RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
315 - Testo della trasmissione di mercoledì
10 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Conclusosi nei giorni scorsi nei pressi di
Bangkok il Congresso annuale dei sacerdoti thailandesi
Aspra protesta del premio Nobel
per la pace nel 2003, Shirin Ebadi, contro le autorità iraniane
Terzo giorno di battaglia a Fallujah. La Croce Rossa parla di migliaia di rifugiati. La guerriglia rapisce 3 parenti di Allawi: la liberazione in cambio della fine dell’attacco contro la città santa.
Costa d’Avorio: corsa
contro il tempo per evacuare gli stranieri. Il presidente sudafricano si offre
di ospitare i colloqui di pace.
10 novembre 2004
LA FIDUCIA IN DIO SALVA L’UOMO DAL VOLER TROVARE
STABILITA’
NEI FALSI IDOLI DELLA VIOLENZA,
DELLA RAPINA E DELLA RICCHEZZA.
ALL’UDIENZA GENERALE, LA RIFLESSIONE DEL PAPA
ISPIRATA AL SALMO 61
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Sono tre i falsi idoli che
possono impedire all’uomo di riporre la propria fiducia in Dio: la violenza,
con il suo strascico di guerre e delitti; la rapina, che si esprime nelle ingiustizie
sociali, come l’usura e la corruzione, e l’accumulo di ricchezze intese come
idolo dell’anima. All’udienza generale di questa mattina, Giovanni Paolo II li
ha condannati come una “triade diabolica”, secondo lo spirito e le parole del
Salmo 61, al centro della sua catechesi in Aula Paolo VI. Il servizio di
Alessandro De Carolis:
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Sono due “le scelte
fondamentali” nella vita di una persona. Riguardano due diversi tipi di
fiducia. Un lato del bivio conduce ad una scelta buona, la fiducia in Dio. Il secondo
a una perversa, di tipo idolatrico, “che fa cercare la sicurezza e la stabilità
nella violenza, nella rapina e nella ricchezza”. Ai 13 mila fedeli di ogni
parte del mondo, presenti oggi all’udienza generale – in precedenza, in una
Roma sotto la pioggia, il Papa aveva salutato i circa 3.500 pellegrini di
lingua inglese e tedesca all’interno della Basilica vaticana – Giovanni Paolo
II ha dato risalto alle parole del Salmo 61 che condannano questa “triade
diabolica” contraria - ha affermato - “alla dignità dell’uomo e alla convivenza
sociale”.
(canto Salmo)
“Il primo falso dio” è violenza
alla quale - ha detto - “l’umanità “continua purtroppo a ricorrere anche nei
nostri giorni insanguinati”. E c’è il
tragico “corteo” della violenza, fatto di guerre, torture,
prevaricazioni e “uccisioni esecrande, inflitte – ha aggiunto il Pontefice –
senza sussulto di rimorso”. Secondo idolo, la rapina, che assume la molte facce
“dell’estorsione, dell’usura, dell’ingiustizia sociale, della corruzione
politica ed economica. Terzo idolo, la ricchezza: quella cui “si attacca il
cuore”, che induce l’uomo ad illudersi di salvarsi dalla morte. Tre
“pseudo-valori fragili e inconsistenti”, li ha definiti Giovanni Paolo II che
ha esortato i cristiani a orientarsi “piuttosto verso l’altra fiducia, quella
che ha nel suo centro il Signore, sorgente di eternità e di pace” e “artefice
di giustizia”:
Le dolci parole del Salmo 61 sono come una serena e forte
giaculatoria, un’invocazione che è anche un programma di vita: ‘Solo in Dio
riposa l’anima mia (...) Lui solo è mia
rupe e mia salvezza’”.
Ai consueti applausi e alle
manifestazioni d’affetto tributate al Pontefice durante l’udienza generale, una
nota di simpatia è venuta da un’esibizione circense che ha intrattenuto per
qualche istante il Papa e i presenti. Cinque fra i giocolieri, ballerini e
acrobati del celebre Cirque du soleil hanno
improvvisato con i loro costumi multicolori un breve spettacolo, conclusosi con
la benedizione del Papa. Al momento dei saluti finali, poi, Giovanni Paolo II
ha avuto un pensiero particolare per i rappresentanti della Cisl di Roma e del
Lazio, i partecipanti al primo trofeo “Città di Roma” e gli aderenti
all’incontro promosso dal “Comitato per una Civiltà dell’amore”. Parlando in
polacco, inoltre, il Pontefice ha ricordato con i suoi connazionali la Festa
dell’Indipendenza che la Polonia celebra domani:
DZIĘKUJEMY BOGU ZA WOLNOŚĆ OJCZYZNY …
“Rendiamo grazie a Dio per la
libertà della Patria. Che questo particolare dono, riscattato con il sangue dei
nostri padri e delle nostre madri, fruttifichi nella Patria con il diligente
compimento dei doveri da parte di ciascuno, con la comprensione vicendevole e
con la dedizione al bene comune”.
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NEL 40.MO DEL DECRETO CONCILIARE SULL’ECUMENISMO,
CONVEGNO MONDIALE A ROCCA DI
PAPA
- Intervista con mons. Eleuterio Fortino -
Un raduno mondiale, promosso dal
Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ricorda il
40.mo anniversario dalla promulgazione del Decreto conciliare sull’ecumenismo
“Unitatis Redintegratio”. Dell’iniziativa hanno parlato, in tarda mattinata nella sala stampa vaticana, il
presidente del dicastero, cardinale Walter Kasper; il segretario, arcivescovo
Brian Farrell; il sottosegretario mons. Eleuterio Fortino. Nell’intervista di Giovanni Peduto è mons.
