RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 133 - Testo della trasmissione di mercoledì 12 maggio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

All’udienza generale il Papa invita a pregare per la pace nel mondo, specialmente in Iraq e nel Medio Oriente. Ed esorta a non lasciarsi prendere dal groviglio oscuro della disperazione quando sembra che tutto sia perduto­

 

Ci sono progressi nel campo della libertà religiosa in Vietnam, ma c’è ancora molta strada da fare: ai nostri microfoni mons. Pietro Parolin

 

Le Canonizzazioni di domenica prossima in piazza San Pietro: oggi parliamo di don Luigi Orione che amava definirsi “il facchino di Dio”. Intervista con don Roberto Simionato.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Di fronte agli orrori e alle violenze raccontati ogni giorno dai media, c’è chi torna a parlare di scontro tra civiltà: con noi Magdi Allam e lo scrittore israeliano Alon Altaras

 

La Pontificia Università Lateranense celebra oggi 150 anni di fondazione della facoltà di Diritto civile: ce ne parla mons. Rino Fisichella.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’Associazione “Rondine cittadella della pace” ha consegnato questa mattina al Papa un piano di pace in “tre mosse” per fermare la guerra in Iraq, elaborato insieme ai francescani della Verna e ai monaci di Camaldoli

Sono sette le emergenze elencate dai vescovi del Guatemala in un documento diffuso al termine dell’Assemblea plenaria che si è conclusa il 7 maggio scorso

 

Peggiorano le condizioni di vita dei profughi sudanesi rifugiati nel Ciad

 

Due chiese cristiane incendiate, un numero imprecisato di vittime e molti feriti: è il bilancio degli scontri avvenuti ieri a Kano, la seconda città della Nigeria

 

Terza giornata di lavori del Congresso mondiale dei bambini contro il lavoro minorile in corso a Firenze

 

Da oggi a domenica prossima il quarto Simposio sull’ecumenismo promosso dal Centro internazionale brigidino di Farfa

 

24 ORE NEL MONDO:

Unanime condanna della comunità internazionale al video choc diffuso dalla guerriglia irachena, in cui si mostra la decapitazione di un ostaggio americano. Ancora combattimenti nel Paese

 

Violenta reazione israeliana dopo l’oltraggio ai cadaveri di sei soldati, ieri a Gaza: stamani uccisi tre palestinesi, mentre si tratta per la restituzione dei resti dei militari

 

Ad un passo da un accordo di pace in Sudan, dopo 20 anni di conflitto.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 maggio 2004

 

 

ALL’UDIENZA GENERALE IL PAPA INVITA A PREGARE PER LA PACE NEL MONDO,

SPECIALMENTE IN IRAQ E NEL MEDIO ORIENTE.

ED ESORTA A NON LASCIARSI PRENDERE DAL GROVIGLIO OSCURO

DELLA DISPERAZIONE QUANDO SEMBRA CHE TUTTO SIA PERDUTO­

 

L’Iraq e il Medio Oriente tormentate dalla guerra, anche oggi nel pensiero del Papa nel consueto appuntamento del mercoledì con i fedeli di tutto il mondo. Prima di accomiatarsi Giovanni Paolo II ha ricordato la festa della Beata Vergine Maria di Fatima che ricorre domani, e la memoria di tutti corre al pomeriggio del 13 maggio 1981, giorno dell’attentato al Santo Padre, proprio in Piazza San Pietro all’udienza generale. Sono passati 23 anni. Il servizio di Roberta Gisotti

 

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“Passata…. la notte della morte, sboccia l’alba del nuovo giorno”. Migliaia di pellegrini come sempre in piazza San Pietro per ascoltare la parola di Giovanni Paolo II, che stamane ha commentato il Salmo 29, un Inno di ringraziamento a Dio dopo “l’incubo della morte” e “la liberazione ottenuta dal Signore”. “Certo, il pericolo lasciato alle spalle è grave e riesce ancora a far rabbrividire; la memoria della sofferenza passata è ancora nitida e vivida; il pianto si è asciugato negli occhi solo da poco. Ma ormai è sorta l’aurora di un nuovo giorno; alla morte è subentrata la prospettiva della vita che continua.”

 

Questo Salmo – ha spiegato il Papa – dimostra “che non dobbiamo mai lasciarci irretire dal groviglio oscuro della disperazione, quando sembra che ormai tutto sia perduto.” La prospettiva della morte può infatti chiudere il cuore dell’uomo. Ma “certo,- ha aggiunto - non bisogna neppure cadere nell’illusione di salvarsi da soli, con le proprie risorse”, “tentazione che si insinua nel tempo del benessere”. Dunque l’intenso desiderio umano di una vittoria di Dio sulla morte diviene speranza di resurrezione, pienamente assicurata da Cristo.

 

Infine nei saluti il richiamo del Santo Padre per la pace.

 

“A tutti i presenti rinnovo l’invito di pregare per la pace nel mondo, specialmente in Iraq e Medio Oriente, perché col sostegno della comunità internazionale possano quelle care popolazioni incamminarsi decisamente sulla strada della riconciliazione del dialogo e della cooperazione”

 

E poi ancora l’invito a raccomandarsi alla Beata Vergine Maria di Fatima.

 

“Vi esorto a rivolgervi incessantemente e con fiducia alla Madonna, affidando a lei ogni vostra necessità”

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PROGRESSI NELL’ESERCIZIO DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA IN VIETNAM,

ANCHE SE C’E’ ANCORA MOLTO CAMMINO DA PERCORRERE:

NE PARLA MONS. PIETRO PAROLIN APPENA RIENTRATO DAL VIETNAM

 

Il sottosegretario della seconda Sezione della Segreteria di Stato, per i Rapporti con gli Stati, mons. Pietro Parolin, è appena rientrato dal Vietnam che ha visitato come capo di una delegazione della Santa Sede. Giovanni Peduto gli ha chiesto di parlarci di questa visita:

 

