RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 131 - Testo della trasmissione di lunedì 10 maggio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

       Annunciata la visita ufficiale a Londra, da domani a giovedì, del segretario per i rapporti con gli stati, mons. Giovanni Lajolo

 

Tra i sei Beati che saranno canonizzati domenica prossima dal Papa, c’è Giuseppe Mayanet y Vives, vissuto in Spagna nell’800: intervista con padre Everino Miri.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Migliaia di persone ai funerali del presidente ceceno filorusso Kadyrov. Il premier ceceno diventa presidente ad interim: il commento di Guido Olimpio

 

In fiamme l’oleodotto nel sud dell’Iraq e ancora scontri tra marines e miliziani di Moqtada Sadr, mentre si discute delle conseguenze dello scandalo torture: intervista con Stefano Silvestri

 

La nuova Europa aiuti la costruzione della pace mondiale: è l’auspicio dei vescovi in vista del rinnovo del Parlamento dell’Unione a giugno. Ai nostri microfoni mons. Aldo Giordano

 

La preoccupazione dei vescovi del Ciad per le difficili condizioni socio-economiche del Paese e per l’alta tensione nel sud: ce ne parla il padre comboniano, Fabrizio Colombo

 

Islam ed estremismo religioso: al centro di un dibattito al salone del libro di Torino. Con noi il prof. Khaled Fouad Allam.

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Papua Nuova Guinea fervono i preparativi per celebrare i 25 anni della presenza salesiana nel Pacifico del Sud

 

In corso a Ciampino l’Assemblea generale annuale delle Pontificie Opere Missionarie

 

Aperto oggi a Firenze il primo Congresso mondiale dei bambini

 

I profughi Hutu non vogliono ritornare in Rwanda perché troppo pericoloso

 

Presentati oggi a Roma i risultati di un programma per la costruzione di un sistema di giustizia minorile in Angola

 

La Romania conferisce un riconoscimento alla Comunità di Sant’Egidio per aver contribuito a realizzare il viaggio del Papa nel 1999

 

24 ORE NEL MONDO:

Ultima tornata elettorale in India per il rinnovo del Parlamento. Favorito il partito della destra nazionalista indù

 

In un ennesimo raid israeliano, ucciso un palestinese nella Striscia di Gaza

 

Le Filippine oggi al voto per le elezioni presidenziali. Favorito l’attuale presidente, Gloria Arroyo.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 maggio 2004

 

 

ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, e dodici presuli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d'America (Regione XI), in visita ad Limina.

 

In Sri Lanka, il Papa ha nominato nunzio apostolico l’arcivescovo Mario Zenari, finora nunzio apostolico in Costa d'Avorio, Burkina Faso e Niger.

 

 

VISITA UFFICIALE A LONDRA, DALL’11 AL 13 MAGGIO,

DEL SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI, MONS. GIOVANNI LAJOLO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

L’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con gli Stati, sarà in visita ufficiale a Londra dall’11 al 13 maggio prossimi, “su invito del governo del Regno Unito”. La notizia è stata resa nota questa mattina dalla Sala stampa vaticana. Nella nota, si preannunciano, tra gli altri, i colloqui istituzionali che il rappresentante della Santa Sede intratterrà con il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, e con il Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. Oltre alla visita che mons. Lajolo farà alle due Camere del Parlamento, il presule avrà colloqui anche con l’arcivescovo di Westminster, il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, e con l’arcivescovo di Canterbury, il dott. Rowan Williams, capo della Chiesa anglicana.

 

 

TRA I SEI BEATI CHE SARANNO CANONIZZATI DOMENICA PROSSIMA DAL PAPA,

C’E’ GIUSEPPE MAYANET Y VIVES, VISSUTO IN SPAGNA NELL’800

- Intervista con padre Everino Miri -

 

Tra i sei Beati che il Papa proclamerà Santi domenica prossima c’è Giuseppe Manyanet y Vives, nato nella provincia di Leida, in Spagna, il 7 gennaio del 1833. Cresciuto in una famiglia cristiana, da giovane lavorò per pagarsi gli studi, approfondendo quelli di filosofia e teologia per poi diventare sacerdote a 26 anni. In seguito scelse la vita religiosa e fondò due Congregazioni: quella maschile dei Figli della sacra Famiglia e quella femminile delle Missionarie Figlie della Sacra famiglia di Nazareth. Si tratta di istituti che contano oggi circa 300 religiosi, tra sacerdoti e seminaristi, e 500 religiose, presenti in alcuni Paesi dell’Europa, dell’America Latina, degli Stati Uniti.  Del tratto caratteristico del carisma di Giuseppe Mayanet y Vives ci parla, nell’intervista di Giovanni Peduto, il postulatore della causa di canonizzazione, padre Everino Miri:

 

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R. – Il carisma fondamentale, che in pratica si sviluppò in lui molto presto, nasce quando incomincia ad osservare che alcuni bambini potevano andare a scuola e tanti altri bambini invece non potevano. Pensò, quindi, di prendersi cura dei figli dei poveri, affinché potessero avere un’istruzione ed un’educazione prettamente cattolica. In tal modo comincia a radunare intorno a sé dei maestri, che saranno poi i suoi compagni e con i quali apre prima nel suo Paese natio una scuola e poi altre due in Paesi vicini. In tal modo cominciò l’opera di educazione e di istruzione cristiana della gioventù.

 

D. – Ha difeso, soprattutto, la famiglia dal crescente influsso del laicismo…

 

R. – Certo, anche perché il periodo in cui egli vive - potremmo dire -  era paragonabile a quello dei nostri tempi. C’era, quindi, una propaganda del tutto contraria allo spirito cristiano e alla formazione cristiana della famiglia attraverso il matrimonio-sacramento. Anche qui Giuseppe Manyanet parte da un principio molto importante e valido anche oggi: attraverso l’educazione dei bambini, dei fanciulli e dei giovani si possono formare le famiglie del domani. Una sorta di metodo preventivo, un modo cioè per pensare al futuro.