Fortino a spiegare quale cammino è stato compiuto in questi 40 anni:
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R. – Per la Chiesa cattolica, il
Decreto sull’ecumenismo è la Magna Charta dell’impegno ecumenico. Da lì è nato
il contatto con tutte le altre Chiese e comunità ecclesiali e non solo, ma ha
preso il via anche la preparazione e la divulgazione dello spirito e
dell’azione ecumenica nella Chiesa cattolica. Dopo il Decreto ci sono state
varie iniziative per la ricezione e per l’applicazione concreta nella Chiesa:
nella preghiera, nel rapporto con gli altri sul posto, nell’organizzazione
delle commissioni ecumeniche delle diocesi e delle commissioni ecumeniche dei
Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Conferenze episcopali
nazionali. Questa rete di trasmissione, di riflessione, ha costituito la vera
via della divulgazione dello spirito ecumenico nella Chiesa cattolica. Sempre
alla luce e sui principi stabiliti nel Decreto sull’ecumenismo, la Chiesa
cattolica ha instaurato relazioni e dialoghi con tutte le Chiese d’Oriente e
d’Occidente. Il dialogo è in corso: oggi la Chiesa cattolica è in rapporto di
fiducia, di dialogo, di discussione, di ricerca comune con tutti i cristiani
dispersi nel mondo. Nel Concilio Vaticano II c’erano stati gli osservatori che
sono stati una grazia di Dio perché hanno sottolineato un problema grave nella
Chiesa. La loro presenza è stato un atto di buona volontà, di rapporto fraterno
tra i cristiani, ma è stata una presenza silenziosa. Oggi, invece, le altre
Chiese sono in dialogo diretto con la Chiesa cattolica. E’ intervenuta la
parola per chiarire i problemi, per discutere le difficoltà e per lodare
insieme il Signore, un giorno, con la celebrazione dell’Eucaristia insieme.
D. – Quindi, la “Unitatis
Redintegratio” è stata determinante nel rapporto tra cattolici e cristiani
di altre denominazioni ...
R. – Sicuramente. Perché il
Decreto, innanzitutto, descrive la convinzione della Chiesa cattolica sulla
propria identità di Chiesa cattolica, ma nello stesso tempo apre e dà la base
teologica del rapporto reale, cioè fondato per esempio sull’unico Battesimo,
sull’adorazione comune della Trinità, sulla professione di fede in Gesù Cristo
Signore e Salvatore. Dopo la base teologica, il Decreto ha descritto
l’esercizio dell’ecumenismo, come applicarlo nella pratica. E nel terzo
capitolo ha aperto l’impostazione del dialogo, tanto con le Chiese d’Oriente
quanto con le Chiese, provenienti dalla Riforma protestante.
D. – Ci parla del Congresso a
Rocca di Papa?
R. – Questo Convegno è sorto
inizialmente come momento di riflessione sul Decreto “Unitatis Redintegratio”,
sul suo ruolo nella Chiesa cattolica, sul suo ruolo nell’instaurare rapporti
con gli altri cristiani. Man mano che il Convegno si preparava, sono emerse
nuove possibilità di riflessione. Soprattutto la ricerca e la partecipazione di
circa 300 persone assicura una ricerca ampia, una ricerca geograficamente
estesa, in modo da considerare insieme non solo il già fatto, ma quello che
ancora l’ecumenismo dovrà fare. Concretamente, ci sarà una riflessione pratica
su vie nuove per applicare più profondamente il Decreto sull’impegno ecumenico
della Chiesa cattolica.
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"COMUNIONE E SOLIDARIETÀ TRA AFRICA ED
EUROPA":
TEMA DEL I SIMPOSIO DI VESCOVI
DI AFRICA ED EUROPA, DA OGGI A ROMA.
PRESENTATO QUESTA MATTINA PRESSO LA NOSTRA
EMITTENTE.
- Intervista con mons. Aldo Giordano –
"Comunione
e solidarietà tra Africa ed Europa": è il tema scelto per il Simposio di
vescovi di Africa ed Europa che si apre oggi a Roma. E’ stato presentato questa
mattina presso la nostra emittente da mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja
(Nigeria) e presidente del SECAM, il Simposio delle Conferenze Episcopali di
Africa e Madagascar; dal cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria e
vicepresidente del CCEE, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa. Presente
anche mons. Aldo Giordano, segretario di quest’ultimo organismo, che sentiamo
nell’intervista di Fausta Speranza:
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R. – E’ la
prima volta che realizziamo un Simposio di questo tipo, che è nato da una duplice
esigenza. I vescovi africani hanno espresso il desiderio di avere un rapporto
più stretto con i vescovi europei, perché spesso il loro rapporto con l’Europa è piuttosto una domanda di assistenza
economica. Invece qui vogliamo fare un salto di qualità e fare un incontro tra
vescovi sulla base della comunione sacramentale dell’ordine episcopale. D’altra
parte, abbiamo la sensazione che l’Africa a livello politico-economico mondiale
sia sempre più lasciata ai margini. Sembra che s’imponga una visione dove
dominano Stati Uniti, Unione Europea ed emerga la Cina, mentre l’Africa sembra
ai margini. Come Chiesa sentiamo la responsabilità di indicare che questo non è
possibile.
