RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 181 - Testo della trasmissione di martedì 29 giugno
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Sui rapporti tra cattolici e
ortodossi, intervista con il cardinale Walter Kasper
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Stamani alle 10.30 si è celebrata una Messa pontificale nella Basilica di San Paolo fuori le mura
Domani
la custodia legale di Saddam Hussein passerà all’Iraq. L’annuncio del premier
Allawi
I
detenuti a Guantanamo hanno diritto di accedere ai tribunali americani. Lo ha
stabilito la Corte suprema Usa
In
Canada, i Liberali del premier Martin vincono le elezioni
Il
portoghese Barroso ha accettato la candidatura alla presidenza della
Commissione Ue.
29
giugno 2004
RINNOVARE L’IMPEGNO PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:
COSI’,
IL PAPA INCONTRANDO STAMANI IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I,
NELLA
SOLENNITA’ DEI SANTI PIETRO E PAOLO.
UN’ESORTAZIONE
RIBADITA ALL’ANGELUS,
INCENTRATO
SULL’INCONTRO RICCO DI ASPETTATIVE
PER I
RAPPORTI TRA LA CHIESA DI ROMA E DI COSTANTINOPOLI
- A
cura di Alessandro Gisotti e Roberta Gisotti -
Una giornata storica, che rinnova la speranza dell’unità
tra i cristiani. Nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Giovanni Paolo II e
il Patriarca ecumenico Bartolomeo I hanno ribadito, stamani, l’urgenza del
dialogo tra la Chiesa di Roma e di Costantinopoli per rafforzare l’impegno
sulla via dell’ecumenismo. L’udienza in Vaticano ha commemorato il 40.mo
anniversario dello storico incontro a Gerusalemme, tra Papa Paolo VI e il Patriarca
Atenagora I. Il ricordo di quell’evento provvidenziale, ha detto Giovanni Paolo
II, deve favorire un balzo in avanti nel dialogo tra le due Chiese. Il servizio
di Alessandro Gisotti:
**********
“Spinti dalla fiducia e dall’amore verso Dio”, Papa Paolo
VI e il Patriarca Atenagora I “hanno saputo superare pregiudizi e
incomprensioni secolari, ed hanno offerto un esempio mirabile di pastori e
guide del Popolo di Dio”. E’ con queste parole, di gratitudine e viva emozione,
che Giovanni Paolo II ha ricordato l’incontro storico, “provvidenziale per la
vita della Chiesa”, che 40 anni fa, fece “riprendere con fiducia i rapporti tra
la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli”. Un incontro, ha aggiunto,
“coraggioso e gioioso nello stesso tempo”.
In questi quarant’anni, ha detto il Papa rivolgendosi a
Bartolomeo I, le nostre Chiese “hanno vissuto occasioni importanti di contatto
che hanno favorito lo spirito della reciproca riconciliazione”. Ha così
evidenziato lo scambio di visite tra Paolo VI e Atenagora I nel 1967, la sua
visita al Fanar nel 1979. E, ancora, l’annuncio con il Patriarca Dimitrios I
dell’inizio del dialogo teologico e la visita dello stesso a Roma nel 1987.
Infine, ha ricordato la visita in Vaticano di Bartolomeo I nel 1995.
“Sono tanti segni del comune impegno di continuare
a percorrere la strada intrapresa, perché si realizzi quanto prima la volontà
di Cristo: ut unum sint!”.
Tuttavia, ha proseguito il Pontefice, “lungo questo
cammino hanno certo pesato i ricordi di dolorose vicende della storia passata”.
In particolare, non possiamo dimenticare che nel 1204 un esercito per
“recuperare la Terra Santa alla cristianità, si diresse verso Costantinopoli
per prenderla e saccheggiarla, versando il sangue dei fratelli nella fede”. E
qui ha ribadito lo “sdegno e il dolore” che Papa Innocenzo III manifestò subito
alla notizia di quanto era successo. Ha così invocato “il Signore della
storia”, affinché “purifichi la nostra memoria da ogni pregiudizio e
risentimento, e ci conceda di procedere liberamente sulla strada dell’unità”.
Un invito, ha detto ancora il Papa, a cui ci spingono con il loro esempio Paolo
VI e Atenagora I.
“Il ricordo di
quell’incontro, favorisca un balzo in avanti nel dialogo e nel rinsaldamento
delle mutue relazioni fraterne”.
In tale contesto, il Pontefice ha auspicato che venga
riattivata la “Commissione mista”. E’, infatti, urgente avvalersi di ogni mezzo
“per alimentare lo spirito di reciproca accoglienza e comprensione nella
fedeltà al Vangelo e alla comune Tradizione apostolica”.
Dal canto suo, il Patriarca Bartolomeo ha affermato la
necessità di rafforzare il dialogo tra le due Chiese. Dialogo, ha constatato,
che “ha fluttuazioni, a ragione delle difficoltà accumulate dalla storia della
lunga divisione”. E’ poi vero, ha aggiunto, “che alcune azioni hanno provocato
la sospensione o l’ostacolo del progresso del dialogo nella verità, che si
svolgono tra le nostre Chiese sorelle”. Ma “la nostra responsabilità – ha avvertito
- e il dovere che deriva dalla preghiera sacerdotale del Signore, di
contribuire al reale vissuto nella Sua Chiesa dell’unità spirituale, non
permette a noi di perdere la speranza”. Parole corredate da un auspicio:
“Santità, sogniamo con gioia il giorno in cui tutti gli ostacoli alla
piena comunione saranno tolti, e preghiamo continuamente affinché quel giorno
non sia lontano a venire”.
