RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 131 - Testo della trasmissione di lunedì 10 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In corso a Ciampino l’Assemblea
generale annuale delle Pontificie Opere Missionarie
Aperto oggi a Firenze il primo
Congresso mondiale dei bambini
I profughi Hutu non vogliono
ritornare in Rwanda perché troppo pericoloso
Ultima
tornata elettorale in India per il rinnovo del Parlamento. Favorito il partito
della destra nazionalista indù
In
un ennesimo raid israeliano, ucciso un palestinese nella Striscia di Gaza
Le
Filippine oggi al voto per le elezioni presidenziali. Favorito l’attuale
presidente, Gloria Arroyo.
10
maggio 2004
ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata,
in successive udienze, il cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della
Conferenza episcopale italiana, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di
Milano, e dodici presuli della Conferenza episcopale degli Stati Uniti
d'America (Regione XI), in visita ad Limina.
In Sri
Lanka, il Papa ha nominato nunzio apostolico l’arcivescovo Mario Zenari, finora
nunzio apostolico in Costa d'Avorio, Burkina Faso e Niger.
VISITA
UFFICIALE A LONDRA, DALL’11 AL 13 MAGGIO,
DEL
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI, MONS. GIOVANNI LAJOLO
- A
cura di Alessandro De Carolis -
L’arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti
con gli Stati, sarà in visita ufficiale a Londra dall’11 al 13 maggio prossimi,
“su invito del governo del Regno Unito”. La notizia è stata resa nota questa
mattina dalla Sala stampa vaticana. Nella nota, si preannunciano, tra gli
altri, i colloqui istituzionali che il rappresentante della Santa Sede
intratterrà con il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, e con il
Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. Oltre alla visita che mons. Lajolo
farà alle due Camere del Parlamento, il presule avrà colloqui anche con
l’arcivescovo di Westminster, il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, e con
l’arcivescovo di Canterbury, il dott. Rowan Williams, capo della Chiesa anglicana.
TRA I SEI BEATI CHE SARANNO CANONIZZATI DOMENICA
PROSSIMA DAL PAPA,
C’E’ GIUSEPPE MAYANET Y VIVES, VISSUTO IN SPAGNA
NELL’800
- Intervista con padre Everino Miri -
Tra i sei Beati che il Papa proclamerà Santi domenica
prossima c’è Giuseppe Manyanet y Vives, nato nella provincia di Leida, in
Spagna, il 7 gennaio del 1833. Cresciuto in una famiglia cristiana, da giovane
lavorò per pagarsi gli studi, approfondendo quelli di filosofia e teologia per
poi diventare sacerdote a 26 anni. In seguito scelse la vita religiosa e fondò
due Congregazioni: quella maschile dei Figli della sacra Famiglia e quella
femminile delle Missionarie Figlie della Sacra famiglia di Nazareth. Si tratta
di istituti che contano oggi circa 300 religiosi, tra sacerdoti e seminaristi,
e 500 religiose, presenti in alcuni Paesi dell’Europa, dell’America Latina,
degli Stati Uniti. Del tratto
caratteristico del carisma di Giuseppe Mayanet y Vives ci parla,
nell’intervista di Giovanni Peduto, il postulatore della causa di
canonizzazione, padre Everino Miri:
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R. – Il carisma fondamentale,
che in pratica si sviluppò in lui molto presto, nasce quando incomincia ad
osservare che alcuni bambini potevano andare a scuola e tanti altri bambini
invece non potevano. Pensò, quindi, di prendersi cura dei figli dei poveri,
affinché potessero avere un’istruzione ed un’educazione prettamente cattolica.
In tal modo comincia a radunare intorno a sé dei maestri, che saranno poi i
suoi compagni e con i quali apre prima nel suo Paese natio una scuola e poi
altre due in Paesi vicini. In tal modo cominciò l’opera di educazione e di istruzione
cristiana della gioventù.
D. – Ha difeso, soprattutto, la
famiglia dal crescente influsso del laicismo…
R. – Certo, anche perché il
periodo in cui egli vive - potremmo dire -
era paragonabile a quello dei nostri tempi. C’era, quindi, una
propaganda del tutto contraria allo spirito cristiano e alla formazione
cristiana della famiglia attraverso il matrimonio-sacramento. Anche qui
Giuseppe Manyanet parte da un principio molto importante e valido anche oggi:
attraverso l’educazione dei bambini, dei fanciulli e dei giovani si possono
formare le famiglie del domani. Una sorta di metodo preventivo, un modo cioè
per pensare al futuro.
D. – Un episodio significativo
della sua vita…
R. – Ebbe, in modo particolare, una profonda devozione per
San Giuseppe, tanto è vero che ogni sera, nella sua casa, deponeva ai piedi di
una scultura di San Giuseppe le chiavi della casa.
D. – E degli ultimi giorni della
sua vita cosa ci dice?
R. – Negli ultimi 16 anni aveva
sofferto veramente molto, perchè tre interventi nel costato gli avevano
lasciato tre ferite aperte per tutti gli ultimi anni di vita. Chiamava queste
ferite le Misericordie del Signore, accettandole con piena remissione
alla volontà di Dio. E se le portò fino alla fine. Il padre Giuseppe Manyanet
morì il 17 dicembre 1901. Celebrò l’ultima festa dell’Immacolata in comunità ma
poi dovette ritirarsi in camera e da allora non ne uscì più. Essendo tanto
devoto della Santa Famiglia, prima di morire pronunciò le parole: “Gesù,
Giuseppe e Maria, ricevete quando io muoio l’anima mia”. Così ritornò al Padre.
