RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 123 - Testo della trasmissione di domenica 2 maggio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’Europa non rimuova, ma riscopra le sue radici cristiane: così, il Papa al Regina Coeli, dedicato all’ingresso di 10 nuovi Stati nell’Unione Europea

 

Gesù sia sempre al centro della vostra vita, anche di fronte alle tendenze culturali che vogliono far dimenticare Dio: è l’esortazione del Pontefice a 26 nuovi sacerdoti, ordinati stamani nella Basilica di San Pietro

 

I cattolici nel mondo crescono e aumenta anche il numero di vocazioni in Africa e America Latina. Questi i dati più significativi del nuovo Annuario Statistico della Chiesa. Intervista con il padre rogazionista, don Vito Magno.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Israele, il partito del Likud è chiamato oggi a votare sul piano del premier Sharon per il ritiro dalla Striscia di Gaza. Ce ne parla la prof.ssa Marcella Emiliani, esperta di Paesi del Mediterraneo

 

Come affrontare la globalizzazione: è il tema centrale di un convegno promosso dalla Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice. Con noi, il cardinale Attilio Nicora

 

Mondializzare la solidarietà per aiutare i Paesi poveri: è l’esortazione emersa al convegno sull’Africa subsahariana, organizzato dal Pontificio consiglio “Giustizia e Pace”. Ai nostri microfoni, il cardinale Renato Martino

 

Ieri a Pompei, 15 mila giovani riuniti in preparazione alla GMG. Con noi, il vescovo della città campana, mons. Carlo Liberati.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Un appello per il ripristino della “Road Map” in Medio Oriente è stato lanciato, nei giorni scorsi, dai vescovi britannici

 

“La disuguaglianza sociale aggrava la situazione nel Paese”. È il monito al governo di La Paz da parte della Conferenza episcopale boliviana

 

Dopo la tragedia ferroviaria di Ryongchon, il regime di Pyongyang aprirà i suoi confini agli aiuti umanitari della Corea del Sud

 

Avvenuto alle 10.29 di stamani a Napoli il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro

 

In corso in Trentino, la 33esima edizione del “Festival Regionale di Musica Sacra”.

 

24 ORE NEL MONDO:

Una data storica per il Vecchio Continente: issate a Dublino le bandiere dei 25 Paesi che compongono la nuova Unione Europea. - In Medio Oriente, nuove violenze nei Territori: 9 in tutto le vittime. - Sempre tesa la situazione in Iraq, la Gran Bretagna intende inviare nuovi soldati. - Tornata elettorale oggi a Panama per le presidenziali, parlamentari e amministrative.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 maggio 2004

 

L’EUROPA NON RIMUOVA, MA RISCOPRA LE SUE RADICI CRISTIANE:

COSI’, IL PAPA AL REGINA COELI, DEDICATO ALL’INGRESSO

DI DIECI NUOVI STATI NELL’UNIONE EUROPEA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

L’Europa nel cuore di Giovanni Paolo II. Al Regina Coeli, davanti ad una Piazza San Pietro gremita di fedeli, il Papa ha rivolto stamani il suo pensiero al Vecchio Continente, che, ieri, con l’ingresso di 10 nuovi Stati nell’Unione europea, ha vissuto una tappa importante della sua storia. “Dieci nazioni, che già per cultura e tradizioni erano e si sentivano europee - ha sottolineato il Pontefice - vengono ora a far parte di questa Unione di Stati”. Ha, così, messo l’accento sull’importanza delle radici cristiane per la costruzione dell’Europa. Radici, che non vanno rimosse, ma riscoperte. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“L’unità dei popoli europei, se vuol essere duratura, non può però essere solo economica e politica”. E’ l’avvertimento di Giovanni Paolo II, che ha riecheggiato le parole pronunciate nel pellegrinaggio a Campostella del 1982: “l’anima dell’Europa resta anche oggi unita, perché fa riferimento a comuni valori umani e cristiani”.

 

“La storia della formazione delle Nazioni europee cammina di pari passo con l’evangelizzazione. Pertanto, nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente sino ai nostri giorni, la sua identità sarebbe incomprensibile senza il Cristianesimo”.

 

Proprio per questo, ha aggiunto, “la Chiesa ha voluto offrire in questi anni non pochi contributi al consolidamento della sua unità culturale e spirituale”, in particolare con i Sinodi Speciali per l’Europa, del 1990 e del 1999. “La linfa vitale del Vangelo – ha avvertito il Papa – può assicurare all’Europa uno sviluppo coerente con la sua identità, nella libertà e nella solidarietà, nella giustizia e nella pace”. Parole corredate da una viva esortazione:

 

 “Solo un’Europa che non rimuova, ma riscopra le proprie radici cristiane potrà essere all’altezza delle grandi sfide del terzo millennio: la pace, il dialogo tra le culture e le religioni, la salvaguardia del creato”.

 

A questa importante impresa, ha detto il Papa, “tutti i credenti in Cristo dell’Occidente e dell’Oriente europeo, grazie a un’aperta e sincera cooperazione ecumenica, sono chiamati a offrire il proprio contributo”. Salutando, quindi, con affetto le nazioni che sono state accolte nell’Unione Europea, ha rivolto il suo pensiero a quei tanti Santuari che, nei secoli, in tutto il Continente hanno tenuto viva la devozione alla Vergine Maria. Quindi, rivolgendosi ai fedeli polacchi, il Pontefice ha sottolineato come l’allargamento dell’Unione Europea sia iniziato proprio con i cambiamenti politici avvenuti in Polonia alla fine degli anni ’80.