“Non è possibile – ha detto ancora Bartolomeo I - che la
Parola del Signore cada nel vuoto”. Per questo “cerchiamo – sinceramente e
faticosamente – modi di continuare i dialoghi come unica strada, per il
momento, di comunione tra le nostre Chiese”. Al termine dell’udienza, il
Patriarca ha omaggiato il Pontefice con alcuni doni tra cui una croce
d’argento. Il Papa ha contraccambiato con una medaglia commemorativa dell’incontro
storico di Gerusalemme, che raffigura l’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora I.
Il Patriarca Bartolomeo, dopo l’incontro con il Santo Padre è sceso nella
Basilica di San Pietro. Quindi, si è recato alle Grotte Vaticane, dove si è
soffermato in preghiera sulla tomba di Paolo VI.
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Dopo l’incontro con Bartolomeo I, carico di aspettative
per i rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, Giovanni
Paolo II è tornato a parlare all’Angelus della speranza di ritrovare la piena
unità dei cristiani. Il servizio di Roberta Gisotti:
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“Preghiamo perché ogni uomo e ogni donna accolga il
messaggio d’amore per il quale Pietro e Paolo hanno subito il martirio.”
Pietro, “pescatore di Galilea, che per primo professò la
fede nel Cristo”, Paolo “maestro e dottore, che annunciò la salvezza alle
genti”. Entrambi “per volere della Divina Provvidenza” – ha ricordato il Papa –
giunsero a Roma, “dove subirono il martirio nel volgere di pochi anni. Da
allora, la città, che era la capitale di un grande impero, fu chiamata a ben
altra gloria: ospitare la Sede Apostolica, che presiede all’universale missione
della Chiesa di diffondere nel mondo il Vangelo di Cristo, Redentore dell’uomo
e della storia.”
Una ricorrenza, quella dei santi Apostoli Pietro e Paolo,
patroni di Roma, quest’anno “allietata dalla presenza di Bartolomeo I”, a 40
anni dall’“abbraccio fraterno”, scambiato a Gerusalemme, tra Paolo VI e il
Patriarca Atenagora I. Un abbraccio “simbolo - ha sottolineato il Santo Padre -
dell’auspicata riconciliazione tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse,
nonché profezia di speranza nel cammino verso la piena unità fra tutti i
cristiani”.
A suggellare questo incontro Giovanni Paolo II presiederà
oggi pomeriggio alle 18 in piazza San Pietro la Santa Messa, cui ha invitato a
partecipare il Patriarca ecumenico di Costatinopoli:
“Insieme terremo l’omelia e proclameremo la comune professione
di fede.”
Durante la celebrazione, il Papa imporrà il “Pallio” agli
Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno. “Un tradizionale segno di
comunione – ha detto - tra la Sede di Roma e le Chiese sparse nel mondo, che
ben si colloca nel contesto della festa degli Apostoli Pietro e Paolo.”
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All’insegna del cammino ecumenico,
dunque, si svolge oggi e nei prossimi giorni la visita a Roma del Patriarca
Bartolomeo I. Evento di particolare rilevanza nel contesto delle relazioni con
la Chiesa cattolica, come sottolinea il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità
dei cristiani, intervistato da Giovanni Peduto:
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R. – La visita lancia il messaggio che dopo due-tre anni
di difficoltà e di qualche malinteso, ora le Chiese hanno ripreso a parlarsi e
a guardare al futuro. Vogliono ricominciare con il dialogo internazionale.
Questo è il messaggio centrale. E in questo particolare momento
dell’unificazione dell’Europa, il continente ha bisogno della testimonianza
comune delle Chiese.
D. – Come vede i rapporti tra i cattolici da una parte e
tutto il variegato mondo ortodosso ai nostri giorni?
R. – Esiste una certa diversificazione tra le Chiese
ortodosse, ma il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha una sorta di
Primato d’onore, ed anche il primato dell’integrazione tra le Chiese. Perciò
questo rapporto è molto importante per noi. Però, vogliamo sottolineare i
nostri rapporti con le varie Chiese ortodosse: penso che siamo all’inizio di un
periodo molto fruttuoso.
D. – Quali sono i suoi suggerimenti per intensificare il
cammino verso l’unità?
R. – Due sono le proposte. Innanzitutto, ricominciare con
il dialogo teologico internazionale che è più o meno interrotto dal 2001; poi,
dobbiamo riflettere su come facilitare la vicendevole informazione, come si
possano stabilire anche degli organismi per informarci, per consultazioni. Nel
primo millennio c’era la figura dell’Apocrisario: una specie di nunzio del Papa
a Costantinopoli con l’equivalente a Roma. Noi non vogliamo reintrodurre
l’Apocrisario, ma è pur necessario riflettere su come si possa snellire il
contatto quotidiano per evitare malintesi.
D. – Eminenza, come vedrebbe lei in futuro l’unione tra
cattolici e ortodossi?
R. – Lo stesso Pontefice ha detto che sarà un’unione senza
fusione e senza assorbimento: questa è la formula. E’ un’unità nella stessa
fede, con gli stessi sacramenti, con lo stesso episcopato, nella successione
apostolica, ma sarà possibile una pluralità di forme liturgiche, teologiche,
spirituali, canoniche... Quindi, le Chiese ortodosse conserveranno le loro
forme di vita quotidiana. Il problema piuttosto sarà l’esercizio del Primato
del Vescovo di Roma. C’è stato, l’anno scorso qui a Roma, un simposio a
proposito. Dobbiamo continuare a studiare questo problema.
