RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 315  - Testo della trasmissione di mercoledì 10 novembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La fiducia in Dio salva l’uomo dai falsi idoli della violenza, della rapina e della ricchezza. All’udienza generale, la riflessione del Papa ispirata al Salmo 61

 

Nel 40.mo del decreto conciliare sull’ecumenismo un convegno mondiale a Rocca di Papa: intervista con mons. Fortino

 

"Comunione e solidarietà tra Africa ed Europa": tema del I Simposio di vescovi di Africa ed Europa, da oggi a Roma. Presentato questa mattina presso la nostra emittente: con noi mons. Aldo Giordano.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

La vita di Arafat appesa ad un filo: forse oggi l’annuncio della morte. Israele conferma l’eventuale sepoltura a Ramallah. I funerali verranno celebrati a Il Cairo: ai nostri microfoni padre Emile Salayta

 

La questione irachena, la nuova corsa agli armamenti e il problema dei nuovi test sulle armi nucleari, la violazione dei diritti umani, la divisione tra Nord e Sud del mondo: questi i temi al centro del V Summit mondiale dei Premi Nobel per la pace, da oggi a Roma

 

Inaugurato stamane l’Anno accademico 2004-2005 della pontificia Università Lateranense, fondata nel 1773. Alla cerimonia, aperta dal cardinale Ruini, presente Lech Walęsa: intervista con mons. Rino Fisichella.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Tradotta in Urdu, la lingua ufficiale del Pakistan, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II sull’Eucaristia

 

Conclusosi nei giorni scorsi nei pressi di Bangkok il Congresso annuale dei sacerdoti thailandesi

 

Aspra protesta del premio Nobel per la pace nel 2003, Shirin Ebadi, contro le autorità iraniane

 

Soddisfazione del presidente della Commissione dell’Unione Africana, Konarè, per la firma dei due protocolli sottoscritti ieri in Nigeria, tra il governo del Sudan e i ribelli attivi nella regione del Darfur

 

Inaugurata nei giorni scorsi, per il quarto anno consecutivo, la cattedra “Donna e cristianesimo”, presso la Pontificia Facoltà teologica “Marianum” di Roma

 

24 ORE NEL MONDO:

Terzo giorno di battaglia a Fallujah. La Croce Rossa parla di migliaia di rifugiati. La guerriglia rapisce 3 parenti di Allawi: la liberazione in cambio della fine dell’attacco contro la città santa.

 

Costa d’Avorio: corsa contro il tempo per evacuare gli stranieri. Il presidente sudafricano si offre di ospitare i colloqui di pace.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 novembre 2004

 

 

LA FIDUCIA IN DIO SALVA L’UOMO DAL VOLER TROVARE STABILITA’

NEI FALSI IDOLI DELLA VIOLENZA, DELLA RAPINA E DELLA RICCHEZZA.

ALL’UDIENZA GENERALE, LA RIFLESSIONE DEL PAPA ISPIRATA AL SALMO 61

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

Sono tre i falsi idoli che possono impedire all’uomo di riporre la propria fiducia in Dio: la violenza, con il suo strascico di guerre e delitti; la rapina, che si esprime nelle ingiustizie sociali, come l’usura e la corruzione, e l’accumulo di ricchezze intese come idolo dell’anima. All’udienza generale di questa mattina, Giovanni Paolo II li ha condannati come una “triade diabolica”, secondo lo spirito e le parole del Salmo 61, al centro della sua catechesi in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Sono due “le scelte fondamentali” nella vita di una persona. Riguardano due diversi tipi di fiducia. Un lato del bivio conduce ad una scelta buona, la fiducia in Dio. Il secondo a una perversa, di tipo idolatrico, “che fa cercare la sicurezza e la stabilità nella violenza, nella rapina e nella ricchezza”. Ai 13 mila fedeli di ogni parte del mondo, presenti oggi all’udienza generale – in precedenza, in una Roma sotto la pioggia, il Papa aveva salutato i circa 3.500 pellegrini di lingua inglese e tedesca all’interno della Basilica vaticana – Giovanni Paolo II ha dato risalto alle parole del Salmo 61 che condannano questa “triade diabolica” contraria - ha affermato - “alla dignità dell’uomo e alla convivenza sociale”.

 

(canto Salmo)

 

“Il primo falso dio” è violenza alla quale - ha detto - “l’umanità “continua purtroppo a ricorrere anche nei nostri giorni insanguinati”. E c’è il   tragico “corteo” della violenza, fatto di guerre, torture, prevaricazioni e “uccisioni esecrande, inflitte – ha aggiunto il Pontefice – senza sussulto di rimorso”. Secondo idolo, la rapina, che assume la molte facce “dell’estorsione, dell’usura, dell’ingiustizia sociale, della corruzione politica ed economica. Terzo idolo, la ricchezza: quella cui “si attacca il cuore”, che induce l’uomo ad illudersi di salvarsi dalla morte. Tre “pseudo-valori fragili e inconsistenti”, li ha definiti Giovanni Paolo II che ha esortato i cristiani a orientarsi “piuttosto verso l’altra fiducia, quella che ha nel suo centro il Signore, sorgente di eternità e di pace” e “artefice di giustizia”:

 

Le dolci parole del Salmo 61 sono come una serena e forte giaculatoria, un’invocazione che è anche un programma di vita: ‘Solo in Dio riposa l’anima mia (...)  Lui solo è mia rupe e mia salvezza’”.