D. – Mons. Giordano, l’Africa
troppo dimenticata, però proprio dalle Conferenze episcopali africane c’è
qualcosa che i vescovi d’Europa vogliono imparare…
R. – Innanzitutto, noi vogliamo
condividere problemi comuni. In un mondo che va verso la globalizzazione,
sempre più ci accorgiamo che le questioni sono in comune: il problema
dell’emigrazione; il confronto con le altre religioni, specialmente con
l’islam; la domanda sul futuro, per esempio su come sarà l’annuncio del
cristianesimo all’Asia; i problemi legati alla salute, come quello dell’Aids
etc. Abbiamo problemi comuni, però abbiamo soprattutto elementi positivi da
scambiarci nel campo della pastorale e nel campo della evangelizzazione. Ormai
è normale uno scambio, per esempio, di sacerdoti, di operatori pastorali tra
Africa ed Europa; uno scambio nella formazione, uno scambio di docenti. E poi,
soprattutto, vorremmo fare uno scambio di culture, di visione dell’uomo. Noi
abbiamo il fenomeno della secolarizzazione e l’Africa è toccata anche da
questo. Noi, però, vorremmo imparare dall’esperienza africana, dalla loro
esperienza di religiosità: in Europa abbiamo un andamento piuttosto individualistico
e vorremmo imparare la dimensione sociale dell’Africa. In Europa, poi, abbiamo
ritmi non più sostenibili. Ci hanno rubato il tempo. Sembra che l’Africa abbia
più tempo per i rapporti, per gli incontri. Noi, credo, come europei avremmo
molto da imparare su questi aspetti culturali di visione del sociale, etc.
D. – Un momento importante di
incontro, dunque. Ma quale tipo di cambio, nel concreto, ci può essere?
R. – Noi, alla luce di una
esperienza di solidarietà e di scambio che già esiste da tanto tempo – pensiamo
all’esperienza missionaria, dei volontari, degli organismi di solidarietà –
alla luce di questa esperienza noi vogliamo domandarci come approfondire adesso
questa collaborazione, una collaborazione che sia veramente reciproca. La novità
del Simposio è questa: la reciprocità fra Europa ed Africa. Quindi, ci
domanderemo sul ruolo dei laici della Chiesa, sul ruolo dei religiosi, sul
ministero dei sacerdoti africani in Europa, sulla collaborazione tra Chiese
locali, organismi di solidarietà, etc. Ed insieme vorremmo anche interrogarci
su quale contributo Europa ed Africa possono dare insieme per il mondo, per la
pace del mondo, in questa situazione storica e per la giustizia del mondo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo "L'umanità continua a ricorrere alla
violenza senza sussulto di rimorso anche nei nostri giorni insanguinati":
Giovanni Paolo II, all'udienza generale, commenta il Salmo 61 "Solo in Dio
la nostra Pace" ed evoca tre idoli del nostro tempo - violenza, rapina,
ricchezza - contrari alla dignità dell'uomo e alla convivenza sociale.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Una pagina dedicata ai
Missionari del Sacro Cuore, che celebrano i 150 anni della loro fondazione.
Nelle estere, in rilievo
l'Iraq. A Falluja infuriano i raid aerei Usa e gli scontri armati. Rapiti, a
Baghdad, tre membri della famiglia del Premier Allawi.
Nella pagina culturale, un
articolo di Marco Testi in merito alla riedizione de "La trappola
colorata" di Luciano Folgore.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema della finanziaria.
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10
novembre 2004
IL LEADER PALESTINESE YASSER ARAFAT TRA LA VITA E
LA MORTE.
ISRAELE CONFERMA L’EVENTUALE
SEPOLTURA A RAMALLAH.
I FUNERALI SI SVOLGERANNO A IL CAIRO.
Sono ancora ore di attesa per la sorte del leader palestinese Arafat, ricoverato
dal 29 ottobre scorso in condizione critiche in una clinica di Parigi. Dal
Medio Oriente intanto è arrivata la conferma israeliana per un’eventuale
sepoltura a Ramallah dell’anziano leader. Proprio nella città della
Cisgiordania è in corso la riunione del comitato
centrale del Fatah e dell’Olp. Fuori la Muqata, quartier generale palestinese,
si sono intanto riuniti i fedelissimi di Arafat, nell’attesa di un annuncio che
sembra imminente da giorni, cioè quello della morte dello stesso presidente. Da
Ramallah, ci riferisce Barbara Schiavulli:
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Secondo la radio israeliana, si
è riunito il governo dentro al Muqata, il quartier generale di Arafat, per
decidere per la prima volta in 40 anni il nuovo capo dell’OLP; sono in corso
anche i preparativi per i funerali di Yasser Arafat. Sono appena giunti quattro
bulldozer e diversi camion per cominciare a spostare le macerie all’interno del
complesso. Ironia della sorte: il raìs non è stato ancora dichiarato
ufficialmente morto. Con ogni probabilità i funerali si svolgeranno al Cairo, e
poi la salma verrà trasportata, dopo l’ok di Israele, a Ramallah, nel Muqata,
che da ultima prigione di Arafat (vi ha trascorso tre anni confinato dagli
israeliani) si trasformerà in un mausoleo, sia pur temporaneo, fino a quanto i
palestinesi saranno liberi di seppellirlo a Gerusalemme, come il presidente
desiderava.
