RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 146 - Testo della trasmissione di martedì 25 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La ripulitura del David di Michelangelo, che compie 500 anni
Completato il ritiro dell’esercito israeliano dal
campo di Rafah, migliaia di palestinesi in piazza per protestare contro
l’operazione militare che ha causato oltre 40 morti
In Italia, per la
seconda volta in due anni i magistrati scioperano contro la riforma dell’ordinamento
giudiziario elaborata dal governo.
25
maggio 2004
SI
CELEBRA OGGI LA GIORNATA DELL’AFRICA,
TRA
SPERANZE DISATTESE E PROGETTI DI RISCATTO DI QUESTO
CONTINENTE
AI MARGINI
DELLO SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO DEL PIANETA.
L’INCORAGGIAMENTO
DELLA CHIESA AI POPOLI DELL’AFRICA:
‘NON
CEDETE ALLO SCONFORTO’
-
Servizio di Roberta Gisotti -
**********
Per un giorno il mondo intero celebra
l’Africa, Continente ‘dimenticato’ nei grandi circuiti internazionali,
politici, economici, culturali. Qualcuno dice alla deriva, ma mai forse come
oggi è necessario supportare gli sforzi in atto dei popoli africani per
sollevare i loro Paesi dalla povertà e dalla guerra e potenziare la democrazia.
Oltre 40 anni fa - il 25 maggio del 1963 - la nascita dell’Organizzazione per
l’Unità africana, trasformata nel 2002 in Unione africana, con sede ad Addis
Abeba in Etiopia. Ben 53 i Paesi membri, uniti anzitutto per dare pace e
sicurezza al Continente africano, presupposto per ogni sviluppo.
E la Chiesa
universale guarda con massima attenzione all’Africa: le comunità cattoliche del
mondo intero sono invitate a sostenere i loro fratelli d’Africa – ha
sollecitato qualche giorno fa Giovanni Paolo II – per permettere loro di condurre
una vita più umana e fraterna”. Sono passati 10 anni dal Sinodo speciale per
l’Africa. Vale la pena ricordare il cammino percorso a partire dal Concilio Vaticano
II, in cui la Chiesa in Africa emerse con una nuova consapevolezza del suo
ruolo, fino all’esortazione “Ecclesia in Africa”, promulgata da Giovanni Paolo
II da Yaoundé, primo grande documento del Magistero papale su questo
Continente, “schiacciato - si legge nel testo di allora - dalle calamità, dagli
odi etnici, dalle guerre”. Non molto è cambiato oggi in questo Continente,
dove - scrive il Papa nell’Esortazione
– “per lungo periodo regimi” ora
“scomparsi, hanno posto a dura prova gli Africani ed hanno indebolito le
loro capacità di reazione”. Per questo “occorre aiutarli a raccogliere le
proprie energie, per porle al servizio del bene comune”, fondato sui valori
positivi della cultura africana: anzitutto il “profondo senso religioso”, il
“senso della famiglia, dell’amore, del rispetto della vita”. Insostituibile il
ruolo della Chiesa – si legge ancora – “a fianco degli oppressi”, per “farsi
voce di chi non ha voce”, perché ovunque la dignità umana sia riconosciuta ad
ogni persona e l’uomo sia sempre al centro di ogni programma dei governi”. Una
Chiesa che denuncia i mali della società ed offre strumenti di riscatto morale
e sociale, attraverso un messaggio “pertinente e credibile”, anche coraggioso.
“I
popoli dell’Africa, lungi dal cedere allo sconforto - concludeva l’Esortazione
- devono prepararsi al terzo Millennio” con “fermo impegno” di porre in atto
con “grande fedeltà” le decisioni e gli orientamenti della Chiesa, per essere –
ha ripetuto con forza in questi giorni Giovanni Paolo II - “veramente protagonisti
del loro futuro, gli attori ed i soggetti del loro destino”
**********
ALTRE
UDIENZE
Il
Papa nel corso della mattina ha ricevuto un gruppo di presuli della Conferenza
Episcopale degli Stati Uniti d’America (Regione VII) in visita “ad Limina”.
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq,
con un articolo sui diversi punti che caratterizzano la bozza di Risoluzione
presentata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite.
Nelle vaticane, l'omelia del
cardinale Giovanni Battista Re nella celebrazione eucaristica presieduta
in occasione dell'incontro dei Superiori dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Due articoli dedicati alla
figura di San Filippo Neri in occasione della memoria liturgica (26 maggio)
Nelle estere, Medio Oriente:
conclusa l'operazione israeliana nella città palestinese di Rafah.
Nella pagina culturale, un
articolo di Paolo Miccoli dal titolo "La Chiesa vista dai sociologi":
i risultati di un recente studio.
Per l'"Osservatore
libri" un articolo di Giuseppe Costa in merito alla pubblicazione degli
Atti del convegno su "Rapporto fra informazione, valori e
democrazia".
Nelle pagine italiane, in primo
piano un articolo su Fabrizio Quattrocchi.
