RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 123 - Testo della trasmissione di domenica 2 maggio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Avvenuto
alle 10.29 di stamani a Napoli il prodigio della liquefazione del sangue di San
Gennaro
In corso
in Trentino, la 33esima edizione del “Festival Regionale di Musica Sacra”.
Una data storica per il Vecchio Continente: issate a Dublino le bandiere dei 25 Paesi che compongono la nuova Unione Europea. - In Medio Oriente, nuove violenze nei Territori: 9 in tutto le vittime. - Sempre tesa la situazione in Iraq, la Gran Bretagna intende inviare nuovi soldati. - Tornata elettorale oggi a Panama per le presidenziali, parlamentari e amministrative.
2 maggio 2004
L’EUROPA
NON RIMUOVA, MA RISCOPRA LE SUE RADICI CRISTIANE:
COSI’, IL PAPA AL REGINA COELI,
DEDICATO ALL’INGRESSO
DI DIECI NUOVI STATI NELL’UNIONE
EUROPEA
- Servizio di Alessandro Gisotti -
L’Europa nel cuore di Giovanni Paolo II. Al Regina Coeli,
davanti ad una Piazza San Pietro gremita di fedeli, il Papa ha rivolto stamani
il suo pensiero al Vecchio Continente, che, ieri, con l’ingresso di 10 nuovi
Stati nell’Unione europea, ha vissuto una tappa importante della sua storia.
“Dieci nazioni, che già per cultura e tradizioni erano e si sentivano europee -
ha sottolineato il Pontefice - vengono ora a far parte di questa Unione di
Stati”. Ha, così, messo l’accento sull’importanza delle radici cristiane per la
costruzione dell’Europa. Radici, che non vanno rimosse, ma riscoperte. Il
servizio di Alessandro Gisotti:
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“L’unità dei popoli europei, se
vuol essere duratura, non può però essere solo economica e politica”. E’
l’avvertimento di Giovanni Paolo II, che ha riecheggiato le parole pronunciate
nel pellegrinaggio a Campostella del 1982: “l’anima dell’Europa resta anche
oggi unita, perché fa riferimento a comuni valori umani e cristiani”.
“La storia della formazione delle Nazioni europee cammina di pari passo
con l’evangelizzazione. Pertanto, nonostante le crisi spirituali che hanno segnato
la vita del Continente sino ai nostri giorni, la sua identità sarebbe incomprensibile
senza il Cristianesimo”.
Proprio per questo, ha aggiunto, “la Chiesa ha voluto
offrire in questi anni non pochi contributi al consolidamento della sua unità
culturale e spirituale”, in particolare con i Sinodi Speciali per l’Europa, del
1990 e del 1999. “La linfa vitale del Vangelo – ha avvertito il Papa – può
assicurare all’Europa uno sviluppo coerente con la sua identità, nella libertà
e nella solidarietà, nella giustizia e nella pace”. Parole corredate da una
viva esortazione:
“Solo
un’Europa che non rimuova, ma riscopra le proprie radici cristiane potrà essere
all’altezza delle grandi sfide del terzo millennio: la pace, il dialogo tra le
culture e le religioni, la salvaguardia del creato”.
A questa importante impresa, ha detto il Papa, “tutti i
credenti in Cristo dell’Occidente e dell’Oriente europeo, grazie a un’aperta e
sincera cooperazione ecumenica, sono chiamati a offrire il proprio contributo”.
Salutando, quindi, con affetto le nazioni che sono state accolte nell’Unione
Europea, ha rivolto il suo pensiero a quei tanti Santuari che, nei secoli, in
tutto il Continente hanno tenuto viva la devozione alla Vergine Maria. Quindi,
rivolgendosi ai fedeli polacchi, il Pontefice ha sottolineato come
l’allargamento dell’Unione Europea sia iniziato proprio con i cambiamenti
politici avvenuti in Polonia alla fine degli anni ’80.
Dopo la recita del Regina Coeli, seguita da migliaia di
persone in piazza San Pietro, il Papa ha sottolineato la ricorrenza odierna
della Giornata mondiale per le vocazioni e, proprio stamani, il Santo Padre ha
ordinato 26 nuovi sacerdoti nella Basilica di San Pietro. Ha, cosi, invitato
tutti i fedeli a pregare affinché non manchino mai numerose e sante vocazioni
nella Chiesa.
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GESÙ
SIA SEMPRE AL CENTRO DELLA VOSTRA VITA, ANCHE DI FRONTE ALLE TENDENZE
CULTURALI, CHE OGGI VOGLIONO FAR DIMENTICARE DIO:
È L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO
II A 26 NUOVI SACERDOTI,
ORDINATI OGGI NELLA BASILICA DI
SAN PIETRO
- Servizio di Alessandro Gisotti -
Nella 41.ma giornata mondiale per le vocazioni, Giovanni
Paolo II ha conferito stamani – in una solenne celebrazione nella Basilica
Vaticana – l’ordina-zione presbiteriale a 26 diaconi, provenienti da diverse
parti del mondo. Diciassette italiani, un panamense, un peruviano, un polacco,
un ungherese, uno spagnolo, un diacono della Guinea Equatoriale, un indiano di
Kerala, un messicano e un giovane del Madagascar. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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(canti)
La gioia pasquale, ha detto il Papa, è oggi più intensa
per l’Ordinazione presbiteriale di questi figli destinati ad essere pastori per
la Chiesa di Roma. Nell’omelia, il Papa ha espresso parole di viva esortazione
ai nuovi sacerdoti, chiamati ad un compito impegnativo nella realtà dei nostri
tempi:
“Voi diventate sacerdoti in un'epoca in cui, anche
qui a Roma, forti tendenze culturali sembrano voler far dimenticare Dio,
soprattutto ai giovani e alle famiglie. Ma non abbiate paura: Dio sarà sempre
con voi!”.