 

Ai consueti applausi e alle manifestazioni d’affetto tributate al Pontefice durante l’udienza generale, una nota di simpatia è venuta da un’esibizione circense che ha intrattenuto per qualche istante il Papa e i presenti. Cinque fra i giocolieri, ballerini e acrobati del celebre Cirque du soleil hanno improvvisato con i loro costumi multicolori un breve spettacolo, conclusosi con la benedizione del Papa. Al momento dei saluti finali, poi, Giovanni Paolo II ha avuto un pensiero particolare per i rappresentanti della Cisl di Roma e del Lazio, i partecipanti al primo trofeo “Città di Roma” e gli aderenti all’incontro promosso dal “Comitato per una Civiltà dell’amore”. Parlando in polacco, inoltre, il Pontefice ha ricordato con i suoi connazionali la Festa dell’Indipendenza che la Polonia celebra domani:

 

DZIĘKUJEMY BOGU ZA WOLNOŚĆ OJCZYZNY …

“Rendiamo grazie a Dio per la libertà della Patria. Che questo particolare dono, riscattato con il sangue dei nostri padri e delle nostre madri, fruttifichi nella Patria con il diligente compimento dei doveri da parte di ciascuno, con la comprensione vicendevole e con la dedizione al bene comune”.

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NEL 40.MO DEL DECRETO CONCILIARE SULL’ECUMENISMO,

CONVEGNO MONDIALE A ROCCA DI PAPA

- Intervista con mons. Eleuterio Fortino -

 

Un raduno mondiale, promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ricorda il 40.mo anniversario dalla promulgazione del Decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio”. Dell’iniziativa hanno  parlato, in tarda mattinata nella sala stampa vaticana, il presidente del dicastero, cardinale Walter Kasper; il segretario, arcivescovo Brian Farrell; il sottosegretario mons. Eleuterio Fortino.  Nell’intervista di Giovanni Peduto è mons. Fortino a spiegare quale cammino è stato compiuto in questi 40 anni:

 

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R. – Per la Chiesa cattolica, il Decreto sull’ecumenismo è la Magna Charta dell’impegno ecumenico. Da lì è nato il contatto con tutte le altre Chiese e comunità ecclesiali e non solo, ma ha preso il via anche la preparazione e la divulgazione dello spirito e dell’azione ecumenica nella Chiesa cattolica. Dopo il Decreto ci sono state varie iniziative per la ricezione e per l’applicazione concreta nella Chiesa: nella preghiera, nel rapporto con gli altri sul posto, nell’organizzazione delle commissioni ecumeniche delle diocesi e delle commissioni ecumeniche dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Conferenze episcopali nazionali. Questa rete di trasmissione, di riflessione, ha costituito la vera via della divulgazione dello spirito ecumenico nella Chiesa cattolica. Sempre alla luce e sui principi stabiliti nel Decreto sull’ecumenismo, la Chiesa cattolica ha instaurato relazioni e dialoghi con tutte le Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il dialogo è in corso: oggi la Chiesa cattolica è in rapporto di fiducia, di dialogo, di discussione, di ricerca comune con tutti i cristiani dispersi nel mondo. Nel Concilio Vaticano II c’erano stati gli osservatori che sono stati una grazia di Dio perché hanno sottolineato un problema grave nella Chiesa. La loro presenza è stato un atto di buona volontà, di rapporto fraterno tra i cristiani, ma è stata una presenza silenziosa. Oggi, invece, le altre Chiese sono in dialogo diretto con la Chiesa cattolica. E’ intervenuta la parola per chiarire i problemi, per discutere le difficoltà e per lodare insieme il Signore, un giorno, con la celebrazione dell’Eucaristia insieme.

 

D. – Quindi, la “Unitatis Redintegratio” è stata determinante nel rapporto tra cattolici e cristiani di altre denominazioni ...

 

R. – Sicuramente. Perché il Decreto, innanzitutto, descrive la convinzione della Chiesa cattolica sulla propria identità di Chiesa cattolica, ma nello stesso tempo apre e dà la base teologica del rapporto reale, cioè fondato per esempio sull’unico Battesimo, sull’adorazione comune della Trinità, sulla professione di fede in Gesù Cristo Signore e Salvatore. Dopo la base teologica, il Decreto ha descritto l’esercizio dell’ecumenismo, come applicarlo nella pratica. E nel terzo capitolo ha aperto l’impostazione del dialogo, tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Chiese, provenienti dalla Riforma protestante.

 

D. – Ci parla del Congresso a Rocca di Papa?

 

R. – Questo Convegno è sorto inizialmente come momento di riflessione sul Decreto “Unitatis Redintegratio”, sul suo ruolo nella Chiesa cattolica, sul suo ruolo nell’instaurare rapporti con gli altri cristiani. Man mano che il Convegno si preparava, sono emerse nuove possibilità di riflessione. Soprattutto la ricerca e la partecipazione di circa 300 persone assicura una ricerca ampia, una ricerca geograficamente estesa, in modo da considerare insieme non solo il già fatto, ma quello che ancora l’ecumenismo dovrà fare. Concretamente, ci sarà una riflessione pratica su vie nuove per applicare più profondamente il Decreto sull’impegno ecumenico della Chiesa cattolica.

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"COMUNIONE E SOLIDARIETÀ TRA AFRICA ED EUROPA":

TEMA DEL I SIMPOSIO DI VESCOVI DI AFRICA ED EUROPA, DA OGGI A ROMA.

PRESENTATO QUESTA MATTINA PRESSO LA NOSTRA EMITTENTE.