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OGGI POMERIGGIO, ALLE 18, IN PIAZZA SAN PIETRO,
LA
SANTA MESSA DEI SANTI PIETRO E PAOLO,
CON
L’IMPOSIZIONE DEL SACRO PALLIO A 44 ARCIVESCOVI METROPOLITI
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Come
sottolineato all’Angelus, Giovanni Paolo II presiederà oggi pomeriggio alle 18,
sul sagrato della Basilica di San Pietro, la Celebrazione Eucaristica, nella
solennità dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma. Come è tradizione,
nell’odierna festività, il Papa imporrà il Sacro Pallio ad alcuni nuovi
arcivescovi metropoliti. Quest’anno sono 44. La nostra emittente seguirà
l’evento a partire dalle ore 18 in radiocronaca diretta sulle consuete lunghezze
d’onda per l’Italia e la zona di Roma, l’Europa centro-occidentale e – via
satellite – per il Brasile con commenti in lingua italiana, tedesca, spagnola e
portoghese.
Il pallio è una stola di lana bianca larga 6 cm, ricamata
di crocette nere che gira in forma di anello sulle spalle, mentre le estremità
pendono sul petto e sul dorso. Esprime la potestà che, in comunione con la
Chiesa di Roma, il metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione.
Il pallio può essere indossato soltanto dal Papa, dai cardinali ed arcivescovi
metropoliti ai quali viene conferito dal Papa in occasione della consacrazione
episcopale. I palli, che Giovanni Paolo II benedirà nell’odierna festività dei
Santi Pietro e Paolo, sono confezionati dalle suore del Monastero
di Santa Cecilia in
Roma.
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29
giugno 2004
“ANDATE IN TUTTO IL MONDO”. E’ IL TITOLO DEL LIBRO
PRESENTATO IERI A ROMA CHE, COME IN UN DIARIO DI VIAGGIO A PIÙ VOCI,
OFFRE
I CONTRIBUTI
DI
DIVERSI VATICANISTI ITALIANI SULLA FIGURA DI GIOVANNI PAOLO II
-
Servizio di Amedeo Lomonaco -
“E’ da un quarto di secolo che la scena politica
internazionale si misura con un soggetto religioso universale come Giovanni
Paolo II. La sua elezione, il 16 ottobre 1978, chiamava alla Sede di Pietro il
primo Papa italiano dopo cinque secoli”… Sono le prime frasi del libro “Andate
in tutto il mondo”, curato dal giornalista Piero Schiavazzi ed edito dalle Edizioni
Dehoniane, che offre una lettura corale e differenziata del pontificato di Karol
Wojtyla. Nel libro sono riproposti i temi affrontati dai giornalisti nelle
conferenze tenutesi negli Istituti italiani di cultura di 40 città del mondo
nell’ambito dell’iniziativa “La mia seconda Patria”, organizzata dal ministero
italiano degli Affari Esteri in occasione del XXV di pontificato di Giovanni
Paolo II. Su questo volume presentato ieri nella sede dell’ambasciata italiana
presso la Santa Sede dal presidente della Conferenza episcopale italiana,
cardinale Camillo Ruini, ascoltiamo proprio il porporato, intervistato da
Amedeo Lomonaco:
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R. – E’ un modo simpatico, non usuale, che permetterà a
tanta gente di cogliere aspetti della personalità del Papa, che sono conosciuti
non in maniera specifica. I vaticanisti stessi hanno avuto molte occasioni di
essere vicini al Papa e così anche di cogliere meglio quello che possiamo
chiamare il segreto delle sue scelte di vita.
D. – La pluralità di voci e di contributi presente in
questa iniziativa è rimarcata anche dal giornalista di Telepace, Piero
Schiavazzi, curatore dell’intero ciclo di manifestazioni e della pubblicazione
conclusiva “Andate in tutto il mondo”:
R. – I giornalisti in questo caso hanno viaggiato per il
Papa, andando a raccontare Giovanni Paolo II, con un duplice beneficio. Da una
parte narrativo: hanno raccontato la storia con la freschezza della cronaca,
vista e vissuta da vicino; e dall’altra, professionale: con il loro rigore
professionale hanno assicurato il carattere pluralista, culturale
dell’iniziativa.
D. – Nell’opera convergono, dunque, testimonianze ed
esperienze di vaticanisti italiani di diverse testate, per la prima volta
insieme, per affrontare molteplici aspetti legati al Papa. Tra questi, Giorgio
Acquaviva, del quotidiano “Il Giorno”, ha sviluppato il tema della sofferenza
fisica di Giovanni Paolo II:
R. – Ho puntato l’attenzione sulla sofferenza degli ultimi
tempi del Papa e di come questa sofferenza, al di là delle limitazioni fisiche,
di fatto sia diventata una nuova forma di comunicazione nei confronti delle
potenze del mondo.
D. – Sul ruolo svolto da Giovanni Paolo II come ponte di
dialogo tra Islam e Cristianesimo, si è soffermato, inoltre, Giuseppe De Carli
del Tg1:
R. – E’ il Papa che credo abbia fatto più passi in avanti
nei confronti della religione di Maometto; é grazie a lui che la Guerra del
Golfo e la Guerra contro l’Iraq non si siano tradotte in uno scontro tra
civiltà. Questo è il grande contributo dato alla pace da Papa Wojtyla.
D. – “Giovanni Paolo II: cifre, gesti e parole di un
grande pontificato”: è questo il tema scelto da Orazio Petrosillo del
“Messaggero”:
R. – E’ il secondo Papa per “durata” tra i successori di
Pietro; ha percorso un milione e 242 mila chilometri; è stato il Papa che ha
avuto un Magistero di oltre 80 mila pagine, con il più alto numero di santi e
beati.
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INIZIA OGGI LA VISITA DEL
SEGRETARIO DI STATO AMERICANO IN SUDAN.