“Con il suo aiuto – ha proseguito – potrete percorrere le
strade che conducono al cuore di ogni uomo ed annunciargli che il Buon Pastore
ha dato la vita per lui e lo vuole partecipe del suo mistero di amore e
salvezza”. Ha così corredato questo parole con un avvertimento:
“Per portare a compimento quest'opera tanto necessaria
occorre, però, che Gesù sia sempre il centro della vostra vita e con Lui
restiate in intima unione con la preghiera, la meditazione personale
quotidiana, la fedeltà alla Liturgia delle Ore e soprattutto la devota
quotidiana celebrazione dell'Eucaristia”.
Se sarete pieni di
Dio, ha detto ancora, “sarete veri apostoli della nuova evangelizzazione,
perché nessuno dà ciò che non porta nel suo cuore”. Il Papa non ha, poi, mancato
di ringraziare le famiglie, che hanno curato la formazione e la crescita della
fede dei nuovi sacerdoti e quanti, insieme alle comunità parrocchiali di
appartenenza, li hanno aiutati a scoprire il “dono e mistero” della vocazione,
a “dire sì alla chiamata del Signore”.
(musica)
Ricca di segni, l’ordinazione ha offerto momenti di grande
emozione. La presentazione dei candidati al Santo Padre, con l’impegno degli
eletti. Quindi, l’imposizione delle mani del Papa sui diaconi e la preghiera di
ordinazione. Infine, la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione crismale
e la consegna del pane e del vino. Alla celebrazione hanno assistito famigliari
ed amici dei nuovi sacerdoti, che hanno gremito la Basilica di San Pietro.
Alcuni di loro, vestivano gli abiti tradizionali del luogo di provenienza,
rendendo ancor più festosa l’atmosfera.
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I CATTOLICI NEL MONDO CRESCONO E
AUMENTA ANCHE IL NUMERO DI VOCAZIONI
NEI PAESI DELL’AFRICA E
DELL’AMERICA LATINA.
SONO ALCUNI DEI DATI PIÙ
SIGNIFICATIVI
DEL NUOVO ANNUARIO STATISTICO
DELLA CHIESA
- Intervista con padre Vito Magno -
Il nuovo Annuario Statistico
della Chiesa registra la crescita dei cattolici nel mondo, passati dai 757
milioni del 1978, anno di inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, ad un miliardo
e 70 milioni del 2002. Nello stesso periodo, i vescovi da 3.714 sono saliti a
4.695, mentre è contenuto l’aumento del numero dei sacerdoti diocesani, che nel
1978 erano 262.485 e nel 2002 sono 267.334. I seminaristi maggiori risultano
raddoppiati: da 63.882 a 113.199. In diminuzione le suore: erano 990.768 nel
1978 oggi sono 782.932. In generale la crisi delle vocazioni al sacerdozio ed
alla vita consacrata colpisce le aree a lunga e consolidata tradizione
cristiana, soprattutto l’Europa, mentre il loro incremento è evidente in
Africa, in America Latina ed in alcune regioni dell’Asia. Ma come si spiega
l’aumento delle vocazioni in Africa e in America Latina? Risponde il padre
rogazionista, don Vito Magno, intervistato da Amedeo Lomonaco:
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R. – Credo, soprattutto, per la vitalità delle comunità cristiane, che a
motivo anche di un processo di secolarizzazione più lento, conservano più che
da noi i valori tradizionali e possono contare su famiglie più unite e più numerose.
Inoltre, c'è più attenzione alle fasce povere della società ed una maggiore
apertura ministeriale. Per esempio, anche nelle zone dove scarseggia il clero
c’è abbondanza di catechisti e animatori sia liturgici sia di opere sociali.
D. – La comunità cristiana resta comunque il
principale terreno vocazionale...
R. –
Direi proprio di si. Il Messaggio del Papa per questa Giornata lo evidenzia
quando invita le comunità cristiane a diventare “scuole di preghiera”. E’ la
preghiera ad essere sorgente di vocazioni, come dice Gesù (“Pregate il Padrone
della messe perché mandi operai nella sua messe”) e come non si stancava di
ripetere il beato Annibale Di Francia, che il Papa proclamerà santo il prossimo
16 maggio.
D. – Quali i punti coincidenti tra l'attuale Giornata e le
intuizioni del Di Francia?
R. – Innanzitutto, che si tratta di una Giornata di
preghiera. Così l'aveva sognata il Di Francia e per decenni i Rogazionisti e le
Figlie del Divino Zelo da lui fondati. In secondo luogo si tratta di pregare
perché il Signore chiami e perchè i “chiamati” siano fedeli alla vocazione
ricevuta. Infine, perché la preghiera, come scrive il Papa nel messaggio, deve
incarnarsi in contesti umani bisognosi di aiuto materiale e spirituale. Perciò
una preghiera intesa come il mezzo per eccellenza della pastorale vocazionale!
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2 maggio 2004
IN
ISRAELE, IL PARTITO DI MAGGIORANZA, LIKUD, VOTA
OGGI
SUL PIANO DEL PREMIER SHARON PER IL RITIRO
UNILATERALE DALLA STRISCIA DI GAZA
- Con
noi, la prof.ssa Marcella Emiliani -
Sono ore decisive per la stabilità del governo israeliano.