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R. – E’ stata la 13.ma visita di una delegazione della Santa Sede in Vietnam che, come le precedenti, si prefiggeva essenzialmente due scopi: prendere contatto con le autorità governative per promuovere i rapporti reciproci e trattare questioni attinenti alle relazioni tra Chiesa e Stato; incontrare la Conferenza episcopale, i vescovi e le comunità cattoliche di alcune diocesi. Questa visita, inoltre, riprendeva la prassi dell’incontro annuale, interrotta nel 2003 a causa degli avvicendamenti intervenuti a livello di Seconda Sezione della Segreteria di Stato. Abbiamo avuto la gioia di incontrare il presidente della Conferenza episcopale del Vietnam, i membri del Consiglio permanente della medesima e i vescovi della Provincia ecclesiastica di Hanoi. Si sono svolte due sessioni di lavoro con l’Ufficio per gli affari religiosi e visite di cortesia al vice ministro degli Affari Esteri e al vice presidente della Commissione per gli affari esteri del Comitato centrale del partito comunista del Vietnam. Siamo stati nelle diocesi di Xuân Lôc, nel Sud, e di Ban Mé Thuôt, negli altipiani centrali. Ad Hanoi abbiamo celebrato la Messa al Seminario Maggiore e dalle Suore Amanti della Croce; a Hôchiminville è stato organizzato un incontro con i rappresentanti delle istituzioni cattoliche dell’arcidiocesi.

 

D. – Potrebbe condividere con noi le sue impressioni sui risultati della visita? Ci sono progressi per quanto riguarda la libertà religiosa?

 

R. – La delegazione della Santa Sede è stata ricevuta con rispetto e direi quasi con cordialità, atteggiamenti che si è cercato di ricambiare. In più occasioni si è ribadito da parte vietnamita l’intenzione di lasciare indietro il passato e di guardare con fiducia al futuro e si è citata una recente Risoluzione del Comitato Centrale del Partito comunista, che considera i cattolici come cittadini “a pieno titolo” del Paese ed assicura la volontà del governo di “rispondere alle esigenze spirituali di quella parte della popolazione che professa una fede religiosa”. Ritengo che i colloqui con le autorità dell’Ufficio per gli affari religiosi siano stati utili, anche se rimangono questioni in attesa di risposta.Con sorpresa, siamo potuti andare in diocesi che non erano ancora state visitate dalla delegazione della Santa Sede: Xuân Lôc, la più grande del Paese, in cui i cattolici rappresentano circa il 30% della popolazione, e Ban Mé Thuôt, dove vivono una quarantina di minoranze etniche (i cosiddetti “Montagnards”) e dove, come è noto, ci sono tensioni. Su quanto accaduto agli inizi di aprile  abbiamo ricevuto informazioni dalle autorità locali. Come da programma, abbiamo celebrato la Messa con gli Ordinari e con rappresentanti delle diverse componenti diocesane, in un clima di profonda spiritualità e di intensa comunione ecclesiale. Particolarmente commovente è risultata la visita alla cattedrale di Ban Mé Thuôt, prevista in forma privata; al nostro arrivo abbiamo trovato la chiesa quasi gremita di fedeli che si erano radunati spontaneamente dopo aver saputo della presenza della delegazione. Successivamente abbiamo visitato la casa delle Suore di Maria Regina della Pace, Congregazione diocesana che lavora soprattutto fra i “Montagnards”. Lei mi chiede se c’è qualche progresso nell’esercizio della libertà religiosa in Vietnam. Dalle prime visite della delegazione della Santa Sede ad oggi sono passati ormai quindici anni e non si può negare che ci siano stati dei progressi. Abbiamo saputo che in alcune regioni le autorità hanno chiesto la collaborazione delle religiose nella cura degli ammalati di Aids; altrove è stata data l’autorizzazione a nuovi ingressi in Istituti religiosi. Credo, però, che ci sia ancora molto cammino da percorrere. E’ da auspicare, pertanto, che con il dialogo cresca la fiducia e si comprenda che la Chiesa cattolica chiede solo di poter esercitare liberamente la sua missione, ponendosi generosamente al servizio del Paese e dei suoi abitanti.

 

D. – Nei giorni scorsi, qualche agenzia di stampa ha diffuso informazioni riguardanti le nomine episcopali. Ci vuole dire qualcosa al riguardo?

 

R. – Uno dei temi trattati con le autorità governative è stata appunto quello della nomina dei vescovi che, a causa delle note circostanze, segue attualmente in Vietnam una procedura eccezionale, nella speranza che si giunga alla normalizzazione anche in questo campo. In questa ultima visita non sono mancati risultati che saranno resi noti al momento opportuno. Nel frattempo, sono uscite delle indiscrezioni che, ovviamente, sono responsabilità di chi le ha fatte. Si sono ovviamente affrontate anche altre questioni e si sono chieste informazioni su situazioni che meritano attenzione.

 

D. – La delegazione della Santa Sede ha incontrato vescovi, sacerdoti, religiosi e laici vietnamiti durante la visita. Qual è la sua impressione sulla Chiesa in Vietnam?

 

R. – Abbiamo trovato una Chiesa piena di vitalità e di entusiasmo, fiorente di vocazioni sacerdotali e religiose, consapevole della sua missione di annunciare il Vangelo e di vivere la comunione, inserita nella realtà del Paese e desiderosa di servire il bene comune. Vorrei far giungere ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli incontrati, tramite la Radio Vaticana, l’assicurazione della mia preghiera e i sentimenti della mia ammirazione. Vorrei inoltre assicurare loro che la delegazione ha trasmesso al Santo Padre i sentimenti di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e di attaccamento, devozione e fedeltà al Successore di Pietro che hanno manifestato in tutte le occasioni di incontro.

