ADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 309 - Testo della trasmissione di giovedì 4 novembre 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Incontro stamane in Vaticano tra Giovanni Paolo II e il primo ministro iracheno Allawi: il Papa ha incoraggiato il popolo iracheno a continuare il processo di democratizzazione, assicurando il contributo dei cristiani, ma ha chiesto garanzie per il rispetto della libertà religiosa. Ai nostri microfoni Giuliana Sgrena

 

Festa in Vaticano per l’onomastico del Papa, nella ricorrenza di San Carlo Borromeo. Gli affettuosi auguri di mille pellegrini polacchi in Aula Paolo VI

 

Abbiate piena fiducia nel Signore Gesù e ponete l’Eucaristia al centro della vostra esistenza: è l’invito del Papa alla comunità di Lanciano-Ortona, in occasione del primo centenario della dedicazione della rinnovata Basilica Cattedrale della Madonna del Ponte in Lanciano.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

Si aggravano le condizioni di Arafat: il leader palestinese sarebbe in coma: con noi Antonio Ferrari

 

La rielezione del presidente Gorge W. Bush alla Casa Bianca. Kerry si congratula ed apre ad una collaborazione per riunificare il Paese. Messaggi di congratulazioni da tutto il mondo e già si pensa alla nuova squadra di governo: il commento di Giorgio Rumi

 

Concluso a Johannesburg l’incontro sulla cultura e la fede in Africa: intervista con il cardinale Paul Poupard

 

CHIESA E SOCIETA’:

Pakistan: famiglia di cristiani costretta ad emigrare per le minacce di morte di integralisti islamici e le accuse di aver violato la legge sulla blasfemia

 

Sciopero della fame per liberare un monaco tibetano in pericolo di vita in Cina

 

Al via oggi a Rio de Janeiro il 18° Vertice del “Gruppo di Rio”, incentrato quest’anno sulla difficile situazione haitiana e sul pesante debito estero della maggior parte dei Paesi sudamericani

 

“Vita consacrata in rapporto ai movimenti ecclesiastici”. Questo il tema della 44.ma Assemblea dei Superiori maggiori degli istituti religiosi italiani facenti capo al CISM

 

Congresso a Milano dell’Associazione Fatebenefratelli per la ricerca biomedica e sanitaria.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq continuano i raid americani su Falluja. Ed in seguito alla situazione, sempre più esplosiva, Medici Senza Frontiere ha reso noto di aver chiuso tutti i suoi progetti nel Paese

 

Avviati i negoziati in Afghanistan per arrivare alla liberazione dei tre impiegati dell’ONU rapiti a Kabul

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

4 novembre 2004

 

 

INCONTRO STAMANE IN VATICANO TRA GIOVANNI PAOLO II E IL PRIMO MINISTRO

IRACHENO ALLAWI: IL SANTO PADRE HA INCORAGGIATO IL POPOLO IRACHENO

A CONTINUARE IL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE, ASSICURANDO IL CONTRIBUTO DEI CRISTIANI, MA HA CHIESTO GARANZIE

PER IL RISPETTO DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA

- Intervista con Giuliana Sgrena -

 

In udienza dal Papa stamane il primo ministro ad interim dell’Iraq, Ayad Allawi, accolto alle 11 nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico. Dopo il colloquio con il Santo Padre, durato circa 10 minuti, il leader iracheno si è intrattenuto con il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato ed altri rappresentanti vaticani. Temi al centro dei colloqui la pacificazione e la ricostruzione dell’Iraq, ma anche la libertà religiosa e la situazione dei cristiani. Allawi da ieri a Roma - si è incontrato questa mattina anche con il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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“Sono lieto di accoglierla in Vaticano e di assicurare la mia continua vicinanza al popolo iracheno, così duramente provato dalle tragiche sofferenze di questi anni recenti”, ha dichiarato Giovanni Paolo II al primo ministro iracheno. “Prego per tutte le vittime del terrorismo e della sfrenata violenza, per le loro famiglie e per tutti coloro che generosamente lavorano per la ricostruzione del suo Paese. Desidero incoraggiare – ha aggiunto il Papa – gli sforzi fatti dalla popolazione irachena per ristabilire le istituzioni democratiche, perché siano realmente rappresentative e impegnate a difendere i diritti di tutti, nel completo rispetto delle diversità religiose ed etniche che sono state sempre una fonte di arricchimento per il suo Paese. Sono fiducioso – ha concluso il Santo Padre – che la comunità cristiana, presente in Iraq dal tempo degli Apostoli darà il suo contributo per la crescita della democrazia e la costruzione di un futuro di pace nella regione.”

 

Il leader iracheno è giunto ieri sera a Roma, per la prima volta in visita in Italia, proveniente da Amman in Giordania, nell’ambito di un viaggio che lo porterà anche a Bruxelles, dove domani avrà incontri con i massimi vertici della Nato e dell’Unione Europea. Scopo della sua missione all’estero è di concretizzare sia nel mondo arabo che in quello occidentale il sostegno al suo governo provvisorio in vista delle prossime elezioni previste nel gennaio 2005.

 

Per questo stamane al termine del suo colloquio con il presidente del Consiglio italiano Berlusconi, Allawi ha lanciato un appello: mi rivolgo – ha detto - "ai Paesi che si sono accontentati del ruolo di spettatori nella questione irachena per costruire un Iraq migliore, un Paese che è determinato a tornare nella comunità internazionale e che è determinato a far ritornare la comunità internazionale verso di sé". Allawi ha poi ringraziato l'Italia "per la sua posizione umanitaria” e per “il sostegno continuo” alla “costruzione di un Iraq costituzionale, democratico e libero”, sono le sue parole. Dal canto suo Berlusconi ha ribadito l’impegno del Contingente italiano in Iraq secondo le richieste del legittimo governo iracheno.