Barbara Schiavulli, da Ramallah,
per la Radio Vaticana.
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Intanto
la Francia sta preparando “tutte le disposizioni necessarie in collegamento con
la famiglia e le autorità palestinesi” per il rimpatrio del corpo del
presidente Yasser Arafat: lo ha dichiarato oggi il portavoce del governo,
Jean-Francois Copé. Ma cosa rappresenta Arafat per i palestinesi? Giada
Aquilino lo ha chiesto a padre Emile Salayta, del Patriarcato Latino di
Gerusalemme, che per anni ha vissuto a Ramallah:
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R. – Arafat è sempre stato un
simbolo per il popolo palestinese, fin dal ’69, quando è divenuto presidente
dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. E’ stato il
rappresentante del popolo palestinese. E questo ancor di più da quando ha
fissato la sua sede a Ramallah come capo di Stato, dopo tanti anni di diaspora.
D. – Perché questa lunga serie
di voci e smentite sulla sua sorte?
R. - Non è facile all’improvviso
diffondere la notizia della sua morte o dell’aggravarsi delle sue condizioni. E
questo perché forte sarà lo choc per il popolo palestinese, che ha vissuto 40
anni con Arafat come leader.
D. – Si parla di una eventuale
sepoltura di Arafat alla Muqata di Ramallah. Per i palestinesi cosa significa?
R. – Direi il male minore. Per i
palestinesi c’è sempre il desiderio di
seppellire Arafat a Gerusalemme, ma questo con gli israeliani sembra essere una
cosa impossibile al momento.
D. – Quale sarà la priorità del
successore di Arafat?
R. – Sono tanti al momento i
gruppi militanti e c’è l’Intifada. Lo scopo primario sarà sicuramente quello di
mantenere l’unità nazionale: in questi giorni è chiaro ed ovvio che tutto il
popolo sia unito psicologicamente proprio perché c’è il forte pericolo di
perdere Arafat. Il prossimo presidente dovrà riuscire ad investire su questo
capitale di sentimenti nazionali, riuscendo a mantenere il popolo insieme,
anche nel processo di pace. Mi auguro pure che Israele sia pronto
a dialogare con i palestinesi.
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LA QUESTIONE IRACHENA, LA NUOVA CORSA AGLI ARMAMENTI
E IL PROBLEMA
DEI NUOVI TEST SULLE ARMI NUCLEARI, LA VIOLAZIONE
DEI DIRITTI UMANI,
LA DIVISIONE TRA NORD E SUD DEL
MONDO: QUESTI I TEMI AL CENTRO DEL QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER
LA PACE, DA OGGI A ROMA
- Servizio di Barbara Castelli -
“Un mondo unito o un mondo
diviso? Multietnicità, diritti umani, terrorismo”: con questo slogan ha preso
il via oggi a Roma il quinto summit mondiale dei Premi Nobel per la pace.
L’incontro, ormai uno tra gli appuntamenti più importanti per l’elaborazione di
proposte nell’ambito delle risoluzioni pacifiche dei conflitti e dei temi più
rilevanti della politica internazionale, si chiuderà venerdì. Il servizio è di
Barbara Castelli:
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In una fredda giornata di
pioggia, i Premi Nobel per la pace si sono ritrovati per la quinta volta a Roma
per scandagliare le contraddizioni del nostro tempo e riaccendere la speranza
su un mondo di pace. “Ci troviamo di fronte ad un’enorme bomba innescata, il
cui ticchettio è udibile ormai anche da orecchie molto distratte”: con questa
metafora, Walter Veltroni ha sintetizzato i drammi che oggi sconvolgono il
mondo e che richiedono un immediato e corale intervento. Dal palco del
prestigioso Incontro mondiale, il sindaco capitolino ha parlato della voragine
in cui sembra essere sprofondato l’Iraq; della crisi in Medio Oriente, resa
ancora più incerta con l’ormai prossimo avvicendamento del leader palestinese
Arafat; della strage dei bambini di Beslàn, trattati come merce senza valore;
del divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
“Il mondo geme di dolore”, gli
ha fatto eco Kim Dae Jung, Premio Nobel per la pace e presidente della Corea
del Sud. “Abbiamo una missione importantissima – ha detto – quella di costruire
un mondo di comprensione. Abbiamo grandi onori, come premi Nobel – ha concluso
– ma anche grandi responsabilità”. E’ impensabile, oggi, preoccuparsi solo dei
propri interessi nazionali – ha sottolineato poi Mikhail Gorbaciov - Dobbiamo
tutti insieme preoccuparci dell’intera umanità”.
Additando nella sicurezza
mondiale, nella lotta alla povertà e nella tutela dell’ambiente le pietre
angolari della costruzione di un nuovo edificio, che possa accogliere l’intera
umanità, Gorbaciov nel suo intervento non ha mancato di concretezza: “Basta con
le discussioni intelligenti e sagge – ha detto – dobbiamo passare ai
cambiamenti concreti, alla vita reale”. Gorbaciov non ha poi mancato di
criticare la lentezza della politica dinanzi ai cambiamenti, invitando tutti ad
abbandonare le incertezze per permettere alla pace e alla comprensione tra i
popoli di spiccare il volo.
I numerosi interventi della
mattina hanno inoltre acceso i riflettori sulla mortificante condizione in cui
vivono migliaia di bambini nel mondo: “Il futuro dell’umanità – hanno ricordato
– langue negli angoli delle strade, in un mercato degli orrori dove si
intrecciano storie di povertà, di prostituzione, di malattie, di solitudine”.
