RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 316  - Testo della trasmissione di giovedì 11 novembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nella Basilica Vaticana, la Messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nell’ultimo anno. Il Papa ha presieduto la cerimonia

 

Cordoglio del Papa per la morte di Yasser Arafat, “leader di grande carisma che ha amato il suo popolo”, con la preghiera di pace. Ascoltiamo Joaquín Navarro Valls e mons. Michel Sabbah

 

Giovanni Paolo II riceve in Vaticano l’ex presidente polacco Lech Walesa

 

Il via alla Conferenza sulle cure palliative, promossa dal Pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria: ce ne parla il cardinale Javier Lozano Barragan

 

Accolte questo pomeriggio nella cappella privata del Papa le reliquie di Sant’Agostino arrivate a Roma per i 1650 anni dalla nascita del vescovo di Ippona: intervista con Chiara D’Urso.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Morto Arafat, domani al Cairo i funerali. Il rais sarà seppellito alla Muqata: l’analisi di Antonio Ferrari

 

Economia etica e terrorismo al centro del quinto Summit mondiale dei premi Nobel per la pace. Domani la cerimonia conclusiva all’Auditorium di Roma: ai nostri microfoni Rigoberta Menchù

 

Domani sarà passato un anno dalla strage di Nassirya: 19 gli italiani e 9 gli iracheni rimasti uccisi nei pressi della città irachena del sud: intervista con il tenente colonnello Ramunno

 

Le sale dei cinema parrocchiali, patrimonio culturale da difendere: se ne parla da ieri in un convegno, promosso dall’ACEC: con noi mons. Roberto Busti e Francesco Giraldo.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il cardinale Stéfanos II Ghattas, patriarca di Alessandria di Egitto, a Bologna per un incontro sulla Chiesa copta

 

L’omelia del cardinale Camillo Ruini durante la Messa d’apertura dei lavori della terza giornata dell’Assemblea dei Superiori Maggiori in corso ad Assisi

 

Pubblicato l’annuario statistico 2004 dell’ISTAT

 

Messaggio finale del II Incontro di pastorale della mobilità umana di frontiera, concluso nei giorni scorsi nella città peruviana di Tacna

 

Consegnato stamani al cardinale Crescenzio Sepe il “Premio europeo Stefano Borgia”, durante l’inaugurazione dell’Anno accademico 2004-2005 della Pontificia Università Urbaniana

 

Pubblicato a Mosca un libro di preghiere russo-ortodosse in lingua cinese.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, almeno 17 morti nel centro di Baghdad. Ripresi i bombardamenti americani su Falluja

 

L’esodo degli stranieri dalla Costa d’Avorio. Cessati gli appelli contro la presenza dei militari inviati da Parigi.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

11 novembre 2004

 

 

QUESTA MATTINA, NELLA BASILICA VATICANA, LA MESSA IN SUFFRAGIO

DEI CARDINALI E DEI VESCOVI DEFUNTI NELL’ULTIMO ANNO.

IL PAPA HA PRESIEDUTO LA CERIMONIA

 

 

Alla presenza di cardinali, vescovi e ambasciatori, Giovanni Paolo II ha presieduto questa mattina, nella Basilica di san Pietro, una messa in memoria dei cardinali e dei vescovi morti nel corso dell’anno. La cerimonia è stata celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, decano del collegio cardinalizio. Il servizio di Barbara Castelli:

 

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“Iddio è fedele e la nostra speranza in lui non è vana”. In occasione della santa messa in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nell’ultimo anno, Giovanni Paolo II è tornato a riflettere sul “grande dono dell’Eucaristia”.

 

Ogni volta che celebriamo questo sacramento - ha detto il Papa - “prendiamo parte alla Cena del Signore che anticipa il banchetto della gloria celeste”, che avrà luogo “sul monte santo di Gerusalemme e scaccerà per sempre la morte ed il lutto”. Il mistero della morte e della risurrezione di Cristo - ha proseguito - si rende costantemente attuale nell’Eucaristia, “banchetto mistico, nel quale il Messia dà se stesso in cibo ai convitati, per unirli a sé in un vincolo d’amore e di vita più forte della morte”.

 

Il Pontefice ha, quindi, voluto ricordare singolarmente, con particolare affetto, gli otto cardinali che nel corso degli ultimi 12 mesi sono “passati da questo mondo al Padre”: Paulos Tzadua, arcivescovo emerito di Addis Abeba (Etiopia); Opilio Rossi, presidente emerito della Commissione Cardinalizia per i Pontifici Santuari di Pompei, Loreto e Bari; Franz König, arcivescovo emerito di Wien (Austria), Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo emerito di Dakar (Senegal); Marcelo Gonzáles Martín, arcivescovo emerito di Toledo (Spagna); Juan Francisco Fresno Larraín, arcivescovo emerito di Santiago de Chile (Cile); James Aloysius Hickey, arcivescovo emerito di Washington (Stati Uniti d’America); Gustaaf Joos, della Diaconia di San Pier Damiani ai Monti di San Paolo. “Pensando ad essi – ha concluso il Papa e rievocandone il servizio generosamente reso alla Chiesa, sembra di sentirli ripetere con l’Apostolo: “La speranza non delude”.

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CORDOGLIO DEL PAPA PER LA MORTE DI YASSER ARAFAT,

UN “LEADER DI GRANDE CARISMA CHE HA AMATO IL SUO POPOLO”.

IL SANTO PADRE PREGA AFFINCHE’ PALESTINESI E ISRAELIANI

 POSSANO FINALMENTE TROVARE LA PACE

- Ai nostri microfoni Joaquín Navarro-Valls e mons. Michel Sabbah -

 

Cordoglio di Giovanni Paolo II per la morte di Yasser Arafat, spentosi nella notte a Parigi. Informato della notizia, il Papa si è raccolto in preghiera per il leader palestinese. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, indirizzato al presidente del Consiglio legislativo palestinese Rawhi Fattuh, il Pontefice esprime la sua vicinanza alla famiglia, alle autorità e al popolo palestinese. “Il Santo Padre – si legge nel telegramma – prega il Principe della Pace affinché la stella dell’armonia brilli presto sulla Terra Santa e i due popoli che vi abitano possano vivere riconciliati tra loro in due Stati indipendenti e sovrani”. Sulle reazioni della Santa Sede alla morte di Arafat, ascoltiamo ai nostri microfoni il direttore della Sala Stampa vaticana, dott. Joaquín Navarro-Valls:

 

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Saputo della morte del presidente Yasser Arafat, la Santa Sede si unisce al dolore del popolo palestinese per la sua scomparsa. Indubbiamente egli è stato un leader dal grande carisma, che ha amato il suo popolo ed ha cercato di guidarlo verso l’indipendenza nazionale. Certamente il Papa ha pregato per la sua anima e posso aggiungere che Dio accolga nella Sua misericordia l’anima dell’illustre defunto e conceda la pace alla Terra Santa, con due Stati indipendenti e sovrani, pienamente riconciliati tra loro.

