales sarà il primo ministro della giustizia ispanico
nella storia degli Stati Uniti.
La Corea del Nord non vede le
condizioni per una sollecita ripresa dei negoziati sulla crisi innescata dalle
sue ambizioni nucleari. Lo ha reso noto il vice ministro degli esteri giapponese.
'La delegazione nordcoreana ha detto che mancano le condizioni per una ripresa
dei colloqui in tempi brevi, cioe' entro il 2004”, ha riferito il vice ministro
nipponico.
Il
ministero della Difesa giapponese ha reso noto che aerei e unità navali della
marina stanno ancora pedinando, ormai da più di 24 ore, il misterioso sottomarino
che aveva sconfinato ieri mattina in acque territoriali giapponesi. Potrebbe
trattarsi di un sommergibile nucleare cinese, ma Pechino ha fatto sapere di
“non essere al corrente” di alcuna manovra militare nella zona.
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