Il premier Sharon rischia seriamente di essere messo in minoranza, se nel voto
di oggi – come indicano i sondaggi più recenti – i 193 mila militanti del Likud
bocceranno il suo piano di sgombero delle colonie. Il referendum, ufficialmente
consultivo, si annuncia dunque più delicato del previsto, come conferma
Marcella Emiliani, docente di Storia ed istituzioni del Paesi del Mediterraneo
all’Università di Bologna, intervistata da Andrea Sarubbi:
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R. – Sharon l’ha indetto, perché questo è un passo grave. Come
lui stesso ha dichiarato pochi giorni fa: è il piano che decisamente segna la
“campana a morto” per la road map. Quindi, anche nei confronti
dell’opinione pubblica internazionale, essere comunque legittimato da un
referendum molto informale è presentarsi con le carte in regola. Adesso bisogna
vedere cosa esce da questo referendum.
D. – Com’è possibile che Sharon
perda il sostegno del suo partito, il Likud, proprio su un tema
fondamentale per Israele come quello delle colonie?
R. – Dentro il partito di
Sharon, non dimentichiamolo, c’è l’ultra destra che è legata a tutte le
formazioni fondamentaliste ebraiche ed è legata ovviamente anche alla lobby dei
coloni. Anche se allo stato attuale delle cose, dopo una proposta come quella
che ha fatto Sharon, questo stesso partito dovrebbe dire cosa vuol fare, perché
altrimenti cosa si fa? Si torna alla road map? Si annettono questi
territori? Qual è la soluzione? Non si può continuare a restare in questo limbo
di occupazione.
D. – Paradossalmente lei
ritiene che un ‘no’ al piano Sharon possa addirittura favorire la road map?
R. – Certamente se si aggrava lo scontro dentro il Likud
potrebbe essere così. C’è un’attenzione anche da parte del partito laburista
nei confronti di una ripresa dei negoziati con l’Autorità nazionale palestinese.
Però, ripeto, Sharon si è spinto molto avanti con questo discorso del ritiro.
Non scordiamoci che il muro, a questo punto, ha preso il sopravvento e non è
altro che il primo passo per questo ritiro. Quindi, se non lo seguono nemmeno
quelli del suo partito su questa linea, molte cose rimangono in sospeso nella
politica israeliana e bisognerà riformularle.
D. – Che cosa può succedere in
Israele, se Sharon si trova in minoranza nel suo partito?
R. – Possono succedere varie
cose. Sharon può ricominciare un giro frenetico di consultazioni all’interno
del partito e portare il piano in Parlamento, contando su altre forze, ad
esempio parte del partito laburista, perché lo appoggino. Non scordiamoci che
un referendum fatto all’interno di un partito non ha alcuna validità politica,
dal punto di vista delle scelte politiche di fondo. Se lo scontro si sposta in
Parlamento, allora le cose potrebbero acquisire una nuova dinamica, perché può
darsi che il Parlamento gli dia quella maggioranza che non gli ha dato il suo
partito.
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COME AFFRONTARE LA GLOBALIZZAZIONE: E’ IL TEMA
CENTRALE DI UN CONVEGNO ORGANIZZATO DALLA
FONDAZIONE
- Ai
nostri microfoni, il cardinale Attilio Nicora -
Si è
concluso, ieri, in Vaticano il convegno internazionale promosso dalla Fondazione
Centesimus Annus pro Pontifice sul tema “Affrontare la globalizzazione.”
Il Papa nel suo messaggio ai partecipanti ha affermato la necessità di correggere
con la solidarietà l’attuale globalizzazione mondiale, che sta allargando il
divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Cosa dice allora la Chiesa su questo
fenomeno? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Attilio Nicora, presidente
dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che ieri pomeriggio
ha concluso i lavori con la celebrazione della Santa Messa prefestiva nella
cappella della Domus Sanctae Marthae:
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R. – La Chiesa non demonizza a priori il fenomeno della
globalizzazione, ma lo guarda con molta oggettività. Come tutti i grandi
fenomeni umani, in sé non è né buono né cattivo, è un modo di evolversi
dell’organizzazione sociale tra gli uomini su misura planetaria, che dipende
radicalmente da come gli uomini stessi lo sanno governare. Può essere
un’occasione preziosissima per rinsaldare l’unità della famiglia umana, come
può diventare, invece, uno strumento pericolosissimo per diffondere pulsioni
negative e distorcenti rispetto alla dignità delle persone. L’appello che la
dottrina sociale della Chiesa rivolge a tutti gli uomini di buona volontà è
quello ad un uso responsabile degli strumenti di governo di questo grande
fenomeno nella linea della partecipazione e della solidarietà.
D. – Cosa fare per diminuire il divario tra Nord e Sud del
mondo?
R. – C’è un problema di orientamenti fondamentali e di
disponibilità collettiva da parte dei Paesi del Nord del mondo a ripensare un
ordinamento pratico delle cose che ormai da troppo tempo si mostra iniquo e
generatore di iniquità. Se non c’è la disponibilità ad un esame veramente
critico, che sappia riconoscere anche le responsabilità personali e collettive
che sono in gioco, non si farà molta strada. A partire da questa considerazione
si può invece progredire nello studio e nella realizzazione di una serie di
decisioni politico-economico-sociali che mettano sempre più in dialogo
collaborativo queste due grandi aree mondiali e offrano soprattutto al Sud del
mondo la possibilità di far valere la propria creatività, i propri prodotti, le
proprie possibilità e in questo modo diventare partecipi e responsabili del
proprio stesso sviluppo, perché ciò che sarebbe comunque negativo è proseguire
in una linea paternalistica e protezionistica che fa piovere qualche briciola
di beneficenza a favore dei Paesi meno dotati, evitando invece di chiamarli
effettivamente all’esercizio di autonome responsabilità.
