ADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
309 - Testo della trasmissione di giovedì 4 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Si aggravano le condizioni di Arafat: il leader palestinese
sarebbe in coma: con noi Antonio Ferrari
CHIESA E SOCIETA’:
Sciopero della fame per liberare un monaco tibetano in
pericolo di vita in Cina
Congresso a Milano dell’Associazione Fatebenefratelli per la ricerca biomedica e sanitaria.
In Iraq continuano i
raid americani su Falluja. Ed in seguito alla situazione, sempre più esplosiva,
Medici Senza Frontiere ha reso noto di aver chiuso tutti i suoi progetti nel
Paese
Avviati i negoziati in
Afghanistan per arrivare alla liberazione dei tre impiegati dell’ONU rapiti a
Kabul
4 novembre 2004
INCONTRO STAMANE IN VATICANO TRA GIOVANNI
PAOLO II E IL PRIMO MINISTRO
IRACHENO
ALLAWI: IL SANTO PADRE HA INCORAGGIATO IL POPOLO IRACHENO
A
CONTINUARE IL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE, ASSICURANDO IL CONTRIBUTO DEI
CRISTIANI, MA HA CHIESTO GARANZIE
PER IL
RISPETTO DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA
- Intervista con Giuliana Sgrena -
In
udienza dal Papa stamane il primo ministro ad interim dell’Iraq, Ayad Allawi,
accolto alle 11 nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico. Dopo il colloquio
con il Santo Padre, durato circa 10 minuti, il leader iracheno si è intrattenuto
con il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato ed altri rappresentanti vaticani.
Temi al centro dei colloqui la pacificazione e la ricostruzione dell’Iraq, ma
anche la libertà religiosa e la situazione dei cristiani. Allawi da ieri a Roma
- si è incontrato questa mattina anche con il presidente del Consiglio italiano
Silvio Berlusconi. Il servizio di Roberta Gisotti.
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“Sono lieto di accoglierla in Vaticano e di assicurare la mia continua
vicinanza al popolo iracheno, così duramente provato dalle tragiche sofferenze
di questi anni recenti”, ha dichiarato Giovanni Paolo II al primo ministro
iracheno. “Prego per tutte le vittime del terrorismo e della sfrenata violenza,
per le loro famiglie e per tutti coloro che generosamente lavorano per la
ricostruzione del suo Paese. Desidero incoraggiare – ha aggiunto il Papa – gli
sforzi fatti dalla popolazione irachena per ristabilire le istituzioni
democratiche, perché siano realmente rappresentative e impegnate a difendere i
diritti di tutti, nel completo rispetto delle diversità religiose ed etniche
che sono state sempre una fonte di arricchimento per il suo Paese. Sono
fiducioso – ha concluso il Santo Padre – che la comunità cristiana, presente in
Iraq dal tempo degli Apostoli darà il suo contributo per la crescita della
democrazia e la costruzione di un futuro di pace nella regione.”
Il leader iracheno è giunto ieri sera a Roma, per la prima volta in
visita in Italia, proveniente da Amman in Giordania, nell’ambito di un viaggio
che lo porterà anche a Bruxelles, dove domani avrà incontri con i massimi
vertici della Nato e dell’Unione Europea. Scopo della sua missione all’estero è
di concretizzare sia nel mondo arabo che in quello occidentale il sostegno al
suo governo provvisorio in vista delle prossime elezioni previste nel gennaio
2005.
Per questo stamane al termine del suo colloquio con il presidente del
Consiglio italiano Berlusconi, Allawi ha lanciato un appello: mi rivolgo – ha
detto - "ai Paesi che si sono accontentati del ruolo di spettatori nella
questione irachena per costruire un Iraq migliore, un Paese che è determinato a
tornare nella comunità internazionale e che è determinato a far ritornare la
comunità internazionale verso di sé". Allawi ha poi ringraziato l'Italia
"per la sua posizione umanitaria” e per “il sostegno continuo” alla
“costruzione di un Iraq costituzionale, democratico e libero”, sono le sue
parole. Dal canto suo Berlusconi ha ribadito l’impegno del Contingente italiano
in Iraq secondo le richieste del legittimo governo iracheno.
Ayad Allawi, insediato nell’incarico ad interim il 28 giugno scorso, non
senza contestazioni e polemiche per i suoi stretti legami con l’Amministrazione
Bush e per i suoi trascorsi di ex esule in contatto con la Cia ed altri servizi
segreti. Nato da una famiglia benestante di commercianti sciiti, aderente,
mentre era studente a Baghad, al partito governativo Baath, poi fuoriuscito nel
1971 durante il periodo universitario a Londra, in opposizione con la politica
di Saddam Hussein. Medico neurologo, uomo d’affari, con intensi contatti in
Medio Oriente, Allawi ha svolto un ruolo molto importante nella dissidenza
irachena all’estero e una volta caduto il regime di Saddam Hussein è stato
nominato da Washington membro del Consiglio di governo iracheno, per poi
guidare l’attuale governo di transizione.
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Da
sottolineare, nel colloquio tra Giovanni Paolo II ed Allawi, il fermo richiamo
rivolto dal Papa perché in Iraq venga garantito il rispetto della libertà
religiosa. Ricordiamo infatti le preoccupazioni per i cristiani in Iraq – una
piccola minoranza della popolazione – messa in pericolo dal clima di violenze e
di intolleranze religiose che percorrono il Paese, con diversi attentati
consumati ai danni di chiese, cui ha fatto riferimento – ha reso noto una nota
della Sala Stampa Vaticana – lo stesso primo ministro iracheno, deplorando gli
attacchi e assicurando da parte del suo governo la volontà di procedere al
restauro delle chiese. Sulla situazione di insicurezza che vivono i cristiani,
ascoltiamo la testimonianza della collega Giuliana Sgrena, appena rientrata
dall’Iraq:
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R. –
Sicuramente è molto peggiorata per i cristiani, perché in fondo Saddam, nonostante
fosse leader di un regime sanguinario, aveva garantito, se non la libertà religiosa,
almeno la libertà di culto per i cristiani. Adesso, l’ultima volta – io sono
appena tornata dall’Iraq – ho trovato una situazione veramente disastrosa, non
solo per i bombardamenti alle chiese, ma anche perché i cristiani hanno veramente
paura, sono terrorizzati. Per esempio, quelli che vendevano alcolici sono stati
spesso uccisi o comunque costretti a chiudere i loro negozi. C’è poi una persecuzione
nei loro confronti e quindi molti sono fuggiti al nord, soprattutto da Bassora,
e si dice che 40 mila siano andati via dal Paese. Quindi, sicuramente da questo
punto di vista, la situazione è molto peggiorata.