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DOMENICA 16 MAGGIO LA CANONIZZAZIONE DEL BEATO LUIGI ORIONE,

“FACCHINO DELLA CARITA'”

- Intervista con don Roberto Simionato -

 

Il suo biografo, Alessandro Pronzato, lo ha definito “Il folle di Dio", mentre Papa Luciani riconobbe in lui “lo stratega della carità”. Di se stesso, invece, amava ripetere: sono “il facchino della Divina Provvidenza". C’è un riflesso di verità in ognuna di queste espressioni, che raccontano la vita straordinaria di Don Luigi Orione. Domenica prossima, Giovanni Paolo II lo proclamerà Santo insieme ad altri cinque Beati. Nato ad Alessandria nel 1872 e morto a Sanremo nel 1940, all’età di 68 anni, don Orione è uno dei Santi del Novecento che ha scelto il servizio ai poveri come obiettivo del proprio servizio sacerdotale. Un servizio totale, creativo, che lo porterà a fondare due Congregazioni religiose: i Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Suore Missionarie della Carità, istituti che oggi contano duemila tra religiosi e religiose e tanti laici collaboratori. Giovanni Peduto ha chiesto al superiore generale degli Orionini, don Roberto Simionato, come è stato accolto l’annuncio della canonizzazione:

 

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R. – La notizia della canonizzazione era attesa da molto tempo. Quando il Santo Padre ha annunciato la data ufficiale del 16 maggio, si è sparsa immediatamente per tutte le nostre comunità. Abbiamo lanciato uno slogan: “Guarderanno Lui, guarderanno noi”, ad indicare che, quando in Piazza San Pietro sarà scoperta l’immagine del nuovo Santo, tutti guarderanno lui, ma subito dopo guarderanno noi, per vedere se i suoi figli e figlie sono simili al Padre. Vorranno scoprire in noi la fisionomia di don Orione. Per noi, quindi, è una festa, ma più ancora un impegno di continuare l’opera e lo stile di vita del fondatore.

 

D. – Chi sono i poveri per don Orione?

 

R. – I poveri sono i contadini del suo Paese, la sua famiglia. Lui è figlio di un selciatore, si guadagna il pane, aiutando suo padre. Conoscendo la povertà in carne propria, si sente solidale con tutti i poveri che incontra nel suo cammino. I poveri sono, soprattutto, le masse operaie che si vanno allontanando dalla Chiesa, avvelenate dalle ideologie. Vive in carne propria la frattura tra il popolo e la Chiesa e il Papa e vuole fare un ponte con le opere di carità. E’ carità grande dare il pane, ma più ancora dare Gesù Cristo al popolo.

 

D. – Don Orione ha affidato tutta la sua vita alla Provvidenza: cos’era per lui la Provvidenza?

 

R. – La Provvidenza è Dio che pensa ai suoi figli. Don Orione sente che Dio è Padre e vuole che tutti, specialmente i più poveri, sperimentino che Dio è Padre. Per questo invita ad impegnarsi con opere di Carità. Chiama tanti giovani ad aiutarlo e chiama tanti benefattori ad essere Provvidenza per gli altri. Ai più privilegiati dice: “La banca della Divina Provvidenza è nelle vostre tasche. Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”.

 

D. – Può raccontare un episodio significativo della vita di don Orione?

 

R. – Durante il suo secondo viaggio in Argentina - ci andò due volte, nel 1921 e nel 1934 - don Orione vi rimase tre anni, fondando varie case in Brasile, Argentina e Paesi vicini. Si era spinto troppo e i suoi religiosi non bastavano più, ma prima di tornare in Italia, nel 1937, porta un suo missionario fino al Chaco, dove aveva trovato una situazione disastrosa: indigeni ed immigrati che vivevano in condizioni precarie, di abbandono spirituale. Don Orione aveva ordine di non aprire più case, ma in quella situazione scrisse al Visitatore, posto dalla Santa Sede, una lettera commovente: “Qui vengono tutti per il legno delle foreste o per l’”oro bianco” (il cotone), ma manca il prete. La gente vive male, senza fede e senza sacramenti. Mi lasci vivere e morire con questa povera gente”. Don Orione tornò in Italia, ma la Congregazione restò nel Chaco.

 

D. – Che fanno oggi le Congregazioni fondate da don Orione?

 

R. – Abbiamo scuole, parrocchie, missioni, opere di carità per disabili. Siamo molto conosciuti per i Piccoli Cottolengo. Ma Don Orione ci voleva flessibili, aperti alle opere più necessarie secondo i tempi e i luoghi. Siamo in trenta Paesi. Per fare qualche esempio: in Costa D’Avorio, Africa, i missionari hanno scoperto i disabili. Prima c’erano, ma li nascondevano in casa. Oggi col centro degli handicappati, tanti di loro sono riabilitati, camminano, vanno a scuola, sono integrati nella società. A Manila siamo andati a vivere nella discarica con i poveri di Payatas. Lì c’è una parrocchia con mille attività di promozione umana, dalla salute alla scuola. In Polonia si lavora con i sordomuti. In Romania, si raccolgono ragazzi e ragazze della strada e si sta iniziando il Piccolo Cottolengo. In Albania, abbiamo creato il villaggio della Pace, per promuovere il dialogo interetnico e così via.

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha nominato oggi arcivescovo metropolita di Korhogo, in Costa D’Avorio, mons. Marie Daniel Dadiet, attualmente vescovo di Katiola, nello stesso Paese. Contemporaneamente ha nominato vescovo di Katiola padre Ignace Bessi Dogbo, vicario generale della diocesi di Yopougon e parroco della cattedrale.  Padre  Ignace Bessi Dogbo, è nato il 17 agosto 1961 a Niangon-Adjamé, ed è stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1987 .

 

Sempre oggi il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Petrópolis in Brasile, presentata da mons. José Carlos de Lima Vaz, della Compagnia di Gesù, per raggiunti limiti di età.

Gli succede mons. Filippo Santoro, finora vescovo titolare di Tuscamia e ausiliare di São Sebastião di Rio de Janeiro. Mons. Filippo Santoro è nato il 12 luglio 1948, a Carbonara, in provincia di Bari. E’ stato ordinato sacerdote il 20 maggio 1972.

        

Quindi il Santo Padre ha nominato vescovo di Nova Friburgo in Brasile mons. Rafael Llano Cifuentes, finora vescovo titolare di Mades e ausiliare di São Sebastião di Rio de Janeiro.  Mons. Rafael Llano Cifuentes è nato a Città del Messico, il 18 febbraio 1933. Ordinato sacerdote il 20 dicembre 1959, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 giugno 1990. 

 

Infine Giovanni Paolo II ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Juiz de Fora in Brasile padre Paulo Francisco Machado, del clero della diocesi di Petrópolis, finora rettore del Seminario diocesano, assegnandogli la sede titolare vescovile di Caliabria. Mons. Paulo Francisco Machado è nato il 13 ottobre 1952, nella città di Andorinhas, nello Stato di Rio de Janeiro, ed è stato ordinato sacerdote l’11 dicembre del 1977.  