- Intervista con mons. Aldo Giordano –

 

"Comunione e solidarietà tra Africa ed Europa": è il tema scelto per il Simposio di vescovi di Africa ed Europa che si apre oggi a Roma. E’ stato presentato questa mattina presso la nostra emittente da mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria) e presidente del SECAM, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar; dal cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente del CCEE, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa. Presente anche mons. Aldo Giordano, segretario di quest’ultimo organismo, che sentiamo nell’intervista di Fausta Speranza:  

 

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R. – E’ la prima volta che realizziamo un Simposio di questo tipo, che è nato da una duplice esigenza. I vescovi africani hanno espresso il desiderio di avere un rapporto più stretto con i vescovi europei, perché spesso il  loro rapporto con l’Europa è piuttosto una domanda di assistenza economica. Invece qui vogliamo fare un salto di qualità e fare un incontro tra vescovi sulla base della comunione sacramentale dell’ordine episcopale. D’altra parte, abbiamo la sensazione che l’Africa a livello politico-economico mondiale sia sempre più lasciata ai margini. Sembra che s’imponga una visione dove dominano Stati Uniti, Unione Europea ed emerga la Cina, mentre l’Africa sembra ai margini. Come Chiesa sentiamo la responsabilità di indicare che questo non è possibile.

 

D. – Mons. Giordano, l’Africa troppo dimenticata, però proprio dalle Conferenze episcopali africane c’è qualcosa che i vescovi d’Europa vogliono imparare…

 

R. – Innanzitutto, noi vogliamo condividere problemi comuni. In un mondo che va verso la globalizzazione, sempre più ci accorgiamo che le questioni sono in comune: il problema dell’emigrazione; il confronto con le altre religioni, specialmente con l’islam; la domanda sul futuro, per esempio su come sarà l’annuncio del cristianesimo all’Asia; i problemi legati alla salute, come quello dell’Aids etc. Abbiamo problemi comuni, però abbiamo soprattutto elementi positivi da scambiarci nel campo della pastorale e nel campo della evangelizzazione. Ormai è normale uno scambio, per esempio, di sacerdoti, di operatori pastorali tra Africa ed Europa; uno scambio nella formazione, uno scambio di docenti. E poi, soprattutto, vorremmo fare uno scambio di culture, di visione dell’uomo. Noi abbiamo il fenomeno della secolarizzazione e l’Africa è toccata anche da questo. Noi, però, vorremmo imparare dall’esperienza africana, dalla loro esperienza di religiosità: in Europa abbiamo un andamento piuttosto individualistico e vorremmo imparare la dimensione sociale dell’Africa. In Europa, poi, abbiamo ritmi non più sostenibili. Ci hanno rubato il tempo. Sembra che l’Africa abbia più tempo per i rapporti, per gli incontri. Noi, credo, come europei avremmo molto da imparare su questi aspetti culturali di visione del sociale, etc.

 

D. – Un momento importante di incontro, dunque. Ma quale tipo di cambio, nel concreto, ci può essere?

 

R. – Noi, alla luce di una esperienza di solidarietà e di scambio che già esiste da tanto tempo – pensiamo all’esperienza missionaria, dei volontari, degli organismi di solidarietà – alla luce di questa esperienza noi vogliamo domandarci come approfondire adesso questa collaborazione, una collaborazione che sia veramente reciproca. La novità del Simposio è questa: la reciprocità fra Europa ed Africa. Quindi, ci domanderemo sul ruolo dei laici della Chiesa, sul ruolo dei religiosi, sul ministero dei sacerdoti africani in Europa, sulla collaborazione tra Chiese locali, organismi di solidarietà, etc. Ed insieme vorremmo anche interrogarci su quale contributo Europa ed Africa possono dare insieme per il mondo, per la pace del mondo, in questa situazione storica e per la giustizia del mondo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "L'umanità continua a ricorrere alla violenza senza sussulto di rimorso anche nei nostri giorni insanguinati": Giovanni Paolo II, all'udienza generale, commenta il Salmo 61 "Solo in Dio la nostra Pace" ed evoca tre idoli del nostro tempo - violenza, rapina, ricchezza - contrari alla dignità dell'uomo e alla convivenza sociale.

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Una pagina dedicata ai Missionari del Sacro Cuore, che celebrano i 150 anni della loro fondazione.

 

Nelle estere, in rilievo l'Iraq. A Falluja infuriano i raid aerei Usa e gli scontri armati. Rapiti, a Baghdad, tre membri della famiglia del Premier Allawi.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Testi in merito alla riedizione de "La trappola colorata" di Luciano Folgore.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della finanziaria.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 novembre 2004

 

IL LEADER PALESTINESE YASSER ARAFAT TRA LA VITA E LA MORTE.

ISRAELE CONFERMA L’EVENTUALE SEPOLTURA A RAMALLAH.

I FUNERALI SI SVOLGERANNO A IL CAIRO.

