RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 306  - Testo della trasmissione di lunedì 1 novembre 2004

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Rallegriamoci  nel Signore in questa solennita’ di tutti i Santi”: è  l’invito del Papa all’Angelus con  un pensiero alla  commemorazione dei defunti, domani, e una preghiera speciale per tutte le vittime del terrorismo: mi sento vicino alle loro famiglie – ha detto,  invocando la pace per il mondo.

 

Sull’odierna solennita’ di tutti i Santi la riflessione di mons. Gianfranco Ravasi.

 

Si moltiplicano nel mondo le iniziative per l’Anno dell’Eucaristia aperto dal Papa il 17 ottobre scorso:  intervista con padre Ildebrando Scicolone.

OGGI IN PRIMO PIANO

 

Grande attesa per le elezioni presidenziali che si svolgeranno domani negli Stati Uniti: e’ testa a testa tra il presidente repubblicano Bush e il senatore democratico Kerry. Con noi Tiziano Bonazzi e Giuseppe Mammarella

    

“I Santi e Karol: il nuovo volto della santita”: pubblicato il nuovo libro del vaticanista Fabio Zavattaro. Intervista con l’autore

Presentata la programmazione artistica della “Casa del cinema” di Roma: ai nostri microfoni il direttore artistico, Felice Laudadio.

CHIESA E SOCIETA’:

“Le ferite dell’odio e della divisione devono essere guarite”: è il monito dei vescovi dell’Etiopia e dell’Eritrea, a conclusione della loro assemblea annuale.

 

Appello dei capi religiosi della Repubblica democratica del Congo ai politici perché si impegnino di più per la pace

L’Algeria festeggia il 50.esimo anniversario dell’indipendenza.

 

Cina: 148 le vittime degli scontri etnici tra gli Han e la minoranza musulmana Hui. Imposta la legge marziale dalle autorita’

Giornata conclusiva oggi a Fiuggi per l’11.esima Conferenza internazionale della Catholic Fraternity.

Oltre 30.000 bambini in Irlanda del nord vivono in poverta’. Lo rivela uno studio dell’Istituto di studi irlandesi della Queen’s University di Belfast

 

24 ORE NEL MONDO:

Attentato kamikaze in un mercato di Tel Aviv: almeno 4 i morti

 

Scontri in tutto l’Iraq: ucciso il vicegovernatore di Baghdad

 

Elezioni presidenziali in Uruguay: dopo 170 anni per la prima volta vince il candidato della sinistra.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

1 novembre 2004

 

“RALLEGRIAMOCI TUTTI NEL SIGNORE IN QUESTA SOLENNITA’ DEI SANTI”:

 L’INVITO DEL PAPA ALL’ANGELUS CON UN PENSIERO

ALLA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI, DOMANI, E DUNQUE

UNA PREGHIERA SPECIALE PER TUTTE LE VITTIME DEL TERRORISMO

- Il servizio di Fausta Speranza -

 

 

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“Un invito alla gioia”, esprime il Papa nel giorno della Celebrazione eucaristica in onore di tutti i Santi. E’ festa – spiega – perché “la Chiesa pellegrina sulla terra alza lo sguardo al Cielo e si unisce esultante al coro di quanti Dio ha associato alla sua gloria.

 

E’ la comunione dei santi!

 

“E’ uno stupendo mistero” – sottolinea Giovanni Paolo II – aggiungendo che “proprio alla luce di questo stupendo mistero, celebreremo domani l’annuale Commemorazione di tutti i fedeli defunti.” E qui c’è l’ombra del dramma attuale: il terrorismo con il suo costo in termini di vite umane perdute: già da oggi si leva la “preghiera speciale” del Papa “a Dio per tutte le vittime del terrorismo”. “Mi sento spiritualmente vicino alle loro famiglie – confida il Papa - e, mentre chiedo al Signore di lenire il loro dolore, lo invoco per la pace nel mondo.”

        

Pace, contrario di guerra: il pensiero va alle zone di conflitto e al martoriato Iraq. E a questo proposito ricordiamo che il Papa incontrerà il premier iracheno Allawi in Vaticano giovedì prossimo, 4 novembre, nel giorno di San Carlo, suo onomastico.

        

Ma tornando alla liturgia di domani, Giovanni Paolo II ricorda che “ci invita a dilatare il cuore e a pregare per tutti, specialmente per le anime più bisognose della divina misericordia”.

        

Infine, l’invocazione a Maria, Regina di Tutti i Santi, perché ci aiuti a seguire fedelmente Cristo, per giungere alla gloria del Cielo.

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“SANTI OGGI PER UNA CIVILTÀ DELL’AMORE”: È IL TEMA SCELTO QUEST’ANNO DAL MOVIMENTO “PRO SANCTITATE” CHE INVITA A VIVERE LA SOLENNITÀ DEI SANTI COME

 LA GIORNATA DELLA SANTIFICAZIONE UNIVERSALE

- Intervista con mons. Gianfranco Ravasi -

 

 “Santi oggi per una civiltà dell’amore”: è il tema scelto quest’anno dal Movimento “Pro Sanctitate” che invita a vivere la solennità dei Santi come la Giornata della Santificazione Universale. Quest’anno ricorda il 40.mo anniversario della Lumen Gentium”, Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II,  e come gli altri anni ricorda l’invito di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Una veglia di preghiera, con l’adorazione eucaristica, sarà presieduta questa sera nella basilica di San Giovanni in Laterano dal vescovo ausiliare di Roma, mons. Vincenzo Apicella.