 

Dopo la recita del Regina Coeli, seguita da migliaia di persone in piazza San Pietro, il Papa ha sottolineato la ricorrenza odierna della Giornata mondiale per le vocazioni e, proprio stamani, il Santo Padre ha ordinato 26 nuovi sacerdoti nella Basilica di San Pietro. Ha, cosi, invitato tutti i fedeli a pregare affinché non manchino mai numerose e sante vocazioni nella Chiesa.

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GESÙ SIA SEMPRE AL CENTRO DELLA VOSTRA VITA, ANCHE DI FRONTE ALLE TENDENZE CULTURALI, CHE OGGI VOGLIONO FAR DIMENTICARE DIO:

È L’ESORTAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II A 26 NUOVI SACERDOTI,

ORDINATI OGGI NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Nella 41.ma giornata mondiale per le vocazioni, Giovanni Paolo II ha conferito stamani – in una solenne celebrazione nella Basilica Vaticana – l’ordina-zione presbiteriale a 26 diaconi, provenienti da diverse parti del mondo. Diciassette italiani, un panamense, un peruviano, un polacco, un ungherese, uno spagnolo, un diacono della Guinea Equatoriale, un indiano di Kerala, un messicano e un giovane del Madagascar. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(canti)

        

La gioia pasquale, ha detto il Papa, è oggi più intensa per l’Ordinazione presbiteriale di questi figli destinati ad essere pastori per la Chiesa di Roma. Nell’omelia, il Papa ha espresso parole di viva esortazione ai nuovi sacerdoti, chiamati ad un compito impegnativo nella realtà dei nostri tempi:

 

“Voi diventate sacerdoti in un'epoca in cui, anche qui a Roma, forti tendenze culturali sembrano voler far dimenticare Dio, soprattutto ai giovani e alle famiglie. Ma non abbiate paura: Dio sarà sempre con voi!”.

 

“Con il suo aiuto – ha proseguito – potrete percorrere le strade che conducono al cuore di ogni uomo ed annunciargli che il Buon Pastore ha dato la vita per lui e lo vuole partecipe del suo mistero di amore e salvezza”. Ha così corredato questo parole con un avvertimento:

 

Per portare a compimento quest'opera tanto necessaria occorre, però, che Gesù sia sempre il centro della vostra vita e con Lui restiate in intima unione con la preghiera, la meditazione personale quotidiana, la fedeltà alla Liturgia delle Ore e soprattutto la devota quotidiana celebrazione dell'Eucaristia”.

 

 Se sarete pieni di Dio, ha detto ancora, “sarete veri apostoli della nuova evangelizzazione, perché nessuno dà ciò che non porta nel suo cuore”. Il Papa non ha, poi, mancato di ringraziare le famiglie, che hanno curato la formazione e la crescita della fede dei nuovi sacerdoti e quanti, insieme alle comunità parrocchiali di appartenenza, li hanno aiutati a scoprire il “dono e mistero” della vocazione, a “dire sì alla chiamata del Signore”.

 

(musica)

 

Ricca di segni, l’ordinazione ha offerto momenti di grande emozione. La presentazione dei candidati al Santo Padre, con l’impegno degli eletti. Quindi, l’imposizione delle mani del Papa sui diaconi e la preghiera di ordinazione. Infine, la vestizione degli abiti sacerdotali, l’unzione crismale e la consegna del pane e del vino. Alla celebrazione hanno assistito famigliari ed amici dei nuovi sacerdoti, che hanno gremito la Basilica di San Pietro. Alcuni di loro, vestivano gli abiti tradizionali del luogo di provenienza, rendendo ancor più festosa l’atmosfera.

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I CATTOLICI NEL MONDO CRESCONO E AUMENTA ANCHE IL NUMERO DI VOCAZIONI

NEI PAESI DELL’AFRICA E DELL’AMERICA LATINA.

SONO ALCUNI DEI DATI PIÙ SIGNIFICATIVI

DEL NUOVO ANNUARIO STATISTICO DELLA CHIESA

- Intervista con padre Vito Magno -

 

Il nuovo Annuario Statistico della Chiesa registra la crescita dei cattolici nel mondo, passati dai 757 milioni del 1978, anno di inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, ad un miliardo e 70 milioni del 2002. Nello stesso periodo, i vescovi da 3.714 sono saliti a 4.695, mentre è contenuto l’aumento del numero dei sacerdoti diocesani, che nel 1978 erano 262.485 e nel 2002 sono 267.334. I seminaristi maggiori risultano raddoppiati: da 63.882 a 113.199. In diminuzione le suore: erano 990.768 nel 1978 oggi sono 782.932. In generale la crisi delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata colpisce le aree a lunga e consolidata tradizione cristiana, soprattutto l’Europa, mentre il loro incremento è evidente in Africa, in America Latina ed in alcune regioni dell’Asia. Ma come si spiega l’aumento delle vocazioni in Africa e in America Latina? Risponde il padre rogazionista, don Vito Magno, intervistato da Amedeo Lomonaco:

 

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R. – Credo, soprattutto, per la vitalità delle comunità cristiane, che a motivo anche di un processo di secolarizzazione più lento, conservano più che da noi i valori tradizionali e possono contare su famiglie più unite e più numerose. Inoltre, c'è più attenzione alle fasce povere della società ed una maggiore apertura ministeriale. Per esempio, anche nelle zone dove scarseggia il clero c’è abbondanza di catechisti e animatori sia liturgici sia di opere sociali.

 

D. – La comunità cristiana resta comunque il principale terreno vocazionale...

 

R. – Direi proprio di si. Il Messaggio del Papa per questa Giornata lo evidenzia quando invita le comunità cristiane a diventare “scuole di preghiera”. E’ la preghiera ad essere sorgente di vocazioni, come dice Gesù (“Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”) e come non si stancava di ripetere il beato Annibale Di Francia, che il Papa proclamerà santo il prossimo 16 maggio.

