RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 142 - Testo della trasmissione di venerdì 21 maggio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Bisogna “favorire il dialogo” in un mondo traumatizzato dal flagello delle divisioni razziali e dai conflitti: è quanto ha detto Giovanni Paolo II che stamane ha ricevuto il primo ministro neozelandese, la signora Helen Clark

 

Il Papa incontra il cardinale Poupard che festeggia i 50 anni di sacerdozio e i 25 di episcopato: ai nostri microfoni il porporato

 

La Santa Sede lancia l’allarme: dopo gli attentati dell’11 settembre la drammatica situazione dell’Africa è ulteriormente peggiorata: è un dovere morale della comunità internazionale ridare speranza al continente. Intervista con il cardinale Martino.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Sul terreno nuovi scontri in varie regioni dell’Iraq, con diverse vittime. Gli Spagnoli lasciano il Paese. Nuove rivelazioni sulle torture ai detenuti nel carcere Abu Ghraib: il commento di Josto Maffeo

 

Conclusa la 53.ma Assemblea generale della Cei: ce ne parla il cardinale Camillo Ruini

 

Montecassino commemora i sessant’anni dal bombardamento ed espone i tesori salvati: con noi il vescovo abate Bernardo D’Onofrio e Roberta Orsi Landini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Chiesa di Inghilterra denuncia i pericoli legati all’istituzione della prima banca delle cellule staminali

 

In Spagna nasce il primo quotidiano cattolico interamente on line

 

I vescovi ecuadoriani hanno rivolto un accorato appello al presidente Lucio Gutierrez affinché intervenga a tutela dei rifugiati colombiani che fuggono dalla guerra civile

 

In Cina, una modifica della legge della pianificazione familiare prevede la possibilità di un secondo figlio per le coppie con determinati requisiti, ma il governo continua a non incoraggiare la procreazione

 

Lo Stato indiano dell’Andhra Prades ha stanziato aiuti economici per le famiglie dei contadini che si sono uccisi a causa dei debiti

 

24 ORE NEL MONDO:

Israele riduce la presenza militare a Rafah, nella Striscia di Gaza; altri 7 morti nella notte, ma Tel Aviv smentisce

 

Vertice Russia-Ue a Mosca per migliori legami contro il terrorismo

 

Elezioni generali in Malawi per rilanciare il processo democratico. 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

21 maggio 2004

 

 

INCORAGGIAMENTO DEL PAPA AL PRIMO MINISTRO DELLA NUOVA ZELANDA,

RICEVUTO STAMANE IN VATICANO, PERCHE’ QUESTO PAESE POSSA SVOLGERE

 UN RUOLO PACIFICATORE NELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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“Favorire il dialogo” in un mondo oggi “così traumatizzato dal flagello delle divisioni razziali e dai conflitti”: il compito affidato dal Papa al primo ministro neozelandese, Helen Clark,in visita a Roma.

 

“I neozelandesi - ha ricordato Giovanni Paolo II - hanno sempre apprezzato i fondamentali valori della libertà, della giustizia e della pace”. E “di fronte all’aggressione o alla minaccia hanno cercato generosamente di difendere e promuovere tali diritti nel Pacifico ed oltre”. Ecco perché nel riconoscere il fondamentale dono divino della dignità di ogni persona, il dialogo deve condurre al riconoscimento della diversità, “aprendo la mente alla mutua accettazione e alla genuina collaborazione richiesta dalla basilare vocazione all’unità della famiglia umana.”

 

Ricordiamo che il Santo Padre ha visitato - negli oltre 100 viaggi apostolici del suo pontificato - la Nuova Zelanda nel novembre del 1986. In questo arcipelago dell’Oceania, grande quasi quanto l’Italia, immerso nelle acque del Pacifico meridionale, vivono solo 3 milioni e 900 mila persone, sparse nelle due grandi isole maggiori, separate dallo Stretto di Cook, e nelle molte altre isole minori. La visita in Italia della signora Clark, capo del governo laburista, è proseguita oggi con l’incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Berlusconi, mentre ieri il premier neozelandese ha partecipato ad una cerimonia religiosa nel Cimitero miliare del Commonwealth a Cassino, nel sessantennale dell’offensiva da parte delle forze angloamericane che portò alla distruzione della città e del monastero di Monteccassino.

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IL PAPA INCONTRA IL CARDINALE POUPARD CHE FESTEGGIA I 50 ANNI DI SACERDOZIO

E I 25 DI EPISCOPATO: “L’INTELLIGENZA DELLA FEDE - DICE AI NOSTRI MICROFONI

IL PORPORATO - E’ DATA AI POVERI IN SPIRITO.

IO IMPARO SOPRATTUTTO DAI MALATI

- Intervista con il cardinale Paul Poupard -

 

Il Papa ha ricevuto questa mattina il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, insieme con i familiari: il porporato sta festeggiando in questi giorni un duplice giubileo: il 50.mo di sacerdozio e il 25.mo di episcopato. Ieri pomeriggio, presso il Circolo di San Pietro nel Palazzo San Calisto a Roma, amici e conoscenti si sono stretti attorno al cardinale per festeggiare la felice ricorrenza. Oggi pomeriggio, alle 18, il cardinale Poupard presiederà una solenne concelebrazione di ringraziamento nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Giovanni Peduto gli ha chiesto cosa vuole dire in questa circostanza:

 

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R. – Evidentemente un grazie al Signore che mi ha chiamato, mi ha dato la grazia per rispondere a quella grazia che è venuta dalla mia famiglia, dai miei educatori e poi per il servizio straordinario, del tutto inaspettato, al Beato Papa Giovanni e al Servo di Dio Paolo VI e al nostro Santo Padre Giovanni Paolo II, in questo ministero nel cuore delle culture, del dialogo, fatto di incontri anche con non credenti attraverso tutto il mondo. Sono veramente meravigliato di tante testimonianze che da mesi sto ricevendo da persone anche un po’ lontane dalla Chiesa, ma penso vicine al cuore di Dio.