 

Ma come spiegare, anche a chi è lontano dalla fede, la santità? Al microfono di Roberta Moretti, ascoltiamo il biblista e teologo, mons. Gianfranco Ravasi:

 

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R. – Santo è colui che, prima di tutto, compie in pienezza la sua umanità, quindi si dedica seriamente, in maniera esigente, alla sua vocazione. E’ chi si dedica al prossimo, alle relazioni; chi è coerente con le sue scelte; chi sente in profondità la dignità della persona. Santificarsi, perciò, può essere possibile anche a una persona – come si suol dire adesso – “laica”, cioè una persona agnostica, la quale però cerca attraverso le sue scelte di far sì che il suo impegno nel mondo e la sua moralità siano un segno di calore e anche di luce. In questo caso, c’è già il primo livello della santità che poi potrà fiorire quando la persona diventa credente in una dimensione superiore, trascendente, modellata su Dio stesso e su Cristo.

 

D. – Essere santi significa essere perfetti?

 

R. – Per certi versi, sì. Ricordiamo la frase che Gesù pronuncia nel Discorso della Montagna. Egli dice: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”. E’ significativo che Gesù non fa riferimento a figure umane. Il modello da tener presente è un modello di sua natura infinito, come lo è Dio, il Padre che è nei Cieli. Questo significa che la santità non è assolutamente il cercare di organizzare la propria vita in modo decoroso e cercare di compiere alcune virtù in maniera quotidiana: questo è pur vero ed è importante, ma non è ancora la santità autentica cristiana. La santità autentica cristiana è tendere verso l’utopia, e continuamente crescere all’interno di questa imitazione di Dio. Tant’è vero che Paolo dice: “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo”.

 

D. – Mons. Ravasi, che cosa spinge Giovanni Paolo II a impegnarsi per riconoscere la santità di tante persone?

 

R. – Da una parte, certamente è indispensabile far emergere a livello pubblico quella che all’interno della Lettera agli Ebrei si chiama “la nube dei testimoni”, cioè i santi. E santi significa autentici cristiani,  perché tale è la santità: giungere alla pienezza della propria fede. Si tratta di una nube, composta da tante minutissime gocce. Ecco, la funzione delle canonizzazioni  fatte  da Giovanni Paolo II: far sì che queste “gocce” di santità siano rese sempre più visibili. Ed è per questo che sono anche molto varie tra di loro: hanno figure diverse, hanno esperienze umane anche travagliate, per cui un po’ tutti si possono ritrovare. Dall’altra parte, però, per quanto se ne facciano tanti, di santi ufficiali, dobbiamo sempre ricordare che immenso è il numero dei santi anonimi.

 

D. – Si può parlare di “devozione” nei confronti dei santi?

 

R. – “Avere devozione” verso qualcuno vuol dire proprio “affidarsi”. In questo senso, certamente la devozione ha il suo significato ed è stata vissuta così a livello popolare. Tuttavia, dobbiamo però ricordare che il santo non è mai il punto terminale della nostra devozione. C’è un culto nei confronti dei santi, ma non è quello dell’adorazione, la quale compete soltanto a Dio e a Cristo, e quindi alla Trinità. In questa luce allora dobbiamo educare le nostre comunità a far sì che da ci si affidi ai santi, perchè sono quasi il tramite nei confronti del grande mistero di Dio. Affidandoci alle loro mani, noi però dobbiamo ricordare che il porto ultimo della nostra adorazione è Dio. I santi sono questa corona che stende le mani verso di noi e ci solleva verso la luce infinita di Dio.

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SI MOLTIPLICANO LE MONDO LE INIZIATIVE PER L’ANNO DELL’EUCARISTIA

APERTO DAL PAPA IL 17 OTTOBRE SCORSO

- Intervista con padre Ildebrando Scicolone -

 

Proseguono in tutto il mondo le iniziative per l’Anno dell’Eucaristia inaugurato dal Papa il 17 ottobre scorso. Moltissime le chiese che hanno avviato l’adorazione eucaristica perpetua e sono tanti i nuovi progetti di solidarietà e di condivisione, come segno di autenticità della celebrazione eucaristica, come chiesto da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica “Mane nobiscum Domine”. In questo documento il Papa esorta a ben celebrare l'Eucaristia ed invita a porre “un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa”. Ascoltiamo in proposito la riflessione di padre Ildebrando Scicolone, monaco benedettino e professore di Liturgia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma. L’intervista è di Sergio Centofanti:

 

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R. – Penso che l’Anno eucaristico sia una buona occasione per riprendere coscienza di quello che noi celebriamo. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia celebriamo la Pasqua, cioè noi incontriamo il Signore Risorto e mangiamo con lui. Ma c’è un altro aspetto della celebrazione che è quello conviviale. Tutti, pur essendo molti, diventiamo un Corpo solo perché mangiamo dell’unico Pane. Senza questo incontro con il Signore e della comunità non c’è Chiesa, altrimenti si ridurrebbe la Chiesa ad una società per azioni, mentre invece è il Corpo di Cristo.

 

D.– Cosa, invece, va evitato, perché rischierebbe di deformare il significato dell’Eucaristia?

 

R.- Il popolo cristiano dovrebbe prendere coscienza che si tratta di una celebrazione comunitaria e non un fatto privato. La Messa non è stata istituita per ottenere una grazia, per l’esaudimento di un voto – le famose messe votive – o per i defunti. Anche per questo ma non è stata istituita per questo. Ognuno vede la sua Messa come una devozione, mentre non è una devozione è l’atto principale della comunità cristiana. Bisogna evitare, ad esempio, che ognuno vi partecipi in modo individualistico. Uno sta seduto, uno sta in piedi, uno si mette da una parte uno dall’altra, magari lontano dagli altri per non essere disturbato. Quindi non c’è il senso della comunità.

 

D. – Giovanni Paolo II richiama alla partecipazione attiva, ma anche al silenzio durante le celebrazioni eucaristiche…

 

R. – Sì, è necessario il sacro silenzio. Per quanto riguarda il rumore se la celebrazione è interessante – posso dire così – coinvolgente, il silenzio si crea automaticamente.