Dinanzi ai bambini soldato, ai bambini cui tutto è rifiutato, dall’amore della
famiglia fino ai diritti più basilari, la comunità internazionale non può più tacere.
“Oggi sempre di più i bambini hanno diritto a vivere – ha dichiarato Giovanni
Micali, presidente dell’UNICEF, Organizzazione Nobel per la pace – e non a sopravvivere.
Dal Campidoglio, per la Radio
Vaticana, Barbara Castelli.
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INAUGURATO
STAMANE L’ANNO ACCADEMICO 2004-2005
DELLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, FONDATA NEL 1773.
ALLA
CERIMONIA, APERTA DAL CARDINALE RUINI, PRESENTE LECH WALĘSA
-
Intervista con mons. Rino Fisichella -
“L’Università
del Papa”: così, nel 1980, Giovanni Paolo II definì la Pontificia Università Lateranense.
Stamani l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2004-2005, presso l’aula magna
dell’Ateneo. Alla cerimonia, aperta dal cardinale vicario di Roma, Camillo
Ruini, ha preso parte anche il presidente emerito della Polonia, Lech
Walęsa, Nobel per la Pace nel 1983. Ma con quale spirito e con quali prospettive
inizia questo nuovo anno? Roberta Moretti ha intervistato il rettore
dell’Ateneo, mons. Rino Fisichella:
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R. – Il
nuovo anno Accademico inizia con entusiasmo perché, come ogni anno, c’è bisogno
di saper accogliere le novità che sono presenti nella Chiesa, nel mondo
contemporaneo per farne un tesoro. Gli studenti sono già affluiti
all’Università in maniera sempre numerosa perchè le lezioni sono iniziate ormai
da un mese. Debbo dire che questo nuovo Anno accademico ci riporta come sempre
all’augurio di dover essere capaci di scienza e di sapienza.
D. – Cosa rappresenta la
presenza di Lech Walesa all’inaugurazione del nuovo Anno accademico?
R. – Rappresenta un segno
concreto di un uomo che in forza della sua fede è stato capace di diventare
anche promotore di libertà. Non dimentichiamo che proprio il 10 novembre del
1981 veniva approvato lo statuto di Solidarnosc. Quindi avere con noi Lech Walesa,
che è stato un segno e un simbolo di libertà, proprio nel momento in cui si dà
il via con il Trattato di Roma alla firma di una nuova convenzione per una
nuova Europa ci è sembrato particolarmente significativo per i nostri studenti.
D. – Come si conciliano fede e
cultura alla Lateranense?
R. - Le culture sono aperte alla
fede. Guai se non lo fossero e la fede è capace per sua stessa natura di
inserirsi all’interno delle diverse istanze culturali e di darne anche un orientamento
veritativo. Io credo che la grande sfida che tocca oggi il Laterano, ma anche
le altre università, sia proprio quella di riportare al centro la dimensione
della verità cercando di favorire le nuove generazioni perché non pensino che
la fede sia forte perché la ragione è debole. La fede è forte perché c’è una
ragione forte che la sostiene e egualmente la ragione può essere forte nella
misura in cui si fa accompagnare anche da una fede che la può orientare
decisamente.
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10
novembre 2004
TRADOTTA IN URDU LA LETTERA APOSTOLICA
DI
GIOVANNI PAOLO II SULL’EUCARISTIA
FAISALABAD. = I fedeli pakistani possono leggere la lettera
apostolica “Mane Nobiscum Domine” in lingua urdu. Il documento di Giovanni
Paolo II sull’Eucaristia è stato tradotto nella lingua ufficiale del Pakistan
da padre Aftab James Paul, in occasione dell’Anno eucaristico, indetto dal
Pontefice nell’ottobre 2004. In questo modo - ha sottolineato mons. Joseph
Coutts, vescovo di Faisalabad - i fedeli
potranno capire meglio e approfondire le riflessioni del Papa. La lettera
apostolica, disponibile in tutto il Paese, è stata studiata nel primo di tre
meeting organizzati dalla diocesi a Chak Jhumra, 30 chilometri a est di Faisalabad.
I partecipanti hanno creato un comitato di 4 membri che analizzerà tutti i documenti
inerenti all’Anno eucaristico. Mons. Coutts ha chiesto che tutte le feste
religiose e i corsi di aggiornamento della catechesi siano incentrati
sull’Eucaristia. Il documento papale verrà studiato anche a livello locale fra
i fedeli. Le riflessioni sull’Eucaristia saranno approfondite anche
nell’annuale ritiro spirituale dei preti della diocesi di Faisalabad, in programma
dal 15 al 19 novembre al Renewal Centre, centro culturale di Lahore. In una lettera
inviata ai fedeli il vescovo ha chiesto alla comunità di pregare per lui e per
i preti che parteciperanno al ritiro. (R.M.)
