RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 142 - Testo della trasmissione di venerdì 21 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Conclusa la 53.ma Assemblea
generale della Cei: ce ne parla il cardinale Camillo Ruini
CHIESA E SOCIETA’:
In Spagna nasce il primo quotidiano cattolico
interamente on line
Israele riduce la presenza militare a Rafah, nella
Striscia di Gaza; altri 7 morti nella notte, ma Tel Aviv smentisce
Vertice Russia-Ue a Mosca per migliori legami
contro il terrorismo
Elezioni generali in Malawi per rilanciare il
processo democratico.
21
maggio 2004
INCORAGGIAMENTO DEL PAPA AL PRIMO MINISTRO
DELLA NUOVA ZELANDA,
RICEVUTO STAMANE IN VATICANO, PERCHE’ QUESTO PAESE POSSA SVOLGERE
UN RUOLO PACIFICATORE NELLA
COMUNITA’ INTERNAZIONALE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“Favorire il dialogo” in un mondo oggi “così traumatizzato
dal flagello delle divisioni razziali e dai conflitti”: il compito affidato dal
Papa al primo ministro neozelandese, Helen Clark,in visita a Roma.
“I neozelandesi - ha ricordato Giovanni Paolo II - hanno
sempre apprezzato i fondamentali valori della libertà, della giustizia e della
pace”. E “di fronte all’aggressione o alla minaccia hanno cercato generosamente
di difendere e promuovere tali diritti nel Pacifico ed oltre”. Ecco perché nel
riconoscere il fondamentale dono divino della dignità di ogni persona, il
dialogo deve condurre al riconoscimento della diversità, “aprendo la mente alla
mutua accettazione e alla genuina collaborazione richiesta dalla basilare
vocazione all’unità della famiglia umana.”
Ricordiamo che il Santo Padre ha visitato - negli oltre
100 viaggi apostolici del suo pontificato - la Nuova Zelanda nel novembre del
1986. In questo arcipelago dell’Oceania, grande quasi quanto l’Italia, immerso
nelle acque del Pacifico meridionale, vivono solo 3 milioni e 900 mila persone,
sparse nelle due grandi isole maggiori, separate dallo Stretto di Cook, e nelle
molte altre isole minori. La visita in Italia della signora Clark, capo del
governo laburista, è proseguita oggi con l’incontro a Palazzo Chigi con il
presidente del Consiglio, Berlusconi, mentre ieri il premier neozelandese ha
partecipato ad una cerimonia religiosa nel Cimitero miliare del Commonwealth a
Cassino, nel sessantennale dell’offensiva da parte delle forze angloamericane
che portò alla distruzione della città e del monastero di Monteccassino.
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IL
PAPA INCONTRA IL CARDINALE POUPARD CHE FESTEGGIA I 50 ANNI DI SACERDOZIO
E I 25
DI EPISCOPATO: “L’INTELLIGENZA DELLA FEDE - DICE AI NOSTRI MICROFONI
IL
PORPORATO - E’ DATA AI POVERI IN SPIRITO.
IO
IMPARO SOPRATTUTTO DAI MALATI”
-
Intervista con il cardinale Paul Poupard -
Il Papa ha ricevuto questa mattina il cardinale Paul
Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, insieme con i
familiari: il porporato sta festeggiando in questi giorni un duplice giubileo:
il 50.mo di sacerdozio e il 25.mo di episcopato. Ieri pomeriggio, presso il
Circolo di San Pietro nel Palazzo San Calisto a Roma, amici e conoscenti si
sono stretti attorno al cardinale per festeggiare la felice ricorrenza. Oggi
pomeriggio, alle 18, il cardinale Poupard presiederà una solenne
concelebrazione di ringraziamento nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.
Giovanni Peduto gli ha chiesto cosa vuole dire in questa circostanza:
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R. – Evidentemente un grazie al Signore che mi ha
chiamato, mi ha dato la grazia per rispondere a quella grazia che è venuta
dalla mia famiglia, dai miei educatori e poi per il servizio straordinario, del
tutto inaspettato, al Beato Papa Giovanni e al Servo di Dio Paolo VI e al
nostro Santo Padre Giovanni Paolo II, in questo ministero nel cuore delle
culture, del dialogo, fatto di incontri anche con non credenti attraverso tutto
il mondo. Sono veramente meravigliato di tante testimonianze che da mesi sto
ricevendo da persone anche un po’ lontane dalla Chiesa, ma penso vicine al
cuore di Dio.
D. – Lei è vissuto da sempre in mezzo alla cultura. In
questi anni come è cresciuta la sua comprensione della fede?
R. – E’ cresciuta in modo tale che oserei dare questa
definizione, certo non teologica, ma del cuore: e cioè che la fede, per me, è
sempre di più la speranza nell’amore anche attraverso il dolore. Ho capito
sempre meglio la gioia di Santa Teresa di Lisieux quando si sente debole,
quando si sente così piccola … come fare? Capisce che la scala della vita è
troppo faticosa per una così piccolina. Allora prenderà l’ascensore, cioè le
braccia di Gesù. Io tento di fare lo stesso.
D. – Più di recente c’è qualcosa che ha meglio compreso?
R. – Le Beatitudini, recitate tante volte. Adesso ho
toccato con mano una beatitudine paradossale e cioè che l’intelligenza della
fede è data, come dice Gesù, ai poveri, ai poveri in spirito, agli afflitti, ai
miti, a quelli che hanno fame e sete di giustizia, ai misericordiosi, ai puri
di cuore e agli operatori di pace. La gioia è veramente la prima e l’ultima
parola del Vangelo e il nostro mondo ne
ha tanto bisogno.
D. –Il Cardinale Duval diceva che chi smette di imparare è
ormai vecchio. Posso affermare che lei non lo è …
R. – E’ verissimo perché non cesso di imparare dai miei
collaboratori, dalle persone che incontro, da tutti i vescovi del mondo e
soprattutto dagli ammalati.