 

D. – I bambini e la Messa…

 

R. – Anche i bambini dovranno essere poco a poco iniziati alla celebrazione, alla comunità. Quando una famiglia va abitualmente insieme a Messa – il papà, la mamma, i bambini – i bambini crescono sapendo che quello è un atto della loro famiglia,della comunità. Se invece, uno va a una Messa, uno va ad un’altra non si crea quel clima di unità. Questo certo non aiuta.

 

D. – Durante ogni Messa accade un miracolo silenzioso. Ma noi cristiani ne ab- biamo abbastanza coscienza?

 

R. – Non soltanto accade un miracolo silenzioso, che è la trasformazione del pane nel Corpo di Cristo e il vino nel Sangue di Cristo, ma avviene un altro miracolo, al quale forse facciamo poca attenzione. Il miracolo che dovrebbe avvenire è la nostra trasformazione in Cristo. Perché noi consacriamo, cioè trasformiamo il pane nel Corpo di Cristo? Perché mangiandolo noi diventiamo corpo di Cristo. Se la celebrazione non ci aiuta a trasformarci ogni giorno di più in Cristo, la celebrazione fallisce lo scopo.

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OGGI IN PRIMO PIANO

1 novembre 2004

 

 

ALLA VIGILIA DEL VOTO, E’ TESTA A TESTA NELLA SFIDA PER LA CASA BIANCA TRA IL PRESIDENTE REPUBBLICANO BUSH E IL SENATORE DEMOCRATICO KERRY.

DOPO IL VIDEO DI BIN LADEN, SI INFIAMMA IL CONFRONTO

SULLA LOTTA AL TERRORISMO

- Intervista con gli storici Tiziano Bonazzi e Giuseppe Mammarella -

 

Testa a testa. A meno di 24 ore dall’election day, gli Stati Uniti sembrano ancora spaccati in due nella scelta tra Bush e Kerry. Questa, almeno, è l’indicazione di tutti i sondaggi più autorevoli, che vedono appaiati il presidente repubblicano e lo sfidante democratico. Per domani si aspetta un’affluenza record alle urne: 110 milioni di elettori, forse 120, che oltre alla scelta del capo della Casa Bianca dovranno anche rinnovare il Congresso. Intanto, resta prepotentemente in primo piano il nuovo video di Bin Laden, che ha infiammato il confronto tra i due avversari per la presidenza. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Come in un thriller mozzafiato, a caricare di tensioni un’elezione già ricca di emozioni, il nemico numero uno degli Stati Uniti è tornato ad irrompere nella vita degli americani. Nelle ore in cui l’America esorcizza le sue paure nella festa di Halloween, Osama Bin Laden ha minacciato un nuovo 11 settembre se Washington non cambierà linea politica. Il video dello sceicco del terrore pare non aver inciso sulle intenzioni di voto degli elettori. Tuttavia, come prevedibile, ha catalizzato l’attenzione di Bush e Kerry. “Il risultato di queste elezioni – ha affermato il presidente – segnerà la direzione della guerra al terrorismo”. Quindi, ha attaccato il senatore Kerry giudicato troppo debole e poco affidabile per guidare la lotta contro Al Qaeda. “La posizione del mio avversario – ha ironizzato – è come il tempo in Minnesota. Non ti piace? Aspetta un po’ e cambierà”. Dal canto suo, il candidato democratico si è appellato all’unità degli americani contro la comune minaccia del terrorismo. “Come americani – ha ribadito – siamo uniti nella nostra determinazione per distruggere Osama Bin Laden”. Ha così criticato Bush per aver fallito nella cattura del leader di Al Qaeda, spostando le forze militari migliori nella fallimentare avventura irachena. “Per due anni – ha sostenuto Kerry – mentre Osama Bin Laden era all’angolo nelle montagne di Tora Bora, Bush ha delegato ai signori della guerra afgani la cattura del nostro nemico”. La sostanziale parità dei candidati alla Casa Bianca si riflette nella frenesia delle campagne elettorali di Bush e Kerry, che in queste ultime ore prima del voto, sono impegnati in un tour de force per aggiudicarsi quegli Stati indecisi – Florida, Pennsylvania e Ohio in primis – che potrebbero garantire l’ingresso nello Studio Ovale.

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         Come quattro anni fa - nella sfida tra Bush e Gore - l’elettorato americano si presenta al voto profondamente polarizzato. Al microfono di Alessandro Gisotti, lo storico americanista dell’Università di Bologna, Tiziano Bonazzi, ripercorre i passaggi che hanno portato a questa situazione di sostanziale parità tra il candidato repubblicano e quello democratico:

 

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La campagna elettorale si è venuta schiacciando nelle ultime settimane sul tema della leadership, della determinazione, della chiarezza morale e su questo ha avuto decisamente un vantaggio il presidente Bush, l’uomo che – per usare un’espressione italiana – parla come mangia. Kerry, invece, è un parlamentare, abituato a manovrare, abituato ad adeguarsi alle circostanze e quindi anche a cambiare – almeno all’apparenza – idea. Questo è l’elemento che ha dato a lungo un senso di debolezza agli americani, che lo ha fatto sembrare poco determinato sul tema della leadership di una nazione in guerra. Poi, nelle ultimissime settimane, Kerry è riuscito ad insinuare il dubbio che la determinazione di Bush in realtà sia semplicemente testardaggine, incapacità di essere pragmatici. In un certo senso è una specie di rivincita del politico sull’ideologo.