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Una Patria per i palestinesi, sicurezza per gli israeliani. Questo il binomio chiave invocato dal Papa negli incontri con il leader palestinese. Giovanni Paolo II ed Arafat si sono incontrati in 12 diverse occasioni. Soprattutto in Vaticano, come la prima volta nel 1982. A Castel Gandolfo, come nel settembre del 1995 e nell’agosto del 2001, ma anche in Terra Santa, nel marzo del 2000, quando il leader palestinese ricevette il Pontefice a Betlemme. Ripercorriamo, dunque, i momenti salienti di questi incontri nel servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Una soluzione equa e duratura della crisi mediorientale deve escludere il ricorso ad ogni forma di violenza. E’ il 15 settembre del 1982 quando Giovanni Paolo II incontra per la prima volta Yasser Arafat. Nel suo discorso, il Papa chiede con forza il riconoscimento dei diritti di tutti i popoli. In particolare, quello del popolo palestinese ad una propria Patria e di Israele alla sua sicurezza. Un appello che verrà ripetuto in modo instancabile dal Pontefice nei molteplici incontri con il leader palestinese. Nel 1988, Papa Wojtyla ribadisce al leader dell’Olp di essere profondamente convinto che palestinesi ed israeliani abbiano un identico fondamentale diritto ad avere una propria patria, nella quale vivere in libertà, dignità e sicurezza. E il binomio della pace nella giustizia e del rispetto per i diritti dell’altro torna anche nelle parole rivolte dal Papa ad Arafat nell’udienza in Vaticano, dell’aprile 1990. Nell’ottobre del 1994 vengono avviate relazioni ufficiali tra la Santa Sede e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Quindi, nel settembre dell’anno successivo, il Papa auspica, alla presenza di Arafat, che palestinesi e israeliani possano presto godere dei frutti concreti della pace, grazie al loro sforzo di costruire una reciproca fiducia “con un fattivo sostegno internazionale da parte degli amici dei due Popoli”.

 

Nell’incontro in Vaticano, nel dicembre del 1996, Arafat invita il Papa a recarsi a Betlemme per il Giubileo del 2000. Un anno, quest’ultimo, particolarmente significativo per i rapporti tra Vaticano e autorità palestinesi. Il 15 febbraio del 2000 viene infatti firmato l’Accordo fondamentale tra la Santa Sede e l’Olp. Nel documento, viene ribadita la posizione vaticana per uno statuto speciale internazionale di Gerusalemme e la richiesta di tutela dei Luoghi Santi. Dal canto suo, l’Olp si impegna a riconoscere pienamente i diritti della Chiesa cattolica in territorio palestinese. Un mese dopo, è il momento della storica visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa. In questa occasione, il 22 marzo, incontrerà Arafat a Betlemme. Qui, ancora una volta, il Papa chiede pace per il popolo palestinese, il cui tormento, sottolinea, “è andato avanti troppo a lungo”. E manifesta con emozione la sua solidarietà alla popolazione, visitando il campo profughi di Dheisheh. “La mia visita – avverte – serva a ricordare alla comunità internazionale la necessità di una azione decisiva per migliorare la situazione” palestinese. L’ultimo incontro avviene il 30 ottobre 2001. In Medio Oriente imperversa la violenza, che miete vittime innocenti tra israeliani e palestinesi. Il mondo è ancora sotto shock per l’attacco terroristico dell’11 settembre. Ma il Papa, come nel primo incontro con Arafat, continua ad invocare la pace. E’ tempo di abbandonare le armi, è il richiamo di Giovanni Paolo II. E’ tempo di riprendere i negoziati, “per assicurare ai popoli della regione rispetto reciproco e sicurezza per tutti”.

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Al microfono di Roberto Piermarini il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michael Sabbah, ha sottolineato come gli incontri del Papa con Arafat “abbiano legittimato il ruolo fondamentale del leader palestinese nel processo di pace in Medio Oriente”:

 

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R. – Giovanni Paolo II ha aperto gli occhi del mondo: anche gli avversari, cioè l’autorità israeliana e il mondo negli accordi di Oslo, hanno riconosciuto un leader di un popolo e, dunque, hanno riconosciuto i diritti di un popolo. Ormai il mondo intero, anche Israele, l’America, riconoscono che ci sarà uno Stato palestinese.

 

D. - Mons. Sabbah, qual è stato il rapporto di Arafat con i cattolici di Terra Santa?

 

R. – La Palestina per lui non era solo la terra dei palestinesi o degli israeliani, era anche la terra del mondo intero, per la presenza dei luoghi santi cristiani. E perciò ha prestato un’attenzione speciale alla presenza cristiana, alle chiese, ai cristiani-palestinesi stessi. Ha avuto tanti gesti per permetterci di svolgere, a volte, le cerimonie religiose, specialmente a Natale, o nel prendere delle decisioni per collocare sindaci cristiani nelle città o nei villaggi dove c’era una certa presenza consistente cristiana, come a Betlemme, Beit Sala, Beit Sahour. Questa visione universale, che sorpassa anche il nazionalismo, può continuare - speriamo - con tutti i leader che prenderanno il suo posto, come con tutti i responsabili della Palestina e di Israele.

 

D. – Arafat era intervenuto anche nella questione della Moschea di Nazareth?

 

R. – Ha preso una sua posizione, molto chiara: “Anche se fosse terra musulmana ne facciamo regalo ai cristiani”.

 

D. – Eccellenza, un suo ricordo personale di Arafat?

 

R. – Il ricordo è la sua preghiera a Natale, benché non fosse cristiano. Apprezzava molto il Canto degli Angeli di Natale: “Gloria a Dio nell’Altissimo e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Quando lo chiamavamo al telefono, rispondeva subito. Ci era molto vicino. A volte è intervenuto in alcune discussioni sui cristiani e musulmani, specialmente nella regione di Betlemme. E’ intervenuto personalmente per mettere a posto le cose, ridare equilibrio ai rapporti tra cristiani e musulmani.

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GIOVANNI PAOLO II RICEVE IN VATICANO

L’EX PRESIDENTE POLACCO LECH WALESA

 

Il presidente emerito della Repubblica di Polonia, Lech Walesa, è stato ricevuto questa mattina dal Papa in Vaticano. L’ex leader di Solidarnosc, e premio Nobel per la pace nel 1983, ha tenuto ieri alla Pontificia Università Lateranense la lezione d’inaugurazione dell’anno accademico 2004-2005.

