RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 133 - Testo della trasmissione di mercoledì 12 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Peggiorano
le condizioni di vita dei profughi sudanesi rifugiati nel Ciad
Unanime
condanna della comunità internazionale al video choc diffuso dalla guerriglia
irachena, in cui si mostra la decapitazione di un ostaggio americano. Ancora
combattimenti nel Paese
Violenta
reazione israeliana dopo l’oltraggio ai cadaveri di sei soldati, ieri a Gaza:
stamani uccisi tre palestinesi, mentre si tratta per la restituzione dei resti
dei militari
Ad
un passo da un accordo di pace in Sudan, dopo 20 anni di conflitto.
12
maggio 2004
ALL’UDIENZA GENERALE IL PAPA INVITA A PREGARE PER LA PACE NEL MONDO,
SPECIALMENTE IN IRAQ E NEL MEDIO
ORIENTE.
ED ESORTA A NON LASCIARSI PRENDERE
DAL GROVIGLIO OSCURO
DELLA DISPERAZIONE QUANDO SEMBRA
CHE TUTTO SIA PERDUTO
L’Iraq e il Medio Oriente tormentate dalla guerra, anche
oggi nel pensiero del Papa nel consueto appuntamento del mercoledì con i fedeli
di tutto il mondo. Prima di accomiatarsi Giovanni Paolo II ha ricordato la
festa della Beata Vergine Maria di Fatima che ricorre domani, e la memoria di
tutti corre al pomeriggio del 13 maggio 1981, giorno dell’attentato al Santo
Padre, proprio in Piazza San Pietro all’udienza generale. Sono passati 23 anni.
Il servizio di Roberta Gisotti
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“Passata…. la notte della morte, sboccia l’alba del nuovo
giorno”. Migliaia di pellegrini come sempre in piazza San Pietro per ascoltare
la parola di Giovanni Paolo II, che stamane ha commentato il Salmo 29, un Inno
di ringraziamento a Dio dopo “l’incubo della morte” e “la liberazione ottenuta
dal Signore”. “Certo, il pericolo lasciato alle spalle è grave e riesce ancora
a far rabbrividire; la memoria della sofferenza passata è ancora nitida e vivida;
il pianto si è asciugato negli occhi solo da poco. Ma ormai è sorta l’aurora di
un nuovo giorno; alla morte è subentrata la prospettiva della vita che
continua.”
Questo Salmo – ha spiegato il Papa – dimostra “che non
dobbiamo mai lasciarci irretire dal groviglio oscuro della disperazione, quando
sembra che ormai tutto sia perduto.” La prospettiva della morte può infatti
chiudere il cuore dell’uomo. Ma “certo,- ha aggiunto - non bisogna neppure
cadere nell’illusione di salvarsi da soli, con le proprie risorse”, “tentazione
che si insinua nel tempo del benessere”. Dunque l’intenso desiderio umano di
una vittoria di Dio sulla morte diviene speranza di resurrezione, pienamente
assicurata da Cristo.
Infine nei saluti il richiamo del Santo Padre per la pace.
“A tutti i presenti rinnovo l’invito di pregare per
la pace nel mondo, specialmente in Iraq e Medio Oriente, perché col sostegno
della comunità internazionale possano quelle care popolazioni incamminarsi
decisamente sulla strada della riconciliazione del dialogo e della
cooperazione”
E poi ancora l’invito a raccomandarsi alla Beata Vergine
Maria di Fatima.
“Vi esorto a rivolgervi incessantemente e con
fiducia alla Madonna, affidando a lei ogni vostra necessità”
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PROGRESSI
NELL’ESERCIZIO DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA IN VIETNAM,
ANCHE
SE C’E’ ANCORA MOLTO CAMMINO DA PERCORRERE:
NE
PARLA MONS. PIETRO PAROLIN APPENA RIENTRATO DAL VIETNAM
Il sottosegretario della seconda Sezione della Segreteria
di Stato, per i Rapporti con gli Stati, mons. Pietro Parolin, è appena
rientrato dal Vietnam che ha visitato come capo di una delegazione della Santa
Sede. Giovanni Peduto gli ha chiesto di parlarci di questa visita:
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R. – E’ stata la 13.ma visita di una delegazione della
Santa Sede in Vietnam che, come le precedenti, si prefiggeva essenzialmente due
scopi: prendere contatto con le autorità governative per promuovere i rapporti
reciproci e trattare questioni attinenti alle relazioni tra Chiesa e Stato;
incontrare la Conferenza episcopale, i vescovi e le comunità cattoliche di
alcune diocesi. Questa visita, inoltre, riprendeva la prassi dell’incontro
annuale, interrotta nel 2003 a causa degli avvicendamenti intervenuti a livello
di Seconda Sezione della Segreteria di Stato. Abbiamo avuto la gioia di
incontrare il presidente della Conferenza episcopale del Vietnam, i membri del
Consiglio permanente della medesima e i vescovi della Provincia ecclesiastica
di Hanoi. Si sono svolte due sessioni di lavoro con l’Ufficio per gli affari
religiosi e visite di cortesia al vice ministro degli Affari Esteri e al vice
presidente della Commissione per gli affari esteri del Comitato centrale del
partito comunista del Vietnam. Siamo stati nelle diocesi di Xuân Lôc, nel Sud,
e di Ban Mé Thuôt, negli altipiani centrali. Ad Hanoi abbiamo celebrato la
Messa al Seminario Maggiore e dalle Suore Amanti della Croce; a Hôchiminville è
stato organizzato un incontro con i rappresentanti delle istituzioni cattoliche
dell’arcidiocesi.
D. – Potrebbe condividere con noi le sue impressioni sui
risultati della visita? Ci sono progressi per quanto riguarda la libertà
religiosa?