Quello che ha lasciato di importante per la famiglia è soprattutto questo
spirito di incoraggiare le famiglie cristiane e le famiglie di tutto il mondo
ad imitare la Sacra Famiglia, perché lui
diceva che ogni focolare deve diventare una Nazareth. Noi oggi diremmo,
con parole più attuali: fare di ogni famiglia una santa famiglia.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina il titolo "Fratelli in Maria per aprire il cuore al rispetto
senza riserve della dignità di ogni persona": Giovanni Paolo II, durante
l'incontro per la recita del Regina Coeli, esorta ad accogliere il dono
straordinario della maternità di Maria e il pressante invito alla conversione espresso
dalla Vergine il 13 maggio a Fatima.
Nelle vaticane, il Messaggio
del Papa ai partecipanti all'Incontro "Insieme per l'Europa" svoltosi
a Stoccarda.
L'omelia
del vescovo Adrianus Herman Van Luyn durante la Santa Messa celebrata a Santo
Domingo de Silos all'inizio del pellegrinaggio al Santuario di Santiago
de Compostela promosso dalla Commissione delle Conferenze Episcopali
della Comunità Europea.
Nelle estere, in rilievo l'Iraq
dove senza sosta proseguono i sanguinosi combattimenti fra truppe Usa e
miliziani di al-Sadr.
Una
riflessione dal titolo "Quel guinzaglio", in riferimento allo scandalo
delle torture inflitte ai detenuti iracheni.
Nella pagina culturale, un
articolo di Giuseppe Costa in merito alla XVII edizione della "Fiera
internazionale del libro" a Torino.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema del terrorismo.
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Radiogiornale
10 maggio 2004
MIGLIAIA DI PERSONE AI FUNERALI DEL PRESIDENTE
CECENO FILORUSSO KADYROV.
IL PREMIER CECENO È PRESIDENTE AD INTERIM
- Intervista con Guido Olimpio -
Migliaia di persone hanno
partecipato oggi ai funerali del presidente ceceno filorusso, Akhmad Kadyrov,
ucciso ieri in un attentato nello stadio di Grozny, dove erano in corso le
commemorazioni della vittoria sul nazismo. Le esequie si sono tenute nel villaggio
natale di Tsentoroi, circa 50 chilometri a sudest della capitale cecena, in un’atmosfera
di massima allerta per paura di nuovi attacchi. Il governo locale ha
preannunciato tre giorni di lutto e le autorità di Mosca hanno condannato
l’attentato costato la vita a sei persone. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
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Vladimir Putin ha già parlato con il premier ceceno,
Serghei Abramov, che è diventato presidente ad interim della Repubblica
caucasica. Il capo del Cremlino gli ha chiesto di organizzare il lavoro: il
mondo politico russo propone l’adozione di misure durissime e di imporre il
comando presidenziale sulla Cecenia. Cinque persone, intanto, sono state fermate
subito dopo l’attentato e a Grozny è serrata la caccia per scoprire eventuali infiltrati
all’interno dei servizi di sicurezza locali. Non si capisce come una mina,
nascosta tra le intercapedini, possa essere passata inosservata. Il presidente
Putin ha promesso di punire i colpevoli della strage. Telegrammi di
condoglianze sono arrivati da numerosi Paesi. “E’ un atto barbaro”, ha
commentato il capo muftì russo.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Tra gli inquirenti,
dunque, si fa strada l’ipotesi che l’azione terroristica sia stata organizzata
con la complicità dell’apparato filorusso. Lo conferma Guido Olimpio, esperto
di intelligence del Corriere della Sera, al microfono di Andrea Sarubbi:
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R. – E’ possibile che ci siano state delle infiltrazioni e
che ci siano tuttora. Essere riusciti a mettere una bomba di quel tipo dentro
lo stadio, che avrebbe dovuto essere sorvegliato, fa pensare a questo. E anche
la stessa realtà cecena lo fa pensare. Ci sono molti clan, gruppi, sottogruppi,
non solo la guerriglia ma anche lo stesso potere filo-russo può avere agevolato
questa infiltrazione e la potrà agevolare anche in futuro.
D. – Nel tuo articolo sul Corriere della Sera di oggi, tu
hai definito questa guerra “una guerra di capi”: in che senso?
R. – Nel senso che Mosca ha eliminato via via quasi tutti
i capi del movimenti più radicali, perfino un omicidio in Qatar, a Doha, dove è
stato assassinato Albayadev, ex presidente della Cecenia. D’altra parte, i
ceceni fanno lo stesso. Insomma, è una guerra che non ha confini.
D. – Quante analogie ci sono tra la guerra russo-cecena e
il conflitto israelo-palestinese?
R. – Direi moltissime. I due contendenti copiano quello
che avveniva in Medio Oriente. I russi sicuramente si ispirano alle tecniche
israeliane – mi riferisco in particolare agli omicidi mirati e al tentativo di
decapitare il movimento separatista. I ceceni, ovviamente, si ispirano ai
palestinesi ed ecco quindi l’uso estremo di kamikaze, le bombe in luoghi affollati
... insomma, c’è un’emulazione di tattiche e di obiettivi.
D. – A casa degli aspiranti kamikaze di Firenze c’erano
anche dei video sugli attentati in Cecenia. Che ruolo gioca la Cecenia per gli
estremisti islamici?
R. – Anzitutto, la Cecenia è considerata terra di Jihad e
questo l’ha sempre detto, Osama Bin Laden, invitando i suoi seguaci a
difenderla. Secondo elemento: in Cecenia c’è stato un afflusso costante e
continuo di elementi provenienti dall’Europa e dal Medio Oriente, i cosiddetti
volontari islamici. Poi ancora, la propaganda islamico-radicale si riferisce
spessissimo alla Cecenia. E’ uno dei simboli, come lo è la Palestina, ma forse
ancora di più proprio perché i ceceni sembrano più forti dei palestinesi nella
loro lotta.
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DOPO
UN SABOTAGGIO, E’ IN FIAMME L’OLEODOTTO NEL SUD
DELL’IRAQ,
MENTRE PROSEGUONO GLI SCONTRI
TRA
MARINES E MILIZIANI DEL LEADER SCIITA AL SADR.