 

D. – Quali i punti coincidenti tra l'attuale Giornata e le intuizioni del Di Francia?

 

R. – Innanzitutto, che si tratta di una Giornata di preghiera. Così l'aveva sognata il Di Francia e per decenni i Rogazionisti e le Figlie del Divino Zelo da lui fondati. In secondo luogo si tratta di pregare perché il Signore chiami e perchè i “chiamati” siano fedeli alla vocazione ricevuta. Infine, perché la preghiera, come scrive il Papa nel messaggio, deve incarnarsi in contesti umani bisognosi di aiuto materiale e spirituale. Perciò una preghiera intesa come il mezzo per eccellenza della pastorale vocazionale!

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 maggio 2004

 

IN ISRAELE, IL PARTITO DI MAGGIORANZA, LIKUD, VOTA

OGGI SUL PIANO DEL PREMIER SHARON PER IL RITIRO

 UNILATERALE DALLA STRISCIA DI GAZA

- Con noi, la prof.ssa Marcella Emiliani -

 

Sono ore decisive per la stabilità del governo israeliano. Il premier Sharon rischia seriamente di essere messo in minoranza, se nel voto di oggi – come indicano i sondaggi più recenti – i 193 mila militanti del Likud bocceranno il suo piano di sgombero delle colonie. Il referendum, ufficialmente consultivo, si annuncia dunque più delicato del previsto, come conferma Marcella Emiliani, docente di Storia ed istituzioni del Paesi del Mediterraneo all’Università di Bologna, intervistata da Andrea Sarubbi:

 

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R. – Sharon l’ha indetto, perché questo è un passo grave. Come lui stesso ha dichiarato pochi giorni fa: è il piano che decisamente segna la “campana a morto” per la road map. Quindi, anche nei confronti dell’opinione pubblica internazionale, essere comunque legittimato da un referendum molto informale è presentarsi con le carte in regola. Adesso bisogna vedere cosa esce da questo referendum.

 

D. – Com’è possibile che Sharon perda il sostegno del suo partito, il Likud, proprio su un tema fondamentale per Israele come quello delle colonie?

 

R. – Dentro il partito di Sharon, non dimentichiamolo, c’è l’ultra destra che è legata a tutte le formazioni fondamentaliste ebraiche ed è legata ovviamente anche alla lobby dei coloni. Anche se allo stato attuale delle cose, dopo una proposta come quella che ha fatto Sharon, questo stesso partito dovrebbe dire cosa vuol fare, perché altrimenti cosa si fa? Si torna alla road map? Si annettono questi territori? Qual è la soluzione? Non si può continuare a restare in questo limbo di occupazione.

 

D. – Paradossalmente lei ritiene che un ‘no’ al piano Sharon possa addirittura favorire la road map?

 

R. – Certamente se si aggrava lo scontro dentro il Likud potrebbe essere così. C’è un’attenzione anche da parte del partito laburista nei confronti di una ripresa dei negoziati con l’Autorità nazionale palestinese. Però, ripeto, Sharon si è spinto molto avanti con questo discorso del ritiro. Non scordiamoci che il muro, a questo punto, ha preso il sopravvento e non è altro che il primo passo per questo ritiro. Quindi, se non lo seguono nemmeno quelli del suo partito su questa linea, molte cose rimangono in sospeso nella politica israeliana e bisognerà riformularle.

 

D. – Che cosa può succedere in Israele, se Sharon si trova in minoranza nel suo partito?

 

R. – Possono succedere varie cose. Sharon può ricominciare un giro frenetico di consultazioni all’interno del partito e portare il piano in Parlamento, contando su altre forze, ad esempio parte del partito laburista, perché lo appoggino. Non scordiamoci che un referendum fatto all’interno di un partito non ha alcuna validità politica, dal punto di vista delle scelte politiche di fondo. Se lo scontro si sposta in Parlamento, allora le cose potrebbero acquisire una nuova dinamica, perché può darsi che il Parlamento gli dia quella maggioranza che non gli ha dato il suo partito.

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COME AFFRONTARE LA GLOBALIZZAZIONE: E’ IL TEMA

 CENTRALE DI UN CONVEGNO ORGANIZZATO DALLA FONDAZIONE

CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE

- Ai nostri microfoni, il cardinale Attilio Nicora -

 

 

         Si è concluso, ieri, in Vaticano il convegno internazionale promosso dalla Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice sul tema “Affrontare la globalizzazione.” Il Papa nel suo messaggio ai partecipanti ha affermato la necessità di correggere con la solidarietà l’attuale globalizzazione mondiale, che sta allargando il divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Cosa dice allora la Chiesa su questo fenomeno? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che ieri pomeriggio ha concluso i lavori con la celebrazione della Santa Messa prefestiva nella cappella della Domus Sanctae Marthae:

 

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R. – La Chiesa non demonizza a priori il fenomeno della globalizzazione, ma lo guarda con molta oggettività. Come tutti i grandi fenomeni umani, in sé non è né buono né cattivo, è un modo di evolversi dell’organizzazione sociale tra gli uomini su misura planetaria, che dipende radicalmente da come gli uomini stessi lo sanno governare. Può essere un’occasione preziosissima per rinsaldare l’unità della famiglia umana, come può diventare, invece, uno strumento pericolosissimo per diffondere pulsioni negative e distorcenti rispetto alla dignità delle persone. L’appello che la dottrina sociale della Chiesa rivolge a tutti gli uomini di buona volontà è quello ad un uso responsabile degli strumenti di governo di questo grande fenomeno nella linea della partecipazione e della solidarietà.