 

D. – Lei è vissuto da sempre in mezzo alla cultura. In questi anni come è cresciuta la sua comprensione della fede?

 

R. – E’ cresciuta in modo tale che oserei dare questa definizione, certo non teologica, ma del cuore: e cioè che la fede, per me, è sempre di più la speranza nell’amore anche attraverso il dolore. Ho capito sempre meglio la gioia di Santa Teresa di Lisieux quando si sente debole, quando si sente così piccola … come fare? Capisce che la scala della vita è troppo faticosa per una così piccolina. Allora prenderà l’ascensore, cioè le braccia di Gesù. Io tento di fare lo stesso.

 

D. – Più di recente c’è qualcosa che ha meglio compreso?

 

R. – Le Beatitudini, recitate tante volte. Adesso ho toccato con mano una beatitudine paradossale e cioè che l’intelligenza della fede è data, come dice Gesù, ai poveri, ai poveri in spirito, agli afflitti, ai miti, a quelli che hanno fame e sete di giustizia, ai misericordiosi, ai puri di cuore e agli operatori di pace. La gioia è veramente la prima e l’ultima parola del Vangelo e  il nostro mondo ne ha tanto bisogno.

 

D. –Il Cardinale Duval diceva che chi smette di imparare è ormai vecchio. Posso affermare che lei non lo è …

 

R. – E’ verissimo perché non cesso di imparare dai miei collaboratori, dalle persone che incontro, da tutti i vescovi del mondo e soprattutto dagli ammalati.

 

D. – Come vede lei la cultura oggi?

 

R. – Per usare una battuta direi che la vedo a pezzi, che è un vero campo di battaglia, dove non c’è coerenza, e soprattutto vi si trova tutto ed il suo contrario. Ma  noi abbiamo nel Vangelo il filo conduttore.

 

D. – In questa situazione, il Cristianesimo ha ancora qualcosa da dire?

 

R. – Ma come no! Più che mai amare Gesù Cristo. Nessuno può vivere senza amare e senza essere amato.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto nella mattinata, nel corso di successive udienze, il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e un gruppo di tre vescovi statunitensi della Regione X in visita ad Limina. Nel pomeriggio, il Papa riceverà un secondo gruppo di sei vescovi statunitensi della medesima Regione.

 

In Spagna, il Pontefice ha nominato vescovo di Osma-Soria il sacerdote Vicente Jiménez Zamora, finora amministratore diocesano della medesima diocesi. Il nuovo presule, 60 anni, ha perfezionato i suoi studi a Roma dopo l’ordinazione sacerdotale, conseguendo la licenza in Teologia presso l’Università Gregoriana, la licenza in Teologia morale presso l’Università Lateranense e quella in Filosofia presso l’Angelicum. Ha ricoperto numerosi incarichi di docenza e dal 2001 era vicario generale di Osma-Soria.

 

In Honduras, Giovanni Paolo II ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Comayagua, presentata per raggiunti limiti di età dal vescovo Geraldo Scarpone Caporale, dei Francescani minori. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Roberto Camilleri Azzopardi, anch’egli dei Francescani minori, finora ausiliare di Tegucigalpa. Mons. Azzopardi ha 53 anni ed è maltese di origine. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1975 da Paolo VI, a Roma, e dopo alcuni anni in patria è stato più volte parroco in Honduras. Attualmente è segretario generale della Conferenza episcopale onduregna.

 

Negli Stati Uniti, il Pontefice ha accettato la rinuncia all'ufficio di ausiliare dell'arcidiocesi di Newark presentata per raggiunti limiti di età da mons. Charles J. McDonnell e mons. David Arias, degli Agostiniani Recolletti. Al loro posto, Giovanni Paolo II ha nominato il sacerdote Thomas A. Donato, 64 anni, del clero della medesima arcidiocesi - finora Direttore Spirituale del Seminario Maggiore dell’Immacolata Concezione a South Orange - il 62.enne sacerdote John W. Flesey, anch’egli del clero dell’arcidiocesi di Newark, finora direttore arcidiocesano per la Formazione permanente del clero.

 

 

DARE UN FUTURO DI SPERANZA ALL’AFRICA ABBATTENDO LA CORTINA

DELL’EGOISMO E DELL’INDIFFERENZA: COSI’ IL CARDINALE MARTINO E MONS. LAJOLO

AL SIMPOSIO SULLO SVILUPPO DEL CONTINENTE NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE

ORGANIZZATO A ROMA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE

- Intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino -

 

“Dopo l’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti l’11 settembre 2001, le condizioni di vita di molti Paesi africani sono decisamente peggiorate''. Lo ha affermato stamane l’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, intervenendo all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sullo sviluppo economico e sociale dell'Africa nell’era della globalizzazione. Per il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del dicastero, è un imperativo morale della comunità internazionale ridare un futuro di speranza all’Africa. Ce ne parla Sergio Centofanti:

 

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Mons. Lajolo ha affermato che la regione sub-sahariana è al mondo quella  “che paga il prezzo più caro con i suoi  milioni di poveri e l’assenza di un’efficace rete di  assistenza”. I drammi dell’Africa – ha aggiunto – “si consumano nella indifferenza quasi generale, risvegliata quando ci sono di mezzo cittadini o interessi del nord del mondo”. E ha lanciato un monito: “Il mondo occidentale deve essere consapevole che i popoli esclusi, se non si imboccherà la  strada di un autentico sviluppo, finiranno col credere di non  avere altra scelta che quella del terrorismo. E questo potrebbe diventare un nuovo modo di fare guerra”. L’Africa è il continente più indebitato e ciononostante “ingenti capitali sono spesi per l’acquisto di armi. Un vero scandalo!”. Mentre si assiste ad un “disordinato assalto” alle risorse minerarie e petrolifere del continente, anche da parte dei Paesi industrializzati.