IN
GRAN BRETAGNA E STATI UNITI, NON SI PLACA LA POLEMICA
SULLE
TORTURE INFLITTE AI PRIGIONIERI IRACHENI, DOPO LE NUOVE
DENUNCE
DI AMNESTY INTERNATIONAL E CROCE ROSSA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
L’Iraq ha dovuto interrompere, stamani, le esportazioni di
petrolio dallo snodo nevralgico del sud del Paese, dopo che, sabato scorso,
sabotatori hanno fatto saltare in aria l’oleodotto che rifornisce di greggio i
principali terminali iracheni. Sul fronte settentrionale, alcuni uomini armati
hanno ucciso due ingegneri, un sudafricano e un neozelandese, e il loro autista
iracheno, in un agguato avvenuto nella città di Kirkuk. Sempre alta la tensione
a Baghdad, dove l’esercito americano ha distrutto l’ufficio del leader radicale
sciita, Moqtada Al Sadr, nel quartiere di Sadr City.
Nelle ultime ore, 19 militanti fedeli ad Al Sadr sono
stati uccisi in combattimenti con i marines alla periferia della capitale
irachena. Sette britannici sono rimasti, invece, feriti in un’esplosione
avvenuta davanti ad un albergo di Baghdad. A Falluja, per la prima volta
dall’entrata in vigore della tregua, un convoglio militare congiunto
statunitense-iracheno, è entrato nella città sunnita, senza che si
verificassero incidenti.
Se, dunque, sul terreno la situazione resta calda, a
Londra e Washington, infiamma la
polemica sulle torture ai prigionieri iracheni. Il governo britannico sapeva
degli abusi e delle violenze già un anno fa, ha sostenuto Amnesty International
che ricorda di aver avvertito Downing Street, nel maggio 2003, su torture ed
uccisioni di prigionieri. Dal canto suo, la portavoce del Comitato Internazionale
della Croce Rossa, Antonella Notari, ha detto oggi alla Bbc che il governo
britannico ha probabilmente ricevuto il rapporto preparato dalla Croce Rossa a
febbraio, dopo 29 visite in 14 prigioni effettuate fra marzo ed ottobre dello
scorso anno.
Il rapporto era stato consegnato al capo dell’Autorità
provvisoria, Bremer, e al comandante della coalizione, generale Sanchez. Il
primo ministro Blair ha, tuttavia, affermato che i suoi ministri hanno saputo
degli abusi solamente dai giornali. Intanto, negli Usa si rafforzano le
critiche all’amministrazione Bush, dopo la pubblicazione di nuove scioccanti
foto sulle torture nel carcere di Abu Grahib. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Il primo incriminato per le torture nella prigione di
Abu Ghraib, il caporale Jeremy Sivits
finirà davanti alla Corte marziale il 19 maggio. Ma questa notizia non è bastata
a placare le polemiche sullo scandalo tra il New Yorker, che si prepara
a pubblicare nuove foto, e le rivelazioni sugli abusi che continuano a moltiplicarsi.
Le nuove foto del New Yorker mostrano un prigioniero nudo, minacciato da
cani al guinzaglio. Le immagini vengono da un reparto diverso da quello
accusato finora e quindi dimostrerebbero che gli abusi erano molto più diffusi.
Sul piano politico, la questione centrale resta: “Chi ha ordinato le torture?”.
Il Washington Post ieri ha scritto che nell’aprile del 2003 il Pentagono
aveva approvato l’uso di tecniche eccezionali per gli interrogatori dei
prigionieri a Guantanamo, ma esse non erano applicabili a Baghdad. Il deputato
Steve Buyer, veterano della guerra del Golfo ed esperto legale, ha rivelato che
aveva chiesto di essere riarruolato per verificare il trattamento dei
prigionieri, ma il ministero della Difesa aveva rifiutato. Intanto, anche il
premier britannico Blair, accusato di aver saputo per oltre un anno delle
sevizie, si è scusato in pubblico.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Dito puntato, dunque, contro il capo del Pentagono, mentre
sono in molti negli Stati Uniti, non solo tra i democratici, a chiedere le
dimissioni di Rumsfeld. Oggi Bush sarà al Pentagono per ricevere un rapporto
sulle sevizie inflitte da militari americani a detenuti iracheni. Una vicenda
che rischia di scuotere la Casa Bianca, come spiega il prof. Stefano Silvestri,
presidente dello Iai, l’Istituto affari internazionali, al microfono di Alessandro
Gisotti:
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R. – Credo che, indubbiamente, Rumsfeld sia stato
indebolito da questa vicenda, che viene dopo tutta la problematica della
pacificazione dell’Iraq che già aveva indebolito il suo gruppo all’interno
dell’amministrazione. D’altra parte, sacrificare Rumsfeld, per Bush, ha due
aspetti negativi. Rumsfeld è strettamente legato con il suo vice-presidente,
Cheney, e questo potrebbe provocare ulteriori sconquassi negli equilibri
interni dell’amministrazione; inoltre, è abbastanza facile il rapporto
Rumsfeld-presidente. Quindi, credo che per un certo periodo tenteranno in tutte
le maniere di far passare questa tesi delle cosiddette “mele marce”, che hanno
compiuto gli atti di tortura.
D. – Quali potranno essere sul terreno in Iraq i risvolti
dello scandalo delle torture a danno dei prigionieri iracheni?
R. – In Iraq, questo naturalmente rafforza tutti i
movimenti, anche quelli armati, contrari agli americani. Direi che rende più
complessa la mediazione di Brahimi. Tuttavia, in un certo senso, gli dà anche
una carta in più perché gli americani, a questo punto, hanno interesse a
cercare di passare la mano, almeno per la parte politica, alle Nazioni Unite.
D. – Washington si è strenuamente opposta all’istituzione
della Corte penale internazionale. La vicenda delle torture nelle prigioni
irachene potrà avere qualche incidenza sulla posizione americana o per lo meno
sull’opinione pubblica?