 

Sono ancora ore di attesa per la sorte del leader palestinese Arafat, ricoverato dal 29 ottobre scorso in condizione critiche in una clinica di Parigi. Dal Medio Oriente intanto è arrivata la conferma israeliana per un’eventuale sepoltura a Ramallah dell’anziano leader. Proprio nella città della Cisgiordania è in corso la riunione del comitato centrale del Fatah e dell’Olp. Fuori la Muqata, quartier generale palestinese, si sono intanto riuniti i fedelissimi di Arafat, nell’attesa di un annuncio che sembra imminente da giorni, cioè quello della morte dello stesso presidente. Da Ramallah, ci riferisce Barbara Schiavulli:

 

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Secondo la radio israeliana, si è riunito il governo dentro al Muqata, il quartier generale di Arafat, per decidere per la prima volta in 40 anni il nuovo capo dell’OLP; sono in corso anche i preparativi per i funerali di Yasser Arafat. Sono appena giunti quattro bulldozer e diversi camion per cominciare a spostare le macerie all’interno del complesso. Ironia della sorte: il raìs non è stato ancora dichiarato ufficialmente morto. Con ogni probabilità i funerali si svolgeranno al Cairo, e poi la salma verrà trasportata, dopo l’ok di Israele, a Ramallah, nel Muqata, che da ultima prigione di Arafat (vi ha trascorso tre anni confinato dagli israeliani) si trasformerà in un mausoleo, sia pur temporaneo, fino a quanto i palestinesi saranno liberi di seppellirlo a Gerusalemme, come il presidente desiderava.

 

Barbara Schiavulli, da Ramallah, per la Radio Vaticana.

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Intanto la Francia sta preparando “tutte le disposizioni necessarie in collegamento con la famiglia e le autorità palestinesi” per il rimpatrio del corpo del presidente Yasser Arafat: lo ha dichiarato oggi il portavoce del governo, Jean-Francois Copé. Ma cosa rappresenta Arafat per i palestinesi? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre Emile Salayta, del Patriarcato Latino di Gerusalemme, che per anni ha vissuto a Ramallah:

 

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R. – Arafat è sempre stato un simbolo per il popolo palestinese, fin dal ’69, quando è divenuto presidente dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina. E’ stato il rappresentante del popolo palestinese. E questo ancor di più da quando ha fissato la sua sede a Ramallah come capo di Stato, dopo tanti anni di diaspora.

 

D. – Perché questa lunga serie di voci e smentite sulla sua sorte?

 

R. - Non è facile all’improvviso diffondere la notizia della sua morte o dell’aggravarsi delle sue condizioni. E questo perché forte sarà lo choc per il popolo palestinese, che ha vissuto 40 anni con Arafat come leader.

 

D. – Si parla di una eventuale sepoltura di Arafat alla Muqata di Ramallah. Per i palestinesi cosa significa?

 

R. – Direi il male minore. Per i palestinesi c’è  sempre il desiderio di seppellire Arafat a Gerusalemme, ma questo con gli israeliani sembra essere una cosa impossibile al momento.

 

D. – Quale sarà la priorità del successore di Arafat?

 

R. – Sono tanti al momento i gruppi militanti e c’è l’Intifada. Lo scopo primario sarà sicuramente quello di mantenere l’unità nazionale: in questi giorni è chiaro ed ovvio che tutto il popolo sia unito psicologicamente proprio perché c’è il forte pericolo di perdere Arafat. Il prossimo presidente dovrà riuscire ad investire su questo capitale di sentimenti nazionali, riuscendo a mantenere il popolo insieme, anche  nel  processo  di  pace. Mi auguro pure che Israele sia pronto a dialogare con i palestinesi.

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LA QUESTIONE IRACHENA, LA NUOVA CORSA AGLI ARMAMENTI E IL PROBLEMA

DEI NUOVI TEST SULLE ARMI NUCLEARI, LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI,

LA DIVISIONE TRA NORD E SUD DEL MONDO: QUESTI I TEMI AL CENTRO DEL QUINTO SUMMIT MONDIALE DEI PREMI NOBEL PER LA PACE, DA OGGI A ROMA

- Servizio di Barbara Castelli -

 

“Un mondo unito o un mondo diviso? Multietnicità, diritti umani, terrorismo”: con questo slogan ha preso il via oggi a Roma il quinto summit mondiale dei Premi Nobel per la pace. L’incontro, ormai uno tra gli appuntamenti più importanti per l’elaborazione di proposte nell’ambito delle risoluzioni pacifiche dei conflitti e dei temi più rilevanti della politica internazionale, si chiuderà venerdì. Il servizio è di Barbara Castelli:

 

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In una fredda giornata di pioggia, i Premi Nobel per la pace si sono ritrovati per la quinta volta a Roma per scandagliare le contraddizioni del nostro tempo e riaccendere la speranza su un mondo di pace. “Ci troviamo di fronte ad un’enorme bomba innescata, il cui ticchettio è udibile ormai anche da orecchie molto distratte”: con questa metafora, Walter Veltroni ha sintetizzato i drammi che oggi sconvolgono il mondo e che richiedono un immediato e corale intervento. Dal palco del prestigioso Incontro mondiale, il sindaco capitolino ha parlato della voragine in cui sembra essere sprofondato l’Iraq; della crisi in Medio Oriente, resa ancora più incerta con l’ormai prossimo avvicendamento del leader palestinese Arafat; della strage dei bambini di Beslàn, trattati come merce senza valore; del divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

 

“Il mondo geme di dolore”, gli ha fatto eco Kim Dae Jung, Premio Nobel per la pace e presidente della Corea del Sud. “Abbiamo una missione importantissima – ha detto – quella di costruire un mondo di comprensione. Abbiamo grandi onori, come premi Nobel – ha concluso – ma anche grandi responsabilità”. E’ impensabile, oggi, preoccuparsi solo dei propri interessi nazionali – ha sottolineato poi Mikhail Gorbaciov - Dobbiamo tutti insieme preoccuparci dell’intera umanità”.