 

D. – Un episodio significativo della sua vita…

 

R. – Ebbe, in modo particolare, una profonda devozione per San Giuseppe, tanto è vero che ogni sera, nella sua casa, deponeva ai piedi di una scultura di San Giuseppe le chiavi della casa.

 

D. – E degli ultimi giorni della sua vita cosa ci dice?

 

R. – Negli ultimi 16 anni aveva sofferto veramente molto, perchè tre interventi nel costato gli avevano lasciato tre ferite aperte per tutti gli ultimi anni di vita. Chiamava queste ferite le Misericordie del Signore, accettandole con piena remissione alla volontà di Dio. E se le portò fino alla fine. Il padre Giuseppe Manyanet morì il 17 dicembre 1901. Celebrò l’ultima festa dell’Immacolata in comunità ma poi dovette ritirarsi in camera e da allora non ne uscì più. Essendo tanto devoto della Santa Famiglia, prima di morire pronunciò le parole: “Gesù, Giuseppe e Maria, ricevete quando io muoio l’anima mia”. Così ritornò al Padre. Quello che ha lasciato di importante per la famiglia è soprattutto questo spirito di incoraggiare le famiglie cristiane e le famiglie di tutto il mondo ad imitare la Sacra Famiglia, perché lui  diceva che ogni focolare deve diventare una Nazareth. Noi oggi diremmo, con parole più attuali: fare di ogni famiglia una santa famiglia.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Fratelli in Maria per aprire il cuore al rispetto senza riserve della dignità di ogni persona": Giovanni Paolo II, durante l'incontro per la recita del Regina Coeli, esorta ad accogliere il dono straordinario della maternità di Maria e il pressante invito alla conversione espresso dalla Vergine il 13 maggio a Fatima. 

 

Nelle vaticane, il Messaggio del Papa ai partecipanti all'Incontro "Insieme per l'Europa" svoltosi a Stoccarda. 

L'omelia del vescovo Adrianus Herman Van Luyn durante la Santa Messa celebrata a Santo Domingo de Silos all'inizio del pellegrinaggio al Santuario di Santiago de Compostela promosso dalla Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea.  

 

Nelle estere, in rilievo l'Iraq dove senza sosta proseguono i sanguinosi combattimenti fra truppe Usa e miliziani di al-Sadr.

Una riflessione dal titolo "Quel guinzaglio", in riferimento allo scandalo delle torture inflitte ai detenuti iracheni.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Giuseppe Costa in merito alla XVII edizione della "Fiera internazionale del libro" a Torino.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema del terrorismo.

 

 

 

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RADIO VATICANA

Radiogiornale

 

OGGI IN PRIMO PIANO

10 maggio 2004

 

 

MIGLIAIA DI PERSONE AI FUNERALI DEL PRESIDENTE CECENO FILORUSSO KADYROV.

IL PREMIER CECENO È PRESIDENTE AD INTERIM

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Migliaia di persone hanno partecipato oggi ai funerali del presidente ceceno filorusso, Akhmad Kadyrov, ucciso ieri in un attentato nello stadio di Grozny, dove erano in corso le commemorazioni della vittoria sul nazismo. Le esequie si sono tenute nel villaggio natale di Tsentoroi, circa 50 chilometri a sudest della capitale cecena, in un’atmosfera di massima allerta per paura di nuovi attacchi. Il governo locale ha preannunciato tre giorni di lutto e le autorità di Mosca hanno condannato l’attentato costato la vita a sei persone. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Vladimir Putin ha già parlato con il premier ceceno, Serghei Abramov, che è diventato presidente ad interim della Repubblica caucasica. Il capo del Cremlino gli ha chiesto di organizzare il lavoro: il mondo politico russo propone l’adozione di misure durissime e di imporre il comando presidenziale sulla Cecenia. Cinque persone, intanto, sono state fermate subito dopo l’attentato e a Grozny è serrata la caccia per scoprire eventuali infiltrati all’interno dei servizi di sicurezza locali. Non si capisce come una mina, nascosta tra le intercapedini, possa essere passata inosservata. Il presidente Putin ha promesso di punire i colpevoli della strage. Telegrammi di condoglianze sono arrivati da numerosi Paesi. “E’ un atto barbaro”, ha commentato il capo muftì russo.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Tra gli inquirenti, dunque, si fa strada l’ipotesi che l’azione terroristica sia stata organizzata con la complicità dell’apparato filorusso. Lo conferma Guido Olimpio, esperto di intelligence del Corriere della Sera, al microfono di Andrea Sarubbi:

 

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R. – E’ possibile che ci siano state delle infiltrazioni e che ci siano tuttora. Essere riusciti a mettere una bomba di quel tipo dentro lo stadio, che avrebbe dovuto essere sorvegliato, fa pensare a questo. E anche la stessa realtà cecena lo fa pensare. Ci sono molti clan, gruppi, sottogruppi, non solo la guerriglia ma anche lo stesso potere filo-russo può avere agevolato questa infiltrazione e la potrà agevolare anche in futuro.

 

D. – Nel tuo articolo sul Corriere della Sera di oggi, tu hai definito questa guerra “una guerra di capi”: in che senso?

 

R. – Nel senso che Mosca ha eliminato via via quasi tutti i capi del movimenti più radicali, perfino un omicidio in Qatar, a Doha, dove è stato assassinato Albayadev, ex presidente della Cecenia. D’altra parte, i ceceni fanno lo stesso. Insomma, è una guerra che non ha confini.

 

D. – Quante analogie ci sono tra la guerra russo-cecena e il conflitto israelo-palestinese?

 

R. – Direi moltissime. I due contendenti copiano quello che avveniva in Medio Oriente. I russi sicuramente si ispirano alle tecniche israeliane – mi riferisco in particolare agli omicidi mirati e al tentativo di decapitare il movimento separatista. I ceceni, ovviamente, si ispirano ai palestinesi ed ecco quindi l’uso estremo di kamikaze, le bombe in luoghi affollati ... insomma, c’è un’emulazione di tattiche e di obiettivi.