PROMUOVERE IN THAILANDIA LA FAMIGLIA CRISTIANA
COME CHIESA DOMESTICA
E NUCLEO FONDAMENTALE DELLA PARROCCHIA. QUESTO,
LO SCOPO
DEL CONGRESSO ANNUALE DEI SACERDOTI THAILANDESI,
CONCLUSOSI NEI GIORNI SCORSI NEI PRESSI DI BANGKOK
SAM PHRAN. = Promuovere in
Thailandia la famiglia cristiana come Chiesa domestica e come nucleo
fondamentale della parrocchia. Con questo impegno si è concluso recentemente a
Sam Phran, nella cintura di Bangkok, il congresso annuale dei sacerdoti thailandesi
dedicato quest’anno appunto alla famiglia. Al congresso, organizzato dalla
Commissione episcopale per il clero, hanno partecipato più di 200 sacerdoti che
hanno discusso le strategie pastorali per rafforzare la famiglia di fronte alle sfide poste dalla società
dell’era della globalizzazione. Obiettivo, questo, prioritario nel piano pastorale
decennale dei vescovi thailandesi, che a questo scopo hanno recentemente costituito
una commissione ad hoc con il compito di coadiuvare la competente
Commissione episcopale per la famiglia. Dopo avere esaminato i principali
problemi che oggi minano l’istituto familiare in Thailandia e sottolineato il
ruolo centrale dei parroci quali suoi tutori, i partecipanti hanno definito le
linee pratiche di intervento in questo ambito. Si è parlato in particolare di
migliorare la qualità dei corsi di preparazione pre-matrimoniale, di visite più
frequenti dei parroci presso le famiglie, di incoraggiare il coinvolgimento di
queste ultime nella vita delle parrocchie, di programmi pastorali specifici per
le coppie con situazioni irregolari per la Chiesa e di un maggiore
coinvolgimento dei laici nelle attività della pastorale familiare. (L.Z.)
ASPRA PROTESTA DEL PREMIO
NOBEL PER LA PACE NEL 2003, SHIRIN EBADI,
CONTRO LE AUTORITA’
IRANIANE: ALL’AVVOCATESSA, IMPEGNATA NELLA DIFESA
DEI DIRITTI DELLE DONNE E DEI BAMBINI, RIFIUTATO
IL PERMESSO
PER UNA MANIFESTAZIONE CONTRO
LE ESECUZIONI CAPITALI
DI MINORENNI NELLA REPUBBLICA
ISLAMICA
TEHERAN. = L’avvocatessa
iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace nel 2003, ha protestato con le
autorità di Teheran che non le hanno concesso il permesso di organizzare una
manifestazione contro le esecuzioni capitali di minorenni in Iran. Lo scrive
oggi il quotidiano della Repubblica islamica, “Hambastegi”. Il raduno si sarebbe
dovuto svolgere nel Parco Laleh, nel centro della capitale iraniana, ma il
ministero dell'Interno ha rinviato la questione al Governatorato generale di
Teheran, che, dopo lunghe discussioni, non ha dato l'autorizzazione. “Non
capisco il perchè – ha affermato la legale, specializzata nella difesa dei diritti
delle donne e dei bambini – visto che l’Iran è firmatario, fin dal 1993, della
Convenzione internazionale per i diritti dei bambini, che proibisce appunto le
esecuzioni capitali di persone minorenni”. “Al Governatorato – ha aggiunto la
Premio Nobel – chiedo anche di sapere quante autorizzazioni ha concesso finora
per manifestazioni pubbliche, che sono garantite dalla Costituzione”. La
questione delle esecuzioni di minorenni è tornata alla ribalta in Iran
nell’agosto scorso, quando organizzazioni internazionali per i diritti umani
hanno denunciato l’impiccagione sulla pubblica piazza, nel nord del Paese, di
una ragazza di 16 anni riconosciuta colpevole di “atti incompatibili con la
castità”. Secondo Amnesty International, l'esecuzione, per la quale ha
protestato anche l'Unione Europea, è la decima inflitta a minorenni a partire
dal 1990 in Iran. (R.M.)
SODDISFAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA
COMMISSIONE DELL’UNIONE AFRICANA,
KONARE’, PER LA FIRMA DEI PROTOCOLLI
SOTTOSCRITTI IERI IN NIGERIA,
TRA IL GOVERNO DEL SUDAN E I RIBELLI ATTIVI NELLA REGIONE DEL DARFUR
ADDIS ABEBA. = Il presidente
della commissione dell’Unione Africana (Ua), Alpha Oumar Konarè, si è
felicitato per la firma di due accordi su sicurezza e accesso umanitario tra il
governo del Sudan e i ribelli della regione del Darfur, dopo due settimane di colloqui
di pace ad Abuja, in Nigeria. In un comunicato diramato dalla sede dell’Ua ad
Addis Abeba, in Etiopia, Konarè ha sottolineato che la sottoscrizione dei due
protocolli ha per obiettivo il “consolidamento” della tregua firmata in Ciad,
lo scorso aprile, e ha chiesto alle parti di rispettare “scrupolosamente” gli
impegni presi. Il governo di Khartoum, dopo essersi a lungo opposto, ha
accettato l’imposizione di una zona di interdizione al volo dei propri aerei da
combattimento nel Darfur, richiesta dalla comunità internazionale. Le pressioni
esercitate da Onu e dalla stessa UA hanno portato anche alla firma di un’intesa
sull’accesso umanitario alla regione, in crisi dal marzo del 2003. Secondo le
Nazioni Unite, sarebbero oltre un milione e 400.000 gli sfollati e altri
200.000 i rifugiati nel confinante Ciad. Le parti si sono impegnate a
sospendere le operazioni belliche in Darfur e a proteggere i profughi da
aggressioni e vessazioni. Gli accordi sono stati firmati alla presenza del
presidente nigeriano, Olusegun Obasanjo, presidente di turno dell’UA. Per il
governo di Khartoum, ha sottoscritto il documento il ministro dell’Agricoltura,
Majzoub al-Khalifa, mentre i due gruppi ribelli, l’Esercito di liberazione
sudanese (SLA-M) e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM), erano
rappresentanti dai loro responsabili. (R.M.)