 

 

DA QUESTA MATTINA IN VATICANO LA CONFERENZA SULLE CURE PALLIATIVE,

PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

- Intervista con il cardinale Javier Lozano Barragán -

 

         Le cure palliative sono al centro della 19esima Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, che apre oggi i lavori che si concluderanno sabato. Giovanni Peduto ha chiesto, al presidente del dicastero, cardinale Javier Lozano Barragán, se la Chiesa incoraggia la ricerca medica sulle terapie contro il dolore:

 

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R. – Assolutamente sì. E questo perché il Cristo è venuto per vincere il dolore con il dolore, ma, dunque, per vincere il dolore. La Chiesa incoraggia, quindi, tutto quello che è possibile fare per vincere il dolore stesso.

 

D. – Come spiegare a chi soffre la contrarietà della Chiesa all’eutanasia?

 

R. – Spiegando loro che la vita è un dono di Dio e non appartiene a nessuno, se non a Lui. L’eutanasia è quindi prendere un qualcosa che non è proprio e toglierlo dalla mano di Dio. Così non si può assolutamente procedere.

 

D. – Che accompagnamento dare ai malati?

 

R. – L’accompagnamento deve essere il più amorevole, il più caro, il più cristiano e il più caritatevole possibile.

 

D. – In questa conferenza parlerete anche del ruolo della psicologia?

 

R. – Sì, certo. La psicologia è un qualcosa che ci aiuta ma, in questa conferenza,  il ruolo è centrato nello specifico cristiano. Altre cose certamente ci aiutano.

 

D. – In questa conferenza viene anche trattato il tema del rinnovamento dei sacramenti degli infermi?

 

R. – Questo è il tema fondamentale. Le cure palliative per la Chiesa vogliono significare i mezzi più forti per cercare di vincere il dolore. Questo palliativo del dolore è rappresentato dall’Eucaristia, inteso come viatico, e l’unzione dei malati.

 

D. – Sulle cure palliative è possibile instaurare un dialogo interconfessionale ed interreligioso?

 

R. – Sicuramente sì e proprio in questa Conferenza lo instauriamo con gli ebrei, i musulmani, gli induisti ed i buddisti. Quest’anno abbiamo poi una novità: instauriamo questo dialogo anche con miscredenti d’Europa e cioè con il post-modernismo e la post-modernità.

 

D. – Eminenza, quale cultura della vita c’è oggi nella nostra società?

 

R. – Direi che c’è piuttosto una minaccia molto forte alla cultura della vita. Tutti gli attacchi sono stati, infatti, diretti contro la fonte della vita. Un esempio sono le manipolazioni del genoma umano.

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ACCOLTE QUESTO POMERIGGIO NELLA CAPPELLA PRIVATA DEL PAPA

LE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO ARRIVATE A ROMA

PER I 1650 ANNI DALLA NASCITA DEL GRANDE DOTTORE DELLA CHIESA

- Intervista con Chiara D’Urso -

 

Saranno accolte questo pomeriggio nella cappella privata del Papa le reliquie di sant’Agostino arrivate a Roma, dove resteranno fino al 15 novembre, per i 1650 anni dalla nascita del grande dottore della Chiesa. Domani saranno riportate nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio per la celebrazione della giornata dedicata alla civiltà cristiana, ai politici e ai rappresentanti degli Stati, a presiedere la messa solenne delle 18.00 sarà il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Angelo Sodano. Ma ascoltiamo la cronaca di oggi, giornata dedicata ai giovani, nel servizio di Tiziana Campisi:

 

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Nella giornata dedicata ai giovani alla ricerca della verità, le reliquie del vescovo di Ippona, saranno trasportate questo pomeriggio all’Istituto Patristico Augustinianum, centro studi sull’antichità cristiana, sui Padri della Chiesa e su Sant’Agostino in particolare. L’Aula Magna sarà intitolata ad uno dei religiosi agostiniani fondatori dell’istituto, padre Agostino Trapè, iniziatore dell’opera omnia in italiano e latino, la cui pubblicazione è stata completata quest’anno dalla casa editrice Città Nuova. L’urna di Sant’Agostino sosterà per la celebrazione dei Vespri solenni che saranno presieduti dal presidente del Pontificio Consiglio della cultura, Paul Poupard. Alle 19.00 le reliquie del Santo saranno trasferite nella cappella privata del Papa, dove resteranno fino a domani mattina. Stasera alle 21.00 una fiaccolata di giovani partirà dalla Chiesa di Sant’Agnese in Agone di Piazza Navona e raggiungerà la Basilica di Sant’Agostino, dove si svolgerà una veglia di preghiera. Ma come vedono i giovani Sant’Agostino? Lo abbiamo chiesto a Chiara D’Urso, appassionata lettrice del vescovo d’Ippona:

 

R. – La cosa che più mi affascina della sua figura è l’attenzione all’interiorità, quanto questa sia importante nella sua vita. Infatti, penso che nel mondo di oggi, che ci bombarda di notizie, di informazioni, di novità, i giovani abbiano perso questa dimensione dell’interiorità, quindi l’abitudine a fermarsi, a guardarsi dentro, a riflettere. Devono recuperare questa dimensione o, per dirla con le parole di Agostino, “rientrare in se stessi”, che è una cosa che, secondo me, fanno molto poco.

 

D. – Come lo si può conoscere Agostino?

 

R. – Il modo più diretto per conoscerlo è attraverso le sue opere, soprattutto attraverso “Le Confessioni”, che è appunto l’opera più diretta. Una cosa che mi colpisce, per esempio, ancora di lui è il rapporto che ha avuto con la madre, i rapporti con i genitori, con gli amici. Quindi, tutta questa serie di esperienze che Agostino ha avuto sono per me esempi di vita concreta.   

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il Medio Oriente.

I palestinesi piangono la morte di Arafat.

La salma attesa al Cairo per i funerali ufficiali ai quali parteciperanno decine di capi di Stato e di governo.

La Lettera del Papa - a firma del cardinale Angelo Sodano - in cui si esprime il cordoglio per la morte di Arafat.

Sempre in prima, un articolo sulla figura di Arafat dal titolo "Il rais simbolo per decenni della lotta di un intero popolo".

 

Nelle vaticane, l'omelia del Papa nella Concelebrazione Eucaristica in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell'anno.

Un lungo e approfondito contributo del cardinale Walter Kasper in merito alla Conferenza - in svolgimento a Rocca di Papa - sul tema: "Il Decreto sull'Ecumenismo del Concilio Vaticano II quarant'anni dopo".

 

Nelle estere, in rilievo l'Iraq: a Falluja l'offensiva Usa prosegue senza sosta.

Per la rubrica dell'"Atlante geopolitico", un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Nassiriya: il ricordo di quel terribile 12 novembre".

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "1989: un grande passo di pace": quindici anni dalla caduta del muro di Berlino.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

11 novembre 2004

 

MORTO ARAFAT, DOMANI AL CAIRO I FUNERALI.