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FESTA
IN VATICANO PER L’ONOMASTICO DEL PAPA, NELLA RICORRENZA
DI SAN CARLO BORROMEO. GLI
AFFETTUOSI AUGURI DI MILLE
PELLEGRINI POLACCHI IN AULA PAOLO
VI
- Servizio di Barbara
Castelli -
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Nell’odierna
memoria di san Carlo Borromeo, grande festa in Vaticano per l’onomastico di
Giovanni Paolo II. Come di consueto, il Papa ha celebrato l’occasione ricevendo
in aula Paolo VI un folto e affettuoso gruppo di pellegrini polacchi, venuti
questa volta soprattutto dalla diocesi di Danzica e da quella di Tarnów.
L’esempio di san Carlo Borromeo, di cui ieri è ricorso il 420.esimo anniversario
della morte, ha detto il Papa, “faccia ardere in noi l’amore per il Salvatore,
che ha voluto rimanere con noi sotto le specie del pane e del vino”. “Egli è
stato uno zelante vescovo – ha proseguito Giovanni Paolo II – riformatore della
Chiesa dopo il Concilio di Trento e un grande sostenitore dei poveri. La sua
pietà si è fondata sull’amore della croce di Cristo e del mistero della Sua
morte e risurrezione”. “Quest’amore – ha concluso, ringraziando tutti per la
calorosa manifestazione di affetto – si è espresso nella cura per la devota
celebrazione della Santa Messa e nell’adorazione di Cristo presente
nell’Eucaristia”.
Come
ogni anno, dunque, i pellegrini polacchi sono giunti in Vaticano per recare i
propri auguri per l’onomastico del Papa. Su questa tradizione il collega della
redazione polacca Stanislaw Tasiemky ha raccolto il commento dell’arcivescovo
di Danzica, mons. Tadeusz Goclowski:
R. – Abbiamo cominciato nel 1979
e cioè 25 anni fa. Ogni anno, arriviamo a Roma per essere vicino al Santo Padre
nel giorno della sua festa onomastica. Naturalmente ci sono sempre circostanze
diverse riguardo alla nostra presenza: adesso viviamo in un’Europa unita e c’è
l’occasione per approfondire la conoscenza dei valori cristiani in questo mondo
secolarizzato, che diventa – come alcuni sostengono – post-cristiano. Noi, in
Polonia, abbiamo una tradizione profondamente cristiana e ben fondata sui
valori del Vangelo ed è questo che vogliamo dire al Santo Padre.
D. – A Danzica è nato 25 anni fa
il movimento sindacale Solidarnosc. Cosa è cambiato oggi?
R. – 25 anni fa, ovviamente, la
situazione era completamente diversa rispetto ad ora. I lavoratori hanno,
invece, sempre gli stessi problemi: trovare un lavoro e la disoccupazione.
D. – Attualmente l’80 per cento
di tutte le imprese sono private. Quale effetto ha creato nella vita dei
lavoratori questo cambiamento economico?
R. – Siamo nel periodo della
trasformazione e così anche i posti di lavoro sono ora nelle mani di privati.
Si sta cercando e si spera sempre nella buona volontà degli imprenditori per
avere nuovi posti di lavoro, che permettano quindi di risolvere il problema
della disoccupazione. Un problema, questo, sempre fondamentale e non soltanto a
Danzica, ma in tutta la Polonia. Ci sono posti dove c’è il 30 per cento della
disoccupazione. Questa è veramente una cosa terribile.
D. – Che ruolo ha La parola del
Santo Padre in questa situazione?
R. – Credo che senza le visite
che ha fatto in Polonia il Santo Padre, senza il suo insegnamento in campo
sociale, sarebbe sicuramente molto più difficile trovare le strade giuste per
risolvere questi problemi sociali. Penso che l’influsso del Santo Padre sia
enorme nella vita della Polonia.
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ABBIATE
PIENA FIDUCIA NEL SIGNORE GESU’ E PONETE L’EUCARISTIA
AL CENTRO DELLA VOSTRA ESISTENZA: E’ L’INVITO
DEL PAPA
ALLA
COMUNITA’ DI LANCIANO-ORTONA, IN OCCASIONE
DEL PRIMO CENTENARIO DELLA DEDICAZIONE DELLA
RINNOVATA
BASILICA
CATTEDRALE DELLA MADONNA DEL PONTE IN LANCIANO
Gioia
di Giovanni Paolo II per lo speciale Anno eucaristico-mariano indetto dalla
comunità di Lanciano-Ortona, in occasione del primo centenario della Dedicazione
della rinnovata Basilica Cattedrale della Madonna del Ponte in Lanciano.
L’iniziativa risponde all’appello del Papa contenuto nell’Enciclica “Ecclesia
de Eucaristia”. I contenuti del messaggio del Pontefice per l’occasione nel
servizio di Barbara Castelli:
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“E’ mio vivo
desiderio che, durante l’Anno dell’Eucaristia, ogni Comunità diocesana rinnovi
pubblicamente il suo atto di fede in Gesù presente nel Sacramento dell’Altare.
Per noi cristiani l’Eucaristia è tutto: è il centro della nostra fede e la
sorgente di tutta la nostra vita spirituale”. In un lungo e denso messaggio Giovanni
Paolo II esprime tutta la sua gioia per lo speciale Anno eucaristico-mariano
indetto dalla comunità di Lanciano-Ortona, in occasione del primo centenario della
Dedicazione della rinnovata Basilica Cattedrale della Madonna del Ponte in Lanciano.