 

D. – Cosa fare per diminuire il divario tra Nord e Sud del mondo?

 

R. – C’è un problema di orientamenti fondamentali e di disponibilità collettiva da parte dei Paesi del Nord del mondo a ripensare un ordinamento pratico delle cose che ormai da troppo tempo si mostra iniquo e generatore di iniquità. Se non c’è la disponibilità ad un esame veramente critico, che sappia riconoscere anche le responsabilità personali e collettive che sono in gioco, non si farà molta strada. A partire da questa considerazione si può invece progredire nello studio e nella realizzazione di una serie di decisioni politico-economico-sociali che mettano sempre più in dialogo collaborativo queste due grandi aree mondiali e offrano soprattutto al Sud del mondo la possibilità di far valere la propria creatività, i propri prodotti, le proprie possibilità e in questo modo diventare partecipi e responsabili del proprio stesso sviluppo, perché ciò che sarebbe comunque negativo è proseguire in una linea paternalistica e protezionistica che fa piovere qualche briciola di beneficenza a favore dei Paesi meno dotati, evitando invece di chiamarli effettivamente all’esercizio di autonome responsabilità.

 

D. – Qual è, in proposito, il messaggio della Centesimus Annus?

 

R. – Alla fine mi pare sempre quello dell’appello ad un mondo più giusto e più umano, e a ragionare sempre più in termini planetari, considerando l’unità radicale della famiglia umana e superando schemi ormai desueti e negativi e l’appello a giocare con fiducia in una logica di solidarietà effettiva perché alla fine, oltre ad essere questo un autentico dovere etico è anche un vantaggio sotto il profilo sociale, perché quanti più soggetti attivi e responsabili si affacceranno sullo scenario, tanto più il progresso complessivo dell’umanità sarà favorito.

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MONDIALIZZARE LA SOLIDARIETA’ PER AFFRONTARE SENZA IPOCRISIA

I PROBLEMI DEI PAESI PIU’ POVERI: QUESTE LE CONCLUSIONI DEL CONVEGNO

SULL’AFRICA SUBSAHARIANA, PROMOSSO A ROMA

DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA GIUSTIZIA E LA PACE

- Ai nostri microfoni, il cardinale Renato Raffaele Martino -

 

 

Alla presenza del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e del cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, si sono conclusi, in questi giorni, a Roma i lavori del Convegno “Africa Subsahariana, fra mondializzazione e diversità culturali”. Ne è emerso un quadro variegato sul futuro del continente africano, tra tradizione e modernità. Il servizio di Lucas Dùran:

 

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Parlare di mondializzazione, con riferimento all’Africa, sarebbe pura ipocrisia, almeno dal punto di vista economico. E’ una delle conclusioni a cui si è giunti durante i lavori, parlando dell’avvenire del continente africano. Ad affermarlo, l’economista Jean-Louis Arcand, che ha proseguito dicendo testualmente: “Se oggi l’Africa venisse cancellata, non ce ne accorgeremmo neppure. La realtà è che essa non ha accesso al mercato internazionale”. Parole che lasciano il segno, ma che non cancellano gli effetti negativi della globalizzazione che invece intervengono a modificare abitudini e costumi della popolazione africana. Ma allora, ha senso preoccuparsi di ‘mondializzazione’ quando ci si riferisce all’Africa? Il cardinal Martino ritiene di sì, purché si rispetti una condizione preliminare:

                  

“Come il Papa ha più volte detto, la vera mondializzazione a cui bisogna tendere è la mondializzazione della solidarietà; solamente quando ci sarà un mondo solidale, questa globalizzazione potrà avere effetti benefici perché sappiamo che se la globalizzazione non va avanti, è perché ci sono troppi interessi di persone, di compagnie multinazionali, di Stati ...”.

 

Durante il Convengo è stato toccato il delicato punto dell’infanzia violata in Africa, riferendosi in particolar modo al fenomeno dei bambini soldato. Esiste in questo senso un quadro giuridico delineato a livello internazionale. Cosa manca, allora, perché dai principi si passi all’azione concreta in difesa dei più piccoli? Ancora il cardinal Martino:

 

“E’ necessaria la volontà politica di osservare tutto il vasto campo degli strumenti giuridici che sono già in essere, e quindi rinforzare questa obbligatorietà e naturalmente anche le sanzioni per i contravventori”.

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QUINDICIMILA GIOVANI DALL’ITALIA E DALL’ESTERO, RIUNITI IERI A POMPEI,

TAPPA NEL CAMMINO DI PREPARAZIONE ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’. PROBLEMI E SPERANZE DELLA CITTADINA CAMPANA

NELLA TESTIMONIANZA DEL NUOVO VESCOVO

- Intervista con mons. Carlo Liberati -

 

 

Si è svolto ieri a Pompei il 18.mo Meeting dei giovani, promosso dal Pontificio Santuario della Beata Vergine del Rosario. Appuntamento inserito nel calendario delle tappe in vista della XX Giornata Mondiale della Gioventù, in programma a Colonia nel 2005. Hanno partecipato oltre 15 mila giovani giunti dall’Italia e dall’estero nella località campana per ritrovarsi intorno al Santuario, simbolo della cittadina. Qual è il messaggio che ha rivolto loro la Chiesa? Giovanna Bove lo ha chiesto al nuovo vescovo di Pompei, mons. Carlo Liberati.