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         Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, le guerre in Afghanistan e Iraq, l’opinione pubblica mondiale segue ora con vivo interesse le elezioni di domani. Pochi giorni fa, il presidente russo Putin ha espresso l’auspicio di un nuovo mandato per il presidente Bush. Oggi, invece, la Cina si è espressa a favore di John Kerry attraverso il suo ex ministro degli Esteri, Qian Qichen. Tuttavia, non si guarda soltanto alla politica estera di Washington, ma anche a quella economica. Gli Stati Uniti, infatti, sono alle prese con problemi di carattere finanziario mai incontrati prima, che potrebbero incidere sullo stato dell’economia mondiale. Ma quale tra i due candidati ha formulato le migliori proposte economiche? Fabio Colagrande ha girato la domanda al prof. Giuseppe Mammarella, docente di Relazioni Internazionali alla Stanford University:

        

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R. - Nessuno dei due, perché il problema dell’America difficilmente propone delle soluzioni alternative. Il problema è quello di limitare la spesa e chiedere al Paese dei sacrifici. Sia l’uno che l’altro, chiunque vinca dovrà farlo. Per la verità la situazione economica, ed in particolare quella  finanziaria, non è stato  un tema del dibattito. Si è parlato di disoccupazione, ma la questione finanziaria è un’altra, ha degli aspetti tecnici che è difficile analizzare durante una campagna elettorale, e che certamente, però, chiunque vinca, dovrà affrontare. C’è il problema del dollaro, il problema dello sbilancio dei conti americani…

 

D. – Qualcuno ha detto che chiunque vinca dovrà anche cambiare la politica estera degli Stati Uniti…

 

R. – Penso di sì, perché tra l’altro i due problemi – quello della politica estera e quello della politica economica e finanziaria – sono, in una certa misura, collegati. Certamente, alcune prese di posizione estremamente radicali dell’amministrazione Bush dovranno essere attenuate, anche se Bush vincerà. E’assai difficile dire quali sono i progetti di questa amministrazione, perché non sono apparsi durante la campagna elettorale per il dopo. Quindi è una questione che rimane aperta, perché ripeto né l’uno né l’altro l’hanno affrontata. Tutti e due hanno detto che la questione irachena verrà chiusa nel momento in cui il governo Allawi sarà in grado di controllare la situazione. Ma quando?

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“I SANTI E KAROL: IL NUOVO VOLTO DELLA SANTITA”:

PUBBLICATO IL NUOVO LIBRO DEL VATICANISTA FABIO ZAVATTARO

- Intervista con l’autore -

 

 “I Santi e Karol: il nuovo volto della santità”, è il titolo del nuovo libro di Fabio Zavattaro, collega vaticanista del Tg1 della Rai, inviato da oltre 20 anni, a seguito dei viaggi del Papa. Roberta Gisotti lo ha intervistato:

 

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D. - In 26 anni di pontificato Giovanni Paolo II ha proclamato 1345 beati e 483 santi, vale a dire che ha elevato agli onori degli altari più uomini e donne di quanti abbiano fatto tutti insieme i precedenti pontefici. E qualcuno ha anche obiettato che sono stati troppi. Come valutare questa scelta del Papa perseguita con tanta determinazione. Fabio Zavattaro:

 

R. - Credo essenzialmente che il Papa abbia voluto, veramente, donare una sorta di Santo della porta accanto e cerco di spiegarmi: le figure dei Santo e dei Beati con cui finora siamo stati abituati a confrontarci fino a Giovanni Paolo II, sono figure che a volte ci sembravano quasi impossibili da raggiungere e da seguire. Giovanni Paolo II ha un po’ invertito le cose, ha cercato di offrire a tutti quanti una figura che possa essere davvero compagno di viaggio: nei dolori, nelle sofferenze e nella gioia. Una persona con la quale – oserei quasi dire – colloquiare quotidianamente.

 

D. – Di fronte a questa moltitudine di santità, possiamo dire del passato e del presente messa in luce da Giovanni Paolo II, come ti sei orientato per scegliere i Beati e Santi di cui parli nel libro?

 

R . – Essenzialmente io non ho voluto raccontare delle storie di Santi, ho voluto raccontare dei Santi che questo Papa ha proclamato e che in qualche modo sono legati al suo Magistero, alla sua vita. Figure, alcune delle quali lui ha conosciuto; e poi ho trovato delle figure che in qualche modo potessero costruire questa possibilità di avere al nostro fianco una persona che ti può accompagnare nel quotidiano. Ho cercato di costruire attraverso queste figure quello che era un po’ il senso e il desiderio di Giovanni Paolo II di offrire dei volti nuovi per la Chiesa del Terzo Millennio.

 

D. – Possiamo dire che attraverso questa selezione di Santi e Beati leggiamo anche tratti salienti della personalità del Papa…

 

R. – Esatto. Infatti è proprio questa la chiave del libro, cioè attraverso questi Santi riuscire anche a descrivere il Pontificato di Giovanni Paolo II. Giovanni Paolo II ci dice che la santità è davvero una cosa possibile per tutti.

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   PRESENTATA LA PROGRAMMAZIONE ARTISTICA DELLA “CASA DEL CINEMA” DI ROMA:

UNO SPAZIO PERMANENTE DEDICATO ALLA CULTURA CINEMATOGRAFICA, ITALIANA,

PER CONSERVARE IL PASSATO E PRESENTARE IL FUTURO DELLA SETTIMA ARTE.

AI NOSTRI MICROFONI IL DIRETTORE ARTISTICO, FELICE LAUDADIO

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

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E’ nata a Roma una casa tutta per il cinema, in quella che era la Casina delle Rose, situata all’ingresso di Villa Borghese. L’elegante edificio, interamente restaurato a cura del Comune di Roma, ospita quattro sale cinematografiche, aule per convegni ed incontri, uno shopping center dedicato al mondo della celluloide ed un archivio assai fornito per aiutare studenti ed appassionati. Il perché della nascita di questa nuova struttura nel cuore di Roma ci viene raccontato dal suo Direttore artistico, Felice Laudadio:

 

“La casa del cinema è un antico sogno di tanti cineasti italiani; se ne parla dagli anni Cinquanta. Uno dei più grandi assertori della necessità di avere un luogo di ritrovo dei cineasti italiani, era Sergio Amidei, il grande sceneggiatore. In realtà, questo luogo di ritrovo riprende la tradizione del cinema italiano di ritrovarsi in alcuni locali, negli anni Cinquanta e Sessanta. Lì dove nascevano le discussioni qualche volta anche accese, le idee di film, progetti, incontri, scoperte di un nuovo regista o di un nuovo attore. Certo, i tempi sono cambiati. Noi immaginiamo di ripetere, in qualche modo, l’esperienza con i “nuovi”, e questo è uno strumento per arrivare a ricreare un’aggregazione naturale. Però, è anche un posto aperto a tutti per presentare momenti alti di cultura cinematografica con i protagonisti del cinema di oggi ... del cinema ... quando dico “di ieri”, parlo dei grandi autori, ma anche del cinema di domani, perché presenteremo film di molti autori giovani alla loro prima opera”.

