RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 128 - Testo della trasmissione di venerdì 7 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Convegno a Torino sul
confronto tra Stato e Religioni: con noi il priore di Bose Enzo Bianchi
Seconda giornata del
Congresso ecumenico internazionale a Stoccarda: ce ne parla Liliane Bertrand
CHIESA E SOCIETA’:
In Uganda arrestate sei persone
ritenute responsabili del brutale assassinio di padre Luciano Fulvi
Alla Colombia il triste primato
di violenza quotidiana
Suore malmenate e rapinate questa notte in un
convento di Cercola, in provincia di Napoli
Senza fine la violenza
in Iraq, nuove minacce di Bin Laden
Riprese questa mattina
le incursioni israeliane nel Libano del sud
Elezioni parlamentari in
Iran: vittoria scontata per i conservatori
Putin ha giurato: inizia
il secondo mandato al Cremlino.
7 maggio 2004
SI
INTENSIFICHI IN UCRAINA IL DIALOGO TRA CATTOLICI E ORTODOSSI:
È QUANTO HA DETTO OGGI IL PAPA
RICEVENDO IL NUOVO AMBASCIATORE UCRAINO PRESSO LA SANTA SEDE. GIOVANNI PAOLO II
INVITA IL PAESE A RAFFORZARE I RAPPORTI CON LE ALTRE NAZIONI EUROPEE
SENZA PERDERE LA PROPRIA IDENTITÀ
CRISTIANA
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Nel ricercare un legame più stretto con le altre nazioni
europee, il popolo ucraino non perda la propria identità culturale. E’ la
riflessione offerta da Giovanni Paolo II al nuovo ambasciatore dell’Ucraina
presso la Santa Sede, Grygorii Fokovych Khoruzhyi, ricevuto stamani in Vaticano
per la presentazione delle lettere credenziali. Il Papa ha assicurato che la
Chiesa cattolica “non mancherà di contribuire alla costruzione di una nazione
prospera e pacifica”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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La Santa Sede ritiene utili per il progetto della
collaborazione europea le aspirazioni del popolo ucraino a tessere un rapporto
più intenso con le altre nazioni del Vecchio Continente, purché conservi le
caratteristiche politiche e culturali che lo contraddistinguono. E’ quanto
affermato da Giovanni Paolo II, che ha sottolineato come l’Ucraina, “posta a crocevia
dell’Oriente e dell’Occidente”, potrà meglio assolvere la “sua missione di
incontro fra popoli e culture differenti, se manterrà intatta la propria
peculiare fisionomia”. Continuando ad operare in campo spirituale, sociale,
politico ed economico, l’Ucraina potrà, dunque, divenire un “significativo
laboratorio di dialogo, di sviluppo e di cooperazione con e per tutti”. Per
questo, ha avvertito il Pontefice, gli esponenti della politica, della cultura
e dell’economia devono mettere le proprie capacità al servizio di un autentico
progresso della patria, riservando speciale attenzione ai poveri, ai bambini e
ai giovani in cerca di lavoro.
Il Papa non ha mancato di ricordare il suo viaggio
apostolico in terra ucraina, tre anni fa. Il Vangelo, ha rilevato, “ha plasmato
la vita, la cultura e le istituzioni” dell’Ucraina per cui oggi è grande la sua
responsabilità “nel comprendere, difendere e promuovere la propria eredità
cristiana, tratto distintivo della Nazione, non intaccato in profondità neppure
dalla funesta dittatura del comunismo”. D’altro canto, ha proseguito, “non
posso non considerare che i discepoli di Cristo si presentano purtroppo ancora
divisi” nel Paese. Di qui, la necessità che il dialogo ecumenico prosegua e si
intensifichi “nel rispetto reciproco e nella ricerca costante dell’unità voluta
da Cristo”.
Riconoscendo, poi, che il governo di Kiev persegue una
politica di libertà religiosa, ha espresso l’auspicio che “si arrivi presto a
una definizione giuridica della Chiese, su un piano di effettiva parità tra
tutte”. Si è, inoltre, augurato “che vengano stipulati accordi soddisfacenti
nel più delicato ambito della restituzione dei beni ecclesiastici confiscati
durante la dittatura comunista”. Parole che assumono un significato particolare
a tre giorni dalla restituzione alla Chiesa, da parte del governo ucraino,
della residenza del vescovo della città di Leopoli, confiscata da Stalin, quasi
60 anni fa.
Dal canto suo, nell’indirizzo d’omaggio, l’ambasciatore ha
affermato che il popolo ucraino condivide pienamente la posizione della Santa
Sede volta a preservare le comuni radici cristiane dell’Europa unita, di cui
l’Ucraina si sente parte integrante. Quindi, si è soffermato sulle trasformazioni
economiche in corso nella ex Repubblica sovietica.
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Nato 57 anni fa, nella Regione di Poltava, l’ambasciatore
Grygorii Fokovych Khoruzhyi è sposato ed ha due figli. Laureato in Filosofia, è
stato console generale a Monaco dal 1995 al 1998, vice ministro
dell’Informazione dal 1998 al 1999 e consigliere di ambasciata presso la
Federazione Russa, negli ultimi tre anni. Parla russo, inglese, tedesco e
bulgaro.
L’Ucraina - indipendente del 1991 - ha un’estensione pari
a due volte quella dell’Italia e una popolazione di 48 milioni di abitanti. Di
questi, il 30 per cento sono cristiani ortodossi, l’8,2 di fede cattolica e il
3,5 protestante.