 

L’Africa, secondo mons. Lajolo, “soffre di grave carenza di cultura politica”. “La personalizzazione del potere ha avuto ed ha esiti nefasti…Una delle sfide dell’Africa si chiama cittadinanza: è necessario cioè trasformare i sudditi in cittadini”. Ma l’analisi di mons. Lajolo ha colto anche la positività dell'Africa: questo “continente – ha detto - è la culla dell’umanità, disseminato di siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco”.

 

“Non va sottovalutato poi – ha proseguito – lo stretto legame che la religione ha con la vita … di ogni giorno. La gente non ha difficoltà ad invocare l’aiuto di Dio con la preghiera nelle più svariate occasioni … Questa capacità africana di esprimere la propria fede in ogni aspetto della vita sociale è un valore che noi occidentali abbiamo perso e che l’Africa può orgogliosamente riproporre al mondo intero”. Mons. Lajolo ha ricordato che la Chiesa cattolica in Africa, si pone “a fianco degli oppressi, facendosi voce dei senza voce, schierandosi senza compromessi dalla parte dei poveri e lavorando per lo sviluppo integrale della persona con la pace, la giustizia e il miglioramento delle condizioni di vita”. E le cifre dell’impegno cattolico – ha detto parlano da sole: 5 mila ospedali, 500 case di accoglienza per disabili, 85 mila centri pastorali, 10 mila scuole, 13 milioni di bambini che ricevono un’educazione di base senza distinzioni etniche, religiose o economiche. I cattolici in Africa – ha ricordato – sono 137 milioni su 830 milioni di abitanti.

 

Ma ascoltiamo il promotore dell’incontro il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervistato da Philippa Hitchen:

 

R. – Il male più grande che attanaglia l’Africa è il senso di rassegnazione e di sfiducia quasi generale che a tutti i livelli circonda questo continente, come una cortina di ferro fatta di egoismo e di indifferenza. La vera battaglia da fare è quella di costruire, a tutti i livelli - nazionali ed internazionali - un ambiente di rinnovata fiducia e di generosa e intelligente creatività. Per gli uomini del nostro tempo, l’Africa con il carico imponderabile della sua sofferenza e della sua speranza, rappresenta un momento storico di assunzione di responsabilità. Voglia Dio che nessuno venga meno a questo impegnativo appuntamento con la storia. L’Africa ha certamente dei problemi, ma non va considerata come un problema, ma come un’opportunità di pace e benessere per tutto il mondo.

 

D. – Che cosa spera di ottenere con questa Giornata?

 

R. – Che governi, organizzazioni, associazioni si decidano a rivolgere gli occhi verso l’Africa, e non solamente a guardare, ma a fare, quindi a dare una mano a questo continente perché sia protagonista del proprio futuro. Tutti dobbiamo sentire come un imperativo morale donare un futuro di speranza all’Africa, affinché il continente superi una delle stagioni più drammatiche della sua storia, segnata da scontri armati che stanno decimando le sue popolazioni, da una democrazia incerta e da una corruzione devastante, da conflitti etnici che lo attanagliano e da spaventose malattie che lo stanno sconvolgendo. Dare un futuro di speranza all’Africa significa dare un futuro di speranza e di civiltà a tutto il mondo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Il terrorismo, gli atti di guerra, le violazioni dei diritti umani pesano grandemente sui nostri cuori” è il titolo che apre la Prima Pagina in riferimento all’udienza di Giovanni Paolo II alla Conferenza episcopale italiana riunita per la 53.ma Assemblea generale; il telegramma del Santo Padre per la morte del cardinale Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo emerito di Dakar. Iraq: nuovi scontri insanguinano Kerbala; altre foto documentano gli orrori perpetrati nel carcere di Abu Ghraib.

 

Nelle pagine vaticane, il saluto del Papa al primo ministro della Nuova Zelanda e l’articolo di Giampaolo Mattei da Mariazell dove si celebra l’incontro di cattolici nell’Europa Orientale.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con l’astensione degli Usa, condanna l’operazione israeliana a Rafah che ha provocato 41 morti; Cambogia: commemorate le vittime del genocidio comunista perpetrato dai khmer rossi; terrorismo: Putin denuncia il rischio di attentati con armi di distruzione di massa. Turchia: bomba esplode davanti ad un McDonald’s a Istanbul. Spagna: il Parlamento istituisce una Commissione d’inchiesta sulle stragi di Madrid.

 

Nella pagina culturale, un articolo postumo di Giuliana Cavallini su cento anni di pubblicazioni su Santa Caterina da Siena.

 

Nelle pagine italiane, celebrati a Camponogara i funerali del caporale Vanzan; dibattito in Parlamento sulla presenza italiana in Iraq.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

21 maggio 2004

 

IRAQ IN PREDA ALLA VIOLENZA, MENTRE I SOLDATI SPAGNOLI COMPLETANO

 OGGI IL DISIMPEGNO DAL PAESE. SPUNTANO NUOVE FOTO

 DELLE VIOLENZE NEL CARCERE DI ABU GHRAIB

- Intervista con Josto Maffeo -

 

Le due città sante sciite Kerbala e Najaf anche oggi al centro delle battaglie tra soldati americani e seguaci del leader radicale sciita Moqtad Sadr. Una decina, in tutto, i morti fino a questo momento. E mentre l’amministrazione statunitense è alle prese con la spaccatura con il designato successore di Saddam Hussein, Ahmad Chalabi, spuntano nuove foto di violenze nel carcere di Abu Ghraib. Il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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Una spirale di violenza senza interruzioni. In Iraq la giornata si è aperta all’insegna dei combattimenti. Dieci civili e un tecnico della tv qatariota al Jazeera sono rimasti uccisi nella città santa di Kerbala, durante combattimenti tra soldati americani e miliziani del leader radicale sciita Moqtada Sadr. Dieci i feriti, sempre tutti iracheni. Gli scontri sono avvenuti nei pressi dei mausolei degli imam Hussein e Abbas, settore controllato dall'Esercito del Mehdi. Ripresi questa mattina i combattimenti anche nell’altra città santa sciita, Najaf, dove il corrispondente della radio nazionale spagnola, Fran Sevilla, è finito nelle mani della guerriglia. La Forza di difesa civile irachena è, invece, nuovamente finita nel mirino della guerriglia a Baquba, dove quattro agenti sono stati uccisi in un'imboscata.