R. – La delegazione della Santa Sede è stata ricevuta con
rispetto e direi quasi con cordialità, atteggiamenti che si è cercato di
ricambiare. In più occasioni si è ribadito da parte vietnamita l’intenzione di
lasciare indietro il passato e di guardare con fiducia al futuro e si è citata
una recente Risoluzione del Comitato Centrale del Partito comunista, che considera
i cattolici come cittadini “a pieno titolo” del Paese ed assicura la volontà
del governo di “rispondere alle esigenze spirituali di quella parte della
popolazione che professa una fede religiosa”. Ritengo che i colloqui con le
autorità dell’Ufficio per gli affari religiosi siano stati utili, anche se
rimangono questioni in attesa di risposta.Con sorpresa, siamo potuti andare in
diocesi che non erano ancora state visitate dalla delegazione della Santa Sede:
Xuân Lôc, la più grande del Paese, in cui i cattolici rappresentano circa il
30% della popolazione, e Ban Mé Thuôt, dove vivono una quarantina di minoranze
etniche (i cosiddetti “Montagnards”) e dove, come è noto, ci sono tensioni. Su
quanto accaduto agli inizi di aprile
abbiamo ricevuto informazioni dalle autorità locali. Come da programma,
abbiamo celebrato la Messa con gli Ordinari e con rappresentanti delle diverse
componenti diocesane, in un clima di profonda spiritualità e di intensa
comunione ecclesiale. Particolarmente commovente è risultata la visita alla
cattedrale di Ban Mé Thuôt, prevista in forma privata; al nostro arrivo abbiamo
trovato la chiesa quasi gremita di fedeli che si erano radunati spontaneamente
dopo aver saputo della presenza della delegazione. Successivamente abbiamo
visitato la casa delle Suore di Maria Regina della Pace, Congregazione
diocesana che lavora soprattutto fra i “Montagnards”. Lei mi chiede se c’è qualche
progresso nell’esercizio della libertà religiosa in Vietnam. Dalle prime visite
della delegazione della Santa Sede ad oggi sono passati ormai quindici anni e
non si può negare che ci siano stati dei progressi. Abbiamo saputo che in
alcune regioni le autorità hanno chiesto la collaborazione delle religiose
nella cura degli ammalati di Aids; altrove è stata data l’autorizzazione a
nuovi ingressi in Istituti religiosi. Credo, però, che ci sia ancora molto
cammino da percorrere. E’ da auspicare, pertanto, che con il dialogo cresca la
fiducia e si comprenda che la Chiesa cattolica chiede solo di poter esercitare
liberamente la sua missione, ponendosi generosamente al servizio del Paese e
dei suoi abitanti.
D. – Nei giorni scorsi, qualche agenzia di stampa ha
diffuso informazioni riguardanti le nomine episcopali. Ci vuole dire qualcosa
al riguardo?
R. – Uno dei temi trattati con le autorità governative è
stata appunto quello della nomina dei vescovi che, a causa delle note
circostanze, segue attualmente in Vietnam una procedura eccezionale, nella
speranza che si giunga alla normalizzazione anche in questo campo. In questa
ultima visita non sono mancati risultati che saranno resi noti al momento
opportuno. Nel frattempo, sono uscite delle indiscrezioni che, ovviamente, sono
responsabilità di chi le ha fatte. Si sono ovviamente affrontate anche altre
questioni e si sono chieste informazioni su situazioni che meritano attenzione.
D. – La delegazione della Santa Sede ha incontrato
vescovi, sacerdoti, religiosi e laici vietnamiti durante la visita. Qual è la
sua impressione sulla Chiesa in Vietnam?
R. – Abbiamo trovato una Chiesa piena di vitalità e di
entusiasmo, fiorente di vocazioni sacerdotali e religiose, consapevole della
sua missione di annunciare il Vangelo e di vivere la comunione, inserita nella
realtà del Paese e desiderosa di servire il bene comune. Vorrei far giungere ai
vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli incontrati, tramite la Radio
Vaticana, l’assicurazione della mia preghiera e i sentimenti della mia
ammirazione. Vorrei inoltre assicurare loro che la delegazione ha trasmesso al
Santo Padre i sentimenti di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e di attaccamento,
devozione e fedeltà al Successore di Pietro che hanno manifestato in tutte le
occasioni di incontro.
**********
DOMENICA
16 MAGGIO LA CANONIZZAZIONE DEL BEATO LUIGI ORIONE,
“FACCHINO
DELLA CARITA'”
-
Intervista con don Roberto Simionato -
Il suo
biografo, Alessandro Pronzato, lo ha definito “Il folle di Dio", mentre
Papa Luciani riconobbe in lui “lo stratega della carità”. Di se stesso, invece,
amava ripetere: sono “il facchino della Divina Provvidenza". C’è un
riflesso di verità in ognuna di queste espressioni, che raccontano la vita
straordinaria di Don Luigi Orione. Domenica prossima, Giovanni Paolo II lo
proclamerà Santo insieme ad altri cinque Beati. Nato ad Alessandria nel 1872 e
morto a Sanremo nel 1940, all’età di 68 anni, don Orione è uno dei Santi del Novecento
che ha scelto il servizio ai poveri come obiettivo del proprio servizio
sacerdotale. Un servizio totale, creativo, che lo porterà a fondare due
Congregazioni religiose: i Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Suore
Missionarie della Carità, istituti che oggi contano duemila tra religiosi e
religiose e tanti laici collaboratori. Giovanni Peduto ha chiesto al superiore
generale degli Orionini, don Roberto Simionato, come è stato accolto l’annuncio
della canonizzazione:
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R. – La notizia della canonizzazione era attesa da molto
tempo. Quando il Santo Padre ha annunciato la data ufficiale del 16 maggio, si
è sparsa immediatamente per tutte le nostre comunità. Abbiamo lanciato uno
slogan: “Guarderanno Lui, guarderanno noi”, ad indicare che, quando in Piazza
San Pietro sarà scoperta l’immagine del nuovo Santo, tutti guarderanno lui, ma
subito dopo guarderanno noi, per vedere se i suoi figli e figlie sono simili al
Padre. Vorranno scoprire in noi la fisionomia di don Orione. Per noi, quindi, è
una festa, ma più ancora un impegno di continuare l’opera e lo stile di vita
del fondatore.