D. – Qual è, in proposito, il messaggio della Centesimus
Annus?
R. – Alla fine mi pare sempre quello dell’appello ad un
mondo più giusto e più umano, e a ragionare sempre più in termini planetari,
considerando l’unità radicale della famiglia umana e superando schemi ormai
desueti e negativi e l’appello a giocare con fiducia in una logica di
solidarietà effettiva perché alla fine, oltre ad essere questo un autentico dovere
etico è anche un vantaggio sotto il profilo sociale, perché quanti più soggetti
attivi e responsabili si affacceranno sullo scenario, tanto più il progresso
complessivo dell’umanità sarà favorito.
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MONDIALIZZARE LA SOLIDARIETA’ PER AFFRONTARE SENZA
IPOCRISIA
I
PROBLEMI DEI PAESI PIU’ POVERI: QUESTE LE CONCLUSIONI DEL CONVEGNO
SULL’AFRICA
SUBSAHARIANA, PROMOSSO A ROMA
DAL
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA GIUSTIZIA E LA PACE
- Ai
nostri microfoni, il cardinale Renato Raffaele Martino -
Alla presenza del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e del cardinale Francis
Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei
Sacramenti, si sono conclusi, in questi giorni, a Roma i lavori del Convegno
“Africa Subsahariana, fra mondializzazione e diversità culturali”. Ne è emerso
un quadro variegato sul futuro del continente africano, tra tradizione e modernità.
Il servizio di Lucas Dùran:
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Parlare di mondializzazione, con riferimento all’Africa,
sarebbe pura ipocrisia, almeno dal punto di vista economico. E’ una delle
conclusioni a cui si è giunti durante i lavori, parlando dell’avvenire del
continente africano. Ad affermarlo, l’economista Jean-Louis Arcand, che ha
proseguito dicendo testualmente: “Se oggi l’Africa venisse cancellata, non ce
ne accorgeremmo neppure. La realtà è che essa non ha accesso al mercato internazionale”.
Parole che lasciano il segno, ma che non cancellano gli effetti negativi della
globalizzazione che invece intervengono a modificare abitudini e costumi della
popolazione africana. Ma allora, ha senso preoccuparsi di ‘mondializzazione’
quando ci si riferisce all’Africa? Il cardinal Martino ritiene di sì, purché si
rispetti una condizione preliminare:
“Come il Papa ha più volte detto, la vera mondializzazione
a cui bisogna tendere è la mondializzazione della solidarietà; solamente quando
ci sarà un mondo solidale, questa globalizzazione potrà avere effetti benefici
perché sappiamo che se la globalizzazione non va avanti, è perché ci sono
troppi interessi di persone, di compagnie multinazionali, di Stati ...”.
Durante il Convengo è stato toccato il delicato punto
dell’infanzia violata in Africa, riferendosi in particolar modo al fenomeno dei
bambini soldato. Esiste in questo senso un quadro giuridico delineato a livello
internazionale. Cosa manca, allora, perché dai principi si passi all’azione
concreta in difesa dei più piccoli? Ancora il cardinal Martino:
“E’ necessaria la volontà politica di osservare tutto il
vasto campo degli strumenti giuridici che sono già in essere, e quindi
rinforzare questa obbligatorietà e naturalmente anche le sanzioni per i
contravventori”.
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QUINDICIMILA
GIOVANI DALL’ITALIA E DALL’ESTERO, RIUNITI IERI A POMPEI,
TAPPA
NEL CAMMINO DI PREPARAZIONE ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’. PROBLEMI E
SPERANZE DELLA CITTADINA CAMPANA
NELLA
TESTIMONIANZA DEL NUOVO VESCOVO
-
Intervista con mons. Carlo Liberati -
Si è svolto ieri a Pompei il 18.mo Meeting dei giovani,
promosso dal Pontificio Santuario della Beata Vergine del Rosario. Appuntamento
inserito nel calendario delle tappe in vista della XX Giornata Mondiale della
Gioventù, in programma a Colonia nel 2005. Hanno partecipato oltre 15 mila
giovani giunti dall’Italia e dall’estero nella località campana per ritrovarsi
intorno al Santuario, simbolo della cittadina. Qual è il messaggio che ha
rivolto loro la Chiesa? Giovanna Bove lo ha chiesto al nuovo vescovo di Pompei,
mons. Carlo Liberati.
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R. – E’ un messaggio di incoraggiamento a proseguire in
una giovinezza consapevole, cosciente degli impegni di fronte alla vita e come
credenti devono portare al mondo il messaggio di amore, in un mondo che è preso
da tanti conflitti, dal terrorismo e dalle lotte religiose. La Chiesa ha da
proporre soltanto un ideale, quello dell’amore di Cristo, attraverso il
dialogo, la partecipazione, il confronto, il rispetto reciproco e la valorizzazione
della persona. La strada maestra per un mondo diverso da quello che abbiamo ereditato.
D. – Lei è stato presidente del Pio Sodalizio dei Piceni a
Roma, poi all’Apsa, quindi amministratore del Patrimonio della Santa Sede,
adesso – da poco più di due mesi – a Pompei che ha – lo ricordiamo – il Comune
commissariato da più di due anni ...
R. – Pompei oggi è in un momento di “trapasso”: abbiamo
delle trasformazioni sociali, abbiamo le nuove povertà da aggredire. Il vescovo
è preoccupato ma non ha paura, perché confida nel Cristo Risorto, che ci prende
per mano nel cammino della vita e ci porta oltre gli orizzonti di questo
presente insoddisfacente per ciascuno di noi. Noi vogliamo un mondo più umano,
più cristiano.
