RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 146 - Testo della trasmissione di martedì 25 maggio 2004

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Si celebra oggi la giornata dell’Africa: il Papa chiede alla Comunità internazionale di sostenere le popolazioni del continente

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nell’odierna Giornata dell’Africa nasce il Consiglio di pace e di sicurezza dell’Unione Africana: nostre interviste con il vescovo in Sierra Leone, mons. Giorgio Biguzzi, e con il missionario comboniano padre Renato Sesana

 

Iraq: colpito il mausoleo dell’imam Ali’ nella città santa sciita di Najaf. Si discute della bozza di risoluzione presentata ieri da Gran Bretagna e Stati Uniti al Consiglio di sicurezza dell’Onu: il commento di Lucio Caracciolo

 

Accordo tra governo di Khartoum e ribelli per mettere fine ad oltre 20 anni di guerra civile in Sud Sudan. Un accordo che esclude la regione del Darfur al confine con il Ciad, dove è in atto un genocidio: ce ne parla Massimo Alberizzi

 

Sulla crescita dell’economia mondiale pesa l’impennata del prezzo del petrolio: particolarmente danneggiate le economie dei Paesi in via di sviluppo. Ai nostri microfoni il prof. Giacomo Vaciago

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nubifragi e inondazioni nella Repubblica dominicana provocano un’ottantina di morti, centinaia di dispersi e 4 mila senzatetto

 

L’arcivescovo di Bangui, mons. Pomodino, chiede dialogo ed elezioni libere al posto della forza delle armi, per far fronte alla crisi in atto nella Repubblica centrafricana

 

Assenso record per la convenzione contro il lavoro minorile: sono già 177 le ratifiche da parte di altrettanti Stati in favore di un documento che tutela i bambini costretti nelle peggiori forme di occupazione

 

Inaugurato in Cina il primo dispensario medico, gestito da un Istituto religioso cattolico, le Sorelle della Carità

 

Il presidente della regione Piemonte, Enzo Ghigo, ha chiesto al ministero degli Esteri italiano la nomina di “ambasciatore di pace” per Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig che celebra i suoi 40 anni di attività

 

La ripulitura del David di Michelangelo, che compie 500 anni

 

24 ORE NEL MONDO:

Completato il ritiro dell’esercito israeliano dal campo di Rafah, migliaia di palestinesi in piazza per protestare contro l’operazione militare che ha causato oltre 40 morti

 

In Italia, per la seconda volta in due anni i magistrati scioperano contro la riforma dell’ordinamento giudiziario elaborata dal governo.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 maggio 2004

 

 

SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA DELL’AFRICA,

TRA SPERANZE DISATTESE E PROGETTI DI RISCATTO DI QUESTO CONTINENTE

AI MARGINI DELLO SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO DEL PIANETA.

L’INCORAGGIAMENTO DELLA CHIESA AI POPOLI DELL’AFRICA:

‘NON CEDETE ALLO SCONFORTO’

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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         Per un giorno il mondo intero celebra l’Africa, Continente ‘dimenticato’ nei grandi circuiti internazionali, politici, economici, culturali. Qualcuno dice alla deriva, ma mai forse come oggi è necessario supportare gli sforzi in atto dei popoli africani per sollevare i loro Paesi dalla povertà e dalla guerra e potenziare la democrazia. Oltre 40 anni fa - il 25 maggio del 1963 - la nascita dell’Organizzazione per l’Unità africana, trasformata nel 2002 in Unione africana, con sede ad Addis Abeba in Etiopia. Ben 53 i Paesi membri, uniti anzitutto per dare pace e sicurezza al Continente africano, presupposto per ogni sviluppo.

        

E la Chiesa universale guarda con massima attenzione all’Africa: le comunità cattoliche del mondo intero sono invitate a sostenere i loro fratelli d’Africa – ha sollecitato qualche giorno fa Giovanni Paolo II – per permettere loro di condurre una vita più umana e fraterna”. Sono passati 10 anni dal Sinodo speciale per l’Africa. Vale la pena ricordare il cammino percorso a partire dal Concilio Vaticano II, in cui la Chiesa in Africa emerse con una nuova consapevolezza del suo ruolo, fino all’esortazione “Ecclesia in Africa”, promulgata da Giovanni Paolo II da Yaoundé, primo grande documento del Magistero papale su questo Continente, “schiacciato - si legge nel testo di allora - dalle calamità, dagli odi etnici, dalle guerre”. Non molto è cambiato oggi in questo Continente, dove  - scrive il Papa nell’Esortazione – “per lungo periodo regimi” ora  “scomparsi, hanno posto a dura prova gli Africani ed hanno indebolito le loro capacità di reazione”. Per questo “occorre aiutarli a raccogliere le proprie energie, per porle al servizio del bene comune”, fondato sui valori positivi della cultura africana: anzitutto il “profondo senso religioso”, il “senso della famiglia, dell’amore, del rispetto della vita”. Insostituibile il ruolo della Chiesa – si legge ancora – “a fianco degli oppressi”, per “farsi voce di chi non ha voce”, perché ovunque la dignità umana sia riconosciuta ad ogni persona e l’uomo sia sempre al centro di ogni programma dei governi”. Una Chiesa che denuncia i mali della società ed offre strumenti di riscatto morale e sociale, attraverso un messaggio “pertinente e credibile”, anche coraggioso.