R. – Non credo. Credo che la posizione americana sulla
Corte penale internazionale sia una posizione ben radicata nella tradizione
costituzionale americana, cioè che gli americani devono essere giudicati da una
Corte Usa. Certamente porrà dei problemi importanti, perché io credo che ci sia
tensione e imbarazzo in America sul comportamento dei militari e soprattutto su
questa specie di milizie private, che hanno agito in Iraq e anche in
Afghanistan.
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DOPO
IL MURO, LA NUOVA EUROPA AIUTI LA COSTRUZIONE DELLA PACE MONDIALE:
L’AUSPICIO
DEI VESCOVI DELLA COMECE IN VISTA
DELLE
ELEZIONI EUROPEE DI GIUGNO.
APPELLO
AI CATTOLICI: IL VOTO, UN’OCCASIONE PER RIAFFERMARE
I VALORI DEL VANGELO
-
Intervista con mons. Aldo Giordano -
Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo
sono “un’opportunità di concretizzare i nostri valori”. I vescovi della Comece,
la Commissione degli episcopati della Comunità europea, prendono posizione in
vista della tornata che si svolgerà tra il 10 e il 13 giugno prossimo. Il primo
dopo l’allargamento dell’Unione a 25 Stati, il voto di giugno – affermano i
vescovi europei in una Dichiarazione – rappresenta un “dovere morale” per i
cittadini comunitari e un’occasione particolare per i cattolici di impegnarsi
per una costruzione della nuova Europa sulla scorta della sua eredità cristiana.
Il segretario della Comece, mons. Aldo Giordano, intervistato da Alessandro De
Carolis, è ottimista sulla possibilità che si arrivi ad affermare
esplicitamente la presenza delle radici cristiane nel testo della nuova
Costituzione europea:
**********
R. – Lo spazio c’è, perché la discussione dovrebbe essere
ancora riaperta. E forse ci sono delle novità in questo senso, perché c’è una
domanda nuova, creata da tragedie come il terrorismo. Anche il dibattito di
questi mesi sul preambolo del Trattato ha creato una coscienza nuova. In questo
momento, è ancora molto difficile dire se i capi di governo vorranno dedicare
ancora molto tempo a questa discussione. Io spero di sì. D’altra parte, una voce
si è levata chiara dall’Europa: sabato scorso, c’è stato il grande incontro di
Stoccarda, che su questo tema si è pronunciato con forza. Dunque, si tratterà
di vedere se alcuni Paesi saranno ancora contrari oppure se vorranno rivedere
le loro opinioni.
D. – Con il prossimo voto delle elezioni europee, i
cittadini comunitari, si legge nella dichiarazione della Comece, beneficeranno
del privilegio della pace e della democrazia. Una sottolineatura tanto più
forte ora che nell’Unione Europea sono confluiti Paesi che fino a poco tempo fa
erano vittime del totalitarismo…
R. – Sembra che sia particolarmente urgente tornare a
sottolineare che l’Europa è nata sull’idea della pace. L’Europa è stata il
luogo di una guerra europea che è diventata guerra mondiale. Oggi noi vorremmo
costruire una pace europea che dia un contributo alla pace mondiale. Il
superamento di un’Europa divisa da un muro è certamente un passo e un
contributo, per l’Europa e per il mondo, in questa direzione. Anche se l’Europa
dopo il muro è un compito da costruire, non è una cosa automatica.
D. – La Comece, nella sua dichiarazione, pone
all’attenzione del prossimo Parlamento europeo numerose questioni: sociali,
politiche ma anche religiose. Quali sono quelle considerate più urgenti?
R. – Abbiamo già citato la pace. Ma molto importanti sono
i temi legati alla persona e quindi tutto ciò che salva la vita e la sua
dignità. Emerge poi il tema della famiglia: noi riteniamo che bisogna ridarle
un contenuto, perché anche il termine ‘famiglia’ è diventato ormai retorico,
svuotato di significato. E poi ci sono gli altri rapporti con le realtà della
società civile, in primo luogo il rapporto con i più deboli, i più poveri e con
chi subisce le ingiustizie.
D. – Qual è il pensiero dei vescovi della Comece, rispetto
a quest’Europa che comincia a camminare ora come un grande continente e con
tutta una serie di influssi che arrivano dall’area dell’est?
R. – Credo ci sia, fondamentalmente, una grande realtà di
speranza, perché questo processo è una novità, un fatto storico unico. La
preoccupazione che le Chiese e i vescovi hanno è di garantire a questo processo
quella che chiamiamo un’anima. Ed è questo il luogo nel quale i cristiani si
sentono responsabili.
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LA
PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI DEL CIAD PER LE DIFFICILI
CONDIZIONI SOCIO-ECONOMICHE DEL PAESE E
DELL’ALTO LIVELLO
DI
TENSIONE SOPRATTUTTO AL SUD: ESPRESSA IN UN RECENTE DOCUMENTO
-
Intervista con il padre comboniano Fabrizio Colombo -
La
preoccupazione dei vescovi del Ciad per l’instabilità politica e per le
condizioni socio-economiche del Paese in continuo peggioramento, nonostante le
promesse legate alla produzione del petrolio. L’hanno espressa in un recente documento
in cui si ricorda che il conflitto nel vicino Sudan, in particolare nella regione
del Darfur, ha provocato l’arrivo di oltre 100 mila profughi. In questo contesto,
il presidente, Idriss Deby, vorrebbe modificare la Costituzione che, attualmente,
non gli permetterebbe di essere rieletto. E anche questa intenzione viene
criticata dai vescovi. Della loro presa di posizione Lucas Duran ha parlato con
il padre comboniano Fabrizio Colombo, direttore della radio cattolica Lotiko,
che trasmette dal sud del Ciad:
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R. – Quella che sottolineano i vescovi è la situazione del
sud del Ciad, cioè una situazione socio-politica sempre più aggravata da
tensioni. Ed è quello che stiamo vivendo: un conflitto tra coltivatori e
agricoltori, coltivatori locali cristiani e allevatori musulmani che vengono da
altre regioni. Gli agricoltori vedono invasi i loro campi e si creano tensioni.