 IL RAIS SARÀ SEPPELLITO ALLA MUQATA

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

Si è conclusa questa notte l’agonia del presidente palestinese Yasser Arafat, morto all’età di 75 anni. Dopo l’omaggio a Parigi del presidente francese Chirac, la salma del rais sarà trasportata oggi al Cairo, dove domani si svolgeranno i funerali ufficiali. Arafat sarà poi trasferito in elicottero a Ramallah e verrà seppellito alla Muqata, il palazzo presidenziale dove ha vissuto ininterrottamente negli ultimi tre anni. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Non sono stati ancora definiti i particolari delle esequie. Domani, comunque, alle 10.00 dovrebbe svolgersi una cerimonia ufficiale di addio al Cairo; confermata invece la sepoltura alla Muqata di Ramallah. La città della Cisgiordania è in lutto, con preghiere nelle moschee, spari di fucili e pneumatici in fiamme per le strade. Questa mattina il Consiglio legislativo ha nominato il suo presidente, Rawhi Fattuh, presidente ad interim dell’Autorità Palestinese. Egli ha prestato solenne giuramento. Proclamato un lutto nazionale di 40 giorni, dovrà indire entro 60 giorni le elezioni generali per la successione di Arafat. Già un’ipoteca è stata posta oggi dal Comitato centrale dell’OLP, con l’unanime elezione a suo presidente di Abu Mazen, che da primo ministro aveva accettato la road-map per la pace, d’intesa con il premier israeliano. E proprio Sharon, parlando con i giornalisti dopo un incontro con l’italiano Giancarlo Fini in visita in Israele, ha subito ravvisato buone prospettive. “La scomparsa di Arafat – ha detto – può segnare una svolta storica. Come Paese che aspira alla pace, Israele proseguirà gli sforzi per cercare presto un accordo con i palestinesi, la cui leadership – ha aggiunto – spero comprenda che una soluzione dipende dall’arresto del terrorismo e della lotta armata contro di esso”. Ma questo è il tasto dolente: il movimento fondamentalista Hamas, con il suo leader Mashallah, accusa Israele di avere ucciso Arafat per avvelenamento. Afferma che la morte del raìs rafforza “il nostro impegno e la nostra fermezza a continuare la Jihad, cioè la guerra santa, contro il nemico sionista, fino alla vittoria finale e alla liberazione di tutta la terra araba.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Ma che cosa ha rappresentato Arafat in mezzo secolo di crisi mediorientali? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera, che ha incontrato molte volte il leader palestinese:

 

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R. – Io l’ho intervistato, credo, 25 volte. E’ stato un grande capo guerrigliero, che ad un certo punto ha avuto il coraggio di cercare di riconvertirsi a leader politico. Ha avuto il coraggio di riconoscere lo Stato di Israele e in fondo di presentarsi come l’alfiere di un futuro governo palestinese. Ma dall’Arafat guerrigliero all’Arafat politico, ce ne passa. Purtroppo negli ultimi anni c’era un rapporto difficile con tutti i fratelli arabi e, in effetti, non gli hanno mai riconosciuto una grande affidabilità. Credo che chi a Camp David non abbia accettato di firmare, non ha capito che questo è stato il suo grande limite politico. La seconda Intifada era cominciata da pochi mesi, dopo l’attacco alle Torri Gemelle ed il mondo era cambiato. Quello sarebbe stato, forse, il momento per fare veramente un salto di qualità e denunciare in maniera aperta questi attentati terroristi che in effetti hanno cambiato il mondo.

 

D. – Il rapporto personale di Arafat con la pace. Più volte è stato accusato dagli israeliani di non volerla…

 

R. – Riguardo al discorso della pace, la scomparsa di Rabin credo che abbia creato una specie di shock. Alla fine, pur dicendo di voler credere alla pace, aveva recuperato in qualche misura i valori della guerra. Questo era il personaggio e, nel bene e nel male, Arafat è il simbolo della causa palestinese e sicuramente lo resterà anche da morto.

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Con la scomparsa di Arafat, ad assumere formalmente la leadership dell’Autorità nazionale palestinese è il presidente del Parlamento, Rawhi Fattuh, per un periodo transitorio di 60 giorni. Al termine, dovrebbero svolgersi le elezioni presidenziali per la definizione del successore di Arafat. Sui candidati più accreditati a succedere al rais, ascoltiamo il servizio di Stefano Leszczynski:

 

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Quattro le personalità politiche palestinesi che potrebbero aspirare ad una successione nella guida dell’ANP del post Yasser Arafat. Il più accreditato, secondo gli analisti internazionali, sarebbe l’ex premier Mahmud Abbas, 70 anni, meglio noto come Abu Mazen, attuale segretario generale del Comitato esecutivo dell'Olp. Moderato, oppositore dell'Intifada, Abbas è un esponente politico palestinese apparentemente gradito a Israele e Stati Uniti. Non gode tuttavia di popolarità nei Territori e potrebbe non ricevere l’appoggio di Al-Fatah, principale movimento politico palestinese, quando si terranno le elezioni per scegliere il nuovo presidente. Il secondo candidato potrebbe essere l’attuale primo ministro Ahmed Qurea, 67 anni, noto anche come Abu Ala. Il suo status all'interno di Al Fatah però è debole, poiché in passato si è occupato più delle finanze che dei processi politici nell'Olp. Viene ricordato anche come uno degli 'architetti' degli accordi di Oslo. In corsa potrebbe risultare anche l'ex ministro della sicurezza Mohammed Dahlan, 43 anni, divenuto nell'ultimo anno “l'uomo-forte” di Gaza. Resta l’incognita del segretario generale di Al Fatah, Marwan Barghuti, considerato l'esponente palestinese più popolare. Barghuti si trova però in carcere in Israele, dove sconta una condanna a vari ergastoli legata all'Intifada armata. E Israele fa sapere di escluderlo come leader.

 

Stefano Leszczynski, per la Radio Vaticana.

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ECONOMIA ETICA E TERRORISMO AL CENTRO OGGI DEL

QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE.