 

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R. – E’ un messaggio di incoraggiamento a proseguire in una giovinezza consapevole, cosciente degli impegni di fronte alla vita e come credenti devono portare al mondo il messaggio di amore, in un mondo che è preso da tanti conflitti, dal terrorismo e dalle lotte religiose. La Chiesa ha da proporre soltanto un ideale, quello dell’amore di Cristo, attraverso il dialogo, la partecipazione, il confronto, il rispetto reciproco e la valorizzazione della persona. La strada maestra per un mondo diverso da quello che abbiamo ereditato.

 

D. – Lei è stato presidente del Pio Sodalizio dei Piceni a Roma, poi all’Apsa, quindi amministratore del Patrimonio della Santa Sede, adesso – da poco più di due mesi – a Pompei che ha – lo ricordiamo – il Comune commissariato da più di due anni ...

 

R. – Pompei oggi è in un momento di “trapasso”: abbiamo delle trasformazioni sociali, abbiamo le nuove povertà da aggredire. Il vescovo è preoccupato ma non ha paura, perché confida nel Cristo Risorto, che ci prende per mano nel cammino della vita e ci porta oltre gli orizzonti di questo presente insoddisfacente per ciascuno di noi. Noi vogliamo un mondo più umano, più cristiano.

 

D. – Quali saranno i suoi prossimi impegni per Pompei?

 

R. – La mia preoccupazione è che le case ex-operaie, dove cioè un tempo abitavano gli operai della tipografia di Pompei, purtroppo chiusa, possano essere trasformate in appartamenti-nido, dove cinque, sei, sette, otto bambini verranno educati, i bambini che noi accogliamo e che hanno bisogno di tutto, tanto più che la legge italiana impedirà – fra due anni – la prosecuzione degli orfanotrofi e vorrà che questi ragazzi vengano educati nel vivo della città. La prima mossa del vescovo è proprio questa: il tentativo – potrei dire – affannoso di una lotta contro il tempo per avere le autorizzazioni per l’approvazione dei progetti, che non esistono ancora.

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CHIESA E SOCIETA’

2 maggio 2004

 

 RIPRISTINARE LA ROAD MAP IN MEDIO ORIENTE E PORRE FINE AGLI OMICIDI MIRATI CONTRO I MILITANTI PALESTINESI E AGLI ATTACCHI SUICIDI

CONTRO I CIVILI ISRAELIANI: E’ L’APPELLO LANCIATO DAI VESCOVI BRITANNICI

DURANTE LA PLENARIA, NEI GIORNI SCORSI A DURHAM

 

DURHAM. = Un accorato appello per l’immediato ripristino della road map in Medio Oriente e la fine degli omicidi “mirati” contro i militanti palestinesi e degli attacchi suicidi contro i civili israeliani è stato lanciato dai presuli dell’Inghilterra e del Galles. In una dichiarazione diffusa durante la loro plenaria, nei giorni scorsi a Durham, in Inghilterra, i presuli deplorano l’ulteriore peggioramento della crisi mediorientale cui - rilevano - hanno contribuito le recenti uccisioni dei due leader di Hamas, Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi, così come l’appoggio dato dal presidente statunitense, George W. Bush, al nuovo piano del capo dello Stato ebraico, Ariel Sharon, sul ritiro parziale degli insediamenti israeliani dalla striscia di Gaza. “Un ritorno ai negoziati e al primato del diritto internazionale è vitale per risolvere con equità l’attuale tragica impasse”, sottolineano con forza i vescovi, che esortano, quindi, il governo britannico ad usare “tutti i mezzi per ripristinare la road map, il piano di pace accettato dalle due parti in conflitto e approvato dal Quartetto di mediatori internazionali” (Unione Europea, Stati Uniti, Onu e Russia). I presuli hanno, infine, invitato la comunità cattolica a pregare per tutte le vittime del conflitto israelo-palestinese, nonché “per tutti coloro che stanno lavorando per la pace e la riconciliazione” nei Territori. (D.G.)

 

 

“LA VIOLENZA FA PERDERE DI VISTA IL BENE COMUNE E PREMIA L’EGOISMO DEI SINGOLI E DEI GRUPPI DI POTERE”.

LO SOTTOLINEA LA CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA

IN UN DOCUMENTO DIFFUSO AL TERMINE DELLA 77.MA PLENARIA,

SVOLTASI A CÕNA CÕNA

 

LA PAZ. = “La violenza aperta e quella velata, come la corruzione, la burocrazia, le forti e ingiuste disuguaglianze sociali e le pressioni nei confronti delle persone, che attentano alla vita, alla sicurezza dei cittadini e alla convivenza pacifica, aggravano la situazione del Paese”. È il grido d’allarme lanciato dalla Conferenza episcopale boliviana (Ceb) in una dichiarazione diffusa al termine della sua 77.ma plenaria a Coña Coña e intitolata “Non abbiate paura! Il Signore vive di verità!”. Nel documento, reso noto poco più di 48 ore prima dello sciopero e delle dure iniziative di protesta minacciate dalla Centrale operaia boliviana e dai contadini, contro un progetto governativo che prevede l’esportazione di gas boliviano verso Messico e Stati Uniti, utilizzando un porto cileno, i vescovi ricordano che “la violenza aggrava la situazione del Paese” e rappresenta “una minaccia per la democrazia”. In particolare, la Ceb mette in guardia dalle “azioni di alcuni partiti chiusi nel loro interesse di parte, di settori dell’imprenditoria, di certi media e di gruppi estremisti che spingono verso il confronto violento”. I leader che sostengono l’azione violenta, continuano i presuli, “fanno perdere di vista il bene comune”, premiando invece l’ingordigia e l’egoismo dei singoli e dei gruppi di potere. Il documento indica, quindi, la soluzione ai problemi sociali della Bolivia, da ricercare nella dignità della vita, nella pace, nell’unità, nella democrazia, nell’uguaglianza “come figli di Dio” e “non nell’intolleranza che infrange la convivenza fraterna”. I vescovi concludono con l’auspicio che “i processi democratici che hanno come obiettivo l’approvazione della legge sugli idrocarburi, il referendum sul gas e l’Assemblea costituente si compiano in modo pacifico, con la più ampia partecipazione di tutti e con un’informazione trasparente”. (L.Z.)