D. – Chi sono i poveri per don Orione?
R. – I poveri sono i contadini del suo Paese, la sua
famiglia. Lui è figlio di un selciatore, si guadagna il pane, aiutando suo
padre. Conoscendo la povertà in carne propria, si sente solidale con tutti i
poveri che incontra nel suo cammino. I poveri sono, soprattutto, le masse
operaie che si vanno allontanando dalla Chiesa, avvelenate dalle ideologie. Vive
in carne propria la frattura tra il popolo e la Chiesa e il Papa e vuole fare
un ponte con le opere di carità. E’ carità grande dare il pane, ma più ancora
dare Gesù Cristo al popolo.
D. – Don Orione ha affidato tutta la sua vita alla
Provvidenza: cos’era per lui la Provvidenza?
R. – La Provvidenza è Dio che pensa ai suoi figli. Don
Orione sente che Dio è Padre e vuole che tutti, specialmente i più poveri,
sperimentino che Dio è Padre. Per questo invita ad impegnarsi con opere di
Carità. Chiama tanti giovani ad aiutarlo e chiama tanti benefattori ad essere
Provvidenza per gli altri. Ai più privilegiati dice: “La banca della Divina
Provvidenza è nelle vostre tasche. Dio perdona tante cose per un’opera di
misericordia”.
D. – Può raccontare un episodio significativo della vita
di don Orione?
R. – Durante il suo secondo viaggio in Argentina - ci andò
due volte, nel 1921 e nel 1934 - don Orione vi rimase tre anni, fondando varie
case in Brasile, Argentina e Paesi vicini. Si era spinto troppo e i suoi religiosi
non bastavano più, ma prima di tornare in Italia, nel 1937, porta un suo
missionario fino al Chaco, dove aveva trovato una situazione disastrosa:
indigeni ed immigrati che vivevano in condizioni precarie, di abbandono
spirituale. Don Orione aveva ordine di non aprire più case, ma in quella
situazione scrisse al Visitatore, posto dalla Santa Sede, una lettera
commovente: “Qui vengono tutti per il legno delle foreste o per l’”oro bianco”
(il cotone), ma manca il prete. La gente vive male, senza fede e senza
sacramenti. Mi lasci vivere e morire con questa povera gente”. Don Orione tornò
in Italia, ma la Congregazione restò nel Chaco.
D. – Che fanno oggi le Congregazioni fondate da don
Orione?
R. – Abbiamo scuole, parrocchie, missioni, opere di carità
per disabili. Siamo molto conosciuti per i Piccoli Cottolengo. Ma Don Orione ci
voleva flessibili, aperti alle opere più necessarie secondo i tempi e i luoghi.
Siamo in trenta Paesi. Per fare qualche esempio: in Costa D’Avorio, Africa, i
missionari hanno scoperto i disabili. Prima c’erano, ma li nascondevano in
casa. Oggi col centro degli handicappati, tanti di loro sono riabilitati,
camminano, vanno a scuola, sono integrati nella società. A Manila siamo andati
a vivere nella discarica con i poveri di Payatas. Lì c’è una parrocchia con
mille attività di promozione umana, dalla salute alla scuola. In Polonia si
lavora con i sordomuti. In Romania, si raccolgono ragazzi e ragazze della
strada e si sta iniziando il Piccolo Cottolengo. In Albania, abbiamo creato il
villaggio della Pace, per promuovere il dialogo interetnico e così via.
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NOMINE
Il Santo Padre ha nominato oggi arcivescovo metropolita di
Korhogo, in Costa D’Avorio, mons. Marie Daniel Dadiet, attualmente vescovo di
Katiola, nello stesso Paese. Contemporaneamente ha nominato vescovo di Katiola padre Ignace Bessi Dogbo, vicario generale della diocesi di Yopougon e parroco della
cattedrale. Padre Ignace Bessi Dogbo, è nato il 17 agosto 1961 a Niangon-Adjamé,
ed è stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1987 .
Sempre oggi il Papa ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Petrópolis in Brasile, presentata da mons. José
Carlos de Lima Vaz, della Compagnia di Gesù, per raggiunti limiti di età.
Gli succede mons. Filippo Santoro, finora vescovo titolare
di Tuscamia e ausiliare di São Sebastião di Rio de Janeiro. Mons.
Filippo Santoro è nato il 12 luglio 1948, a Carbonara, in provincia di Bari. E’
stato ordinato sacerdote il 20 maggio 1972.
Quindi il Santo Padre ha nominato vescovo di Nova Friburgo
in Brasile mons. Rafael Llano Cifuentes, finora vescovo titolare di Mades e ausiliare
di São Sebastião di Rio de Janeiro. Mons. Rafael Llano Cifuentes è
nato a Città del Messico, il 18 febbraio 1933. Ordinato sacerdote il 20 dicembre 1959, ha
ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 giugno 1990.
Infine Giovanni Paolo II ha nominato ausiliare
dell’arcidiocesi di Juiz de Fora in Brasile padre Paulo Francisco Machado,
del clero della diocesi di Petrópolis, finora rettore del Seminario diocesano,
assegnandogli la sede titolare vescovile di Caliabria. Mons.
Paulo Francisco Machado è nato il 13 ottobre 1952, nella città di Andorinhas,
nello Stato di Rio de Janeiro, ed è stato ordinato sacerdote l’11 dicembre del
1977.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il ricordo
dell'attentato al Papa. Viene pubblicato un passo tratto dall'intervento di
S.E. Rev.ma Mons. Stanislaw Dziwisz presso l'Università Cattolica di Lublino,
13 maggio 2001: "...Sono consapevole che il senso definitivo del mistero
dell'attentato rimarrà negli inscrutabili voleri della Divina Provvidenza.
Nondimeno a questo punto desidero esprimere una profonda convinzione: ce il
sangue versato in Piazza San Pietro il 13 maggio fruttificò con la primavera
della Chiesa dell'Anno 2000".
Sempre in prima, in rilievo
l'esortazione del Papa - formulata all'udienza generale - a pregare per la pace
in Iraq e in Medio Oriente, dove imperversa la ferocia. In Iraq è stato
decapitato un civile statunitense; in Medio Oriente è stato fatto scempio dei
corpi di militari israeliani uccisi a Gaza.