POWELL INCONTRERA’ A KHARTOUM IL SEGRETARIO GENERALE
DELL’ONU
PER FAR FRONTE ALL’EMERGENZA UMANITARIA
NELLA REGIONE OCCIDENTALE DEL DARFUR
- Intervista con il prof. Giampaolo Calchi Novati
–
Al via oggi la visita del
segretario di Stato Usa, Colin Powell, a Khartoum e nel Darfur, la regione
occidentale del Sudan afflitta da una grave emergenza umanitaria. Il conflitto
tra ribelli locali e milizie filogovernative ha, infatti, provocato circa 10
mila morti, un milione di sfollati e oltre 100 mila rifugiati nel vicino Ciad.
A Khartoum, Powell incontrerà il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan.
L’obiettivo della missione è fare pressione sulle autorità sudanesi affinché
intervengano per proteggere i civili e disarmare le milizie. Ma, dopo i recenti
annunci di un accordo di pace, qual è ora la situazione nel Paese africano?
Fausta Speranza lo ha chiesto al prof. Giampaolo Calchi Novati, docente di
Storia moderna e contemporanea dell’Africa all’Università di Pavia:
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R. – Il documento sulla pace è
stato concordato. Probabilmente ci sono alcuni punti che non sono ancora del
tutto definiti. In questo caso ci sono da spartire le risorse. Abbiamo il
problema del petrolio, c’è da inserire uomini del movimento dei ribelli del Sud
nel governo centrale, anche questo è un passaggio critico… c’è poi il disarmo
delle forze armate, e a sfavore della possibile soluzione c’è il peso che gli
Usa cercano di mettere sulla fine del conflitto. Questo, perché gli Stati
Uniti, dopo aver in qualche modo sostenuto i ribelli contro il governo definito
integralista di Khartoum, sembrano aver deciso che è meglio avere un Sudan
alleato piuttosto che uno destabilizzato.
D. – In tutto questo resta
l’emergenza in Darfur …
R. – Il Darfur è parte del Sudan
“arabo”, e non è quindi, in quanto tale, oggetto di trattative. Queste
riguardano il reinserimento della parte meridionale dello Stato del Sudan
abitato da popolazioni in parte cristianizzate. Il Darfur è abitato da
popolazioni con una propria caratteristica etnica, musulmani in teoria più
omogenei con il governo centrale di Khartoum. Tuttavia, poiché storicamente il
Darfur non è mai stato completamente integrato sotto l’autorità del governo di
Khartoum, anch’esso è oggetto di spinte secessioniste. È probabile che proprio
in coincidenza con la conclusione del conflitto fra Nord e Sud, il Darfour
abbia accentuato le sue pressioni autonomiste persino con la prospettiva della
secessione. Questo ha significato un’accentuazione dell’emergenza militare e
tutto il resto. Il governo di Khartoum non è mai particolarmente tenero nel
modo di reprimere le spinte secessioniste. Al momento non c’è un negoziato e
non c’è una voce politica precisa, c’è l’emergenza umanitaria. Sarebbe bene che
fosse risolto il problema politico, senza moltiplicare lo spezzettamento dei
territori africani, che non giova certo al progresso, alla democrazia
dell’Africa.
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CON UNA SERIE DI
CONSULTAZIONI CON I PAESI ASSOCIATI
ALL’ALLEANZA ATLANTICA, SI E’ APERTA
OGGI LA SECONDA
ED ULTIMA GIORNATA DEL VERTICE NATO AD ISTANBUL
- Intervista con Andrea Bonanni -
Il pieno appoggio dell’Unione europea
e dell’Alleanza Atlantica al nuovo governo ad interim di Baghdad, la decisione
per l’addestramento e l’equipag-giamento dell’esercito iracheno ed il
rafforzamento della missione dei Paesi del Patto atlantico in Afghanistan. Sono
questi i risultati ottenuti durante il Vertice della Nato di Instanbul, giunto
oggi alla seconda ed ultima giornata di consultazioni. Il presidente afgano,
Karzai, ha esortato i leader della Nato a inviare presto rinforzi nel Paese per
garantire lo svolgimento delle elezioni nel mese di settembre. Nel Paese, dove opposti stati d’animo
hanno accolto le notizie della liberazione degli ostaggi turchi sequestrati da
terroristi di Al Qaeda e dell’uccisione del soldato americano in Iraq, una donna è intanto rimasta ferita per
l’esplosione di una bomba in un aereo atterrato da poco all’aeroporto di
Istanbul. Grande interesse ha poi suscitato la “Dichiarazione di Istanbul”,
approvata ieri dai leader del Consiglio Atlantico. Il documento parla di un impegno
per la “sicurezza in una nuova era”. Ma nasce davvero un nuovo ruolo della Nato
dopo quella che sembrava una crisi di identità del Patto Atlantico? Fausta
Speranza lo ha chiesto ad Andrea Bonanni, esperto di questioni europee del
quotidiano “La Repubblica”:
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R. – Mi sembra che queste
dichiarazioni su nuove ere dell’Alleanza, le vediamo ad ogni vertice dove sono
frequenti questi slanci di retorica a cui però non corrispondono i fatti. In
realtà, dopo l’11 settembre, la Nato ha invocato per la prima volta nella sua
storia l’articolo 5, cioè la clausola di assistenza automatica ai Paesi sotto
attacco. Ma, in questo caso, gli Usa hanno deciso di intervenire senza
poggiarsi all’Alleanza, ma scegliendo caso per caso i loro alleati. La Nato è
entrata in una crisi da cui non mi sembra si stia ancora risollevando. Anche il
tentativo, adesso, di accogliere la richiesta del primo ministro iracheno per
l’addestramento delle truppe sembra più una scelta per far vedere che comunque
la Nato non è insensibile alla situazione di crisi in Iraq.
D. – Nel documento è scritto anche
che la Nato rappresenta la partnership vitale tra Europa e Nord America.