 

Ogni giorno della settimana è dedicato a diversi appuntamenti, con gli autori, i premi, le anteprime, la letteratura cinematografica, i film per i ragazzi. Nell’intenso programma, anche tre Festival: quello con il Cinema nordico nel marzo del 2005, con il cinema spagnolo il prossimo autunno e nella primavera un “Italia Filmfest”. Felice Laudadio esprime anche un desiderio:

 

“Che dieci produttori, attori e registi si sono incontrati fra di loro, grazie all’esistenza della “Casa del Cinema”; da quei dieci talenti sono usciti tre film importanti del cinema italiano, che non sarebbero nati se non si fossero create le condizioni per ritrovarsi alla “Casa del Cinema”.

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CHIESA E SOCIETA’

1 novembre 2004

 

 

“LE FERITE DELL’ODIO E DELLA DIVISIONE DEVONO ESSERE GUARITE”: E’ IL MONITO

DEI VESCOVI DELL’ETIOPIA E DELL’ERITREA, A CONCLUSIONE DELLA LORO ASSEMBLEA

ANNUALE. “DESIDERIAMO LA FINE IMMEDIATA DEL CONFLITTO – SI LEGGE

NEL COMUNICATO– E UNA SOLUZIONE DEFINITIVA PER LA QUESTIONE DEI CONFINI”

 

CITTA’ DEL VATICANO. = “Crediamo ancora nella sapienza dei nostri leader politici e assicuriamo loro le nostre preghiere”, affinché siano definitivamente diradati quei “sentimenti di frustrazione che sembrano ritardare il tanto atteso processo di pace e riconciliazione”. E’ la riflessione offerta dai vescovi dell’Etiopia e dell’Eritrea, a conclusione della loro assemblea annuale in Vaticano, tra il 24 e il 30 ottobre scorsi. “Le ferite dell’odio e della divisione devono essere guarite” si legge nel messaggio della Conferenza episcopale etio-eritrea ai fedeli cattolici e agli uomini e alle donne di buona volontà “desideriamo la fine immediata del conflitto e una soluzione definitiva per la questione dei confini”. “E’ nostro dovere spirituale – si legge ancora – ricordare a tutti i nostri amati fratelli e sorelle, che la pace e la riconciliazione sono doni del Signore, che possono essere raggiunti solo attraverso la preghiera e il totale abbandono alla volontà di Dio”. Auspicando un rapido intervento della Comunità Internazionale, i presuli passano anche a rassegna i drammi che prostrano i due Paesi: la siccità, la fame, la povertà, la piaga dell’AIDS, nonché la migrazione di quanti lasciano il proprio Paese di origine in cerca di una vita migliore. In conclusione, i vescovi della Conferenza episcopale etio-eritrea ricordano l’apertura dell’Anno dell’Eucaristia, sottolineando che i prossimi 12 mesi serviranno per riflettere sulle “ricchezze spirituali dell’Eucaristia, mistero di pace e riconciliazione, mistero di comunione e solidarietà”. Dopo una guerra trentennale, tra il 1962 e il 1991, nel 1993 l’Eritrea ha ottenuto la propria indipendenza dall’Etiopia. Il non aver stabilito, tuttavia, fin dall’inizio confini chiari e definitivi ha portato ad un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi. A partire dal 1998 sono scoppiati scontri armati, degenerati presto in una sanguinosa guerra a tutto campo. Dopo 2 anni di conflitto e decine di migliaia di vittime (oltre 70.000, ma le stime sono difficili), Etiopia ed Eritrea hanno cessato le ostilità, affidandosi all’Onu per decidere definitivamente i propri confini. Nonostante la proposta sia stata formalizzata già nel 2002, i due Paesi sono lontani dall’aver trovato un accordo. (B.C.)

 

 

“A NOME DEL POPOLO CONGOLESE, CHE HA GIÀ SOFFERTO TROPPO, VI CHIEDIAMO

DI RADDOPPIARE GLI SFORZI DI RICONCILIAZIONE”: E’ L’APPELLO CHE I CAPI RELIGIOSI

DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO HANNO RIVOLTO AI POLITICI,

INVITANDOLI A PRODIGARSI MAGGIORMENTE PER IL BENE DEI CITTADINI

 

KINSHASA. = L’unico obiettivo dei politici congolesi deve essere quello di guidare il Paese alla democrazia. E’ l’appello lanciato nei giorni scorsi dai capi religiosi della Repubblica Democratica del Congo (RDC), attraverso un memorandum, firmato anche da mons. Laurent Mosengwo Pasinya, arcivescovo di Kisagani e presidente della Conferenza episcopale congolese. “Noi vogliamo prima di tutto felicitarci con voi – si legge nel documento – per aver contributo alla felice conclusione dei negoziati politici, per la firma dell’accordo globale e inclusivo e per la cessazione delle ostilità che hanno sconvolto il Paese dall’agosto 1998”. “Il senso del dovere e il rispetto degli impegni che hanno segnato il periodo di transizione – aggiungono i leader religiosi – è stato fortemente apprezzato dal popolo congolese”. Il memorandum, tuttavia - riferisce l’agenzia Fides - mette in luce i problemi da risolvere per giungere alla pace definitiva. “Mentre la buona partenza del periodo di transizione suscita la speranza in seno al nostro popolo, il ritorno della tensione nell’est del Paese, con l’occupazione della città di Bukavu, ha gettato lo scompiglio. Come se non bastasse, – insistono – il massacro di Gatumba, dove i nostri compatrioti rifugiati in Burundi hanno perduto la vita in tragiche circostanze, ha provocato un’altra crisi che ha rischiato di affondare la transizione”. “Il cammino della transizione percorso finora dimostra che è possibile per voi compiere il vostro dovere nella lealtà verso il vostro Paese. I vostri compiti sono pesanti e le vostre responsabilità enormi, ma per amore del Congo, siete stati capaci di superare le vostre divergenze. A nome del popolo congolese, che ha già sofferto troppo – esortano i capi religiosi – vi chiediamo di raddoppiare gli sforzi di riconciliazione”. “Dovete avere un solo obiettivo, quello di condurre il popolo alla democrazia. Non abbiate che una sola agenda – concludono – quella di alleviare la miseria della popolazione, di aiutarla a ritrovare la sua dignità, perché possa gioire delle ricchezze della terra dei propri antenati”. (B.C.)