        

“I popoli dell’Africa, lungi dal cedere allo sconforto - concludeva l’Esortazione - devono prepararsi al terzo Millennio” con “fermo impegno” di porre in atto con “grande fedeltà” le decisioni e gli orientamenti della Chiesa, per essere – ha ripetuto con forza in questi giorni Giovanni Paolo II - “veramente protagonisti del loro futuro, gli attori ed i soggetti del loro destino”

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ALTRE UDIENZE

 

Il Papa nel corso della mattina ha ricevuto un gruppo di presuli della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America (Regione VII) in visita “ad Limina”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'Iraq, con un articolo sui diversi punti che caratterizzano la bozza di Risoluzione presentata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Nelle vaticane, l'omelia del cardinale Giovanni Battista Re nella celebrazione eucaristica presieduta in occasione dell'incontro dei Superiori dei Fratelli delle Scuole Cristiane. 

Due articoli dedicati alla figura di San Filippo Neri in occasione della memoria liturgica (26 maggio)

 

Nelle estere, Medio Oriente: conclusa l'operazione israeliana nella città palestinese di Rafah.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Paolo Miccoli dal titolo "La Chiesa vista dai sociologi": i risultati di un recente studio.

Per l'"Osservatore libri" un articolo di Giuseppe Costa in merito alla pubblicazione degli Atti del convegno su "Rapporto fra informazione, valori e democrazia".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano un articolo su Fabrizio Quattrocchi.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 maggio 2004

 

 

NELL’ODIERNA GIORNATA DELL’AFRICA

 NASCE IL CONSIGLIO DI PACE E DI SICUREZZA DELL’UNIONE AFRICANA

- Interviste con mons. Giorgio Biguzzi e padre Renato Sesana -

 

Nell’odierna Giornata dell’Africa, il presidente di turno dell’Unione Africana, il capo di Stato del Mozambico Joachim Chissano, ha annunciato stamattina ad Addis Abeba, la creazione del Consiglio di Pace e di Sicurezza, un organismo, sul modello dell’ONU, dedicato alla regolazione dei conflitti. Tra le sfide più difficili da affrontare, per il Continente che conta oltre 830 milioni di abitanti di cui il 60% sotto i 20 anni, è quella dell’ormai cronica instabilità politica. Il vescovo di Makeni, mons. Giorgio Biguzzi, ne analizza le cause al microfono di Andrea Sarubbi:

 

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R. – Il problema è complicato, perché ci sono popolazioni che vengono da tradizioni totalmente diverse, coinvolte da una globalizzazione economica della quale non conoscono gli strumenti. La crescita direi che è stata quasi forzata da elementi esterni, cominciando già dal secolo scorso. C’è questo travaglio interno che rende difficile una crescita normale. D’altra parte, se guardiamo alla nostra storia europea, ci sono voluti secoli di guerre e di interferenze per arrivare a dove siamo adesso.

 

D. – Il Papa ha invocato più volte, anche ultimamente, un intervento deciso della comunità internazionale. Che cosa si dovrebbe fare, secondo lei?

 

R. – Mi piacerebbe veramente prendere a cuore la situazione di tutte le zone dove ci sono problemi ed intervenire, non tanto in base a calcoli politici o economici, come purtroppo avviene - perché in certe zone si può avere un vantaggio per le materie prime, come per il petrolio - ma intervenire solamente per il bene della gente. Quindi, far pressione sui governi locali che hanno le loro responsabilità ed intervenire con aiuti umanitari, svincolandoli dagli interessi di chi interviene. Credo, però, che si stiano rendendo conto che la guerra non risolve i problemi, li acuisce o li sposta, e l’unica via, in fondo sempre indicata anche dal Santo Padre, è quella del rispetto della gente, dei diritti umani, del superamento - e questo lo hanno detto anche i vescovi africani – delle divisioni etniche. Credo che ci sarà un futuro, non magari immediato, che riporterà la pace.

 

D. – Perché, secondo lei, non si può pensare ad una pace a breve termine?

 

R. – Perché i problemi sono molto grossi. La crescita non è uguale in tutte le nazioni. Le comunicazioni sono molto difficili. E poi ci sono molti interessi, sia dei governanti locali che di quelli internazionali. Quindi il lavoro è ancora lungo. Però ci sono esempi concreti di successo. I valori ci sono. E quindi penso si potrà riuscire.

 

D. – Quali sono gli esempi concreti di passi in avanti?

 

R. – Io direi che la Sierra Leone è un esempio. C’è stata una guerra violentissima, durata 10 anni, ora è finita e c’è pace e sicurezza. Anzi, proprio sabato scorso ci sono state in tutta la nazione le elezioni amministrative. Sono avvenute in modo molto pacifico e abbastanza trasparente. Questo ci dice che si può venire fuori da una guerra, si può arrivare alla sicurezza con la buona volontà di tutti.

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Quando si parla di Africa, spesso ci si sofferma solo sui suoi drammi: la povertà, la fame, le guerre, le malattie endemiche. La Chiesa invita a guardare anche alle grandi ricchezze umane di questo continente. Ascoltiamo in proposito padre Renato Sesana, missionario comboniano, da oltre 15 anni in Africa, in particolare in Kenya e Sudan. L’intervista è di Luca Collodi:

 