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il ricordo dell'attentato al Papa. Viene pubblicato un passo tratto dall'intervento di S.E. Rev.ma Mons. Stanislaw Dziwisz presso l'Università Cattolica di Lublino, 13 maggio 2001: "...Sono consapevole che il senso definitivo del mistero dell'attentato rimarrà negli inscrutabili voleri della Divina Provvidenza. Nondimeno a questo punto desidero esprimere una profonda convinzione: ce il sangue versato in Piazza San Pietro il 13 maggio fruttificò con la primavera della Chiesa dell'Anno 2000".

Sempre in prima, in rilievo l'esortazione del Papa - formulata all'udienza generale - a pregare per la pace in Iraq e in Medio Oriente, dove imperversa la ferocia. In Iraq è stato decapitato un civile statunitense; in Medio Oriente è stato fatto scempio dei corpi di militari israeliani uccisi a Gaza.

 

Nelle vaticane, un articolo del Cardinale Saraiva Martins dal titolo "Don Orione, lo stratega della carità": in vista della canonizzazione del fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza.  

 

Nelle estere, in rilievo la Nigeria, ancora segnata da sanguinosi incidenti di matrice etnica e religiosa.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Testi dal titolo "Quando la Parola assorbe le parole": un saggio sulla ricerca di Dio nella poesia italiana del Novecento.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la crisi irachena: la denuncia di torture scuote il Paese; le rivelazioni della vedova di un Carabiniere.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 maggio 2004

 

DI FRONTE AGLI ORRORI E ALLE VIOLENZE

RACCONTATI OGNI GIORNO DAI MEDIA, CRESCE LA PREOCCUPAZIONE

PER L’ESCALATION DI VIOLENZA IN IRAQ

E NEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE

- Interviste con l’editorialista Magdi Allam e lo scrittore israeliano Alon Altaras -

 

Di fronte agli orrori raccontati dai media ogni giorno, alle violenze di un uomo nei confronti di un altro uomo, sembra davvero che violenza chiami violenza e che la spirale dell’odio sia quasi irreversibile. C’è anche chi torna a parlare di scontro tra civiltà. E’ un’espressione alla quale si può attribuire significati diversi e che abbiamo ascoltato anche subito dopo l’11 settembre 2001. Ne fa accenno nel suo ultimo libro, che si intitola “Kamikaze made in Europe. Riuscirà l’Occidente a sconfiggere il fondamentalismo islamico?”, Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera e, in particolare, esperto del mondo mediorientale. Ascoltiamo la sua riflessione nell’intervista di Luca Collodi:

 

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R. – Chiariamo che la stragrande maggioranza dei musulmani sono moderati, sono pacifici e da sempre vogliono coesistere con gli altri popoli, le altre civiltà. E’ indubbio, però, che c’è una minoranza estremista, che fa riferimento ad Osama Bin Laden. Bin Laden già dal giugno del 1998 annunciò la formazione del Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei ed i crociati, e contro quelli che sono i valori fondanti della civiltà occidentale, primo fra tutti il concetto, il principio, il valore della sacralità della vita. Quando si legittima il massacro indiscriminato delle persone, ritenendo che ci sia una responsabilità oggettiva perfino dei bambini per il fatto che in un Paese c’è un regime considerato apostata ed infedele o comunque nemico, siamo di fronte a una chiara violazione della sacralità della vita. Credo che su questo punto oggi ci sia, a tutti gli effetti, uno scontro tra le civiltà.

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Rifiuta l’idea di uno scontro tra civiltà lo scrittore israeliano Alon Altaras, che esprime perplessità anche sull’espressione ‘strategia del terrore’. L’intervista è di Fausta Speranza:

 

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R. - Il termine scontro di civiltà così come quello di strategia dell’orrore, che devo dire è molto efficace, vengono usati un po’ semplicisticamente. Non penso che ci sia una strategia vera e propria di terrorismo del popolo palestinese contro lo Stato d’Israele. Lo fa perché è l’unica arma che hanno per combattere. Si tratta di degenerazioni. Chi usa il suicidio come arma politica ogni giorno mostra un grave disprezzo della vita umana, di se stesso e degli altri. Quei tre o dieci o 40 americani che hanno torturato le persone alle quali dovevano insegnare la democrazia, hanno fatto emergere l’animale che c’è dentro l’essere umano. E’ solo questo e non c’entrano i valori delle civiltà.

 

D. – E’ possibile, secondo lei, intravedere in ognuna delle parti qualcuno che porti avanti una proposta diversa da quella dell’odio e della violenza?  

 

R. – In Israele c’è una società civile, si levano delle voci che cercano di aprire spiragli di pace. Che pensano, per esempio, che l’occupazione israeliana, una delle più lunghe che esistono nel mondo moderno, ha distrutto sul piano etico lo Stato d’Israele. Lo Stato d’Israele è oggi meno etico e rispetta meno i diritti umani rispetto a 30 anni fa. Cioè l’occupazione comporta anche un danno etico molto profondo.  Penso che se se gli americani, gli inglesi o gli italiani rimarranno per esempio in Iraq per anni, piano piano il loro concetto di diritti umani o la convinzione di come ci si debba comportare con un altro che non sia della tua religione o delle tue tradizioni culturali, verrà meno.

 

D. – Intravede anche nel mondo palestinese vie diverse?

 

R. – Assolutamente sì. Sono certo che ci siano nel mondo palestinese, nella società palestinese voci che non vogliono che questa realtà vada avanti all’infinito. Per esempio, mi riferisco all’iniziativa dell’ex capo dei servizi segreti israeliani Ami Ayallon che, insieme con Sari Nusseibah un esponente palestinese di una certa importanza, hanno fatto firmare a migliaia di cittadini sia dell’Autorità palestinese, sia dello Stato israeliano, una petizione dove si parla della soluzione di due Stati per due popoli e dove il terrorismo viene condannato severamente. Sono riusciti ad arrivare a quasi 200 mila persone, il che mi sembra un buon segno. E’ il segnale forte che un popolo dà alla propria leadership per dirgli che è possibile un’altra via. E nel mondo palestinese ci sono anche altre organizzazione che credono in un dialogo e sono per me una grande fonte di speranza.