INAUGURATA NEI GIORNI SCORSI, PER IL QUARTO ANNO
CONSECUTIVO,
LA CATTEDRA “DONNA E CRISTIANESIMO”,
PRESSO LA PONTIFICIA FACOLTA’ TEOLOGICA “MARIANUM” DI ROMA. TRA GLI SCOPI DEL
CORSO,
FARE “UNA
TEOLOGIA AL FEMMINILE CON INTELLIGENZA”
ROMA. = “Per una storia della
donna”: questo il tema della prima lezione di quest’anno della cattedra “Donna
e Cristianesimo”, inaugurata lunedì scorso presso la Pontificia Facoltà
Teologica “Marianum” di Roma. Come dichiarato dal rettore della Facoltà, Padre
Silvano Maggiani, Servo di Maria, “nei corsi della cattedra si fa una teologia
al femminile con intelligenza”, per entrare “sempre di più nel mistero di
Maria, la donna di Nazareth”. Scopo del corso, nato quattro anni fa, è
“studiare i molteplici aspetti della condizione femminile nelle varie epoche
storiche, nelle diverse culture e religioni, soprattutto nel cristianesimo” e
“compiere una ricognizione della condizione della donna nei vari continenti
all'inizio del Nuovo Millennio”, spiegano gli organizzatori. La cattedra si
articola in due percorsi: nel primo, storico-teologico, si parlerà di “Maria
nel pensiero della mistica femminile”, “Donne e teologia morale” e “Ermeneutica
del percorso”; il percorso biblico, invece, inizierà a marzo 2005 e si
concentrerà su “Le donne nell'Antico e nel Nuovo Testamento”. Tra i temi
affrontati quest’anno, figurano anche: “Le immagini di Maria al cinema”, “La
donna tra mito profetico e realtà rivelativa nella Cappella Sistina” e “Le
donne discepole all'inizio della tradizione su Gesù”. (R.M.)
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10 novembre 2004
- A cura
di Salvatore Sabatino -
Ancora una giornata
contrassegnata dal sangue in Iraq. Falluja è per il terzo giorno consecutivo
scenario di una violenta battaglia. L’esercito statunitense è riuscito ad
occupare il 70% delle città e conta di controllarla completamente nel giro di
48 ore. Ma dal resto del Paese continuano a giungere notizie di violenze,
soprattutto dal Nord. La cronaca di queste ultime ore nel nostro servizio:
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Più
della metà delle moschee di Falluja sono andate distrutte sotto i bombardamenti
e i colpi dell'artiglieria americana. Lo ha riferito un giornalista iracheno ad
al-Jazira. Questa mattina sulla città sunnita sono ripresi i bombardamenti
dell’esercito statunitense, ma anche combattimenti tra i miliziani e le truppe americane
che occupano, secondo una fonte militare, il 70 per cento del centro abitato.
L’intera città dovrebbe, invece, finire in mano ai marines nel giro di 48 ore.
Sarebbero 11 i militari americani rimasti uccisi nelle ultime ore. Ignoto, invece,
il numero dei morti tra i civili, anche se la Croce Rossa Internazionale denuncia
una situazione drammatica, con migliaia di persone, soprattutto donne, vecchi e
bambini, rifugiatisi nei villaggi limitrofi, senza cibo, acqua e medicinali. Nessuna
notizia definitiva nemmeno sui ribelli legati al giordano Al Zarqawi. La resistenza
sembra inferiore alle previsioni, anche se molto ben organizzata. La guerriglia,
dal canto suo, mette a segno altri colpi: il rapimento di tre familiari del
premier ad interim, Iyad Allawi, prelevati questa mattina da un commando di
uomini armati mentre stavano uscendo di casa. Un gruppo integralista islamico
ha rivendicato il sequestro, minacciando di ucciderli se il governo ad interim
non farà cessare l'offensiva militare su Falluja entro 48 ore.
Ma la
violenza infuria anche a Nord: quattro persone tra cui un bambino sono state
uccise e numerose altre ferite in attacchi a Samarra e Baquba. Colpi di arma da
fuoco ed esplosioni stanno interessando, invece, la città di Mossul: sarebbe in
corso una battaglia tra marines e guerriglia locale. Elicotteri statunitensi
sorvolano l’intera zona. Poco fa, infine, uomini mascherati armati di
lanciarazzi e fucili d'assalto hanno bloccato un ponte e una strada principale nella parte occidentale
di Baghdad.
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Situazione sempre estremamente
difficile anche in Costa d’Avorio, dove si assiste in queste ore ad una vera e
propria corsa contro il tempo per
l’evacuazione degli stranieri, in fuga dagli scontri tra i ribelli delle “Forze
Nuove”, che controllano il nord del Paese, ed i governativi fedeli al
presidente Gbagbo. Mentre si appresta il trasferimento dei cittadini francesi,
il presidente sudafricano Thabo Mbeki, ieri ad Abijan, ha proposto di ospitare
nel proprio Paese colloqui di pace tra le parti in guerra. Abbiamo raggiunto
telefonicamente Padre Graziano Michelà, del PIME di Milano, fino a qualche
settimana fa in Costa d’Avorio. Eugenio Bonanata gli ha chiesto un commento
sulle richieste avanzate dai ribelli:
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R. – Hanno sempre chiesto di
poter essere integrati nel governo e gli è stato concesso; hanno chiesto di
ridare la nazionalità a 3 milioni di immigrati; chiedono soprattutto di poter
rivedere l’articolo 11 della Costituzione e chiedono di cambiare questo
articolo per dire che colui che deve essere eletto presidente della Costa
d’Avorio, debba essere qualcuno anche non ivoriano al cento per cento.