D. – Come vede lei la cultura oggi?
R. – Per usare una battuta direi che la vedo a pezzi, che
è un vero campo di battaglia, dove non c’è coerenza, e soprattutto vi si trova
tutto ed il suo contrario. Ma noi abbiamo
nel Vangelo il filo conduttore.
D. – In questa situazione, il Cristianesimo ha ancora
qualcosa da dire?
R. –
Ma come no! Più che mai amare Gesù Cristo. Nessuno può vivere senza amare e
senza essere amato.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Giovanni Paolo II ha ricevuto nella mattinata, nel corso
di successive udienze, il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e un gruppo di tre vescovi
statunitensi della Regione X in visita ad Limina. Nel pomeriggio, il
Papa riceverà un secondo gruppo di sei vescovi statunitensi della medesima Regione.
In Spagna, il Pontefice ha nominato vescovo di Osma-Soria
il sacerdote Vicente Jiménez Zamora, finora amministratore diocesano della medesima
diocesi. Il nuovo presule, 60 anni, ha perfezionato i suoi studi a Roma dopo
l’ordinazione sacerdotale, conseguendo la licenza in Teologia presso
l’Università Gregoriana, la licenza in Teologia morale presso l’Università
Lateranense e quella in Filosofia presso l’Angelicum. Ha ricoperto numerosi
incarichi di docenza e dal 2001 era vicario generale di Osma-Soria.
In Honduras, Giovanni Paolo II ha accettato la rinuncia al
governo pastorale della diocesi di Comayagua, presentata per raggiunti limiti
di età dal vescovo Geraldo Scarpone Caporale, dei Francescani minori. Al suo
posto, il Papa ha nominato mons. Roberto Camilleri Azzopardi, anch’egli dei
Francescani minori, finora
ausiliare di Tegucigalpa. Mons. Azzopardi ha 53 anni ed è maltese di origine.
E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1975 da Paolo VI, a Roma, e dopo
alcuni anni in patria è stato più volte parroco in Honduras. Attualmente è
segretario generale della Conferenza episcopale onduregna.
Negli Stati Uniti, il Pontefice ha accettato la rinuncia
all'ufficio di ausiliare dell'arcidiocesi di Newark presentata per raggiunti
limiti di età da mons. Charles J. McDonnell e mons. David Arias, degli Agostiniani
Recolletti. Al loro posto, Giovanni Paolo II ha nominato il sacerdote Thomas A.
Donato, 64 anni, del clero della medesima arcidiocesi - finora Direttore
Spirituale del Seminario Maggiore dell’Immacolata Concezione a South Orange -
il 62.enne sacerdote John W. Flesey, anch’egli del clero dell’arcidiocesi di
Newark, finora direttore arcidiocesano per la Formazione permanente del clero.
DARE
UN FUTURO DI SPERANZA ALL’AFRICA ABBATTENDO LA CORTINA
DELL’EGOISMO E DELL’INDIFFERENZA:
COSI’ IL CARDINALE MARTINO E MONS. LAJOLO
AL SIMPOSIO SULLO SVILUPPO DEL
CONTINENTE NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE
ORGANIZZATO A ROMA DAL PONTIFICIO
CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE
- Intervista con il cardinale
Renato Raffaele Martino -
“Dopo l’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti l’11
settembre 2001, le condizioni di vita di molti Paesi africani sono decisamente
peggiorate''. Lo ha affermato stamane l’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario
vaticano per i Rapporti con gli Stati, intervenendo all’incontro promosso dal
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sullo sviluppo economico e
sociale dell'Africa nell’era della globalizzazione. Per il cardinale Renato
Raffaele Martino, presidente del dicastero, è un imperativo morale della
comunità internazionale ridare un futuro di speranza all’Africa. Ce ne parla
Sergio Centofanti:
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Mons. Lajolo ha affermato che la regione sub-sahariana è
al mondo quella “che paga il prezzo più
caro con i suoi milioni di poveri e
l’assenza di un’efficace rete di
assistenza”. I drammi dell’Africa – ha aggiunto – “si consumano nella
indifferenza quasi generale, risvegliata quando ci sono di mezzo cittadini o
interessi del nord del mondo”. E ha lanciato un monito: “Il mondo occidentale
deve essere consapevole che i popoli esclusi, se non si imboccherà la strada di un autentico sviluppo, finiranno
col credere di non avere altra scelta
che quella del terrorismo. E questo potrebbe diventare un nuovo modo di fare
guerra”. L’Africa è il continente più indebitato e ciononostante “ingenti
capitali sono spesi per l’acquisto di armi. Un vero scandalo!”. Mentre si
assiste ad un “disordinato assalto” alle risorse minerarie e petrolifere del
continente, anche da parte dei Paesi industrializzati.
L’Africa, secondo mons. Lajolo, “soffre di grave carenza
di cultura politica”. “La personalizzazione del potere ha avuto ed ha esiti nefasti…Una
delle sfide dell’Africa si chiama cittadinanza: è necessario cioè trasformare i
sudditi in cittadini”. Ma l’analisi di mons. Lajolo ha colto anche la
positività dell'Africa: questo “continente – ha detto - è la culla
dell’umanità, disseminato di siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale
dell’Unesco”.
“Non va sottovalutato poi – ha proseguito – lo stretto
legame che la religione ha con la vita … di ogni giorno. La gente non ha
difficoltà ad invocare l’aiuto di Dio con la preghiera nelle più svariate
occasioni … Questa capacità africana di esprimere la propria fede in ogni
aspetto della vita sociale è un valore che noi occidentali abbiamo perso e che
l’Africa può orgogliosamente riproporre al mondo intero”. Mons. Lajolo ha
ricordato che la Chiesa cattolica in Africa, si pone “a fianco degli oppressi,
facendosi voce dei senza voce, schierandosi senza compromessi dalla parte dei
poveri e lavorando per lo sviluppo integrale della persona con la pace, la
giustizia e il miglioramento delle condizioni di vita”. E le cifre dell’impegno
cattolico – ha detto parlano da sole: 5 mila ospedali, 500 case di accoglienza
per disabili, 85 mila centri pastorali, 10 mila scuole, 13 milioni di bambini
che ricevono un’educazione di base senza distinzioni etniche, religiose o
economiche. I cattolici in Africa – ha ricordato – sono 137 milioni su 830
milioni di abitanti.