Secondo lei, in concreto, come si colloca l’Alleanza Atlantica nel rapporto tra
Unione Europea e Stati Uniti?
R. – Non c’è dubbio che rimane il
legame del tavolo multilaterale nel quale europei ed americani collaborano più
strettamente. Mi sembra, però, che al di là di questo sforzo di
riappacificazione, dopo la divisione irachena, non ci sia in realtà da parte americana
la volontà di usare lo strumento Nato per affrontare le crisi internazionali.
D. – Il segretario generale della
Nato ha detto che questa “Dichiarazione” non dà solo una risposta positiva alla
richiesta di assistenza del governo iracheno, ma anche la disponibilità a
valutare ulteriori opzioni di intervento. Cos’è, un’apertura, per andare oltre
il veto della Francia?
R. – Non lo so. In realtà si vede
che i governi evitano di affrontare la questione se gli addestramenti debbano
essere fatti in Iraq. Quindi, mi sembra che al di là delle dichiarazioni di
facciata, le diffidenze reciproche e soprattutto la poca voglia di impegnare la
Nato come strumento globale e multilaterale di intervento sulla scena internazionale
rimanga in piedi.
D. – Un commento da Istanbul sulla
coincidenza tra vertice della Nato e il passaggio anticipato dei poteri dalla
coalizione al governo di Baghdad …
R. – Sicuramente il fatto che il
governo di Baghdad sia già formalmente responsabile della gestione della
sicurezza del Paese rende più facile per la Nato rispondere alla richiesta di
aiuti per l’addestramento delle truppe.
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ALL’INSEGNA DEL BINOMIO PACE E SPORT, PROSEGUE IL
CAMMINO
DELLA
TORCIA OLIMPICA, IN VISTA DELLE PROSSIME OLIMPIADI DI ATENE
-
Intervista con mons. Carlo Mazza -
Ieri a Roma, oggi a Monaco di
Baviera: prosegue il cammino della torcia olimpica, simbolo di pace nel nome
dello sport, attraverso 34 città dei cinque continenti. Cresce, intanto,
l’attesa per le Olimpiadi di Atene, che prenderanno il via il prossimo 13
agosto. Evento sportivo per antonomasia, i Giochi Olimpici sono anche un
momento di riconciliazione. Aspetto, questo, che viene sottolineato da mons.
Carlo Mazza, direttore dell’ufficio nazionale della Cei per la pastorale del tempo
libero, turismo e sport, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Questo evento è di per sé
globalizzante: tutti i partecipanti, gli atleti, ma anche tutte le persone che
sono coinvolte, sono espressioni di una mondialità, di una grande parabola in
cui il mondo almeno per un attimo si trova in pace a considerare le cose belle
di questo mondo. Il Papa in questi giorni ci ha detto ancora una volta che lo
sport è un segno, una opportunità di pace. Occorre che noi tutti ci impegniamo,
sportivi e non, perché questo grande ideale della convivenza si realizzi. Lo
sport lo fa da par suo ma non è sufficiente.
D. – Un tempo per le Olimpiadi si
fermavano le guerre. Nel contesto odierno qual è il suo auspicio per i prossimi
giochi di Atene?
R. – Proprio questo… nel senso che
lo sport può avere in sé la forza di attenuare la bellicosità, di sentire
maggiormente il compito della pace e credo che gli atleti possano dare un
esempio di convivenza.
D. – Ecco, al Giubileo degli
sportivi nel 2000 il Papa ha detto che grande è la loro responsabilità, perché
sono chiamati a fare dello sport un’occasione di incontro e dialogo. Il mondo
dello sport è all’altezza della sfida lanciata dal Pontefice?
R. – Sono certo che i responsabili
dello sport e gli atleti sono disponibili... Poi le condizioni molte volte sono
più grandi dello sport, che diventa possibile proprio mediante l’incontro e il
confronto tra persone diverse. D’altro canto, i campioni sono un modello
soprattutto per i ragazzi. Chiediamo loro che siano davvero un modello non solo
negli stadi ma anche nella loro vita.
D. – C’è qualche iniziativa
particolare della Cei in vista delle Olimpiadi di Atene?
R. – Prima di tutto io parteciperò
come cappellano della delegazione italiana. Vivrò con gli atleti nel villaggio
olimpico per 20 giorni e questo è già un segno della presenza della Chiesa e
della simpatia con cui la Chiesa segue quest’evento. In secondo luogo sto
preparando un piccolo opuscolo nel quale insieme alle letture delle tre domeniche
ci saranno delle affermazioni, dei pensieri del Santo Padre, insieme a
preghiere che possono aiutare meglio gli atleti e gli accompagnatori a vivere
bene questo momento.
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29
giugno 2004
I
PROBLEMI DEI PAESI PIÙ POVERI AL CENTRO DEL CONSIGLIO
ECONOMICO E SOCIALE DELL’ONU APERTOSI IERI A
NEW YORK
-
Servizio di Elena Molinari -
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NEW YORK. = L’agenda della sessione del Consiglio
economico e sociale dell’Onu (Ecosoc), iniziata ieri, è completamente occupata
dai problemi dei Paesi meno sviluppati del mondo. L’Ecosoc, che si riunisce
annualmente per discutere proposte di sviluppo e di aiuto umanitario prima che
vengano sottoposte all’Assemblea generale, quest’anno si china dunque verso i
Paesi più poveri, i cosiddetti “last developed countries”. Sono ben 49,
ed il primo elemento su cui i membri dell’Ecosoc sono chiamati a riflettere, è
proprio il fatto che dal 1990 ad oggi il loro numero è più che raddoppiato.