 

D. – A casa degli aspiranti kamikaze di Firenze c’erano anche dei video sugli attentati in Cecenia. Che ruolo gioca la Cecenia per gli estremisti islamici?

 

R. – Anzitutto, la Cecenia è considerata terra di Jihad e questo l’ha sempre detto, Osama Bin Laden, invitando i suoi seguaci a difenderla. Secondo elemento: in Cecenia c’è stato un afflusso costante e continuo di elementi provenienti dall’Europa e dal Medio Oriente, i cosiddetti volontari islamici. Poi ancora, la propaganda islamico-radicale si riferisce spessissimo alla Cecenia. E’ uno dei simboli, come lo è la Palestina, ma forse ancora di più proprio perché i ceceni sembrano più forti dei palestinesi nella loro lotta.

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DOPO UN SABOTAGGIO, E’ IN FIAMME L’OLEODOTTO NEL SUD

DELL’IRAQ, MENTRE PROSEGUONO GLI SCONTRI

TRA MARINES E MILIZIANI DEL LEADER SCIITA AL SADR.

IN GRAN BRETAGNA E STATI UNITI, NON SI PLACA LA POLEMICA

SULLE TORTURE INFLITTE AI PRIGIONIERI IRACHENI, DOPO LE NUOVE

DENUNCE DI AMNESTY INTERNATIONAL E CROCE ROSSA

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

L’Iraq ha dovuto interrompere, stamani, le esportazioni di petrolio dallo snodo nevralgico del sud del Paese, dopo che, sabato scorso, sabotatori hanno fatto saltare in aria l’oleodotto che rifornisce di greggio i principali terminali iracheni. Sul fronte settentrionale, alcuni uomini armati hanno ucciso due ingegneri, un sudafricano e un neozelandese, e il loro autista iracheno, in un agguato avvenuto nella città di Kirkuk. Sempre alta la tensione a Baghdad, dove l’esercito americano ha distrutto l’ufficio del leader radicale sciita, Moqtada Al Sadr, nel quartiere di Sadr City.

 

Nelle ultime ore, 19 militanti fedeli ad Al Sadr sono stati uccisi in combattimenti con i marines alla periferia della capitale irachena. Sette britannici sono rimasti, invece, feriti in un’esplosione avvenuta davanti ad un albergo di Baghdad. A Falluja, per la prima volta dall’entrata in vigore della tregua, un convoglio militare congiunto statunitense-iracheno, è entrato nella città sunnita, senza che si verificassero incidenti. 

 

Se, dunque, sul terreno la situazione resta calda, a Londra e Washington,  infiamma la polemica sulle torture ai prigionieri iracheni. Il governo britannico sapeva degli abusi e delle violenze già un anno fa, ha sostenuto Amnesty International che ricorda di aver avvertito Downing Street, nel maggio 2003, su torture ed uccisioni di prigionieri. Dal canto suo, la portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Antonella Notari, ha detto oggi alla Bbc che il governo britannico ha probabilmente ricevuto il rapporto preparato dalla Croce Rossa a febbraio, dopo 29 visite in 14 prigioni effettuate fra marzo ed ottobre dello scorso anno.

 

Il rapporto era stato consegnato al capo dell’Autorità provvisoria, Bremer, e al comandante della coalizione, generale Sanchez. Il primo ministro Blair ha, tuttavia, affermato che i suoi ministri hanno saputo degli abusi solamente dai giornali. Intanto, negli Usa si rafforzano le critiche all’amministrazione Bush, dopo la pubblicazione di nuove scioccanti foto sulle torture nel carcere di Abu Grahib. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Il primo incriminato per le torture nella prigione di Abu  Ghraib, il caporale Jeremy Sivits finirà davanti alla Corte marziale il 19 maggio. Ma questa notizia non è bastata a placare le polemiche sullo scandalo tra il New Yorker, che si prepara a pubblicare nuove foto, e le rivelazioni sugli abusi che continuano a moltiplicarsi. Le nuove foto del New Yorker mostrano un prigioniero nudo, minacciato da cani al guinzaglio. Le immagini vengono da un reparto diverso da quello accusato finora e quindi dimostrerebbero che gli abusi erano molto più diffusi. Sul piano politico, la questione centrale resta: “Chi ha ordinato le torture?”. Il Washington Post ieri ha scritto che nell’aprile del 2003 il Pentagono aveva approvato l’uso di tecniche eccezionali per gli interrogatori dei prigionieri a Guantanamo, ma esse non erano applicabili a Baghdad. Il deputato Steve Buyer, veterano della guerra del Golfo ed esperto legale, ha rivelato che aveva chiesto di essere riarruolato per verificare il trattamento dei prigionieri, ma il ministero della Difesa aveva rifiutato. Intanto, anche il premier britannico Blair, accusato di aver saputo per oltre un anno delle sevizie, si è scusato in pubblico.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Dito puntato, dunque, contro il capo del Pentagono, mentre sono in molti negli Stati Uniti, non solo tra i democratici, a chiedere le dimissioni di Rumsfeld. Oggi Bush sarà al Pentagono per ricevere un rapporto sulle sevizie inflitte da militari americani a detenuti iracheni. Una vicenda che rischia di scuotere la Casa Bianca, come spiega il prof. Stefano Silvestri, presidente dello Iai, l’Istituto affari internazionali, al microfono di Alessandro Gisotti:

 

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R. – Credo che, indubbiamente, Rumsfeld sia stato indebolito da questa vicenda, che viene dopo tutta la problematica della pacificazione dell’Iraq che già aveva indebolito il suo gruppo all’interno dell’amministrazione. D’altra parte, sacrificare Rumsfeld, per Bush, ha due aspetti negativi. Rumsfeld è strettamente legato con il suo vice-presidente, Cheney, e questo potrebbe provocare ulteriori sconquassi negli equilibri interni dell’amministrazione; inoltre, è abbastanza facile il rapporto Rumsfeld-presidente. Quindi, credo che per un certo periodo tenteranno in tutte le maniere di far passare questa tesi delle cosiddette “mele marce”, che hanno compiuto gli atti di tortura.