Ma ascoltiamo il promotore dell’incontro il cardinale
Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace, intervistato da Philippa Hitchen:
R. – Il male più grande che attanaglia l’Africa è il senso
di rassegnazione e di sfiducia quasi generale che a tutti i livelli circonda
questo continente, come una cortina di ferro fatta di egoismo e di
indifferenza. La vera battaglia da fare è quella di costruire, a tutti i
livelli - nazionali ed internazionali - un ambiente di rinnovata fiducia e di
generosa e intelligente creatività. Per gli uomini del nostro tempo, l’Africa
con il carico imponderabile della sua sofferenza e della sua speranza,
rappresenta un momento storico di assunzione di responsabilità. Voglia Dio che
nessuno venga meno a questo impegnativo appuntamento con la storia. L’Africa ha
certamente dei problemi, ma non va considerata come un problema, ma come
un’opportunità di pace e benessere per tutto il mondo.
D. – Che cosa spera di ottenere con questa Giornata?
R. – Che governi, organizzazioni, associazioni si decidano
a rivolgere gli occhi verso l’Africa, e non solamente a guardare, ma a fare,
quindi a dare una mano a questo continente perché sia protagonista del proprio
futuro. Tutti dobbiamo sentire come un imperativo morale donare un futuro di
speranza all’Africa, affinché il continente superi una delle stagioni più
drammatiche della sua storia, segnata da scontri armati che stanno decimando le
sue popolazioni, da una democrazia incerta e da una corruzione devastante, da
conflitti etnici che lo attanagliano e da spaventose malattie che lo stanno
sconvolgendo. Dare un futuro di speranza all’Africa significa dare un futuro di
speranza e di civiltà a tutto il mondo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Il
terrorismo, gli atti di guerra, le violazioni dei diritti umani pesano
grandemente sui nostri cuori” è il titolo che apre la Prima Pagina in riferimento
all’udienza di Giovanni Paolo II alla Conferenza episcopale italiana riunita
per la 53.ma Assemblea generale; il telegramma del Santo Padre per la morte del
cardinale Hyacinthe Thiandoum, arcivescovo emerito di Dakar. Iraq: nuovi
scontri insanguinano Kerbala; altre foto documentano gli orrori perpetrati nel
carcere di Abu Ghraib.
Nelle pagine vaticane, il saluto del Papa al primo
ministro della Nuova Zelanda e l’articolo di Giampaolo Mattei da Mariazell dove
si celebra l’incontro di cattolici nell’Europa Orientale.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con l’astensione degli Usa,
condanna l’operazione israeliana a Rafah che ha provocato 41 morti; Cambogia:
commemorate le vittime del genocidio comunista perpetrato dai khmer rossi;
terrorismo: Putin denuncia il rischio di attentati con armi di distruzione di
massa. Turchia: bomba esplode davanti ad un McDonald’s a Istanbul. Spagna: il
Parlamento istituisce una Commissione d’inchiesta sulle stragi di Madrid.
Nella pagina culturale, un
articolo postumo di Giuliana Cavallini su cento anni di pubblicazioni su Santa
Caterina da Siena.
Nelle pagine italiane, celebrati a
Camponogara i funerali del caporale Vanzan; dibattito in Parlamento sulla
presenza italiana in Iraq.
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21
maggio 2004
IRAQ IN PREDA ALLA VIOLENZA, MENTRE I SOLDATI
SPAGNOLI COMPLETANO
OGGI IL DISIMPEGNO DAL PAESE. SPUNTANO NUOVE
FOTO
DELLE VIOLENZE NEL CARCERE DI ABU GHRAIB
-
Intervista con Josto Maffeo -
Le due
città sante sciite Kerbala e Najaf anche oggi al centro delle battaglie tra
soldati americani e seguaci del leader radicale sciita Moqtad Sadr. Una decina,
in tutto, i morti fino a questo momento. E mentre l’amministrazione
statunitense è alle prese con la spaccatura con il designato successore di
Saddam Hussein, Ahmad Chalabi, spuntano nuove foto di violenze nel carcere di
Abu Ghraib. Il servizio di Salvatore Sabatino:
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Una spirale di violenza senza interruzioni. In Iraq la
giornata si è aperta all’insegna dei combattimenti. Dieci civili e un tecnico
della tv qatariota al Jazeera sono rimasti uccisi nella città santa di Kerbala,
durante combattimenti tra soldati americani e miliziani del leader radicale
sciita Moqtada Sadr. Dieci i feriti, sempre tutti iracheni. Gli scontri sono
avvenuti nei pressi dei mausolei degli imam Hussein e Abbas, settore
controllato dall'Esercito del Mehdi. Ripresi questa mattina i combattimenti
anche nell’altra città santa sciita, Najaf, dove il corrispondente della radio
nazionale spagnola, Fran Sevilla, è finito nelle mani della guerriglia. La
Forza di difesa civile irachena è, invece, nuovamente finita nel mirino della
guerriglia a Baquba, dove quattro agenti sono stati uccisi in un'imboscata.