 

Additando nella sicurezza mondiale, nella lotta alla povertà e nella tutela dell’ambiente le pietre angolari della costruzione di un nuovo edificio, che possa accogliere l’intera umanità, Gorbaciov nel suo intervento non ha mancato di concretezza: “Basta con le discussioni intelligenti e sagge – ha detto – dobbiamo passare ai cambiamenti concreti, alla vita reale”. Gorbaciov non ha poi mancato di criticare la lentezza della politica dinanzi ai cambiamenti, invitando tutti ad abbandonare le incertezze per permettere alla pace e alla comprensione tra i popoli di spiccare il volo.

 

I numerosi interventi della mattina hanno inoltre acceso i riflettori sulla mortificante condizione in cui vivono migliaia di bambini nel mondo: “Il futuro dell’umanità – hanno ricordato – langue negli angoli delle strade, in un mercato degli orrori dove si intrecciano storie di povertà, di prostituzione, di malattie, di solitudine”. Dinanzi ai bambini soldato, ai bambini cui tutto è rifiutato, dall’amore della famiglia fino ai diritti più basilari, la comunità internazionale non può più tacere. “Oggi sempre di più i bambini hanno diritto a vivere – ha dichiarato Giovanni Micali, presidente dell’UNICEF, Organizzazione Nobel per la pace – e non a sopravvivere.

 

Dal Campidoglio, per la Radio Vaticana, Barbara Castelli.

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INAUGURATO STAMANE L’ANNO ACCADEMICO 2004-2005

DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, FONDATA NEL 1773.

ALLA CERIMONIA, APERTA DAL CARDINALE RUINI, PRESENTE LECH WALĘSA

- Intervista con mons. Rino Fisichella -

 

“L’Università del Papa”: così, nel 1980, Giovanni Paolo II definì la Pontificia Università Lateranense. Stamani l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2004-2005, presso l’aula magna dell’Ateneo. Alla cerimonia, aperta dal cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, ha preso parte anche il presidente emerito della Polonia, Lech Walęsa, Nobel per la Pace nel 1983. Ma con quale spirito e con quali prospettive inizia questo nuovo anno? Roberta Moretti ha intervistato il rettore dell’Ateneo, mons. Rino Fisichella:

 

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R. – Il nuovo anno Accademico inizia con entusiasmo perché, come ogni anno, c’è bisogno di saper accogliere le novità che sono presenti nella Chiesa, nel mondo contemporaneo per farne un tesoro. Gli studenti sono già affluiti all’Università in maniera sempre numerosa perchè le lezioni sono iniziate ormai da un mese. Debbo dire che questo nuovo Anno accademico ci riporta come sempre all’augurio di dover essere capaci di scienza e di sapienza.

 

D. – Cosa rappresenta la presenza di Lech Walesa all’inaugurazione del nuovo Anno accademico?

 

R. – Rappresenta un segno concreto di un uomo che in forza della sua fede è stato capace di diventare anche promotore di libertà. Non dimentichiamo che proprio il 10 novembre del 1981 veniva approvato lo statuto di Solidarnosc. Quindi avere con noi Lech Walesa, che è stato un segno e un simbolo di libertà, proprio nel momento in cui si dà il via con il Trattato di Roma alla firma di una nuova convenzione per una nuova Europa ci è sembrato particolarmente significativo  per i nostri studenti.

 

D. – Come si conciliano fede e cultura alla Lateranense?

 

R. - Le culture sono aperte alla fede. Guai se non lo fossero e la fede è capace per sua stessa natura di inserirsi all’interno delle diverse istanze culturali e di darne anche un orientamento veritativo. Io credo che la grande sfida che tocca oggi il Laterano, ma anche le altre università, sia proprio quella di riportare al centro la dimensione della verità cercando di favorire le nuove generazioni perché non pensino che la fede sia forte perché la ragione è debole. La fede è forte perché c’è una ragione forte che la sostiene e egualmente la ragione può essere forte nella misura in cui si fa accompagnare anche da una fede che la può orientare decisamente.

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CHIESA E SOCIETA’

10 novembre 2004

 

 

TRADOTTA IN URDU LA LETTERA APOSTOLICA

 DI GIOVANNI PAOLO II SULL’EUCARISTIA

 

FAISALABAD. = I fedeli pakistani possono leggere la lettera apostolica “Mane Nobiscum Domine” in lingua urdu. Il documento di Giovanni Paolo II sull’Eucaristia è stato tradotto nella lingua ufficiale del Pakistan da padre Aftab James Paul, in occasione dell’Anno eucaristico, indetto dal Pontefice nell’ottobre 2004. In questo modo - ha sottolineato mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad -  i fedeli potranno capire meglio e approfondire le riflessioni del Papa. La lettera apostolica, disponibile in tutto il Paese, è stata studiata nel primo di tre meeting organizzati dalla diocesi a Chak Jhumra, 30 chilometri a est di Faisalabad. I partecipanti hanno creato un comitato di 4 membri che analizzerà tutti i documenti inerenti all’Anno eucaristico. Mons. Coutts ha chiesto che tutte le feste religiose e i corsi di aggiornamento della catechesi siano incentrati sull’Eucaristia. Il documento papale verrà studiato anche a livello locale fra i fedeli. Le riflessioni sull’Eucaristia saranno approfondite anche nell’annuale ritiro spirituale dei preti della diocesi di Faisalabad, in programma dal 15 al 19 novembre al Renewal Centre, centro culturale di Lahore. In una lettera inviata ai fedeli il vescovo ha chiesto alla comunità di pregare per lui e per i preti che parteciperanno al ritiro. (R.M.)