 

D. – Quali potranno essere sul terreno in Iraq i risvolti dello scandalo delle torture a danno dei prigionieri iracheni?

 

R. – In Iraq, questo naturalmente rafforza tutti i movimenti, anche quelli armati, contrari agli americani. Direi che rende più complessa la mediazione di Brahimi. Tuttavia, in un certo senso, gli dà anche una carta in più perché gli americani, a questo punto, hanno interesse a cercare di passare la mano, almeno per la parte politica, alle Nazioni Unite.

 

D. – Washington si è strenuamente opposta all’istituzione della Corte penale internazionale. La vicenda delle torture nelle prigioni irachene potrà avere qualche incidenza sulla posizione americana o per lo meno sull’opinione pubblica?

 

R. – Non credo. Credo che la posizione americana sulla Corte penale internazionale sia una posizione ben radicata nella tradizione costituzionale americana, cioè che gli americani devono essere giudicati da una Corte Usa. Certamente porrà dei problemi importanti, perché io credo che ci sia tensione e imbarazzo in America sul comportamento dei militari e soprattutto su questa specie di milizie private, che hanno agito in Iraq e anche in Afghanistan.

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DOPO IL MURO, LA NUOVA EUROPA AIUTI LA COSTRUZIONE DELLA PACE MONDIALE:

L’AUSPICIO DEI VESCOVI DELLA COMECE IN VISTA

DELLE ELEZIONI EUROPEE DI GIUGNO.

APPELLO AI CATTOLICI: IL VOTO, UN’OCCASIONE PER RIAFFERMARE

 I VALORI DEL VANGELO

- Intervista con mons. Aldo Giordano -

 

Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo sono “un’opportunità di concretizzare i nostri valori”. I vescovi della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, prendono posizione in vista della tornata che si svolgerà tra il 10 e il 13 giugno prossimo. Il primo dopo l’allargamento dell’Unione a 25 Stati, il voto di giugno – affermano i vescovi europei in una Dichiarazione – rappresenta un “dovere morale” per i cittadini comunitari e un’occasione particolare per i cattolici di impegnarsi per una costruzione della nuova Europa sulla scorta della sua eredità cristiana. Il segretario della Comece, mons. Aldo Giordano, intervistato da Alessandro De Carolis, è ottimista sulla possibilità che si arrivi ad affermare esplicitamente la presenza delle radici cristiane nel testo della nuova Costituzione europea:

 

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R. – Lo spazio c’è, perché la discussione dovrebbe essere ancora riaperta. E forse ci sono delle novità in questo senso, perché c’è una domanda nuova, creata da tragedie come il terrorismo. Anche il dibattito di questi mesi sul preambolo del Trattato ha creato una coscienza nuova. In questo momento, è ancora molto difficile dire se i capi di governo vorranno dedicare ancora molto tempo a questa discussione. Io spero di sì. D’altra parte, una voce si è levata chiara dall’Europa: sabato scorso, c’è stato il grande incontro di Stoccarda, che su questo tema si è pronunciato con forza. Dunque, si tratterà di vedere se alcuni Paesi saranno ancora contrari oppure se vorranno rivedere le loro opinioni.

 

D. – Con il prossimo voto delle elezioni europee, i cittadini comunitari, si legge nella dichiarazione della Comece, beneficeranno del privilegio della pace e della democrazia. Una sottolineatura tanto più forte ora che nell’Unione Europea sono confluiti Paesi che fino a poco tempo fa erano vittime del totalitarismo…

 

R. – Sembra che sia particolarmente urgente tornare a sottolineare che l’Europa è nata sull’idea della pace. L’Europa è stata il luogo di una guerra europea che è diventata guerra mondiale. Oggi noi vorremmo costruire una pace europea che dia un contributo alla pace mondiale. Il superamento di un’Europa divisa da un muro è certamente un passo e un contributo, per l’Europa e per il mondo, in questa direzione. Anche se l’Europa dopo il muro è un compito da costruire, non è una cosa automatica.

 

D. – La Comece, nella sua dichiarazione, pone all’attenzione del prossimo Parlamento europeo numerose questioni: sociali, politiche ma anche religiose. Quali sono quelle considerate più urgenti?

 

R. – Abbiamo già citato la pace. Ma molto importanti sono i temi legati alla persona e quindi tutto ciò che salva la vita e la sua dignità. Emerge poi il tema della famiglia: noi riteniamo che bisogna ridarle un contenuto, perché anche il termine ‘famiglia’ è diventato ormai retorico, svuotato di significato. E poi ci sono gli altri rapporti con le realtà della società civile, in primo luogo il rapporto con i più deboli, i più poveri e con chi subisce le ingiustizie.

 

D. – Qual è il pensiero dei vescovi della Comece, rispetto a quest’Europa che comincia a camminare ora come un grande continente e con tutta una serie di influssi che arrivano dall’area dell’est?

 

R. – Credo ci sia, fondamentalmente, una grande realtà di speranza, perché questo processo è una novità, un fatto storico unico. La preoccupazione che le Chiese e i vescovi hanno è di garantire a questo processo quella che chiamiamo un’anima. Ed è questo il luogo nel quale i cristiani si sentono responsabili.