 

 

IL REGIME ISOLAZIONISTA DI PYONGYANG HA PERMESSO L’INGRESSO VIA TERRA

DEI SOCCORSI UMANITARI DELLA COREA DEL SUD DESTINATI A RYONGCHON,

LA CITTA’ NORDCOREANA CHE IL 22 APRILE E’ STATA TEATRO DELLA DEFLAGRAZIONE

DI ALCUNI VAGONI CARICHI DI ESPLOSIVO, CHE HA PROVOCATO 160 VITTIME

 

PYONGYANG. = La Corea del Nord è disposta ad aprire i confini con la Corea del Sud per permettere il transito dei soccorsi umanitari destinati alla città di Ryongchon, dove giovedì 22 aprile nella locale stazione alcuni vagoni carichi di materiale esplosivo sono deflagrati per l’impatto con cavi di alta tensione, provocando 160 vittime e 1300 feriti, di cui almeno 400, soprattutto bambini, sono ancora ricoverati in ospedale. Lo ha riferito l’agenzia di stampa sudcoreana “Yonhap”, precisando che il responsabile della Croce Rossa di Seul, Lee Yoon-gu, ha ricevuto dal suo omologo norcoreano, Jang Jae-on, l’autorizzazione ad inviare via terra materiale da costruzione e camion, con l’incarico di fermarsi a Kaesong, poco oltre il confine. In un primo momento, il regime isolazionista di Pyongyang aveva vietato ai convogli sudocoerani di superare la zona di frontiera, fortemente militarizzata, lungo il 38.mo parallelo, che dal 1952 segna il confine tra i due Paesi, e di addentrarsi nel territorio nazionale. Intanto, a una settimana dai primi soccorsi giunti dalla Cina, Seul è riuscita a far arrivare sul posto anche i suoi aiuti grazie ad un volo aereo autorizzato da Pyonyang. Dopo la sciagura, che ha distrutto gran parte dell’area circostante la deflagrazione incluse abitazioni civili, lasciando centinaia di persone senza un tetto, Seul aveva messo subito a disposizione soccorsi per un valore di un milione di dollari. La Corea del Nord aveva richiesto ai Paesi stranieri aiuti per 27 milioni di dollari, inclusi bulldozer, materiale scolastico e televisori. Tale domanda ha stupito gli osservatori internazionali, alcuni dei quali ipotizzano che la tragedia di Ryongchon, analogamente a quanto accaduto con la sciagura di Chernobyl per l’ex Unione Sovietica, possa costituire un primo passo per rompere il decennale isolamento della nazione asiatica. (D.G.)

 

 

AVVENUTO STAMANI ALLE 10.29 NELLA CAPPELLA DEL TESORO DEL DUOMO DI NAPOLI

IL PRODIGIO DELLA LIQUEFAZIONE DEL SANGUE DI SAN GENNARO,

PATRONO DELLA CITTA’. ATTESO NELLA GIORNATA DI IERI,

IL MANCATO “MIRACOLO” AVEVA DESTATO LA PREOCCUPAZIONE DEI FEDELI

 

NAPOLI. = E' avvenuto alle 10.29 di stamani, nella Cappella del Tesoro della cattedrale di Napoli, il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro, patrono della città. Il mancato “miracolo” di ieri aveva destato preoccupazione tra i fedeli che prima della cerimonia, officiata dall’arcivescovo del capoluogo campano, il cardinale Michele Giordano, avevano preso parte alla processione. Nonostante ben sette invocazioni e altrettante preghiere speciali, tra cui una per gli ostaggi italiani in Iraq, il sangue contenuto nella teca non si era sciolto e il porporato aveva sottolineato che ritenere “il mancato miracolo sia auspicio di cattivo augurio, è solo superstizione”. Il fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro si verifica solitamente il sabato antecedente la prima domenica di maggio, gli altri avvengono il 19 settembre e il 16 dicembre, e ricorda la traslazione dei resti del Santo da Pozzuoli a Napoli. La cerimonia di ieri, per la prima volta, è stata proiettata in diretta su due maxischermi allestiti l’uno nel quartiere Vomero, l’altro nel centro cittadino. Il rito, secondo l’antica tradizione, prevedeva anche 21 colpi a salve di cannone, che sarebbero dovuti essere sparati da Castel dell'Ovo, in caso di avvenuto miracolo. (D.G.)

 

 

TRA LE OPERE IN CARTELLONE DEL 33.MO FESTIVAL DI MUSICA SACRA DEL TRENTINO, LA MESSA “L’ANNO SANTO” COMPOSTA DA GEORG RATZINGER,