 

Ayad Allawi, insediato nell’incarico ad interim il 28 giugno scorso, non senza contestazioni e polemiche per i suoi stretti legami con l’Amministrazione Bush e per i suoi trascorsi di ex esule in contatto con la Cia ed altri servizi segreti. Nato da una famiglia benestante di commercianti sciiti, aderente, mentre era studente a Baghad, al partito governativo Baath, poi fuoriuscito nel 1971 durante il periodo universitario a Londra, in opposizione con la politica di Saddam Hussein. Medico neurologo, uomo d’affari, con intensi contatti in Medio Oriente, Allawi ha svolto un ruolo molto importante nella dissidenza irachena all’estero e una volta caduto il regime di Saddam Hussein è stato nominato da Washington membro del Consiglio di governo iracheno, per poi guidare l’attuale governo di transizione.

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Da sottolineare, nel colloquio tra Giovanni Paolo II ed Allawi, il fermo richiamo rivolto dal Papa perché in Iraq venga garantito il rispetto della libertà religiosa. Ricordiamo infatti le preoccupazioni per i cristiani in Iraq – una piccola minoranza della popolazione – messa in pericolo dal clima di violenze e di intolleranze religiose che percorrono il Paese, con diversi attentati consumati ai danni di chiese, cui ha fatto riferimento – ha reso noto una nota della Sala Stampa Vaticana – lo stesso primo ministro iracheno, deplorando gli attacchi e assicurando da parte del suo governo la volontà di procedere al restauro delle chiese. Sulla situazione di insicurezza che vivono i cristiani, ascoltiamo la testimonianza della collega Giuliana Sgrena, appena rientrata dall’Iraq:

 

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R. – Sicuramente è molto peggiorata per i cristiani, perché in fondo Saddam, nonostante fosse leader di un regime sanguinario, aveva garantito, se non la libertà religiosa, almeno la libertà di culto per i cristiani. Adesso, l’ultima volta – io sono appena tornata dall’Iraq – ho trovato una situazione veramente disastrosa, non solo per i bombardamenti alle chiese, ma anche perché i cristiani hanno veramente paura, sono terrorizzati. Per esempio, quelli che vendevano alcolici sono stati spesso uccisi o comunque costretti a chiudere i loro negozi. C’è poi una persecuzione nei loro confronti e quindi molti sono fuggiti al nord, soprattutto da Bassora, e si dice che 40 mila siano andati via dal Paese. Quindi, sicuramente da questo punto di vista, la situazione è molto peggiorata.

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FESTA IN VATICANO PER L’ONOMASTICO DEL PAPA, NELLA RICORRENZA

DI SAN CARLO BORROMEO. GLI AFFETTUOSI AUGURI DI MILLE

PELLEGRINI POLACCHI IN AULA PAOLO VI

- Servizio di Barbara Castelli -

 

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Nell’odierna memoria di san Carlo Borromeo, grande festa in Vaticano per l’onomastico di Giovanni Paolo II. Come di consueto, il Papa ha celebrato l’occasione ricevendo in aula Paolo VI un folto e affettuoso gruppo di pellegrini polacchi, venuti questa volta soprattutto dalla diocesi di Danzica e da quella di Tarnów. L’esempio di san Carlo Borromeo, di cui ieri è ricorso il 420.esimo anniversario della morte, ha detto il Papa, “faccia ardere in noi l’amore per il Salvatore, che ha voluto rimanere con noi sotto le specie del pane e del vino”. “Egli è stato uno zelante vescovo – ha proseguito Giovanni Paolo II – riformatore della Chiesa dopo il Concilio di Trento e un grande sostenitore dei poveri. La sua pietà si è fondata sull’amore della croce di Cristo e del mistero della Sua morte e risurrezione”. “Quest’amore – ha concluso, ringraziando tutti per la calorosa manifestazione di affetto – si è espresso nella cura per la devota celebrazione della Santa Messa e nell’adorazione di Cristo presente nell’Eucaristia”.

 

Come ogni anno, dunque, i pellegrini polacchi sono giunti in Vaticano per recare i propri auguri per l’onomastico del Papa. Su questa tradizione il collega della redazione polacca Stanislaw Tasiemky ha raccolto il commento dell’arcivescovo di Danzica, mons. Tadeusz Goclowski:

 

R. – Abbiamo cominciato nel 1979 e cioè 25 anni fa. Ogni anno, arriviamo a Roma per essere vicino al Santo Padre nel giorno della sua festa onomastica. Naturalmente ci sono sempre circostanze diverse riguardo alla nostra presenza: adesso viviamo in un’Europa unita e c’è l’occasione per approfondire la conoscenza dei valori cristiani in questo mondo secolarizzato, che diventa – come alcuni sostengono – post-cristiano. Noi, in Polonia, abbiamo una tradizione profondamente cristiana e ben fondata sui valori del Vangelo ed è questo che vogliamo dire al Santo Padre.

 

D. – A Danzica è nato 25 anni fa il movimento sindacale Solidarnosc. Cosa è cambiato oggi?

 

R. – 25 anni fa, ovviamente, la situazione era completamente diversa rispetto ad ora. I lavoratori hanno, invece, sempre gli stessi problemi: trovare un lavoro e la disoccupazione.

 

D. – Attualmente l’80 per cento di tutte le imprese sono private. Quale effetto ha creato nella vita dei lavoratori questo cambiamento economico?

 

R. – Siamo nel periodo della trasformazione e così anche i posti di lavoro sono ora nelle mani di privati. Si sta cercando e si spera sempre nella buona volontà degli imprenditori per avere nuovi posti di lavoro, che permettano quindi di risolvere il problema della disoccupazione. Un problema, questo, sempre fondamentale e non soltanto a Danzica, ma in tutta la Polonia. Ci sono posti dove c’è il 30 per cento della disoccupazione. Questa è veramente una cosa terribile.

 

D. – Che ruolo ha La parola del Santo Padre in questa situazione?

 

R. – Credo che senza le visite che ha fatto in Polonia il Santo Padre, senza il suo insegnamento in campo sociale, sarebbe sicuramente molto più difficile trovare le strade giuste per risolvere questi problemi sociali. Penso che l’influsso del Santo Padre sia enorme nella vita della Polonia.

