RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 179 - Testo della trasmissione di domenica 27 giugno 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Un rinnovato impegno di comunione tra cattolici e ortodossi nell’invocazione di Giovanni Paolo II all’Angelus

 

Martedì prossimo l’arrivo in Vaticano di Bartolomeo I, per la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni di Roma: intervista con padre Dimitri Salakas

 

Nella Giornata per la carità del Papa la Chiesa in tutto mondo si appresta a raccogliere le offerte per la solidarietà del Santo Padre: ce ne parla il professor Alberto Bochicchio

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Urne aperte in Serbia: per il secondo turno delle presidenziali in gara l’ultranazionalista Nikolic e il democratico Tadic. Analisi di Federico Eichberg e Nicola Falcinella

 

La famiglia in Europa: chiuso stamane a Roma il Simposio europeo dei docenti universitari di 30 Paesi

 

In un film-documentario del regista romano Claudio Camarca, il racconto di dolori e speranze che accompagnano l’iter degli immigrati: ai nostri microfoni, mons. Cesare Lodeserto e il regista

 

“Il mistero del corporale”: questa sera in onda alla Radio Vaticana, l’opera lirica del Maestro Vitalini. Con noi, mons. Raffaello Lavagna

 

CHIESA E SOCIETA’:

Attesa per il 9 luglio la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja sulla costruzione del Muro di separazione tra israeliani e palestinesi

 

Incontro a Khartoum, nella settimana prossima, tra Kofi Annan e Colin Powell, alla ricerca di una soluzione per il Darfour

 

Allarme di Human Rights Watch sulla situazione dei civili nelle campagne del Burundi

 

Marcia nazionale oggi a Città del Messico per frenare l’escalation di violenza e il dilagante fenomeno dei sequestri e del narcotraffico

 

Tre milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono a causa dell’inquinamento di aria e acqua.

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq: la violenza che pervade il Paese, a tre giorni dal passaggio formale di sovranità agli iracheni, fa temere un rinvio delle annunciate elezione nel gennaio 2005

 

Nuovi sanguinosi attentati anche in Afghanistan per boicottare le elezioni del capo di Stato, previste in settembre.

 

Al voto oggi anche in Lituania, Mongolia e Italia e primi risultati in Islanda

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 giugno 2004

 

L’ECUMENISMO, I DIRITTI UMANI E LA PACE IN MEDIO ORIENTE:

TEMI CARI AL PAPA, CHE NE HA PARLATO STAMANE ALL’ANGELUS,

RICHIAMANDO ANCORA UNA VOLTA UN MAGGIORE IMPEGNO DI TUTTI

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Giovanni Paolo II attende con gioia l’arrivo di Bartolomeo I, che giungerà in Vaticano dopodomani 29 giugno, festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo, una “felice ricorrenza” – ha detto il Papa – per “accogliere nuovamente” il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. “Intendiamo commemorare insieme” “lo storico incontro” tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora I, che quarant’anni fa “si scambiarono un indimenticabile abbraccio di fraternità e di pace a Gerusalemme”, durante il pellegrinaggio che Papa Montini compì nel gennaio 1964, mentre era in corso il Concilio Ecumenico Vaticano II. E fu nel novembre di quell’anno che i Padri conciliari approvarono il Decreto Unitatis redintegratio, dove si afferma “che la promozione dell’unità di tutti i cristiani è uno dei principali intenti del Concilio, e che ad essa devono tendere gli sforzi delle istituzioni e comunità ecclesiali”

 

Con uno sguardo all’oggi, Giovanni Paolo II ha lodato in particolare la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che “è entrata a far parte del normale itinerario liturgico-pastorale delle diocesi e delle parrocchie” e anche l’attvità di numerose associazioni e comunità ecclesiali “che dedicano un’attenzione costante alla reciproca conoscenza e all’amicizia tra cristiani di diverse confessioni”, “sempre più uniti in opere di solidarietà, di giustizia e di pace.”

 

“In questo periodo, malgrado le difficoltà che ancora permangono, l’ecumenismo ha fatto notevoli passi e si è sviluppata nel Popolo di Dio la sensibilità ecumenica.”

 

Da qui l’invocazione alla Santa Madre di Dio, a cui i cristiani d’Oriente sono tanto devoti “per un rinnovato impegno di comunione tra cattolici e ortodossi”.

 

Dopo la preghiera mariana, il Papa si è soffermato su una drammatica realtà, poco conosciuta, su cui ieri Giornata internazionale contro della tortura si sono accesi i riflettori dei media.

 

“Possa il comune impegno delle istituzioni e dei cittadini bandire completamente questa intollerabile violazione dei diritti umani, radicalmente contraria alla dignità dell’uomo.”

 

Infine un saluto commovente al gruppo di ragazzi israeliani e palestinesi, che con le loro famiglie sono ospitati a Napoli, per testimoniare al mondo “che desiderano la pace e la riconciliazione per la Terra Santa”, proprio loro che portano nel cuore il dolore di parenti morti nel conflitto.