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R. – L’Africa è, secondo me, un bellissimo continente e non principalmente per le bellezze naturali ma la ragione principale è la bellezza della gente. La gente è ricca dentro, è ancora positivamente legata ad una grande cultura che è la cultura tradizionale e che mette in primo piano le ricchezze umane. Questa è una differenza fondamentale. Nelle lingue tradizionali africane, in quasi tutte le lingue, se si dicesse la tale città è una città ricca si intenderebbe prima di tutto che è una città ricca di amicizia, di calore, di relazioni umane. In quasi tutte le lingue africane le parole che noi usiamo per descrivere la miseria economica non esistono; la povertà economica non esiste nelle lingue africane e tradizionalmente queste parole servivano per indicare la povertà esistenziale, la povertà di relazioni umane. E’ povero chi non ha amici, chi non ha parenti o persone che gli vogliono bene. Questa è la vera povertà! L’enorme ricchezza dell’Africa è questa centralità delle relazioni umane. Tutto questo porta poi a delle ricadute: perché i poveri nella baraccopoli di Nairobi, che si alzano al mattino e non sanno se mangeranno quel giorno, riescono a sorridere, ad essere allegri, a vedere la vita serenamente? Perché, attraverso le relazioni umane, si stabilisce poi tutta una catena di solidarietà, per cui non ci si sente mai solo, neanche economicamente. Si sa sempre che se proprio arriva la fame, c’è qualcun altro che gli darà da mangiare; ci sarà un parente od un amico che gli potrà offrire qualcosa. E se il parente e l’amico non ha niente si potrà stare insieme, senza mangiare ma si starà insieme. C’è quindi un guardare alla vita con una grande positività, con una grande allegria e gioia interiore. Secondo me, questa è parte di una grande spiritualità.

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COLPITO IL MAUSOLEO DELL’IMAM ALI NELLA CITTA’ SANTA SCIITA DI NAJAF.

VITTIME IN ALTRI EPISODI DI VIOLENZA IN IRAQ,

MENTRE SI DISCUTE DELLA BOZZA DI RISOLUZIONE PRESENTATA IERI

 DA GRAN BRETAGNA E STATI UNITI AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

- Intervista con Lucio Caracciolo -

 

Un proiettile di mortaio è esploso all'interno del mausoleo dell'Imam Ali nella città santa sciita di Najaf. Gli uomini di Sadr accusano gli americani e sostengono che dieci persone sono rimaste ferite. Testimoni parlano di soli tre feriti, nessuno dei quali sarebbe grave. Ma non mancano vittime in altri episodi di violenza in altre zone dell’Iraq. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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A Najaf la parte superiore di una delle porte del mausoleo ricoperte d'oro, che porta alla tomba di Ali, è stata danneggiata. Per ora non ci sono conferme sulle responsabilità. Il leader radicale sciita Moqtada Sadr, giunto alla Moschea dopo l’attacco è stato accolto da una folla inneggiante.

 

Mentre combattimenti riprendevano a Najaf, la situazione questa mattina tornava calma a Kufa dove però nei combattimenti della notte tra militari Usa e miliziani di Moqtada Sadr cinque civili iracheni sono morti e 18 feriti. Nelle prime ore del giorno, a Baghdad una bomba, di fronte al Karma Hotel frequentato da stranieri ma non occidentali, ha causato alcuni feriti tra cui un bambino, che secondo alcuni potrebbe essere morto.

 

Prosegue intanto la discussione intorno alla proposta di nuova risoluzione presentata ieri da Gran Bretagna e Stati Uniti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Commissione europea si è felicitata del previsto passaggio di consegne del potere il 30 giugno. Sull’altrettanto prevista presenza di truppe della coalizione anche dopo tale data la portavoce del commissario alle relazioni esterne, Patten, ha osservato che ''si tratta di una scelta che spetterà agli iracheni''. Pungente la Francia: il ministro degli esteri, Barnier, fa sapere che la risoluzione “va discussa e migliorata” e che non deve essere ''un assegno in bianco'' a favore degli Stati Uniti. Ha definito, invece, la bozza “un’ottima base sulla quale si potrà raggiungere un accordo'' il ministro degli esteri tedesco, Fischer. E una precisazione viene da Blair: il nuovo governo iracheno avrà il diritto di veto sulle operazioni militari nel Paese. Il premier britannico lo ha assicurato oggi in conferenza stampa a Downing Street.  

 

C’è poi la dichiarazione del ministro della difesa iracheno, Allawi, che ha affermato, sempre a Londra, che le truppe straniere lasceranno il Paese tra mesi e non anni. Infine la notizia diffusa dai media statunitensi che il generale Ricardo Sanchez, comandante del contingente statunitense in Iraq, lascerà l'incarico in estate e potrebbe essere rimpiazzato dal generale George Casey, vice-capo di Stato Maggiore dell'Esercito.

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Ma quali concrete novità ci sono nel discorso di Bush e nella Bozza di risoluzione presentata ieri da Washington e Londra al Consiglio di sicurezza dell’Onu? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes” che dedica l’ultimo numero alla crisi irachena:

 

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R. -  Di nuovo, sostanzialmente nulla. La novità è tutta contenuta nella risoluzione del Consiglio di sicurezza, che inglesi e americani hanno proposto sotto forma di bozza proprio ieri. E’ una bozza e quindi non è definitiva. Le reazioni cautamente positive dei Paesi da sempre contrari alla spedizione irachena, cioè Germania e Francia oltre al Pakistan, lasciano prevedere che alla fine un accordo ci sarà.

 

D. – Quali potrebbero essere le modifiche?

 

R. – Potrebbe essere più chiara la vicenda del petrolio, cioè si potrebbe chiarire bene quali sono effettivamente i rapporti tra il governo iracheno e questo comitato di consulenza. Bisognerebbe chiarire anche il termine del mandato della forza multinazionale. I francesi, soprattutto, premeranno per un termine. Resterà probabilmente irrisolta la questione del comando, nel senso che difficilmente gli americani lo cederanno.

 

D. – Tutto questo come si concilia con il fatto che sul terreno, giornalmente, la situazione è sempre drammatica? 

 

R. – Si concilia male. Una cosa sono le risoluzioni fatte per trovare un accordo fra i Paesi  che fanno parte del Consiglio di Sicurezza, un’altra cosa sono poi le decisioni sul terreno, quali saranno gli esiti concreti.

 

D. – Tutto questo poi non dovrebbe andare di pari passo ad una sorta di negoziato con le forze estremiste che stanno operando in Iraq?