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ABBIATE PIENA FIDUCIA NEL SIGNORE GESU’ E PONETE L’EUCARISTIA

 AL CENTRO DELLA VOSTRA ESISTENZA: E’ L’INVITO DEL PAPA

ALLA COMUNITA’ DI LANCIANO-ORTONA, IN OCCASIONE

 DEL PRIMO CENTENARIO DELLA DEDICAZIONE DELLA RINNOVATA

BASILICA CATTEDRALE DELLA MADONNA DEL PONTE IN LANCIANO

 

Gioia di Giovanni Paolo II per lo speciale Anno eucaristico-mariano indetto dalla comunità di Lanciano-Ortona, in occasione del primo centenario della Dedicazione della rinnovata Basilica Cattedrale della Madonna del Ponte in Lanciano. L’iniziativa risponde all’appello del Papa contenuto nell’Enciclica “Ecclesia de Eucaristia”. I contenuti del messaggio del Pontefice per l’occasione nel servizio di Barbara Castelli:

 

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“E’ mio vivo desiderio che, durante l’Anno dell’Eucaristia, ogni Comunità diocesana rinnovi pubblicamente il suo atto di fede in Gesù presente nel Sacramento dell’Altare. Per noi cristiani l’Eucaristia è tutto: è il centro della nostra fede e la sorgente di tutta la nostra vita spirituale”. In un lungo e denso messaggio Giovanni Paolo II esprime tutta la sua gioia per lo speciale Anno eucaristico-mariano indetto dalla comunità di Lanciano-Ortona, in occasione del primo centenario della Dedicazione della rinnovata Basilica Cattedrale della Madonna del Ponte in Lanciano.

 

Ricordando come la città di Lanciano, “custode di ben due miracoli eucaristici”, sia “meta di numerosi pellegrinaggi dall’Italia e dal mondo intero”, il Papa auspica che “la devozione mariana si conservi viva nei cuori dei fedeli”. “Se vogliamo perseverare nel compiere sempre la volontà di Dio – sottolinea – la via migliore è quella di ascoltare il pressante e materno invito di Maria: ‘Fate quello che vi dirà’”. Grande attenzione poi è dedicata da Giovanni Paolo II ai giovani, ai quali chiede di porre piena fiducia nel Signore Gesù, scegliendolo come un “amico speciale”. “Fatevi suoi discepoli – esorta – nell’ascolto e nella meditazione del santo Vangelo, servitelo nel prossimo, soprattutto nei fratelli più poveri e bisognosi, e vi assicuro che troverete ciò di cui avete bisogno per vivere in pienezza gli ideali della vostra età”.

 

Un pensiero è dedicato anche all’apostolo Tommaso, i cui resti mortali sono conservati “secondo una pia tradizione” nella Cattedrale di Ortona. “La sua vicenda sia per tutti stimolo a cercare sempre la verità – scrive il Papa – anche quando le tenebre si infittiscono attorno a noi; a cercarla con amore per condividerla con i fratelli”.

 

Nel suo messaggio, infine, il Pontefice non manca di ricordare i difficili momenti storici che ha vissuto la comunità di Lanciano-Ortona, nonché diverse altre parti dell’Abruzzo. “Penso in particolare al fenomeno dell’emigrazione, che per lunghi anni ha coinvolto tante famiglie. Quante sofferenze! Eppure, con l’aiuto di Dio, le generazioni del passato hanno saputo resistere con grande pazienza e con altrettanto coraggio. Spetta a voi ora dimostrare di essere figli degni di padri e madri così generosi e forti”. “Non mancate di adorare la santa Eucaristia – conclude Giovanni Paolo II – non solo nella chiesa del miracolo, ma in tutte le chiese della vostra bella terra. Prego perché il Signore faccia sorgere nel vostro territorio sante famiglie cristiane, perché, come insegna il Concilio Vaticano II, sono esse la migliore fucina delle varie vocazioni di cui vive la Chiesa”.

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OGGI IN PRIMO PIANO

4 novembre 2004

 

GRAVISSIME LE CONDIZIONI DI SALUTE DI ARAFAT:

 IL LEADER PALESTINESE IN COMA, SECONDO I MEDICI FRANCESI

- Ai nostri microfoni Antonio Ferrari -

 

Il presidente palestinese Yasser Arafat è da stamani in coma. Il leader dell’Anp da ieri ha perso più volte conoscenza ed è privo di sensi da diverse ore, forse sedato dai medici del reparto di terapia intensiva dell’ospedale militare francese dove è ricoverato dalla scorsa settimana. A Ramallah, intanto, si stanno per riunire i vertici palestinesi, mentre anche negli ambienti del governo israeliano si discute sulle conseguenze sul piano sociale delle condizioni di salute di Arafat. Diverse personalità palestinesi stamani si erano affrettate a smentire la gravità della situazione, tuttavia poco fa fonti mediche da Parigi hanno confermato il peggioramento di Arafat che sarebbe in fin di vita. Sentiamo dalla capitale francese Francesca Pierantozzi:

 

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Dopo una serie di notizie contraddittorie, i medici francesi hanno rotto il silenzio: Yasser Arafat è in coma, le sue condizioni sono molto gravi. Una fonte medica dell’ospedale militare Percy a Clamart, vicino a Parigi, ha fatto sapere che il 75.enne presidente dell’Autorità palestinese si trova nel reparto di terapia intensiva e che non ha più ripreso conoscenza. La notizia dell’improvviso peggioramento delle condizioni di Arafat è arrivata questa mattina. Fonti palestinesi a Parigi avevano in un primo tempo smentito, poi confermato che Arafat era stato trasferito in rianimazione. Il responsabile della politica estera dell’OLP, Faroud Kaddumi, è arrivato qualche ora fa da Tunisi per seguire da vicino l’evoluzione delle condizioni del leader palestinese. Anche fonti del ministero degli esteri israeliano hanno confermato la notizia di un brutale peggioramento delle condizioni di Arafat, che era stato ricoverato nell’ospedale francese sei giorni fa. I medici francesi hanno confermato che Arafat presenta un’anomalia ematica, ma hanno smentito che si tratti di leucemia.

 

Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana.