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LA PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI DEL CIAD PER LE DIFFICILI

 CONDIZIONI SOCIO-ECONOMICHE DEL PAESE E DELL’ALTO LIVELLO

DI TENSIONE SOPRATTUTTO AL SUD: ESPRESSA IN UN RECENTE DOCUMENTO

- Intervista con il padre comboniano Fabrizio Colombo -

 

La preoccupazione dei vescovi del Ciad per l’instabilità politica e per le condizioni socio-economiche del Paese in continuo peggioramento, nonostante le promesse legate alla produzione del petrolio. L’hanno espressa in un recente documento in cui si ricorda che il conflitto nel vicino Sudan, in particolare nella regione del Darfur, ha provocato l’arrivo di oltre 100 mila profughi. In questo contesto, il presidente, Idriss Deby, vorrebbe modificare la Costituzione che, attualmente, non gli permetterebbe di essere rieletto. E anche questa intenzione viene criticata dai vescovi. Della loro presa di posizione Lucas Duran ha parlato con il padre comboniano Fabrizio Colombo, direttore della radio cattolica Lotiko, che trasmette dal sud del Ciad:

 

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R. – Quella che sottolineano i vescovi è la situazione del sud del Ciad, cioè una situazione socio-politica sempre più aggravata da tensioni. Ed è quello che stiamo vivendo: un conflitto tra coltivatori e agricoltori, coltivatori locali cristiani e allevatori musulmani che vengono da altre regioni. Gli agricoltori vedono invasi i loro campi e si creano tensioni. La cosa si è aggravata più o meno un mese fa, quando c’è stato un attacco di questi allevatori musulmani che hanno ucciso più di trenta persone, tra cui anche bambini. La situazione è davvero grave ed acquista connotazioni di guerra etnica, forse anche di guerra religiosa. Poi c’è la grande crisi energetica. Il Ciad, che da quasi un anno è entrato a far parte dei Paesi produttori di petrolio, si trova in una crisi energetica pazzesca. Nella capitale da mesi non possono essere assicurate  l’elettricità e l’acqua  in alcuni quartieri e in particolare in quelli del sud. Durante tutto il giorno non c’è mai alcuna erogazione.

 

D. – Le attuali tensioni potrebbero sfociare in un bagno di sangue?

 

R. – Credo di sì, trattandosi di una pentola a pressione che sta bollendo, prima o poi scoppierà. E’ quello che constatiamo giorno dopo giorno. La gente si trova davanti ad infrazioni dei diritti umani talmente forti da parte dei soliti criminali, dei soliti super potenti lì presenti, delle autorità che fanno il gioco dei corrotti, che non difendono gli innocenti, che la situazione difficilmente cambia. Quando una situazione così non cambia, la gente dopo un po’ si esaspera ed è facile arrivare ad un bagno di sangue.

 

D. – Nel loro documento i vescovi del Ciad esprimono anche grande perplessità sulla volontà espressa dal presidente Deby di voler cambiare la costituzione…

 

R. – In questa situazione di grave crisi sociale, politica, energetica, con il problema dei rifugiati, della corruzione e così via, la priorità non è quella di cambiare la costituzione, ma di creare delle istituzioni che possano effettivamente cambiare la situazione. Per esempio, l’istituzione del Senato da anni deve essere fatta ma non è mai stata realizzata; c’è poi la promessa di elezioni comunali che sarebbero le prime libere, perché sino ad ora i sindaci sono stati eletti direttamente dal presidente e sono tutti del partito al potere. Quindi, si ha paura che la situazione non migliori cambiando la costituzione ma che, anzi si aggravi.

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ISLAM ED ESTREMISMO RELIGIOSO:

UNA STORIA ANTICA CHE PARLA DI EMARGINAZIONE E INVOCA INTEGRAZIONE,

AL CENTRO DI UN DIBATTITO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

- Intervista con il prof. Khaled Fouad Allam -

 

Al Salone del libro di Torino, un nutrito gruppo di intellettuali occidentali e arabi, insieme con esponenti di religione cattolica, ortodossa e islamica, ha dato vita la settimana scorsa al World Political Forum, un’importante tavola rotonda  nata da un’idea di Mikhail Gorbaciov e dedicata al tema: “Stato e religioni a confronto”. Tra i relatori, il prof. Khaled Fouad Allam, saggista e docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste, ha tenuto un intervento di grande attualità: “Le radici del terrorismo nell’Islam”. Alessandro De Carolis lo ha intervistato:

 

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R. – La storia del Novecento ha costituito un po’ il paradigma sul quale si è costruito l’Islam politico. Nella storia del Novecento, nei rapporti tra Islam e Occidente, si è sviluppato, in un segmento dell’Islam, un odio quasi viscerale nei riguardi del mondo occidentale: odio culturale, odio sociale, odio politico.

 

D. – Quali sono le cause che hanno portato a questa esasperazione, a questo radicalismo?

 

R. – Prima di tutto, un complesso di inferiorità di matrice storica che ha fatto sì che questa parte dell’Islam si sia sempre sentita esclusa dai processi storici universali. Ciò ha creato una posizione di emarginazione per cui la violenza politica e il radicalismo sono diventate, per questa parte dell’Islam, il modo grazie al quale è possibile ricomporre questa asimmetria tra Occidente e Islam. Inoltre, a determinare questo fenomeno è stata un po’ tutta la ristrutturazione di un’intera società durante il Novecento, cioè il cambiamento strutturale subito da intere fasce sociali nel mondo islamico, interi gruppi che hanno perso in parte i loro punti di riferimento tradizionali. Su questi cambiamenti, si è costruito e nutrito il sentimento di inferiorità nei confronti dell’Occidente. Il Novecento nell’Islam significa anche, in un certo senso, la fine di quello che io chiamo “l’Islam antico” il quale, in sostanza, viveva in pace con se stesso.

 

D. – Guardando all’oggi e anche al futuro, in che modo secondo lei è possibile aiutare il mondo occidentale a restare lontano da un’equazione superficiale che vorrebbe dire musulmano, uguale terrorista, Islam, uguale guerra santa?