DOMANI LA CERIMONIA CONCLUSIVA ALL’AUDITORIUM DI ROMA

- Intervista con Rigoberta Menchù -

 

Prosegue a Roma il quinto summit mondiale dei Premi Nobel per la Pace, sul tema “Un mondo unito o un mondo diviso? Multietnicità, diritti umani, terrorismo”. Oggi, la riflessione è dedicata in particolare al ruolo dell’economia etica per superare disparità e divisioni in un mondo globalizzato, al terrorismo e alle altre minacce alla sicurezza dell’umanità. Nella sessione di ieri pomeriggio si è parlato di diritto alla terra dei popoli nativi. “Dobbiamo creare nuove relazioni tra i popoli indigeni e gli Stati – ha sottolineato  la guatemalteca Rigoberta Menchù – tutti devono avere accesso ad una vita dignitosa”. E la premio Nobel per la Pace 1992 ha aggiunto che “semplicemente l’esistenza di questi popoli mette in discussione il modello capitalista dello sfruttamento, che esiste nel nostro sistema e non dà valore all’essere umano”. Ma ascoltiamola al microfono di Barbara Castelli che ha seguito i lavori per noi:  

 

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LA TIERRA PARA NOSOTROS NO SOLO ES UNA FUENTE…

“La terra, per noi, non è soltanto una fonte di “oro nero”, come avviene per l’Iraq. Il petrolio scatena sempre grandi ambizioni in alcuni capi di Stato, non soltanto degli Stati Uniti, ma anche di altri Paesi. La terra è la nostra madre, la nostra fonte di energia, la nostra fonte di vita, fonte di spiritualità, memoria storica. La terra rappresenta il sito sacro dei nostri sogni per il futuro. Oggi, il nostro messaggio continua ad essere la rivendicazione dell’equilibrio e l’equilibrio è rappresentato da tutto quello che è stato detto qui. E’ necessario eliminare il divario tra la povertà e la ricchezza, l’opulenza, la cupidigia, la superbia, l’accaparramento e l’irresponsabilità individuale e cercare di avere un senso comune di vita nel Pianeta. Non è possibile capire i diritti dei popoli indigeni se non nel segno di una coesistenza nel pianeta, dove necessariamente la legge stessa dell’esistenza deve essere il rispetto. Se avessimo saputo rispettare maggiormente gli altri, sicuramente gli indigeni oggi avrebbero una scienza prospera, capace di dare luce ad una vera globalizzazione, più che ad una globalizzazione della sofferenza, della povertà, dei bambini di strada. Siamo un simbolo di resistenza, siamo un esempio di una libera determinazione. Io vedo una gioventù caratterizzata da una forte identità. Il messaggio che io desidero far partire da qui è quindi questo: è giunto il momento che i popoli indigeni siano visti come attori e non soltanto come vittime. 

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L’ITALIA COMMEMORA LE VITTIME DELLA STRAGE DI NASSIRIYA,

AD UN ANNO DALL’ATTENTATO CHE IL 12 NOVEMBRE DEL 2003

UCCISE 19 ITALIANI E 9 IRACHENI

- Intervista con il tenente colonnello Giovanni Ramunno -

 

Un anno dopo, l’Italia ricorda con emozione le vittime del terribile attentato in Iraq contro la base dei Carabinieri a Nassiriya, che provocò la morte di 12 membri dell’Arma, cinque militari dell’Esercito e due civili italiani, oltre a nove civili iracheni. Composto il dolore dei famigliari delle vittime, mentre il presidente della Repubblica, Ciampi, ha ribadito come quel tragico 12 novembre del 2003 ricordi agli italiani chi sono e le ragioni per cui stanno insieme dalla stessa parte. Domani alle ore 10.00 - alla presenza delle più alte autorità dello Stato, si terrà la Messa di suffragio nella Basilica romana di S. Maria degli Angeli, presieduta dall’Ordinario Militare d’Italia, l’arcivescovo Angelo Bagnasco. Se, dunque, l’Italia commemora i suoi caduti, a Nassiriya il lavoro dei militari continua. E proprio questo impegno è il modo migliore per onorare le vittime della strage di un anno fa. Lo sottolinea il tenente colonnello Giovanni Ramunno, portavoce del contingente italiano in Iraq, raggiunto telefonicamente a Nassiriya da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Ovviamente non dimentichiamo la ferita aperta ed ancora una volta esprimiamo un sentimento di solidarietà alle famiglie dei caduti. Riteniamo, però, che il modo migliore per onorarne la memoria sia quello di continuare la loro opera nella missione di pace.

 

D. – Il presidente della Repubblica Italiana, Ciampi, ha affermato che “la memoria delle vittime ha rafforzato l’unità del Paese”. Come avete accolto queste parole a Nassiriya?

 

R. – Noi lo sentiamo. Sentiamo il Paese molto vicino a noi, sentiamo che ci sostiene e noi ovviamente pensiamo di meritare la fiducia che ci viene accordata dal Paese.

 

D. – Oltre al controllo del territorio, oltre alla questione della sicurezza, quali sono le attività che caratterizzano il lavoro dei militari italiani in Iraq?

 

R. – La distribuzione degli aiuti umanitari ritengo sia un’attività prioritaria. C’è poi tutta la parte relativa alla ricostruzione delle infrastrutture: noi abbiamo attualmente una dozzina di lavori per terminare scuole sia a Nassirya che a Suqash Shuyukh e al Ar Rifa’i. Abbiamo già ristrutturato delle stazioni di pompaggio sempre a Rifa’i e nel nord ad Al Gharraf. Abbiamo inoltre consegnato materiale ai Vigili del Fuoco sia a Nassirya che a Suqash Shuyukh. Penso che l’attività sia gratificante per il contingente, perché vediamo i risultati e ritengo che dopo un anno il bilancio sia positivo.

 

D. – Se a Nassiriya la situazione è relativamente tranquilla, a nord, nell’area sunnita, la guerra sembra, purtroppo, non essere mai finita. Qual è l’atteggiamento della popolazione verso la presenza straniera? C’è stato un cambiamento in questo ultimo periodo, secondo lei?

 

R. – Un cambiamento comunque positivo. Noi sentiamo sia la popolazione locale che le autorità civili e religiose molto vicine a noi. Ce lo riconfermano ogni giorno sia in dichiarazioni ufficiali sia quando, controllando le strade, vediamo i bambini e le donne che si avvicinano senza problemi alle nostre pattuglie, che peraltro rappresentano una sicurezza per loro.

 

D. – C’è un momento dell’esperienza in Iraq che ricorda con particolare emozione?

 

R. – Sì. Un paio di settimane fa siamo andati a Al Gharraf per ripristinare una stazione di pompaggio: gli occhi dei bambini e la riconoscenza che esprimevano le autorità locali, gli sceicchi ed anche le persone comuni mi hanno colpito particolarmente. Mi ha emozionato, direi. Il “metodo Nassiriya”, che utilizziamo qui nella ricostruzione e nella distribuzione degli aiuti, funziona.