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Quali sono a questo punto le prospettive per l’Autorità Nazionale Palestinese. Che cosa succederà ora? Ci risponde Antonio Ferrari, inviato speciale ed analista del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente a Gerusalemme da Giancarlo La Vella:

 

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R. – E’ evidente che in questo momento non si sa ancora nulla del futuro politico e si dubita che Yasser Arafat possa avere firmato, prima di entrare in coma, dei documenti per il passaggio dei poteri. Però, è indicativo il fatto che si trovino a Parigi contemporaneamente sia Abu Mazen, cioè il primo ministro dell’Autorità palestinese nominato l’anno scorso e poi costretto alle dimissioni e sostituito da Abu Ala, lo stesso Mohammed Dahlan, che è l’uomo dei servizi di sicurezza soprattutto di Gaza, per molto tempo avversario di Arafat, e il terzo, Mohammed Rashid, cioè il cassiere di Arafat, l’uomo che ha le chiavi dei conti dell’Autorità palestinese e anche dei conti dell’OLP. Io credo che un certo quadro sia già stato disegnato, un quadro che prevede che al posto di Arafat, almeno temporaneamente, vi sia Abu Mazen, attuale numero due dell’Olp con, naturalmente, Abu Ala come primo ministro e poi, forse, si arriverà alla parziale ricomposizione di quel primo governo palestinese, in carica l’anno scorso, che aveva dato qualche speranza di rilanciare il processo di pace. La componente riformista, insomma – se di riformismo si può parlare – è già preparata.

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LA RIELEZIONE DEL PRESIDENTE GEORGE W. BUSH ALLA CASA BIANCA.

KERRY SI CONGRATULA ED APRE AD UNA COLLABORAZIONE

PER RIUNIFICARE IL PAESE.

MESSAGGI DI CONGRATULAZIONI DA TUTTO IL MONDO

E GIA’ SI PENSA ALLA NUOVA SQUADRA DI GOVERNO

 

“Sarò il presidente di tutti gli americani”. Queste le prime parole pronunciate da Bush dopo l’ufficializzazione della rielezione. Ieri la svolta nel conteggio dei voti, quando i democratici hanno preso atto dell’impossibilità di recuperare lo svantaggio nello Stato dell’Ohio, ritirando qualsiasi contestazione. John Kerry, dunque, ha telefonato a Bush per le congratulazioni di rito, chiedendo maggiore cooperazione di fronte ai temi interni ed esteri che impegneranno gli Stati Uniti. “Sei stato grande” la risposta di Bush. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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“Quando ci uniamo e lavoriamo insieme, non ci sono limiti alla grandezza dell’America”. Il presidente Bush ha voluto lanciare un segnale di apertura ai suoi avversari politici nel discorso con cui ha celebrato la vittoria nelle elezioni. “Un nuovo mandato – ha detto il capo della Casa Bianca – è un’opportunità per raggiungere l’intera nazione”. Bush si è congratulato con il senatore Kerry per la sua campagna ed ha rivelato di aver avuto con lui una buona conversazione sulla necessità di riunificare l’America. Si è quindi rivolto direttamente agli elettori democratici, chiedendo loro di aiutarlo. “Ho bisogno del vostro sostegno – ha detto – e lavorerò per guadagnarlo”. Il presidente resta, infatti, alla guida di un Paese diviso sui valori morali, sulla politica economica e su quella estera, mentre la guerra in Iraq e la lotta al terrorismo continuano. Poco prima Kerry aveva parlato a Boston, accettando la sconfitta, dopo aver realizzato che nello Stato dell’Ohio non poteva trovare abbastanza voti per vincere. “Nelle elezioni degli Stati Uniti – ha detto – non ci sono mai perdenti, perché la mattina dopo ci svegliamo tutti americani. Questo è il nostro privilegio, ma anche il nostro obbligo per trovare cause comuni, senza rancore”. Il senatore aveva chiamato il presidente alle 11.00 di mattina per fare le congratulazioni, ma nel suo discorso ha detto che “la campagna elettorale non finisce qui” e che lui continuerà a lottare per l’occupazione, la sanità per tutti, l’ambiente, la reputazione degli Stati Uniti nel mondo e per i soldati impegnati all’estero. Kerry ha inoltre sottolineato che l’America deve ora riunificarsi per vincere la guerra al terrorismo e pacificare l’Iraq.

 

Da Boston, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Con queste consultazioni George W. Bush diventa il presidente più votato della storia degli Stati Uniti con oltre 58 milioni di voti ottenuti. Uno spaccato del suo elettorato nel servizio di Elena Molinari:

 

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Bush ha accresciuto i suoi consensi nell’elettorato ispanico, in quello urbano, tra gli ebrei, i cattolici e fra le donne. Particolarmente significativa è la quota in più dell’elettorato femminile, tradizionale feudo democratico: 47 per cento in tutto; quattro punti percentuali in più del 2000. Sorprende poi che per Bush siano aumentati anche i voti tra gli elettori urbani: il 43 per cento in tutto. Quanto ai gruppi religiosi, Bush gode ora di maggior consenso fra i cattolici -  nonostante Kerry sia cattolico-  dove ha raccolto un 4 per cento in più rispetto a quattro anni fa. Il presidente ha poi ottenuto il 21 per cento dei voti in più tra i cristiani praticanti. E’ interessante notare che Bush ha stravinto fra quegli elettori che ritengono i valori morali più importanti di temi come l’economia, il terrorismo o la guerra in Iraq. Questo gruppo, infatti, ha votato al 79 per cento per Bush, solo al 18 per cento per Kerry. Altissima anche la percentuale di voto per il presidente fra il 19 per cento degli elettori che mettono la lotta al terrorismo al primo posto fra le loro preoccupazioni.