D. – Quali sono, dunque, le
richieste del popolo ivoriano?
R. – Di poter ritornare a casa.
Da due anni sono fuori casa e vivono nella parte sud del Paese. Soprattutto
sperano di trovare la loro casa. Ciò che non è stato detto è che le città sono state
interamente distrutte.
D. – Come valuta l’atteggiamento
francese nei confronti di questa crisi?
R. – Sono lì come forze
dell’Onu, ma invece non stanno svolgendo il ruolo che l’Onu dovrebbe svolgere.
La presenza della Francia e la crisi che la Costa d’Avorio sta vivendo non è
dovuta a problemi interni. Non si è ascoltato il popolo della Costa d’Avorio,
non sono stati ascoltati i vescovi, che lo avevano denunciato.
R. – Sul fronte diplomatico cosa
potrebbe nascere in seguito all’intervento del presidente sudafricano Thamo
Mbeki?
D. – Io credo molto in questo
intervento. A questo punto della crisi delle diverse parti in causa, infatti,
la questione si è inasprita molto e la reazione dei francesi è stata esagerata.
Sono convinto, dunque, che una persona dal di fuori possa dare un grande aiuto.
La base si costruisce insieme, soprattutto se si è disposti, nella giustizia,
nel rispetto di ogni popolo, a darsi un governo, una struttura giuridica, una
costituzione, ad autodeterminarsi. Quindi, ciascuna delle due parti in causa,
sedendosi attorno ad un tavolo, si dovrebbe rimettere in discussione, capire
che l’altro non è un nemico ma è un fratello, e quindi dovrebbe poter avviare
un processo di pace.
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E’ stato licenziato il
vice-presidente burundese, Alphonse-Marie Kadege, esponente dell’etnia
minoritaria dei Tutsi. La decisione è stata presa dal presidente burundese
hutu, Domitien Ndayizeye. Lunedì scorso, Kadege aveva detto che alcune persone
dell’attuale classe politica burundese non credevano alla tenuta del referendum
costituzionale, previsto per il prossimo 26 novembre.
Altissima
la tensione in Olanda. E’ in corso all'Aja una maxi-operazione antiterrorismo.
La polizia ha infatti circondato un covo di persone sospette, asserragliatesi
in un edificio della città. Durante il blitz, scattato questa notte, tre agenti
sono rimasti feriti dallo scoppio di una granata lanciata dai ricercati. Prima
dell’operazione era stato chiuso lo spazio aereo sopra l'Aja e tutta l’area
circostante il covo era stata evacuata.
Intanto, centinaia di persone hanno reso
omaggio, ieri pomeriggio ad Amsterdam, al regista Theo Van Gogh, ucciso martedì
scorso da un marocchino, naturalizzato olandese, che lo ha pugnalato a morte
per le sue idee anti-islamiche. Nella notte una scuola musulmana è stata data
alle fiamme a Uden, villaggio dell’Olanda meridionale, in risposta
all’uccisione del cineasta.
Il “Vlaams Blok”, partito di
estrema destra del Belgio, è razzista. A confermarlo è la Corte di
Cassazione che ha ritenuto fondata la condanna della Corte di appello di Gand
pronunciata nell'aprile scorso contro tre associazioni satelliti del partito,
colpevoli di aver violato la legge contro il razzismo e la xenofobia.
Giappone e Corea del Nord hanno avviato a Pyongyang colloqui
decisivi sul problema di 10 giapponesi rapiti dai servizi segreti nordcoreani
negli anni '70 e '80, ostacolo alla riapertura di negoziati per la
normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, ancora privi di relazioni
diplomatiche.
Un sottomarino non identificato è penetrato in acque territoriali
giapponesi e la Marina di Tokyo è stata mobilitata per inseguirlo. Lo ha reso
noto un portavoce del governo, precisando che l'intrusione è avvenuta attorno
alle isole dell'arcipelago meridionale di Okinawa, vicine ad un gruppo di
scogli e isolette disabitate, conteso tra Giappone, Cina e Taiwan.
Ci trasferiamo in Italia. La maggioranza è stata
battuta ieri alla Camera sul primo voto relativo alla legge Finanziaria. A pesare sulla bocciatura l’assenza di numerosi
parlamentari della Casa delle Libertà. Il governo ha immediatamente chiesto la
sospensione dei lavori. E nella notte il premier
Berlusconi ha annunciato che invierà una lettera di ammonimento a tutti i deputati e ai membri della
Maggioranza assenti ieri a Montecitorio.
Andrea Cianferoni, il cooperante italiano rapito nell'isola di
Mindanao, nel sud delle Filippine, è stato liberato dai suoi sequestratori. Lo
ha annunciato un portavoce dell'esercito, spiegando che il ventinovenne
agronomo italiano, che lavora per l'organizzazione non governativa Movimondo, è
stato consegnato alle autorità locali della provincia di Lanao del Norte, non
lontano da dove era stato rapito.
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