RICEVUTA IN VATICANO UNA DELEGAZIONE DELLA PAPAL
FOUNDATION,
ORGANISMO
CATTOLICO STATUNITENSE
A
SOSTEGNO DELL’ATTIVITA’ CARITATIVA DEL PAPA
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Tempo, talento e contributi economici messi a servizio
della missione universale del Papa. Su questo tipo di servizio hanno fondato la
propria attività i membri della Papal Foundation, una cinquantina dei
quali sono stati ricevuti questa mattina in Vaticano da Giovanni Paolo II, in
occasione della loro visita a Roma. Fondazione cattolica statunitense,
istituita nel 1990 dallo scomparso arcivescovo di Philadephia, il cardinale
John Krol, la Papal Foundation si incarica di raccogliere annualmente
dei fondi per sostenere le attività caritative del Pontefice.
Un’opera per la quale Giovanni Paolo II ha espresso molta
gratitudine: il dedicarvi a ciò “attraverso il dono generoso del vostro tempo,
talento e denaro – ha affermato il Papa – è un esempio concreto del vostro
amore e del vostro impegno nei riguardi della Chiesa e del Successore di
Pietro”.
TRA FASCINO E TRADIZIONE SI È SVOLTA IERI, IN AULA
PAOLO VI,
LA CERIMONIA PER IL GIURAMENTO DELLE RECLUTE
DELLE GUARDIE SVIZZERE,
IL CORPO ISTITUITO DA GIULIO II CHE
FESTEGGERA’, TRA DUE ANNI,
500
ANNI DI FONDAZIONE
-
Servizio di Amedeo Lomonaco -
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(Rullo dei tamburi)
Il rullo dei tamburi a scandire il passo delle guardie
nelle uniformi di gran gala mentre avanzano tra la meraviglia e gli applausi
della folla e la scintillante presenza delle alabarde hanno accompagnato
l’ingresso delle reclute della Guardia Svizzera Pontificia nell’Aula Paolo VI. La cerimonia, nella quale si
commemora anche il sacrificio di 147 soldati elvetici che morirono durante il
Sacco di Roma il 6 maggio del 1527 per difendere Papa Clemente VII, è quindi
proseguita con l’esecuzione dell’inno elvetico e di quello Pontificio. Successivamente
il cappellano della Guardia, Mons. Martin Beutler, ha pronunciato il proprio discorso,
incentrato sulla parola ‘nuovo’ e sul significato che questo termine assume per
il corpo istituito nel 1506 da Papa Giulio II. Quindi il cappellano ha letto il
testo del giuramento:
“Giuro di servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il
Sommo Pontefice Giovanni Paolo II e i suoi legittimi successori, come pure di
dedicarmi a loro con tutte le forze, sacrificando, ove occorra, anche la vita
per la loro difesa”...
Le nuove reclute, chiamate per nome, si sono quindi fatte
avanti ed ognuna, con la mano sinistra sulla bandiera della Guardia e la destra
alzata con le tre dita aperte, quale simbolo della Trinità, ha confermato e
giurato. Ammirate nei secoli da pellegrini e turisti per la caratteristica
foggia rinascimentale della loro divisa, il cui disegno viene attribuito
all’estro di Michelangelo, le Guardie Svizzere sono parte integrante della
Città del Vaticano. Un simbolo che suscita ammirazione, rispetto, curiosità e
che non sembra conoscere gli effetti del tempo. Al suggestivo evento, sempre
ricco di grande fascino, hanno partecipato - tra gli altri - il Sostituto per
gli Affari Generali della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri,
il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Giovanni
Lajolo, ed autorità svizzere e italiane.
(Marcia)
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Il Papa nel corso della mattina ha ricevuto in successive
udienze:l’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico in Costa d’Avorio, Niger
e Burkina Faso; l’arcivescovo Antonio Arcari, nunzio apostolico in Honduras; i
presuli statunitensi mons. Thomas J. Tobin, vescovo di Youngstown, e mons.
Leonard Paul Blair, vescovo di Toledo negli Usa, con l’ausiliare mons. Robert
William Donnelly, in visita ad Limina;il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto
della Congregazione per i Vescovi; e infine il cardinale Joseph
Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Sempre oggi il Santo Padre ha nominato vescovi ausiliari
dell’Ordinariato Militare degli Stati Uniti: mons. Richard Brendan Higgins, del
clero della diocesi di Sacramento in California, cappellano dell’Accademia
della Forza Aerea in Colorado Springs, assegnandogli la sede titolare vescovile
di Case Calane; e mons. Joseph Walter Estabrook, del clero della diocesi
di Albany (New York), cappellano della Marina in Pearl Harbor, assegnandogli la
sede titolare vescovile di Flenucleta.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In prima pagina un “blocco”
dedicato all’Ucraina.
Il discorso del Sostituto
della Segreteria di Stato, arcivescovo Leonardo Sandri, in occasione
della cerimonia di consegna della residenza episcopale requisita nel 1945 dal
regime sovietico, e l’omelia del presule durante la concelebrazione eucaristica
nella chiesa dedicata alla Madonna della Candelora, a Lviv.
Il discorso del Papa al nuovo
ambasciatore di Ucraina.
Nelle vaticane, l’udienza del
Santo Padre ai membri della “Papal Foundation”.
Nelle estere, in rilievo
l’Iraq, dove infuriano sanguinosi combattimenti.
Nella pagina culturale, un
articolo di Giovanni Lugaresi in merito ad una mostra, a Padova, dedicata a
Francesco Petrarca.
Una monografia sul tema:
“Caratteristiche e difficoltà della comunicazione nell’era della
multimedialità”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la vicenda Alitalia.