=======ooo=======
25
maggio 2004
NELL’ODIERNA
GIORNATA DELL’AFRICA
NASCE IL CONSIGLIO DI PACE E DI SICUREZZA
DELL’UNIONE AFRICANA
-
Interviste con mons. Giorgio Biguzzi e padre Renato Sesana -
Nell’odierna Giornata dell’Africa, il presidente di turno
dell’Unione Africana, il capo di Stato del Mozambico Joachim Chissano, ha
annunciato stamattina ad Addis Abeba, la creazione del Consiglio di Pace e di
Sicurezza, un organismo, sul modello dell’ONU, dedicato alla regolazione dei
conflitti. Tra le sfide più difficili da affrontare, per il Continente che
conta oltre 830 milioni di abitanti di cui il 60% sotto i 20 anni, è quella
dell’ormai cronica instabilità politica. Il vescovo di Makeni, mons. Giorgio
Biguzzi, ne analizza le cause al microfono di Andrea Sarubbi:
**********
R. – Il problema è complicato, perché ci sono popolazioni
che vengono da tradizioni totalmente diverse, coinvolte da una globalizzazione
economica della quale non conoscono gli strumenti. La crescita direi che è
stata quasi forzata da elementi esterni, cominciando già dal secolo scorso. C’è
questo travaglio interno che rende difficile una crescita normale. D’altra
parte, se guardiamo alla nostra storia europea, ci sono voluti secoli di guerre
e di interferenze per arrivare a dove siamo adesso.
D. – Il Papa ha invocato più volte, anche ultimamente, un
intervento deciso della comunità internazionale. Che cosa si dovrebbe fare,
secondo lei?
R. – Mi piacerebbe veramente prendere a cuore la
situazione di tutte le zone dove ci sono problemi ed intervenire, non tanto in
base a calcoli politici o economici, come purtroppo avviene - perché in certe
zone si può avere un vantaggio per le materie prime, come per il petrolio - ma
intervenire solamente per il bene della gente. Quindi, far pressione sui governi
locali che hanno le loro responsabilità ed intervenire con aiuti umanitari,
svincolandoli dagli interessi di chi interviene. Credo, però, che si stiano
rendendo conto che la guerra non risolve i problemi, li acuisce o li sposta, e
l’unica via, in fondo sempre indicata anche dal Santo Padre, è quella del
rispetto della gente, dei diritti umani, del superamento - e questo lo hanno
detto anche i vescovi africani – delle divisioni etniche. Credo che ci sarà un
futuro, non magari immediato, che riporterà la pace.
D. – Perché, secondo lei, non si può pensare ad una pace a
breve termine?
R. – Perché i problemi sono molto grossi. La crescita non
è uguale in tutte le nazioni. Le comunicazioni sono molto difficili. E poi ci
sono molti interessi, sia dei governanti locali che di quelli internazionali.
Quindi il lavoro è ancora lungo. Però ci sono esempi concreti di successo. I
valori ci sono. E quindi penso si potrà riuscire.
D. – Quali sono gli esempi concreti di passi in avanti?
R. – Io direi che la Sierra Leone è un esempio. C’è stata
una guerra violentissima, durata 10 anni, ora è finita e c’è pace e sicurezza.
Anzi, proprio sabato scorso ci sono state in tutta la nazione le elezioni
amministrative. Sono avvenute in modo molto pacifico e abbastanza trasparente.
Questo ci dice che si può venire fuori da una guerra, si può arrivare alla
sicurezza con la buona volontà di tutti.
**********
Quando
si parla di Africa, spesso ci si sofferma solo sui suoi drammi: la povertà, la
fame, le guerre, le malattie endemiche. La Chiesa invita a guardare anche alle
grandi ricchezze umane di questo continente. Ascoltiamo in proposito padre Renato
Sesana, missionario comboniano, da oltre 15 anni in Africa, in particolare in
Kenya e Sudan. L’intervista è di Luca Collodi:
**********
R. –
L’Africa è, secondo me, un bellissimo continente e non principalmente per le bellezze
naturali ma la ragione principale è la bellezza della gente. La gente è ricca
dentro, è ancora positivamente legata ad una grande cultura che è la cultura
tradizionale e che mette in primo piano le ricchezze umane. Questa è una differenza
fondamentale. Nelle lingue tradizionali africane, in quasi tutte le lingue, se
si dicesse la tale città è una città ricca si intenderebbe prima di tutto che è
una città ricca di amicizia, di calore, di relazioni umane. In quasi tutte le
lingue africane le parole che noi usiamo per descrivere la miseria economica
non esistono; la povertà economica non esiste nelle lingue africane e
tradizionalmente queste parole servivano per indicare la povertà esistenziale,
la povertà di relazioni umane. E’ povero chi non ha amici, chi non ha parenti o
persone che gli vogliono bene. Questa è la vera povertà! L’enorme ricchezza
dell’Africa è questa centralità delle relazioni umane. Tutto questo porta poi a
delle ricadute: perché i poveri nella baraccopoli di Nairobi, che si alzano al
mattino e non sanno se mangeranno quel giorno, riescono a sorridere, ad essere
allegri, a vedere la vita serenamente? Perché, attraverso le relazioni umane,
si stabilisce poi tutta una catena di solidarietà, per cui non ci si sente mai
solo, neanche economicamente. Si sa sempre che se proprio arriva la fame, c’è
qualcun altro che gli darà da mangiare; ci sarà un parente od un amico che gli
potrà offrire qualcosa. E se il parente e l’amico non ha niente si potrà stare
insieme, senza mangiare ma si starà insieme. C’è quindi un guardare alla vita
con una grande positività, con una grande allegria e gioia interiore. Secondo
me, questa è parte di una grande spiritualità.
**********
COLPITO IL MAUSOLEO
DELL’IMAM ALI NELLA CITTA’ SANTA SCIITA DI NAJAF.