Negli Stati Uniti a tenere banco nelle ultime ore è la
pubblicazione di nuove terribili foto delle sevizie sui detenuti nel carcere di
Abu Ghraib. Le immagini sono state diffuse ieri in anteprima dall’emittente
Abc, e riportate oggi, insieme a testimonianze dirette di detenuti, dal
Washington Post. Il quotidiano riferisce, inoltre, di essere venuto anche in
possesso di video agghiaccianti. Proprio ad Abu Ghraib è iniziato questa
mattina il rilascio di un gruppo di 472 detenuti. Nel penitenziario si trovano
al momento 3.500 prigionieri, ma le autorità militari puntano a ridurli a 1500,
tramite scarcerazioni o trasferimenti in altri centri di detenzione. E’
durissima, invece, la condanna del Comitato internazionale della Croce Rossa su
quanto accaduto al confine con Siria e Giordania. Ieri è arrivata la denuncia
dell’uso “eccessivo della forza” da parte dell'esercito statunitense a seguito
della morte di 41 iracheni, tutti civili, uccisi – stando alle fonti irachene -
durante un matrimonio. Secondo l'Organizzazione araba dei diritti umani,
invece, i morti sono stati 43 dei quali 15 erano bambini e 10 donne.
Continua, invece, a destare
sorpresa la perquisizione eseguita nell’abitazione e negli uffici di Ahmad
Chalabi, leader del Congresso nazionale iracheno e scelto da Washington quale
successore di Saddam Hussein. E’ rottura, in sostanza, tra il fedelissimo degli
Stati Uniti e l’amministrazione civile irachena, retta dallo statunitense Paul
Bremer. Secondo
quanto si apprende da fonti arabe, infine, sarebbe avvenuta la restituzione
alla Croce Rossa Italiana della salma di Fabrizio Quattrocchi, l'ostaggio
italiano rapito - insieme a tre connazionali - lunedì 12 aprile ed ucciso
barbaramente il 14 aprile. La famiglia non è stata ancora informata. Dunque la
notizia resta al momento da verificare.
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Entro il 21 giugno sarà pronta una risoluzione Onu per
dare legittimità internazionale al nuovo governo iracheno che sarà designato a
fine maggio dal consigliere delle Nazioni Unite, Brahimi. Lo ha detto ieri il
premier italiano Berlusconi, nei suoi interventi a Camera e Senato, che hanno
aperto un tesissimo dibattito parlamentare. Bocciata la proposta
dell’opposizione sul ritiro dei militari dall’Iraq, alla fine la maggioranza ha
dato l’assenso a continuare la missione.
Intanto la Spagna ha completato oggi il ritiro delle sue
truppe: gli ultimi soldati hanno lasciato la base di Diwaniya e sono stati
trasferiti al confine con il Kuwait, da dove partiranno nelle prossime ore. Il
premier Zapatero, che inizialmente aveva annunciato il ritiro dopo il 30
giugno, lo ha successivamente anticipato. Al microfono di Andrea Sarubbi, Josto
Maffeo, corrispondente a Madrid del Messaggero, spiega perché:
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R. - Perché gli avevano fatto capire primo di tutto che
sarebbe stato impossibile compiere una delle condizioni: che le truppe
americane, cioè, venissero comandate da qualcun altro. Quando Rumsfeld disse al
ministro della Difesa, Bono: “Ma si immagina i miei uomini comandati da uno
straniero?”, si capì che quella condizione pattuita non sarebbe stata
rispettata. Ma poi il ritiro venne accelerato da un altro avvenimento: ai
generali spagnoli furono richiesti interventi non compatibili con le finalità
della loro missione, come per esempio arrestare o uccidere Al Sadr… cosa che,
naturalmente, gli spagnoli non accettarono di fare. La Spagna ha ragionato in
questo modo: “Se già ora ci pervengono richieste di questo tipo, è meglio
tornare a casa prima che ne giungano altre a cui noi non possiamo rispondere”.
Come si è capito successivamente, quindi, Madrid non voleva essere trascinata
in operazioni non compatibili con la filosofia della sua presenza in Iraq fino
a quel momento.
D. – Altri Paesi, forse, si sarebbero spaccati di più sul
ritiro immediato delle truppe. La Spagna, no…
R. – Che gli spagnoli fossero contrari alla guerra era
evidente fin dall’inizio. Poi, una volta inviate le truppe, è sorto un
ulteriore dibattito, su cosa fare in Iraq. A quel punto, ancora il 65-70 per
cento della popolazione propendeva per il ritorno immediato. E non si tratta
solo di antimilitaristi: alcune indagini hanno dimostrato che anche
nell’ambiente militare si è ben contenti di essere tornati a casa. La Spagna ha
deciso di restare alla finestra.
D. – La partecipazione alla guerra in Iraq ha portato con
sé la drammatica conseguenza del terrorismo. Quanta paura di attentati c’è per
le nozze del principe Filippo, in programma domani a Madrid?
R. – Le misure di sicurezza sono notevoli. Sulla mia testa
in questo momento sta volando un elicottero della Nato, prestato alla Spagna
perché qui ci sono decine di capi di Stato e di governo e teste coronate di
tutto il mondo. La città è blindata. Addirittura nei cunicoli sotto terra, in
una grande area del centro di Madrid, è pieno di poliziotti. Non c’è una sola
auto parcheggiata da venerdì scorso. E la stessa automobile che porterà gli
sposi, all’inizio scoperta, è stata blindata, perché si sa che tutto è possibile.
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LA CRISI
IRACHENA AL CENTRO DELLA CONFERENZA STAMPA DEL CARDINALE RUINI
A CONCLUSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA
CEI
-
Intervista con il porporato -
La
crisi irachena e il difficile cammino verso la pace: è stato il tema principale
affrontato questa mattina dal cardinale vicario Camillo Ruini, durante la
conferenza stampa che ha chiuso la 53.ma Assemblea generale della Conferenza
episcopale italiana. Il porporato ha anche affrontato temi riguardanti
l’Italia, in particolare quello della missionarietà delle parrocchie. A seguire
la conferenza stampa, c’era Massimiliano Menichetti:
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L’Iraq vada verso la pacificazione: così il cardinale
Camillo Ruini alla conferenza stampa per la conclusione della 53.ma assemblea
generale della Cei. In Aula Paolo VI in Vaticano l’attenzione si è concentrata
sul fronte caldo iracheno, in particolare sulle violazioni dei diritti umani.