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LA PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE

 CELEBRA OGGI 150 ANNI DI FONDAZIONE DELLA FACOLTA’ DI DIRITTO CIVILE

- Servizio di Amedeo Lomonaco -

 

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Anno accademico 1853-1854: Papa Pio IX istituisce la Facoltà di diritto civile della Pontificia Università Lateranese con l’intento di ridisegnare l’insegnamento del diritto canonico e civile nello Stato Pontificio. A 150 anni da questa storica fondazione, la Lateranense ha celebrato, oggi, tale ricorrenza con un seminario di studi giuridici incentrato sul tema “Libertà religiosa e tolleranza”. Sul significato della giornata di oggi ascoltiamo il rettore della Lateranense, mons. Rino Fisichella:

 

R. – La celebrazione di oggi vuole saper guardare al futuro, vuole dire che la Chiesa si pone in primo piano a livello della cultura ed anche della formazione giuridica. Desideriamo che questa celebrazione possa ricordare pienamente l’importanza di una formazione globale al diritto che sia capace di vedere e di ispirare delle norme conformi ai principi fondamentali. Principi che si ritrovano nella natura umana e che promuovono una difesa della dignità della persona.

 

D. - Come salvaguardare oggi, in un mondo drammaticamente segnato dalla violenza, il principio della libertà religiosa?

 

R. – Il Concilio Vaticano II, quarant’anni fa, emanò il documento, di grande rilievo, “Dignitatis Humanae”. Oggi, lo possiamo leggere davanti alle sfide che sono poste dinanzi a noi. Direi che la tolleranza non è sufficiente, poiché la tolleranza tende a livellare le religioni e a porle tutte sullo stesso piano rischiando di farle diventare delle opinioni. Ma le religioni non sono questo. Rappresentano, in realtà, una visione che si ha sulla vita e il rapporto che si ha con Dio. E’ quindi necessario che si entri all’interno dei contenuti che le religioni propongono; è anche necessario che si crei una cultura del rispetto, perché il rispetto ‘vede’ le differenze permettendo che in una società possano essere vissute ed esplicitate diverse religioni senza situazioni di violenza.  E lo fa nella dimensione di una conoscenza reciproca che consente una convivenza senza però sottovalutare la verità dei contenuti trasmessi dalle religioni.

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Nel pomeriggio sono inoltre previsti, in occasione del solenne Atto accademico, il saluto del cardinale Edmund Szoka, presidente della Pontificia Commissione della Città del Vaticano e l’intervento di Marcello Pera, presidente del Senato della Repubblica italiana.

 

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RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

CHIESA E SOCIETA’

12 maggio 2004

 

 

 

L’ASSOCIAZIONE “RONDINE CITTADELLA DELLA PACE” HA CONSEGNATO

 QUESTA MATTINA AL PAPA UN PIANO DI PACE IN “TRE MOSSE”

PER FERMARE LA GUERRA IN IRAQ, ELABORATO INSIEME AI FRANCESCANI

DELLA VERNA E AI MONACI DI CAMALDOLI

 

AREZZO. = Una Giornata di preghiera interreligiosa, una forza di pace euromediterranea, un’alleanza economica internazionale: sono le “tre mosse” proposte dall’associazione “Rondine Cittadella della pace” per porre fine al conflitto in Iraq. Insieme con i francescani della Verna e i monaci di Camaldoli, l’associazione “Rondine” ha elaborato un piano che è stato consegnato al Papa al termine dell’udienza generale di oggi. E proprio salutando i promotori dell’iniziativa, accompagnati da alcuni vescovi toscani, Giovanni Paolo II ha rinnovato l’invito a pregare per la pace nel mondo, specialmente in Iraq e nel Medio Oriente. La prima tappa del piano proposto dall’associazione “Rondine” sarà una Giornata di preghiera che si terrà il 21 maggio presso il santuario della Verna, con la partecipazione di cattolici, evangelici e ortodossi assieme ai rappresentanti delle principali autorità islamiche ed ebraiche d’Italia. La seconda tappa sarà la firma, entro la fine di maggio, di “un impegno politico comune”, sottoscritto da tutti i partiti italiani e da personalità del mondo della cultura e della politica europee. La proposta prevede “la creazione di una forza militare euromediterranea che veda coinvolti Paesi estranei alla guerra”. La terza “mossa” sarà l’impegno a progettare forme di cooperazione economica internazionale, sempre sotto l’egida delle Nazioni Unite, che restituiscano all’Iraq solide prospettive per uno sviluppo equo. La Cittadella della pace, fondata dallo psicologo Franco Vaccari nel borgo medievale di Rondine alle porte di Arezzo, promuove l’incontro e il dialogo tra giovani che provengono da diverse parti del mondo, tra cui Russia, Cecenia, Medio Oriente e Balcani.

 

 

ARGINARE LA VIOLENZA DILAGANTE, COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE,

SOSTENERE I CONTADINI, PROMUOVERE IL DIRITTO ALLA SALUTE,

SONO LE PRIORITA’ INDICATE AL GOVERNO DAI VESCOVI DEL GUATEMALA

 

CITTA’ DEL GUATEMALA. = Sono sette le emergenze elencate dai vescovi del Guatemala in un documento diffuso al termine dell’assemblea plenaria che si è conclusa il 7 maggio scorso. Il documento, intitolato “Vita dignitosa per tutti”, analizza la situazione del Paese ed indica al governo le priorità da affrontare a breve e medio termine. Al primo posto i vescovi indicano “l’insicurezza e la violenza dilagante che segna in modo negativo questo momento storico”. Si tratta, spiega il documento, di “una violenza che ha diverse cause e pone in evidenza la crisi di valori che ha investito la nostra società”. I vescovi denunciano in particolare i delitti compiuti contro le donne, i bambini e i ragazzi: “In un contesto così instabile, si ricorre alla giustizia fai da te e questo non fa che aggravare un quadro già desolante. Esortiamo quindi le autorità ad intervenire, a garantire una maggiore sicurezza e a mettere in pratica la campagna di sensibilizzazione contro l’uso delle armi”. Tra le altre emergenze del Paese i vescovi indicano le piaghe della povertà e della disoccupazione che si accompagnano ad un drammatico aumento del costo della vita. La nota si sofferma quindi sulla difficile situazione dei contadini, molti dei quali sono ridotti alla fame. I vescovi esortano le autorità ad “aprire un dibattito sulla questione e di trovare nuove strade per rilanciare il settore” agricolo. Il documento richiama inoltre l’importanza di promuovere il “diritto alla salute”, anche attraverso “l’abbassamento dei prezzi dei farmaci, per consentire un’adeguata assistenza anche ai più poveri”.