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LE SALE DEI CINEMA PARROCCHIALI, PATRIMONIO CULTURALE DA DIFENDERE:

SE NE PARLA DA IERI AL CONVEGNO PROMOSSO A GENOVA DALL’ASSOCIAZIONE CATTOLICA ESERCENTI CINEMA, CON L’UFFICIO COMUNICAZIONI SOCIALI DELLA CEI

- Intervista con mons. Roberto Busti e Francesco Giraldo -

 

“Il Pubblico delle Sale della Comunità”: per parlarne si è aperto ieri a Genova il convegno promosso dall’ACEC, l’Associazione Cattolica Esercenti Cinema, insieme con l’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI. Al centro del dibattito: profili, consumi culturali, immagini e vissuti della Sala. Il servizio di Luca Pellegrini:

 

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L’evangelizzazione passa anche attraverso la sala di un cinema. Per questo da 55 anni l’ACEC è impegnata in prima linea nella difesa di questo straordinario patrimonio culturale legato all’attività pastorale delle parrocchie italiane. Nell’ambito dei lavori sono stati diffusi i risultati di un’indagine dell’Università Cattolica di Milano che traccia il profilo del pubblico delle oltre 1.000 Sale della Comunità oggi in funzione. Chiediamo a mons. Roberto Busti, presidente dell’ACEC, di indicare i motivi per i quali nacque l’Associazione nel 1949:

 

“Si sono ritrovati gli esercenti delle sale cinematografiche parrocchiali, soprattutto cinematografiche ma non dimentichiamo che c’era anche l’ambito del teatro amatoriale, per fare delle scelte di fronte alla realtà cinematografica, in modo tale da prendere delle pellicole che fossero adatte al loro pubblico. Naturalmente, tutta questa realtà si è inserita dentro il tessuto della Chiesa fino a giungere al punto che essa viene riconosciuta nel nuovo Direttorio sulle Comunicazioni sociali: una realtà che fa parte dei nuovi media che devono essere presenti dentro alla parrocchia. Rientra in questa logica la scelta delle comunità cristiane di dotarsi di una ‘sala della comunità’ o di ritornarne in possesso. Questa sala diventa un po’ l’ambito di accoglienza, di dialogo per tutta la realtà parrocchiale, quasi una prefazione, un’introduzione alla realtà del tempo. Non è tanto il momento in cui viene proclamata la Parola, ma in cui questa Parola si fa vita dentro una realtà sociale e culturale alla quale tutti sono invitati”.

 

Francesco Giraldo, segretario generale, ci fornisce una sintesi dell’inchiesta:

 

“Riguarda il pubblico della sala e, con nostra grande sorpresa, abbiamo rilevato che è formato prevalentemente da spettatori di età compresa tra i 35 e i 44 anni. E’ un pubblico che al 72% possiede un diploma di scuola media superiore e al 27% possiede una laurea. Questo dimostra che tutta la politica associativa seguita in questi anni, che è quella della ‘fidelizzazione’, sta dando i suoi frutti. In questo momento, noi stiamo andando in controtendenza, rispetto ad una chiusura generalizzata di un esercizio chiamato ‘monoschermo’, così: abbiamo ogni anno comunque una riapertura di 15-20 sale. Teniamo presente che negli anni Sessanta erano presenti nel nostro territorio 6.500 sale. Queste sale sono ancora lì, magari sono state chiuse, ma difficilmente hanno avuto una variazione nell’uso della sala. Un nuovo decreto legge del 22 gennaio 2004 comprende una grande novità, che è quella di un contributo che viene concesso alle sale disattivate per poterle riaprire. E questo, insieme con altre sinergie che la Chiesa dovrà chiaramente mettere in campo nei prossimi mesi, nei prossimi anni, potrà diventare la soglia d’ingresso per tutto quel mondo che i cosiddetti ‘non credenti’ o, come tante volte vengono chiamati, ‘gli ultimi’. Difficilmente possono accedere alla vita sacramentale, ma possono avere un primo incontro con la comunità ecclesiale attraverso la ‘sala della comunità’.

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CHIESA E SOCIETA’

11 novembre 2004

 

“C’È STATA MOLTA OSCURITÀ INTORNO ALLA MORTE DI ARAFAT. MA COSÌ HA VOLUTO LA POLITICA”. COSI’ IL PATRIARCA DI ALESSANDRIA D’EGITTO,

OGGI A BOLOGNA PER UN INCONTRO SULLA CHIESA COPTA

- A cura di Stefano Andrini -

 

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BOLOGNA. =. “C’è stata molta oscurità intorno alla morte di Arafat. Ma così ha voluto la politica”. Lo ha detto, incontrando i giornalisti, Sua Beatitudine il cardinale Stéfanos II Ghattas, patriarca di Alessandria d’Egitto che nel capoluogo emiliano terrà un incontro sulla Chiesa copta promosso dal “Centro della Voce” in collaborazione con la diocesi di Bologna. “Di Arafat – ha detto il patriarca – si sapeva che era morto clinicamente da una settimana ma si taceva. È stato addirittura ricoverato in una clinica militare dove della sua salute non si poteva parlare. Questo è dovuto alla politica. In realtà Arafat era il capo di un popolo che soffre e voleva con tutto il suo cuore dare ai palestinesi la gioia di poter essere riconosciuti, di essere liberi, di aver la loro capitale. È stato un capo che soffriva per non essere riuscito a liberare il suo popolo dal giogo israeliano”. Il cardinale Ghattas ha poi risposto a qualche domanda sulla situazione irachena. “Con la guerra – ha ricordato – non si risolve nulla. Quante volte il Santo Padre ha detto no alla guerra invitando alla pace e al dialogo. Invece in Iraq non è stato così. Tutti quanti si sono messi l’un contro l’altro. Ma in questo modo ci sono molte difficoltà a raggiungere la libertà e la pace”. Nel corso dell’incontro con la stampa il cardinale, che sabato presiederà sempre a Bologna una celebrazione eucaristica in rito copto alessandrino nella chiesa di San Bartolomeo si è soffermato anche sulla situazione della convivenza tra cattolici e musulmani in Egitto. “Noi – ha detto il patriarca – abbiamo la libertà di praticare la religione: alcune difficoltà sussistono per costruire, edificare, riparare le chiese che al Cairo sono quasi 300. Possiamo dunque fare tutte le nostre pratiche, esercizi spirituali compresi. Non ci è invece consentito il proselitismo”.

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IN ITALIA SI VIVE DI PIU’, MA SI E’ MENO SODDISFATTI DELLE CONDIZIONI DI VITA.