 

R. – Assolutamente sì. Quale che sia la composizione della forza multinazionale, operazioni tipo Falluja o Karbala non avrebbero senso sotto un mandato Onu. Comunque, non credo che il governo iracheno potrebbe dare una qualsiasi copertura ad operazioni di quel tipo, che finirebbero evidentemente per colpire la popolazione civile.

 

D. – Sulla questione “Iraq” si sta giocando anche il futuro di Bush presidente…

 

R. – Vedremo tra qualche mese, cioè sostanzialmente ai primi di ottobre, quali sono effettivamente le chance dei due candidati. Tutto quello che si dice adesso è molto prematuro.

 

D. – I sondaggi comunque dimostrano che c’è uno scontento nell’opinione pubblica americana?

 

R. –Sì. Come si potrebbe plaudire alla situazione sul terreno. E’ chiaro che le cose stanno andando molto male e che la responsabilità politica è di questa amministrazione.

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ACCORDO TRA GOVERNO DI KHARTOUM E RIBELLI

PER METTERE FINE AD OLTRE 20 ANNI DI GUERRA CIVILE IN SUD SUDAN.

UN ACCORDO CHE ESCLUDE LA REGIONE DEL DARFUR

 AL CONFINE CON IL CIAD, DOVE E’ IN ATTO UN VERO E PROPRIO MASSACRO

- Intervista con Massimo Alberizzi -

 

Importante accordo tra governo del Sudan e ribelli secessionisti che operano nel sud del Paese. L'annuncio è stato dato ufficialmente ieri a Nairobi, in Kenya. La cerimonia della firma è prevista per domani a Niavasha, sempre in Kenya, sede dei colloqui di pace che si sono svolti negli ultimi mesi. L'accordo mette formalmente fine ad oltre 20 anni di guerra civile, che hanno causato circa due milioni di morti. L'intesa non riguarda la regione del Darfur, nella parte occidentale del Sudan al confine con il Ciad, che è rimasto fuori dai negoziati e dove le milizie arabe filo-governative stanno compiendo una sorta di pulizia etnica nei confronti delle popolazioni locali. Un genocidio che ha causato 30 mila morti, oltre un milione di profughi, 120 mila dei quali rifugiatisi in Ciad. Sulla drammatica situazione nel Paese, Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente al confine ciadiano del Darfur, l’inviato del Corriere della sera, Massimo Alberizzi.

 

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R. - La situazione è veramente catastrofica. Io sono entrato clandestino in Sudan e ho visto alcuni villaggi bruciati. Devo dire che non sono andato molto in profondità perché diventa molto pericoloso. Pare che il terreno sia molto minato e quindi è molto pericoloso muoversi.

 

D. – Cosa c’è alle radici di questo conflitto?

 

R. – La guerra è una guerra tra arabi e tra le tribù africane del Darfur, cioè coloro che abitavano queste regioni prima dell’arrivo degli arabi, prima dell’arrivo dell’islam. E’ una guerra, come al solito, di tipo economico tra i pastori, appunto gli arabi, e gli agricoltori, che sono gli africani. Nasconde anche un conflitto economico, nel senso che nel Sudan è stato trovato il petrolio e le popolazioni arabe sono fuori da qualunque discorso di guadagno, di vantaggio sullo sfruttamento del petrolio stesso. Quindi, anche per questo si sono mossi e si sono organizzati due movimenti di guerriglia che hanno l’intento di proteggere le popolazioni, perché gli arabi stanno commettendo un vero e proprio genocidio. Ammazzano gli africani solo per ammazzarli, non per prendere loro i raccolti. Arrivano nei villaggi, li circondano, li bruciano, stuprano le donne, ammazzano gli uomini, rapiscono i bambini. Questo, sotto gli occhi della comunità internazionale, che però non sta guardando da questa parte, perché in realtà guarda solo in Iraq. Quindi, nessuno se ne accorge, nessuno vuol far niente. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha detto “monitoriamo, stiamo a guardare”. Cosa aspettare non si sa, perché il genocidio è già in atto.

 

D. – La situazione nei campi profughi?

 

R. – Soprattutto in Sudan gli sfollati sono un milione e non si sa bene dove siano finiti. Il governo sudanese, che tra l’altro in questi giorni è stato riconfermato nella Commissione per i diritti umani dell’Onu, ha negato e nega ancora il permesso alle Organizzazioni umanitarie, anche quelle dell’Onu, di recarsi nelle zone dove ci sono gli sfollati. Quindi, da questa parte in qualche modo per i 120 mila profughi qualcosa da mangiare c’è. Dall’altra parte, però, non si sa bene che cosa ci sia e la gente non ha niente perché le organizzazioni non riescono ad arrivare.

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SULLA CRESCITA DELL’ECONOMIA MONDIALE,

PESA L’IMPENNATA DEL PREZZO DEL PETROLIO.

PARTICOLARMENTE DANNEGGIATE LE ECONOMIE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

- Ne parliamo con il prof. Giacomo Vaciago -

 

Il caro petrolio pesa significativamente sulle prospettive di crescita dell’economia mondiale. Ieri, al mercato di New York, il greggio ha toccato la quota record di 41,85 dollari al barile. Tuttavia, un segnale positivo giunge dall’Arabia Saudita che si è detta favorevole ad un aumento della produzione da parte dell’Opec, il cartello dei Paesi produttori di petrolio, che il 3 giugno si riunirà a Beirut per una conferenza ministeriale. Dal canto suo, il ministro del Petrolio iraniano ha detto oggi che Teheran è favorevole ad “un aumento razionale” della produzione per favorire una diminuzione del prezzo del greggio. Sugli effetti dell’impennata del prezzo del petrolio sull’economia mondiale, sentiamo il commento dell’economista Giacomo Vaciago, intervistato da Stefano Leszczynski:

 

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R. – Il prezzo del petrolio, a questi livelli, fa partire aspettative di aumento dei prezzi, di inflazione. Quest’ultima fa male alle nostre economie e, inducendo aumenti dei tassi di interesse delle banche centrali, fa ulteriormente male. Vediamo, poi, che le borse riflettono questo pessimismo. Nell’ultimo mese, infatti, sono scese.