D. – Quali saranno i suoi prossimi impegni per Pompei?
R. – La mia preoccupazione è che le case ex-operaie, dove
cioè un tempo abitavano gli operai della tipografia di Pompei, purtroppo
chiusa, possano essere trasformate in appartamenti-nido, dove cinque, sei,
sette, otto bambini verranno educati, i bambini che noi accogliamo e che hanno
bisogno di tutto, tanto più che la legge italiana impedirà – fra due anni – la
prosecuzione degli orfanotrofi e vorrà che questi ragazzi vengano educati nel
vivo della città. La prima mossa del vescovo è proprio questa: il tentativo –
potrei dire – affannoso di una lotta contro il tempo per avere le autorizzazioni
per l’approvazione dei progetti, che non esistono ancora.
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2 maggio 2004
RIPRISTINARE LA ROAD MAP
IN MEDIO ORIENTE E PORRE FINE AGLI OMICIDI MIRATI CONTRO I MILITANTI
PALESTINESI E AGLI ATTACCHI SUICIDI
CONTRO
I CIVILI ISRAELIANI: E’ L’APPELLO LANCIATO DAI VESCOVI BRITANNICI
DURANTE
LA PLENARIA, NEI GIORNI SCORSI A DURHAM
DURHAM. = Un accorato appello per l’immediato ripristino
della road map in Medio Oriente e la fine degli omicidi “mirati” contro
i militanti palestinesi e degli attacchi suicidi contro i civili israeliani è
stato lanciato dai presuli dell’Inghilterra e del Galles. In una dichiarazione
diffusa durante la loro plenaria, nei giorni scorsi a Durham, in Inghilterra, i
presuli deplorano l’ulteriore peggioramento della crisi mediorientale cui -
rilevano - hanno contribuito le recenti uccisioni dei due leader di Hamas,
Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi, così come l’appoggio dato dal presidente
statunitense, George W. Bush, al nuovo piano del capo dello Stato ebraico,
Ariel Sharon, sul ritiro parziale degli insediamenti israeliani
dalla striscia di Gaza. “Un ritorno ai negoziati e al primato del diritto
internazionale è vitale per risolvere con equità l’attuale tragica impasse”,
sottolineano con forza i vescovi, che esortano, quindi, il governo britannico
ad usare “tutti i mezzi per ripristinare la road map, il piano di pace
accettato dalle due parti in conflitto e approvato dal Quartetto di mediatori
internazionali” (Unione
Europea, Stati Uniti, Onu e Russia). I presuli hanno, infine,
invitato la comunità cattolica a pregare per tutte le vittime del conflitto
israelo-palestinese, nonché “per tutti coloro che stanno lavorando per la pace
e la riconciliazione” nei Territori. (D.G.)
“LA
VIOLENZA FA PERDERE DI VISTA IL BENE COMUNE E PREMIA L’EGOISMO DEI SINGOLI E
DEI GRUPPI DI POTERE”.
LO
SOTTOLINEA LA CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA
IN UN
DOCUMENTO DIFFUSO AL TERMINE DELLA 77.MA PLENARIA,
SVOLTASI
A CÕNA CÕNA
LA PAZ. = “La violenza aperta e
quella velata, come la corruzione, la burocrazia, le forti e ingiuste
disuguaglianze sociali e le pressioni nei confronti delle persone, che
attentano alla vita, alla sicurezza dei cittadini e alla convivenza pacifica, aggravano
la situazione del Paese”. È il grido d’allarme lanciato dalla Conferenza
episcopale boliviana (Ceb) in una dichiarazione diffusa al termine della sua
77.ma plenaria a Coña Coña e intitolata “Non abbiate paura! Il Signore vive
di verità!”. Nel documento, reso noto poco più di 48 ore prima dello
sciopero e delle dure iniziative di protesta minacciate dalla Centrale
operaia boliviana e dai contadini, contro un progetto governativo che prevede l’esportazione
di gas boliviano verso Messico e Stati Uniti, utilizzando un porto cileno, i
vescovi ricordano che “la violenza aggrava la situazione del Paese” e
rappresenta “una minaccia per la democrazia”. In particolare, la Ceb mette in
guardia dalle “azioni di alcuni partiti chiusi nel loro interesse di parte, di
settori dell’imprenditoria, di certi media e di gruppi estremisti che spingono
verso il confronto violento”. I leader che sostengono l’azione violenta, continuano
i presuli, “fanno perdere di vista il bene comune”, premiando invece
l’ingordigia e l’egoismo dei singoli e dei gruppi di potere. Il documento
indica, quindi, la soluzione ai problemi sociali della Bolivia, da ricercare
nella dignità della vita, nella pace, nell’unità, nella democrazia,
nell’uguaglianza “come figli di Dio” e “non nell’intolleranza che infrange la
convivenza fraterna”. I vescovi concludono con l’auspicio che “i processi
democratici che hanno come obiettivo l’approvazione della legge sugli
idrocarburi, il referendum sul gas e l’Assemblea costituente si compiano in
modo pacifico, con la più ampia partecipazione di tutti e con un’informazione
trasparente”. (L.Z.)
IL
REGIME ISOLAZIONISTA DI PYONGYANG HA PERMESSO L’INGRESSO VIA TERRA
DEI
SOCCORSI UMANITARI DELLA COREA DEL SUD DESTINATI A RYONGCHON,
LA
CITTA’ NORDCOREANA CHE IL 22 APRILE E’ STATA TEATRO DELLA DEFLAGRAZIONE
DI
ALCUNI VAGONI CARICHI DI ESPLOSIVO, CHE HA PROVOCATO 160 VITTIME
PYONGYANG.