Geograficamente, sono soprattutto i Paesi dell’Africa – ben 34 – e quelli
dell’Asia a qualificare come i più svantaggiati al mondo, grazie ad un reddito
pro-capite annuale inferiore a 765 dollari americani. Aumentare questa soglia è
uno degli obiettivi principali della cooperazione promossa dall’organo delle Nazioni
Unite. Per farlo, l’Ecosoc concentrerà l’attenzione sulle situazioni che si
creano all’indomani dei conflitti, così come sulla buona gestione degli affari
pubblici, sull’accesso ai mercati, alla tecnologia dell’informazione e
sull’educazione per le donne. Oggi stesso, saranno inoltre sottoposte alla
verifica del Consiglio le attività di sviluppo realizzate negli ultimi tre anni
all’interno dell’intero sistema dell’Onu, mentre sul fronte umanitario il punto
cruciale all’ordine del giorno è il coordinamento internazionale in caso di
crisi. Una catastrofe relativamente recente come il devastante terremoto di Bam
ha infatti dimostrato che la solidarietà internazionale non manca, ma che
spesso manca il coordinamento. L’Ecosoc richiamerà dunque i Paesi membri ad
attenersi, in caso di aiuti ad una crisi, alle direttive stabilite dall’Onu.
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TROVARE
NELLA FEDE LA FORZA DELLA SPERANZA: E’ L’APPELLO LANCIATO
DAL
CARDINALE BERGOGLIO, ARCIVESCOVO DI BUENOS AIRES, CHE
AL
TERMINE DELLA SETTIMA GIORNATA DELLLA PASTORALE SOCIALE,
SI E’
SOFFERMATO SULLA POVERTA’ CHE AFFLIGGE L’ARGENTINA
BUENOS
AIRES. = L’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Bergoglio, ha
lanciato un appello alla società civile argentina, affinché non si privi della
speranza di avere dei tempi migliori di quelli che il Paese sta vivendo da
alcuni anni. Al termine della settima Giornata della Pastorale sociale -
riferisce l’agenzia argentina ‘Aci’ - il porporato ha sottolineato che “è
criminale privare un popolo della speranza”. Questo “equivale semplicemente a
incarcerarlo”. “Rivendicare l’utopia - ha aggiunto il porporato - ha ancora più
valore nei momenti di oscurità. E noi stiamo vivendo momenti di oscurità che ci
condizionano”, ha aggiunto, riferendosi all’estrema povertà, che affligge metà
della popolazione argentina, dura eredità lasciata dagli ultimi governi. “In
questa tremenda oscurità nella quale viviamo - ha avvertito - quello che ci
arriva da fuori è il frutto della cattiva globalizzazione”. Ma, ha ribadito,
non bisogna perdere la speranza. (A.G.)
IN UN
RAPPORTO DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE UGANDESE, I DATI DELL’EMERGENZA
UMANITARIA PROVOCATA DALLA GUERRA CIVILE NEL PAESE
AFRICANO:
MIGLIAIA I BAMBINI SOLDATO, OLTRE UN MILIONE GLI SFOLLATI,
MENTRE
L’ONU LANCIA L’ALLARME PER IL RISCHIO CARESTIA
KAMPALA.
= Sono oltre 8.000 i bambini rapiti in nord Uganda negli ultimi 12 mesi dai ribelli
del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra). È questo il dato più
inquietante, che emerge da un rapporto realizzato dalla Commissione nazionale
per la sicurezza e gli affari umanitari del Parlamento ugandese presentato in
questi giorni a Kampala. “Secondo le stime - si legge nel rapporto, citato
dall’agenzia Misna - dall'inizio del conflitto nell'Uganda settentrionale, tra i
20 mila e i 25 mila bambini sono finiti nelle mani dei ribelli. I ragazzi
vengono indottrinati e trasformati in combattenti, mentre le ragazze diventano
schiave del sesso per i comandanti ribelli”. Secondo il documento, i dati a
disposizione non consentono di avere una stima corretta dei danni causati dalla
crisi del nord Uganda, ma il solo costo economico per i distretti Acholi si
aggirerebbe attorno a 1,3 miliardi di dollari. I danni causati dai ribelli
proseguono anche in loro assenza e consumano la vita di centinaia di migliaia
di persone costrette a vivere in campi per sfollati che soffrono di una cronica
mancanza di cibo e di sovraffollamento. Lo studio della commissione
parlamentare stima che per nutrire il milione e mezzo di sfollati stipati nei
campi del nord del Paese servirebbero 340 mila dollari al giorno. Il Programma
alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) ha informato la commissione che
potrebbero verificarsi delle interruzioni nella distribuzione degli aiuti nei
prossimi mesi. Dal 1986, le bande armate guidate da Joseph Kony seminano morte
e distruzione nelle zone settentrionali del Paese, senza che il governo di
Kampala riesca a fermare le violenze né ad avviare alcun tipo di negoziato. Si
calcola che finora le vittime di questo conflitto siano oltre 100 mila, 25.000
i minori sequestrati e oltre un milione gli sfollati. (A.G.)
L’ARCIVESCOVO
DI BOGOTÀ, CARDINALE PEDRO RUBIANO, CONDANNA
LA RECENTE ONDATA DI SEQUESTRI AVVENUTA IN
COLOMBIA
BOGOTA’.