 

Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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E numerosi sono stati i messaggi di congratulazioni giunti a George W. Bush per la sua rielezione alla Casa Bianca. Dopo quelli arrivati ieri da tutti i capi di Stato e di Governo europei, oggi sono giunte le felicitazioni del primo ministro giapponese Junichiro Koizumi, il quale ha auspicato “un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali”. A fargli eco il presidente della Cina Hu Jintao, speranzoso di sviluppare relazioni sempre più costruttive tra Cina e Stati Uniti. Il presidente sudcoreano Roh Moo Hyun ha inviato, invece, un messaggio al capo della Casa Bianca, nel quale auspica che “i due Paesi uniscano le loro forze per realizzare la pace e la prosperità nel mondo, in particolare nella penisola coreana”. Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, invece, è da elogiare “la straordinaria prova di democrazia che il popolo americano ha offerto, con l’affluenza record alle urne”. “Il segretario generale - prosegue il comunicato – è deciso a proseguire a lavorare con il presidente Bush ed il suo governo, sulla gamma di problemi che incombono alle Nazioni Unite ed al mondo”. Una lunga serie di messaggi, dunque, che riconferma la centralità degli Stati Uniti nell’assetto planetario. Per un commento su queste elezioni, Salvatore Sabatino ha intervistato lo storico Giorgio Rumi:

 

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R. – Il commento è che, evidentemente, il popolo degli Stati Uniti ha scelto la continuità. Trovandosi in una situazione difficile e volendo essere soggetto e non oggetto di politica, ha preferito continuare con il vecchio presidente di cui si conoscono virtù e difetti.

 

D. – Professore, quanto hanno pesato i valori morali su queste elezioni e sul risultato finale, quindi sulla rielezione di Bush?

 

R. – Tutti i commentatori fanno riferimento al cosiddetto “partito religioso”, c’è un’opinione informata sui principi religiosi che indubbiamente ha contato. Forse l’America di Kerry è la proiezione di certe inclinazioni diffuse in Europa. Quanto però queste siano effettivamente popolari e radicate negli Stati Uniti, è un altro discorso.

 

D. – Questa rielezione riapre ovviamente uno scenario ben preciso sulla politica interna ed estera degli Stati Uniti. Quali sono, secondo lei, le prospettive future?

 

R. – Credo che Bush sarà senz’altro più libero sulla politica estera, non avendo più verifiche elettorali davanti. E’ un calcolo umano. Anche gli altri presidenti, forse tutti i presidenti lo hanno fatto. Quindi ci aspettiamo da lui sia una conclusione della vicenda irachena, senza fughe, sia un miglioramento del cosiddetto multilateralismo, cioè un miglioramento dei suoi rapporti con il resto del mondo, in primo luogo con l’Europa. Penso e spero che sia un’attesa che non andrà delusa.

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E già si pensa alla futura amministrazione. Impegnato per settimane in una serrata campagna elettorale, il presidente confermato è tornato al lavoro, pensando subito al possibile rimpasto nella sua squadra. Il New York Times dà per certa l'uscita di scena del ministro della Giustizia, Richard Ashcroft, e di quello per la Sicurezza interna - una poltrona creata dallo stesso Bush dopo l'11 settembre- Tom Ridge. Quasi sicuro anche l'abbandono del ministro della Difesa, Donald Rumsfeld, e del segretario di Stato, Colin Powell.

 

 

CONCLUSO A JOHANNESBURG L’INCONTRO SULLA CULTURA E LA FEDE IN AFRICA

- Intervista con il cardinale Paul Poupard -

 

Si è svolta in questi giorni a Johannesburg, in Sudafrica, una riunione dei membri e consultori africani del Pontificio Consiglio della Cultura con i vescovi del Continente responsabili del settore. L’incontro ha avuto come tema “Una sola famiglia di Dio, nella diversità delle culture”, e ha dato il via a tre progetti concreti: una sessione per formatori di seminario; traduzioni, nelle varie lingue africane, del patrimonio culturale locale e soprattutto della saggezza popolare; e, infine, una prima riunione dei centri culturali cattolici in Africa. La relazione centrale dell’incontro è stata tenuta dal cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che è appena rientrato a Roma. Giovanni Peduto gli ha chiesto il contenuto del suo intervento:

 

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R. – Ho parlato dell’inculturazione. La sfida più grande, a questo riguardo, consiste nell’interiorizzazione della fede per arrivare a produrre dei frutti autenticamente africani, nella comunione della cattolicità. In secondo luogo, l’inculturazione va di pari passo anche con l’evangelizzazione e per questo il paradigma da seguire è la pedagogia di Cristo con la samaritana, che aveva una sete da soddisfare ma Cristo ha saputo portarla, da questo desiderio naturale, all’acqua viva. Il terzo punto possiamo dire che è questa interiorizzazione del doppio comandamento dell’amore, che si radicalizza in Cristo nell’amore dei nemici. Riferendoci sempre alla filosofia, alla saggezza delle popolazioni africane.

 

D. – Come la globalizzazione sta cambiando la cultura in Africa?

 

R. – La globalizzazione si presenta, per molti, come una minaccia, di fronte alla quale i vescovi hanno sottolineato l’importanza dell’appartenenza alla cultura propria della Chiesa. Non basta, infatti, dire cultura africana. E’ necessario dire cultura cristiana vissuta in modo africano. Questo è necessario per combattere quella che evidentemente è vissuta come una minaccia e non soltanto economica, ma anche culturale e spirituale. Per tutto questo è fondamentale un impegno forte per non essere semplici spettatori, ma protagonisti attivi.

 

D. – Cosa può dare l’Africa alla cultura mondiale?

 

R. – Quello che l’Africa può dare alla cultura mondiale è proprio questo senso forte di appartenenza a questa famiglia di famiglie. Questa è certamente una cosa forte, così come il senso del sacro, che è un senso grande del Dio Creatore. Devo inoltre dire che sono rimasto molto impressionato dalle diverse celebrazioni eucaristiche, che ho avuto la grazia di presiedere, di cui le più emblematiche sono state quelle nel Lesotho, luogo storico della resistenza all’apartheid, e a Città del Capo: qui ho potuto incontrare una comunità di seminaristi  composta da bianchi e neri, perfettamente integrati, che hanno celebrato insieme le meraviglie di Dio.