 

 

L’ALGERIA GUARDA AL FUTURO NEL SEGNO DELLA PACE. LO HA SOTTOLINEATO

IL PRESIDENTE BOUTEFLIKA, NEL DISCORSO PER IL 50.ESIMO ANNIVERSARIO DELL’INDIPENDENZA. PER IL CAPO DI STATO, INOLTRE, LA LOTTA

AL TERRORISMO RAPPRESENTA UN “DOVERE NAZIONALE”

 

ALGERI. = Salve di cannone, fuochi d’artificio, concerti di clacson e sirene delle navi hanno salutato oggi in Algeria il 50.esimo anniversario dalla guerra di liberazione dal regime coloniale francese. Il nostro Paese ha sempre “sostenuto le cause giuste nel mondo – ha detto il presidente Abdelaziz Bouteflika, nel suo discorso per l’anniversario dell’indipendenza – e propugnato la soluzione dei conflitti attraverso il dialogo pacifico”. Il capo di Stato ha, quindi, definito la lotta contro il terrorismo un “dovere nazionale”, auspicando una riconciliazione totale tra gli algerini che permetta loro di vivere nella pace civile e sicurezza, dopo anni di violenze in seguito all’azione degli integralisti islamici armati. A sottolineare la volontà di celebrare l’occasione nel segno della pace, c’è stata la decisione di Bouteflika di annullare la sfilata militare, che doveva essere il clou della rievocazione di questa importante pagina della storia del Paese e che era in preparazione da mesi. Il presidente ha voluto così “invitare gli algerini a testimoniare il loro attaccamento alla pace e ad una vita serena nel loro Paese e con il resto del mondo”, in particolare i vicini marocchini. La soppressione della parata, infatti, mira anche a smorzare le tensioni che sono aumentate di tono negli ultimi mesi sulla questione del Sahara occidentale tra Algeri e Rabat, che accusa l’Algeria di “mire belliciste ed espansionistiche”. La guerra di liberazione scattò per iniziativa di un gruppo di 22 uomini politici, alla mezzanotte in punto della notte tra il 31 ottobre e il primo novembre 1954, con una serie di attentati nella capitale e in altre località, e con la distribuzione di un proclama che illustrava motivazioni e obiettivi dell’insurrezione. Un proclama che dette il via ad una guerra lunga, dura e sanguinosa, durata sette anni e mezzo – dal novembre 1954 al luglio 1962 – e che secondo gli algerini ha causato oltre un milione e mezzo di ‘shuhada’, cioè di martiri. (B.C.)

 

UN DIVERBIO TRA AUTOMOBILISTI E’ LA SCINTILLA DI VIOLENTI SCONTRI NELLA PROVINCIA CINESE DELL’HENAN. 148 LE VITTIME DEGLI SCONTRI TRA GLI HAN E

LA MINORANZA MUSULMANA HUI. IMPOSTA LA LEGGE MARZIALE DALLE AUTORITA’

 

PECHINO. = Esplosa la violenza in un villaggio della Cina centrale. Secondo quanto riferisce l’agenzia Asianews, migliaia di poliziotti vigilano le strade che portano a un villaggio dell’Henan, dopo gli scontri violenti fra gruppi della maggioranza Han e della minoranza musulmana Hui. Secondo alcuni testimoni, le violenze hanno causato centinaia di morti e feriti, mentre diverse case e una fabbrica sono state date alle fiamme. Le autorità, intanto, hanno imposto la legge marziale e il silenzio stampa. Un diverbio fra automobilisti sarebbe alla base del fatto di sangue. Venerdì scorso un autista Hui avrebbe investito e ucciso una bambina di 6 anni della comunità Han, scatenando l’ira dei familiari. Gli abitanti di un villaggio Han, per rappresaglia, hanno attaccato il gruppo di camionisti: più di 10 mila persone hanno preso parte agli scontri. Il bilancio finale, secondo il quotidiano americano New York Times, è di 148 morti. “Le persone sono spaventate – afferma un testimone – nessuno osa uscire di casa e andare al lavoro. Anche il trasporto pubblico è stato bloccato”. Fonti locali affermano che sono rari gli episodi di violenza fra le due comunità. La minoranza Hui, composta da oltre 8 milioni di individui, discende dai commerciati arabi e persiani ed è fra i gruppi etnici meglio inseriti in Cina. Negli ultimi tempi, tuttavia, la tensione è aumentata a causa del divario socioeconomico fra le due etnie. Insoddisfazione e risentimento sono in continua crescita, in particolare nelle aree rurali, dove regnano povertà e corruzione. (B.C.)