 

Negli Stati Uniti a tenere banco nelle ultime ore è la pubblicazione di nuove terribili foto delle sevizie sui detenuti nel carcere di Abu Ghraib. Le immagini sono state diffuse ieri in anteprima dall’emittente Abc, e riportate oggi, insieme a testimonianze dirette di detenuti, dal Washington Post. Il quotidiano riferisce, inoltre, di essere venuto anche in possesso di video agghiaccianti. Proprio ad Abu Ghraib è iniziato questa mattina il rilascio di un gruppo di 472 detenuti. Nel penitenziario si trovano al momento 3.500 prigionieri, ma le autorità militari puntano a ridurli a 1500, tramite scarcerazioni o trasferimenti in altri centri di detenzione. E’ durissima, invece, la condanna del Comitato internazionale della Croce Rossa su quanto accaduto al confine con Siria e Giordania. Ieri è arrivata la denuncia dell’uso “eccessivo della forza” da parte dell'esercito statunitense a seguito della morte di 41 iracheni, tutti civili, uccisi – stando alle fonti irachene - durante un matrimonio. Secondo l'Organizzazione araba dei diritti umani, invece, i morti sono stati 43 dei quali 15 erano bambini e 10 donne.

 

Continua, invece, a destare sorpresa la perquisizione eseguita nell’abitazione e negli uffici di Ahmad Chalabi, leader del Congresso nazionale iracheno e scelto da Washington quale successore di Saddam Hussein. E’ rottura, in sostanza, tra il fedelissimo degli Stati Uniti e l’amministrazione civile irachena, retta dallo statunitense Paul Bremer. Secondo quanto si apprende da fonti arabe, infine, sarebbe avvenuta la restituzione alla Croce Rossa Italiana della salma di Fabrizio Quattrocchi, l'ostaggio italiano rapito - insieme a tre connazionali - lunedì 12 aprile ed ucciso barbaramente il 14 aprile. La famiglia non è stata ancora informata. Dunque la notizia resta al momento da verificare. 

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Entro il 21 giugno sarà pronta una risoluzione Onu per dare legittimità internazionale al nuovo governo iracheno che sarà designato a fine maggio dal consigliere delle Nazioni Unite, Brahimi. Lo ha detto ieri il premier italiano Berlusconi, nei suoi interventi a Camera e Senato, che hanno aperto un tesissimo dibattito parlamentare. Bocciata la proposta dell’opposizione sul ritiro dei militari dall’Iraq, alla fine la maggioranza ha dato l’assenso a continuare la missione.

 

Intanto la Spagna ha completato oggi il ritiro delle sue truppe: gli ultimi soldati hanno lasciato la base di Diwaniya e sono stati trasferiti al confine con il Kuwait, da dove partiranno nelle prossime ore. Il premier Zapatero, che inizialmente aveva annunciato il ritiro dopo il 30 giugno, lo ha successivamente anticipato. Al microfono di Andrea Sarubbi, Josto Maffeo, corrispondente a Madrid del Messaggero, spiega perché:

 

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R. - Perché gli avevano fatto capire primo di tutto che sarebbe stato impossibile compiere una delle condizioni: che le truppe americane, cioè, venissero comandate da qualcun altro. Quando Rumsfeld disse al ministro della Difesa, Bono: “Ma si immagina i miei uomini comandati da uno straniero?”, si capì che quella condizione pattuita non sarebbe stata rispettata. Ma poi il ritiro venne accelerato da un altro avvenimento: ai generali spagnoli furono richiesti interventi non compatibili con le finalità della loro missione, come per esempio arrestare o uccidere Al Sadr… cosa che, naturalmente, gli spagnoli non accettarono di fare. La Spagna ha ragionato in questo modo: “Se già ora ci pervengono richieste di questo tipo, è meglio tornare a casa prima che ne giungano altre a cui noi non possiamo rispondere”. Come si è capito successivamente, quindi, Madrid non voleva essere trascinata in operazioni non compatibili con la filosofia della sua presenza in Iraq fino a quel momento.

 

D. – Altri Paesi, forse, si sarebbero spaccati di più sul ritiro immediato delle truppe. La Spagna, no…

 

R. – Che gli spagnoli fossero contrari alla guerra era evidente fin dall’inizio. Poi, una volta inviate le truppe, è sorto un ulteriore dibattito, su cosa fare in Iraq. A quel punto, ancora il 65-70 per cento della popolazione propendeva per il ritorno immediato. E non si tratta solo di antimilitaristi: alcune indagini hanno dimostrato che anche nell’ambiente militare si è ben contenti di essere tornati a casa. La Spagna ha deciso di restare alla finestra.

 

D. – La partecipazione alla guerra in Iraq ha portato con sé la drammatica conseguenza del terrorismo. Quanta paura di attentati c’è per le nozze del principe Filippo, in programma domani a Madrid?

 

R. – Le misure di sicurezza sono notevoli. Sulla mia testa in questo momento sta volando un elicottero della Nato, prestato alla Spagna perché qui ci sono decine di capi di Stato e di governo e teste coronate di tutto il mondo. La città è blindata. Addirittura nei cunicoli sotto terra, in una grande area del centro di Madrid, è pieno di poliziotti. Non c’è una sola auto parcheggiata da venerdì scorso. E la stessa automobile che porterà gli sposi, all’inizio scoperta, è stata blindata, perché si sa che tutto è possibile.