 

D. – Cosa dire dell’incontro tra il Vangelo e l’Africa?

 

R. – Un immenso canto di lode al Signore. All’alba del nuovo millennio la Chiesa d’Africa conta dei santi ed è guidata da vescovi che all’85 per cento sono africani, ha numerose, numerosissime vocazioni sacerdotali e religiose e più di 130 milioni di fedeli. Una grande lode al Signore, dunque. Sono stati proprio i vescovi africani a sottolineare l’azione di grazia del Signore attraverso i missionari che, al prezzo di immensi sacrifici, hanno saputo portare il proprio invito evangelico e attraverso tanti, tanti cristiani africani che hanno sofferto e continuano a soffrire per la loro fede, ma sempre con un sentimento grande di lode al Signore. Nonostante le difficoltà e le tribolazioni  è forte la gioia che si vive, la gioia di Cristo che non sopprime certo le sofferenze ma le trasforma con la grazia di Dio.

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CHIESA E SOCIETA’

4 novembre 2004

 

CONTINUA A FAR DISCUTERE LA LEGGE SULLA BLASFEMIA IN PAKISTAN.

UN’INTERA FAMIGLIA CRISTIANA COSTRETTA AD EMIGRARE

DOPO RIPETUTE MINACCE DI MORTE

 

LAHORE. = L’intolleranza religiosa in Pakistan ha costretto una famiglia cristiana di Wah Cantt, nei pressi di Islamabad, ad emigrare in una località sconosciuta del Paese. La figlia Safad, infatti, è stata minacciata di morte perché accusata di profanare il Corano. La denuncia, riferisce l’agenzia Asianews, viene dalla Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pakistana. Lo scorso luglio una musulmana ha accusato la sedicenne Safad Tasneem Dean di aver gettato nella spazzatura una copia del Corano. Subito i musulmani del posto si sono radunati sotto la casa della ragazza cristiana, con l’intenzione di bruciarle la casa. Gli insorti hanno anche cercato di uccidere Safad, ma alcuni anziani della città hanno messo in salvo la ragazza. Sebbene non esistano prove del presunto atto di blasfemia, per sfuggire alle minacce, la famiglia di Safad è stata costretta ad emigrare in una località ignota. La legge sulla blasfemia, introdotta in Pakistan nel 1986, prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte in caso di offesa a Maometto. Attivisti per i diritti umani e in difesa delle minoranze religiose hanno più volte chiesto l’abolizione della legge, spesso usata per regolare questioni private. La legge sulla blasfemia ha prodotto decine di morti fra i cristiani. Dal 1986 le denunce per blasfemia sono state oltre 4mila. (B.C.)

 

 

SCIOPERO DELLA FAME PER LIBERARE UN MONACO TIBETANO IN PERICOLO

DI VITA IN CINA. LO HA INDETTO UN GRUPPO DI RELIGIOSI

TIBETANI DELLA COMUNITA’ IN ESILIO IN INDIA. IL MONACO BUDDISTA

E’ DETENUTO NELLE CARCERI CINESI DA DUE ANNI

 

PECHINO. = Un gruppo di monaci e religiose tibetani della comunità in esilio in India hanno iniziato uno sciopero della fame per chiedere alle autorità di Pechino l’immediata scarcerazione di Tenzin Delek Rinpoche, il monaco buddista di 53 anni detenuto da due anni nelle prigioni cinesi e condannato a morte. Rinpoche, riferisce l’agenzia Misna, noto in Tibet per le sue battaglie in difesa dell’ambiente e per la realizzazione di orfanotrofi e altre organizzazioni sociali, è stato imprigionato nel 2002 con l’accusa di aver partecipato all’organizzazione di un attentato dinamitardo nella piazza principale di Chengdu, capoluogo della provincia del Sichuan. I sostenitori a Dharmasala, città dell’India settentrionale dove dal 1959 risiede il governo del Tibet in esilio, tuttavia, affermano che le accuse rivolte al monaco sono false. Insieme con Rinpoche, la polizia cinese arrestò anche il monaco Lobsang Dondrup, 28 anni, che nel gennaio 2003 non è sfuggito all’esecuzione capitale. La magistratura cinese ha sospeso per due anni la condanna a morte di Rinpoche, riservandosi di valutare se commutare la sentenza in ergastolo. Gli attivisti del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia di Dharamsala temono, invece, che la condanna possa essere presto eseguito. Gli organizzatori dello sciopero della fame hanno aggiunto che alla protesta dei religiosi si uniranno anche centinaia di laici tibetani. (B.C.)

 

 

AL VIA OGGI A RIO DE JANEIRO IL 18° VERTICE DEL “GRUPPO DI RIO”,

INCENTRATO QUEST’ANNO SULLA DIFFICILE SITUAZIONE HAITIANA

E SUL PESANTE DEBITO ESTERO DELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI SUDAMERICANI

 

RIO DE JANEIRO. = La situazione haitiana, ma anche il pesante debito estero della maggior parte dei Paesi sudamericani che impone tagli ai programmi sociali e di sviluppo, oltre che la necessità di una riforma delle Nazioni Unite. Questi i temi cardine attorno a cui ruoterà il 18° Vertice del “Gruppo di Rio”, che si apre oggi nella metropoli carioca. Allo stesso tavolo saranno seduti i presidenti di sinistra – il venezuelano Hugo Chávez, l’argentino Néstor Kirchner, il brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il neo-eletto capo di Stato uruguayano Tabaré Vásquez – che presenteranno le principali istanze del “Gruppo”, inclusa la richiesta di una mozione di appoggio al programma mondiale di lotta alla fame e alla miseria, lanciato l'anno scorso da Lula. Non prenderanno parte all’incontro per impegni improrogabili, invece, i capi di Stato di Panama, Nicaragua, Honduras, Guatemala e El Salvador. Assente anche il presidente dell’Ecuador Lucio Gutiérrez che oggi dovrebbe affrontare in Parlamento la votazione di una mozione di sfiducia che rischia di aprire il procedimento di messa in stato d’accusa per presunta malversazione di fondi pubblici. La dichiarazione finale “è quasi pronta”- ha anticipato ai giornalisti il vice-ministro degli Esteri messicano, Miguel Hakim - e, a differenza di altri documenti del Gruppo, comprenderà solo una dozzina di paragrafi con enfasi sul rafforzamento della democrazia soprattutto ad Haiti. Il Brasile, che guida i “caschi blu” nel Paese caraibico, pone la sua attenzione su tre fronti: la necessità di completare il dispiegamento dei militari dell’Onu, la concessione urgente di linee di credito e aiuti finanziari e la riconciliazione politica tra le forze pro e contro l'ex-presidente Jean-Bertrand Aristide, di cui non escluderebbe un eventuale rientro nella politica haitiana. (S.S.)