La cosa si è aggravata più o meno un mese fa, quando c’è stato un attacco di
questi allevatori musulmani che hanno ucciso più di trenta persone, tra cui
anche bambini. La situazione è davvero grave ed acquista connotazioni di guerra
etnica, forse anche di guerra religiosa. Poi c’è la grande crisi energetica. Il
Ciad, che da quasi un anno è entrato a far parte dei Paesi produttori di
petrolio, si trova in una crisi energetica pazzesca. Nella capitale da mesi non
possono essere assicurate l’elettricità
e l’acqua in alcuni quartieri e in
particolare in quelli del sud. Durante tutto il giorno non c’è mai alcuna erogazione.
D. – Le attuali tensioni potrebbero sfociare in un bagno
di sangue?
R. – Credo di sì, trattandosi di una pentola a pressione
che sta bollendo, prima o poi scoppierà. E’ quello che constatiamo giorno dopo
giorno. La gente si trova davanti ad infrazioni dei diritti umani talmente
forti da parte dei soliti criminali, dei soliti super potenti lì presenti,
delle autorità che fanno il gioco dei corrotti, che non difendono gli innocenti,
che la situazione difficilmente cambia. Quando una situazione così non cambia,
la gente dopo un po’ si esaspera ed è facile arrivare ad un bagno di sangue.
D. – Nel loro documento i vescovi del Ciad esprimono anche
grande perplessità sulla volontà espressa dal presidente Deby di voler cambiare
la costituzione…
R. – In questa situazione di grave crisi sociale,
politica, energetica, con il problema dei rifugiati, della corruzione e così
via, la priorità non è quella di cambiare la costituzione, ma di creare delle
istituzioni che possano effettivamente cambiare la situazione. Per esempio,
l’istituzione del Senato da anni deve essere fatta ma non è mai stata realizzata;
c’è poi la promessa di elezioni comunali che sarebbero le prime libere, perché
sino ad ora i sindaci sono stati eletti direttamente dal presidente e sono
tutti del partito al potere. Quindi, si ha paura che la situazione non migliori
cambiando la costituzione ma che, anzi si aggravi.
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ISLAM
ED ESTREMISMO RELIGIOSO:
UNA
STORIA ANTICA CHE PARLA DI EMARGINAZIONE E INVOCA INTEGRAZIONE,
AL CENTRO
DI UN DIBATTITO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
-
Intervista con il prof. Khaled Fouad Allam -
Al Salone del libro di Torino, un nutrito gruppo di
intellettuali occidentali e arabi, insieme con esponenti di religione
cattolica, ortodossa e islamica, ha dato vita la settimana scorsa al World
Political Forum, un’importante tavola rotonda nata da un’idea di Mikhail Gorbaciov e dedicata al tema: “Stato e
religioni a confronto”. Tra i relatori, il prof. Khaled Fouad Allam, saggista e
docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste, ha tenuto
un intervento di grande attualità: “Le radici del terrorismo nell’Islam”.
Alessandro De Carolis lo ha intervistato:
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R. – La storia del Novecento ha costituito un po’ il
paradigma sul quale si è costruito l’Islam politico. Nella storia del
Novecento, nei rapporti tra Islam e Occidente, si è sviluppato, in un segmento
dell’Islam, un odio quasi viscerale nei riguardi del mondo occidentale: odio
culturale, odio sociale, odio politico.
D. – Quali sono le cause che hanno portato a questa
esasperazione, a questo radicalismo?
R. – Prima di tutto, un complesso di inferiorità di
matrice storica che ha fatto sì che questa parte dell’Islam si sia sempre
sentita esclusa dai processi storici universali. Ciò ha creato una posizione di
emarginazione per cui la violenza politica e il radicalismo sono diventate, per
questa parte dell’Islam, il modo grazie al quale è possibile ricomporre questa
asimmetria tra Occidente e Islam. Inoltre, a determinare questo fenomeno è
stata un po’ tutta la ristrutturazione di un’intera società durante il Novecento,
cioè il cambiamento strutturale subito da intere fasce sociali nel mondo islamico,
interi gruppi che hanno perso in parte i loro punti di riferimento tradizionali.
Su questi cambiamenti, si è costruito e nutrito il sentimento di inferiorità
nei confronti dell’Occidente. Il Novecento nell’Islam significa anche, in un
certo senso, la fine di quello che io chiamo “l’Islam antico” il quale, in
sostanza, viveva in pace con se stesso.
D. – Guardando all’oggi e anche al futuro, in che modo
secondo lei è possibile aiutare il mondo occidentale a restare lontano da
un’equazione superficiale che vorrebbe dire musulmano, uguale terrorista,
Islam, uguale guerra santa?
R. – Mi sembra che tutto quello che ha detto il Santo
Padre in questi ultimi anni vada nel senso di un maggiore e autentico confronto
con l’Islam. Ma questo confronto autentico passa, ovviamente, attraverso
politiche d’integrazione e anche attraverso un nuovo sguardo che si interessi
profondamente dei problemi all’interno del mondo musulmano. Sono problemi
culturali, sociali e anche, talvolta, psicologici. Per arrivare a ciò, soltanto
la cultura può aiutare veramente a costruire una nuova visione, una nuova dialettica
nei confronti dell’altro. Questo mi sembra importante nel momento in cui
l’Islam non è più definibile all’interno di uno spazio geografico, ormai
globalizzato e mondializzato. Tutto sommato, l’Islam interroga oggi il cuore
delle nostre società all’interno dell’Europa.
D. – Che ruolo attribuisce lei alle religioni nell’aiutare
gli Stati a migliorare la loro capacità di costruire una convivenza pacifica
globale?