Nelle vaticane, un articolo del
Cardinale Saraiva Martins dal titolo "Don Orione, lo stratega della
carità": in vista della canonizzazione del fondatore della Piccola Opera
della Divina Provvidenza.
Nelle estere, in rilievo la
Nigeria, ancora segnata da sanguinosi incidenti di matrice etnica e religiosa.
Nella pagina culturale, un
articolo di Marco Testi dal titolo "Quando la Parola assorbe le
parole": un saggio sulla ricerca di Dio nella poesia italiana del Novecento.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la crisi irachena: la denuncia di torture scuote il Paese; le rivelazioni
della vedova di un Carabiniere.
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12
maggio 2004
DI FRONTE AGLI ORRORI E ALLE VIOLENZE
RACCONTATI OGNI GIORNO DAI MEDIA, CRESCE LA
PREOCCUPAZIONE
PER L’ESCALATION DI VIOLENZA IN
IRAQ
E NEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE
- Interviste con l’editorialista Magdi Allam e lo
scrittore israeliano Alon Altaras -
Di
fronte agli orrori raccontati dai media ogni giorno, alle violenze di un uomo
nei confronti di un altro uomo, sembra davvero che violenza chiami violenza e
che la spirale dell’odio sia quasi irreversibile. C’è anche chi torna a parlare
di scontro tra civiltà. E’ un’espressione alla quale si può attribuire
significati diversi e che abbiamo ascoltato anche subito dopo l’11 settembre
2001. Ne fa accenno nel suo ultimo libro, che si intitola “Kamikaze made in
Europe. Riuscirà l’Occidente a sconfiggere il fondamentalismo islamico?”, Magdi
Allam, vicedirettore del Corriere della Sera e, in particolare, esperto del mondo
mediorientale. Ascoltiamo la sua riflessione nell’intervista di Luca Collodi:
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R. – Chiariamo che la stragrande maggioranza dei musulmani
sono moderati, sono pacifici e da sempre vogliono coesistere con gli altri
popoli, le altre civiltà. E’ indubbio, però, che c’è una minoranza estremista,
che fa riferimento ad Osama Bin Laden. Bin Laden già dal giugno del 1998
annunciò la formazione del Fronte internazionale islamico per la guerra santa
contro gli ebrei ed i crociati, e contro quelli che sono i valori fondanti
della civiltà occidentale, primo fra tutti il concetto, il principio, il valore
della sacralità della vita. Quando si legittima il massacro indiscriminato
delle persone, ritenendo che ci sia una responsabilità oggettiva perfino dei
bambini per il fatto che in un Paese c’è un regime considerato apostata ed
infedele o comunque nemico, siamo di fronte a una chiara violazione della sacralità
della vita. Credo che su questo punto oggi ci sia, a tutti gli effetti, uno
scontro tra le civiltà.
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Rifiuta l’idea di uno scontro
tra civiltà lo scrittore israeliano Alon Altaras, che esprime perplessità anche
sull’espressione ‘strategia del terrore’. L’intervista è di Fausta Speranza:
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R. - Il termine scontro di civiltà così come quello di
strategia dell’orrore, che devo dire è molto efficace, vengono usati un po’
semplicisticamente. Non penso che ci sia una strategia vera e propria di
terrorismo del popolo palestinese contro lo Stato d’Israele. Lo fa perché è
l’unica arma che hanno per combattere. Si tratta di degenerazioni. Chi usa il
suicidio come arma politica ogni giorno mostra un grave disprezzo della vita
umana, di se stesso e degli altri. Quei tre o dieci o 40 americani che hanno
torturato le persone alle quali dovevano insegnare la democrazia, hanno fatto
emergere l’animale che c’è dentro l’essere umano. E’ solo questo e non
c’entrano i valori delle civiltà.
D. – E’ possibile, secondo lei,
intravedere in ognuna delle parti qualcuno che porti avanti una proposta
diversa da quella dell’odio e della violenza?
R. – In Israele c’è una società
civile, si levano delle voci che cercano di aprire spiragli di pace. Che pensano,
per esempio, che l’occupazione israeliana, una delle più lunghe che esistono
nel mondo moderno, ha distrutto sul piano etico lo Stato d’Israele. Lo Stato
d’Israele è oggi meno etico e rispetta meno i diritti umani rispetto a 30 anni
fa. Cioè l’occupazione comporta anche un danno etico molto profondo. Penso che se se gli americani, gli inglesi o
gli italiani rimarranno per esempio in Iraq per anni, piano piano il loro
concetto di diritti umani o la convinzione di come ci si debba comportare con
un altro che non sia della tua religione o delle tue tradizioni culturali,
verrà meno.
D. – Intravede anche nel mondo
palestinese vie diverse?
R.
– Assolutamente sì. Sono certo che ci siano nel mondo palestinese, nella
società palestinese voci che non vogliono che questa realtà vada avanti
all’infinito. Per esempio, mi riferisco all’iniziativa dell’ex capo dei servizi
segreti israeliani Ami Ayallon che, insieme con Sari Nusseibah un esponente
palestinese di una certa importanza, hanno fatto firmare a migliaia di
cittadini sia dell’Autorità palestinese, sia dello Stato israeliano, una petizione
dove si parla della soluzione di due Stati per due popoli e dove il terrorismo
viene condannato severamente. Sono riusciti ad arrivare a quasi 200 mila
persone, il che mi sembra un buon segno. E’ il segnale forte che un popolo dà
alla propria leadership per dirgli che è possibile un’altra via. E nel mondo
palestinese ci sono anche altre organizzazione che credono in un dialogo e sono
per me una grande fonte di speranza.