Ricordando come
la città di Lanciano, “custode di ben due miracoli eucaristici”, sia “meta di
numerosi pellegrinaggi dall’Italia e dal mondo intero”, il Papa auspica che “la
devozione mariana si conservi viva nei cuori dei fedeli”. “Se vogliamo perseverare
nel compiere sempre la volontà di Dio – sottolinea – la via migliore è quella
di ascoltare il pressante e materno invito di Maria: ‘Fate quello che vi dirà’”.
Grande attenzione poi è dedicata da Giovanni Paolo II ai giovani, ai quali
chiede di porre piena fiducia nel Signore Gesù, scegliendolo come un “amico speciale”.
“Fatevi suoi discepoli – esorta – nell’ascolto e nella meditazione del santo
Vangelo, servitelo nel prossimo, soprattutto nei fratelli più poveri e
bisognosi, e vi assicuro che troverete ciò di cui avete bisogno per vivere in
pienezza gli ideali della vostra età”.
Un pensiero è
dedicato anche all’apostolo Tommaso, i cui resti mortali sono conservati
“secondo una pia tradizione” nella Cattedrale di Ortona. “La sua vicenda sia
per tutti stimolo a cercare sempre la verità – scrive il Papa – anche quando le
tenebre si infittiscono attorno a noi; a cercarla con amore per condividerla
con i fratelli”.
Nel suo
messaggio, infine, il Pontefice non manca di ricordare i difficili momenti
storici che ha vissuto la comunità di Lanciano-Ortona, nonché diverse altre
parti dell’Abruzzo. “Penso in particolare al fenomeno dell’emigrazione, che per
lunghi anni ha coinvolto tante famiglie. Quante sofferenze! Eppure, con l’aiuto
di Dio, le generazioni del passato hanno saputo resistere con grande pazienza e
con altrettanto coraggio. Spetta a voi ora dimostrare di essere figli degni di
padri e madri così generosi e forti”. “Non mancate di adorare la santa
Eucaristia – conclude Giovanni Paolo II – non solo nella chiesa del miracolo,
ma in tutte le chiese della vostra bella terra. Prego perché il Signore faccia
sorgere nel vostro territorio sante famiglie cristiane, perché, come insegna il
Concilio Vaticano II, sono esse la migliore fucina delle varie vocazioni di cui
vive la Chiesa”.
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4 novembre 2004
GRAVISSIME LE CONDIZIONI
DI SALUTE DI ARAFAT:
IL LEADER PALESTINESE IN COMA, SECONDO I MEDICI FRANCESI
- Ai nostri microfoni Antonio
Ferrari -
Il presidente palestinese Yasser Arafat è da stamani in coma. Il leader
dell’Anp da ieri ha perso più volte conoscenza ed è privo di sensi da diverse
ore, forse sedato dai medici del reparto di terapia intensiva dell’ospedale
militare francese dove è ricoverato dalla scorsa settimana. A Ramallah, intanto,
si stanno per riunire i vertici palestinesi, mentre anche negli ambienti del
governo israeliano si discute sulle conseguenze sul piano sociale delle
condizioni di salute di Arafat. Diverse personalità palestinesi stamani si
erano affrettate a smentire la gravità della situazione, tuttavia poco fa fonti
mediche da Parigi hanno confermato il peggioramento di Arafat che sarebbe in
fin di vita. Sentiamo dalla capitale francese Francesca Pierantozzi:
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Dopo una serie di notizie
contraddittorie, i medici francesi hanno rotto il silenzio: Yasser Arafat è in
coma, le sue condizioni sono molto gravi. Una fonte medica dell’ospedale militare
Percy a Clamart, vicino a Parigi, ha fatto sapere che il 75.enne presidente
dell’Autorità palestinese si trova nel reparto di terapia intensiva e che non
ha più ripreso conoscenza. La notizia dell’improvviso peggioramento delle
condizioni di Arafat è arrivata questa mattina. Fonti palestinesi a Parigi
avevano in un primo tempo smentito, poi confermato che Arafat era stato
trasferito in rianimazione. Il responsabile della politica estera dell’OLP,
Faroud Kaddumi, è arrivato qualche ora fa da Tunisi per seguire da vicino
l’evoluzione delle condizioni del leader palestinese. Anche fonti del ministero
degli esteri israeliano hanno confermato la notizia di un brutale peggioramento
delle condizioni di Arafat, che era stato ricoverato nell’ospedale francese sei
giorni fa. I medici francesi hanno confermato che Arafat presenta un’anomalia
ematica, ma hanno smentito che si tratti di leucemia.
Francesca Pierantozzi, da
Parigi, per la Radio Vaticana.
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Quali sono a questo punto le prospettive per l’Autorità Nazionale
Palestinese. Che cosa succederà ora? Ci risponde Antonio Ferrari, inviato
speciale ed analista del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente a
Gerusalemme da Giancarlo La Vella:
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R. – E’ evidente che in questo
momento non si sa ancora nulla del futuro politico e si dubita che Yasser
Arafat possa avere firmato, prima di entrare in coma, dei documenti per il
passaggio dei poteri. Però, è indicativo il fatto che si trovino a Parigi
contemporaneamente sia Abu Mazen, cioè il primo ministro dell’Autorità
palestinese nominato l’anno scorso e poi costretto alle dimissioni e sostituito
da Abu Ala, lo stesso Mohammed Dahlan, che è l’uomo dei servizi di sicurezza
soprattutto di Gaza, per molto tempo avversario di Arafat, e il terzo, Mohammed
Rashid, cioè il cassiere di Arafat, l’uomo che ha le chiavi dei conti
dell’Autorità palestinese e anche dei conti dell’OLP. Io credo che un certo
quadro sia già stato disegnato, un quadro che prevede che al posto di Arafat,
almeno temporaneamente, vi sia Abu Mazen, attuale numero due dell’Olp con,
naturalmente, Abu Ala come primo ministro e poi, forse, si arriverà alla
parziale ricomposizione di quel primo governo palestinese, in carica l’anno
scorso, che aveva dato qualche speranza di rilanciare il processo di pace. La
componente riformista, insomma – se di riformismo si può parlare – è già preparata.