 

PEGGIORANO LE CONDIZIONI DI VITA DEI PROFUGHI SUDANESI RIFUGIATI NEL CIAD.

APPELLO DELLA CARITAS INTERNAZIONALE E MEDICI SENZA FRONTIERE

 

CITTÀ DEL VATICANO E N’DJAMENA. = Occorrono oltre due milioni di dollari per soccorrere i profughi sudanesi fuggiti dalla guerra e rifugiatisi in Ciad: è l’appello lanciato dalla Caritas internazionale. Duncan McLaren, segretario generale della Caritas, ha recentemente visitato i campi profughi in Ciad e ha riferito che la situazione sta diventando un vero disastro umanitario: le condizioni igieniche sono pietose, vi è mancanza di acqua potabile ed è scarsa la reperibilità di carburante e legna da ardere per i campi, mentre il numero dei rifugiati continua ad aumentare. Anche l’organizzazione non governativa “Medici senza Frontiere” fa appello alla comunità internazionale affinché s’intervenga prontamente per far fronte all’emergenza umanitaria in Ciad. La situazione è aggravata dai numerosi attacchi da parte delle milizie arabe degli “Janjaweed” e dalla stagione delle piogge, cominciata questo mese, che ostacola l’arrivo degli aiuti umanitari. Questa settimana l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite distribuirà aiuti alimentari e suppellettili per la casa a circa 27 mila rifugiati. Fonti Onu calcolano che il conflitto nel Sudan abbia provocato 10 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati di cui circa 125 mila in Ciad. (G.L.)

 

 

DUE CHIESE CRISTIANE INCENDIATE, UN NUMERO IMPRECISATO DI VITTIME

E MOLTI FERITI: E’ IL BILANCIO DEGLI SCONTRI AVVENUTI IERI A KANO,

LA SECONDA CITTA’ DELLA NIGERIA

 

KANO. = Nuovi disordini sono scoppiati ieri a Kano, la seconda città della Nigeria, durante una manifestazione di protesta organizzata da gruppi musulmani. Due chiese sono state attaccate e incendiate, insieme con molte case e botteghe di cristiani, provocando un numero imprecisato di vittime e molti feriti, secondo quanto riferisce l’agenzia Misna. La manifestazione era stata promossa in risposta agli attacchi di presunti gruppi armati cristiani avvenuti lo scorso 2 maggio a Yelwa, nel vicino Stato del Plateau che, secondo fonti governative, avrebbero provocato circa duecento vittime. In un primo momento era stata diffusa la cifra di 600 morti negli scontri dell’inizio di maggio ma il bilancio è stato successivamente ridimensionato perché, riferiscono fonti della chiesa nigeriana raccolte dall’agenzia Fides, sono rientrati a Yelwa alcune centinaia di sfollati, la maggior parte donne e bambini, che si credeva fossero rimasti uccisi negli scontri. Il conflitto in corso, spiega la chiesa nigeriana, non ha origine religiosa ma etnica perché al centro delle violenze vi sono le etnie dei fulani, musulmani dediti all’allevamento del bestiame, che lottano per il controllo dei terreni migliori contro i Tarok, agricoltori cristiani.

 

 

NON BASTANO LE LEGGI AD ARGINARE LA PIAGA DELLO SFRUTTAMENTO DELL’INFANZIA: E’ LA DENUNCIA EMERSA DALLA TERZA GIORNATA DI LAVORI DEL CONGRESSO MONDIALE DEI BAMBINI

CONTRO IL LAVORO MINORILE IN CORSO A FIRENZE

- A cura di Laura Sposato -

 

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FIRENZE. = A dimostrazione di quanto sia attivo il ruolo dei ragazzi in questo Congresso mondiale, le tavole rotonde e i workshop sono stati interamente gestiti dai delegati under 14. Gli interlocutori erano di alto livello, a cominciare da Arnold Levine, vice sottosegretario per gli Affari Internazionali del Dipartimento del Lavoro negli Stati Uniti, che ha sostenuto con grande fermezza l’efficacia della legislazione americana contro il lavoro minorile. Ma i dati riferiti durante il Congresso e le drammatiche testimonianze di sfruttamenti, raccolte in questi giorni anche in Texas e in molte città americane, sembrano dimostrare il contrario. La rappresentante della direzione generale per lo sviluppo della Commissione Europea ha smentito il relatore americano. Anche in Europa esistono buone leggi contro il lavoro minorile per la difesa dei diritti dei bambini, ma questo non basta. Occorrono anche verifiche sensibili da parte dei Paesi dove è più grave la piaga dello sfruttamento, oltre al sostegno economico di tutti i governi. E invece in molti sono al di sotto dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo da destinare alla diffusione dell’istruzione, indispensabile per la lotta contro il lavoro minorile.