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LA CRISI IRACHENA AL CENTRO DELLA CONFERENZA STAMPA DEL CARDINALE RUINI

 A CONCLUSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CEI

- Intervista con il porporato -

 

La crisi irachena e il difficile cammino verso la pace: è stato il tema principale affrontato questa mattina dal cardinale vicario Camillo Ruini, durante la conferenza stampa che ha chiuso la 53.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Il porporato ha anche affrontato temi riguardanti l’Italia, in particolare quello della missionarietà delle parrocchie. A seguire la conferenza stampa, c’era Massimiliano Menichetti:

 

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L’Iraq vada verso la pacificazione: così il cardinale Camillo Ruini alla conferenza stampa per la conclusione della 53.ma assemblea generale della Cei. In Aula Paolo VI in Vaticano l’attenzione si è concentrata sul fronte caldo iracheno, in particolare sulle violazioni dei diritti umani. Il cardinale Ruini ha ribadito la necessità del rispetto della Convenzione di Ginevra e l’auspicio che tutti i Paesi occidentali ed arabi si impegnino per raggiungere gli obiettivi comuni di lotta al terrorismo, dell’indipendenza dell’Iraq, della pace:

 

“Io spero e cerco di operare, per quel po’ che posso, perché il futuro vada nel senso della pace, anzitutto, e quindi della indipendenza e sovranità dell’Iraq e della sua pacificazione. E anche nel senso che l’Iraq non diventi un focolario generalizzato di terrorismo”.

 

Il cardinale vicario, pur mostrandosi ottimista per il ristabilimento della pace in Iraq, ha espresso perplessità per le scelte compiute finora. Esplicito il riferimento alla guerra preventiva, definita ‘non condivisibile’. Ha comunque affermato che non si può addossare la responsabilità di scelte complesse solo all’Occidente.

 

L’attenzione si è poi spostata sul fronte politico italiano, dove l’invito è stato all’unità pur nel rispetto della dialettica delle parti. Il presidente della Cei ha quindi richiamato alcuni punti che l’assemblea ha affrontato nei giorni di lavoro, come il ruolo della Chiesa, in particolare della parrocchia italiana, invitata dai vescovi a camminare sempre di più verso una missionarietà integrata anche con i movimenti laicali e le realtà ecclesiali.

 

Presentati i dati relativi alle donazioni dell’8 per mille: nel 2004, fondi diminuiti di 80 mila euro in un anno. Lo sguardo si è poi allargato alla nuova Europa a 25 e al Trattato costituzionale; quindi, è stato ribadito l’impegno perché siano affermate le radici cristiane.

 

Massimiliano Menichetti, Radio Vaticana.

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MONTECASSINO COMMEMORA I SESSANT’ANNI DAL BOMBARDAMENTO

ED ESPONE I TESORI SALVATI. CON NOI IL VESCOVO ABATE BERNARDO D’ONOFRIO

 E LA CURATRICE ROBERTA ORSI LANDINI

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

A 60 anni dal bombardamento che distrusse il monastero di Montecassino, l’Abbazia in collaborazione con il Comitato Nazionale per la Battaglia di Montecassino espone i tesori salvati, antichi tessuti e paramenti sacri, recuperati nel corso di minuziose ricerche. E sempre nell’ambito delle commemorazioni è indetta la "Settimana per la memoria e la riconciliazione”. Il servizio è di Paolo Ondarza.

 

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Tessuti in oro e argento, ricami impreziositi da gemme, sete, velluti, damaschi arricchiti da perle, vesti sacre, ma anche codici manoscritti, tavole dipinte e miniature: è all’insegna del fasto la mostra, allestita fino al 30 settembre all’abbazia di Montecassino, oggetti di grande pregio artistico prodotti tra l’epoca rinascimentale e l'Ottocento o ancora in uso nelle celebrazioni liturgiche. Capolavori dell’arte tessile, alcuni dei quali recentemente restaurati; la natura ispira i disegni dei ricami: fiori, grappoli d'uva, uccelli, giardini, cornucopie ed alberi realizzati ad ornamento dei paramenti dei celebranti, pensati per essere indossati su un corpo in movimento, donazioni di personaggi illustri in segno di ringraziamento o penitenza. Un tesoro salvato in gran parte dai soldati tedeschi come ha ricordato il vescovo abate di Monte Cassino Bernardo D’Onofrio.

 

“Quanto esponiamo è tutto materiale che abitualmente ancora usiamo per le grandi funzioni, che ci fa vedere il progresso liturgico che la stessa Chiesa ha attuato attraverso i secoli”.

 

Notevole il valore degli ottanta oggetti esposti. La curatrice dell’esposi-zione Roberta Orsi Landini.

 

“E’, soprattutto, un valore storico. Certamente hanno anche un valore sul mercato antiquario. Rappresentano il meglio delle botteghe di ricamo e di tessitura dei centri europei”.

 

La mostra è allestita nel salone di san Benedetto dell’abbazia di Montecassino, un luogo che parla di spiritualità e fede, ma anche di storia: una storia travagliata; il santuario fondato da San Benedetto verso l'anno 529 e sorto sulla base di una preesistente fortificazione romana del municipio di Casinum, ha subito, infatti, quattro distruzioni nel corso dei secoli. L’ultima il 15 febbraio 1944, quando nella fase finale della seconda guerra mondiale, Montecassino situato geograficamente sulla cosiddetta linea Gustav, fu, nello spazio di tre ore, ridotto a un cumulo di macerie dagli alleati erroneamente convinti di colpire una base dell’esercito nazista. Risorto grazie alle donazioni dei Paesi di tutto il mondo, il Santuario è oggi più di ieri simbolo di pace e a sessant’anni di distanza dai bombardamenti ricorda quel drammatico episodio con una serie di manifestazioni in cui i Paesi coinvolti nelle operazioni belliche del 1944 dedicano ai propri caduti iniziative religiose e culturali. Ancora mons. D’Onofrio.