= “Il valore della vita di un uomo è inestimabile e per questo giudico il sequestro
di persona il peggior crimine che si sta commettendo in Colombia in quanto
offende la dignità dell’essere umano, che è l’immagine di Dio”. Con queste
parole l’arcivescovo di Bogotà e presidente della Conferenza episcopale
colombiana, cardinale Pedro Rubiano, condanna l’ondata di sequestri
recentemente registratasi nel Paese sudamericano. Il porporato critica, in
particolare, il provvedimento del governo che consentirebbe ai civili, attualmente
tenuti in ostaggio delle Forze armate rivoluzionarie (Farc), di riacquistare la
libertà in cambio del rilascio dei guerriglieri detenuti. “Se i miliziani
sequestrassero un vescovo – sottolinea il cardinale - non daremo un centesimo
per il suo rilascio perché, così facendo, non riconosceremmo il principio
fondamentale della libertà di una persona e della sua dignità”. “Per tutti quei
pastori della Chiesa catturati, uccisi o, nella migliore delle soluzioni
rilasciati - aggiunge il porporato - non abbiamo mai pagato alcun riscatto”. Il
cardinale Rubiano ribadisce, inoltre, la “neutralità” della Chiesa e conferma
il suo “pieno appoggio” all’intensa attività diplomatica, volta ad un
avvicinamento, tra il governo e i gruppi armati irregolari. “L’auspicio -
conclude - è quello di una soluzione pacifica al conflitto”. (A.L.)
STAMANI
ALLE 10.30 SI È CELEBRATA UNA MESSA PONTIFICALE
NELLA
BASILICA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA
- A
cura di Marco Cardinali -
ROMA. = Nella suggestiva cornice della patriarcale
Basilica di San Paolo fuori le mura si è celebrata stamattina la Messa
pontificale per la solennità dei SS. Pietro e Paolo. È questa una delle rare
occasioni in cui si celebra l’Eucaristia sull’altare papale, con il ciborio di
Arnolfo di Cambio risalente al 1285. Questa è anche l’occasione in cui si apre
il piccolo cancello bronzeo che offre la vista della tomba dell’Apostolo delle
Genti, tomba che ha come copertura una lapide marmorea con su incisa una
semplice scritta in latino: “Paolo Apostolo e martire”. Moltissimi i fedeli, i
sacerdoti e i religiosi presenti al Pontificale presieduto dall’arcivescovo
mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, nunzio Apostolico emerito in Italia,
insieme al padre Abate della Comunità monastica benedettina di San Paolo fuori
le mura, don Paolo Lunardon, e il priore dell’Abbazia Primaziale di
Sant’Anselmo, il padre Edmund Power. Nella sua omelia l’arcivescovo ha
ripercorso le grandi tappe della storia della Basilica e del Monastero che fin
dalle origini hanno avuto una storia comune. “I monaci benedettini”, ha detto
mons. Montezemolo, “hanno da sempre cura di questo santo e venerando luogo,
che, unico nel mondo, vede una basilica patriarcale romana con annesso un
monastero”. Il nunzio emerito ha anche annunciato pubblicamente che la Santa
Sede ha in esame un nuovo ordinamento per la Basilica e il monastero, affinché
sia valorizzato maggiormente il lavoro dei monaci in una basilica come quella
di San Paolo, al servizio spirituale tutti i fedeli e i pellegrini che giungono
a pregare sulla tombe dell’Apostolo Paolo, il tutto in un accordo armonico
delle specificità di Basilica e Monastero, in un connubio che risale a tanti
secoli fa e che continuerà anche nel terzo millennio ad essere presenza
significativa e viva di una Chiesa che prega e annuncia il Vangelo al mondo
contemporaneo, con la stessa forza ed entusiasmo di San Paolo.
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29
giugno 2004
- A cura di Barbara Castelli -
Il trasferimento della sovranità dalla Coalizione guidata
dagli Stati Uniti al governo iracheno ad interim non ha arginato l’ondata di
violenze nel Paese del Golfo. Poche ore dopo la cerimonia tra il governatore
americano, Bremer, e il primo ministro, Allawi, infatti, un nuovo video
trasmesso dall’emittente Al Jazira ha mostrato l’esecuzione del soldato
americano Keith Matthew Maupin, 20 anni, scomparso quasi tre mesi fa in seguito
a un’imboscata al suo convoglio, presso Baghdad. Si parla, intanto, del
processo contro l’ex dittatore Saddam Hussein. Il servizio di Barbara Castelli:
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In un Paese ancora drammaticamente segnato dalle violenze,
il nuovo governo ad interim del premier iracheno Iyad Allawi si trova a muovere
i primi passi. In cima alla lista delle priorità si colloca il processo contro
l’ex dittatore, la cui custodia legale domani passerà all’Iraq, insieme con
altri 11 dirigenti del defunto regime baathista, tra i quali l’ex vice-premier
Tarek Aziz e il vice-presidente Yassine Ramadan. Un processo, ha specificato
Allawi, che sarà “pubblico” ma che si svolgerà tra diversi mesi. Saddam, ha
concluso, potrà indicare un difensore o rappresentarsi da solo; ha diritto a un
processo “giusto”, ma senza nessun privilegio. Il quotidiano “al Sabah”,
intanto, anticipa che il nuovo governo proclamerà entro 48 ore leggi
d’emergenza, con poteri speciali per il premier, l’imposizione di coprifuoco in
alcune aree e altre misure “che limitano la libertà”. All’indomani del trasferimento
di sovranità va registrata la liberazione di 250 iracheni del carcere di Abu
Ghraib, asceso alla ribalta della cronaca, nelle scorse settimane, per lo
scandalo delle torture perpetrate dai soldati americani ai detenuti. E mentre
Francia e Kuwait si sono detti pronti a “ristabilire rapidamente” le proprie
relazioni diplomatiche con l’Iraq, sul terreno si registrano nuove vittime. Tre
marine americani hanno perso la vita stamani nella capitale per l’esplosione di
una bomba al passaggio del loro convoglio, mentre un poliziotto iracheno è
stato ucciso e un altro ferito in un attacco contro il quartier generale della
polizia di Mahmudiya. Sono, invece, fortunatamente tornati in libertà i tre
ostaggi turchi nelle mani degli estremisti islamici.