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7
maggio 2004
PER
RISOLVERE LA CRISI IRACHENA E MEDIORIENTALE
OCCORRE
TORNARE ALLA LEGALITA’ INTERNAZIONALE:
COSI’
IL CARDINALE TAURAN IN VISITA NEGLI STATI UNITI
-
Intervista con il porporato -
In
questi giorni il cardinale Jean-Louis Tauran, per lungo tempo segretario della
Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, si è recato in visita a New York, dove
ha ricevuto una laurea Honoris Causa e ha partecipato a vari dibattiti
sull’attualità internazionale. Paolo Mastrolilli lo ha incontrato per
chiedergli un commento sulla situazione in Iraq. Ascoltiamo quanto ha risposto:
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R. – Come era da prevedere è molto più difficile gestire
il periodo post-bellico rispetto al momento della guerra in se stessa. Si
tratta ora di favorire il ritorno alla normalità, alla sovranità, cercando di
dare al popolo iracheno la possibilità di esprimersi sul suo futuro e quindi
ridare al diritto internazionale, alla comunità internazionale il ruolo che
competono loro.
D. – In questi giorni negli Stati Uniti ci sono state
anche molte polemiche per i maltrattamenti, che sono avvenuti nella prigione di
Baghdad nei confronti dei prigionieri iracheni. Qual è il suo giudizio su
questo episodio e che impatto può avere nelle relazioni con le popolazioni del
Medio Oriente?
R. – Certo si tratta di fatti deplorevoli. Si deve inoltre
ricordare che c’è uno “jus in bello”, nel senso che non si può fare qualsiasi
cosa durante i periodi di guerra. Ciò che è importante è di ricordare la dignità
della persona umana; ci sono le Convenzioni di Ginevra che danno i riferimenti
essenziali per risolvere questi problemi. Certo è che le immagini hanno un
impatto molto forte sull’opinione pubblica araba e ci sono ora da temere delle
reazioni non sempre moderate. C’è bisogno ora di molta misura ed ovviamente è
necessario punire chi è responsabile di questi maltrattamenti.
D. – Cosa suggerisce per cercare di raggiungere
l’obiettivo di restituire la sovranità al popolo iracheno?
R. – Dare a tutte le componenti della società irachena la
possibilità di esprimersi e alla comunità internazionale di accompagnare un
processo di dialogo interno alla società irachena.
D. – La mancata soluzione del conflitto fra gli israeliani
ed i palestinesi è una delle ragioni dell’instabilità in Medio Oriente e che
probabilmente alimenta anche il terrorismo. Qual è il suo giudizio sulla situazione
nel processo di pace allo stato attuale?
R. –
La non risoluzione del conflitto israelo-palestinese, come ho detto anche recentemente,
è la madre di tutte le crisi. Una volta risolta questa crisi, le altre saranno
risolte. Si tratta di un problema di giustizia internazionale, che va risolto
secondo i dettami del diritto internazionale e della risoluzione delle Nazioni
Unite. C’è bisogno di un ritorno alla legalità internazionale.
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DOMANI
ALLE 12.00 LA TRADIZIONALE SUPPLICA ALLA BEATA VERGINE DI POMPEI, QUEST’ANNO
DEDICATA AI CRISTIANI PERSEGUITATI NEL MONDO
E A
TUTTI COLORO CHE VEDONO CALPESTATI I PROPRI DIRITTI
-
Intervista con mons. Carlo Liberati -
Domani, 8 maggio, è la festa della Beata Vergine di
Pompei. Tradizionalmente a mezzogiorno, dopo la Santa Messa celebrata nel Santuario,
si recita la Supplica alla Madonna di Pompei. Una preghiera composta dal Beato
Bartolo Longo. Quest’anno è mons. Carlo Liberati, nominato da poco vescovo
prelato di Pompei, a presiedere la celebrazione della Messa e la Supplica alla
Beata Vergine del Rosario. Giovanni Peduto gli ha chiesto come è nata questa
particolare preghiera mariana:
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R. – La Supplica si radica in un’intuizione profetica che
Bartolo Longo, giovane avvocato, ha in una strada di campagna di Pompei, dopo
che si era convertito all’indomani di un periodo di smarrimento giovanile. La Madonna
gli dice che deve consacrare la sua vita alla devozione e alla diffusione del
Rosario, facendo della Valle di Pompei un luogo di riferimento per Gesù, per la
Madonna e per tutta la Chiesa. Bartolo Longo, dopo questa intuizione del 2 ottobre
del 1872, nel 1876 acquista il terreno per l’edificazione del Santuario con il
conforto del vescovo di Nola. L’8 maggio del 1876 posa la prima pietra del Santuario.
D. – Qual è quest’anno l’intenzione particolare della
Supplica?
R. – Quest’anno noi dedicheremo la Supplica in modo
particolare alle intenzioni della pace: per la Chiesa perseguitata in Vietnam,
in Cina, nell’arcipelago dell’Indonesia, in Africa, soprattutto il Sudan; e poi
dedicheremo la Supplica a tutti quegli uomini e donne – che sono milioni, centinaia
di milioni – che si vedono conculcati ed offesi nei loro diritti di persone e
nella loro dignità umana, ovunque si trovino, a qualsiasi religione appartengono
e su tutta la faccia della terra.
D. – Perché, eccellenza, la preghiera del Rosario è tanto
potente?
R. – La preghiera del Rosario è potente, perché contempla
il volto di Cristo con lo sguardo e il cuore di Maria. La Madonna, come Madre
di Gesù, della Chiesa, della nostra fede, non dice no a nessuno; non può dire
di no, perché è la Madre della Grazia e quindi come può dire no la Madonna a
chi la invoca?
D. – Cosa rispondere a quelli che obiettano che pregano
molto ma non vedono riscontri alle loro richieste?
R. – Quando noi preghiamo ci dobbiamo abbandonare alla
volontà di Dio, al progetto di Dio sopra di noi. Molte volte poi non siamo esauditi,
perché siamo presi dalla fragilità umana, siamo immersi nella colpa e non ci
liberiamo facilmente del peccato: molte volte non esiste neanche questa volontà
nei comuni cristiani di uscire dal male. Come può allora la Madonna esaudirci
se noi non siamo disponibili alla conversione del cuore, dell’intelligenza e di
tutta la nostra persona?