Il cardinale Ruini ha ribadito la necessità del rispetto della Convenzione di
Ginevra e l’auspicio che tutti i Paesi occidentali ed arabi si impegnino per
raggiungere gli obiettivi comuni di lotta al terrorismo, dell’indipendenza
dell’Iraq, della pace:
“Io spero e cerco di operare, per quel po’ che posso,
perché il futuro vada nel senso della pace, anzitutto, e quindi della
indipendenza e sovranità dell’Iraq e della sua pacificazione. E anche nel senso
che l’Iraq non diventi un focolario generalizzato di terrorismo”.
Il cardinale vicario, pur mostrandosi ottimista per il
ristabilimento della pace in Iraq, ha espresso perplessità per le scelte
compiute finora. Esplicito il riferimento alla guerra preventiva, definita ‘non
condivisibile’. Ha comunque affermato che non si può addossare la
responsabilità di scelte complesse solo all’Occidente.
L’attenzione si è poi spostata sul fronte politico
italiano, dove l’invito è stato all’unità pur nel rispetto della dialettica
delle parti. Il presidente della Cei ha quindi richiamato alcuni punti che
l’assemblea ha affrontato nei giorni di lavoro, come il ruolo della Chiesa, in
particolare della parrocchia italiana, invitata dai vescovi a camminare sempre
di più verso una missionarietà integrata anche con i movimenti laicali e le
realtà ecclesiali.
Presentati i dati relativi alle donazioni dell’8 per
mille: nel 2004, fondi diminuiti di 80 mila euro in un anno. Lo sguardo si è
poi allargato alla nuova Europa a 25 e al Trattato costituzionale; quindi, è
stato ribadito l’impegno perché siano affermate le radici cristiane.
Massimiliano Menichetti, Radio Vaticana.
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MONTECASSINO COMMEMORA I SESSANT’ANNI DAL
BOMBARDAMENTO
ED ESPONE I TESORI SALVATI. CON NOI IL VESCOVO
ABATE BERNARDO D’ONOFRIO
E LA
CURATRICE ROBERTA ORSI LANDINI
- Servizio di Paolo Ondarza -
A 60 anni dal bombardamento che
distrusse il monastero di Montecassino, l’Abbazia in collaborazione con il
Comitato Nazionale per la Battaglia di Montecassino espone i tesori salvati,
antichi tessuti e paramenti sacri, recuperati nel corso di minuziose ricerche.
E sempre nell’ambito delle commemorazioni è indetta la "Settimana per la memoria e la riconciliazione”. Il servizio è di
Paolo Ondarza.
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(musica)
Tessuti in oro e
argento, ricami impreziositi da gemme, sete, velluti, damaschi arricchiti
da perle, vesti sacre, ma anche codici manoscritti, tavole dipinte e miniature:
è all’insegna del fasto la mostra, allestita fino al 30 settembre all’abbazia
di Montecassino, oggetti di grande pregio artistico prodotti tra l’epoca
rinascimentale e l'Ottocento o ancora in uso nelle celebrazioni liturgiche.
Capolavori dell’arte tessile, alcuni dei quali recentemente restaurati; la
natura ispira i disegni dei ricami: fiori, grappoli d'uva, uccelli, giardini,
cornucopie ed alberi realizzati ad ornamento dei paramenti dei celebranti,
pensati per essere indossati su un corpo in movimento, donazioni di personaggi
illustri in segno di ringraziamento o penitenza. Un tesoro salvato in gran
parte dai soldati tedeschi come ha ricordato il vescovo abate di Monte Cassino
Bernardo D’Onofrio.
“Quanto esponiamo è tutto
materiale che abitualmente ancora usiamo per le grandi funzioni, che ci fa
vedere il progresso liturgico che la stessa Chiesa ha attuato attraverso i
secoli”.
Notevole il valore degli ottanta
oggetti esposti. La curatrice dell’esposi-zione Roberta Orsi Landini.
“E’, soprattutto, un valore storico. Certamente hanno
anche un valore sul mercato antiquario. Rappresentano il meglio delle botteghe
di ricamo e di tessitura dei centri europei”.
La
mostra è allestita nel salone di san Benedetto dell’abbazia di Montecassino, un
luogo che parla di spiritualità e fede, ma anche di storia: una storia
travagliata; il santuario fondato da San Benedetto verso l'anno 529 e sorto
sulla base di una preesistente fortificazione romana del municipio di Casinum, ha subito, infatti, quattro distruzioni nel
corso dei secoli. L’ultima il 15 febbraio 1944, quando nella fase finale
della seconda guerra mondiale, Montecassino situato geograficamente sulla
cosiddetta linea Gustav, fu, nello spazio di tre ore, ridotto a un cumulo di
macerie dagli alleati erroneamente convinti di colpire una base dell’esercito
nazista. Risorto grazie alle donazioni dei Paesi di tutto il mondo, il
Santuario è oggi più di ieri simbolo di pace e a sessant’anni di distanza dai
bombardamenti ricorda quel drammatico episodio con una serie di manifestazioni
in cui i Paesi coinvolti nelle
operazioni belliche del 1944 dedicano ai propri caduti iniziative religiose e
culturali. Ancora mons. D’Onofrio.
“Fare memoria della guerra è
sempre un monito che ci deve fare pensare. Quindi, se per Montecassino oggi è
un ricordo molto lontano, è un monito però per le tante generazioni, perché ciò
non avvenga più”.
A conclusione dei “sette giorni di memoria”
il Simposio ecumenico di domani nella Chiesa Madre di Cassino.