VITTIME IN ALTRI
EPISODI DI VIOLENZA IN IRAQ,
MENTRE SI DISCUTE DELLA
BOZZA DI RISOLUZIONE PRESENTATA IERI
DA GRAN BRETAGNA E STATI UNITI AL CONSIGLIO
DI SICUREZZA DELL’ONU
- Intervista con Lucio
Caracciolo -
Un proiettile di mortaio è
esploso all'interno del mausoleo dell'Imam Ali nella città santa sciita di
Najaf. Gli uomini di Sadr accusano gli americani e sostengono che dieci persone
sono rimaste ferite. Testimoni parlano di soli tre feriti, nessuno dei quali
sarebbe grave. Ma non mancano vittime in altri episodi di violenza in altre
zone dell’Iraq. Il servizio di Fausta Speranza:
*********
A Najaf la parte superiore di
una delle porte del mausoleo ricoperte d'oro, che porta alla tomba di Ali, è
stata danneggiata. Per ora non ci sono conferme sulle responsabilità. Il leader
radicale sciita Moqtada Sadr, giunto alla Moschea dopo l’attacco è stato
accolto da una folla inneggiante.
Mentre combattimenti
riprendevano a Najaf, la situazione questa mattina tornava calma a Kufa dove
però nei combattimenti della notte tra militari Usa e miliziani di Moqtada Sadr
cinque civili iracheni sono morti e 18 feriti. Nelle prime ore del giorno, a
Baghdad una bomba, di fronte al Karma Hotel frequentato da stranieri ma non
occidentali, ha causato alcuni feriti tra cui un bambino, che secondo alcuni
potrebbe essere morto.
Prosegue intanto la discussione
intorno alla proposta di nuova risoluzione presentata ieri da Gran Bretagna e
Stati Uniti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Commissione europea si è felicitata del previsto
passaggio di consegne del potere il 30 giugno. Sull’altrettanto prevista
presenza di truppe della coalizione anche dopo tale data la portavoce del commissario
alle relazioni esterne, Patten, ha osservato che ''si tratta di una scelta che
spetterà agli iracheni''. Pungente la Francia: il ministro degli esteri,
Barnier, fa sapere che la risoluzione “va discussa e migliorata” e che non deve
essere ''un assegno in bianco'' a favore degli Stati Uniti. Ha definito,
invece, la bozza “un’ottima base sulla quale si potrà raggiungere un accordo''
il ministro degli esteri tedesco, Fischer. E una precisazione viene da Blair:
il nuovo governo iracheno avrà il diritto di veto sulle operazioni militari nel
Paese. Il premier britannico lo ha assicurato oggi in conferenza stampa a Downing
Street.
C’è poi la dichiarazione del
ministro della difesa iracheno, Allawi, che ha affermato, sempre a Londra, che
le truppe straniere lasceranno il Paese tra mesi e non anni. Infine la notizia
diffusa dai media statunitensi che il generale Ricardo Sanchez, comandante del
contingente statunitense in Iraq, lascerà l'incarico in estate e potrebbe
essere rimpiazzato dal generale George Casey, vice-capo di Stato Maggiore
dell'Esercito.
**********
Ma quali concrete novità ci sono
nel discorso di Bush e nella Bozza di risoluzione presentata ieri da Washington
e Londra al Consiglio di sicurezza dell’Onu? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a
Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes” che dedica
l’ultimo numero alla crisi irachena:
**********
R. - Di nuovo,
sostanzialmente nulla. La novità è tutta contenuta nella risoluzione del
Consiglio di sicurezza, che inglesi e americani hanno proposto sotto forma di
bozza proprio ieri. E’ una bozza e quindi non è definitiva. Le reazioni cautamente
positive dei Paesi da sempre contrari alla spedizione irachena, cioè Germania e
Francia oltre al Pakistan, lasciano prevedere che alla fine un accordo ci sarà.
D. – Quali potrebbero essere le modifiche?
R. – Potrebbe essere più chiara la vicenda del petrolio,
cioè si potrebbe chiarire bene quali sono effettivamente i rapporti tra il
governo iracheno e questo comitato di consulenza. Bisognerebbe chiarire anche
il termine del mandato della forza multinazionale. I francesi, soprattutto,
premeranno per un termine. Resterà probabilmente irrisolta la questione del
comando, nel senso che difficilmente gli americani lo cederanno.
D. – Tutto questo come si concilia con il fatto che sul
terreno, giornalmente, la situazione è sempre drammatica?
R. – Si concilia male. Una cosa sono le risoluzioni fatte
per trovare un accordo fra i Paesi che
fanno parte del Consiglio di Sicurezza, un’altra cosa sono poi le decisioni sul
terreno, quali saranno gli esiti concreti.
D. – Tutto questo poi non dovrebbe andare di pari passo ad
una sorta di negoziato con le forze estremiste che stanno operando in Iraq?
R. – Assolutamente sì. Quale che sia la composizione della
forza multinazionale, operazioni tipo Falluja o Karbala non avrebbero senso
sotto un mandato Onu. Comunque, non credo che il governo iracheno potrebbe dare
una qualsiasi copertura ad operazioni di quel tipo, che finirebbero
evidentemente per colpire la popolazione civile.
D. – Sulla questione “Iraq” si sta giocando anche il
futuro di Bush presidente…
R. – Vedremo tra qualche mese, cioè sostanzialmente ai
primi di ottobre, quali sono effettivamente le chance dei due candidati. Tutto
quello che si dice adesso è molto prematuro.
D. – I sondaggi comunque dimostrano che c’è uno scontento
nell’opinione pubblica americana?
R. –Sì. Come si potrebbe plaudire alla situazione sul
terreno. E’ chiaro che le cose stanno andando molto male e che la
responsabilità politica è di questa amministrazione.
**********
ACCORDO
TRA GOVERNO DI KHARTOUM E RIBELLI
PER
METTERE FINE AD OLTRE 20 ANNI DI GUERRA CIVILE IN SUD SUDAN.