 

R. – Mi sembra che tutto quello che ha detto il Santo Padre in questi ultimi anni vada nel senso di un maggiore e autentico confronto con l’Islam. Ma questo confronto autentico passa, ovviamente, attraverso politiche d’integrazione e anche attraverso un nuovo sguardo che si interessi profondamente dei problemi all’interno del mondo musulmano. Sono problemi culturali, sociali e anche, talvolta, psicologici. Per arrivare a ciò, soltanto la cultura può aiutare veramente a costruire una nuova visione, una nuova dialettica nei confronti dell’altro. Questo mi sembra importante nel momento in cui l’Islam non è più definibile all’interno di uno spazio geografico, ormai globalizzato e mondializzato. Tutto sommato, l’Islam interroga oggi il cuore delle nostre società all’interno dell’Europa.

 

D. – Che ruolo attribuisce lei alle religioni nell’aiutare gli Stati a migliorare la loro capacità di costruire una convivenza pacifica globale?

 

R. – Credo che il discorso religioso dovrebbe aiutare a ricostruire un po’ questa realtà che abbiamo perso. In altre parole, il monoteismo, che sia ebraico, cristiano o musulmano, quando è guardato con autenticità, dovrebbe permettere di superare, di trascendere i conflitti etnici, linguistici e religiosi.

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CHIESA E SOCIETA’

10 maggio 2004

 

 

EVANGELIZZAZIONE E ISTRUZIONE DEGLI INDIGENI DELLA PAPUA NUOVA GUINEA:

SONO ALCUNI DEI FRUTTI DEL LAVORO DEI PADRI SALESIANI,

CHE STANNO PER CELEBRARE 25 ANNI IN MISSIONE NEL PACIFICO DEL SUD

 

PORT MORESBY. = In Papua Nuova Guinea fervono i preparativi per celebrare i 25 anni della presenza salesiana nel Pacifico del Sud. In questo lasso di tempo sono stati molteplici gli obiettivi raggiunti dai figli di San Giovanni Bosco: l’annuncio della Parola in diversi tribù e villaggi della foresta, il sostegno alla Chiesa locale in ogni attività di catechesi e formazione ed ancora l’istruzione di migliaia di giovani. Il primo missionario salesiano sbarcò nel Paese circa 25 anni fa, mentre nel luglio del 1994 il Rettore Maggiore e il suo Consiglio approvarono la costituzione della Delegazione di Papua Nuova Guinea. Nel Paese 35 salesiani e altri 10 studenti gestiscono sette grandi istituti educativi, sparsi per tutto il territorio: a Vanino, Rabaul e Port Meresby. Una scuola tecnica, una agricola, una primaria, diverse parrocchie e un centro di formazione salesiana stanno, inoltre, prendendo corpo. Nel Paese le opportunità di lavoro sono scarse e l’emigrazione è in crescita: la metà della popolazione, normalmente giovani, emigra in cerca di una vita migliore. In Papua Nuova Guinea il 66% della popolazione è cristiana e di questa il 22% cattolica. Vi si parlano 815 lingue indigene, la più diffusa è il Tok Pisin. (B.C.)

 

 

AIUTO ALLE CHIESE CHE SI TROVANO IN SITUAZIONI DIFFICILI E RILANCIO

DELLE ATTIVITÀ MISSIONARIE: SONO LE PRIORITA’ EMERSE DALL’ASSEMBLEA GENERALE ANNUALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE, IN CORSO A CIAMPINO

 

ROMA. = L’educazione dei cattolici all’amore per le missioni e l’impegno per l’annuncio del Vangelo, fino agli estremi confini della terra. Sono i temi centrali dell’Assemblea generale annuale delle Pontificie opere missionarie, in corso a Ciampino fino al prossimo 14 maggio. All’incontro, che ha lo scopo di prendere visione delle attività svolte dai quattro segretariati internazionali, è intervenuto il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, cardinale Crescenzio Sepe. “Il primo e principale dovere di ogni direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie - ha detto il porporato giovedì scorso, all’apertura dei lavori - è di sensibilizzare e animare tutto il popolo di Dio, in modo che ognuno prenda coscienza della propria radicale vocazione di rendere testimonianza a Cristo e di annunciare il suo Vangelo, secondo le proprie possibilità, a tutte le nazioni”. Il cardinale Sepe, che ha anche lanciato un appello per aiutare quelle Chiese che si trovano a operare in contesti difficili, si è congratulato per le molte esperienze di animazione missionaria realizzate in diversi Paesi del mondo. Le Pontificie Opere Missionarie costituiscono un’unica istituzione suddivisa nei seguenti rami: “Propagazione della fede”, per il sostegno a tutte le Chiese; “San Pietro Apostolo”, impegnata nella formazione del clero locale; “Infanzia missionaria”, per l’educazione dei ragazzi allo spirito missionario; “Unione missionaria”, volta alla formazione permanente dei religiosi e delle religiose. (A.L.)

 

 

CONTRO LO SFRUTTAMENTO DELL’INFANZIA E PER LA GARANZIA DELL’ISTRUZIONE:

CON QUESTO MANIFESTO SI E’ APERTO OGGI A FIRENZE

IL PRIMO CONGRESSO MONDIALE DEI BAMBINI

- A cura di Laura Sposato -

 

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FIRENZE. = La Global March diventa congresso ma non smette di marciare, anzi, diventa più forte davanti a quasi mille persone, con la partecipazione attiva di almeno 300 bambini, da oltre 40 Paesi del mondo. A Firenze, al Palazzo dei Congressi, dopo il saluto ufficiale del sindaco Domenici, è alle prime battute il primo Congresso mondiale dei bambini contro lo sfruttamento del lavoro. L’incontro è organizzato da Mani Tese - coordinatore europeo della Global March - e dai sindacati Cgil, Cisl e Uil. E’ stata scelta la via del Congresso mondiale, perché nel mondo un bambino su sei è sfruttato, cioè almeno 246 milioni, la maggior parte dei quali non andrà mai a scuola. E proprio i ragazzi salvati dallo sfruttamento, grazie all’alleanza lanciata dalla Global March contro il lavoro minorile, da oggi fino a giovedì faranno sentire la propria voce. Dal Congresso di Firenze uscirà una dichiarazione finale, che tutti i Paesi dovranno adottare perché ogni bambino possa giocare un ruolo decisivo nel futuro del mondo.