FRATELLO DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER,

PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

TRENTO. = Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha assistito, ieri nel Duomo di Trento, all’esecuzione della Messa solenne dal titolo “L’Anno Santo”. L’opera è stata composta dal fratello, Georg Ratzinger, ed è stata cantata dai celebri “Regensburger Domspatzen”, coro di voci bianche della città tedesca di Ratisbona, diretto da Roland Buechner. L’esecuzione rientra nel cartellone del 33.mo Festival regionale di Musica Sacra, in corso in Trentino dal 30 aprile al 6 giugno. La manifestazione, sin dal 1972, anno della prima edizione, ha come obiettivo quello di recuperare le partiture dimenticate, permettendo quindi al pubblico di scoprire veri e propri capolavori e rivelando autori altrimenti sconosciuti. In particolare, il programma di quest’anno ripropone l’immenso patrimonio ispirato dal sentimento religioso, espresso nelle forme collettive dei riti liturgici o riflesso nella più intima dimensione individuale. Tra le opere in calendario: la Missa Mexicana, eseguita dal “The Harp Consort”  guidato da Andrew Lawrence-King, musicista di riferimento per il mondo dell’arpa, in questo caso “restauratore”, in forma di concerto, di una solenne liturgia collocabile intorno alla metà del secolo 17.mo, nella cattedrale messicana di Puebla. (D.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 maggio 2004

- A cura di Barbara Castelli -

 

E’ iniziato un nuovo capitolo per l’Unione Europea. Le bandiere dei 25 Paesi che compongono la Nuova Ue sventolano, infatti, insieme da ieri pomeriggio, al centro del grande parco Phoenix di Dublino. L’Europa dei 15 ha formalmente accolto quattro Paesi che fecero parte del Patto di Varsavia, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, tre stati che furono parte integrante del territorio sovietico, Estonia, Lettonia e Lituania, e ancora Slovenia, Malta e Cipro. Rimangono, tuttavia, molte incertezze sul futuro dell’Europa. Quali sono, quindi, le sfide per l’Europa a 25? Ci risponde Giorgio Rumi, professore di Storia Contemporanea all’Università Statale di Milano.

 

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R. – Innanzitutto, la governabilità e, quindi, il problema delle sue Istituzioni e il problema anche della sua Carta Costituzionale. L’Europa allargata a 25, dunque, è una grande speranza e anche una fonte di grossi problemi. Certamente, richiede il meglio delle nostre energie.

 

D. – Accennava alla Carta Costituzionale: una meta ancora lontana?

 

R. – Lontana e vicina perché per gli ingegneri costituzionali costituisce un bel problema: si tratta di farla funzionare senza accelerare troppo la macchina, ma senza neanche farla andare troppo piano. Ci sono poi anche i problemi di contenuto, perché si è scelto di non fare una costituzione ‘tecnico-meccanica’, ma anche con indicazioni di principi e di valori. Qui nasce il problema delle radici cristiane dell’Europa, che non possono essere sottaciute. L’Europa non può non avere un’anima, se vuol essere un organismo vitale, sano e non più una blanda confederazione di interessi economici.

 

D. – Non ultimo anche il problema del terrorismo ...

 

R. – Per il terrorismo c’è la difficoltà di conciliare l’efficacia del controllo e della difesa con la non-militarizzazione del continente. Un’Europa che fosse un campo trincerato non avrebbe tanto senso. D’altra parte, non si può lasciare l’Europa indifesa. Come vede, tutto ha luci ed ombre, però abbiamo anche dei punti di forza che sono i principi di libertà, di democrazia, la libera critica, la circolazione delle persone, sia pure con minimi accorgimenti, e così via ... Quindi, abbiamo dei presupposti sani per affrontare i problemi. L’Europa è come un adolescente che deve affrontare una stagione bellissima ma anche problematica, ed è inutile nasconderselo. I problemi ci sono e vanno risolti.

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Il primo ministro polacco, Leszek Miller, ha presentato stamani ufficialmente le proprie dimissioni. La rinuncia a guida del governo, annunciata già da un mese, cade in coincidenza dell’ingresso nell’Unione Europea della Polonia ed è dovuto alla perdita della maggioranza parlamentare. Alla carica di premier è già stato designato, dal presidente, Aleksander Kwasniewski, l’economista Marek Belka, reduce da Baghdad, dove ha fatto parte del Comitato per la ricostruzione dell’Iraq.

 

In Medio Oriente si registrano nuovi episodi di violenza. Le Brigate al-Quds - il braccio armato della Jihad islamica - hanno rivendicato stamani la paternità dell’attacco anti-israeliano avvenuto nel sud della striscia di Gaza. L’attentato, si legge in un comunicato, è stato coordinato insieme con le Brigate del Saladino, il braccio armato dei Comitati di resistenza popolare, attivi nel sud della Striscia. Nel fatto di sangue hanno perso la vita nove persone, tra le quali una giovane madre e quattro suoi figli. Un bambino di otto anni, invece, ha perso la vita ieri nel campo profughi di Khan Yunis, sotto il colpi dei soldati israeliani.

 

La situazione in Iraq resta critica. Nuove vittime si registrano su tutto il Territorio, mentre la Gran Bretagna, secondo quanto riferisce il Sunday Telegraph, ha deciso di inviare nel Golfo altri 4.000 soldati, per pattugliare la zona sciita di Najaf. Il presidente americano, George Bush, intanto, ha ribadito la volontà degli Stati Uniti di restare in Iraq. Il nostro servizio:

 