UN
ACCORDO CHE ESCLUDE LA REGIONE DEL DARFUR
AL CONFINE
CON IL CIAD, DOVE E’ IN ATTO UN VERO E PROPRIO MASSACRO
-
Intervista con Massimo Alberizzi -
Importante accordo tra governo del Sudan e ribelli
secessionisti che operano nel sud del Paese. L'annuncio è stato dato
ufficialmente ieri a Nairobi, in Kenya. La cerimonia della firma è prevista per
domani a Niavasha, sempre in Kenya, sede dei colloqui di pace che si sono
svolti negli ultimi mesi. L'accordo mette formalmente fine ad oltre 20 anni di
guerra civile, che hanno causato circa due milioni di morti. L'intesa non
riguarda la regione del Darfur, nella parte occidentale del Sudan al confine
con il Ciad, che è rimasto fuori dai negoziati e dove le milizie arabe
filo-governative stanno compiendo una sorta di pulizia etnica nei confronti
delle popolazioni locali. Un genocidio che ha causato 30 mila morti, oltre un milione
di profughi, 120 mila dei quali rifugiatisi in Ciad. Sulla drammatica situazione
nel Paese, Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente al confine ciadiano
del Darfur, l’inviato del Corriere della sera, Massimo Alberizzi.
**********
R. -
La situazione è veramente catastrofica. Io sono entrato clandestino in Sudan e
ho visto alcuni villaggi bruciati. Devo dire che non sono andato molto in profondità
perché diventa molto pericoloso. Pare che il terreno sia molto minato e quindi
è molto pericoloso muoversi.
D. – Cosa c’è alle radici di questo conflitto?
R. – La guerra è una guerra tra arabi e tra le tribù
africane del Darfur, cioè coloro che abitavano queste regioni prima dell’arrivo
degli arabi, prima dell’arrivo dell’islam. E’ una guerra, come al solito, di
tipo economico tra i pastori, appunto gli arabi, e gli agricoltori, che sono
gli africani. Nasconde anche un conflitto economico, nel senso che nel Sudan è
stato trovato il petrolio e le popolazioni arabe sono fuori da qualunque
discorso di guadagno, di vantaggio sullo sfruttamento del petrolio stesso.
Quindi, anche per questo si sono mossi e si sono organizzati due movimenti di
guerriglia che hanno l’intento di proteggere le popolazioni, perché gli arabi
stanno commettendo un vero e proprio genocidio. Ammazzano gli africani solo per
ammazzarli, non per prendere loro i raccolti. Arrivano nei villaggi, li
circondano, li bruciano, stuprano le donne, ammazzano gli uomini, rapiscono i
bambini. Questo, sotto gli occhi della comunità internazionale, che però non
sta guardando da questa parte, perché in realtà guarda solo in Iraq. Quindi,
nessuno se ne accorge, nessuno vuol far niente. Il Consiglio di Sicurezza
dell’Onu ha detto “monitoriamo, stiamo a guardare”. Cosa aspettare non si sa,
perché il genocidio è già in atto.
D. – La situazione nei campi profughi?
R. – Soprattutto in Sudan gli sfollati sono un milione e
non si sa bene dove siano finiti. Il governo sudanese, che tra l’altro in
questi giorni è stato riconfermato nella Commissione per i diritti umani
dell’Onu, ha negato e nega ancora il permesso alle Organizzazioni umanitarie,
anche quelle dell’Onu, di recarsi nelle zone dove ci sono gli sfollati. Quindi,
da questa parte in qualche modo per i 120 mila profughi qualcosa da mangiare
c’è. Dall’altra parte, però, non si sa bene che cosa ci sia e la gente non ha
niente perché le organizzazioni non riescono ad arrivare.
**********
SULLA CRESCITA DELL’ECONOMIA MONDIALE,
PESA L’IMPENNATA DEL PREZZO DEL PETROLIO.
PARTICOLARMENTE DANNEGGIATE LE ECONOMIE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
- Ne parliamo con il prof. Giacomo Vaciago -
Il caro petrolio pesa significativamente sulle prospettive
di crescita dell’economia mondiale. Ieri, al mercato di New York, il greggio ha
toccato la quota record di 41,85 dollari al barile. Tuttavia, un segnale
positivo giunge dall’Arabia Saudita che si è detta favorevole ad un aumento
della produzione da parte dell’Opec, il cartello dei Paesi produttori di petrolio,
che il 3 giugno si riunirà a Beirut per una conferenza ministeriale. Dal canto
suo, il ministro del Petrolio iraniano ha detto oggi che Teheran è favorevole
ad “un aumento razionale” della produzione per favorire una diminuzione del
prezzo del greggio. Sugli effetti dell’impennata del prezzo del petrolio
sull’economia mondiale, sentiamo il commento dell’economista Giacomo Vaciago, intervistato
da Stefano Leszczynski:
**********
R. – Il prezzo del petrolio, a questi livelli, fa partire
aspettative di aumento dei prezzi, di inflazione. Quest’ultima fa male alle
nostre economie e, inducendo aumenti dei tassi di interesse delle banche
centrali, fa ulteriormente male. Vediamo, poi, che le borse riflettono questo
pessimismo. Nell’ultimo mese, infatti, sono scese.
D. – Come si inserisce nell’attuale guerra irachena il
problema del petrolio?
R. – Anzitutto l’Iraq è uno dei maggiori produttori di petrolio:
ha un 16 per cento di potenziale di offerta, ferma per le vicende belliche in
corso. Temo che gli altri Paesi arabi non siano così disposti in questa fase a
sostituire l’Iraq. A loro volta, essi temono ritorsioni terroristiche nei loro
Paesi e la guerra stessa, non dimentichiamocelo, aggiunge domanda.