 

 

“VITA CONSACRATA IN RAPPORTO AI MOVIMENTI ECCLESIASTICI”. QUESTO IL TEMA

 DELLA 44.MA ASSEMBLEA DEI SUPERIORI MAGGIORI DEGLI ISTITUTI RELIGIOSI ITALIANI FACENTI CAPO AL CISM. L’INCONTRO SI SVOLGERA’ DALL’8 AL 12 NOVEMBRE AD ASSISI

 

ASSISI. = Dall’8 al 12 novembre i Superiori Maggiori degli Istituti religiosi italiani che fanno capo alla CISM (Conferenza Italiana Superiori Maggiori), si riuniranno ad Assisi in Assemblea generale (la 44.ma per la cronaca), per parlare della “Vita consacrata in rapporto ai movimenti ecclesiali”. Argomento di estrema attualità, vista la crescita sorprendente e provvidenziale di nuove forme di vita evangelica che stanno arricchendo la Chiesa e che, insieme ai consacrati, possono testimoniare la vitalità “dell’unico Spirito che dona diversità di carismi”. Lavorando per lo stesso scopo e tenendo conto, soprattutto, che molti consacrati fanno parte di alcuni di tali movimenti - hanno cioè la così detta duplice appartenenza- è opportuno che i Superiori parlino di questa realtà in modo da stabilire un rapporto diretto di conoscenza e di collaborazione, di stimolo e di condivisione non solo tra le singole persone - come avviene ora - ma anche a livello di Istituti. Prevista la partecipazione di 180 religiosi in rappresentanza dei 24.797 confratelli (di cui 3.340 all’estero) che dipendono dai Superiori Provinciali italiani, e che sono distribuiti in 3.418 comunità (584 delle quali si trovano all’estero).(S.S.)

 

 

CONGRESSO A MILANO DELL’ASSOCIAZIONE FATEBENEFRATELLI

PER LA RICERCA BIOMEDICA E SANITARIA

- A cura di Fabio Brenna -

 

MILANO. = 400 operatori provenienti da 14 delle 21 strutture sanitarie dei Fatebenefratelli d'Italia danno vita al VI congresso dell'Afar -associazione fatebenefratelli per la ricerca biomedica e sanitaria- per interrogarsi su Ospitalità e tecnologia, per l'umanizzazione del rapporto assistenziale alla luce delle nuove tecnologie in ambito sanitario. Nel corso della tre giorni milanese verranno presentati i risultati di oltre 340 ricerche curate dall'associazione. Le prime ricerche presentate forniscono alcuni spunti interessanti per le applicazioni scientifiche ma anche per rispondere al tratto caratteristico dei Fatebenefratelli, ossia l'ospitalità. Innanzitutto, la spiritualità è un fattore importante collegato alle condizioni di salute e la religiosità, insieme alle forti convinzioni personal hanno un peso determinante sulla qualità di vita percepita da ciascun soggetto. Questo è il risultato di uno studio condotto in tre centri riabilitativi della rete Fatebenfratelli. Un altro studio mette in evidenza invece come giovani e anziani non ricordino allo stesso modo: l'anziano, per sfruttare al meglio la propria memoria a lungo termine e arrivare agli stessi risultati dei giovani, deve utilizzare una maggiore quantità di cervello a scapito di una ridotta specializzazione funzionale.  Di patologie mentali tratta ancora una ricerca condotta dal laboratorio di genetica dell'Irccs di Brescia. I ricercatori hanno evidenziato come per alcune patologie quali la demenza di Alzheimer e la schizofrenia, il coinvolgimento di alcuni geni delle citochine, le principali proteine regolatrici del sistema immunitario. Da questi studi si potranno sviluppare test genetici per l'ottimizzazione delle terapie farmacologiche. Sono davvero molti gli ambiti in cui sono intervenuti gli studiosi dell'Afar. Nel corso del congresso verranno presentati altri studi sulla riabilitazione del paziente, i disturbi del comportamento e le tecnologie biomediche: dall'utilizzo di campi magnetici generati dai telefoni cellulari per curare l'ictus cerebrale fino alla stimolazione magnetica transcranica per il trattamento dei disturbi cognitivi. Nel corso dei lavori, aperti dall'intervento del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, dal saluto di fra Pascual Piles padre generale dei Fatebenfratelli, sono previsti interventi di autorevoli esponenti della ricerca, del mondo assistenziale e sanitario italiano.

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24 ORE NEL MONDO

4 novembre 2004

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Un nuovo raid aereo americano ha colpito nella notte la città sunnita di Falluja. Secondo fonti ospedaliere, sono almeno cinque le vittime di questa ennesima operazione militare. Sul versante ostaggi un nuovo video, recapitato all’agenzia Reuters a Baghdad, mostra tre camionisti giordani sequestrati dal sedicente ‘Esercito islamico’ che chiedono al governo di Amman di mettere in guardia i loro concittadini dal lavorare per i militari americani. E sui soldati della coalizione rimasti uccisi in Iraq il Pentagono ha diffuso, inoltre, un nuovo rapporto: sono 1120 i militari americani, 66 gli inglesi e 69 i militari di altre nazioni morti nel Paese arabo a partire dal primo maggio 2003. Intanto, l’organizzazione umanitaria ‘Medici senza frontiere’ ha deciso di chiudere tutti i propri progetti in Iraq. Un passo dettato - così come era successo in Afghanistan nel settembre 2004 - dal deteriorarsi delle condizioni di sicurezza nel Paese del Golfo. Sulle ragioni di tale provvedimento, Giada Aquilino ha intervistato Stefano Savi, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia:

 

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R. – La decisione di lasciare l’Iraq è stata maturata nelle ultime settimane. Sicuramente la situazione generale di insicurezza non permette alla nostra organizzazione di operare in modo adeguato il soccorso alla popolazione. Gli ultimi avvenimenti, come il rapimento delle due volontarie di “Un ponte per…” e della direttrice dei programmi di “Care International”, Margaret Hassan, hanno segnato una svolta: in particolare la richiesta a “Care International” da parte dei rapitori - come condizione per un eventuale rilascio dell’operatrice - di abbandonare il Paese e chiudere i programmi. Si tratta di una strumentalizzazione del personale umanitario e delle organizzazioni umanitarie per degli scopi che non hanno niente a che vedere con l’umanitario, ma sono piuttosto politici. Ciò significa che tutte le organizzazioni umanitarie corrono il rischio di veder rapiti i propri operatori. Abbiamo quindi cercato di prevenire una eventualità di questo genere, anche nei confronti del nostro staff iracheno.