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LA
PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE
CELEBRA OGGI 150 ANNI DI FONDAZIONE DELLA
FACOLTA’ DI DIRITTO CIVILE
- Servizio di Amedeo Lomonaco -
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Anno accademico 1853-1854: Papa Pio IX istituisce
la Facoltà di diritto civile della Pontificia Università Lateranese con
l’intento di ridisegnare l’insegnamento del diritto canonico e civile nello
Stato Pontificio. A 150 anni da questa storica fondazione, la Lateranense ha
celebrato, oggi, tale ricorrenza con un seminario di studi giuridici incentrato
sul tema “Libertà religiosa e tolleranza”. Sul significato della giornata di
oggi ascoltiamo il rettore della Lateranense, mons. Rino Fisichella:
R. – La celebrazione di oggi
vuole saper guardare al futuro, vuole dire che la Chiesa si pone in primo piano
a livello della cultura ed anche della formazione giuridica. Desideriamo che
questa celebrazione possa ricordare pienamente l’importanza di una formazione
globale al diritto che sia capace di vedere e di ispirare delle norme conformi
ai principi fondamentali. Principi che si ritrovano nella natura umana e che
promuovono una difesa della dignità della persona.
D. - Come salvaguardare oggi,
in un mondo drammaticamente segnato dalla violenza, il principio della libertà
religiosa?
R. – Il Concilio Vaticano II,
quarant’anni fa, emanò il documento, di grande rilievo, “Dignitatis Humanae”.
Oggi, lo possiamo leggere davanti alle sfide che sono poste dinanzi a noi.
Direi che la tolleranza non è sufficiente, poiché la tolleranza tende a
livellare le religioni e a porle tutte sullo stesso piano rischiando di farle
diventare delle opinioni. Ma le religioni non sono questo. Rappresentano, in
realtà, una visione che si ha sulla vita e il rapporto che si ha con Dio. E’
quindi necessario che si entri all’interno dei contenuti che le religioni propongono;
è anche necessario che si crei una cultura del rispetto, perché il rispetto
‘vede’ le differenze permettendo che in una società possano essere vissute ed
esplicitate diverse religioni senza situazioni di violenza. E lo fa nella dimensione di una conoscenza
reciproca che consente una convivenza senza però sottovalutare la verità dei
contenuti trasmessi dalle religioni.
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Nel pomeriggio sono inoltre
previsti, in occasione del solenne Atto accademico, il saluto del cardinale
Edmund Szoka, presidente della Pontificia Commissione della Città del Vaticano
e l’intervento di Marcello Pera, presidente del Senato della Repubblica italiana.
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Radiogiornale
12
maggio 2004
L’ASSOCIAZIONE “RONDINE CITTADELLA
DELLA PACE” HA CONSEGNATO
QUESTA MATTINA AL PAPA UN PIANO DI PACE IN “TRE MOSSE”
PER FERMARE LA GUERRA IN IRAQ, ELABORATO INSIEME AI FRANCESCANI
DELLA VERNA E AI MONACI DI CAMALDOLI
AREZZO.
= Una Giornata di preghiera interreligiosa, una forza di pace euromediterranea,
un’alleanza economica internazionale: sono le “tre mosse” proposte
dall’associazione “Rondine Cittadella della pace” per porre fine al conflitto
in Iraq. Insieme con i francescani della Verna e i monaci di Camaldoli,
l’associazione “Rondine” ha elaborato un piano che è stato consegnato al Papa
al termine dell’udienza generale di oggi. E proprio salutando i promotori
dell’iniziativa, accompagnati da alcuni vescovi toscani, Giovanni Paolo II ha
rinnovato l’invito a pregare per la pace nel mondo, specialmente in Iraq e nel
Medio Oriente. La prima tappa del piano proposto dall’associazione “Rondine”
sarà una Giornata di preghiera che si terrà il 21 maggio presso il santuario
della Verna, con la partecipazione di cattolici, evangelici e ortodossi assieme
ai rappresentanti delle principali autorità islamiche ed ebraiche d’Italia. La
seconda tappa sarà la firma, entro la fine di maggio, di “un impegno politico
comune”, sottoscritto da tutti i partiti italiani e da personalità del mondo
della cultura e della politica europee. La proposta prevede “la creazione di
una forza militare euromediterranea che veda coinvolti Paesi estranei alla
guerra”. La terza “mossa” sarà l’impegno a progettare forme di cooperazione
economica internazionale, sempre sotto l’egida delle Nazioni Unite, che
restituiscano all’Iraq solide prospettive per uno sviluppo equo. La Cittadella
della pace, fondata dallo psicologo Franco Vaccari nel borgo medievale di
Rondine alle porte di Arezzo, promuove l’incontro e il dialogo tra giovani che
provengono da diverse parti del mondo, tra cui Russia, Cecenia, Medio Oriente e
Balcani.
ARGINARE
LA VIOLENZA DILAGANTE, COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE,
SOSTENERE
I CONTADINI, PROMUOVERE IL DIRITTO ALLA SALUTE,
SONO
LE PRIORITA’ INDICATE AL GOVERNO DAI VESCOVI DEL GUATEMALA
CITTA’
DEL GUATEMALA. = Sono sette le emergenze elencate dai vescovi del Guatemala in
un documento diffuso al termine dell’assemblea plenaria che si è conclusa il 7
maggio scorso. Il documento, intitolato “Vita dignitosa per tutti”, analizza la
situazione del Paese ed indica al governo le priorità da affrontare a breve e
medio termine. Al primo posto i vescovi indicano “l’insicurezza e la violenza
dilagante che segna in modo negativo questo momento storico”. Si tratta, spiega
il documento, di “una violenza che ha diverse cause e pone in evidenza la crisi
di valori che ha investito la nostra società”. I vescovi denunciano in particolare
i delitti compiuti contro le donne, i bambini e i ragazzi: “In un contesto così
instabile, si ricorre alla giustizia fai da te e questo non fa che aggravare un
quadro già desolante. Esortiamo quindi le autorità ad intervenire, a garantire
una maggiore sicurezza e a mettere in pratica la campagna di sensibilizzazione
contro l’uso delle armi”. Tra le altre emergenze del Paese i vescovi indicano
le piaghe della povertà e della disoccupazione che si accompagnano ad un drammatico
aumento del costo della vita. La nota si sofferma quindi sulla difficile
situazione dei contadini, molti dei quali sono ridotti alla fame. I vescovi
esortano le autorità ad “aprire un dibattito sulla questione e di trovare nuove
strade per rilanciare il settore” agricolo. Il documento richiama inoltre
l’importanza di promuovere il “diritto alla salute”, anche attraverso
“l’abbassamento dei prezzi dei farmaci, per consentire un’adeguata assistenza
anche ai più poveri”.