**********
IL
CONFRONTO TRA STATO E RELIGIONI:
SPUNTI
PER UN DIALOGO CHE MIRI ALLA PACE DELL’EUROPA E DEL MONDO
-
Intervista con il priore di Bose Enzo Bianchi -
Le religioni sono diventate
“una componente fondamentale nel dibattito politico contemporaneo”. E’ una
delle affermazioni alla base del convegno che occupa oggi un importante spazio
all’interno della Fiera del Libro di Torino. Promosso dal World Political
Forum – un organismo creato dal premio Nobel Mikhail Gorbaciov – il
convegno pone in primo piano i conflitti e i punti di convergenza del dialogo
tra Stato e religioni: la capacità del primo di creare un piano di rispetto e
integrazione per le diverse fedi che vivono al suo interno, e la tendenza delle
seconde ad interagire sempre più con le istituzioni nella costruzione di una
pacifica convivenza a livello mondiale. Un’eco di questo confronto è possibile
coglierla nel dibattito che sta interessando l’Europa a 25 Stati: in particolare,
nel riconoscimento delle radici cristiane in seno alla nuova Costituzione
comunitaria. Ecco una riflessione del priore della Comunità di Bose, Enzo
Bianchi – uno dei relatori al convegno - intervistato da Alessandro De Carolis:
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R. – Io credo che sarebbe importante ci fosse questa
menzione delle radici cristiane e che anche nella Costituzione europea si
facesse riferimento a quei valori che vengono dal cristianesimo e dalla lunga
tradizione cristiana. Questo è molto importante, soprattutto in questo momento
in cui la Chiesa cattolica ha la coscienza di poter apportare all’Europa una
vera e sana laicità – quella “giusta laicità” di cui parla il Papa – che non
sta ad indicare l’indifferenza dello Stato e della Chiesa l’un verso l’altro.
La Chiesa, però, sa che questa laicità è necessaria affinché lo Stato possa
assicurare la coesistenza di più tradizioni religiose, di credenze sullo stesso
territorio.
D. – A questo proposito, però, la questione dell’uso del
velo in Francia è la spia di una non facile convivenza tra tradizione laica
dello Stato e sollecitazioni religiose...
R. – Io ritengo che bisogna stare attenti. Una giusta
laicità significa anche accogliere il fatto che vi siano dei simboli religiosi,
almeno fino a quando essi non rappresentino un pericolo alla coesistenza
pacifica delle religioni. Viceversa, saremmo davanti a una forma di laicismo
che impedisce che vi sia, nell’area pubblica, anche la manifestazione
dell’identità di chi professa una credenza religiosa. Io credo che la laicità
permetta di non mescolare fede e religione con la politica.
D. – Nell’attuale scenario dominato dal condizionamento
imposto dal terrorismo, come crede si svilupperà il dialogo tra mondo
occidentale-cristiano e mondo arabo-musulmano?
R. – Devo dire che ho molta fiducia. Sì, c’è il
terrorismo, ma non si può dire che il terrorismo sia il frutto di tutta una
cultura o di una civiltà o dei popoli islamici. Certamente, da parte nostra
occorre che ci sia una capacità molto forte di dialogo con quelle componenti,
soprattutto dell’islam, che sono aliene da ogni forma di terrorismo. Nella
misura in cui noi potenziamo il dialogo con loro, noi saremo allora capaci di
essere dei partner di un dialogo molto serio e autentico e quindi portare anche
tutto l’islam a quella evoluzione nella quale è possibile cercare insieme vie
di pace e di giustizia.
**********
SECONDA
GIORNATA A STOCCARDA DEL CONGRESSO ECUMENICO INTERNAZIONALE PROMOSSO DAI
MOVIMENTI CRISTIANI EUROPEI
-
Intervista con Liliane Bertrand -
Costruire lo spirito dell’Europa attraverso i movimenti.
Con questo tema si sta svolgendo a Stoccarda la seconda giornata del Congresso ecumenico
internazionale, che vede riuniti più di tremila rappresentati delle Comunità
anglicane, evangeliche, cattoliche ed ortodosse dell’Unione Europea. In serata
l’incontro con 53 vescovi europei di sei diverse confessioni, che prenderanno
parte domani alla grande manifestazione “Insieme per l’Europa”, alla quale si
prevede parteciperanno oltre 15 mila persone. Il servizio di Stefano Leszczynski:
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Una intensa seconda giornata di congresso, quella che si è
aperta alla “Liederhalle” di Stoccarda, capitale del Baden-Württemberg in Germania;
la prima mattinata ha visto alternarsi momenti di preghiera e di riflessione
guidati dal pastore evangelico Gerhard Pross. Il tema portante della giornata è
sul ruolo dei Movimenti nel mondo attraverso la Parola di Dio e le difficoltà
che si incontrano nel mondo odierno sconvolto dalla guerra, dalla povertà e
dalla violenza; il difficile compito di riassumere le sfide che i movimenti
cristiani affrontano quotidianamente è stato affidato a Marco Impagliazzo,
presidente della Comunità di Sant’Egidio, che ha sottolineato come l’orizzonte
dei Movimenti non sia più solamente quello locale-personale, ma diventa spesso
quello di interi squarci del mondo. L’impegno per la pace e la solidarietà
verso grandi e piccoli Sud del mondo deve quindi divenire impegno anche
dell’Europa nella sua forma politica. La sfida, insomma, è quella di riuscire
ad affermare i valori del Vangelo in una entità che non può continuare ad essere
solamente politica ed economica. Ma sentiamo al riguardo il commento di Liliane
Bertrand, del Movimento “Pro Sanctitate” lituano:
“Penso che la Lituania aspettava
con tanto desiderio di potere entrare effettivamente nella comunità europea;
quello che si avverte nel Paese e anche nella Chiesa è questo grande desiderio
di costruire insieme su basi spirituali. La Lituania, a differenza dell’Estonia
e della Lettonia, gli altri due Paesi Baltici, è molto più cattolica – la
maggior parte dei cittadini sono cattolici – e quindi c’è una base di cattolicesimo.