(musica)
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21
maggio 2004
LA
CHIESA DI INGHILTERRA DENUNCIA I PERICOLI LEGATI ALL’ISTITUZIONE
DELLA
PRIMA BANCA DELLE CELLULE STAMINALI. SI TEME CHE VENGANO CREATI
EMBRIONI
UMANI SOLO PER ESTRARNE LE CELLULE
- A
cura di Ignazio Ingrao -
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LONDRA. = La
Chiesa di Inghilterra esprime preoccupazione di fronte alla notizia
dell’istituzione della prima banca al mondo di cellule staminali. La banca è
sorta nel sud dell’Inghilterra, grazie ai finanziamenti del Consiglio per la
ricerca medica (MRC) e del Consiglio per la ricerca nelle scienze biologiche e
biotecnologiche. Il 19 maggio sono state depositate nella banca le prime due
cellule staminali separate dai ricercatori del “King’s College” di Londra e del
“Centro per la vita” di Newcastle, nell’Inghilterra del Nord. La banca si
propone di fornire cellule staminali per la ricerca e la terapia di malattie
come il diabete, il cancro, il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. Con un
comunicato diffuso dall’agenzia Zenit, il presidente del Dipartimento per la
responsabilità e la cittadinanza cristiana della Conferenza episcopale di
Inghilterra e del Galles, mons. Peter Smith, ha osservato che “non vi è nulla
di male nell’istituire una banca di cellule staminali provenienti da adulti o
da cordoni ombelicali” poiché “le cellule staminali tratte da queste fonti
stanno ricevendo sempre maggiore riconoscimento come base per la ricerca e
perfino per il trattamento di alcune malattie”. Ma il timore è che la nuova
banca raccolga cellule staminali prelevate da embrioni umani. “Ciò che è
moralmente sbagliato”, ha dichiarato in proposito mons. Smith, “è creare nuove
vite umane solo per distruggerle estraendo le cellule staminali embrionali”.
Per l’esponente della Conferenza episcopale inglese, bisognerebbe sostenere la
ricerca sulle cellule staminali e le banche di cellule, ma solo se queste sono
ottenute senza procurare la morte di embrioni umani.
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IN SPAGNA NASCE IL PRIMO QUOTIDIANO CATTOLICO
INTERAMENTE ON LINE.
SARA’ PUBBLICATO A PARTIRE DAL PROSSIMO 15 GIUGNO
SUL
PORTALE E-CRISTIANS.NET. E’ SORTO ANCHE IL SERVIZIO
DI INFORMAZIONE CRISTIANA DELLA CATALOGNA
BARCELLONA.
= Si chiamerà “ForumLibertas” e, partire dal prossimo 15 giugno, sarà il primo
quotidiano cattolico on line della Chiesa spagnola. La nuova testata sarà
accessibile dal portale in lingua spagnola “e-cristians.net” che offre già una
rivista on line di attualità, informazioni sulla vita delle associazioni
cattoliche del mondo ispanico, forum di discussione, approfondimenti sui
principali temi ecclesiali, link ad
altri siti cattolici. Il portale “e-cristians.net” è promosso dall’omonima
associazione creata da un gruppo di organizzazioni cattoliche e singoli fedeli
della Catalogna. Il nuovo quotidiano on line sarà in lingua spagnola ma entro
l’autunno sono previste anche edizioni in inglese e catalano. Sarà possibile selezionare liberamente
titoli di notizie o articoli interi ed entrare direttamente nel sito che li
propone. Il quotidiano è diretto da Josep Mirò i Ardevol e punta a colmare la
carenza in Spagna di un quotidiano che
affronti l‘attualità dalla prospettiva cristiana. E’ stata data inoltre nei
giorni scorsi notizia che la Conferenza episcopale tarraconense (Simcos) e la
Federazione dei cristiani della Catalogna daranno vita al Servizio di
informazione cristiana della Catalogna, una nuova agenzia di stampa che si pone
come obiettivo quello di migliorare e potenziare l’informazione della Chiesa e
sulla Chiesa. (I.I.)
I vescovi ecuadoriani
hanno rivolto un ACCORATO appello
al presidente lucio
gutierrez affinché intervenga a tutela
dei rifugiati colombiani che fuggono dalla
guerra civile
QUITO. = La Conferenza episcopale ecuadoriana chiede al presidente
Lucio Gutierrez di provvedere all’assistenza dei rifugiati che giungono sempre
più numerosi dalla Colombia, in fuga dalla guerra civile. L’accorato appello è
contenuto in un documento intitolato “Verso
una visione condivisa del conflitto colombiano dei paesi confinanti” e redatto
dalla Chiesa colombiana in collaborazione con l’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Il documento sollecita la società
ecuadoriana, la Chiesa e il governo a farsi carico del problema dei rifugiati
colombiani che assume proporzioni drammaticamente crescenti. Secondo fonti
dell’Acnur, infatti, degli oltre 300mila colombiani residenti in Ecuador, 7000
sono rifugiati. Solo negli ultimi cinque anni alle autorità locali sono
pervenute ben 27 mila richieste di asilo. In realtà, “il numero dei richiedenti
e dei rifugiati riconosciuti rappresenta una minima parte rispetto al numero
dei residenti che, per lo più, vivono in clandestinità” spiega la direttrice
del dipartimento per la mobilità umana della Conferenza episcopale ecuadoriana,
suor Janette Ferreira. La Chiesa ecuadoriana propone perciò una sanatoria che
permetterebbe ai rifugiati colombiani di trovare una migliore sistemazione e al
tempo stesso di contribuire allo sviluppo del Paese. I vescovi invitano infine
il popolo ecuadoriano a non cadere nel pregiudizio che nei rifugiati colombiani
una delle principali cause della violenza. (I.I.)
IN CINA, UNA MODIFICA DELLA LEGGE
DELLA PIANIFICAZIONE FAMILIARE PREVEDE
LA POSSIBILITA’ DI UN SECONDO
FIGLIO PER LE COPPIE CON DETERMINATI REQUISITI,
MA IL GOVERNO CONTINUA A NON
INCORAGGIARE LA PROCREAZIONE
SHANGHAI.