= La Corea del Nord è disposta ad aprire i confini con la Corea del Sud per
permettere il transito dei soccorsi umanitari destinati alla città di Ryongchon,
dove giovedì 22 aprile nella locale stazione alcuni vagoni carichi di materiale
esplosivo sono deflagrati per l’impatto con cavi di alta tensione, provocando
160 vittime e 1300 feriti, di cui almeno 400, soprattutto bambini, sono ancora
ricoverati in ospedale. Lo ha riferito l’agenzia di stampa sudcoreana “Yonhap”,
precisando che il responsabile della Croce Rossa di Seul, Lee Yoon-gu, ha ricevuto
dal suo omologo norcoreano, Jang Jae-on, l’autorizzazione ad inviare via terra
materiale da costruzione e camion, con l’incarico di fermarsi a Kaesong, poco oltre
il confine. In un primo momento, il regime isolazionista di Pyongyang aveva vietato
ai convogli sudocoerani di superare la zona di frontiera, fortemente militarizzata,
lungo il 38.mo parallelo, che dal 1952 segna il confine tra i due Paesi, e di
addentrarsi nel territorio nazionale. Intanto, a una settimana dai primi
soccorsi giunti dalla Cina, Seul è riuscita a far arrivare sul posto anche i
suoi aiuti grazie ad un volo aereo autorizzato da Pyonyang. Dopo la sciagura,
che ha distrutto gran parte dell’area circostante la deflagrazione incluse
abitazioni civili, lasciando centinaia di persone senza un tetto, Seul aveva
messo subito a disposizione soccorsi per un valore di un milione di dollari. La
Corea del Nord aveva richiesto ai Paesi stranieri aiuti per 27 milioni di
dollari, inclusi bulldozer, materiale scolastico e televisori. Tale domanda ha
stupito gli osservatori internazionali, alcuni dei quali ipotizzano che la
tragedia di Ryongchon, analogamente a quanto accaduto con la sciagura di
Chernobyl per l’ex Unione Sovietica, possa costituire un primo passo per
rompere il decennale isolamento della nazione asiatica. (D.G.)
AVVENUTO STAMANI ALLE 10.29 NELLA
CAPPELLA DEL TESORO DEL DUOMO DI NAPOLI
IL PRODIGIO DELLA LIQUEFAZIONE DEL
SANGUE DI SAN GENNARO,
PATRONO DELLA CITTA’. ATTESO NELLA
GIORNATA DI IERI,
IL MANCATO “MIRACOLO” AVEVA
DESTATO LA PREOCCUPAZIONE DEI FEDELI
NAPOLI.
= E' avvenuto alle 10.29 di stamani, nella Cappella del Tesoro della cattedrale
di Napoli, il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro, patrono
della città. Il mancato “miracolo” di ieri aveva destato preoccupazione tra i fedeli
che prima della cerimonia, officiata dall’arcivescovo del capoluogo campano, il
cardinale Michele Giordano, avevano preso parte alla processione. Nonostante
ben sette invocazioni e altrettante preghiere speciali, tra cui una per gli
ostaggi italiani in Iraq, il sangue contenuto nella teca non si era sciolto e
il porporato aveva sottolineato che ritenere “il mancato miracolo sia auspicio
di cattivo augurio, è solo superstizione”. Il fenomeno della liquefazione del
sangue di San Gennaro si verifica solitamente il sabato antecedente la prima
domenica di maggio, gli altri avvengono il 19 settembre e il 16 dicembre, e
ricorda la traslazione dei resti del Santo da Pozzuoli a Napoli. La cerimonia
di ieri, per la prima volta, è stata proiettata in diretta su due maxischermi
allestiti l’uno nel quartiere Vomero, l’altro nel centro cittadino. Il rito,
secondo l’antica tradizione, prevedeva anche 21 colpi a salve di cannone, che
sarebbero dovuti essere sparati da Castel dell'Ovo, in caso di avvenuto miracolo.
(D.G.)
TRA LE OPERE IN CARTELLONE DEL
33.MO FESTIVAL DI MUSICA SACRA DEL TRENTINO, LA MESSA “L’ANNO SANTO” COMPOSTA
DA GEORG RATZINGER,
FRATELLO DEL CARDINALE JOSEPH
RATZINGER,
PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE
TRENTO.
= Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede, ha assistito, ieri nel Duomo di Trento, all’esecuzione della Messa
solenne dal titolo “L’Anno Santo”. L’opera è stata composta dal fratello, Georg
Ratzinger, ed è stata cantata dai celebri “Regensburger Domspatzen”, coro di
voci bianche della città tedesca di Ratisbona, diretto da Roland Buechner.
L’esecuzione rientra nel cartellone del 33.mo Festival regionale di Musica Sacra,
in corso in Trentino dal 30 aprile al 6 giugno. La manifestazione, sin dal
1972, anno della prima edizione, ha come obiettivo quello di recuperare le
partiture dimenticate, permettendo quindi al pubblico di scoprire veri e propri
capolavori e rivelando autori altrimenti sconosciuti. In particolare, il
programma di quest’anno ripropone l’immenso patrimonio ispirato dal sentimento
religioso, espresso nelle forme collettive dei riti liturgici o riflesso nella
più intima dimensione individuale. Tra le opere in calendario: la Missa Mexicana,
eseguita dal “The Harp Consort” guidato
da Andrew Lawrence-King, musicista di riferimento per il mondo dell’arpa, in
questo caso “restauratore”, in forma di concerto, di una solenne liturgia
collocabile intorno alla metà del secolo 17.mo, nella cattedrale messicana di
Puebla. (D.G.)