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LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE GEORGE W. BUSH ALLA
CASA BIANCA.
KERRY SI CONGRATULA ED APRE AD UNA COLLABORAZIONE
PER RIUNIFICARE IL PAESE.
MESSAGGI DI CONGRATULAZIONI DA TUTTO IL MONDO
E GIA’ SI PENSA ALLA NUOVA SQUADRA DI GOVERNO
“Sarò il presidente di
tutti gli americani”. Queste le prime parole pronunciate da Bush dopo
l’ufficializzazione della rielezione. Ieri la svolta nel conteggio dei voti,
quando i democratici hanno preso atto dell’impossibilità di recuperare lo
svantaggio nello Stato dell’Ohio, ritirando qualsiasi contestazione. John
Kerry, dunque, ha telefonato a Bush per le congratulazioni di rito, chiedendo
maggiore cooperazione di fronte ai temi interni ed esteri che impegneranno gli
Stati Uniti. “Sei stato grande” la risposta di Bush. Il servizio di Paolo
Mastrolilli:
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“Quando ci uniamo e lavoriamo
insieme, non ci sono limiti alla grandezza dell’America”. Il presidente Bush ha
voluto lanciare un segnale di apertura ai suoi avversari politici nel discorso
con cui ha celebrato la vittoria nelle elezioni. “Un nuovo mandato – ha detto
il capo della Casa Bianca – è un’opportunità per raggiungere l’intera nazione”.
Bush si è congratulato con il senatore Kerry per la sua campagna ed ha rivelato
di aver avuto con lui una buona conversazione sulla necessità di riunificare
l’America. Si è quindi rivolto direttamente agli elettori democratici,
chiedendo loro di aiutarlo. “Ho bisogno del vostro sostegno – ha detto – e
lavorerò per guadagnarlo”. Il presidente resta, infatti, alla guida di un Paese
diviso sui valori morali, sulla politica economica e su quella estera, mentre
la guerra in Iraq e la lotta al terrorismo continuano. Poco prima Kerry aveva
parlato a Boston, accettando la sconfitta, dopo aver realizzato che nello Stato
dell’Ohio non poteva trovare abbastanza voti per vincere. “Nelle elezioni degli
Stati Uniti – ha detto – non ci sono mai perdenti, perché la mattina dopo ci
svegliamo tutti americani. Questo è il nostro privilegio, ma anche il nostro
obbligo per trovare cause comuni, senza rancore”. Il senatore aveva chiamato il
presidente alle 11.00 di mattina per fare le congratulazioni, ma nel suo
discorso ha detto che “la campagna elettorale non finisce qui” e che lui continuerà
a lottare per l’occupazione, la sanità per tutti, l’ambiente, la reputazione degli
Stati Uniti nel mondo e per i soldati impegnati all’estero. Kerry ha inoltre
sottolineato che l’America deve ora riunificarsi per vincere la guerra al
terrorismo e pacificare l’Iraq.
Da Boston, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Con queste
consultazioni George W. Bush diventa il presidente più votato della storia degli
Stati Uniti con oltre 58 milioni di voti ottenuti. Uno spaccato del suo elettorato
nel servizio di Elena Molinari:
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Bush ha accresciuto i suoi
consensi nell’elettorato ispanico, in quello urbano, tra gli ebrei, i cattolici
e fra le donne. Particolarmente significativa è la quota in più dell’elettorato
femminile, tradizionale feudo democratico: 47 per cento in tutto; quattro punti
percentuali in più del 2000. Sorprende poi che per Bush siano aumentati anche i
voti tra gli elettori urbani: il 43 per cento in tutto. Quanto ai gruppi religiosi,
Bush gode ora di maggior consenso fra i cattolici - nonostante Kerry sia cattolico-
dove ha raccolto un 4 per cento in più rispetto a quattro anni fa. Il
presidente ha poi ottenuto il 21 per cento dei voti in più tra i cristiani
praticanti. E’ interessante notare che Bush ha stravinto fra quegli elettori
che ritengono i valori morali più importanti di temi come l’economia, il
terrorismo o la guerra in Iraq. Questo gruppo, infatti, ha votato al 79 per
cento per Bush, solo al 18 per cento per Kerry. Altissima anche la percentuale
di voto per il presidente fra il 19 per cento degli elettori che mettono la lotta
al terrorismo al primo posto fra le loro preoccupazioni.
Elena Molinari, per la Radio
Vaticana.
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E numerosi sono stati i messaggi
di congratulazioni giunti a George W. Bush per la sua rielezione alla Casa
Bianca. Dopo quelli arrivati ieri da tutti i capi di Stato e di Governo
europei, oggi sono giunte le felicitazioni del primo ministro giapponese
Junichiro Koizumi, il quale ha auspicato “un ulteriore sviluppo delle relazioni
bilaterali”. A fargli eco il presidente della Cina Hu Jintao, speranzoso di
sviluppare relazioni sempre più costruttive tra Cina e Stati Uniti. Il
presidente sudcoreano Roh Moo Hyun ha inviato, invece, un messaggio al capo
della Casa Bianca, nel quale auspica che “i due Paesi uniscano le loro forze
per realizzare la pace e la prosperità nel mondo, in particolare nella penisola
coreana”. Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, invece, è
da elogiare “la straordinaria prova di democrazia che il popolo americano ha
offerto, con l’affluenza record alle urne”. “Il segretario generale - prosegue
il comunicato – è deciso a proseguire a lavorare con il presidente Bush ed il
suo governo, sulla gamma di problemi che incombono alle Nazioni Unite ed al
mondo”. Una lunga serie di messaggi, dunque, che riconferma la centralità degli
Stati Uniti nell’assetto planetario. Per un commento su queste elezioni, Salvatore
Sabatino ha intervistato lo storico Giorgio Rumi:
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R. – Il commento è che, evidentemente,
il popolo degli Stati Uniti ha scelto la continuità. Trovandosi in una
situazione difficile e volendo essere soggetto e non oggetto di politica, ha
preferito continuare con il vecchio presidente di cui si conoscono virtù e difetti.