= L’obbligo di un solo figlio per coppia non vale più per quelli che rispondono
ai criteri necessari secondo le nuove regole promosse dalle Autorità di
Shanghai per rispondere all’invecchiamento della popolazione. Shanghai è la
città cinese più vecchia, dove da 11 anni il tasso di mortalità supera quello
di natalità grazie alla severa politica che permette alle famiglie di avere
solo un figlio unico. Il 18% dei 17 milioni degli abitanti di Shanghai ha più
di 60 anni con la tendenza a crescere nei prossimi anni. Attualmente, il tasso
di fertilità è di 0,8, molto lontano dal 2,1 che garantisce la “soglia di
sostituzione”, calato quindi di quasi quattro punti percentuali dagli anni ‘50.
Per aumentare il numero dei giovani per l’assistenza degli anziani, dal 2002
alcune coppie hanno ottenuto il permesso per avere un secondo bimbo, senza
incorrere nel pericolo di multe e sanzioni se rispondono ad alcune condizioni:
ad esempio, le coppie sposate in seconde nozze, che già avevano avuto un figlio
dal precedente matrimonio; quelle costituite da una persona con un forte
handicap che compromette la capacità di lavoro. Inoltre, è stata cancellata la
norma che imponeva di distanziare le gravidanze di 4 anni alle coppie cui è
consentito avere più di un bambino (ad esempio, nel caso eccezionale di un
primo figlio con handicap). La modifica riguarda solo Shanghai: per le altre
città della Cina non si prevedono cambiamenti dell’attuale politica.
LO
STATO INDIANO DELL’ANDHRA PRADES HA STANZIATO AIUTI ECONOMICI
PER LE FAMIGLIE DEI CONTADINI CHE SI SONO
UCCISI A CAUSA DEI DEBITI.
OLTRE
3000 CONTADINI DELLA REGIONE SI SONO SUICIDATI NEGLI ULTIMI 6 ANNI
NEW
DHELI. = Aiuti economici per le famiglie di quei contadini che, oppressi dai
debiti, si sono suicidati dal 1999 fino ad oggi. Lo ha annunciato
l’amministrazione dello Stato dell’Andhra Prades, nell’India meridionale.
L’impegno è stato preso dallo stesso capo dell’esecutivo locale, il neoeletto
Rajashekhar Reddy, promotore di una politica economica che negli ultimi anni
aveva rafforzato lo sviluppo del terziario ma trascurato, secondo i suoi
critici, le esigenze delle classi rurali. Secondo dati diffusi da Reddy, e
rilanciati dal network britannico “Bbc”, negli ultimi sei anni, nella regione
indiana, sono morti suicidi quasi 3.000 contadini e solo nell’ultima settima
altre quattro persone si sono tolte la vita. Il pacchetto di aiuti promesso prevede
un risarcimento di 150 mila rupie (circa 2800 euro) a famiglia. Un terzo di
tale importo è destinato a saldare i debiti accumulati e il restante per
sostenere il nucleo famigliare. La situazione non è migliore nel vicino Stato
del Karnataka, dove, secondo dati ufficiali, dal 1996 al 2003 almeno 3600
contadini si sono suicidati per motivi legati ai debiti, contratti sia per
portare avanti la propria attività, sia per rimediare alla mancanza di reddito
causata dalla siccità nella regione. Anche le autorità del Karnataka si sono
viste costrette lo scorso anno a stanziare 165 milioni di euro in sussidi per
l’acquisto di sementi, pagamento di utenze energetiche e per alleviare gli interessi
dei debiti contratti dai contadini più poveri. (G.L.)
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21
maggio 2004
-
A cura di Salvatore Sabatino -
Medio
Oriente in primo piano. Il tribunale di Tel Aviv ha condannato ieri il capo di
Al Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghuti, giudicato colpevole di cinque omicidi.
Dure le reazioni palestinesi mentre a Rafah, a sud della Striscia di Gaza, le
truppe israeliane stanno riducendo la propria presenza militare. Nella notte altri
7 civili hanno perso la vita. 49 i morti delle incursioni dei giorni scorsi,
tra cui un leader locale di Hamas. Numerose pure le case demolite, considerate
punti di smistamento del traffico di armi. Ma qual è, a questo punto, la
situazione degli abitanti nella Striscia di Gaza? Iva Mihailova lo ha chiesto
ad Eduardo Stupino, del Movimento dei Focolari di Gerusalemme:
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R. – Nella Striscia di Gaza la situazione è difficile già da tempo; cioè,
la situazione economica è segnata da una disoccupazione molto alta, forse è la
zona dei Territori palestinesi in cui la disoccupazione è più alta – si parla
del 70 per cento. E poi, c’è la difficoltà della circolazione, cioè non si può
uscire. Prima erano in molti che lavoravano in Israele, circa 150 mila persone
ogni giorno. Questo ormai già da qualche tempo non è più possibile. Poi c’è la
difficoltà data dal conflitto in se stesso, anche con tutta la problematica degli
insediamenti di cui si dice che forse saranno abbandonati, da parte del governo
israeliano, ma questo ancora non si sa esattamente. In questi giorni, certo, la
violenza è aumentata.
D. – Questa situazione di crisi si ripercuote sui palestinesi,
ma anche sugli israeliani?
R. – Anche in Israele la situazione di crisi economica
esiste; esiste anche la disoccupazione. Però, non agli stessi livelli.
D. – Le demolizioni di case sono state condannate
dall’Onu, ma anche dagli Stati Uniti; quali ripercussioni ci saranno in Medio
Oriente?
R. – Il problema di fondo, diciamo, è una soluzione vera
per il problema e questo apparentemente non si vede. La speranza sta
soprattutto nell’aiuto, nella cooperazione che può venire anche dall’estero per
ritornare ai negoziati di pace.