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2
maggio 2004
- A cura di Barbara Castelli -
E’ iniziato un nuovo capitolo per l’Unione Europea. Le
bandiere dei 25 Paesi che compongono la Nuova Ue sventolano, infatti, insieme
da ieri pomeriggio, al centro del grande parco Phoenix di Dublino. L’Europa dei
15 ha formalmente accolto quattro Paesi che fecero parte del Patto di Varsavia,
Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, tre stati che furono parte
integrante del territorio sovietico, Estonia, Lettonia e Lituania, e ancora
Slovenia, Malta e Cipro. Rimangono, tuttavia, molte incertezze sul futuro
dell’Europa. Quali sono, quindi, le sfide per l’Europa a 25? Ci risponde
Giorgio Rumi, professore di Storia Contemporanea all’Università Statale di
Milano.
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R. – Innanzitutto, la governabilità e, quindi, il problema
delle sue Istituzioni e il problema anche della sua Carta Costituzionale.
L’Europa allargata a 25, dunque, è una grande speranza e anche una fonte di
grossi problemi. Certamente, richiede il meglio delle nostre energie.
D. – Accennava alla Carta Costituzionale: una meta ancora
lontana?
R. – Lontana e vicina perché per gli ingegneri
costituzionali costituisce un bel problema: si tratta di farla funzionare senza
accelerare troppo la macchina, ma senza neanche farla andare troppo piano. Ci
sono poi anche i problemi di contenuto, perché si è scelto di non fare una
costituzione ‘tecnico-meccanica’, ma anche con indicazioni di principi e di
valori. Qui nasce il problema delle radici cristiane dell’Europa, che non
possono essere sottaciute. L’Europa non può non avere un’anima, se vuol essere
un organismo vitale, sano e non più una blanda confederazione di interessi
economici.
D. – Non ultimo anche il problema del terrorismo ...
R. – Per il terrorismo c’è la difficoltà di conciliare
l’efficacia del controllo e della difesa con la non-militarizzazione del
continente. Un’Europa che fosse un campo trincerato non avrebbe tanto senso.
D’altra parte, non si può lasciare l’Europa indifesa. Come vede, tutto ha luci
ed ombre, però abbiamo anche dei punti di forza che sono i principi di libertà,
di democrazia, la libera critica, la circolazione delle persone, sia pure con
minimi accorgimenti, e così via ... Quindi, abbiamo dei presupposti sani per
affrontare i problemi. L’Europa è come un adolescente che deve affrontare una
stagione bellissima ma anche problematica, ed è inutile nasconderselo. I
problemi ci sono e vanno risolti.
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Il primo ministro polacco, Leszek Miller, ha presentato
stamani ufficialmente le proprie dimissioni. La rinuncia a guida del governo,
annunciata già da un mese, cade in coincidenza dell’ingresso nell’Unione
Europea della Polonia ed è dovuto alla perdita della maggioranza parlamentare.
Alla carica di premier è già stato designato, dal presidente, Aleksander
Kwasniewski, l’economista Marek Belka, reduce da Baghdad, dove ha fatto parte
del Comitato per la ricostruzione dell’Iraq.
In
Medio Oriente si registrano nuovi episodi di violenza. Le Brigate al-Quds - il
braccio armato della Jihad islamica - hanno rivendicato stamani la paternità
dell’attacco anti-israeliano avvenuto nel sud della striscia di Gaza.
L’attentato, si legge in un comunicato, è stato coordinato insieme con le
Brigate del Saladino, il braccio armato dei Comitati di resistenza popolare,
attivi nel sud della Striscia. Nel fatto di sangue hanno perso la vita nove
persone, tra le quali una giovane madre e quattro suoi figli. Un bambino di
otto anni, invece, ha perso la vita ieri nel campo profughi di Khan Yunis,
sotto il colpi dei soldati israeliani.
La situazione in Iraq resta critica. Nuove vittime si
registrano su tutto il Territorio, mentre la Gran Bretagna, secondo quanto
riferisce il Sunday Telegraph, ha deciso di inviare nel Golfo altri 4.000
soldati, per pattugliare la zona sciita di Najaf. Il presidente americano,
George Bush, intanto, ha ribadito la volontà degli Stati Uniti di restare in Iraq.
Il nostro servizio:
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Gli Stati Uniti “termineranno il lavoro” intrapreso in
Iraq. “La democrazia vincerà”, “perché la coalizione è forte, perché la nostra
determinazione è totale e perché il popolo iracheno desidera e merita di vivere
libero”. Con queste parole ieri il capo della Casa Bianca, George Bush, ha ribadito
la propria strategia nel Golfo, a un anno esatto dal discorso con cui, il primo
maggio 2003, aveva dichiarato conclusi “i maggiori combattimenti” in Iraq.
L’ottimismo del presiedente statunitense, tuttavia, non trova conforto nei
reiterati episodi di violenza che ogni giorno si consumano sul Territorio.