PEGGIORANO
LE CONDIZIONI DI VITA DEI PROFUGHI SUDANESI RIFUGIATI NEL CIAD.
APPELLO
DELLA CARITAS INTERNAZIONALE E MEDICI SENZA FRONTIERE
CITTÀ
DEL VATICANO E N’DJAMENA. = Occorrono oltre due milioni di dollari per soccorrere
i profughi sudanesi fuggiti dalla guerra e rifugiatisi in Ciad: è l’appello
lanciato dalla Caritas internazionale. Duncan McLaren, segretario generale
della Caritas, ha recentemente visitato i campi profughi in Ciad e ha riferito
che la situazione sta diventando un vero disastro umanitario: le condizioni
igieniche sono pietose, vi è mancanza di acqua potabile ed è scarsa la
reperibilità di carburante e legna da ardere per i campi, mentre il numero dei
rifugiati continua ad aumentare. Anche l’organizzazione non governativa “Medici
senza Frontiere” fa appello alla comunità internazionale affinché s’intervenga
prontamente per far fronte all’emergenza umanitaria in Ciad. La situazione è
aggravata dai numerosi attacchi da parte delle milizie arabe degli “Janjaweed”
e dalla stagione delle piogge, cominciata questo mese, che ostacola l’arrivo
degli aiuti umanitari. Questa settimana l’Alto Commissariato per i rifugiati
delle Nazioni Unite distribuirà aiuti alimentari e suppellettili per la casa a
circa 27 mila rifugiati. Fonti Onu calcolano che il conflitto nel Sudan abbia
provocato 10 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati di cui circa 125 mila
in Ciad. (G.L.)
KANO. = Nuovi disordini sono
scoppiati ieri a Kano, la seconda città della Nigeria, durante una
manifestazione di protesta organizzata da gruppi musulmani. Due chiese sono
state attaccate e incendiate, insieme con molte case e botteghe di cristiani,
provocando un numero imprecisato di vittime e molti feriti, secondo quanto
riferisce l’agenzia Misna. La manifestazione era stata promossa in risposta
agli attacchi di presunti gruppi armati cristiani avvenuti lo scorso 2 maggio a
Yelwa, nel vicino Stato del Plateau che, secondo fonti governative, avrebbero
provocato circa duecento vittime. In un primo momento era stata diffusa la
cifra di 600 morti negli scontri dell’inizio di maggio ma il bilancio è stato
successivamente ridimensionato perché, riferiscono fonti della chiesa nigeriana
raccolte dall’agenzia Fides, sono rientrati a Yelwa alcune centinaia di
sfollati, la maggior parte donne e bambini, che si credeva fossero rimasti
uccisi negli scontri. Il conflitto in corso, spiega la chiesa nigeriana, non ha
origine religiosa ma etnica perché al centro delle violenze vi sono le etnie
dei fulani, musulmani dediti all’allevamento del bestiame, che lottano per il
controllo dei terreni migliori contro i Tarok, agricoltori cristiani.
NON
BASTANO LE LEGGI AD ARGINARE LA PIAGA DELLO SFRUTTAMENTO DELL’INFANZIA: E’ LA
DENUNCIA EMERSA DALLA TERZA GIORNATA DI LAVORI DEL
CONGRESSO MONDIALE DEI BAMBINI
CONTRO IL LAVORO MINORILE IN CORSO
A FIRENZE
- A
cura di Laura Sposato -
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FIRENZE. = A dimostrazione di quanto sia attivo il ruolo
dei ragazzi in questo Congresso mondiale, le tavole rotonde e i workshop sono
stati interamente gestiti dai delegati under 14. Gli interlocutori erano di
alto livello, a cominciare da Arnold Levine, vice sottosegretario per gli
Affari Internazionali del Dipartimento del Lavoro negli Stati Uniti, che ha
sostenuto con grande fermezza l’efficacia della legislazione americana contro
il lavoro minorile. Ma i dati riferiti durante il Congresso e le drammatiche
testimonianze di sfruttamenti, raccolte in questi giorni anche in Texas e in
molte città americane, sembrano dimostrare il contrario. La rappresentante
della direzione generale per lo sviluppo della Commissione Europea ha smentito
il relatore americano. Anche in Europa esistono buone leggi contro il lavoro
minorile per la difesa dei diritti dei bambini, ma questo non basta. Occorrono
anche verifiche sensibili da parte dei Paesi dove è più grave la piaga dello
sfruttamento, oltre al sostegno economico di tutti i governi. E invece in molti
sono al di sotto dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo da destinare
alla diffusione dell’istruzione, indispensabile per la lotta contro il lavoro
minorile.
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DA
OGGI A DOMENICA PROSSIMA IL QUARTO SIMPOSIO SULL’ECUMENISMO
PROMOSSO DAL CENTRO INTERNAZIONALE BRIGIDINO DI FARFA,
- A
cura di Giovanni Peduto –
FARFA.= Il Centro Internazionale brigidino di Farfa,
a nord di Roma, ha organizzato da oggi a domenica prossima il suo quarto
Simposio ecumenico su come il ministero papale serve all’unità della Chiesa
universale. Studiosi di tutta Europa, soprattutto dai Paesi scandinavi,
approfondiranno il servizio dell’unità della Chiesa, che è lo specifico del ministero
petrino, godendo della ospitalità delle Suore di Santa Brigida guidate dalla
loro abbadessa, madre Tekla Famiglietti, che questo pomeriggio darà il
benvenuto agli ospiti. Fra questi ricordiamo il danese Peder Nargaard-Hojen,
professore di dommatica e teologia ecumenica presso l’università di Copenhagen
e presidente del Comitato accademico del Centro internazionale brigidino di
Farfa. Vi sarà pure il vescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia
Università Lateranense. Il Centro internazionale brigidino di Farfa vuol essere
un luogo d’incontro per persone di diversi contesti confessionali e culturali,
motivato dalla convinzione e che l’impegno delle Chiese nel movimento
ecumenico, è cruciale non solo nella prospettiva delle loro credibilità ma anche
della loro sopravvivenza in quanto Chiese.