 

D. – Come si inserisce nell’attuale guerra irachena il problema del petrolio?

 

R. – Anzitutto l’Iraq è uno dei maggiori produttori di petrolio: ha un 16 per cento di potenziale di offerta, ferma per le vicende belliche in corso. Temo che gli altri Paesi arabi non siano così disposti in questa fase a sostituire l’Iraq. A loro volta, essi temono ritorsioni terroristiche nei loro Paesi e la guerra stessa, non dimentichiamocelo, aggiunge domanda.

 

D. – Supponiamo di essere ottimisti e che l’Opec aumenti l’offerta di petrolio…

 

R. – Se l’Opec, in ogni caso, in uno scenario di questo tipo, annunciasse un forte aumento di produzione, i prezzi già inizierebbero a scendere. Attenzione, il prezzo del petrolio non è deciso dalla mia domanda alla pompa di benzina, è un prezzo largamente in mano ad un mercato speculativo. Sta salendo in previsione di scarsità. Se l’annuncio è: “da domani l’Opec aumenta la produzione”, e poi magari ci mette un mese ad aumentare la produzione, il prezzo crolla immediatamente.

 

D. – In relazione alla situazione dei Paesi più deboli, quelli in via di sviluppo, si dice che questa difficoltà nel mercato del petrolio possa  bloccare e compromettere in maniera molto grave la loro crescita…

 

R. – Perché, chiaramente, un ricco può anche pagarla cara la benzina, mentre il povero ne viene strangolato. Per i Paesi emergenti l’importanza di avere materie prime a buon mercato è ancora più decisiva per il loro sviluppo che per noi. Questa situazione chiaramente accentua il divario tra chi il petrolio ce l’ha e chi lo deve pagare e lo deve comprare.

 

D. – Quindi, in un certo senso gli Stati Uniti non starebbero poi così male?

 

R. – No, attenzione, ormai gli Stati Uniti con l’economia in crescita e sviluppata che hanno sono, anche loro, importatori netti. Una volta, 50 anni fa o 100 anni fa, gli Stati Uniti esportavano petrolio. Oggi sono importatori anche loro.

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RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

CHIESA E SOCIETA’

25 maggio 2004

 

 

NUBIFRAGI E INONDAZIONI NELLA REPUBBLICA DOMINICANA HANNO PROVOCATO

UN’OTTANTINA DI MORTI, CENTINAIA DI DISPERSI E 4 MILA SENZA TETTO.

QUATTORDICI I VILLAGGI ISOLATI, PER UN FENOMENO INSOLITO NEL MESE DI MAGGIO

 

SANTO DOMINGO. = Sta assumendo le proporzioni di una catastrofe umana, oltre che ambientale, la situazione generata dalle piogge torrenziali cadute in questi giorni nella Repubblica Dominicana. Almeno 80 persone, circa la metà giovani, sono morte per le inondazioni provocate dalle piogge torrenziali cadute in questi giorni nella Repubblica Dominicana. Lo hanno annunciato in serata le autorità ospedaliere di Jimaní, nel sudovest del Paese, la regione più colpita dal maltempo. E anche nella vicina Haiti, sulla stessa isola, le vittime per le inondazioni, secondo la testimonianza di un religioso, sarebbero almeno 58. Ma nubifragi e inondazioni hanno causato anche centinaia di dispersi e migliaia di senzatetto. A San Francisco de Macoris due uomini sono stati trascinati via dalla furia delle acque e un pescatore è annegato a causa di una mareggiata sulla costa caraibica. Il bilancio fornito dal Cne, il Commissione nazionale per le emergenze, parla di almeno 4.000 persone evacuate, 450 abitazioni distrutte e 14 villaggi rimasti isolati. Fonti locali contattate dalla Misna spiegano che le massicce precipitazioni di questi giorni sono piuttosto insolite: nella Repubblica Dominicana, infatti, la stagione secca va da fine dicembre a fine marzo, quella ciclonica da giugno a novembre, mentre il resto dell'anno sono previsti brevi acquazzoni, anche tre o quattro al giorno, alternati dal sereno con il sole a picco. (A.D.C.)

 

 

L’ARCIVESCOVO DI BANGUI, MONS. POMODINO, CHIEDE DIALOGO ED ELEZIONI LIBERE

AL POSTO DELLA FORZA DELLE ARMI, PER FAR FRONTE ALLA CRISI IN ATTO

NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA

 

BANGUI. = “Siamo convinti che una grande istituzione come la Chiesa cattolica non può essere né sorda né cieca di fronte a tutte le difficoltà che la Repubblica Centrafricana sta vivendo”. Lo ha affermato mons. Paulin Pomodimo, arcivescovo di Bangui, in un’intervista rilanciata dalla “Comboni Press” e rilanciata dalla Misna. Presule dal luglio dello scorso anno, mons. Pomodino ha vissuto nella sua diocesi le violenze e gli atti di saccheggio compiuti dai banditi-ribelli durante il colpo di Stato di Francois Bozizé, che rovesciò il governo di Felix Patassé. A livello di Conferenza episcopale locale - ha detto - “abbiamo avuto la chiara consapevolezza che si trattava di reazioni da parte islamica verso tutto ciò che la Chiesa cerca di fare all’interno del Paese”. Per far fronte ai numerosi scontri che ancora avvengono nella Repubblica Centrafricana, l’arcivescovo di Bangui ribadisce un concetto già espresso in precedenza: l’urgenza di elezioni libere per uno Stato democratico, per riportare la pace attraverso il dialogo e non attraverso le armi, come sta avvenendo in questi giorni. I vescovi del Paese africano si sono detti convinti che, di fronte alla crisi attuale, la soluzione non è militare poiché essa, per quanto coraggiosa, non può che causare pene e sofferenze inutili. “Il Paese ha bisogno di dialogo, di elezioni e di armi”.(G.L.)