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Gli Stati Uniti “termineranno il lavoro” intrapreso in Iraq. “La democrazia vincerà”, “perché la coalizione è forte, perché la nostra determinazione è totale e perché il popolo iracheno desidera e merita di vivere libero”. Con queste parole ieri il capo della Casa Bianca, George Bush, ha ribadito la propria strategia nel Golfo, a un anno esatto dal discorso con cui, il primo maggio 2003, aveva dichiarato conclusi “i maggiori combattimenti” in Iraq. L’ottimismo del presiedente statunitense, tuttavia, non trova conforto nei reiterati episodi di violenza che ogni giorno si consumano sul Territorio. Quattro soldati americani, secondo quanto riferisce un responsabile militare della coalizione, sono rimasti uccisi in due diversi attacchi. Il primo ieri sera nella città sciita di Amara, nel sud dell’Iraq, dove si è svolta un’operazione di rastrellamento dei sostenitori del leader radicale Moqtada Al Sadr, con vittime e arresti. L’altro questa mattina in un quartiere nord-occidentale di Baghdad, dove hanno perso la vita anche due iracheni dei Corpi civili di difesa. L’attenzione poi resta rivolta anche alla sorte dei numerosi ostaggi detenuti dalla guerriglia. Nessuna notizia, per il momento, dei tre prigionieri italiani. Una delle due principali fazioni curde irachene ha respinto oggi l’offerta dei sequestratori degli italiani, di scambiare i tre ostaggi con integralisti islamici detenuti dai curdi nell’Iraq settentrionale. Intanto, stamani è riuscito a sfuggire ai suoi rapitori Thomas Hamill, l’americano rapito il 9 aprile scorso ad ovest della capitale.

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I maltrattamenti dei prigionieri “sono assolutamente inaccettabili”. Così ieri il premier britannico, Tony Blair, commentando le foto che mostrano un detenuto iracheno torturato da soldati britannici. Parlando a Dublino, dove si trovava per i festeggiamenti per l’allargamento dell’Ue, Blair ha, tuttavia, sottolineato che ogni comportamento del genere è “eccezionale” e non deve svilire il buon lavoro che i britannici stanno facendo nel sud dell’Iraq.

 

All’indomani dell’ennesimo attentato kamikaze in Arabia Saudita, costato la vita a cinque ingegneri occidentali, Riad ha promesso di usare il “pugno di ferro” contro i terroristi. “Il regno eliminerà il terrorismo - ha detto il principe ereditario Abdullah - non importa quanto ci vorrà”.

 

Tre presunti terroristi islamici sono stati arrestati nella notte in Marocco, dopo un violento scontro con le forze di sicurezza. L’operazione è avvenuta in un quartiere popolare di Casablanca, dove la polizia ha aperto il fuoco contro un gruppo di cinque presunti terroristi armati di sciabole e coltelli. Un poliziotto è rimasto gravemente ferito alla testa.

 

Trasferiamoci in Algeria. Il Gruppo salafista per la predicazione e il combattimento (Gspc), cui vengono attribuiti gran parte degli attentati nel Paese, ha incitato i propri seguaci a intensificare la lotta, abbandonando qualsiasi contatto con le autorità per una eventuale resa. Recentemente i giornali locali avevano parlato di una decina di uomini arresi alle autorità.

 

Urne aperte oggi a Panama per le elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative. La lotta alla corruzione, alla povertà e alla disoccupazione rappresentano le principali sfide per il Paese. Il servizio di Maurizio Salvi.

 

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Le operazioni di voto sono incominciate in tutto il Paese alle sette, per eleggere non solo il successore del presidente uscente, la signora Mireya Moscoso, ma anche per rinnovare praticamente tutte le cariche politiche ed amministrative del Paese. Il super-favorito e vincitore praticamente certo della tornata elettorale presidenziale è il giovane Martin Torrijos, leader del partito rivoluzionario democratico di centro, ma soprattutto figlio del caudillo nazionalista Omar Torrijos, che negli anni Sessanta diede il via ad una stagione di regimi militari che terminarono nel 1989 con l’intervento statunitense e la destituzione del generale Noriega. Suo principale sfidante, sia pure a 20 punti di distanza secondo i sondaggi, è proprio il successore di Noriega, l’ex presidente Guillermo Endara, che guida il partito “Solidarietà” di centrodestra. Gli altri due candidati in lizza, l’ex ministro degli Esteri José Miguel Alemán, appoggiato dal capo dello Stato uscente; l’imprenditore italo-panamense, Riccardo Martinelli, non ha, invece, alcuna possibilità di affermarsi. Dal punto di vista politico, i quattro candidati hanno praticamente le stesse proposte, favorevoli, ad esempio, al progetto di ampliamento del Canale di Panama, tornato nel 2000 sotto sovranità panamense. Ma anche al trattato di libero commercio con gli Stati Uniti e al piano Puebla-Panama, un ambizioso progetto di sfruttamento delle materie prime del sud del Messico e del Centroamerica, avversato da molti movimenti sociali e di base; gli stessi che, in occasione di queste elezioni, hanno lanciato - attraverso l’alleanza nazionale della vita Anavi - una campagna per il voto in bianco che ha ricevuto l’appoggio della Caritas di Panama. Il timore di molti osservatori è che il nuovo capo dello Stato, chiunque esso sia, non avrà la forza sufficiente per bloccare la corruzione che potrebbe trovare negli enormi finanziamenti per l’ampliamento del Canale - si parla di dieci miliardi di dollari - un terreno fin troppo fertile.

 

Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.

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La presidente delle Filippine, Gloria Arroyo, ha annullato stamani l’ultima tappa della sua campagna elettorale per le consultazioni del 10 maggio prossimo. Alla base della decisione, le minacce di attentati di estremisti musulmani. Arroyo, che si presenta per un secondo mandato, secondo i sondaggi, gode di un leggero vantaggio sul suo principale rivale, l’attore Fernando Poe.

 

Ha preso il via oggi da Pechino un viaggio diplomatico in Europa per il premier cinese, Wen Jiabao. Il 61.enne concluderà la tornata di colloqui il 12 maggio prossimo, dopo esser stato in Italia, Germania, Belgio, Regno Unito ed Irlanda. Gli scambi della Cina con l’Europa sono arrivati lo scorso anno a 125 miliardi di dollari, un aumento del 44% nel giro di 12 mesi, tallonando quelli con Stati Uniti e Giappone.

 

 

 

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