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12
maggio 2004
- A cura di Fausta Speranza e
Alessandro De Carolis -
Le immagini-choc dall’Iraq
continuano a provocare sgomento, condanna e orrore. Sono i sentimenti espressi
dopo la diffusione, ieri, via internet, del video con la decapitazione del
prigioniero americano. A farlo, un gruppo integralista islamico vicino ad Al
Qaeda. Il servizio di Giada Aquilino:
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Una
guerra senza regole. Lo si era già capito che il conflitto in Iraq non
conosceva confini. Nelle ultime ore se ne è avuta conferma. Un sito web islamico
ha mostrato un video della decapitazione di un ostaggio statunitense, il
tecnico delle telecomunicazioni Nick Berg. Il gesto è stato motivato dalla
guerriglia irachena come ritorsione agli abusi imposti ai detenuti nel carcere
di Abu Ghraib di Baghdad. Il video lascerebbe intendere che l'autore materiale
della decapitazione possa essere stato Al Zarqawi, luogotenente di Bin Laden.
Le immagini sono state mostrate oggi dalle emittenti arabe 'Al-Jazira' e
'Al-Arabiya', ma le due televisioni hanno scelto di interrompere la sequenza un
istante prima dello scempio, perché - hanno fatto sapere - le immagini seguenti
sarebbero state “insostenibili”.
Unanime
è la condanna internazionale all’ennesima violenza dell’estremismo islamico
iracheno. La Casa Bianca ha affermato che i responsabili dell'uccisione di Berg
“saranno assicurati alla giustizia”, il premier britannico Blair ha giudicato
l’atto come “barbaro e ingiustificato”. Intanto non scemano le polemiche sulle
torture ai prigionieri iracheni. In Italia, dopo le rivelazioni alla stampa di
una vedova di un carabiniere ucciso a Nassiriya, secondo cui gli iracheni
arrestati sarebbero stati torturati e le relative informazioni sarebbero state
comunicate a Roma, è giunta la smentita del Comando generale dell’Arma e del
ministero della Difesa. Oggi l’argomento Iraq sarà affrontato al Question Time
alla Camera.
Mentre
la Danimarca pensa ad un prolungamento di sei mesi della propria missione in
Iraq, le violenze nel Paese del Golfo non conoscono tregua. Almeno 25
combattenti sciiti del leader Al Sadr sono stati uccisi stanotte nella città
santa di Kerbala. Proprio Al Sadr ha fatto sapere che scioglierà la sua milizia
solo se a chiederglielo saranno i leader religiosi sciiti, ribadendo comunque
di voler continuare a combattere contro gli americani. Sei soldati filippini,
poi, sono morti ieri sera per un attacco alla base statunitense di Balad, nel
cuore del 'triangolo sunnita'.
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E’ stata un’altra giornata di
sanguinose ritorsioni in Medio Oriente. Cinque palestinesi sono stati uccisi e
diversi altri sono rimasti feriti nello scoppio di alcuni razzi sparati da un
elicottero israeliano nei pressi di una moschea e in altre circostanze,
all’interno del quartiere Zeitun di Gaza City. Il quartiere Zeitun, teatro
della rappresaglia, è lo stesso in cui ieri sono stati uccisi sei soldati
israeliani. Proprio la morte dei sei militari e lo scempio dei loro cadaveri,
compiuto da un gruppo di palestinesi davanti alle telecamere, ha scatenato la
violenta reazione israeliana e l’indignazione del mondo intero. Ce ne parla Alessandro
De Carolis:
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Un
orrore da “cannibali”, da “bestie umane”. Con questi titoli i giornali
israeliani hanno esecrato oggi l’oltraggio arrecato ieri ai cadaveri dei sei
soldati morti a Gaza City. Un atto duramente condannato anche dagli Stati
Uniti, che si sono detti “molto preoccupati e scioccati”. Secondo il sito internet
del quotidiano israeliano Yedioth Aharonoth, in queste ore le truppe
israeliane stanno setacciando casa per casa il quartiere Zeitun, dove sono
morti ieri i sei soldati, nel tentativo di recuperare i resti dei loro
commilitoni. Allo stesso scopo, una delegazione egiziana si sarebbe recata in
Libano – secondo fonti dell’Ansa – ed avrebbe ottenuto l’assenso dal leader
politico della Jihad Islamica, Ramadan Shalah, alla restituzione dei resti dei
soldati israeliani che sarebbero nelle mani del suo movimento. Intanto, anche i
palestinesi hanno risposto ai colpi dell’esercito avversario. Le Brigate
Ezzedim Al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno annunciato di aver colpito
oggi un blindato israeliano nel quartiere Zeitun di Gaza City e di aver anche
filmato l'operazione. Un portavoce militare ha detto che secondo le informazioni
in suo possesso un razzo anticarro è esploso accanto a un blindato ma senza
colpirlo e senza causare danni. Scontri si sono verificati anche a Nablus, dove
cinque miliziani palestinesi sono rimasti feriti in seguito all'esplosione di
un ordigno che intendevano far esplodere al passaggio di un veicolo militare,
nel campo profughi di Balata. L'esercito israeliano ha poi fermato un'ambulanza
che stava trasportando uno dei feriti e lo ha arrestato.
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Il governo del Sudan e
l’Esercito popolare di liberazione-Spla, il movimento ribelle che opera nel sud
del Paese africano, sono giunti ad un’intesa sulle condizioni di un accordo di
pace che potrà essere firmato prossimamente. La notizia, diffusa dal Dipartimento
di Stato americano, rappresenta una concreta speranza per la fine del conflitto
che insanguina da oltre vent’anni il sud Sudan. Sentiamo in proposito il
commento di padre Carmine Curci, direttore della rivista dei missionari
comboniani, Nigrizia, intervistato da Giancarlo La Vella:
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R. – Dal Sud Sudan, e dal Sudan in generale, la gente
guarda a questa dichiarazione che viene dal Dipartimento di Stato con molta
attenzione, soprattutto la vede con molta speranza, anche perché si rimanda, si
rimanda e la gente dice: “Ci sarà, questa volta, finalmente, la pace?”. Noi speriamo
che possa essere veramente e finalmente un segno positivo, anche se rimangono
parecchi interrogativi. Però, già il tentativo di arrivare ad una pace
definitiva per il Sudan è qualcosa di molto positivo.