R. – Credo che il discorso religioso dovrebbe aiutare a
ricostruire un po’ questa realtà che abbiamo perso. In altre parole, il
monoteismo, che sia ebraico, cristiano o musulmano, quando è guardato con
autenticità, dovrebbe permettere di superare, di trascendere i conflitti
etnici, linguistici e religiosi.
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10
maggio 2004
EVANGELIZZAZIONE
E ISTRUZIONE DEGLI INDIGENI DELLA PAPUA NUOVA GUINEA:
SONO
ALCUNI DEI FRUTTI DEL LAVORO DEI PADRI SALESIANI,
CHE
STANNO PER CELEBRARE 25 ANNI IN MISSIONE NEL PACIFICO DEL SUD
PORT MORESBY. = In Papua Nuova
Guinea fervono i preparativi per celebrare i 25 anni della presenza salesiana
nel Pacifico del Sud. In questo lasso di tempo sono stati molteplici gli
obiettivi raggiunti dai figli di San Giovanni Bosco: l’annuncio della Parola in
diversi tribù e villaggi della foresta, il sostegno alla Chiesa locale in ogni
attività di catechesi e formazione ed ancora l’istruzione di migliaia di
giovani. Il primo missionario salesiano sbarcò nel Paese circa 25 anni fa,
mentre nel luglio del 1994 il Rettore Maggiore e il suo Consiglio approvarono
la costituzione della Delegazione di Papua Nuova Guinea. Nel Paese 35 salesiani
e altri 10 studenti gestiscono sette grandi istituti educativi, sparsi per
tutto il territorio: a Vanino, Rabaul e Port Meresby. Una scuola tecnica, una
agricola, una primaria, diverse parrocchie e un centro di formazione salesiana
stanno, inoltre, prendendo corpo. Nel Paese le opportunità di lavoro sono
scarse e l’emigrazione è in crescita: la metà della popolazione, normalmente
giovani, emigra in cerca di una vita migliore. In Papua Nuova Guinea il 66%
della popolazione è cristiana e di questa il 22% cattolica. Vi si parlano 815
lingue indigene, la più diffusa è il Tok Pisin. (B.C.)
AIUTO
ALLE CHIESE CHE SI TROVANO IN SITUAZIONI DIFFICILI E RILANCIO
DELLE
ATTIVITÀ MISSIONARIE: SONO LE PRIORITA’ EMERSE DALL’ASSEMBLEA
GENERALE ANNUALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE, IN CORSO A CIAMPINO
ROMA. = L’educazione dei cattolici all’amore per le
missioni e l’impegno per l’annuncio del Vangelo, fino agli estremi confini
della terra. Sono i temi centrali dell’Assemblea generale annuale delle
Pontificie opere missionarie, in corso a Ciampino fino al prossimo 14 maggio.
All’incontro, che ha lo scopo di prendere visione delle attività svolte dai
quattro segretariati internazionali, è intervenuto il prefetto della
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, cardinale Crescenzio Sepe. “Il primo
e principale dovere di ogni direttore nazionale delle Pontificie Opere
Missionarie - ha detto il porporato giovedì scorso, all’apertura dei lavori - è
di sensibilizzare e animare tutto il popolo di Dio, in modo che ognuno prenda
coscienza della propria radicale vocazione di rendere testimonianza a Cristo e
di annunciare il suo Vangelo, secondo le proprie possibilità, a tutte le nazioni”.
Il cardinale Sepe,
che ha anche lanciato un appello per aiutare quelle Chiese che si trovano a
operare in contesti difficili, si è congratulato per le molte esperienze di
animazione missionaria realizzate in diversi Paesi del mondo. Le Pontificie
Opere Missionarie costituiscono un’unica istituzione suddivisa nei seguenti
rami: “Propagazione della fede”, per il sostegno a tutte le Chiese; “San Pietro
Apostolo”, impegnata nella formazione del clero locale; “Infanzia missionaria”,
per l’educazione dei ragazzi allo spirito missionario; “Unione missionaria”,
volta alla formazione permanente dei religiosi e delle religiose. (A.L.)
CONTRO
LO SFRUTTAMENTO DELL’INFANZIA E PER LA GARANZIA DELL’ISTRUZIONE:
CON
QUESTO MANIFESTO SI E’ APERTO OGGI A FIRENZE
IL
PRIMO CONGRESSO MONDIALE DEI BAMBINI
- A
cura di Laura Sposato -
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FIRENZE. = La Global March diventa congresso ma non
smette di marciare, anzi, diventa più forte davanti a quasi mille persone, con
la partecipazione attiva di almeno 300 bambini, da oltre 40 Paesi del mondo. A
Firenze, al Palazzo dei Congressi, dopo il saluto ufficiale del sindaco
Domenici, è alle prime battute il primo Congresso mondiale dei bambini contro
lo sfruttamento del lavoro. L’incontro è organizzato da Mani Tese -
coordinatore europeo della Global March - e dai sindacati Cgil, Cisl e Uil. E’
stata scelta la via del Congresso mondiale, perché nel mondo un bambino su sei
è sfruttato, cioè almeno 246 milioni, la maggior parte dei quali non andrà mai
a scuola. E proprio i ragazzi salvati dallo sfruttamento, grazie all’alleanza
lanciata dalla Global March contro il lavoro minorile, da oggi fino a giovedì
faranno sentire la propria voce. Dal Congresso di Firenze uscirà una dichiarazione
finale, che tutti i Paesi dovranno adottare perché ogni bambino possa giocare
un ruolo decisivo nel futuro del mondo.