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I PROFUGHI HUTU NON VOGLIONO RITORNARE IN RWANDA

PERCHÉ TROPPO PERICOLOSO. LO DENUNCIANO ALL’ONU I RIFUGIATI NELLO ZIMBABWE SCAMPATI ALLO STERMINIO DEL 1994. IL PAESE AFRICANO OSPITA NUMEROSI PROFUGHI FUGGITI DALLE REGIONI DEI GRANDI LAGHI

 

KIGALI. = Nonostante le dichiarazioni del presidente del Rwanda, Paul Kagame, sulla sicurezza che regna nel Paese, migliaia di profughi preferiscono rimanere all’estero piuttosto che fare rientro nei propri villaggi. I rwandesi rifugiati in Zimbabwe, infatti, hanno scelto, per ora, di restare nel grande campo di Tongogara o nei sobborghi della capitale Harare. I profughi, più di tremila secondo le stime, lo hanno ribadito anche ai responsabili dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che da giorni stanno cercando invano di convincere i rwandesi di aderire al programma di rientro promosso dalle Nazioni Unite. “È ancora troppo insicuro tornare in Rwanda, perché la gente viene rapita da agenti governativi”: ha detto alla rete informativa dell’Onu, “Irin news”, John Bagabo, un rwandese che ha cercato riparo in Zimbabwe nel 1998 e da allora non è più tornato. Secondo “Irin news”, i rifugiati sono in gran parte hutu, fuggiti dallo sterminio di tutsi e hutu moderati nel 1994, dopo il quale prese il potere il Fronte patriottico rwandese di Kagame. In Zimbabwe si trovano anche altri diecimila rifugiati, provenienti dalla Repubblica democratica del Congo e dal Burundi, gli altri due Paesi della regione dei Grandi Laghi devastati da guerre che, negli ultimi anni, hanno messo in fuga centinaia di migliaia di persone. (G.L.)

 

PRESENTATI OGGI A ROMA I RISULTATI DI UN PROGRAMMA PER LA COSTRUZIONE

 DI UN SISTEMA DI GIUSTIZIA MINORILE IN ANGOLA.

 IL PROGETTO E’ STATO PROMOSSO DALL’UNICRI

 

ROMA. = In Angola il 50% della popolazione ha un’età inferiore ai 15 anni. Si tratta di bambini nati e cresciuti durante una guerra che si è protratta per quasi un trentennio. Pur essendo un Paese ricco di risorse, l’Angola combatte ancora contro la malnutrizione, le malattie e la mancanza di strutture. Garantire la protezione dei diritti dei minori e promuovere i processi di sviluppo e riconciliazione, rappresentano, quindi, passi indispensabili per la ricostruzione del Paese. E’ in questo contesto che è nato il progetto realizzato dall’Istituto Internazionale dell’Onu per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri), teso ad approvare un regolamento di legge sui minori, istituire un tribunale per i minori e creare centri di prevenzione e reinserimento. I risultati del programma sono stati illustrati stamani a Roma, in concomitanza con l’arrivo di una delegazione di giudici e funzionari responsabili della giustizia minorile in Angola. (B.C.)

 

 

LA ROMANIA CONFERISCE UN RICONOSCIMENTO ALLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO

PER AVER CONTRIBUITO A REALIZZARE IL VIAGGIO DEL PAPA NEL 1999

 

ROMA. = A cinque anni dalla visita di Giovanni Paolo II in Romania, il presidente Iliescu conferisce la decorazione al merito culturale alla Comunità di Sant’Egidio, nella persona del suo fondatore, Andrea Riccardi. Un riconoscimento alla Comunità, si legge in una nota, per il ruolo ricoperto proprio nel favorire la visita del Pontefice. La cerimonia avrà luogo domani in Romania. La visita di Giovanni Paolo II, ricorda ancora la Comunità di Sant’Egidio, fu davvero un fatto storico: era la prima volta, infatti, che il Papa si recava in un Paese ortodosso. L’avvenimento dell’11 maggio, che vedrà raccolti a Cotroceni, oltre agli alti rappresentanti del governo romeno, i capi delle chiese cristiane del Paese, rappresenta, dunque, “una nuova occasione di dialogo e di incontro, nella memoria di quegli avvenimenti eccezionali del 1998 e 1999: l’Incontro per la Pace di Bucarest e la visita di Giovanni Paolo II”. Nel pomeriggio dello stesso giorno, “sempre nello spirito di unità e di dialogo tra i cristiani”, verrà, inoltre, presentato il volume di Andrea Riccardi “Il secolo del martirio. I cristiani nel novecento”, edito dalla Editura Enciclopedică. (B.C)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 maggio 2004

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Urne aperte oggi in 12 Stati e 4 territori autonomi dell’India per 215 milioni di persone, chiamate a votare in 182 circoscrizioni nell’ultima fase delle elezioni parlamentari. I sondaggi prevedono un testa a testa tra il partito della destra nazionalista indù del primo ministro, Atal Behari Vajpayee, e quello dell’opposizione guidato da Sonia Ghandi. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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Oggi è il giorno della verità, per sapere se il governo di destra di Atal Behari Vajpayee riuscirà ad ottenere sufficienti consensi per ritornare al potere. Quasi tutti i sondaggi lo danno per favorito, ma la sua coalizione - attualmente formata da 22 partiti - potrebbe non raggiungere la maggioranza dei 272 seggi. In lizza in questa ultima giornata elettorale, che coinvolge anche la capitale, New Delhi, ci sono 182 seggi. Per avere un margine confortevole lo schieramento di Vajpayee deve conquistarne oltre 90, ma sarà difficile anche perché oggi si vota in stati come il Kerala e il Bengala, che sono le roccaforti dei partiti comunisti indiani. In questa fase, la più grande, in cui votano 200 milioni di indiani si gioca anche il destino del Congresso, il partito dell’opposizione guidato da Sonia Gandhi, la vedova dello statista assassinato nel ’91.