E’ QUANTO EMERGE DALL’ANNUARIO STATISTISTICO 2004 DELL’ISTAT

- A cura di Debora Donnini -


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ROMA. = In Italia si vive di più, ma ci si percepisce più poveri e si è meno soddisfatti delle condizioni di vita. A scattare una fotografia del Belpaese, relativa all’anno 2003, è l’Annuario Statistico, l’indagine annuale dell’ISTAT. Cresce l’aspettativa di vita per gli italiani con quasi 83 anni per le donne e 77 per gli uomini, inferiore soltanto a due Paesi europei: Spagna e Svezia. Aumenta anche la popolazione, che supera i 57 milioni, con circa 500 mila unità in più dell’anno precedente, e non per effetto delle nascite ma dell’immigrazione. I permessi di soggiorno agli stranieri sono aumentati del 4 per cento in più rispetto all’anno prima. Secondo l’Annuario Statistico dell’ISTAT, le famiglie italiane si sentono però più povere. Il 47,5 per cento nel 2003 ritiene peggiorata rispetto all’anno precedente la propria situazione economica, contro il 40,4 per cento del 2002 e addirittura il 20,3 per cento nel 2001. Più in generale, chi si ritiene poco o per nulla soddisfatto delle proprie condizioni di vita è il 44 per cento delle persone, un dato anche questo in aumento rispetto agli anni precedenti e soprattutto nel centro nord. L’aumento delle spese della famiglia è uno dei versanti principali di questo malessere economico. Viene calcolato che la spesa media mensile per un nucleo familiare sia intorno ai 2.313 euro. Complessivamente buono, invece, il giudizio sulla propria salute: così la valutano tre italiani su quattro. Tra le malattie croniche più diffuse: artrosi, artrite, ipertensione e malattie allergiche. Si rivela poi un progresso occupazionale con 225 mila unità in più, soprattutto fra le donne. In diminuzione invece i matrimoni: sono stati meno di 260 mila.

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METTERE INSIEME I CARISMI DEGLI ANTICHI ORDINI RELIGIOSI E DEI NUOVI MOVIMENTI PER RILANCIARE LA MISSIONE E CONTRASTARE LA SCRISTIANIZZAZIONE.

QUESTO, L’INVITO DEL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI, NELLA TERZA GIORNATA DELL’ASSEMBLEA DEI SUPERIORI MAGGIORI, AD ASSISI

 - A cura di Egidio Picucci -

 

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ASSISI. = I lavori della terza giornata dell’Assemblea dei Superiori Maggiori, che si tiene in questi giorni ad Assisi, si sono aperti con la concelebrazione presieduta dal cardinale Camillo Ruini nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Nell’omelia il porporato ha raccomandato ai religiosi di non essere immemori del dono ricevuto. Ha ribadito che la Chiesa fa molto affidamento sulla loro testimonianza e ha ricordato che mettere insieme i loro carismi con quelli dei nuovi movimenti (argomento su cui si confronta l’Assemblea) è un’urgenza storica per rilanciare la missione, contrastando gli impeti della scristianizzazione. “La comunione - ha detto il cardinale - è ordinata alla missione e la missione facilita la comunione”. Principio confermato da padre Raniero Cantalamessa, il quale, parlando della propria esperienza, ha detto di essere passato da un atteggiamento critico, alla conversione verso un determinato movimento, trovandovi un aiuto prezioso per scoprire la missione di predicatore itinerante che svolge attualmente, senza aver mai pensato, per questo, a rinunciare alla sua identità di frate minore cappuccino. Giuridico, il tema proposto da mons. Gerosa: parlando dell’autorità, ha suggerito di cambiare il termine “collegialità” con quello più corretto di “solidarietà”, perché consente di capir meglio la comune responsabilità di chi compone il popolo di Dio a collaborare nei vari ambiti dell’apostolato. In questo campo hanno ancora spazio rilevante – ha detto un docente universitario – gli Ordini e gli Istituti di antica fondazione, che si configurano con una fisionomia istituzionale maggiormente definita rispetto ai nuovi movimenti, i quali devono guardarli come una realtà originaria, come punto di riferimento e come testimonianza di un’altra scelta possibile: quella dell’abbandono della vita laica in funzione di una testimonianza vocazionale pienamente religiosa.

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“MIGRANTI: TESSITORI DI UN’INTEGRAZIONE EQUA ALLE FRONTIERE TRA BOLIVIA, CILE E PERU’”. QUESTO IL MESSAGGIO FINALE DEL II INCONTRO DI PASTORALE

DELLA MOBILITA’ UMANA DI FRONTIERA, CONCLUSOSI NEI GIORNI SCORSI

NELLA CITTA’ PERUVIANA DI TACNA

 

TACNA. = “Migranti: tessitori di un’integrazione equa alle frontiere tra Bolivia, Cile e Perù”. Così titola il messaggio finale del II Incontro di Pastorale della Mobilità Umana di frontiera, tenutosi nei giorni scorsi nella città peruviana di Tacna. Scopo dell’incontro è stato riflettere ed analizzare il fenomeno dei movimenti migratori nei tre Paesi sudamericani, per definire un piano coordinato di evangelizzazione che garantisca alle migliaia di emigranti consulenza, accompagnamento ed assistenza spirituale. In questa prospettiva, all’evento hanno partecipato i vescovi delle diocesi confinanti assieme ai delegati del Dipartimento di pastorale della mobilità umana delle Conferenze episcopali. Nel messaggio i prelati sottolineano come il processo di globalizzazione disuguale che caratterizza il nuovo millennio, con squilibri economici e demografici, intensifichi la mobilità delle persone, alla ricerca di nuove aspettative e opportunità di vita. In più, “questo fenomeno assume una speciale drammaticità per le condizioni di sfruttamento, xenofobia, solitudine e sradicamento in cui si sviluppa”. I vescovi denunciano inoltre che “le politiche restrittive al libero transito e alla residenza delle persone non sono una soluzione al fenomeno, bensì favoriscono un maggiore incremento delle migrazioni irregolari, il traffico e la tratta delle persone, lo sfruttamento lavorativo dei migranti”. Il messaggio si conclude con l’esortazione agli Stati, alla società civile e alla Chiesa stessa ad unire gli sforzi per definire politiche congiunte e programmi d’intervento idonei alle nuove sfide che pone questo fenomeno. (R.M.)

 

 

APPROFONDIRE LA CULTURA COME STRUMENTO DI MISSIONE NELL’ESEMPIO

DEL CARDINALE STEFANO BORGIA, PREFETTO DI PROPAGANDA FIDE NEL 18.MO SECOLO. QUESTO, L’INVITO DEL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, INSIGNITO STAMANI

DEL “PREMIO EUROPEO STEFANO BORGIA”, DURANTE L’INAUGURAZIONE

DELL’ANNO ACCADEMICO 2004-2005 DELLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA

- A cura di Beatrice Luccardi -

 

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ROMA. = Il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l'Evan-gelizzazione dei Popoli, ha ricevuto questa mattina a Roma il Premio Europeo Stefano Borgia. La cerimonia ha avuto luogo nell’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana di Roma, nell’ambito delle cerimonie per l’inaugurazione dell'Anno Accademico 2004-2005 dell'Ateneo e delle celebrazioni del bicentenario della morte del cardinale Borgia. Come sottolineato nel corso dell’evento, Stefano Borgia, prefetto di Propaganda Fide nel XVIII secolo, ha fra i suoi meriti l’aver valorizzato e approfondito le varietà culturali mantenendo costante la prospettiva missionaria. L’Atto accademico dell’Urbaniana è quindi proseguito con contributi di grande rilievo. Tra questi, l’intervento di mons. Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri-Segni; del Rettore dell’Urbaniana, professor Giuseppe Cavallotto; del Rettore del Collegio Urbano, professor Fidel Gonzales.