Però, anche per loro entrare nella comunità europea significa scoprire altri
movimenti, sentendo che ci sono tanti movimenti che vivono qualcosa insieme. Se
è possibile farlo a livello di fede per i movimenti, allora è possibile anche
per i Paesi. Non è soltanto una cosa economica, finanziaria, ma è una cosa
molto più profonda, basata sulla spiritualità”.
Stefano Leszczynski, Radio Vaticana.
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7
maggio 2004
LA
POPOLAZIONE DEL SUDAN E’ SCORAGGIATA DAL CONTINUO RINVIO DELL’ACCORDO DI PACE TRA RIBELLI E GOVERNO.
E’
L’AMARA CONSTATAZIONE
DEL VESCOVO
AUSILIARE DI TORIT, MONS. AKIO
JOHNSON MUTEK
KHARTOUM. = “I
sudanesi sono scoraggiati: si chiedono fino a quando la comunità internazionale
e le Nazioni Unite continueranno a lanciare ‘avvertimenti’ contro il governo
del Sudan, che ha dimostrato di non voler la pace”. Lo ha detto all’Agenzia
missionaria Misna il vescovo ausiliare di Torit, Akio Johnson Mutek,
aggiungendo che “ci sono segni di diffuso malcontento per il continuo rinvio
della firma degli accordi di pace tra governo e l’Esercito di liberazione
popolare del Sudan (Spla)”. La sua riflessione si è soffermata quindi
sull’inquietante scenario del Paese Africano, colpito nella regione occidentale
del Darfur dal dramma delle violenze tra i ribelli e l’esercito di Khartoum. Ma
nel Paese si deve anche registrare l’alternanza di speranza e scetticismo per
lo svolgimento dei colloqui di pace in Kenya tra le autorità islamiche sudanesi
e gli indipendentisti che chiedono
l’autonomia dei territori meridionali. Qualcuno, ha affermato il
presule, “trae vantaggio dai continui combattimenti: una pace stabile
rischierebbe di interrompere questo ‘business’ legato al conflitto”, che in
vent’anni ha provocato oltre due milioni di morti. Nell’altra area calda del
Paese - il Darfur - l’unica presenza internazionale, a parte pochissime agenzie
umanitarie, è stata quella di un team della Commissione Onu per i diritti
umani, che ha raccolto testimonianze di gravi violazioni, ammesse anche dal
ministro degli Esteri sudanese. (A.L.)
IN UGANDA ARRESTATE SEI PERSONE
RITENUTE RESPONSABILI
DEL BRUTALE ASSASSINIO DI PADRE
LUCIANO FULVI, IL COMBONIANO UCCISO
NELLA MISSIONE DI LAYIBI LO SCORSO
MESE DI MARZO
KAMPALA.
= Sei persone sono state arrestate nel Nord Uganda per l’omicidio di padre
Luciano Fulvi, il comboniano brutalmente assassinato lo scorso 30 marzo nella
sua stanza nella missione di Layibi, vicino a Gulu. Lo ha confermato
all’agenzia missionaria Misna il superiore provinciale dei comboniani padre
Guido Oliana. I sei accusati, tra i quali vi sarebbe un giovane ex-cuoco della
missione, sono cinque giovani tra i 18 e i 22 anni e un cinquantenne. L’area di
Gulu e dell’Uganda del Nord è teatro di frequenti rapine ed attacchi: spesso le
violenze sono commesse dal sedicente Esercito di resistenza del signore,
composto da guerriglieri separatisti che si oppongono al governo centrale del
presidente ugandese, Yoweri Museveni. Negli ultimi 18 anni sono stati uccisi
nella regione 15 missionari cattolici. Padre Fulvi, originario di Uzzano, in
provincia di Pistoia, era impegnato nella pastorale vocazionale nella missione
Layibi; nel Paese africano era arrivato per la prima volta nel 1956 e si era
trattenuto fino al 1964. In seguito, era stato in Inghilterra e Scozia fino al
1990, per poi ripartire alla volta dell’Uganda, ultima tappa del suo percorso
missionario. Il suo servizio pastorale si era svolto soprattutto nel campo
dell'istruzione a favore dei più giovani. (A.L.)
ALLA COLOMBIA IL TRISTE PRIMATO DI
VIOLENZA QUOTIDIANA.
PIÙ DI 21 MILA GLI OMICIDI LO
SCORSO ANNO MENTRE AUMENTANO
ANCHE IL NUMERO DI STRAGI. LA POPOLAZIONE
EMIGRA IN MASSA
ALLA RICERCA DI CONDIZIONI DI VITA
MIGLIORI
BOGOTÀ.
= E’ della Colombia il record di violenza mai registrato prima in qualsiasi
altro Paese del mondo. Un morto ogni 24 minuti pari a 59 omicidi al giorno e la
probabilità di subire violenze o ferite ancora più alta, sono dati che potrebbero
non sorprendere se si tiene conto che il Paese da 40 anni è alle prese con vari
movimenti armati e con gli omicidi a raffica di gruppi paramilitari. Ma secondo
le statistiche diffuse dal Dipartimento nazionale di programmazione risulta che
solo il 10 per cento degli assassini quotidiani vanno ascritti a questo tipo di
violenza. La percentuale più alta degli omicidi è causata da una società
intrisa di violenza, nella quale si registra un sequestro di persona a scopo di
riscatto ogni sette ore da parte di piccoli o grandi gruppi criminali. Lo
scorso anno gli omicidi sono stati più di 21 mila mentre è ancora più
significativo l’aumento delle stragi passate da 15 a 19. Nonostante l’aumento
delle somme investite dal governo per la difesa, negli ultimi anni già cinque
milioni di colombiani hanno lasciato il Paese in cerca di condizioni di vita
migliori. (G.L.)