 

 

ASSENSO RECORD PER LA CONVENZIONE CONTRO IL LAVORO MINORILE:

SONO GIA’ 177 LE RATIFICHE DA PARTE DI ALTRETTANTI STATI

IN FAVORE DI UN DOCUMENTO,

CHE TUTELA I BAMBINI COSTRETTI NELLE PEGGIORI FORME DI OCCUPAZIONE

 

GINEVRA. = La Convenzione internazionale per la lotta alle peggiori forme di lavoro minorile potrebbe essere la prima a raggiungere il traguardo di una ratifica universale da parte dei 177 Paesi dell'Organizzazione internazionale del lavoro, Ilo. Con l'adesione del Kirghizistan - ha annunciato ieri l'Ilo a Ginevra - la Convenzione 182, adottata all'unanimità nel 1999, ha già ottenuto 150 ratifiche. Mai nella storia dell'organismo internazionale una convenzione era stata ratificata da così tanti Paesi in così poco tempo. Se ratificata da tutti gli Stati membri, la Convenzione contro le peggiori forme di lavoro infantile sarebbe la prima a ricevere un sostegno universale. Altre convenzioni fondamentali, come quella sulla libertà d'associazione, il lavoro forzato o la discriminazione, hanno ottenuto dalle 100 alle 165 ratifiche ma in un arco di tempo più lungo. La Convenzione 182 fornisce una base legale all'azione nazionale contro le peggiori forme di lavoro minorile, in particolare quelle che hanno effetti debilitanti sulla salute fisica e psicologica ed il benessere morale dei bambini e degli adolescenti. Un rapporto dell'Ilo ha stimato in 246 milioni i bambini e gli adolescenti (uno su sei tra i 5 e 17 anni) costretti a lavorare nel mondo. Di questi, 179 milioni sono impiegati nelle peggiori forme di lavoro minorile. (A.D.C.)

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REGIONE ITALIANA PIEMONTE, ENZO GHIGO,

HA CHIESTO AL MINISTERO DEGLI ESTERI

 LA NOMINA DI “AMBASCIATORE DI PACE” PER ERNESTO OLIVERO,

IL FONDATORE DEL SERMIG CHE CELEBRA I SUOI 40 ANNI DI ATTIVITA’

 

TORINO. = Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, il Servizio missionario giovanile, come “Ambasciatore di pace”. Una nomina che il presidente della Regione Piemonte, Enzo Ghigo, ha annunciato ieri di aver richiesto al ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il Sermig e il suo Arsenale della Pace torinese festeggiano i 40 anni di vita e nelle scorse settimane una folta rappresentanza è stata ricevuta dal Papa in Vaticano. Ieri Olivero, che ha reso noto lo slogan della ricorrenza, “La pace vincerà se dialoghiamo”, ha fornito alcuni dati sull'attività del Sermig, che ha visto la nascita di un nuovo Arsenale della Pace nel 1996, con la sede a San Paolo, in Brasile. “Sono stupito di questi 40 anni” - ha affermato il fondatore della struttura di solidarietà - “trascorsi nell’impegno quotidiano, attimo dopo attimo. Dal Sermig – ha elencato - sono passati 5.241 volontari e ne abbiamo 1271 fissi, per una media di 1.309 ore di lavoro al giorno. Negli ambulatori di assistenza sanitaria gratuita sono state visitate 25.700 persone, grazie all'impegno di 90 volontari, medici, infermieri e farmacisti. In questi decenni abbiamo ospitato 49.781 persone. Le missioni di pace a cui il Sermig ha partecipato sono cento, mentre gli interventi e i progetti di collaborazione e sviluppo sono stati 1.981, con 3.680 tonnellate di medicinali, alimenti e attrezzature inviati a chi ne ha avuto bisogno, pari al carico di 335 aerei. I pasti distribuiti - ha concluso Olivero - sono nove milioni e 640 mila, con una media giornaliera che nel 2003 è stata di 3.642”. (A.D.C.)

 

 

INAUGURATO IN CINA IL PRIMO DISPENSARIO MEDICO,

GESTITO DA UN ISTITUTO RELIGIOSO CATTOLICO, LE SORELLE DELLA CARITA’

 

GUAN PU TOU (CINA). = La solidarietà ha infranto un altro tabù. In Cina, e precisamente a Guan Pu Tou, piccolo centro nel distretto di JingHai, nella provincia orientale di Tianjing, è stato aperto il primo dispensario medico allestito da una congregazione cattolica, le Sorelle della Carità. “Attraverso il dispensario vogliamo fornire gratuitamente assistenza medica e farmaci ai poveri; ed è solo l’inizio”, ha affermato suor Wang Mei Li, assistente della madre superiora delle Sorelle della Carità, secondo quanto riferito dall’agenzia Fides. “Con l’aiuto della comunità cattolica locale e delle altre nostre consorelle – ha aggiunto la religiosa - ci auguriamo di poter presto realizzare un vero e proprio ospedale e una casa per anziani”. Amore e accoglienza per qualsiasi essere umano e un’evangelizzazione che sia anche promozione allo sviluppo sono gli aspetti centrali della missione ecclesiale che fanno da sfondo all'iniziativa. La piccola farmacia chiamata ‘Hui Ze Tang’ è stata inaugurata alla presenza delle autorità locali e di cittadini cattolici e non. (A.D.C.)