 

“Fare memoria della guerra è sempre un monito che ci deve fare pensare. Quindi, se per Montecassino oggi è un ricordo molto lontano, è un monito però per le tante generazioni, perché ciò non avvenga più”.

 

  A conclusione dei “sette giorni di memoria” il Simposio ecumenico di domani nella Chiesa Madre di Cassino.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

21 maggio 2004

 

 

LA CHIESA DI INGHILTERRA DENUNCIA I PERICOLI LEGATI ALL’ISTITUZIONE

DELLA PRIMA BANCA DELLE CELLULE STAMINALI. SI TEME CHE VENGANO CREATI

EMBRIONI UMANI SOLO PER ESTRARNE LE CELLULE

- A cura di Ignazio Ingrao -

 

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LONDRA. = La Chiesa di Inghilterra esprime preoccupazione di fronte alla notizia dell’istituzione della prima banca al mondo di cellule staminali. La banca è sorta nel sud dell’Inghilterra, grazie ai finanziamenti del Consiglio per la ricerca medica (MRC) e del Consiglio per la ricerca nelle scienze biologiche e biotecnologiche. Il 19 maggio sono state depositate nella banca le prime due cellule staminali separate dai ricercatori del “King’s College” di Londra e del “Centro per la vita” di Newcastle, nell’Inghilterra del Nord. La banca si propone di fornire cellule staminali per la ricerca e la terapia di malattie come il diabete, il cancro, il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. Con un comunicato diffuso dall’agenzia Zenit, il presidente del Dipartimento per la responsabilità e la cittadinanza cristiana della Conferenza episcopale di Inghilterra e del Galles, mons. Peter Smith, ha osservato che “non vi è nulla di male nell’istituire una banca di cellule staminali provenienti da adulti o da cordoni ombelicali” poiché “le cellule staminali tratte da queste fonti stanno ricevendo sempre maggiore riconoscimento come base per la ricerca e perfino per il trattamento di alcune malattie”. Ma il timore è che la nuova banca raccolga cellule staminali prelevate da embrioni umani. “Ciò che è moralmente sbagliato”, ha dichiarato in proposito mons. Smith, “è creare nuove vite umane solo per distruggerle estraendo le cellule staminali embrionali”. Per l’esponente della Conferenza episcopale inglese, bisognerebbe sostenere la ricerca sulle cellule staminali e le banche di cellule, ma solo se queste sono ottenute senza procurare la morte di embrioni umani.

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IN SPAGNA NASCE IL PRIMO QUOTIDIANO CATTOLICO INTERAMENTE ON LINE.

SARA’ PUBBLICATO A PARTIRE DAL PROSSIMO 15 GIUGNO

 SUL PORTALE E-CRISTIANS.NET. E’ SORTO ANCHE IL SERVIZIO

DI INFORMAZIONE CRISTIANA DELLA CATALOGNA

 

BARCELLONA. = Si chiamerà “ForumLibertas” e, partire dal prossimo 15 giugno, sarà il primo quotidiano cattolico on line della Chiesa spagnola. La nuova testata sarà accessibile dal portale in lingua spagnola “e-cristians.net” che offre già una rivista on line di attualità, informazioni sulla vita delle associazioni cattoliche del mondo ispanico, forum di discussione, approfondimenti sui principali temi  ecclesiali, link ad altri siti cattolici. Il portale “e-cristians.net” è promosso dall’omonima associazione creata da un gruppo di organizzazioni cattoliche e singoli fedeli della Catalogna. Il nuovo quotidiano on line sarà in lingua spagnola ma entro l’autunno sono previste anche edizioni in inglese e catalano.  Sarà possibile selezionare liberamente titoli di notizie o articoli interi ed entrare direttamente nel sito che li propone. Il quotidiano è diretto da Josep Mirò i Ardevol e punta a colmare la carenza in Spagna di un quotidiano  che affronti l‘attualità dalla prospettiva cristiana. E’ stata data inoltre nei giorni scorsi notizia che la Conferenza episcopale tarraconense (Simcos) e la Federazione dei cristiani della Catalogna daranno vita al Servizio di informazione cristiana della Catalogna, una nuova agenzia di stampa che si pone come obiettivo quello di migliorare e potenziare l’informazione della Chiesa e sulla Chiesa. (I.I.)

 

 

I vescovi ecuadoriani hanno rivolto un ACCORATO appello

al presidente lucio gutierrez affinché intervenga a tutela

 dei rifugiati colombiani che fuggono dalla guerra civile

 

QUITO. = La Conferenza episcopale ecuadoriana chiede al presidente Lucio Gutierrez di provvedere all’assistenza dei rifugiati che giungono sempre più numerosi dalla Colombia, in fuga dalla guerra civile. L’accorato appello è contenuto in un documento intitolato “Verso una visione condivisa del conflitto colombiano dei paesi confinanti” e redatto dalla Chiesa colombiana in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Il documento sollecita la società ecuadoriana, la Chiesa e il governo a farsi carico del problema dei rifugiati colombiani che assume proporzioni drammaticamente crescenti. Secondo fonti dell’Acnur, infatti, degli oltre 300mila colombiani residenti in Ecuador, 7000 sono rifugiati. Solo negli ultimi cinque anni alle autorità locali sono pervenute ben 27 mila richieste di asilo. In realtà, “il numero dei richiedenti e dei rifugiati riconosciuti rappresenta una minima parte rispetto al numero dei residenti che, per lo più, vivono in clandestinità” spiega la direttrice del dipartimento per la mobilità umana della Conferenza episcopale ecuadoriana, suor Janette Ferreira. La Chiesa ecuadoriana propone perciò una sanatoria che permetterebbe ai rifugiati colombiani di trovare una migliore sistemazione e al tempo stesso di contribuire allo sviluppo del Paese. I vescovi invitano infine il popolo ecuadoriano a non cadere nel pregiudizio che nei rifugiati colombiani una delle principali cause della violenza. (I.I.)