 

 

GIORNATA CONCLUSIVA OGGI A FIUGGI PER L’11.ESIMA CONFERENZA

INTERNAZIONALE DELLA CATHOLIC FRATERNITY. ALL’INCONTRO HANNO

PRESO PARTE CIRCA UN MIGLIAIO DI RAPPRESENTANTI DI COMUNITA’

E ASSOCIAZIONI DI ALLEANZA DI TUTTI I CONTINENTI

- A cura di Giovanni Peduto -

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FIUGGI.= “Come è bello che i fratelli stiano assieme”. L’auspicio del salmista si vive qui a Fiuggi da tre giorni alla XI Conferenza internazionale della Catholic Fraternity, associazione approvata dalla Santa Sede che raggruppa oltre 60 comunità carismatiche di ogni parte del mondo. I 1.500 partecipanti, da Brasile, Argentina, Uruguay, Messico, Stati Uniti, Australia, Malaysia, Sudafrica e Paesi europei di Occidente ed Oriente, formano veramente un cuore solo ed un’anima sola nella preghiera di lode e ringraziamento, nonché nelle catechesi incentrate sulla comunione e missione nel terzo millennio e nelle testimonianze offerte da fondatori e leader di movimenti laicali di ogni continente. Diciassette i vescovi presenti, soprattutto latino-americani, non si contano i sacerdoti. Ieri sera un’ora di adorazione eucaristica di intensa partecipazione ha toccato i cuori nelle invocazioni al Signore per tutti i bisogni della nostra umanità sofferente, conflitti armati e povertà emergenti, esplodendo poi in una vibrante acclamazione di grazie per i doni che Dio elargisce ai suoi figli. Ha presieduto questa mattina la celebrazione eucaristica il vescovo Renato Boccardo, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, mentre domani concluderà la conferenza nella Basilica Vaticana, il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Questa XI conferenza della Catholic Fraternity invia anche un incoraggiamento per l’ecumenismo. Carismatici cattolici, protestanti, ortodossi si sono trovati insieme per lodare il Signore. Sono presenti, infatti, cristiani evangelici, pentecostali, battisti e ortodossi di varia provenienza, tra i quali il rappresentante del Patriarcato ortodosso di Romania, padre Mihai Driga. La XII Conferenza internazionale della Catholic Fraternity, cioè la prossima, si terrà tra due anni, dal 29 ottobre al 2 novembre del 2006, in Brasile, a Cocheira Paulista, nello Stato di San Paulo, assieme alla prima conferenza internazionale dei vescovi amici delle comunità di alleanza carismatiche.

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OLTRE 30.000 BAMBINI IN IRLANDA DEL NORD VIVONO IN POVERTA’.

LO RIVELA UNO STUDIO DELL’ISTITUTO DI STUDI IRLANDESI DELLA QUEEN’S

UNIVERSITY DI BELFAST, COMMISSIONATO DA SAVE THE CHILDREN

 

LONDRA. = Nell’Irlanda del Nord oltre 30.000 bambini vivono in povertà. Questo, in sintesi, quanto emerge dalla ricerca stilata dall’Istituto di Studi Irlandesi della Queen’s University di Belfast. Le cifre, anticipate ieri in una conferenza stampa, mostrano come 32.000 bambini, l’8 per cento dell’intera popolazione infantile della provincia del Regno Unito, non abbiano cibo a sufficienza e vivano in case senza riscaldamento. Il 40 per cento dei bambini poveri ha i genitori disoccupati. L’intero studio, commissionato dall’organizzazione Save the Children, verrà pubblicato il prossimo mese. (B.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

1 novembre 2004

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

          Un ennesimo attentato ha sconvolto Israele: il mercato di Tel Aviv è stato devastato, stamani, da una esplosione cha ha causato la morte di almeno 4 persone, tra le quali l’attentatore suicida. L’azione è stata rivendicata dal Fronte popolare di liberazione della Palestina ed è stata condannata dal presidente palestinese, Yasser Arafat. Nei Territori, intanto, ha avuto vasta eco la notizia resa nota da un rappresentante dell’OLP secondo il quale Arafat, ricoverato in un ospedale militare a Parigi, non soffre di leucemia ed è curabile.

 

Un altro esponente dell’amministrazione ucciso, nuovi scontri a Ramadi e a Tikrit ed un clima di grande tensione a Falluja. Su questi ultimi sviluppi in Iraq, il nostro servizio:

 

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Il vicegovernatore di Baghdad, Hatem Karim, è morto in un agguato e 4 delle sue guardie del corpo sono rimaste ferite nell’attentato perpetrato da un gruppo armato nel quartiere di Dora. L’assassinio è stato rivendicato dal sedicente ‘Esercito Al Sunna’. A Ramadi è rimasto ucciso, stamani, un cameraman iracheno durante la ripresa di violenti scontri che hanno causato altre 6 vittime. Ed è salito a 17 morti il bilancio dell’attacco di ieri compiuto dai ribelli a Tikrit con due obici di mortaio che hanno colpito in pieno gli alloggi degli operai di una fabbrica di costruzioni. E su Falluja sono proseguiti nella notte, inoltre, i bombardamenti dell’aviazione americana con l’obiettivo di stanare il terrorista giordano, Al Zarqawi. E proprio la crisi della città sunnita sembra determinare una spaccatura all’interno delle forze del governo provvisorio iracheno. Dopo le dichiarazioni rilasciate ieri dal premier Iyad Allawi, secondo il quale una soluzione militare è ormai inevitabile, il presidente provvisorio Ghazi al-Yawer ha dichiarato, invece, che il ricorso alla forza non è necessario. E a proposito di operazioni militari in Iraq ricordiamo che, secondo un recente studio americano, sono almeno 100 mila i morti, in gran parte civili, dall’inizio della guerra,. Intanto, è iniziato oggi in Norvegia, il primo corso di addestramento della Nato per le forze di sicurezza irachene. 