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I
PROFUGHI HUTU NON VOGLIONO RITORNARE IN RWANDA
PERCHÉ
TROPPO PERICOLOSO. LO DENUNCIANO ALL’ONU I RIFUGIATI NELLO ZIMBABWE SCAMPATI
ALLO STERMINIO DEL 1994. IL PAESE AFRICANO OSPITA NUMEROSI PROFUGHI FUGGITI DALLE REGIONI DEI GRANDI LAGHI
KIGALI. = Nonostante le
dichiarazioni del presidente del Rwanda, Paul Kagame, sulla sicurezza che regna
nel Paese, migliaia di profughi preferiscono rimanere all’estero piuttosto che
fare rientro nei propri villaggi. I rwandesi rifugiati in Zimbabwe, infatti,
hanno scelto, per ora, di restare nel grande campo di Tongogara o nei sobborghi
della capitale Harare. I profughi, più di tremila secondo le stime, lo hanno
ribadito anche ai responsabili dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che
da giorni stanno cercando invano di convincere i rwandesi di aderire al programma
di rientro promosso dalle Nazioni Unite. “È ancora troppo insicuro tornare in
Rwanda, perché la gente viene rapita da agenti governativi”: ha detto alla rete
informativa dell’Onu, “Irin news”, John Bagabo, un rwandese che ha cercato
riparo in Zimbabwe nel 1998 e da allora non è più tornato. Secondo “Irin news”,
i rifugiati sono in gran parte hutu, fuggiti dallo sterminio di tutsi e hutu
moderati nel 1994, dopo il quale prese il potere il Fronte patriottico rwandese
di Kagame. In Zimbabwe si trovano anche altri diecimila rifugiati, provenienti
dalla Repubblica democratica del Congo e dal Burundi, gli altri due Paesi della
regione dei Grandi Laghi devastati da guerre che, negli ultimi anni, hanno
messo in fuga centinaia di migliaia di persone. (G.L.)
PRESENTATI OGGI A ROMA I RISULTATI
DI UN PROGRAMMA PER LA COSTRUZIONE
DI UN
SISTEMA DI GIUSTIZIA MINORILE IN ANGOLA.
IL
PROGETTO E’ STATO PROMOSSO DALL’UNICRI
ROMA. = In Angola il 50% della popolazione ha un’età
inferiore ai 15 anni. Si tratta di bambini nati e cresciuti durante una guerra
che si è protratta per quasi un trentennio. Pur essendo un Paese ricco di
risorse, l’Angola combatte ancora contro la malnutrizione, le malattie e la
mancanza di strutture. Garantire la protezione dei diritti dei minori e
promuovere i processi di sviluppo e riconciliazione, rappresentano, quindi,
passi indispensabili per la ricostruzione del Paese. E’ in questo contesto che
è nato il progetto realizzato dall’Istituto Internazionale dell’Onu
per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri), teso ad approvare un regolamento di legge sui
minori, istituire un tribunale per i minori e creare centri di prevenzione e
reinserimento. I risultati del programma sono stati illustrati stamani a Roma,
in concomitanza con l’arrivo di una delegazione di giudici e funzionari responsabili
della giustizia minorile in Angola. (B.C.)
LA
ROMANIA CONFERISCE UN RICONOSCIMENTO ALLA COMUNITA’ DI
SANT’EGIDIO
PER AVER
CONTRIBUITO A REALIZZARE IL VIAGGIO DEL PAPA NEL 1999
ROMA. = A cinque anni dalla visita di Giovanni Paolo II in
Romania, il presidente Iliescu conferisce la decorazione al merito culturale
alla Comunità di Sant’Egidio, nella persona del suo fondatore, Andrea Riccardi.
Un riconoscimento alla Comunità, si legge in una nota, per il ruolo ricoperto
proprio nel favorire la visita del Pontefice. La cerimonia avrà luogo domani in
Romania. La visita di Giovanni Paolo II, ricorda ancora la Comunità di
Sant’Egidio, fu davvero un fatto storico: era la prima volta, infatti, che il
Papa si recava in un Paese ortodosso. L’avvenimento dell’11 maggio, che vedrà
raccolti a Cotroceni, oltre agli alti rappresentanti del governo romeno, i capi
delle chiese cristiane del Paese, rappresenta, dunque, “una nuova occasione di
dialogo e di incontro, nella memoria di quegli avvenimenti eccezionali del 1998
e 1999: l’Incontro per la Pace di Bucarest e la visita di Giovanni Paolo II”.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, “sempre nello spirito di unità e di dialogo
tra i cristiani”, verrà, inoltre, presentato il volume di Andrea Riccardi “Il
secolo del martirio. I cristiani nel novecento”, edito dalla Editura Enciclopedică.
(B.C)
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10
maggio 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Urne aperte oggi in 12 Stati e 4
territori autonomi dell’India per 215 milioni di persone, chiamate a votare in
182 circoscrizioni nell’ultima fase delle elezioni parlamentari. I sondaggi
prevedono un testa a testa tra il partito della destra nazionalista indù del
primo ministro, Atal Behari Vajpayee, e quello dell’opposizione guidato da
Sonia Ghandi. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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Oggi è il giorno della verità, per
sapere se il governo di destra di Atal Behari Vajpayee riuscirà ad
ottenere sufficienti consensi per ritornare al potere. Quasi tutti i sondaggi
lo danno per favorito, ma la sua coalizione - attualmente formata da 22 partiti
- potrebbe non raggiungere la maggioranza dei 272 seggi. In lizza in questa
ultima giornata elettorale, che coinvolge anche la capitale, New Delhi, ci sono
182 seggi. Per avere un margine confortevole lo schieramento di Vajpayee deve
conquistarne oltre 90, ma sarà difficile anche perché oggi si vota in stati
come il Kerala e il Bengala, che sono le roccaforti dei partiti comunisti indiani.
In questa fase, la più grande, in cui votano 200 milioni di indiani si gioca
anche il destino del Congresso, il partito dell’opposizione guidato da Sonia Gandhi,
la vedova dello statista assassinato nel ’91.
Da New
Delhi, Maria Grazia Coggiola, per la Radio Vaticana.