 

 

IN CINA, UNA MODIFICA DELLA LEGGE DELLA PIANIFICAZIONE FAMILIARE PREVEDE

LA POSSIBILITA’ DI UN SECONDO FIGLIO PER LE COPPIE CON DETERMINATI REQUISITI,

MA IL GOVERNO CONTINUA A NON INCORAGGIARE LA PROCREAZIONE

 

SHANGHAI. = L’obbligo di un solo figlio per coppia non vale più per quelli che rispondono ai criteri necessari secondo le nuove regole promosse dalle Autorità di Shanghai per rispondere all’invecchiamento della popolazione. Shanghai è la città cinese più vecchia, dove da 11 anni il tasso di mortalità supera quello di natalità grazie alla severa politica che permette alle famiglie di avere solo un figlio unico. Il 18% dei 17 milioni degli abitanti di Shanghai ha più di 60 anni con la tendenza a crescere nei prossimi anni. Attualmente, il tasso di fertilità è di 0,8, molto lontano dal 2,1 che garantisce la “soglia di sostituzione”, calato quindi di quasi quattro punti percentuali dagli anni ‘50. Per aumentare il numero dei giovani per l’assistenza degli anziani, dal 2002 alcune coppie hanno ottenuto il permesso per avere un secondo bimbo, senza incorrere nel pericolo di multe e sanzioni se rispondono ad alcune condizioni: ad esempio, le coppie sposate in seconde nozze, che già avevano avuto un figlio dal precedente matrimonio; quelle costituite da una persona con un forte handicap che compromette la capacità di lavoro. Inoltre, è stata cancellata la norma che imponeva di distanziare le gravidanze di 4 anni alle coppie cui è consentito avere più di un bambino (ad esempio, nel caso eccezionale di un primo figlio con handicap). La modifica riguarda solo Shanghai: per le altre città della Cina non si prevedono cambiamenti dell’attuale politica.

 

 

LO STATO INDIANO DELL’ANDHRA PRADES HA STANZIATO AIUTI ECONOMICI

 PER LE FAMIGLIE DEI CONTADINI CHE SI SONO UCCISI A CAUSA DEI DEBITI.

OLTRE 3000 CONTADINI DELLA REGIONE SI SONO SUICIDATI NEGLI ULTIMI 6 ANNI

                                                                                                            

NEW DHELI. = Aiuti economici per le famiglie di quei contadini che, oppressi dai debiti, si sono suicidati dal 1999 fino ad oggi. Lo ha annunciato l’amministrazione dello Stato dell’Andhra Prades, nell’India meridionale. L’impegno è stato preso dallo stesso capo dell’esecutivo locale, il neoeletto Rajashekhar Reddy, promotore di una politica economica che negli ultimi anni aveva rafforzato lo sviluppo del terziario ma trascurato, secondo i suoi critici, le esigenze delle classi rurali. Secondo dati diffusi da Reddy, e rilanciati dal network britannico “Bbc”, negli ultimi sei anni, nella regione indiana, sono morti suicidi quasi 3.000 contadini e solo nell’ultima settima altre quattro persone si sono tolte la vita. Il pacchetto di aiuti promesso prevede un risarcimento di 150 mila rupie (circa 2800 euro) a famiglia. Un terzo di tale importo è destinato a saldare i debiti accumulati e il restante per sostenere il nucleo famigliare. La situazione non è migliore nel vicino Stato del Karnataka, dove, secondo dati ufficiali, dal 1996 al 2003 almeno 3600 contadini si sono suicidati per motivi legati ai debiti, contratti sia per portare avanti la propria attività, sia per rimediare alla mancanza di reddito causata dalla siccità nella regione. Anche le autorità del Karnataka si sono viste costrette lo scorso anno a stanziare 165 milioni di euro in sussidi per l’acquisto di sementi, pagamento di utenze energetiche e per alleviare gli interessi dei debiti contratti dai contadini più poveri. (G.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

21 maggio 2004

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

Medio Oriente in primo piano. Il tribunale di Tel Aviv ha condannato ieri il capo di Al Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghuti, giudicato colpevole di cinque omicidi. Dure le reazioni palestinesi mentre a Rafah, a sud della Striscia di Gaza, le truppe israeliane stanno riducendo la propria presenza militare. Nella notte altri 7 civili hanno perso la vita. 49 i morti delle incursioni dei giorni scorsi, tra cui un leader locale di Hamas. Numerose pure le case demolite, considerate punti di smistamento del traffico di armi. Ma qual è, a questo punto, la situazione degli abitanti nella Striscia di Gaza? Iva Mihailova lo ha chiesto ad Eduardo Stupino, del Movimento dei Focolari di Gerusalemme:

 

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R. – Nella Striscia di Gaza la situazione è difficile già da tempo; cioè, la situazione economica è segnata da una disoccupazione molto alta, forse è la zona dei Territori palestinesi in cui la disoccupazione è più alta – si parla del 70 per cento. E poi, c’è la difficoltà della circolazione, cioè non si può uscire. Prima erano in molti che lavoravano in Israele, circa 150 mila persone ogni giorno. Questo ormai già da qualche tempo non è più possibile. Poi c’è la difficoltà data dal conflitto in se stesso, anche con tutta la problematica degli insediamenti di cui si dice che forse saranno abbandonati, da parte del governo israeliano, ma questo ancora non si sa esattamente. In questi giorni, certo, la violenza è aumentata.

 

D. – Questa situazione di crisi si ripercuote sui palestinesi, ma anche sugli israeliani?

 

R. – Anche in Israele la situazione di crisi economica esiste; esiste anche la disoccupazione. Però, non agli stessi livelli.

 

D. – Le demolizioni di case sono state condannate dall’Onu, ma anche dagli Stati Uniti; quali ripercussioni ci saranno in Medio Oriente?

 

R. – Il problema di fondo, diciamo, è una soluzione vera per il problema e questo apparentemente non si vede. La speranza sta soprattutto nell’aiuto, nella cooperazione che può venire anche dall’estero per ritornare ai negoziati di pace.