UN ENCHIRIDION DELLA PACE DA PIO X A GIOVANNI
PAOLO II
MESSO
A PUNTO DALLE EDIZIONI DEHONIANE DI BOLOGNA:
NELLE
LIBRERIE IL PRIMO DEI DUE VOLUMI
CON
LA PRESENTAZIONE DEL CARDINALE JEAN-LOUIS TAURAN
-
A cura di Giovanni Peduto -
BOLOGNA.
= Le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno curato una raccolta dei testi aventi
come tema la pace dei Pontefici a partire da Pio X a Giovanni Paolo II. Nelle
librerie è già pronto il primo dei due volumi, che raccoglie il periodo da Pio
X a Giovanni XXIII e reca la presentazione del cardinale Jean-Louis Tauran,
archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. L’opera, come sottolinea il
porporato, offre l’azione ispirata e perseverante dei Papi dell’epoca moderna
in favore della pace. Traspare una Chiesa che cammina insieme con l’umanità,
che ascolta e dialoga senza sostituirsi alle responsabilità proprie dei
dirigenti politici e dei cittadini. Di questo primo volume, da Pio X a Giovanni
XXIII, vogliamo sottolineare l’appello di Benedetto XV contro
l’irragionevolezza della guerra. Pio XI si scontra con le dittature e Pio XII
conosce un conflitto di inaudita violenza. Giovanni XXIII, con l’enciclica
“Pacem in terris” e il Concilio Vaticano II, pone la questione su basi nuove,
rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà. Egli dichiara improponibile
una guerra giusta nell’era delle armi atomiche. Su questa visione si snoderà il
cammino di Paolo VI e di Giovanni Paolo II – i loro interventi saranno
l’oggetto del secondo volume di prossima pubblicazione – in un continuo
crescendo che ci accompagna fino ai nostri giorni.
SUORE MALMENTATE E RAPINATE QUESTA NOTTE IN UN
CONVENTO DI CERCOLA,
IN PROVINCIA
DI NAPOLI. UNA RELIGIOSA MUORE
IN SEGUITO AD UN ATTACCO CARDIACO
NAPOLI.
= Momenti drammatici questa notte per alcune suore nel Convento Sant’Anna di
Cercola, in provincia di Napoli. Le religiose sono state sequestrate, malmenate
e rapinate. Una di loro è deceduta per
un malore che l'ha colpita subito dopo. Tutto è iniziato intorno alle 4.00,
quando tre malviventi sono penetrati nel convento ed hanno sequestrato,
maltrattato e rapinato le suore che erano all'interno. Una volta sottratto loro
il denaro - circa 7000 euro - i tre malfattori sono subito fuggiti. Nella
struttura, che funge anche da Istituto scolastico, vivono 28 suore. Sul posto
sono intervenuti i carabinieri che hanno tentato inutilmente di soccorrere la
sorella colpita da malore. La religiosa aveva 83 anni, e, secondo la prima ricostruzione
dell'accaduto, si sarebbe accasciata a terra subito dopo la fuga dei tre.
Soccorsa dalle consorelle, all'arrivo dell'ambulanza non si sarebbe potuto che
constatarne il decesso. I rapinatori, data la configurazione del convento,
sarebbero penetrati direttamente ad uno dei piani superiori dell'edificio dove
si trovano anche le stanze di alcune religiose. Solo la scorsa settimana la
madre badessa aveva denunciato un episodio di furto avvenuto nel convento. Nel
giro degli ultimi mesi, questo è il terzo episodio nella provincia di Napoli di
rapina a conventi di religiose. (S.S.)
IL 21
MAGGIO AL LYRICK THEATRE DI ASSISI, IN UMBRIA, IL DEBUTTO
IN PRIMA NAZIONALE DEL MUSICAL “CHIARA DI
DIO”, DEDICATO ALLA FIGURA
E ALLA VITA DI SANTA CHIARA
PERUGIA.
= “Chiara di Dio” è il titolo del musical dedicato alla figura e alla vita di
Santa Chiara, il cui debutto, in prima nazionale, sarà il 21 maggio al Lyrick Theatre
di Assisi, in Umbria. Presentato ieri a Roma, lo spettacolo intende - come ha
spiegato lo stesso regista e autore, Carlo Tedeschi, il quale si è avvalso
delle fonti francescane - riscoprire la figura di questa santa: prima donna
della storia della Chiesa che abbia dettato la regola del proprio ordine.
“Ritengo che l’esistenza di Chiara, il suo coraggio, la sua determinazione, ma
anche la sua dolcezza e la sua umiltà, possano costituire un esempio per tutte
le donne di oggi”, ha affermato Tedeschi. Il musical ripercorre, infatti, i
momenti più toccanti e straordinari della vita della santa: dall’incontro con
San Francesco, alla fuga da casa, alla spettacolare cacciata dei Saraceni
mediante l’ostensorio contenente l’Ostia consacrata. Tra le numerose rappresentazioni
in programma in tutta Italia, ne è prevista anche una l’11 agosto, giorno della
morte di Chiara, nel convento di San Damiano, ad Assisi, dove la Santa visse
per 42 anni. Parte del ricavato di questo spettacolo sarà devoluto al primo
convento che le clarisse hanno appena ultimato in Rwanda. (D.G.)