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Rapporti ricuciti tra Stati Uniti e Libia. Dopo 24 anni di
silenzio diplomatico e lunghi mesi di riavvicinamento, il sottosegretario di
Stato americano, William Burns, ha reso noto ieri di aver inaugurato
formalmente il nuovo ufficio di collegamento USA a Tripoli, con la ripresa di
legami diplomatici diretti. Il 23 aprile scorso, il presidente statunitense,
George W. Bush, ha deciso di allentare le sanzioni contro la Libia, introdotte
sotto la presidenza di Ronald Reagan, revocando quasi del tutto quelle di
carattere economico, ma senza togliere il Paese nordafricano dalla lista degli
Stati che appoggiano il terrorismo internazionale.
I detenuti a Guantanamo accusati di terrorismo hanno il
diritto di accedere ai tribunali americani per far valutare il loro caso. Lo ha
deciso ieri la Corte suprema degli Stati Uniti. Ai detenuti, circa 600, finora
non è stato riconosciuto alcun diritto legale, trattandosi, ad avviso del
Pentagono, di combattenti nemici catturati sul campo di battaglia.
Il premier portoghese José Manuel Durao Barroso ha
annunciato stamani di avere accettato la proposta di succedere a Romano Prodi
nella presidenza della Commissione Europea. La decisione è arrivata dopo un
colloquio col presidente della repubblica Jose Sampaio.
Ancora violenze in Medio Oriente. Ieri, il lancio di razzi
palestinesi contro la cittadina di Sderot, con un bilancio di 2 morti e 12
feriti. All’alba di oggi, la risposta militare israeliana, che ha causato a
Khan Younès la morte di un palestinese di 14 anni. Ci riferisce Graziano Motta:
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Reparti di fanteria e blindati
sono entrati all’alba nella zona settentrionale della Striscia di Gaza - il
centro abitato più importante è Beit Hanoun - da dove la guerriglia palestinese
lancia missili contro il territorio israeliano. L’operazione viene contrastata
da gruppi armati: un militante di Hamas è morto suicida, azionando una cintura
esplosiva; un altro è stato ferito. Nella notte c’erano stati due raid di
elicotteri israeliani, rispettivamente a Gaza città e nel campo di Musseirak.
In mattinata, altre operazioni di guerriglia palestinese contro soldati
israeliani nella Striscia di Gaza, a Nevé Dekalim, e presso Nablus, dove hanno
ferito un militare. Il governo Sharon, intanto, che pure non ha una maggioranza
in Parlamento, è uscito indenne ieri sera da tre votazioni su mozioni di
censura, presentate dai partiti di opposizione, sulla politica economica e
sociale.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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L’Iran ha ammesso stamani che un sospetto sito
nucleare, ispezionato dalle Nazioni Unite, è un vecchio laboratorio militare di
ricerca. Lo ha dichiarato a Mosca il direttore generale dell’Agenzia
internazionale per l’energia atomica, Mohammed El Baradei. Gli ispettori
dell’Onu hanno visitato ieri a Teheran un sito che, secondo l’Aiea, avrebbe
potuto essere utilizzato per lo sviluppo di armi di distruzioni di massa.
Veniamo alle elezioni politiche che si sono svolte ieri in
Canada. I Liberali del premier Paul Martin si sono aggiudicati le
consultazioni, assicurandosi almeno 136 seggi, lontani però dalla soglia dei
155 seggi, che sancisce la maggioranza assoluta in Parlamento. I conservatori
hanno, comunque, riconosciuto la sconfitta. Per governare ora il partito al
potere avrà bisogno dell’appoggio dei separatisti del Québec. Ce ne parla Elena
Molinari:
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Un’alleanza da molti giudicata
instabile ed esplosiva, che potrebbe sfociare in nuove elezioni nel giro di un
anno. Gli exit poll mostrano però i due principali partiti del Paese, liberale
e conservatore, quasi alla pari. Una situazione che fa ancora di più del blocco
del Québec - una formazione politica che dal ’93 rappresenta gli interessi
nazionalistici della provincia francofona - l’ago della bilancia. Il premier in
carica, Paul Martin, succeduto a Jean Chretien solo nel dicembre scorso,
potrebbe, tuttavia, rimanere in carica, anche con un governo di minoranza. Dopo
oltre dieci anni di governi liberali, per i conservatori di Stephen Harper
queste elezioni rappresentano già almeno un ritorno sulla scena politica. La
campagna elettorale è durata solo cinque settimane, ma i commentatori politici
sono concordi nel giudicarla pessima, caratterizzata da scambi di insulti più
che da un vero dibattito politico.
Da New York, Elena Molinari per la
Radio Vaticana.
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Il tribunale Penale Internazionale per la ex
Jugoslavia ha condannato stamani a 13 anni di reclusione per crimini contro
l’umanità commessi nella guerra di Croazia del 1991-95 l’ex leader serbo-croato
Milan Babic. Lo scorso gennaio l’ex primo ministro della repubblica serba della
Krajina, proclamata in Croazia dopo il distacco di Zagabria dalla vecchia
federazione jugoslava nel 1991, era stato riconosciuto colpevole di aver fatto
ricorso alla pulizia etnica ai danni dei croati.
Immigrazione in
Italia: sono sbarcati nella notte sull’isola di Lampedusa 171 clandestini.
Provenienti per lo più dall’Asia centrale e dal Maghreb, sono stati soccorsi da
unità navali della Capitaneria di porto di Lampedusa e da mezzi del reparto
aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo. Tra gli immigrati, 5 ragazzi e
una donna. Sono tutti in buone condizioni.
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