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L'Unione Europea e la Russia devono essere unite nella lotta contro il terrorismo. Lo ha sottolineato il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, all'apertura del vertice Ue-Russia, in corso a Mosca. Il leader dell'esecutivo di Bruxelles ha detto di sperare nell'aiuto russo nel contrasto al terrorismo, che deve essere obiettivo comune alle due parti, e ha sottolineato che un'azione comune può risultare più efficace. Da parte sua, il presidente russo Putin ha auspicato un “dialogo su basi paritarie, senza leader e gregari”, per trovare “compromessi equilibrati su tutte le questioni in discussione”, in modo da accelerare le intese per la creazione di quattro spazi comuni: economia, sicurezza interna e giustizia, sicurezza esterna, ricerca e istruzione.

 

Si terranno il 29 agosto prossimo le elezioni presidenziali in Cecenia, per eleggere il successore del Presidente pro-russo, Akhmad Kadyrov, ucciso in un attentato il 9 maggio scorso. Ad annunciare la data è stata oggi la commissione elettorale cecena.

 

Esplosione in un luogo santo musulmano di Sylhet, a circa 200 chilometri dalla capitale del Bangladesh, Dhaka. Due le persone rimaste uccise. Oltre cento, invece, i feriti, tra cui l'Alto commissario britannico, Anwar Chowdhury. 

 

Sangue anche in Arabia Saudita, dove ieri 4 estremisti islamici sono rimasti uccisi nel corso di una sparatoria con le forze di sicurezza. Il fatto è avvenuto nella cittadina di Buraida, non lontano dalla capitale Riad. Nello scontro a fuoco ha perso la vita anche un agente di polizia. E’ probabile che i 4 facessero parte di una cellula legata a Osama Bin Laden. La città di Buraida è considerata la culla dell'estremismo islamico che auspica la caduta della monarchia saudita filo-americana.

 

Si è votato ieri nel piccolo Stato africano del Malawi per il rinnovo della carica di capo dello Stato e del Parlamento. Poco meno di 6 milioni di cittadini sono stati convocati alle urne per la terza tornata democratica del Paese, svoltasi sotto il controllo di 200 osservatori internazionali. In attesa dei risultati ufficiali, previsti per domani, la sfida - che vede in lizza 1254 candidati per 193 seggi - sembra tutta racchiusa nel confronto tra l’economista Bingu wa Muthàrika - “delfino” del presidente uscente, Bikini Muluzi - e il leader della coalizione d’opposizione, Gwanda Chakuàmba. Sul contesto socioeconomico del Malawi, il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Vecchi e nuovi pretendenti al potere hanno battuto su un unico tasto, in campagna elettorale: migliorare l’economia. E non poteva essere altrimenti, giacché il Malawi - che vanta la non invidiabile posizione di 163.mo Paese su 173 nella lista delle economia mondiali stilata dall’Onu – ha assistito negli ultimi 6-7 anni ad un declino finanziario inarrestabile, che lo fanno uno degli Stati più poveri al mondo. A poco sono servite, due anni fa, le iniezioni di denaro liquido versate da Stati Uniti, Fondo monetario internazionale e dall’Organizzazione internazionale di sviluppo (Ida) nella mani del governo guidato dal presidente Muluzi, che hanno portato complessivamente nelle casse statali un totale di circa 80 milioni di dollari. Il Malawi continua a soffrire per l’endemicità delle sue piaghe: la povertà (l’85% della popolazione vive con 200 euro l’anno), l’analfabetismo, che arriva alla soglia del 60%, e – a un livello più alto – la corruzione.

 

Contro questo fenomeno, il cartello dei partiti d’opposizione insieme alla Chiesa cattolica e a quella protestante hanno coraggiosamente puntato il dito contro i vertici della nazione. “In pochi anni Bakili Muluzi - ha affermato un missionario italiano nel Malawi, citato dalla Misna - è diventato padrone assoluto del partito”, così come “sono sue le aziende più grandi e redditizie del Paese”. Il presidente in carica, al potere dal ’94 per due mandati consecutivi, deve la sua ascesa in parte proprio alla Chiesa cattolica che nel ’92, con una lettera pastorale dei vescovi locali, aprì alla transizione democratica e alla fine della dittatura trentennale di Hastings Kamuzu Banda. Ma Muluzi è anche colui che, in una democrazia ancora fragile come quella del Malawi, ha tentato di modificare la Costituzione per poi ricandidarsi per il terzo mandato presidenziale consecutivo. Il no dell’opposizione al tentativo ha fatto crescere la tensione in fase preelettorale, anche se la tornata di ieri non ha fatto segnalare incidenti di rilievo.

 

Restano comunque delle ombre sulla correttezza del voto. Gli osservatori europei - così come la Chiesa e l’opposizione - hanno segnalato l’eccesso di potere esercitato dal partito di Muluzi sui media e anche la cancellazione, prima del voto, di un milione di aventi diritto dalle liste elettorali - perché morti o iscritti due volte - ha creato problemi di trasparenza. In questo quadro, resta la sfida elettorale, i cui risultati ufficiali saranno resi noti domani.

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Non si ferma la violenza in Colombia. L'esplosione di una bomba davanti alla università Antioquia a Medellin ha  causato almeno due morti e otto feriti. Secondo fonti locali il bilancio, però, potrebbe aumentare. Sconosciuta al momento la matrice dell’attentato. Tre bombe di fabbricazione artigianale erano esplose ieri  mattina a Cali, terza città del paese, senza causare vittime.

 

Una decina di Paesi europei, tra i quali Italia e Polonia, stanno lavorando a una nuova iniziativa diplomatica a favore del riconoscimento delle radici cristiane nella futura Costituzione della Unione Europea. Lo ha riferito ieri il ministero degli Esteri di Varsavia. Il messaggio era contenuto in una lettera indirizzata alla presidenza irlandese dell'Unione Europea.

 

 

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