D. – Professore, quanto hanno
pesato i valori morali su queste elezioni e sul risultato finale, quindi sulla
rielezione di Bush?
R. – Tutti i commentatori fanno
riferimento al cosiddetto “partito religioso”, c’è un’opinione informata sui
principi religiosi che indubbiamente ha contato. Forse l’America di Kerry è la
proiezione di certe inclinazioni diffuse in Europa. Quanto però queste siano
effettivamente popolari e radicate negli Stati Uniti, è un altro discorso.
D. – Questa rielezione riapre
ovviamente uno scenario ben preciso sulla politica interna ed estera degli
Stati Uniti. Quali sono, secondo lei, le prospettive future?
R. – Credo che Bush sarà
senz’altro più libero sulla politica estera, non avendo più verifiche
elettorali davanti. E’ un calcolo umano. Anche gli altri presidenti, forse
tutti i presidenti lo hanno fatto. Quindi ci aspettiamo da lui sia una
conclusione della vicenda irachena, senza fughe, sia un miglioramento del
cosiddetto multilateralismo, cioè un miglioramento dei suoi rapporti con il
resto del mondo, in primo luogo con l’Europa. Penso e spero che sia un’attesa
che non andrà delusa.
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E già si pensa alla
futura amministrazione. Impegnato per settimane in una serrata campagna
elettorale, il presidente confermato è tornato al lavoro, pensando subito al
possibile rimpasto nella sua squadra. Il New York Times dà per certa l'uscita
di scena del ministro della Giustizia, Richard Ashcroft, e di quello per la
Sicurezza interna - una poltrona creata dallo stesso Bush dopo l'11 settembre-
Tom Ridge. Quasi sicuro anche l'abbandono del ministro della Difesa, Donald
Rumsfeld, e del segretario di Stato, Colin Powell.
CONCLUSO A JOHANNESBURG L’INCONTRO SULLA CULTURA E
LA FEDE IN AFRICA
- Intervista con il cardinale Paul Poupard -
Si è svolta in questi giorni a
Johannesburg, in Sudafrica, una riunione dei membri e consultori africani del
Pontificio Consiglio della Cultura con i vescovi del Continente responsabili
del settore. L’incontro ha avuto come tema “Una sola famiglia di Dio, nella diversità
delle culture”, e ha dato il via a tre progetti concreti: una sessione per
formatori di seminario; traduzioni, nelle varie lingue africane, del patrimonio
culturale locale e soprattutto della saggezza popolare; e, infine, una prima
riunione dei centri culturali cattolici in Africa. La relazione centrale
dell’incontro è stata tenuta dal cardinale Paul Poupard, presidente del
Pontificio Consiglio della Cultura, che è appena rientrato a Roma. Giovanni
Peduto gli ha chiesto il contenuto del suo intervento:
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R. – Ho parlato
dell’inculturazione. La sfida più grande, a questo riguardo, consiste
nell’interiorizzazione della fede per arrivare a produrre dei frutti
autenticamente africani, nella comunione della cattolicità. In secondo luogo,
l’inculturazione va di pari passo anche con l’evangelizzazione e per questo il
paradigma da seguire è la pedagogia di Cristo con la samaritana, che aveva una
sete da soddisfare ma Cristo ha saputo portarla, da questo desiderio naturale,
all’acqua viva. Il terzo punto possiamo dire che è questa interiorizzazione del
doppio comandamento dell’amore, che si radicalizza in Cristo nell’amore dei
nemici. Riferendoci sempre alla filosofia, alla saggezza delle popolazioni
africane.
D. – Come la globalizzazione sta
cambiando la cultura in Africa?
R. – La globalizzazione si
presenta, per molti, come una minaccia, di fronte alla quale i vescovi hanno
sottolineato l’importanza dell’appartenenza alla cultura propria della Chiesa.
Non basta, infatti, dire cultura africana. E’ necessario dire cultura cristiana
vissuta in modo africano. Questo è necessario per combattere quella che evidentemente
è vissuta come una minaccia e non soltanto economica, ma anche culturale e
spirituale. Per tutto questo è fondamentale un impegno forte per non essere
semplici spettatori, ma protagonisti attivi.
D. – Cosa può dare l’Africa alla
cultura mondiale?
R. – Quello che l’Africa può
dare alla cultura mondiale è proprio questo senso forte di appartenenza a
questa famiglia di famiglie. Questa è certamente una cosa forte, così come il
senso del sacro, che è un senso grande del Dio Creatore. Devo inoltre dire che
sono rimasto molto impressionato dalle diverse celebrazioni eucaristiche, che
ho avuto la grazia di presiedere, di cui le più emblematiche sono state quelle
nel Lesotho, luogo storico della resistenza all’apartheid, e a Città del Capo:
qui ho potuto incontrare una comunità di seminaristi composta da bianchi e neri, perfettamente integrati, che hanno
celebrato insieme le meraviglie di Dio.
D. – Cosa dire dell’incontro tra
il Vangelo e l’Africa?
R. – Un immenso canto di lode al
Signore. All’alba del nuovo millennio la Chiesa d’Africa conta dei santi ed è
guidata da vescovi che all’85 per cento sono africani, ha numerose, numerosissime
vocazioni sacerdotali e religiose e più di 130 milioni di fedeli. Una grande
lode al Signore, dunque. Sono stati proprio i vescovi africani a sottolineare
l’azione di grazia del Signore attraverso i missionari che, al prezzo di
immensi sacrifici, hanno saputo portare il proprio invito evangelico e
attraverso tanti, tanti cristiani africani che hanno sofferto e continuano a
soffrire per la loro fede, ma sempre con un sentimento grande di lode al
Signore. Nonostante le difficoltà e le tribolazioni è forte la gioia che si vive, la gioia di Cristo che non sopprime
certo le sofferenze ma le trasforma con la grazia di Dio.