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DA OGGI A DOMENICA PROSSIMA IL QUARTO SIMPOSIO SULL’ECUMENISMO PROMOSSO DAL CENTRO INTERNAZIONALE BRIGIDINO DI FARFA,

- A cura di Giovanni Peduto –

 

FARFA.=  Il Centro Internazionale brigidino di Farfa, a nord di Roma, ha organizzato da oggi a domenica prossima il suo quarto Simposio ecumenico su come il ministero papale serve all’unità della Chiesa universale. Studiosi di tutta Europa, soprattutto dai Paesi scandinavi, approfondiranno il servizio dell’unità della Chiesa, che è lo specifico del ministero petrino, godendo della ospitalità delle Suore di Santa Brigida guidate dalla loro abbadessa, madre Tekla Famiglietti, che questo pomeriggio darà il benvenuto agli ospiti. Fra questi ricordiamo il danese Peder Nargaard-Hojen, professore di dommatica e teologia ecumenica presso l’università di Copenhagen e presidente del Comitato accademico del Centro internazionale brigidino di Farfa. Vi sarà pure il vescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense. Il Centro internazionale brigidino di Farfa vuol essere un luogo d’incontro per persone di diversi contesti confessionali e culturali, motivato dalla convinzione e che l’impegno delle Chiese nel movimento ecumenico, è cruciale non solo nella prospettiva delle loro credibilità ma anche della loro sopravvivenza in quanto Chiese.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 maggio 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza e Alessandro De Carolis -

 

Le immagini-choc dall’Iraq continuano a provocare sgomento, condanna e orrore. Sono i sentimenti espressi dopo la diffusione, ieri, via internet, del video con la decapitazione del prigioniero americano. A farlo, un gruppo integralista islamico vicino ad Al Qaeda. Il servizio di Giada Aquilino:

 

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Una guerra senza regole. Lo si era già capito che il conflitto in Iraq non conosceva confini. Nelle ultime ore se ne è avuta conferma. Un sito web islamico ha mostrato un video della decapitazione di un ostaggio statunitense, il tecnico delle telecomunicazioni Nick Berg. Il gesto è stato motivato dalla guerriglia irachena come ritorsione agli abusi imposti ai detenuti nel carcere di Abu Ghraib di Baghdad. Il video lascerebbe intendere che l'autore materiale della decapitazione possa essere stato Al Zarqawi, luogotenente di Bin Laden. Le immagini sono state mostrate oggi dalle emittenti arabe 'Al-Jazira' e 'Al-Arabiya', ma le due televisioni hanno scelto di interrompere la sequenza un istante prima dello scempio, perché - hanno fatto sapere - le immagini seguenti sarebbero state “insostenibili”.

 

Unanime è la condanna internazionale all’ennesima violenza dell’estremismo islamico iracheno. La Casa Bianca ha affermato che i responsabili dell'uccisione di Berg “saranno assicurati alla giustizia”, il premier britannico Blair ha giudicato l’atto come “barbaro e ingiustificato”. Intanto non scemano le polemiche sulle torture ai prigionieri iracheni. In Italia, dopo le rivelazioni alla stampa di una vedova di un carabiniere ucciso a Nassiriya, secondo cui gli iracheni arrestati sarebbero stati torturati e le relative informazioni sarebbero state comunicate a Roma, è giunta la smentita del Comando generale dell’Arma e del ministero della Difesa. Oggi l’argomento Iraq sarà affrontato al Question Time alla Camera.

 

Mentre la Danimarca pensa ad un prolungamento di sei mesi della propria missione in Iraq, le violenze nel Paese del Golfo non conoscono tregua. Almeno 25 combattenti sciiti del leader Al Sadr sono stati uccisi stanotte nella città santa di Kerbala. Proprio Al Sadr ha fatto sapere che scioglierà la sua milizia solo se a chiederglielo saranno i leader religiosi sciiti, ribadendo comunque di voler continuare a combattere contro gli americani. Sei soldati filippini, poi, sono morti ieri sera per un attacco alla base statunitense di Balad, nel cuore del 'triangolo sunnita'.

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E’ stata un’altra giornata di sanguinose ritorsioni in Medio Oriente. Cinque palestinesi sono stati uccisi e diversi altri sono rimasti feriti nello scoppio di alcuni razzi sparati da un elicottero israeliano nei pressi di una moschea e in altre circostanze, all’interno del quartiere Zeitun di Gaza City. Il quartiere Zeitun, teatro della rappresaglia, è lo stesso in cui ieri sono stati uccisi sei soldati israeliani. Proprio la morte dei sei militari e lo scempio dei loro cadaveri, compiuto da un gruppo di palestinesi davanti alle telecamere, ha scatenato la violenta reazione israeliana e l’indignazione del mondo intero. Ce ne parla Alessandro De Carolis:

 

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Un orrore da “cannibali”, da “bestie umane”. Con questi titoli i giornali israeliani hanno esecrato oggi l’oltraggio arrecato ieri ai cadaveri dei sei soldati morti a Gaza City. Un atto duramente condannato anche dagli Stati Uniti, che si sono detti “molto preoccupati e scioccati”. Secondo il sito internet del quotidiano israeliano Yedioth Aharonoth, in queste ore le truppe israeliane stanno setacciando casa per casa il quartiere Zeitun, dove sono morti ieri i sei soldati, nel tentativo di recuperare i resti dei loro commilitoni. Allo stesso scopo, una delegazione egiziana si sarebbe recata in Libano – secondo fonti dell’Ansa – ed avrebbe ottenuto l’assenso dal leader politico della Jihad Islamica, Ramadan Shalah, alla restituzione dei resti dei soldati israeliani che sarebbero nelle mani del suo movimento. Intanto, anche i palestinesi hanno risposto ai colpi dell’esercito avversario. Le Brigate Ezzedim Al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno annunciato di aver colpito oggi un blindato israeliano nel quartiere Zeitun di Gaza City e di aver anche filmato l'operazione. Un portavoce militare ha detto che secondo le informazioni in suo possesso un razzo anticarro è esploso accanto a un blindato ma senza colpirlo e senza causare danni. Scontri si sono verificati anche a Nablus, dove cinque miliziani palestinesi sono rimasti feriti in seguito all'esplosione di un ordigno che intendevano far esplodere al passaggio di un veicolo militare, nel campo profughi di Balata. L'esercito israeliano ha poi fermato un'ambulanza che stava trasportando uno dei feriti e lo ha arrestato.

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Il governo del Sudan e l’Esercito popolare di liberazione-Spla, il movimento ribelle che opera nel sud del Paese africano, sono giunti ad un’intesa sulle condizioni di un accordo di pace che potrà essere firmato prossimamente. La notizia, diffusa dal Dipartimento di Stato americano, rappresenta una concreta speranza per la fine del conflitto che insanguina da oltre vent’anni il sud Sudan. Sentiamo in proposito il commento di padre Carmine Curci, direttore della rivista dei missionari comboniani, Nigrizia, intervistato da Giancarlo La Vella:

 

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R. – Dal Sud Sudan, e dal Sudan in generale, la gente guarda a questa dichiarazione che viene dal Dipartimento di Stato con molta attenzione, soprattutto la vede con molta speranza, anche perché si rimanda, si rimanda e la gente dice: “Ci sarà, questa volta, finalmente, la pace?”. Noi speriamo che possa essere veramente e finalmente un segno positivo, anche se rimangono parecchi interrogativi. Però, già il tentativo di arrivare ad una pace definitiva per il Sudan è qualcosa di molto positivo.