D. – Supponiamo di essere ottimisti e che l’Opec aumenti
l’offerta di petrolio…
R. – Se l’Opec, in ogni caso, in uno scenario di questo
tipo, annunciasse un forte aumento di produzione, i prezzi già inizierebbero a
scendere. Attenzione, il prezzo del petrolio non è deciso dalla mia domanda
alla pompa di benzina, è un prezzo largamente in mano ad un mercato
speculativo. Sta salendo in previsione di scarsità. Se l’annuncio è: “da domani
l’Opec aumenta la produzione”, e poi magari ci mette un mese ad aumentare la
produzione, il prezzo crolla immediatamente.
D. – In relazione alla situazione dei Paesi più deboli,
quelli in via di sviluppo, si dice che questa difficoltà nel mercato del
petrolio possa bloccare e compromettere
in maniera molto grave la loro crescita…
R. – Perché, chiaramente, un ricco può anche pagarla cara
la benzina, mentre il povero ne viene strangolato. Per i Paesi emergenti
l’importanza di avere materie prime a buon mercato è ancora più decisiva per il
loro sviluppo che per noi. Questa situazione chiaramente accentua il divario
tra chi il petrolio ce l’ha e chi lo deve pagare e lo deve comprare.
D. – Quindi, in un certo senso gli Stati Uniti non
starebbero poi così male?
R. – No, attenzione, ormai gli Stati Uniti con l’economia
in crescita e sviluppata che hanno sono, anche loro, importatori netti. Una
volta, 50 anni fa o 100 anni fa, gli Stati Uniti esportavano petrolio. Oggi
sono importatori anche loro.
**********
=======ooo=======
Radiogiornale
25
maggio 2004
NUBIFRAGI
E INONDAZIONI NELLA REPUBBLICA DOMINICANA HANNO PROVOCATO
UN’OTTANTINA
DI MORTI, CENTINAIA DI DISPERSI E 4 MILA SENZA TETTO.
QUATTORDICI
I VILLAGGI ISOLATI, PER UN FENOMENO INSOLITO NEL MESE DI MAGGIO
SANTO
DOMINGO. = Sta assumendo le proporzioni di una catastrofe umana, oltre che
ambientale, la situazione generata dalle piogge torrenziali cadute in questi
giorni nella Repubblica Dominicana. Almeno 80 persone, circa la metà giovani,
sono morte per le inondazioni provocate dalle piogge torrenziali cadute in questi
giorni nella Repubblica Dominicana. Lo hanno annunciato in serata le autorità ospedaliere
di Jimaní, nel sudovest
del Paese, la regione più colpita dal maltempo. E anche nella vicina Haiti,
sulla stessa isola, le vittime per le inondazioni, secondo la testimonianza di
un religioso, sarebbero almeno 58. Ma nubifragi e inondazioni hanno causato
anche centinaia di dispersi e migliaia di senzatetto. A San
Francisco de Macoris due uomini sono stati trascinati via dalla furia delle acque
e un pescatore è annegato a causa di una mareggiata sulla costa caraibica. Il
bilancio fornito dal Cne, il Commissione nazionale per le emergenze, parla di
almeno 4.000 persone evacuate, 450 abitazioni distrutte e 14 villaggi rimasti
isolati. Fonti locali contattate dalla Misna spiegano che le massicce
precipitazioni di questi giorni sono piuttosto insolite: nella Repubblica
Dominicana, infatti, la stagione secca va da fine dicembre a fine marzo, quella
ciclonica da giugno a novembre, mentre il resto dell'anno sono previsti brevi
acquazzoni, anche tre o quattro al giorno, alternati dal sereno con il sole a
picco. (A.D.C.)
L’ARCIVESCOVO
DI BANGUI, MONS. POMODINO, CHIEDE DIALOGO ED
ELEZIONI LIBERE
AL
POSTO DELLA FORZA DELLE ARMI, PER FAR FRONTE ALLA CRISI IN ATTO
NELLA
REPUBBLICA CENTRAFRICANA
BANGUI. = “Siamo convinti che
una grande istituzione come la Chiesa cattolica non può essere né sorda né
cieca di fronte a tutte le difficoltà che la Repubblica Centrafricana sta
vivendo”. Lo ha affermato mons. Paulin Pomodimo, arcivescovo di Bangui, in
un’intervista rilanciata dalla “Comboni Press” e rilanciata dalla Misna.
Presule dal luglio dello scorso anno, mons. Pomodino ha vissuto nella sua diocesi
le violenze e gli atti di saccheggio compiuti dai banditi-ribelli durante il
colpo di Stato di Francois Bozizé, che rovesciò il governo di Felix Patassé. A
livello di Conferenza episcopale locale - ha detto - “abbiamo avuto la chiara
consapevolezza che si trattava di reazioni da parte islamica verso tutto ciò
che la Chiesa cerca di fare all’interno del Paese”. Per far fronte ai numerosi
scontri che ancora avvengono nella Repubblica Centrafricana, l’arcivescovo di
Bangui ribadisce un concetto già espresso in precedenza: l’urgenza di elezioni
libere per uno Stato democratico, per riportare la pace attraverso il dialogo e
non attraverso le armi, come sta avvenendo in questi giorni. I vescovi del
Paese africano si sono detti convinti che, di fronte alla crisi attuale, la
soluzione non è militare poiché essa, per quanto coraggiosa, non può che
causare pene e sofferenze inutili. “Il Paese ha bisogno di dialogo, di elezioni
e di armi”.(G.L.)