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4
novembre 2004
CONTINUA A FAR DISCUTERE LA LEGGE SULLA BLASFEMIA
IN PAKISTAN.
UN’INTERA FAMIGLIA CRISTIANA
COSTRETTA AD EMIGRARE
DOPO RIPETUTE MINACCE DI MORTE
LAHORE. = L’intolleranza religiosa
in Pakistan ha costretto una famiglia cristiana di Wah Cantt, nei pressi di
Islamabad, ad emigrare in una località sconosciuta del Paese. La figlia Safad,
infatti, è stata minacciata di morte perché accusata di profanare il Corano. La
denuncia, riferisce l’agenzia Asianews, viene dalla Commissione Giustizia e
Pace della Conferenza episcopale pakistana. Lo scorso luglio una musulmana
ha accusato la sedicenne Safad Tasneem Dean di aver gettato nella spazzatura
una copia del Corano. Subito i musulmani del posto si sono radunati sotto la
casa della ragazza cristiana, con l’intenzione di bruciarle la casa. Gli insorti
hanno anche cercato di uccidere Safad, ma alcuni anziani della
città hanno messo in salvo la ragazza. Sebbene non esistano prove del presunto atto di
blasfemia, per sfuggire alle minacce, la famiglia di Safad è stata costretta ad
emigrare in una località ignota. La legge sulla blasfemia, introdotta in
Pakistan nel 1986, prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di
morte in caso di offesa a Maometto. Attivisti per i diritti umani e in difesa
delle minoranze religiose hanno più volte chiesto l’abolizione della legge,
spesso usata per regolare questioni private. La legge sulla blasfemia ha
prodotto decine di morti fra i cristiani. Dal 1986 le denunce per blasfemia
sono state oltre 4mila. (B.C.)
SCIOPERO DELLA FAME PER LIBERARE UN MONACO
TIBETANO IN PERICOLO
DI VITA IN CINA. LO HA INDETTO
UN GRUPPO DI RELIGIOSI
TIBETANI DELLA COMUNITA’ IN ESILIO IN INDIA. IL
MONACO BUDDISTA
E’ DETENUTO NELLE CARCERI CINESI DA DUE ANNI
PECHINO.
= Un gruppo di monaci e religiose tibetani della comunità in esilio in India
hanno iniziato uno sciopero della fame per chiedere alle autorità di Pechino
l’immediata scarcerazione di Tenzin Delek Rinpoche, il monaco buddista di 53
anni detenuto da due anni nelle prigioni cinesi e condannato a morte. Rinpoche,
riferisce l’agenzia Misna, noto in Tibet per le sue battaglie in difesa
dell’ambiente e per la realizzazione di orfanotrofi e altre organizzazioni
sociali, è stato imprigionato nel 2002 con l’accusa di aver partecipato
all’organizzazione di un attentato dinamitardo nella piazza principale di
Chengdu, capoluogo della provincia del Sichuan. I sostenitori a Dharmasala,
città dell’India settentrionale dove dal 1959 risiede il governo del Tibet in
esilio, tuttavia, affermano che le accuse rivolte al monaco sono false. Insieme
con Rinpoche, la polizia cinese arrestò anche il monaco Lobsang Dondrup, 28
anni, che nel gennaio 2003 non è sfuggito all’esecuzione capitale. La
magistratura cinese ha sospeso per due anni la condanna a morte di Rinpoche,
riservandosi di valutare se commutare la sentenza in ergastolo. Gli attivisti
del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia di Dharamsala temono,
invece, che la condanna possa essere presto eseguito. Gli organizzatori dello
sciopero della fame hanno aggiunto che alla protesta dei religiosi si uniranno
anche centinaia di laici tibetani. (B.C.)
AL VIA OGGI
A RIO DE JANEIRO IL 18° VERTICE DEL “GRUPPO DI RIO”,
INCENTRATO
QUEST’ANNO SULLA DIFFICILE SITUAZIONE HAITIANA
E SUL
PESANTE DEBITO ESTERO DELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI SUDAMERICANI
RIO DE JANEIRO. = La situazione haitiana, ma anche il pesante
debito estero della maggior parte dei Paesi sudamericani che impone tagli ai
programmi sociali e di sviluppo, oltre che la necessità di una riforma delle
Nazioni Unite. Questi i temi cardine attorno a cui ruoterà il 18° Vertice del
“Gruppo di Rio”, che si apre oggi nella metropoli carioca. Allo stesso tavolo
saranno seduti i presidenti di sinistra – il venezuelano Hugo Chávez,
l’argentino Néstor Kirchner, il brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il
neo-eletto capo di Stato uruguayano Tabaré Vásquez – che presenteranno le
principali istanze del “Gruppo”, inclusa la richiesta di una mozione di
appoggio al programma mondiale di lotta alla fame e alla miseria, lanciato
l'anno scorso da Lula. Non prenderanno parte all’incontro per impegni
improrogabili, invece, i capi di Stato di Panama, Nicaragua, Honduras,
Guatemala e El Salvador. Assente anche il presidente dell’Ecuador Lucio
Gutiérrez che oggi dovrebbe affrontare in Parlamento la votazione di una
mozione di sfiducia che rischia di aprire il procedimento di messa in stato
d’accusa per presunta malversazione di fondi pubblici. La dichiarazione finale
“è quasi pronta”- ha anticipato ai giornalisti il vice-ministro degli Esteri
messicano, Miguel Hakim - e, a differenza di altri documenti del Gruppo, comprenderà solo una dozzina di
paragrafi con enfasi sul rafforzamento della democrazia soprattutto ad Haiti.
Il Brasile, che guida i “caschi blu” nel Paese caraibico, pone la sua attenzione
su tre fronti: la necessità di completare il dispiegamento dei militari
dell’Onu, la concessione urgente di linee di credito e aiuti finanziari e la
riconciliazione politica tra le forze pro e contro l'ex-presidente
Jean-Bertrand Aristide, di cui non escluderebbe un eventuale rientro nella
politica haitiana. (S.S.)