 

 

PROMUOVERE IN THAILANDIA LA FAMIGLIA CRISTIANA COME CHIESA DOMESTICA

E NUCLEO FONDAMENTALE DELLA PARROCCHIA. QUESTO,

 LO SCOPO DEL CONGRESSO ANNUALE DEI SACERDOTI THAILANDESI,

CONCLUSOSI NEI GIORNI SCORSI NEI PRESSI DI BANGKOK

 

SAM PHRAN. = Promuovere in Thailandia la famiglia cristiana come Chiesa domestica e come nucleo fondamentale della parrocchia. Con questo impegno si è concluso recentemente a Sam Phran, nella cintura di Bangkok, il congresso annuale dei sacerdoti thailandesi dedicato quest’anno appunto alla famiglia. Al congresso, organizzato dalla Commissione episcopale per il clero, hanno partecipato più di 200 sacerdoti che hanno discusso le strategie pastorali per rafforzare la famiglia  di fronte alle  sfide poste dalla società  dell’era  della globalizzazione. Obiettivo, questo, prioritario nel piano pastorale decennale dei vescovi thailandesi, che a questo scopo hanno recentemente costituito una commissione ad hoc con il compito di coadiuvare la competente Commissione episcopale per la famiglia. Dopo avere esaminato i principali problemi che oggi minano l’istituto familiare in Thailandia e sottolineato il ruolo centrale dei parroci quali suoi tutori, i partecipanti hanno definito le linee pratiche di intervento in questo ambito. Si è parlato in particolare di migliorare la qualità dei corsi di preparazione pre-matrimoniale, di visite più frequenti dei parroci presso le famiglie, di incoraggiare il coinvolgimento di queste ultime nella vita delle parrocchie, di programmi pastorali specifici per le coppie con situazioni irregolari per la Chiesa e di un maggiore coinvolgimento dei laici nelle attività della pastorale familiare. (L.Z.)

 

 

ASPRA PROTESTA DEL PREMIO NOBEL PER LA PACE NEL 2003, SHIRIN EBADI,

CONTRO LE AUTORITA’ IRANIANE: ALL’AVVOCATESSA, IMPEGNATA NELLA DIFESA

 DEI DIRITTI DELLE DONNE E DEI BAMBINI, RIFIUTATO IL PERMESSO

PER UNA MANIFESTAZIONE CONTRO LE ESECUZIONI CAPITALI

DI MINORENNI NELLA REPUBBLICA ISLAMICA

 

TEHERAN. = L’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace nel 2003, ha protestato con le autorità di Teheran che non le hanno concesso il permesso di organizzare una manifestazione contro le esecuzioni capitali di minorenni in Iran. Lo scrive oggi il quotidiano della Repubblica islamica, “Hambastegi”. Il raduno si sarebbe dovuto svolgere nel Parco Laleh, nel centro della capitale iraniana, ma il ministero dell'Interno ha rinviato la questione al Governatorato generale di Teheran, che, dopo lunghe discussioni, non ha dato l'autorizzazione. “Non capisco il perchè – ha affermato la legale, specializzata nella difesa dei diritti delle donne e dei bambini – visto che l’Iran è firmatario, fin dal 1993, della Convenzione internazionale per i diritti dei bambini, che proibisce appunto le esecuzioni capitali di persone minorenni”. “Al Governatorato – ha aggiunto la Premio Nobel – chiedo anche di sapere quante autorizzazioni ha concesso finora per manifestazioni pubbliche, che sono garantite dalla Costituzione”. La questione delle esecuzioni di minorenni è tornata alla ribalta in Iran nell’agosto scorso, quando organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno denunciato l’impiccagione sulla pubblica piazza, nel nord del Paese, di una ragazza di 16 anni riconosciuta colpevole di “atti incompatibili con la castità”. Secondo Amnesty International, l'esecuzione, per la quale ha protestato anche l'Unione Europea, è la decima inflitta a minorenni a partire dal 1990 in Iran. (R.M.)

 

 

SODDISFAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DELL’UNIONE AFRICANA,

KONARE’, PER LA FIRMA DEI PROTOCOLLI SOTTOSCRITTI IERI IN NIGERIA,

TRA IL GOVERNO DEL SUDAN E I RIBELLI ATTIVI NELLA REGIONE DEL DARFUR

 

ADDIS ABEBA. = Il presidente della commissione dell’Unione Africana (Ua), Alpha Oumar Konarè, si è felicitato per la firma di due accordi su sicurezza e accesso umanitario tra il governo del Sudan e i ribelli della regione del Darfur, dopo due settimane di colloqui di pace ad Abuja, in Nigeria. In un comunicato diramato dalla sede dell’Ua ad Addis Abeba, in Etiopia, Konarè ha sottolineato che la sottoscrizione dei due protocolli ha per obiettivo il “consolidamento” della tregua firmata in Ciad, lo scorso aprile, e ha chiesto alle parti di rispettare “scrupolosamente” gli impegni presi. Il governo di Khartoum, dopo essersi a lungo opposto, ha accettato l’imposizione di una zona di interdizione al volo dei propri aerei da combattimento nel Darfur, richiesta dalla comunità internazionale. Le pressioni esercitate da Onu e dalla stessa UA hanno portato anche alla firma di un’intesa sull’accesso umanitario alla regione, in crisi dal marzo del 2003. Secondo le Nazioni Unite, sarebbero oltre un milione e 400.000 gli sfollati e altri 200.000 i rifugiati nel confinante Ciad. Le parti si sono impegnate a sospendere le operazioni belliche in Darfur e a proteggere i profughi da aggressioni e vessazioni. Gli accordi sono stati firmati alla presenza del presidente nigeriano, Olusegun Obasanjo, presidente di turno dell’UA. Per il governo di Khartoum, ha sottoscritto il documento il ministro dell’Agricoltura, Majzoub al-Khalifa, mentre i due gruppi ribelli, l’Esercito di liberazione sudanese (SLA-M) e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM), erano rappresentanti dai loro responsabili. (R.M.)