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I tre impiegati dell’Onu rapiti giovedì scorso a Kabul sono tenuti prigionieri “in tre diversi distretti”. Lo ha dichiarato il presunto capo del gruppo responsabile del sequestro dei tre stranieri, un’irlandese, una kosovara e un filippino. Ieri, la televisione araba Al Jazeera ha diffuso un video nel quale i tre ostaggi appaiono in buone condizioni di salute. Per il loro rilascio, i rapitori chiedono la liberazione dei detenuti in Afghanistan nella base americana di Guantanamo, a Cuba. L’ultimatum scade venerdì prossimo. Sul terreno, almeno nove persone - tra le quali sei poliziotti, due soldati ed un civile - sono morte e molte altre sono rimaste ferite nel corso di violenti scontri scoppiati tra militari afghani e la polizia locale nella provincia di Zabul, nel sud del Paese.

 

L’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ha “bocciato” le elezioni presidenziali svoltesi ieri in Ucraina perché non sono state rispettate le norme democratiche internazionali. La bocciatura dell’Osce, resa nota poco fa, giunge mentre lo spoglio delle schede quasi definitivo vede in testa l’attuale premier, Viktor Yanukovic. Dopo lo scrutinio di oltre il 91 per cento dei voti, il primo ministro ha conquistato il 40,39 per cento dei consensi. Il candidato dell’opposizione, Viktor Yushenko, ha ottenuto invece il 38,9 per cento dei voti. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Si va al ballottaggio. I dati ufficiali della Commissione elettorale sono diversi dagli exit polls che davano un testa a testa tra i due maggiori candidati pronosticati alla vigilia. Da una parte il premier Viktor Janukovich, rappresentante dei gruppi al potere, dall’altra il leader dell’opposizione liberale Viktor Jushenko, campione di una visione nuova dell’Ucraina. Nessuno dei due politici ha superato la soglia del 50 per cento per imporsi al primo turno. Il ballottaggio si terrà il prossimo 21 novembre. La tensione rimane alta. Eccezionali sono le misure di sicurezza. Estesa poco più della Francia, con circa 52 milioni di abitanti, l’Ucraina sceglie con queste elezioni la sua collocazione nello scacchiere internazionale. Se dal loro esito l’ucraino medio non si attende granché, gli analisti, al contrario, prevedono sensibili cambiamenti geostrategici. Ad Occidente l’Unione europea si è allargata fin dentro l’ex Urss, mentre la Russia è sul punto di rioccupare gran parte dello spazio economico sovietico. Nei piani di Mosca anche Kiev dovrebbe rientrare in un embrione di comunità insieme a Bielorussia e Kazakhstan. Janukovich propone la cancellazione della richiesta di adesione alla Nato, la concessione al russo dello status di lingua ufficiale e il permesso di avere la doppia cittadinanza. Jushenko, invece, vuole trattare con la Russia da pari a pari e guarda all’Occidente. Ma l’Occidente guarda all’Ucraina?

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato

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Il comandante indipendentista ceceno, Shamil Basayev, minaccia l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile russa se il Cremlino non porrà fine al “genocidio” in corso nella Repubblica caucasica. Basayev, rivendicando ancora una volta la strage di  Beslan, ha definito la tragica operazione compiuta in Ossezia una “risposta adeguata” al massacro di migliaia di bambini ceceni.

 

Tabarè Ramòn Vasquez, candidato dell’Encuentro progresista - Frente Amplio (EP – FA), è il nuovo presidente dell’Uruguay. E’ il primo capo dello Stato di sinistra nei 174 anni di indipendenza del Paese. Su questa consultazione, alla quale ieri ha partecipato il 90 per cento degli elettori, ascoltiamo il servizio di Maurizio Salvi:

 

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La vittoria è stata completa, perché Vazquez conterà anche su maggioranze alla Camera e Senato, e questo gli offre un’opportunità storica per introdurre quei cambiamenti radicali annunciati durante la campagna elettorale. Nelle prime dichiarazioni alla stampa durante la notte, Vasquez ha assicurato che la transizione comincerà già oggi perché - ha insistito - la situazione è grave e non c’è tempo da perdere.

 

Nonostante le dimensioni ridotte del Paese, la svolta politica in Uruguay avrà importanti riflessi a livello nazionale ed internazionale. E in questo senso è significativo che i principali capi di Stato sudamericani si siano immediatamente felicitati con Vazquez per il suo trionfo. Congratulazioni, in particolare, dal brasiliano Lula, che per il nuovo governo sarà un partner chiave. Gli analisti ritengono, infine, che questa elezione permetterà una accelerazione dello sviluppo del ‘Mercosur’, poco apprezzato dalla precedente amministrazione filostatunitense.  Ma porterà anche nuova linfa al progetto di Unione sudamericana caro ai leader progressisti del Continente.

 

Da Montevideo, Maurizio Salvi per la Radio Vaticana

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         ●La coalizione di sinistra al governo in Brasile è uscita ampiamente ridimensionata dalle elezioni amministrative tenutesi ieri. Il partito dei lavoratori del presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha incassato, infatti, nette sconfitte a San Paolo, Porto Alegre, Curitiba e Belem. Gli unici significativi successi dello schieramento di Lula si sono registrati a Fortaleza e a Vitoria. Il partito socialdemocratico del presidente uscente, Fernando Henrique Cardoso, si conferma come prima forza dell’opposizione.

 

●In Botswana il leader del partito democratico, Festus Mogae, è stato confermato presidente del Paese africano. Nelle elezioni generali, svoltesi ieri, il suo schieramento ha ottenuto, infatti, la maggioranza dei seggi del Parlamento. Economista ed ex governatore della banca centrale, Mogae ha  incentrato il suo programma nella lotta contro l’Aids, malattia che colpisce il 37,3 per cento della popolazione adulta. Il Botswana ha una popolazione di quasi 2 milioni di abitanti, è il primo produttore mondiale di diamanti grezzi ed è considerato, nel Continente, un modello di democrazia.

 

●La Corte d’Appello del Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia ha confermato oggi i due avvocati difensori d’ufficio assegnati a Slobodan  Milosevic, ma ha stabilito che l’ex presidente serbo potrà  riprendere la propria autodifesa con poteri più ampi rispetto al passato.

 

 

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