“VITA CONSACRATA IN RAPPORTO AI MOVIMENTI
ECCLESIASTICI”. QUESTO IL TEMA
DELLA
44.MA ASSEMBLEA DEI SUPERIORI MAGGIORI DEGLI ISTITUTI
RELIGIOSI ITALIANI FACENTI CAPO AL CISM. L’INCONTRO SI SVOLGERA’ DALL’8 AL 12
NOVEMBRE AD ASSISI
ASSISI. = Dall’8 al 12 novembre
i Superiori Maggiori degli Istituti religiosi italiani che fanno capo alla CISM
(Conferenza Italiana Superiori Maggiori), si riuniranno ad Assisi in Assemblea
generale (la 44.ma per la cronaca), per parlare della “Vita consacrata in rapporto ai movimenti ecclesiali”. Argomento di
estrema attualità, vista la crescita sorprendente e provvidenziale di nuove
forme di vita evangelica che stanno arricchendo la Chiesa e che, insieme ai
consacrati, possono testimoniare la vitalità “dell’unico Spirito che dona
diversità di carismi”. Lavorando per lo stesso scopo e tenendo conto,
soprattutto, che molti consacrati fanno parte di alcuni di tali movimenti -
hanno cioè la così detta duplice
appartenenza- è opportuno che i Superiori parlino di questa realtà in modo
da stabilire un rapporto diretto di conoscenza e di collaborazione, di stimolo
e di condivisione non solo tra le singole persone - come avviene ora - ma anche
a livello di Istituti. Prevista la partecipazione di 180 religiosi in
rappresentanza dei 24.797 confratelli (di cui 3.340 all’estero) che dipendono dai
Superiori Provinciali italiani, e che sono distribuiti in 3.418 comunità (584
delle quali si trovano all’estero).(S.S.)
CONGRESSO A MILANO DELL’ASSOCIAZIONE
FATEBENEFRATELLI
PER LA RICERCA BIOMEDICA E
SANITARIA
- A cura di Fabio Brenna -
MILANO. = 400 operatori
provenienti da 14 delle 21 strutture sanitarie dei Fatebenefratelli d'Italia
danno vita al VI congresso dell'Afar -associazione fatebenefratelli per la ricerca
biomedica e sanitaria- per interrogarsi su Ospitalità e tecnologia, per
l'umanizzazione del rapporto assistenziale alla luce delle nuove tecnologie in
ambito sanitario. Nel corso della tre giorni milanese verranno presentati i
risultati di oltre 340 ricerche curate dall'associazione. Le prime ricerche
presentate forniscono alcuni spunti interessanti per le applicazioni
scientifiche ma anche per rispondere al tratto caratteristico dei
Fatebenefratelli, ossia l'ospitalità. Innanzitutto, la spiritualità è un
fattore importante collegato alle condizioni di salute e la religiosità,
insieme alle forti convinzioni personal hanno un peso determinante sulla
qualità di vita percepita da ciascun soggetto. Questo è il risultato di uno
studio condotto in tre centri riabilitativi della rete Fatebenfratelli. Un
altro studio mette in evidenza invece come giovani e anziani non ricordino allo
stesso modo: l'anziano, per sfruttare al meglio la propria memoria a lungo
termine e arrivare agli stessi risultati dei giovani, deve utilizzare una
maggiore quantità di cervello a scapito di una ridotta specializzazione
funzionale. Di patologie mentali tratta
ancora una ricerca condotta dal laboratorio di genetica dell'Irccs di Brescia.
I ricercatori hanno evidenziato come per alcune patologie quali la demenza di Alzheimer
e la schizofrenia, il coinvolgimento di alcuni geni delle citochine, le principali
proteine regolatrici del sistema immunitario. Da questi studi si potranno
sviluppare test genetici per l'ottimizzazione delle terapie farmacologiche. Sono
davvero molti gli ambiti in cui sono intervenuti gli studiosi dell'Afar. Nel
corso del congresso verranno presentati altri studi sulla riabilitazione del
paziente, i disturbi del comportamento e le tecnologie biomediche:
dall'utilizzo di campi magnetici generati dai telefoni cellulari per curare
l'ictus cerebrale fino alla stimolazione magnetica transcranica per il
trattamento dei disturbi cognitivi. Nel corso dei lavori, aperti
dall'intervento del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, dal saluto di
fra Pascual Piles padre generale dei Fatebenfratelli, sono previsti interventi
di autorevoli esponenti della ricerca, del mondo assistenziale e sanitario italiano.
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4 novembre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Un nuovo raid aereo americano ha colpito nella notte la città
sunnita di Falluja. Secondo fonti ospedaliere, sono almeno cinque le vittime di
questa ennesima operazione militare. Sul versante ostaggi un nuovo video,
recapitato all’agenzia Reuters a Baghdad, mostra tre camionisti giordani
sequestrati dal sedicente ‘Esercito islamico’ che chiedono al governo di Amman
di mettere in guardia i loro concittadini dal lavorare per i militari americani.
E sui soldati della coalizione rimasti uccisi in Iraq il Pentagono ha diffuso,
inoltre, un nuovo rapporto: sono 1120 i militari americani, 66 gli inglesi e 69
i militari di altre nazioni morti nel Paese arabo a partire dal primo maggio
2003. Intanto, l’organizzazione umanitaria ‘Medici senza frontiere’ ha deciso di chiudere
tutti i propri progetti in Iraq. Un passo dettato - così come era successo in
Afghanistan nel settembre 2004 - dal deteriorarsi delle
condizioni di sicurezza nel Paese del Golfo. Sulle ragioni di tale
provvedimento, Giada Aquilino ha intervistato Stefano Savi, direttore generale
di Medici Senza Frontiere Italia:
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R. –
La decisione di lasciare l’Iraq è stata maturata nelle ultime settimane. Sicuramente
la situazione generale di insicurezza non permette alla nostra organizzazione
di operare in modo adeguato il soccorso alla popolazione. Gli ultimi avvenimenti,
come il rapimento delle due volontarie di “Un ponte per…” e della direttrice
dei programmi di “Care International”, Margaret Hassan, hanno segnato una
svolta: in particolare la richiesta a “Care International” da parte dei
rapitori - come condizione per un eventuale rilascio dell’operatrice - di
abbandonare il Paese e chiudere i programmi. Si tratta di una strumentalizzazione
del personale umanitario e delle organizzazioni umanitarie per degli scopi che
non hanno niente a che vedere con l’umanitario, ma sono piuttosto politici. Ciò
significa che tutte le organizzazioni umanitarie corrono il rischio di veder
rapiti i propri operatori. Abbiamo quindi cercato di prevenire una eventualità
di questo genere, anche nei confronti del nostro staff iracheno.