 

Da New Delhi, Maria Grazia Coggiola, per la Radio Vaticana.

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Nelle Filippine oltre 43 milioni di persone sono chiamate al voto per le presidenziali generali. Al termine di una turbolenta campagna elettorale l’attuale presidente, Gloria Arroyo, è data come favorita dai sondaggi. La vigilia della consultazione, che ha visto ieri i cinque candidati pregare insieme durante una messa celebrata nella più antica chiesa cattolica di Manila, è stata purtroppo contrassegnata da violenze e accuse di brogli.  A poche ore dall’apertura dei seggi, una granata lanciata contro il quartier generale della Arroyo ha infatti causato la morte di due persone e un’imboscata, perpetrata dai ribelli nell’isola meridionale di Mindanao, ha provocato altre 7 vittime.

 

Ancora violenze in Medio Oriente, dove l’esercito israeliano ha ucciso un palestinese  in un raid perpetrato la scorsa notte nel villaggio di Abu Dis, nella Striscia di Gaza. Intanto, ieri, a Gerusalemme si è tenuta un’accesa riunione di governo. Il nostro servizio:

 

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Un nuovo piano per il disimpegno dai Territori palestinesi entro tre settimane al posto di quello recentemente bocciato dal Likud, partito israeliano di maggioranza. E’ l’intenzione espressa ieri dal premier dello Stato ebraico, Ariel Sharon, durante una tesa riunione di governo. Il ministro delle Finanze – ha riferito la radio di Stato – ha affermato che il Likud è disposto ad accettare un piano diverso, anche implicante “rinunce dolorose” come lo sgombero di insediamenti, ma non in un momento in cui il Paese è bersaglio di un’offensiva terroristica palestinese. E sempre ieri Sharon ha inoltre confermato di aver rinunciato al viaggio che avrebbe dovuto compiere la prossima settimana negli Stati Uniti per incontrare il presidente americano, George Bush. Per dare un’ulteriore impulso al processo di pace in Medio Oriente, proseguono intanto gli sforzi della comunità internazionale. Proprio sul drammatico conflitto israelo-palestinese e la riforma democratica della società araba, si svolgerà a Tunisi, il 22 e 23 maggio prossimi, il vertice della Lega Araba. Un altro importante appuntamento è inoltre previsto a metà mese, in Germania, tra il premier palestinese, Abu Ala, ed il consigliere americano per la sicurezza, Coondoleeza Rice.

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Il ministro degli Esteri libico, Abdulrahman Shalgam, ha incontrato oggi al Cairo il collega saudita, Saud Al Faysal. L’incontro costituisce un importante riavvicinamento tra i governi di Libia e Arabia Saudita dopo l’episodio di tensione verificatosi prima della guerra in Iraq, nel vertice arabo di Sharm El Sheikh tra il principe ereditario saudita, Abdallah Ben Abdel Aziz, ed il leader libico Moammar Gheddafi.

 

Un nuovo impulso al processo di pace in Sri Lanka. E’ questo l’obiettivo della missione nel Paese asiatico del ministro degli Esteri norvegese, Jan Petersen, giunto oggi a Colombo per incontrare, dopo uno stallo di mesi nei colloqui tra miliziani e governo, il capo della guerriglia Tamil.

 

Le risorse naturali di Timor Est sono minacciate dalle pretese dell’Australia. Lo denuncia il presidente dell’ex colonia portoghese, Xanana Gusmao, secondo cui l’Australia starebbe contravvenendo al diritto internazionale con delle rivendicazioni sui ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale. A Timor Est un magistrato locale ha intanto emesso un mandato di arresto internazionale, con l’accusa di crimini contro l’umanità, per l’ex generale Wiranto, candidato alle elezioni presidenziali in Indonesia. Nel 1999 Wiranto ha guidato le truppe di Giacarta durante la sanguinosa campagna di attacchi condotti dai miliziani filo-indonesiani contro gli indipendentisti dell’ex colonia portoghese. In quella drammatica ondata di massacri, saccheggi e violenze, che hanno preceduto la conquista dell’indipendenza da parte di Timor Est, sono morte almeno 1400 persone.

 

In Giappone il leader dell’opposizione e presidente del Partito  democratico, Naoto Kan, ha  annunciato l’intenzione di dimettersi dopo lo scandalo, in cui è rimasto  coinvolto, dei contributi pensionistici non pagati.

 

Sul complesso tema della lotta al terrorismo si apre oggi a  Mount Vernon, negli Stati Uniti, la riunione dei ministri  dell’interno e della giustizia dei Paesi del G8. L’incontro si aprirà con l’intervento del direttore dell’Fbi, Robert Mueller, incentrato sulla cooperazione nazionale e internazionale fra le forze di polizia.

 

E un’importante operazione antiterrorismo condotta in Italia dalla Digos di Genova in collaborazione con quella di Firenze ha portato all’arresto, nel capoluogo toscano, di 5 presunti affiliati di Al Qaeda. Si tratta di cinque maghrebini che avrebbero coordinato attività per l’arruolamento e l’addestramento di kamikaze da inviare in Iraq. Tra i cinque uomini fermati c’è anche l’imam della moschea di Firenze Sorgane, l’algerino Mahamri Rashid, che secondo gli investigatori sarebbe il capo della cellula di Al Qaeda denominata ‘Ansar al Islam’.

 

Migliaia di somali sono fuggiti in Kenya in seguito agli scontri tra clan rivali che negli scorsi giorni hanno provocato almeno sette morti. Ne dà notizia la Croce Rossa kenyota, che precisa come almeno 2500 persone, molti dei quali donne e bambini, abbiano varcato ieri il confine con il Kenya. I combattimenti sono scoppiati tra due fazioni interne al clan Mareehan, che si contendono il territorio attorno alla città di Bulahawa, a circa 20 chilometri dalla città di Mandera, nel Kenya.

 

 

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