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Nelle Filippine oltre 43 milioni
di persone sono chiamate al voto per le presidenziali generali. Al termine di
una turbolenta campagna elettorale l’attuale presidente, Gloria Arroyo, è data
come favorita dai sondaggi. La vigilia della consultazione, che ha visto ieri i
cinque candidati pregare insieme durante una messa celebrata nella più antica
chiesa cattolica di Manila, è stata purtroppo contrassegnata da violenze e
accuse di brogli. A poche ore
dall’apertura dei seggi, una granata lanciata contro il quartier generale della
Arroyo ha infatti causato la morte di due persone e un’imboscata, perpetrata
dai ribelli nell’isola meridionale di Mindanao, ha provocato altre 7 vittime.
Ancora violenze in Medio Oriente,
dove l’esercito israeliano ha ucciso un palestinese in un raid perpetrato la scorsa notte nel villaggio di Abu Dis,
nella Striscia di Gaza. Intanto, ieri, a Gerusalemme si è tenuta un’accesa
riunione di governo. Il nostro servizio:
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Un nuovo piano per il disimpegno
dai Territori palestinesi entro tre settimane al posto di quello recentemente
bocciato dal Likud, partito israeliano di maggioranza. E’ l’intenzione espressa
ieri dal premier dello Stato ebraico, Ariel Sharon, durante una tesa riunione
di governo. Il ministro delle Finanze – ha riferito la radio di Stato – ha
affermato che il Likud è disposto ad accettare un piano diverso, anche
implicante “rinunce dolorose” come lo sgombero di insediamenti, ma non in un
momento in cui il Paese è bersaglio di un’offensiva terroristica palestinese. E
sempre ieri Sharon ha inoltre confermato di aver rinunciato al viaggio che avrebbe
dovuto compiere la prossima settimana negli Stati Uniti per incontrare il
presidente americano, George Bush. Per dare un’ulteriore impulso al processo di
pace in Medio Oriente, proseguono intanto gli sforzi della comunità internazionale.
Proprio sul drammatico conflitto israelo-palestinese e la riforma democratica
della società araba, si svolgerà a Tunisi, il 22 e 23 maggio prossimi, il
vertice della Lega Araba. Un altro importante appuntamento è inoltre previsto a
metà mese, in Germania, tra il premier palestinese, Abu Ala, ed il consigliere
americano per la sicurezza, Coondoleeza Rice.
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Il ministro degli Esteri libico,
Abdulrahman Shalgam, ha incontrato oggi al Cairo il collega saudita, Saud Al
Faysal. L’incontro costituisce un importante riavvicinamento tra i governi di
Libia e Arabia Saudita dopo l’episodio di tensione verificatosi prima della
guerra in Iraq, nel vertice arabo di Sharm El Sheikh tra il principe ereditario
saudita, Abdallah Ben Abdel Aziz, ed il leader libico Moammar Gheddafi.
Un nuovo impulso al processo di
pace in Sri Lanka. E’ questo l’obiettivo della missione nel Paese asiatico del
ministro degli Esteri norvegese, Jan Petersen, giunto oggi a Colombo per
incontrare, dopo uno stallo di mesi nei colloqui tra miliziani e governo, il
capo della guerriglia Tamil.
Le risorse naturali di Timor Est
sono minacciate dalle pretese dell’Australia. Lo denuncia il presidente dell’ex
colonia portoghese, Xanana Gusmao, secondo cui l’Australia starebbe
contravvenendo al diritto internazionale con delle rivendicazioni sui ricchi
giacimenti di petrolio e gas naturale. A Timor Est un magistrato locale ha
intanto emesso un mandato di arresto internazionale, con l’accusa di crimini
contro l’umanità, per l’ex generale Wiranto, candidato alle elezioni presidenziali
in Indonesia. Nel 1999 Wiranto ha guidato le truppe di Giacarta durante la
sanguinosa campagna di attacchi condotti dai miliziani filo-indonesiani contro
gli indipendentisti dell’ex colonia portoghese. In quella drammatica ondata di
massacri, saccheggi e violenze, che hanno preceduto la conquista
dell’indipendenza da parte di Timor Est, sono morte almeno 1400 persone.
In Giappone il leader
dell’opposizione e presidente del Partito
democratico, Naoto Kan, ha
annunciato l’intenzione di dimettersi dopo lo scandalo, in cui è rimasto coinvolto, dei contributi pensionistici non
pagati.
Sul complesso tema della lotta al
terrorismo si apre oggi a Mount Vernon,
negli Stati Uniti, la riunione dei ministri
dell’interno e della giustizia dei Paesi del G8. L’incontro si aprirà
con l’intervento del direttore dell’Fbi, Robert Mueller, incentrato sulla
cooperazione nazionale e internazionale fra le forze di polizia.
E un’importante operazione
antiterrorismo condotta in Italia dalla Digos di Genova in collaborazione con
quella di Firenze ha portato all’arresto, nel capoluogo toscano, di 5 presunti
affiliati di Al Qaeda. Si tratta di cinque maghrebini che avrebbero coordinato
attività per l’arruolamento e l’addestramento di kamikaze da inviare in Iraq.
Tra i cinque uomini fermati c’è anche l’imam della moschea di Firenze Sorgane,
l’algerino Mahamri Rashid, che secondo gli investigatori sarebbe il capo della
cellula di Al Qaeda denominata ‘Ansar al Islam’.
Migliaia di somali sono fuggiti in Kenya in seguito agli
scontri tra clan rivali che negli scorsi giorni hanno provocato almeno sette
morti. Ne dà notizia la Croce Rossa kenyota, che precisa come almeno 2500
persone, molti dei quali donne e bambini, abbiano varcato ieri il confine con
il Kenya. I combattimenti sono scoppiati tra due fazioni interne al clan Mareehan,
che si contendono il territorio attorno alla città di Bulahawa, a circa 20 chilometri
dalla città di Mandera, nel Kenya.
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