D. –
Che riscontro avete avuto sul terreno sia dagli iracheni, sia dai soldati della
coalizione?
R. –
In effetti c’è una strumentalizzazione dell’azione umanitaria da entrambe le
parti che sono coinvolte nel conflitto. Da una parte – come nel caso del rapimento
dell’operatrice di “Care International” – c’è il fatto di utilizzare operatori
umanitari come strumento di ricatto per far chiudere i programmi, dall’altra
vediamo invece la strumentalizzazione dell’azione di assistenza come “braccio
umanitario delle forze di coalizione” o comunque come un’azione che servirà a
vincere i cuori e le menti della popolazione. Anche in questo caso si tratta di
fini che non sono umanitari, ma politici. Tale percezione fa sì che per una
delle due parti in conflitto siamo diventati un obiettivo da colpire, per poter
mandare dei messaggi.
D. –
A questo punto, qual è il bilancio delle operazioni di Medici Senza Frontiere
in Iraq?
R. –
Fino ad ora estremamente positivo. Eravamo presenti sino ad oggi a Sadr City, a
Falluja e a Najaf: avevamo circa 12 mila consultazioni mensili nelle nostre
cliniche. Il nostro servizio era quindi estremamente utile per la popolazione.
Il problema è che ora, ancora una volta, chi paga il prezzo più alto non siamo
noi come organizzazione umanitaria, non sono le forze di coalizione, ma è
sicuramente la popolazione civile, quella più vulnerabile, come le donne, i
bambini e gli anziani.
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In Afghanistan, la vittoria elettorale di Hamid
Karzai, proclamato ieri presidente del Paese asiatico, è stata ufficialmente
riconosciuta dalla Commissione ONU che ha supervisionato la regolarità del voto
dello scorso 9 ottobre. Nel Paese intanto il governo di Kabul, le Nazioni Unite
e l’“Esercito dei musulmani”, responsabile del rapimento di tre impiegati
dell’ONU, hanno iniziato i negoziati per arrivare alla liberazione degli
ostaggi, una nordirlandese, una kosovara ed un filippino. I sequestratori, che
hanno prorogato l’ultimatum fino a domani, chiedono il ritiro dell’ONU, delle
forze britanniche e la liberazione dei prigionieri afgani detenuti a Guantanamo
e a Bagram. Sul terreno, intanto, quattro civili sono morti nella provincia di Paktita per l’esplosione
di un ordigno che ha investito la loro auto, non lontana al momento della
deflagrazione da un convoglio dell’esercito afgano.
In
Pakistan sei soldati sono rimasti uccisi stamani nell’esplosione di una bomba.
Lo ha reso noto il portavoce dell’esercito pakistano precisando che la
deflagrazione è avvenuta nel Waziristan, regione vicina al confine afgano, dove
l’esercito di Islamabad è impegnato in operazioni militari contro militanti di
Al Qaeda.
Situazione in Iraq, competitività dell’Unione, sicurezza e immigrazione
in Europa. Sono questi alcuni dei temi che il Consiglio europeo affronterà oggi
pomeriggio a Bruxelles. Si parlerà anche della nuova commissione Barroso: per
completare la squadra di governo – ha detto un portavoce dell’UE – manca solo
il candidato italiano. E riferendosi alla drammatica situazione della regione
sudanese del Darfur, i leader dell’UE hanno nuovamente rimarcato, intanto,
l’importanza “di rispettare i diritti dell’uomo e di migliorare le condizioni
di sicurezza”.
In Costa d’Avorio,
due aerei delle forze militari ivoriane hanno bombardato stamani un’area della
città di Bouaké, dove si trovavano ribelli appartenenti alle Forze Nuove. Al
momento non si hanno notizie di vittime.
Nel sud della
Thailandia, almeno sette persone sono state uccise nelle ultime 24 ore. Secondo
gli inquirenti, gli omicidi sono stati compiuti da estremisti islamici che avrebbero
agito per vendicare la morte, lo scorso 25 ottobre, di 87 musulmani rimasti uccisi
a Tak Bai durante scontri con la polizia.
“Tutte le accuse che mi sono state rivolte sono una farsa”. Il capo
religioso indonesiano, Abou Bakar Bachir, continua a proclamare la propria
innocenza al processo che lo vede imputato per azioni terroristiche. L’uomo,
che ha definito “una catastrofe” la vittoria di Bush alle elezioni
presidenziali americane, è accusato di aver organizzato gli attentati di Bali e
contro l’hotel Marriott di Jakarta.
Le forze di sicurezza di Riad hanno arrestato un uomo perché sospettato
di appartenere alla rete locale di al Qaeda. Il fermo è scattato dopo uno
scambio di colpi di arma da fuoco a Buraida, città del nord dell'Arabia
Saudita. Lo ha annunciato oggi il ministero dell'interno saudita.
Gli Stati Uniti hanno riconosciuto per la Repubblica Macedone il nome
‘Macedonia’. La scelta del Dipartimento di Stato ha scatenato le reazioni di
Atene, che indica con il nome ‘Macedonia’ una propria regione nel nord del
Paese. Dopo l’indipendenza della Macedonia nel 1991, l’esecutivo ellenico aveva
ingaggiato una lunga battaglia diplomatica ottenendo l’introduzione
dell’acronimo Fyrom (ex Repubblica jugoslava di Macedonia).
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