 

D. – Che riscontro avete avuto sul terreno sia dagli iracheni, sia dai soldati della coalizione?

 

R. – In effetti c’è una strumentalizzazione dell’azione umanitaria da entrambe le parti che sono coinvolte nel conflitto. Da una parte – come nel caso del rapimento dell’operatrice di “Care International” – c’è il fatto di utilizzare operatori umanitari come strumento di ricatto per far chiudere i programmi, dall’altra vediamo invece la strumentalizzazione dell’azione di assistenza come “braccio umanitario delle forze di coalizione” o comunque come un’azione che servirà a vincere i cuori e le menti della popolazione. Anche in questo caso si tratta di fini che non sono umanitari, ma politici. Tale percezione fa sì che per una delle due parti in conflitto siamo diventati un obiettivo da colpire, per poter mandare dei messaggi.

 

D. – A questo punto, qual è il bilancio delle operazioni di Medici Senza Frontiere in Iraq?

 

R. – Fino ad ora estremamente positivo. Eravamo presenti sino ad oggi a Sadr City, a Falluja e a Najaf: avevamo circa 12 mila consultazioni mensili nelle nostre cliniche. Il nostro servizio era quindi estremamente utile per la popolazione. Il problema è che ora, ancora una volta, chi paga il prezzo più alto non siamo noi come organizzazione umanitaria, non sono le forze di coalizione, ma è sicuramente la popolazione civile, quella più vulnerabile, come le donne, i bambini e gli anziani.

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In Afghanistan, la vittoria elettorale di Hamid Karzai, proclamato ieri presidente del Paese asiatico, è stata ufficialmente riconosciuta dalla Commissione ONU che ha supervisionato la regolarità del voto dello scorso 9 ottobre. Nel Paese intanto il governo di Kabul, le Nazioni Unite e l’“Esercito dei musulmani”, responsabile del rapimento di tre impiegati dell’ONU, hanno iniziato i negoziati per arrivare alla liberazione degli ostaggi, una nordirlandese, una kosovara ed un filippino. I sequestratori, che hanno prorogato l’ultimatum fino a domani, chiedono il ritiro dell’ONU, delle forze britanniche e la liberazione dei prigionieri afgani detenuti a Guantanamo e a Bagram. Sul terreno, intanto, quattro civili sono morti  nella provincia di Paktita per l’esplosione di un ordigno che ha investito la loro auto, non lontana al momento della deflagrazione da un convoglio dell’esercito afgano.

 

In Pakistan sei soldati sono rimasti uccisi stamani nell’esplosione di una bomba. Lo ha reso noto il portavoce dell’esercito pakistano precisando che la deflagrazione è avvenuta nel Waziristan, regione vicina al confine afgano, dove l’esercito di Islamabad è impegnato in operazioni militari contro militanti di Al Qaeda.

 

Situazione in Iraq, competitività dell’Unione, sicurezza e immigrazione in Europa. Sono questi alcuni dei temi che il Consiglio europeo affronterà oggi pomeriggio a Bruxelles. Si parlerà anche della nuova commissione Barroso: per completare la squadra di governo – ha detto un portavoce dell’UE – manca solo il candidato italiano. E riferendosi alla drammatica situazione della regione sudanese del Darfur, i leader dell’UE hanno nuovamente rimarcato, intanto, l’importanza “di rispettare i diritti dell’uomo e di migliorare le condizioni di sicurezza”.

 

In Costa d’Avorio, due aerei delle forze militari ivoriane hanno bombardato stamani un’area della città di Bouaké, dove si trovavano ribelli appartenenti alle Forze Nuove. Al momento non si hanno notizie di vittime.

 

Nel sud della Thailandia, almeno sette persone sono state uccise nelle ultime 24 ore. Secondo gli inquirenti, gli omicidi sono stati compiuti da estremisti islamici che avrebbero agito per vendicare la morte, lo scorso 25 ottobre, di 87 musulmani rimasti uccisi a Tak Bai durante scontri con la polizia.

 

“Tutte le accuse che mi sono state rivolte sono una farsa”. Il capo religioso indonesiano, Abou Bakar Bachir, continua a proclamare la propria innocenza al processo che lo vede imputato per azioni terroristiche. L’uomo, che ha definito “una catastrofe” la vittoria di Bush alle elezioni presidenziali americane, è accusato di aver organizzato gli attentati di Bali e contro l’hotel Marriott di Jakarta.

 

Le forze di sicurezza di Riad hanno arrestato un uomo perché sospettato di appartenere alla rete locale di al Qaeda. Il fermo è scattato dopo uno scambio di colpi di arma da fuoco a Buraida, città del nord dell'Arabia Saudita. Lo ha annunciato oggi il ministero dell'interno saudita.

 

Gli Stati Uniti hanno riconosciuto per la Repubblica Macedone il nome ‘Macedonia’. La scelta del Dipartimento di Stato ha scatenato le reazioni di Atene, che indica con il nome ‘Macedonia’ una propria regione nel nord del Paese. Dopo l’indipendenza della Macedonia nel 1991, l’esecutivo ellenico aveva ingaggiato una lunga battaglia diplomatica ottenendo l’introduzione dell’acronimo Fyrom (ex Repubblica jugoslava di Macedonia).

 

 

 

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