 

 

LA RIPULITURA DEL DAVID DI MICHELANGELO, CHE COMPIE 500 ANNI:

IL LAVORO, DEL COSTO DI 200 MILA EURO E FINANZIATO

DA UNA FONDAZIONE OLANDESE, HA RIPORTATO ALL’ANTICO SPLENDORE

UNA DELLE PIU’ CELEBRI STATUE AL MONDO

- A cura di Laura Sposato -

 

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FIRENZE. = Solo pulitura raffinata, ma niente lifting per il David di Michelangelo, che festeggia 500 anni di vita. Un restauro minimalista, un intervento a regola d’arte come merita un capolavoro d’eccellenza qual è il David di Michelangelo, splendido come prima e come sempre, ma adesso pulito o più precisamente “velinato” con carta giapponese, ammorbidita con acqua distillata, come ha spiegato la restauratrice, Cinzia Parnigoni. Rimangono però le tracce del suo vissuto: l’antica frattura nell’avambraccio sinistro, provocata da un folle, e le conseguenze dell’esposizione all‘aperto in Piazza Signoria, fino al 1873, poi sostituito con una copia nel 1910. Un scelta sofferta anche allora, ma necessaria, spiega il sovrintendente Antonio Paolucci, per tutelare un capolavoro che appartiene al mondo. Quasi 6 tonnellate di materia esaminata in ogni parte, anche al microscopio, per eseguire un delicatissimo lavoro di pulitura, monitorato dall’Opificio delle pietre dure e finanziato dalla Fondazione olandese Ars Longa con 200 mila euro. E a partire dall’8 settembre, ha annunciato la direttrice della Galleria dell’Accademia, Franca Faletti, il David di Michelangelo che compie 500 anni sarà festeggiato a Firenze con eventi, spettacoli e una mostra.

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24 ORE NEL MONDO

25 maggio 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Doppia maggioranza e radici cristiane: sono stati questi i punti in discussione nella riunione di ieri a Bruxelles tra i ministri degli esteri dell’Unione Europea. Si è chiusa con qualche piccolo passo avanti nel negoziato sulla Costituzione europea, a meno di un mese dal vertice di metà giugno tra i leader che concluderà il semestre di presidenza irlandese. I leader continuano ad insistere sulla ferma volontà di chiudere il negoziato a giugno ma il nodo del sistema di voto non si può dire ancora sciolto. Dopo l’apertura della Spagna, resta lo scetticismo, ribadito anche ieri, della Polonia. Il servizio da Bruxelles di Gian Andrea Garancini:

 

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I ministri degli esteri dei 25 hanno compiuto un passo avanti verso il compromesso finale che potrebbe essere approvato già nel corso del vertice europeo del 17-18 giugno prossimi. Francia, Germania e Italia, hanno deciso come segno di buona volontà di non opporsi alla proposta spagnola in merito al sistema di voto. La doppia maggioranza, inizialmente prevista dalla convenzione, come il 50 per cento degli Stati e il 60 per cento della popolazione, passerebbe al 50 per cento degli Stati ed ai due terzi della popolazione, in modo da consentire minoranze di blocco del processo decisionale.

 

Al termine della riunione, i ministri hanno sottolineato come un consenso sulla doppia maggioranza dovrebbe facilitare l’accordo sui restanti tre punti caldi del negoziato: composizione della Commissione, numero dei parlamentari europei, estensione della maggioranza qualificata e limitazione del diritto di veto. Ma incombe sul buon esito della costituzione il tema delle radici cristiane. Se da un lato, infatti, Polonia, Italia, Lituania, Malta, Portogallo e Repubblica Ceca hanno inviato una lettera alla presidenza irlandese nella quale si ribadisce la priorità del riconoscimento delle redici cristiane nel preambolo della costituzione, dall’altro i Paesi del Nord Europa, la Francia ed il Belgio si oppongono fermamente ad aprire il negoziato su un tema che considerano chiuso, in nome della laicità delle istituzioni e dell’opportunità politica.

 

Da Bruxelles, per Radio Vaticana, Gian Andrea Garancini.