Quattro soldati americani, secondo quanto riferisce un responsabile militare
della coalizione, sono rimasti uccisi in due diversi attacchi. Il primo ieri
sera nella città sciita di Amara, nel sud dell’Iraq, dove si è svolta
un’operazione di rastrellamento dei sostenitori del leader radicale Moqtada Al
Sadr, con vittime e arresti. L’altro questa mattina in un quartiere
nord-occidentale di Baghdad, dove hanno perso la vita anche due iracheni dei
Corpi civili di difesa. L’attenzione poi resta rivolta anche alla sorte dei numerosi
ostaggi detenuti dalla guerriglia. Nessuna notizia, per il momento, dei tre
prigionieri italiani. Una delle due principali fazioni curde irachene ha
respinto oggi l’offerta dei sequestratori degli italiani, di scambiare i tre ostaggi
con integralisti islamici detenuti dai curdi nell’Iraq settentrionale. Intanto,
stamani è riuscito a sfuggire ai suoi rapitori Thomas Hamill, l’americano
rapito il 9 aprile scorso ad ovest della capitale.
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I maltrattamenti dei prigionieri “sono assolutamente
inaccettabili”. Così ieri il premier britannico, Tony Blair, commentando le
foto che mostrano un detenuto iracheno torturato da soldati britannici.
Parlando a Dublino, dove si trovava per i festeggiamenti per l’allargamento
dell’Ue, Blair ha, tuttavia, sottolineato che ogni comportamento del genere è
“eccezionale” e non deve svilire il buon lavoro che i britannici stanno facendo
nel sud dell’Iraq.
All’indomani dell’ennesimo attentato kamikaze in Arabia
Saudita, costato la vita a cinque ingegneri occidentali, Riad ha promesso di
usare il “pugno di ferro” contro i terroristi. “Il regno eliminerà il
terrorismo - ha detto il principe ereditario Abdullah - non importa quanto ci
vorrà”.
Tre presunti terroristi islamici sono stati arrestati
nella notte in Marocco, dopo un violento scontro con le forze di sicurezza.
L’operazione è avvenuta in un quartiere popolare di Casablanca, dove la polizia
ha aperto il fuoco contro un gruppo di cinque presunti terroristi armati di
sciabole e coltelli. Un poliziotto è rimasto gravemente ferito alla testa.
Trasferiamoci in Algeria. Il Gruppo salafista per la
predicazione e il combattimento (Gspc), cui vengono attribuiti gran parte degli
attentati nel Paese, ha incitato i propri seguaci a intensificare la lotta,
abbandonando qualsiasi contatto con le autorità per una eventuale resa.
Recentemente i giornali locali avevano parlato di una decina di uomini arresi
alle autorità.
Urne aperte oggi a Panama per le elezioni presidenziali,
parlamentari e amministrative. La lotta alla corruzione, alla povertà e alla
disoccupazione rappresentano le principali sfide per il Paese. Il servizio di
Maurizio Salvi.
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Le operazioni di voto sono incominciate in tutto il Paese
alle sette, per eleggere non solo il successore del presidente uscente, la
signora Mireya Moscoso, ma anche per rinnovare praticamente tutte le cariche
politiche ed amministrative del Paese. Il super-favorito e vincitore
praticamente certo della tornata elettorale presidenziale è il giovane Martin
Torrijos, leader del partito rivoluzionario democratico di centro, ma
soprattutto figlio del caudillo nazionalista Omar Torrijos, che negli anni
Sessanta diede il via ad una stagione di regimi militari che terminarono nel
1989 con l’intervento statunitense e la destituzione del generale Noriega. Suo
principale sfidante, sia pure a 20 punti di distanza secondo i sondaggi, è
proprio il successore di Noriega, l’ex presidente Guillermo Endara, che guida
il partito “Solidarietà” di centrodestra. Gli altri due candidati in lizza,
l’ex ministro degli Esteri José Miguel Alemán, appoggiato dal capo dello Stato uscente;
l’imprenditore italo-panamense, Riccardo Martinelli, non ha, invece, alcuna
possibilità di affermarsi. Dal punto di vista politico, i quattro candidati
hanno praticamente le stesse proposte, favorevoli, ad esempio, al progetto di
ampliamento del Canale di Panama, tornato nel 2000 sotto sovranità panamense.
Ma anche al trattato di libero commercio con gli Stati Uniti e al piano
Puebla-Panama, un ambizioso progetto di sfruttamento delle materie prime del
sud del Messico e del Centroamerica, avversato da molti movimenti sociali e di
base; gli stessi che, in occasione di queste elezioni, hanno lanciato -
attraverso l’alleanza nazionale della vita Anavi - una campagna per il voto in
bianco che ha ricevuto l’appoggio della Caritas di Panama. Il timore di molti
osservatori è che il nuovo capo dello Stato, chiunque esso sia, non avrà la
forza sufficiente per bloccare la corruzione che potrebbe trovare negli enormi
finanziamenti per l’ampliamento del Canale - si parla di dieci miliardi di
dollari - un terreno fin troppo fertile.
Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.
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La presidente delle Filippine, Gloria Arroyo, ha annullato
stamani l’ultima tappa della sua campagna elettorale per le consultazioni del
10 maggio prossimo. Alla base della decisione, le minacce di attentati di
estremisti musulmani. Arroyo, che si presenta per un secondo mandato, secondo i
sondaggi, gode di un leggero vantaggio sul suo principale rivale, l’attore
Fernando Poe.
Ha preso il via oggi da Pechino un viaggio diplomatico in
Europa per il premier cinese, Wen Jiabao. Il 61.enne concluderà la tornata di
colloqui il 12 maggio prossimo, dopo esser stato in Italia, Germania, Belgio,
Regno Unito ed Irlanda. Gli scambi della Cina con l’Europa sono arrivati lo
scorso anno a 125 miliardi di dollari, un aumento del 44% nel giro di 12 mesi,
tallonando quelli con Stati Uniti e Giappone.
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