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PUBBLICATO A MOSCA UN LIBRO DI PREGHIERE RUSSO-ORTODOSSE IN LINGUA CINESE. IL GOVERNO DI PECHINO, INTANTO, SI DIMOSTRA MENO DURO VERSO                                             LA CHIESA ORTODOSSA IN CINA

 

MOSCA. = I cristiani ortodossi cinesi potranno finalmente pregare nella loro lingua. La cattedrale dell’Annunciazione a Mosca ha pubblicato 1000 copie di un libro nella lingua di Pechino, contenente i principi fondamentali della dottrina cristiana e le preghiere più note. È la seconda volta che un’opera simile viene pubblicata. L’estate scorsa il libro era uscito come copia di consultazione per un gruppo di studio del Patriarcato di Mosca sulla questione della Chiesa ortodossa in Cina, dove circa 12 mila fedeli sperano in un rinvigorimento della comunità religiosa. In questo senso, comunque, Pechino comincia a dimostrarsi meno dura. Le autorità hanno concesso il permesso a 18 studenti cinesi di studiare in seminari russi, a Mosca e a San Pietroburgo. Il governo ha anche stabilito che due antiche chiese ortodosse a Shanghai, delle quali una trasformata in nightclub, dovranno tornare ad un uso “più serio”. Una di esse diventerà un centro artistico dedicato alla storia della presenza russa in Cina. Fonti locali a Mosca dichiarano che la questione dei rapporti della Cina con la Chiesa ortodossa in patria è stata discussa durante l’ultima visita del presidente russo Vladimir Putin a Pechino. (R.M)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

11 novembre 2004

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

Una nuova esplosione nel centro di Baghdad, la deflagrazione di un altro ordigno a Kirkuk, un ennesimo attacco dei guerriglieri a Mossul e la ripresa dei combattimenti a Falluja. Gli ultimi sviluppi dell’intricato scenario iracheno, nel nostro servizio:

 

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Almeno 17 iracheni sono morti per la deflagrazione di un’autobomba avvenuta in una zona commerciale del centro di Baghdad dove il veicolo guidato da un attentatore suicida ha preso di mira un posto di blocco della polizia. Un altro ordigno è esploso a Kirkuk, centro dell’industria petrolifera irachena del nord, provocando il ferimento di 17 persone. L’obiettivo di questo attacco era il governatore di Kirkuk, Abdelrahman Mustafa Mohammad, scampato all’attentato. A Mossul guerriglieri hanno attaccato sei posti di polizia impadronendosi di armi e incendiando diversi edifici. L’aviazione statunitense ha ripreso, inoltre, i bombardamenti sulla città sunnita di Falluja, roccaforte della resistenza antiamericana. Durante le operazioni militari condotte congiuntamente da forze statunitensi e irachene contro covi di miliziani, sono stati trovati tre ostaggi iracheni, incappucciati e affamati, nello scantinato di una casa. E continua ad essere molto critica anche la situazione della popolazione locale: la luce elettrica e l’acqua mancano da cinque giorni e comincia anche a scarseggiare il cibo per le migliaia di persone rimaste intrappolate nelle loro abitazioni. La Romania, infine, si sta preparando ad inviare altri 100 soldati per garantire in Iraq una più adeguata cornice di sicurezza durante le elezioni, previste a gennaio.

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In Afghanistan, venti donne si sono dichiarate pronte a prendere il posto dei tre impiegati delle Nazioni Unite rapiti lo scorso 28 ottobre da un gruppo di talebani. “Il sequestro è una vergogna, non abbiamo mai visto nulla di simile nella storia del nostro Paese”, ha detto una delle donne, tutte giornaliste impegnate nella difesa dei diritti umani con Organizzazioni non governative.

 

L’ex tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu, 50 anni, è stato arrestato dalla polizia a Gerusalemme. E’ sospettato di aver trasmesso notizie segrete e di aver violato le restrizioni cui era stato sottoposto dopo la sua scarcerazione in aprile. Vanunu aveva scontato 18 anni di reclusione per aver svelato al ‘Sunday Times’ alcuni segreti nucleari di Israele, appresi negli anni in cui aveva lavorato nella centrale di Dimona, nel deserto del Negev.

 

Il Parlamento lituano ha ratificato il nuovo Trattato costituzionale dell’Unione Europea, firmato dai leader dei 25 Stati membri lo scorso 29 ottobre a Roma. I voti a favore sono stati 84, i contrari quattro e tre le astensioni. La Lituania è il primo Paese ad aver approvato la Carta UE.

 

In Olanda è tornata la calma all’Aja, dove ieri si è concluso con un improvviso blitz delle unità speciali antiterrorismo e con  l’arresto di sette persone, l’assedio che per oltre undici ore ha visto impegnati all’Aja più di duecento agenti speciali. Un gruppo armato si era asserragliato in un edificio, minacciando di farlo esplodere.

 

Prosegue l’esodo dei francesi e di altri stranieri dalla Costa d’Avorio. Due aerei, dopo i quattro di ieri, sono decollati dalla pista dell’aeroporto di Abidjan e sono attesi per il tardo pomeriggio a Parigi. Lasciano il Paese anche i familiari dei dipendenti della Croce rossa. Il ministro della Difesa, Michele Alliot-Marie definisce intanto “fragile la calma che regna oggi nel Paese africano”. Radio e televisione sotto il controllo del presidente Laurent Gbagbo hanno cessato, inoltre, di lanciare appelli per la mobilitazione contro la presenza dei militari francesi.

 

Il presidente statunitense, George Bush, ha nominato il consigliere legale della Casa Bianca Alberto Gonzales ministro della Giustizia. Prenderà il posto di John Ashcroft. Se confermato dal Senato, Gonzales sarà il primo ministro della giustizia ispanico nella storia degli Stati Uniti. 

 

La Corea del Nord non vede le condizioni per una sollecita ripresa dei negoziati sulla crisi innescata dalle sue ambizioni nucleari. Lo ha reso noto il vice ministro degli esteri giapponese. 'La delegazione nordcoreana ha detto che mancano le condizioni per una ripresa dei colloqui in tempi brevi, cioe' entro il 2004”, ha riferito il vice ministro nipponico.

 

Il ministero della Difesa giapponese ha reso noto che aerei e unità navali della marina stanno ancora pedinando, ormai da più di 24 ore, il misterioso sottomarino che aveva sconfinato ieri mattina in acque territoriali giapponesi. Potrebbe trattarsi di un sommergibile nucleare cinese, ma Pechino ha fatto sapere di “non essere al corrente” di alcuna manovra militare nella zona.

 

 

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