ASSENSO
RECORD PER LA CONVENZIONE CONTRO IL LAVORO MINORILE:
SONO GIA’
177 LE RATIFICHE DA PARTE DI ALTRETTANTI STATI
CHE
TUTELA I BAMBINI COSTRETTI NELLE PEGGIORI FORME DI OCCUPAZIONE
GINEVRA.
= La Convenzione internazionale per la lotta alle peggiori forme di lavoro minorile
potrebbe essere la prima a raggiungere il traguardo di una ratifica universale
da parte dei 177 Paesi dell'Organizzazione internazionale del lavoro, Ilo. Con
l'adesione del Kirghizistan - ha annunciato ieri l'Ilo a Ginevra - la Convenzione
182, adottata all'unanimità nel 1999, ha già ottenuto 150 ratifiche. Mai nella
storia dell'organismo internazionale una convenzione era stata ratificata da
così tanti Paesi in così poco tempo. Se ratificata da tutti gli Stati membri,
la Convenzione contro le peggiori forme di lavoro infantile sarebbe la prima a
ricevere un sostegno universale. Altre convenzioni fondamentali, come quella
sulla libertà d'associazione, il lavoro forzato o la discriminazione, hanno
ottenuto dalle 100 alle 165 ratifiche ma in un arco di tempo più lungo. La Convenzione
182 fornisce una base legale all'azione nazionale contro le peggiori forme di
lavoro minorile, in particolare quelle che hanno effetti debilitanti sulla
salute fisica e psicologica ed il benessere morale dei bambini e degli
adolescenti. Un rapporto dell'Ilo ha stimato in 246 milioni i bambini e gli
adolescenti (uno su sei tra i 5 e 17 anni) costretti a lavorare nel mondo. Di
questi, 179 milioni sono impiegati nelle peggiori forme di lavoro minorile. (A.D.C.)
IL
PRESIDENTE DELLA REGIONE ITALIANA PIEMONTE, ENZO GHIGO,
HA
CHIESTO AL MINISTERO DEGLI ESTERI
LA NOMINA DI “AMBASCIATORE DI PACE” PER
ERNESTO OLIVERO,
IL
FONDATORE DEL SERMIG CHE CELEBRA I SUOI 40 ANNI DI ATTIVITA’
TORINO. = Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, il
Servizio missionario giovanile, come “Ambasciatore di pace”. Una nomina che il
presidente della Regione Piemonte, Enzo Ghigo, ha annunciato ieri di aver
richiesto al ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il Sermig e il suo
Arsenale della Pace torinese festeggiano i 40 anni di vita e nelle scorse
settimane una folta rappresentanza è stata ricevuta dal Papa in Vaticano. Ieri
Olivero, che ha reso noto lo slogan della ricorrenza, “La pace vincerà se
dialoghiamo”, ha fornito alcuni dati sull'attività del Sermig, che ha visto la nascita
di un nuovo Arsenale della Pace nel 1996, con la sede a San Paolo, in Brasile.
“Sono stupito di questi 40 anni” - ha affermato il fondatore della struttura di
solidarietà - “trascorsi nell’impegno quotidiano, attimo dopo attimo. Dal
Sermig – ha elencato - sono passati 5.241 volontari e ne abbiamo 1271 fissi,
per una media di 1.309 ore di lavoro al giorno. Negli ambulatori di assistenza
sanitaria gratuita sono state visitate 25.700 persone, grazie all'impegno di 90
volontari, medici, infermieri e farmacisti. In questi decenni abbiamo ospitato
49.781 persone. Le missioni di pace a cui il Sermig ha partecipato sono cento,
mentre gli interventi e i progetti di collaborazione e sviluppo sono stati
1.981, con 3.680 tonnellate di medicinali, alimenti e attrezzature inviati a
chi ne ha avuto bisogno, pari al carico di 335 aerei. I pasti distribuiti - ha
concluso Olivero - sono nove milioni e 640 mila, con una media giornaliera che
nel 2003 è stata di 3.642”. (A.D.C.)
INAUGURATO
IN CINA IL PRIMO DISPENSARIO MEDICO,
GESTITO
DA UN ISTITUTO RELIGIOSO CATTOLICO, LE SORELLE DELLA CARITA’
GUAN
PU TOU (CINA). = La solidarietà ha infranto un altro tabù. In
Cina, e precisamente a Guan Pu Tou, piccolo centro nel distretto di JingHai,
nella provincia orientale di Tianjing, è stato aperto il primo dispensario
medico allestito da una congregazione cattolica, le Sorelle della Carità.
“Attraverso il dispensario vogliamo fornire gratuitamente assistenza medica e
farmaci ai poveri; ed è solo l’inizio”, ha affermato suor Wang Mei Li, assistente
della madre superiora delle Sorelle della Carità, secondo quanto riferito
dall’agenzia Fides. “Con l’aiuto della comunità cattolica locale e delle altre
nostre consorelle – ha aggiunto la religiosa - ci auguriamo di poter presto
realizzare un vero e proprio ospedale e una casa per anziani”. Amore e
accoglienza per qualsiasi essere umano e un’evangelizzazione che sia anche
promozione allo sviluppo sono gli aspetti centrali della missione ecclesiale
che fanno da sfondo all'iniziativa. La piccola farmacia chiamata ‘Hui Ze Tang’
è stata inaugurata alla presenza delle autorità locali e di cittadini cattolici
e non. (A.D.C.)
LA
RIPULITURA DEL DAVID DI MICHELANGELO, CHE COMPIE 500 ANNI:
IL
LAVORO, DEL COSTO DI 200 MILA EURO E FINANZIATO
DA UNA
FONDAZIONE OLANDESE, HA RIPORTATO ALL’ANTICO SPLENDORE
UNA
DELLE PIU’ CELEBRI STATUE AL MONDO
- A
cura di Laura Sposato -
**********
FIRENZE.