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7
maggio 2004
- A cura di Salvatore Sabatino -
Tra esplosioni, battaglie e agguati, prosegue la violenza
in Iraq, mentre arriva un nuovo messaggio di Bin Laden, che invita a combattere
contro il nemico in cambio di oro. Intanto è ancora polemica sulle torture
inflitte ai prigionieri iracheni. Il servizio di Salvatore Sabatino:
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Un’altra giornata, in Iraq, si
apre all’insegna della violenza. Alle prime luci dell’alba, infatti, i
cittadini di Nassirya, nel sud del Paese, sono stati svegliati da 4 forti
esplosioni avvenute nei pressi della sede dell’Autorità provvisoria di
coalizione. Fonti locali hanno confermato il fatto, precisando che colpi di
mortaio sono caduti a poca distanza da un ospedale, provocando tre vittime. Già
ieri la cittadina sotto il controllo del comando italiano aveva fatto da sfondo
a tre attacchi della guerriglia; bilancio finale: 3 iracheni morti ed un
bersagliere rimasto ferito. Sempre all’alba di oggi – quasi in contemporanea
con le esplosioni di Nassirya – anche a Najaf si sono registrate 4
deflagrazioni, senza nessuna vittima. Nella città santa degli sciiti ieri si
erano verificati violenti scontri a fuoco, con decine di morti. La battaglia
aveva coinvolto anche la vicina Kufa, dove questa mattina è arrivato il leader
radicale sciita Muqtad Sadr, sfuggito al controllo degli statunitensi che
continuano ad asserragliare Najaf. A Kufa l'esercito americano ieri aveva
lanciato un'offensiva proprio contro la milizia di Al Sadr, uccidendo 43
guerriglieri. Scontri placatisi nella notte, dove a tenere alta la tensione è
stato invece un nuovo minaccioso proclama di Osama Bin Laden. Lo “sceicco del
terrore” è tornato a spingere i fedeli arabi alla guerra contro il nemico
americano ed i suoi alleati, parlando di ricompense in oro per chi riesca ad
uccidere almeno un nemico. Taglia sul segretario generale dell’Onu, Kofi Annan,
l’amministratore statunitense in Iraq, Paul Bremer, i soldati americani,
giapponesi ed italiani. Un messaggio, trasmesso da alcuni siti internet
islamici, a cui però gli esperti non sembrano dare molto peso. Peso politico,
invece, che continua ad avere la triste vicenda delle violenze nelle carceri
irachene. Il presidente statunitense George W. Bush, questa notte, è tornato
sull’argomento, scusandosi con gli iracheni per quanto accaduto, ma annunciando
ufficialmente che il segretario alla Difesa Rumsfeld rimarrà al suo posto. Ieri
una girandola di voci aveva parlato di possibili dimissioni del capo del
Pentagono, reo di non aver tenuto il capo della casa Bianca al corrente di
quanto stesse accadendo nelle prigioni irachene. E la polemica continua a
resistere anche oltre oceano: il premier britannico Tony Blair ha ribadito che “torture, abusi e
maltrattamenti di prigionieri sono inaccettabili” e che “i responsabili
dovranno rispondere dei loro atti davanti alla giustizia”. Blair ha poi
invitato a non dimenticare le migliaia di soldati della coalizione che ogni
giorno rischiano la vita per aiutare il popolo iracheno. Intanto spunta un
nuovo testimone, che denuncia il coinvolgimento di altri soldati britannici
nello scandalo. Come altri prima di lui, l'uomo si è messo in contatto con il
quotidiano “Daily Mirror”, parlando di “terrificanti pestaggi”. Ed oggi anche
il mondo della comunicazione ha dovuto registrare due perdite: si tratta di un
giornalista polacco ed un cameraman tunisino, uccisi in un agguato a Sud di
Baghdad. E pochi minuti fa è giunta la notizia di un’esplosione a Mossul, nel
nord del Paese, in cui hanno perso la vita 4 poliziotti iracheni. Subito dopo
c’è stato uno scambio di colpi di arma da fuoco.
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E c’è un altro scenario
internazionale che si sta infuocando nelle ultime ore. Sono ripresi, infatti, questa
mattina nel sud del Libano le incursioni israeliane in risposta agli attacchi
degli Hezbollah. La questione mediorientale è stata al centro dei colloqui che
il re Abdallah di Giordania ha avuto ieri alla Casa Bianca con il presidente
americano Bush. Mentre la prossima settimana sarà al centro del colloquio tra
il premier palestinese Abu Ala e il consigliere per la sicurezza nazionale
statunitense, Condoleeza Rice. Il nostro servizio.
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Un soldato israeliano è rimasto
ucciso nel bombardamento condotto questa mattina da guerriglieri libanesi
Hezbollah contro postazioni militari situate alle pendici del Monte Dov, una
zona indicata dai libanesi come Fattorie di Shebaa. Nell’incursione sarebbero,
inoltre, rimasti feriti altri otto soldati israeliani. Due di questi versano in condizioni gravi. Agli
scontri a fuoco fra i due versanti del confine hanno preso parte batterie di
artiglieria. Israele è invece ricorso anche all’aviazione. E la questione
mediorientale è stata al centro dei colloqui che il re Abdallah di Giordania ha
avuto ieri alla Casa Bianca con il presidente americano Bush. “Gli Stati Uniti
non condizioneranno l'esito di negoziati diretti tra israeliani e palestinesi”,
ha detto Bush al sovrano di Amman. Intanto il premier palestinese Abu Ala ha
annunciato questa mattina che vedrà a breve il consigliere per la sicurezza
nazionale statunitense, Condoleeza Rice. Al centro dell'agenda, ha precisato
ancora il premier dell'Anp, ci saranno “le sofferenze del popolo palestinese”;
e poi ancora “il processo di pace e la roadmap”, il piano di pace per il Medio
Oriente messo a punto dai rappresentanti di Unione Europea, Onu, Russia e Stati
Uniti. Secondo la stampa, la Rice potrebbe incontrare Abu Ala la settimana
prossima, in Europa. Ieri, invece, in una conferenza stampa, il presidente
George W. Bush ha anticipato che inoltrerà ad Abu Ala una lettera personale per
chiarire meglio la posizione degli Stati Uniti riguardo al conflitto
israelo-palestinese, e ciò dopo che ad aprile lo stesso capo della Casa Bianca
era parso avvicinarsi alle posizioni del premier israeliano Ariel Sharon.