 

 

INAUGURATA NEI GIORNI SCORSI, PER IL QUARTO ANNO CONSECUTIVO,

LA CATTEDRA “DONNA E CRISTIANESIMO”, PRESSO LA PONTIFICIA FACOLTA’ TEOLOGICA “MARIANUM” DI ROMA. TRA GLI SCOPI DEL CORSO,

 FARE “UNA TEOLOGIA AL FEMMINILE CON INTELLIGENZA”

 

ROMA. = “Per una storia della donna”: questo il tema della prima lezione di quest’anno della cattedra “Donna e Cristianesimo”, inaugurata lunedì scorso presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma. Come dichiarato dal rettore della Facoltà, Padre Silvano Maggiani, Servo di Maria, “nei corsi della cattedra si fa una teologia al femminile con intelligenza”, per entrare “sempre di più nel mistero di Maria, la donna di Nazareth”. Scopo del corso, nato quattro anni fa, è “studiare i molteplici aspetti della condizione femminile nelle varie epoche storiche, nelle diverse culture e religioni, soprattutto nel cristianesimo” e “compiere una ricognizione della condizione della donna nei vari continenti all'inizio del Nuovo Millennio”, spiegano gli organizzatori. La cattedra si articola in due percorsi: nel primo, storico-teologico, si parlerà di “Maria nel pensiero della mistica femminile”, “Donne e teologia morale” e “Ermeneutica del percorso”; il percorso biblico, invece, inizierà a marzo 2005 e si concentrerà su “Le donne nell'Antico e nel Nuovo Testamento”. Tra i temi affrontati quest’anno, figurano anche: “Le immagini di Maria al cinema”, “La donna tra mito profetico e realtà rivelativa nella Cappella Sistina” e “Le donne discepole all'inizio della tradizione su Gesù”. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 novembre 2004

 

 

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

Ancora una giornata contrassegnata dal sangue in Iraq. Falluja è per il terzo giorno consecutivo scenario di una violenta battaglia. L’esercito statunitense è riuscito ad occupare il 70% delle città e conta di controllarla completamente nel giro di 48 ore. Ma dal resto del Paese continuano a giungere notizie di violenze, soprattutto dal Nord. La cronaca di queste ultime ore nel nostro servizio:

 

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Più della metà delle moschee di Falluja sono andate distrutte sotto i bombardamenti e i colpi dell'artiglieria americana. Lo ha riferito un giornalista iracheno ad al-Jazira. Questa mattina sulla città sunnita sono ripresi i bombardamenti dell’esercito statunitense, ma anche combattimenti tra i miliziani e le truppe americane che occupano, secondo una fonte militare, il 70 per cento del centro abitato. L’intera città dovrebbe, invece, finire in mano ai marines nel giro di 48 ore. Sarebbero 11 i militari americani rimasti uccisi nelle ultime ore. Ignoto, invece, il numero dei morti tra i civili, anche se la Croce Rossa Internazionale denuncia una situazione drammatica, con migliaia di persone, soprattutto donne, vecchi e bambini, rifugiatisi nei villaggi limitrofi, senza cibo, acqua e medicinali. Nessuna notizia definitiva nemmeno sui ribelli legati al giordano Al Zarqawi. La resistenza sembra inferiore alle previsioni, anche se molto ben organizzata. La guerriglia, dal canto suo, mette a segno altri colpi: il rapimento di tre familiari del premier ad interim, Iyad Allawi, prelevati questa mattina da un commando di uomini armati mentre stavano uscendo di casa. Un gruppo integralista islamico ha rivendicato il sequestro, minacciando di ucciderli se il governo ad interim non farà cessare l'offensiva militare su Falluja entro 48 ore.

 

Ma la violenza infuria anche a Nord: quattro persone tra cui un bambino sono state uccise e numerose altre ferite in attacchi a Samarra e Baquba. Colpi di arma da fuoco ed esplosioni stanno interessando, invece, la città di Mossul: sarebbe in corso una battaglia tra marines e guerriglia locale. Elicotteri statunitensi sorvolano l’intera zona. Poco fa, infine, uomini mascherati armati di lanciarazzi e fucili d'assalto hanno bloccato un ponte  e una strada principale nella parte occidentale di Baghdad. 