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L'Unione
Europea e la Russia devono essere unite nella lotta contro il terrorismo. Lo ha
sottolineato il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, all'apertura
del vertice Ue-Russia, in corso a Mosca. Il leader dell'esecutivo di Bruxelles
ha detto di sperare nell'aiuto russo nel contrasto al terrorismo, che deve essere
obiettivo comune alle due parti, e ha sottolineato che un'azione comune può
risultare più efficace. Da parte sua, il presidente russo Putin ha auspicato un
“dialogo su basi paritarie, senza leader e gregari”, per trovare “compromessi equilibrati
su tutte le questioni in discussione”, in modo da accelerare le intese per la
creazione di quattro spazi comuni: economia, sicurezza interna e giustizia, sicurezza
esterna, ricerca e istruzione.
Si terranno il
29 agosto prossimo le elezioni presidenziali in Cecenia, per eleggere il
successore del Presidente pro-russo, Akhmad Kadyrov, ucciso in un attentato il
9 maggio scorso. Ad annunciare la data è stata oggi la commissione elettorale
cecena.
Esplosione in
un luogo santo musulmano di Sylhet, a circa 200 chilometri dalla capitale del
Bangladesh, Dhaka. Due le persone rimaste uccise. Oltre cento, invece, i feriti,
tra cui l'Alto commissario britannico, Anwar Chowdhury.
Sangue anche in Arabia Saudita, dove ieri 4 estremisti
islamici sono rimasti uccisi nel corso di una sparatoria con le forze di
sicurezza. Il fatto è avvenuto nella cittadina di Buraida, non lontano dalla
capitale Riad. Nello scontro a fuoco ha perso la vita anche un agente di
polizia. E’ probabile che i 4 facessero parte di una cellula legata a Osama Bin
Laden. La città di Buraida è considerata la culla dell'estremismo islamico che
auspica la caduta della monarchia saudita filo-americana.
Si è votato ieri nel piccolo Stato africano del Malawi per
il rinnovo della carica di capo dello Stato e del Parlamento. Poco meno di 6
milioni di cittadini sono stati convocati alle urne per la terza tornata
democratica del Paese, svoltasi sotto il controllo di 200 osservatori
internazionali. In attesa dei risultati ufficiali, previsti per domani, la
sfida - che vede in lizza 1254 candidati per 193 seggi - sembra tutta racchiusa
nel confronto tra l’economista Bingu wa Muthàrika - “delfino” del presidente
uscente, Bikini Muluzi - e il leader della coalizione d’opposizione, Gwanda
Chakuàmba. Sul contesto socioeconomico del Malawi, il servizio di Alessandro De
Carolis:
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Vecchi
e nuovi pretendenti al potere hanno battuto su un unico tasto, in campagna elettorale:
migliorare l’economia. E non poteva essere altrimenti, giacché il Malawi - che
vanta la non invidiabile posizione di 163.mo Paese su 173 nella lista delle
economia mondiali stilata dall’Onu – ha assistito negli ultimi 6-7 anni ad un
declino finanziario inarrestabile, che lo fanno uno degli Stati più poveri al
mondo. A poco sono servite, due anni fa, le iniezioni di denaro liquido versate
da Stati Uniti, Fondo monetario internazionale e dall’Organizzazione internazionale
di sviluppo (Ida) nella mani del governo guidato dal presidente Muluzi, che
hanno portato complessivamente nelle casse statali un totale di circa 80
milioni di dollari. Il Malawi continua a soffrire per l’endemicità delle sue piaghe:
la povertà (l’85% della popolazione vive con 200 euro l’anno), l’analfabetismo,
che arriva alla soglia del 60%, e – a un livello più alto – la corruzione.
Contro questo fenomeno, il cartello dei partiti
d’opposizione insieme alla Chiesa cattolica e a quella protestante hanno
coraggiosamente puntato il dito contro i vertici della nazione. “In pochi anni
Bakili Muluzi - ha affermato un missionario italiano nel Malawi, citato dalla
Misna - è diventato padrone assoluto del partito”, così come “sono sue le
aziende più grandi e redditizie del Paese”. Il presidente in carica, al potere
dal ’94 per due mandati consecutivi, deve la sua ascesa in parte proprio alla
Chiesa cattolica che nel ’92, con una lettera pastorale dei vescovi locali,
aprì alla transizione democratica e alla fine della dittatura trentennale di
Hastings Kamuzu Banda. Ma Muluzi è anche colui che, in una democrazia ancora fragile
come quella del Malawi, ha tentato di modificare la Costituzione per poi
ricandidarsi per il terzo mandato presidenziale consecutivo. Il no
dell’opposizione al tentativo ha fatto crescere la tensione in fase preelettorale,
anche se la tornata di ieri non ha fatto segnalare incidenti di rilievo.
Restano comunque delle ombre sulla correttezza del voto.
Gli osservatori europei - così come la Chiesa e l’opposizione - hanno segnalato
l’eccesso di potere esercitato dal partito di Muluzi sui media e anche la
cancellazione, prima del voto, di un milione di aventi diritto dalle liste elettorali
- perché morti o iscritti due volte - ha creato problemi di trasparenza. In
questo quadro, resta la sfida elettorale, i cui risultati ufficiali saranno
resi noti domani.
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Non si
ferma la violenza in Colombia. L'esplosione di una bomba davanti alla università
Antioquia a Medellin ha causato almeno
due morti e otto feriti. Secondo fonti locali il bilancio, però, potrebbe
aumentare. Sconosciuta al momento la matrice dell’attentato. Tre bombe di
fabbricazione artigianale erano esplose ieri
mattina a Cali, terza città del paese, senza causare vittime.
Una decina di Paesi europei, tra i quali Italia e Polonia,
stanno lavorando a una nuova iniziativa diplomatica a favore del riconoscimento
delle radici cristiane nella futura Costituzione della Unione Europea. Lo ha
riferito ieri il ministero degli Esteri di Varsavia. Il messaggio era contenuto
in una lettera indirizzata alla presidenza irlandese dell'Unione Europea.
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