= Solo pulitura raffinata, ma niente lifting per il David di Michelangelo, che
festeggia 500 anni di vita. Un restauro minimalista, un intervento a regola
d’arte come merita un capolavoro d’eccellenza qual è il David di Michelangelo,
splendido come prima e come sempre, ma adesso pulito o più precisamente “velinato”
con carta giapponese, ammorbidita con acqua distillata, come ha spiegato la
restauratrice, Cinzia Parnigoni. Rimangono però le tracce del suo vissuto:
l’antica frattura nell’avambraccio sinistro, provocata da un folle, e le
conseguenze dell’esposizione all‘aperto in Piazza Signoria, fino al 1873, poi
sostituito con una copia nel 1910. Un scelta sofferta anche allora, ma necessaria,
spiega il sovrintendente Antonio Paolucci, per tutelare un capolavoro che appartiene
al mondo. Quasi 6 tonnellate di materia esaminata in ogni parte, anche al
microscopio, per eseguire un delicatissimo lavoro di pulitura, monitorato
dall’Opificio delle pietre dure e finanziato dalla Fondazione olandese Ars
Longa con 200 mila euro. E a partire dall’8 settembre, ha annunciato la
direttrice della Galleria dell’Accademia, Franca Faletti, il David di
Michelangelo che compie 500 anni sarà festeggiato a Firenze con eventi,
spettacoli e una mostra.
**********
=======ooo=======
25
maggio 2004
- A cura di Fausta Speranza -
Doppia maggioranza e radici
cristiane: sono stati questi i punti in discussione nella riunione di ieri a
Bruxelles tra i ministri degli esteri dell’Unione Europea. Si è chiusa con
qualche piccolo passo avanti nel negoziato sulla Costituzione europea, a meno
di un mese dal vertice di metà giugno tra i leader che concluderà il semestre
di presidenza irlandese. I leader continuano ad insistere sulla ferma volontà
di chiudere il negoziato a giugno ma il nodo del sistema di voto non si può
dire ancora sciolto. Dopo l’apertura della Spagna, resta lo scetticismo, ribadito
anche ieri, della Polonia. Il servizio da Bruxelles di Gian Andrea Garancini:
**********
I ministri degli esteri dei 25 hanno compiuto un passo
avanti verso il compromesso finale che potrebbe essere approvato già nel corso
del vertice europeo del 17-18 giugno prossimi. Francia, Germania e Italia,
hanno deciso come segno di buona volontà di non opporsi alla proposta spagnola
in merito al sistema di voto. La doppia maggioranza, inizialmente prevista
dalla convenzione, come il 50 per cento degli Stati e il 60 per cento della
popolazione, passerebbe al 50 per cento degli Stati ed ai due terzi della
popolazione, in modo da consentire minoranze di blocco del processo decisionale.
Al termine della riunione, i ministri hanno sottolineato
come un consenso sulla doppia maggioranza dovrebbe facilitare l’accordo sui
restanti tre punti caldi del negoziato: composizione della Commissione, numero
dei parlamentari europei, estensione della maggioranza qualificata e limitazione
del diritto di veto. Ma incombe sul buon esito della costituzione il tema delle
radici cristiane. Se da un lato, infatti, Polonia, Italia, Lituania, Malta,
Portogallo e Repubblica Ceca hanno inviato una lettera alla presidenza irlandese
nella quale si ribadisce la priorità del riconoscimento delle redici cristiane
nel preambolo della costituzione, dall’altro i Paesi del Nord Europa, la
Francia ed il Belgio si oppongono fermamente ad aprire il negoziato su un tema
che considerano chiuso, in nome della laicità delle istituzioni e
dell’opportunità politica.
Da Bruxelles, per Radio Vaticana, Gian Andrea Garancini.
**********
In Italia, per la seconda volta in due anni i magistrati
scioperano contro la riforma dell’ordinamento giudiziario elaborata dal governo.
Per l’Associazione nazionale di categoria la riforma non assicura un miglior
funzionamento della giustizia e mette anzi a rischio l’indipendenza dei
giudici. Sullo sciopero, che almeno a Roma e a Milano ha raccolto un’adesione
pressoché totale, è scontro tra gli schieramenti politici. Il servizio di
Giampiero Guadagni:
**********
Uno sciopero annunciato a
febbraio, congelato e infine confermato. Continua il braccio di ferro tra
magistrati e governo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, riforma che
dopo le elezioni di giugno riprenderà il suo iter parlamentare. Per l’Anm,
l’associazione nazionale di categoria che raccoglie il 90 per cento dei 9.000
magistrati italiani, l’unico obiettivo della riforma è rendere più controllabili
giudici e pubblici ministeri. Ad esempio, viene denunciato lo svuotamento del
ruolo di garanzia del Consiglio superiore della magistratura, che è l’organo di
autogoverno dei giudici. Inoltre, dopo 5 anni di servizio, ogni magistrato
dovrà scegliere definitivamente se fare il giudice o il pubblico ministero.