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In Italia, per la seconda volta in due anni i magistrati scioperano contro la riforma dell’ordinamento giudiziario elaborata dal governo. Per l’Associazione nazionale di categoria la riforma non assicura un miglior funzionamento della giustizia e mette anzi a rischio l’indipendenza dei giudici. Sullo sciopero, che almeno a Roma e a Milano ha raccolto un’adesione pressoché totale, è scontro tra gli schieramenti politici. Il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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Uno sciopero annunciato a febbraio, congelato e infine confermato. Continua il braccio di ferro tra magistrati e governo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, riforma che dopo le elezioni di giugno riprenderà il suo iter parlamentare. Per l’Anm, l’associazione nazionale di categoria che raccoglie il 90 per cento dei 9.000 magistrati italiani, l’unico obiettivo della riforma è rendere più controllabili giudici e pubblici ministeri. Ad esempio, viene denunciato lo svuotamento del ruolo di garanzia del Consiglio superiore della magistratura, che è l’organo di autogoverno dei giudici. Inoltre, dopo 5 anni di servizio, ogni magistrato dovrà scegliere definitivamente se fare il giudice o il pubblico ministero. Secondo l’Anm, in questo modo si separano le carriere in contrasto con quanto stabilisce la Costituzione che prevede un unico corpo di magistrati. E ancora, chi vuole passare ai gradi superiori dovrà affrontare concorsi per titoli ed esami, ma solo chi ha svolto per un certo periodo funzioni di giudice di Appello e Cassazione potrà partecipare ai concorsi per guidare un ufficio giudiziario. Così, secondo l’Anm, si reintroduce un assetto gerarchico piramidale in contrasto con il principio costituzionale di pari dignità di tutte le funzioni. Su una linea diametralmente opposta a quella dei magistrati si schierano gli avvocati penalisti, che considerano la riforma proposta addirittura troppo morbida e lo sciopero un’invasione di campo legislativa. Sul fronte politico, l’opposizione di centro-sinistra sostiene le ragioni della mobilitazione che, al contrario, secondo il centro-destra ha solo una motivazione politica. Nelle ultime ore, lo scontro si è concentrato su una frase del presidente del Senato, Pera, che commemorando il giudice Falcone ha detto che l’autonomia e l’indipendenza delle toghe è a rischio anche per comportamenti assunti all’interno della magistratura.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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 L’esercito israeliano ha annunciato, ieri sera, di aver completato il ritiro delle sue truppe dal campo profughi palestinese di Rafah, nella Striscia di Gaza, dopo un’operazione militare durata sei giorni. Nell’incursione, che ha sollevato forti critiche da parte della comunità internazionale, sono stati uccisi 43 palestinesi. Stamani, in migliaia hanno manifestato nel centro di Rafah, mentre i corpi di 16 vittime venivano restituiti alle famiglie a Tel el Sultan. L'Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi (Unrwa) ha valutato in 180 le abitazioni distrutte dalle forze israeliane nel corso dell’operazione denominata “Arcobaleno”. D’altro canto, secondo un portavoce dell’agenzia Onu a Ginevra si teme che “la quiete attuale sia solo una pausa per riorganizzarsi e che presto l’offensiva israeliana riprenderà”. Stamani, intanto, a Ramallah una guardia del corpo palestinese ha ucciso, in apparenza per motivi personali, un collega e ne ha ferito il fratello oltre a un bambino che stava passando in una strada.

 

 Uno dei più potenti signori della guerra somali, Huesein Mohamed Aidid, è stato rilasciato nel corso della notte a Nairobi. Era stato arrestato nella capitale keniana giovedì scorso e condannato a 30 giorni di prigione per non aver pagato un debito di 15 milioni di scellini keniani, circa 190.000 dollari americani, contratto ufficialmente a nome del governo  somalo nel 1997, in un periodo in cui si era autoproclamato presidente.

 

          Il tribunale internazionale dell'Aja (Tpi) ha formalizzato un atto d'accusa per crimini di guerra, perpetrati ai danni di civili serbi nel settembre 1993, contro il generale croato Mirko Norac, già condannato in prima istanza dalla giustizia locale per un caso analogo. Il Tpi accusa Norac dell'eccidio di un centinaio di civili serbi avvenuto nel settembre del 1993 durante l'operazione 'Sacca di Medak', un'incursione dell'esercito croato in una zona nei pressi di Gospic (200 km a sud di Zagabria), all'epoca nella regione della Krajina controllata dai secessionisti serbi di Croazia.

 

 Il capo della missione dell'Onu in Kosovo, il finlandese Harri Holkeri, ha annunciato di aver presentato le sue dimissioni al segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan per motivi di salute. In precedenza fonti politiche avevano preannunciato le sue dimissioni motivandole con le critiche ricevute dopo i violenti scontri tra serbi e albanesi avvenuti a marzo.

 

 Nuove violenze nell’arcipelago indonesiano delle Molucche. Una bomba esplosa stamattina in un mercato del capoluogo Ambon, in un quartiere a maggioranza cristiana, ha ucciso una donna e ferito 17 persone. La polizia ha poi neutralizzato altri tre ordigni, tutti diretti a colpire obiettivi cristiani. Andrea Sarubbi ha chiesto al vescovo di Ambon, mons. Petrus Mandagi, chi c’è dietro l’ondata di violenze:

 

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R. - I DON’T KNOW, BUT I THINK…

Non lo so, ma credo che queste esplosioni siano dei tentativi di provocare la popolazione e di prolungare il conflitto. La responsabilità è da attribuire ad alcuni gruppi di Ambon, che potrebbero essere controllati da altri movimenti  a Giakarta o altrove, che hanno l’interesse di far esplodere la guerra nelle Molucche.

 

D. - Ritiene che ci sia un legame tra queste violenze e le prossime elezioni presidenziali in Indonesia?

 

R. - YES, I THINK THIS CONFLICT IS USED…

Sì, credo che questo conflitto sia utilizzato per mostrare al mondo, o almeno alla società indonesiana, che il governo attuale non è in grado di controllare la situazione. Non è altro che un tentativo di destabilizzazione, un chiaro messaggio agli elettori in vista delle prossime presidenziali: “eleggete un altro presidente”.

 

D. - Dunque, lei non lo definirebbe un conflitto religioso…

 

 

R.- IT IS NOT A RELIGIOUS CONFLICT…

Non è un conflitto religioso. È un conflitto molto politico, che danneggia sia cristiani che musulmani.

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Il ministro della difesa russo, Ivanov, ha ribadito che la Russia ha accolto il  recente ulteriore allargamento della Nato a est con moderazione mantenendo ferme alcune preoccupazioni, in particolare riguardo all'adesione delle tre repubbliche baltiche ex sovietiche. Il processo di allargamento ''non può non preoccuparci'', ha detto Ivanov a margine di un incontro, a San Pietroburgo, con i ministri della  difesa dei Paesi del Nord Europa (Danimarca, Norvegia, Svezia,  Finlandia e Islanda). Ivanov ha spiegato che le repubbliche baltiche non hanno ancora aderito all'accordo sulle forze convenzionali in Europa e che questo rappresenta un  problema serio per la sicurezza regionale nel Nord Europa''.

 

 

 

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