D. – Perché il conflitto si è protratto per così tanto
tempo?
R. – C’è la questione religiosa, anche se negli ultimi
anni la questione del petrolio è prevalsa. Importanti sono gli interessi sulle
risorse naturali, interessi di potere delle varie parti. L’intervento della
comunità internazionale ha fatto sì che venga messa in primo piano la realtà
della gente. La gente è stanca di questa guerra che si protrae da più di 20
anni, con milioni di morti, e che ha messo in pericolo le generazioni future.
D. – Quindi è presumibile che un accordo potrebbe
riguardare proprio la divisione dei proventi del petrolio, per esempio?
R. – Sì, è questo che si chiede. Infatti, l’Esercito di
liberazione del Sudan, lo Spla, chiedeva fin dall’inizio per lo meno il 50% sia
per il Nord che per il Sud, proposta che il Nord non accettava. Con la
pressione internazionale, si sta arrivando non solo ad accordi sul petrolio, ma
anche ad una ripartizione del potere politico.
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In Sierra Leone il tribunale
speciale per i crimini commessi tra il 1991 e il 2002, comincerà le sue udienze
il 3 giugno prossimo, dopo essere stato inaugurato il 10 marzo scorso a
Freetown. Sul banco degli imputati andranno tre ex membri delle milizie pro
governative, in lotta contro il fronte rivoluzionario unito, Ruf. La sanguinosa
guerra civile in quegli anni ha provocato oltre 200 mila morti.
Ore di attesa in India prima dell’annuncio ufficiale dei
risultati elettorali, previsto per domani. Dopo il quinto e ultimo turno di
ieri, si sono concluse le elezioni legislative nazionali, al termine di una
lunga maratona che ha coinvolto in tutto il Paese circa 670 milioni di persone.
I nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party (Bjp), al potere da molti anni,
non godono questa volta dei favori pieni del pronostico. Il partito
nazionalista indù potrebbe non ottenere la maggioranza assoluta sui 545 seggi
totali di cui si compone la Camera bassa del Parlamento indiano. Un obiettivo
insidiato dai buoni risultati che gli exit-poll accreditano al Partito del
Congresso, guidato da Sonia Gandhi. Intanto, un segnale delle difficoltà per i
nazionalisti di New Dehli viene dall’India meridionale, dove il loro maggiore
partito alleato, il Telegu Desam, ha subito, dopo nove anni di governo,
un’autentica disfatta elettorale alle regionali svoltesi nello Stato dell’Andra
Pradesh, costata le dimissioni al capo del governo regionale, Chandrababu
Naidu.
Le forze armate americane, sotto
accusa per gli abusi inflitti ai detenuti in Iraq, hanno respinto la richiesta
della commissione indipendente per i diritti umani afghani di visitare le
carceri sotto la loro giurisdizione in Afghanistan. “Non abbiamo al momento
nessuna intenzione di cambiare la nostra politica sull'accesso alle persone
sotto il nostro controllo”, ha detto il generale David Barno, comandante delle
forze americane nel Paese asiatico. Intanto, l'esercito Usa fa sapere di aver aperto un'inchiesta in
seguito alle accuse di maltrattamenti lanciate da un detenuto afghano, prigioniero
nell'agosto del 2003 in due carceri militari americane in Afghanistan.
La riunione del gruppo di lavoro
dei sei paesi impegnati nei colloqui sul programma nucleare della Corea del
Nord è iniziata oggi a Pechino. Il gruppo di lavoro è stato creato dopo
l'ultima tornata di colloqui a sei tra Corea del Nord, Corea del Sud, Usa, Cina,
Giappone e Russia ed è alla sua prima riunione. I risultati dei colloqui sono
incerti dato che nessuno dei due principali antagonisti, gli Usa e la Corea del
Nord, appare disposto a cedere alle richieste della controparte. Washington
chiede un disarmo nucleare “completo ed immediato”, mentre la Corea del Nord ha
offerto un congelamento “parziale” dei propri programmi nucleari in cambio di
un “compenso”.
C’è poi l’annuncio dell’avvio di
un dialogo tra le due Coree. Si terranno il 26 maggio colloqui militari a
livello di generali per ridurre le tensioni nella penisola. Sarà il primo
incontro di militari ad alto livello dalla fine del sanguinoso conflitto che ha
visto contrapposti il Nord e il Sud nel
1953. Lo hanno reso noto oggi a Seul fonti ufficiali sudcoreane. I generali
discuteranno come ridurre la tensione militare sulla linea di demarcazione,
massicciamente fortificata, lungo il 38° parallelo. In particolare sarà
discussa la situazione nelle acque contese tra i due Paesi nel Mar Giallo,
teatro in un recente passato di scontri navali per reciproche accuse di
sconfinamento di pescherecci.
La Duma russa ha oggi approvato
la conferma di Mikhail Fradkov a primo ministro. Fradkov si era dimesso nei
giorni scorsi, come vuole la Costituzione, in relazione all'insediamento di Vladimir
Putin per il suo secondo mandato ma il presidente, come previsto lo aveva
subito confermato. A favore di Fradkov, in un parlamento dominato dai centristi
putiniani, hanno votato 356 dei 450 deputati mentre 72 hanno votato contro e 8
si sono astenuti.
In Italia la Camera dei deputati ha approvato
questa mattina con 202 sì, 157 voti contrari e 30 astenuti il provvedimento che
recepisce nell'ordinamento italiano il mandato di arresto europeo. Il
provvedimento passerà ora all’esame del Senato. Oltre ai partiti di opposizione
dei Ds e della Margherita, ha votato contro il testo, per motivi diversi, anche
la Lega, da sempre contraria al recepimento del mandato d’arresto europeo
nell’ordinamento giudiziario italiano. Ad astenersi sono stati Verdi, Socialisti
democratici, Pdci e Rifondazione comunista.
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