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Almeno dieci persone sono morte ed una cinquantina sono
rimaste ferite nell'esplosione di una bomba in una moschea di Karachi, in
Pakistan, durante la preghiera del venerdì. Lo hanno riferito fonti del governo
regionale. L'attacco non è stato rivendicato. Sempre questa mattina, a Quetta,
nella parte sudoccidentale del paese, era esploso un altro ordigno davanti alla
sede di un tribunale provinciale, ferendo due persone.
Iraniani chiamati di nuovo al voto oggi per il rinnovo del
Parlamento. Da assegnare 57 seggi in 39 circoscrizioni, dopo che al primo turno
del 20 febbraio scorso i conservatori vicini all’Ayatollah Khamenei avevano già
conquistato la maggioranza dei 290 seggi dell’Assemblea. La prima fase del voto
si era svolta tra denunce di brogli al Consiglio dei Guardiani, che aveva
bocciato circa 2.300 candidature dei riformisti. In questo quadro, il voto di
oggi non può che apparire come una conferma della vittoria conservatrice. Ce ne
parla il giornalista iraniano Anmad Rafat, già segretario della stampa estera
in Italia, intervistato da Giada Aquilino:
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R. – Il Parlamento, che si
riunirà fra venti giorni, ha già una maggioranza che appartiene all’area
radicale o conservatrice. Nelle elezioni odierne, anche se tutti i seggi in
ballo andassero ai riformisti del presidente Khatami, la maggioranza in
Parlamento non cambierebbe.
D. – Quale sarà la sorte
politica dei riformatori del presidente Khatami?
R. – I riformatori avranno un
ruolo fino al giugno 2005, quando si terranno cioè le elezioni presidenziali.
Dopodiché se non cambiano le cose, saranno messi fuori gioco perché perderanno
anche la guida del governo che è attualmente in mano loro.
D. – Con queste elezioni, i
conservatori controllano tutte le leve del potere. Ci sono pericoli per la
democrazia in Iran?
R. – Certamente un pericolo c’è
e comincia a vedersi: pare sia stata riconfermata la condanna a morte di Hashem
Aghajari, l’intellettuale islamico che aveva chiesto una riforma dell’Islam e
pertanto ora il nuovo Parlamento dovrà decidere se dare la luce verde
all’esecuzione - che potrebbe addirittura portare ad una guerra civile in Iran
- oppure riconoscere il proprio errore nell’aver condannato Aghajari e ritirare
la sentenza.
D. – Quante probabilità ci sono
che questo accada?
R. – Dipende anche molto da come
vanno le relazioni internazionali dell’Iran. Teheran in questo momento ha delle
difficoltà nei suoi rapporti con gli europei, dovute alla mancata chiarezza
nella politica nucleare dell’Iran, alla questione dei diritti umani e al ruolo
che proprio a Teheran viene attribuito di sostenere alcune fazioni radicali in
Iraq.
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Prestando formale giuramento, Vladimir Putin ha oggi dato
ufficialmente inizio al proprio secondo mandato quadriennale come presidente
della Federazione Russa, conquistato con la schiacciante vittoria elettorale
dello scorso marzo. Nel discorso d’insediamento il capo del Cremlino ha
sottolineato l'importanza di un sistema politico democratico e del
“rafforzamento delle libertà personali dei cittadini” per garantire un paese
libero, forte e moderno”.
Faccia a faccia questa mattina ad Atene tra il primo
ministro turco Recep Tayyip Erdogan ed il suo omologo greco Costas Karamanlis.
Durante la conferenza stampa congiunta i due capi di governo hanno parlato di
clima “buono” e di rapporti “soddisfacenti” tra i due Paesi, aggiungendo che intendono
rafforzare la cooperazione “in tutti i settori”. “E' mia personale volontà e
del governo greco sostenere la prospettiva europea della Turchia”, ha affermato
Karamanlis, mentre Erdogan, primo capo di governo turco a visitare la Grecia
dal 1988, ha ricordato il processo di avvicinamento tra Atene ed Ankara, che
“va avanti da cinque anni”. L’incontro, fin dall’inizio, intendeva dare un
nuovo slancio ai rapporti tra i due Paesi, malgrado la battuta d'arresto
rappresentata dal referendum su Cipro e la mancata riunificazione dell'isola.
Il premier cinese Wen Jabao è da ieri sera a Roma per una
visita di tre giorni in Italia. Questa mattina ha incontrato il premier
Berlusconi in un seminario sulla promozione degli investimenti tra i due Paesi.
“Mi auguro che la Cina possa diventare una grande democrazia e un grande Stato
di diritto - ha riferito il presidente del Consiglio italiano - in cui i
diritti umani siano riconosciuti come sono riconosciuti oggi nella civiltà
occidentale” aggiungendo poi che “il mondo ha bisogno della Cina come elemento
di pace e stabilizzazione”. Dal canto suo, il premier cinese ha invece assicurato:
“La nostra concorrenza non ostacolerà gli imprenditori italiani”.
In Kashmir, la polizia indiana ha riferito di aver ucciso
Abdul Rashid, capo del principale movimento ribelle musulmano in lotta contro
l'autorità di New Delhi. L’uomo è rimasto ucciso durante uno scontro a
Srinagar, capitale estiva dello Stato indiano del Jammu e del Kashmir.
L'operazione è stata effettuata dalle forze di polizia locali e federali.
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