 

D. – Perché il conflitto si è protratto per così tanto tempo?

 

R. – C’è la questione religiosa, anche se negli ultimi anni la questione del petrolio è prevalsa. Importanti sono gli interessi sulle risorse naturali, interessi di potere delle varie parti. L’intervento della comunità internazionale ha fatto sì che venga messa in primo piano la realtà della gente. La gente è stanca di questa guerra che si protrae da più di 20 anni, con milioni di morti, e che ha messo in pericolo le generazioni future.

 

D. – Quindi è presumibile che un accordo potrebbe riguardare proprio la divisione dei proventi del petrolio, per esempio?

 

R. – Sì, è questo che si chiede. Infatti, l’Esercito di liberazione del Sudan, lo Spla, chiedeva fin dall’inizio per lo meno il 50% sia per il Nord che per il Sud, proposta che il Nord non accettava. Con la pressione internazionale, si sta arrivando non solo ad accordi sul petrolio, ma anche ad una ripartizione del potere politico.

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In Sierra Leone il tribunale speciale per i crimini commessi tra il 1991 e il 2002, comincerà le sue udienze il 3 giugno prossimo, dopo essere stato inaugurato il 10 marzo scorso a Freetown. Sul banco degli imputati andranno tre ex membri delle milizie pro governative, in lotta contro il fronte rivoluzionario unito, Ruf. La sanguinosa guerra civile in quegli anni ha provocato oltre 200 mila morti.

 

Ore di attesa in India prima dell’annuncio ufficiale dei risultati elettorali, previsto per domani. Dopo il quinto e ultimo turno di ieri, si sono concluse le elezioni legislative nazionali, al termine di una lunga maratona che ha coinvolto in tutto il Paese circa 670 milioni di persone. I nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party (Bjp), al potere da molti anni, non godono questa volta dei favori pieni del pronostico. Il partito nazionalista indù potrebbe non ottenere la maggioranza assoluta sui 545 seggi totali di cui si compone la Camera bassa del Parlamento indiano. Un obiettivo insidiato dai buoni risultati che gli exit-poll accreditano al Partito del Congresso, guidato da Sonia Gandhi. Intanto, un segnale delle difficoltà per i nazionalisti di New Dehli viene dall’India meridionale, dove il loro maggiore partito alleato, il Telegu Desam, ha subito, dopo nove anni di governo, un’autentica disfatta elettorale alle regionali svoltesi nello Stato dell’Andra Pradesh, costata le dimissioni al capo del governo regionale, Chandrababu Naidu.

 

Le forze armate americane, sotto accusa per gli abusi inflitti ai detenuti in Iraq, hanno respinto la richiesta della commissione indipendente per i diritti umani afghani di visitare le carceri sotto la loro giurisdizione in Afghanistan. “Non abbiamo al momento nessuna intenzione di cambiare la nostra politica sull'accesso alle persone sotto il nostro controllo”, ha detto il generale David Barno, comandante delle forze americane nel Paese asiatico. Intanto, l'esercito Usa  fa sapere di aver aperto un'inchiesta in seguito alle accuse di maltrattamenti lanciate da un detenuto afghano, prigioniero nell'agosto del 2003 in due carceri militari americane in Afghanistan.

La riunione del gruppo di lavoro dei sei paesi impegnati nei colloqui sul programma nucleare della Corea del Nord è iniziata oggi a Pechino. Il gruppo di lavoro è stato creato dopo l'ultima tornata di colloqui a sei tra Corea del Nord, Corea del Sud, Usa, Cina, Giappone e Russia ed è alla sua prima riunione. I risultati dei colloqui sono incerti dato che nessuno dei due principali antagonisti, gli Usa e la Corea del Nord, appare disposto a cedere alle richieste della controparte. Washington chiede un disarmo nucleare “completo ed immediato”, mentre la Corea del Nord ha offerto un congelamento “parziale” dei propri programmi nucleari in cambio di un “compenso”.

 

C’è poi l’annuncio dell’avvio di un dialogo tra le due Coree. Si terranno il 26 maggio colloqui militari a livello di generali per ridurre le tensioni nella penisola. Sarà il primo incontro di militari ad alto livello dalla fine del sanguinoso conflitto che ha visto contrapposti il  Nord e il Sud nel 1953. Lo hanno reso noto oggi a Seul fonti ufficiali sudcoreane. I generali discuteranno come ridurre la tensione militare sulla linea di demarcazione, massicciamente fortificata, lungo il 38° parallelo. In particolare sarà discussa la situazione nelle acque contese tra i due Paesi nel Mar Giallo, teatro in un recente passato di scontri navali per reciproche accuse di sconfinamento di pescherecci.

 

La Duma russa ha oggi approvato la conferma di Mikhail Fradkov a primo ministro. Fradkov si era dimesso nei giorni scorsi, come vuole la Costituzione, in relazione all'insediamento di Vladimir Putin per il suo secondo mandato ma il presidente, come previsto lo aveva subito confermato. A favore di Fradkov, in un parlamento dominato dai centristi putiniani, hanno votato 356 dei 450 deputati mentre 72 hanno votato contro e 8 si sono astenuti.

 

In Italia la Camera dei deputati ha approvato questa mattina con 202 sì, 157 voti contrari e 30 astenuti il provvedimento che recepisce nell'ordinamento italiano il mandato di arresto europeo. Il provvedimento passerà ora all’esame del Senato. Oltre ai partiti di opposizione dei Ds e della Margherita, ha votato contro il testo, per motivi diversi, anche la Lega, da sempre contraria al recepimento del mandato d’arresto europeo nell’ordinamento giudiziario italiano. Ad astenersi sono stati Verdi, Socialisti democratici, Pdci e Rifondazione comunista.

 

 

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