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Situazione sempre estremamente difficile anche in Costa d’Avorio, dove si assiste in queste ore ad una vera e propria corsa contro il tempo per l’evacuazione degli stranieri, in fuga dagli scontri tra i ribelli delle “Forze Nuove”, che controllano il nord del Paese, ed i governativi fedeli al presidente Gbagbo. Mentre si appresta il trasferimento dei cittadini francesi, il presidente sudafricano Thabo Mbeki, ieri ad Abijan, ha proposto di ospitare nel proprio Paese colloqui di pace tra le parti in guerra. Abbiamo raggiunto telefonicamente Padre Graziano Michelà, del PIME di Milano, fino a qualche settimana fa in Costa d’Avorio. Eugenio Bonanata gli ha chiesto un commento sulle richieste avanzate dai ribelli:

 

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R. – Hanno sempre chiesto di poter essere integrati nel governo e gli è stato concesso; hanno chiesto di ridare la nazionalità a 3 milioni di immigrati; chiedono soprattutto di poter rivedere l’articolo 11 della Costituzione e chiedono di cambiare questo articolo per dire che colui che deve essere eletto presidente della Costa d’Avorio, debba essere qualcuno anche non ivoriano al cento per cento.

 

D. – Quali sono, dunque, le richieste del popolo ivoriano?

 

R. – Di poter ritornare a casa. Da due anni sono fuori casa e vivono nella parte sud del Paese. Soprattutto sperano di trovare la loro casa. Ciò che non è stato detto è che le città sono state interamente distrutte.

 

D. – Come valuta l’atteggiamento francese nei confronti di questa crisi?

 

R. – Sono lì come forze dell’Onu, ma invece non stanno svolgendo il ruolo che l’Onu dovrebbe svolgere. La presenza della Francia e la crisi che la Costa d’Avorio sta vivendo non è dovuta a problemi interni. Non si è ascoltato il popolo della Costa d’Avorio, non sono stati ascoltati i vescovi, che lo avevano denunciato.

 

R. – Sul fronte diplomatico cosa potrebbe nascere in seguito all’intervento del presidente sudafricano Thamo Mbeki?

 

D. – Io credo molto in questo intervento. A questo punto della crisi delle diverse parti in causa, infatti, la questione si è inasprita molto e la reazione dei francesi è stata esagerata. Sono convinto, dunque, che una persona dal di fuori possa dare un grande aiuto. La base si costruisce insieme, soprattutto se si è disposti, nella giustizia, nel rispetto di ogni popolo, a darsi un governo, una struttura giuridica, una costituzione, ad autodeterminarsi. Quindi, ciascuna delle due parti in causa, sedendosi attorno ad un tavolo, si dovrebbe rimettere in discussione, capire che l’altro non è un nemico ma è un fratello, e quindi dovrebbe poter avviare un processo di pace.

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E’ stato licenziato il vice-presidente burundese, Alphonse-Marie Kadege, esponente dell’etnia minoritaria dei Tutsi. La decisione è stata presa dal presidente burundese hutu, Domitien Ndayizeye. Lunedì scorso, Kadege aveva detto che alcune persone dell’attuale classe politica burundese non credevano alla tenuta del referendum costituzionale, previsto per il prossimo 26 novembre.

 

Altissima la tensione in Olanda. E’ in corso all'Aja una maxi-operazione antiterrorismo. La polizia ha infatti circondato un covo di persone sospette, asserragliatesi in un edificio della città. Durante il blitz, scattato questa notte, tre agenti sono rimasti feriti dallo scoppio di una granata lanciata dai ricercati. Prima dell’operazione era stato chiuso lo spazio aereo sopra l'Aja e tutta l’area circostante il covo era stata evacuata.

 

Intanto, centinaia di persone hanno reso omaggio, ieri pomeriggio ad Amsterdam, al regista Theo Van Gogh, ucciso martedì scorso da un marocchino, naturalizzato olandese, che lo ha pugnalato a morte per le sue idee anti-islamiche. Nella notte una scuola musulmana è stata data alle fiamme a Uden, villaggio dell’Olanda meridionale, in risposta all’uccisione del cineasta.

 

Il “Vlaams Blok”, partito di  estrema destra del Belgio, è razzista. A confermarlo è la Corte di Cassazione che ha ritenuto fondata la condanna della Corte di appello di Gand pronunciata nell'aprile scorso contro tre associazioni satelliti del partito, colpevoli di aver violato la legge contro il razzismo e la xenofobia.

 

Giappone e Corea del Nord hanno avviato a Pyongyang colloqui decisivi sul problema di 10 giapponesi rapiti dai servizi segreti nordcoreani negli anni '70 e '80, ostacolo alla riapertura di negoziati per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, ancora privi di relazioni diplomatiche.

 

Un sottomarino non identificato è penetrato in acque territoriali giapponesi e la Marina di Tokyo è stata mobilitata per inseguirlo. Lo ha reso noto un portavoce del governo, precisando che l'intrusione è avvenuta attorno alle isole dell'arcipelago meridionale di Okinawa, vicine ad un gruppo di scogli e isolette disabitate, conteso tra Giappone, Cina e Taiwan. 

 

Ci trasferiamo in Italia. La maggioranza è stata battuta ieri alla Camera sul primo voto relativo alla legge Finanziaria. A pesare sulla bocciatura l’assenza di numerosi parlamentari della Casa delle Libertà. Il governo ha immediatamente chiesto la sospensione dei lavori. E nella notte il premier Berlusconi ha annunciato che invierà una lettera di ammonimento a tutti i deputati e ai membri della Maggioranza assenti ieri a Montecitorio.

 

Andrea Cianferoni, il cooperante italiano rapito nell'isola di Mindanao, nel sud delle Filippine, è stato liberato dai suoi sequestratori. Lo ha annunciato un portavoce dell'esercito, spiegando che il ventinovenne agronomo italiano, che lavora per l'organizzazione non governativa Movimondo, è stato consegnato alle autorità locali della provincia di Lanao del Norte, non lontano da dove era stato rapito.

 

 

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