Secondo l’Anm, in questo modo si separano le carriere in contrasto con quanto
stabilisce la Costituzione che prevede un unico corpo di magistrati. E ancora,
chi vuole passare ai gradi superiori dovrà affrontare concorsi per titoli ed
esami, ma solo chi ha svolto per un certo periodo funzioni di giudice di
Appello e Cassazione potrà partecipare ai concorsi per guidare un ufficio
giudiziario. Così, secondo l’Anm, si reintroduce un assetto gerarchico
piramidale in contrasto con il principio costituzionale di pari dignità di
tutte le funzioni. Su una linea diametralmente opposta a quella dei magistrati
si schierano gli avvocati penalisti, che considerano la riforma proposta
addirittura troppo morbida e lo sciopero un’invasione di campo legislativa. Sul
fronte politico, l’opposizione di centro-sinistra sostiene le ragioni della
mobilitazione che, al contrario, secondo il centro-destra ha solo una
motivazione politica. Nelle ultime ore, lo scontro si è concentrato su una
frase del presidente del Senato, Pera, che commemorando il giudice Falcone ha
detto che l’autonomia e l’indipendenza delle toghe è a rischio anche per
comportamenti assunti all’interno della magistratura.
Per la Radio Vaticana, Giampiero
Guadagni.
**********
L’esercito
israeliano ha annunciato, ieri sera, di aver completato il ritiro delle sue
truppe dal campo profughi palestinese di Rafah, nella Striscia di Gaza, dopo
un’operazione militare durata sei giorni. Nell’incursione, che ha sollevato
forti critiche da parte della comunità internazionale, sono stati uccisi 43
palestinesi. Stamani, in migliaia hanno manifestato nel centro di Rafah, mentre
i corpi di 16 vittime venivano restituiti alle famiglie a Tel el Sultan.
L'Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi (Unrwa) ha valutato in 180 le
abitazioni distrutte dalle forze israeliane nel corso dell’operazione
denominata “Arcobaleno”. D’altro canto, secondo un portavoce dell’agenzia Onu a
Ginevra si teme che “la quiete attuale sia solo una pausa per riorganizzarsi e che
presto l’offensiva israeliana riprenderà”. Stamani, intanto, a Ramallah una
guardia del corpo palestinese ha ucciso, in apparenza per motivi personali, un
collega e ne ha ferito il fratello oltre a un bambino che stava passando in una
strada.
Uno dei
più potenti signori della guerra somali, Huesein Mohamed Aidid, è stato
rilasciato nel corso della notte a Nairobi. Era stato arrestato nella capitale
keniana giovedì scorso e condannato a 30 giorni di prigione per non aver pagato
un debito di 15 milioni di scellini keniani, circa 190.000 dollari americani,
contratto ufficialmente a nome del governo
somalo nel 1997, in un periodo in cui si era autoproclamato presidente.
Il tribunale internazionale dell'Aja (Tpi) ha formalizzato
un atto d'accusa per crimini di guerra, perpetrati ai danni di civili serbi nel
settembre 1993, contro il generale croato Mirko Norac, già condannato in prima
istanza dalla giustizia locale per un caso analogo. Il Tpi accusa Norac
dell'eccidio di un centinaio di civili serbi avvenuto nel settembre del 1993
durante l'operazione 'Sacca di Medak', un'incursione dell'esercito croato in
una zona nei pressi di Gospic (200 km a sud di Zagabria), all'epoca nella
regione della Krajina controllata dai secessionisti serbi di Croazia.
Il capo
della missione dell'Onu in Kosovo, il finlandese Harri Holkeri, ha annunciato
di aver presentato le sue dimissioni al segretario generale delle Nazioni Unite
Kofi Annan per motivi di salute. In precedenza fonti politiche avevano
preannunciato le sue dimissioni motivandole con le critiche ricevute dopo i
violenti scontri tra serbi e albanesi avvenuti a marzo.
Nuove
violenze nell’arcipelago indonesiano delle Molucche. Una bomba esplosa
stamattina in un mercato del capoluogo Ambon, in un quartiere a maggioranza
cristiana, ha ucciso una donna e ferito 17 persone. La polizia ha poi
neutralizzato altri tre ordigni, tutti diretti a colpire obiettivi cristiani.
Andrea Sarubbi ha chiesto al vescovo di Ambon, mons. Petrus Mandagi, chi c’è
dietro l’ondata di violenze:
**********
Non lo so, ma credo che queste esplosioni siano dei
tentativi di provocare la popolazione e di prolungare il conflitto. La
responsabilità è da attribuire ad alcuni gruppi di Ambon, che potrebbero essere
controllati da altri movimenti a
Giakarta o altrove, che hanno l’interesse di far esplodere la guerra nelle Molucche.
D. - Ritiene che ci sia un legame tra queste violenze e le
prossime elezioni presidenziali in Indonesia?
Sì, credo che questo conflitto sia utilizzato per mostrare
al mondo, o almeno alla società indonesiana, che il governo attuale non è in
grado di controllare la situazione. Non è altro che un tentativo di
destabilizzazione, un chiaro messaggio agli elettori in vista delle prossime
presidenziali: “eleggete un altro presidente”.
D. - Dunque, lei non lo definirebbe un conflitto
religioso…
R.- IT IS
NOT A RELIGIOUS CONFLICT…
Non è un conflitto religioso. È un conflitto molto
politico, che danneggia sia cristiani che musulmani.
*********
Il ministro della difesa russo,
Ivanov, ha ribadito che la Russia ha accolto il recente ulteriore allargamento della Nato a est con moderazione
mantenendo ferme alcune preoccupazioni, in particolare riguardo all'adesione
delle tre repubbliche baltiche ex sovietiche. Il processo di allargamento ''non
può non preoccuparci'', ha detto Ivanov a margine di un incontro, a San
Pietroburgo, con i ministri della
difesa dei Paesi del Nord Europa (Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda). Ivanov ha spiegato che
le repubbliche baltiche non hanno ancora aderito all'accordo sulle forze
convenzionali in Europa e che questo rappresenta un problema serio per la sicurezza regionale nel Nord Europa''.
=======ooo=======