 

“E’ dovere di tutti non deludere questi ragazzi e aiutarli a crescere nella fiducia in Dio e negli altri”

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ATTESA PER LA PROSSIMA VISITA IN VATICANO DEL PATRIARCA ECUMENICO

DI COSTANTINOPOLI, BARTOLOMEO I, NELLA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO,

PATRONI DI ROMA

- Intervista con padre Dimitri Salakas -

 

 

Sull’annunciata visita di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, martedì prossimo 29 giugno, per la festa dei Santi Pietro e Paolo, ascoltiamo un approfondimento di padre Dimitri Salakas, esperto di rapporti tra cattolici e ortodossi, consultore presso il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nonché professore di diritto canonico presso l’Università Urbaniana e il Pontificio Istituto orientale, e consultore di vari altri dicasteri della Curia romana. Giovanni Peduto gli ha chiesto come è iniziata la tradizione delle visite a Roma:

 

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R. – Dopo il Concilio Vaticano II e l’abrogazione delle reciproche scomuniche del 1054, la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli hanno inaugurato un nuovo cammino verso l’unità, con lo scambio di visite, con delegazioni ufficiali in occasione della festa del proprio patrono: dei Santi Pietro e Paolo a Roma, il 29 giugno, e di Sant’Andrea a Costantinopoli, il 30 novembre. Questa volta la delegazione ortodossa sarà preceduta dal Patriarca ecumenico stesso, Bartolomeo I. E’ diventata ormai una tradizione, una sacra consuetudine, questo scambio fraterno di visite e di partecipazione, che testimonia i particolari vincoli tra le due Chiese dell’antica e della nuova Roma, secondo il linguaggio dei primi Concilii ecumenici. Inoltre queste visite permettono delle conversazioni con i rispettivi organi della Santa Sede e del Patriarcato ecumenico, sullo stato dei rapporti ecclesiali, sui problemi, le difficoltà che nel frattempo emergono, il proseguimento del dialogo teologico, e sugli impegni e sulle prospettive ecumeniche aperte.

 

D. – Quali sono le principali differenze?

 

R. – Le Chiese ortodosse sono le più vicine alla Chiesa cattolica, soprattutto in virtù della Successione apostolica. Il sacerdozio e l’eucaristia le uniscono ancora a noi con strettissimi vincoli. La comunione con le Chiese ortodosse è quasi piena, ma per la non piena comunione esistono ancora dei problemi teologici e differenze non secondarie. Il Santo Padre ne ha segnalato uno principale nella lettera enciclica Ut unum sint, cioè il ministero del vescovo di Roma. Il Santo Padre ha chiesto ai teologi delle varie Chiese di ricercare insieme le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore, riconosciuto dagli uni e dagli altri. Infatti, dopo questo invito ci sono stati importanti incontri ad alto livello. Un altro problema che diventa sempre più grave, è il modo con cui le Chiese ortodosse vedono l’esistenza delle Chiese cattoliche orientali, esigendo semplicemente la loro soppressione. Il problema si è ancora maggiormente aggravato in questi mesi a causa della richiesta della Chiesa greco-cattolica ucraina di essere elevata al rango di Chiesa patriarcale. Ovviamente la richiesta ortodossa per la soppressione delle Chiese orientali, in piena comunione con la sede apostolica, è inaccettabile da parte della Chiesa cattolica per ragioni dottrinali. Non vedo per il momento come possa essere risolto questo problema, specie dopo la lettera che sua Santità il Patriarca Bartolomeo ha scritto il novembre scorso al Santo Padre, pubblicata su Internet. Il problema, comunque, è già stato discusso nel dialogo teologico ufficiale tra le due Chiese.

 

D. – Il patriarca ecumenico di Costantinopoli è un primus inter pares nelle Chiese ortodosse. Cosa significa in pratica?

 

R. – Significa anzitutto che non esercita una potestà all’interno delle altre Chiese ortodosse, ma coordina le iniziative a livello pan-ortodosso, come sono state le varie conferenze pan-ortodosse finora convocate – presiedute dal Patriarcato ecumenico – l’impegno ecumenico pan-ortodosso e il dialogo ufficiale delle Chiese ortodosse con la Chiesa cattolica e le altre Chiese. Il Patriarcato ecumenico è un punto di riferimento, di concertazione fraterna di tutte le Chiese ortodosse.

 

D. – Attualmente come sono i rapporti all’interno delle varie Chiese ortodosse?

 

R. – Ci sono attualmente dei problemi nei rapporti di Costantinopoli con alcune Chiese ortodosse, come ad esempio con la Chiesa russa e recentemente con la Chiesa di Grecia, che sono stati fortunatamente superati. Le ragioni sono di tipo canonico, ma anche nazionalistico, etnico. Ci sono stati sempre nella storia dei problemi tra le varie Chiese autocefale nazionali, ma alla fine la comunione veniva ristabilita. Uno dei problemi è lo statuto giuridico della diaspora ortodossa. Costantinopoli, con una sua propria interpretazione dei canoni antichi, rivendica la giurisdizione su tutti i fedeli ortodossi fuori dai confini dei patriarcati e delle Chiese autocefale.

 

D. – Cosa si possono scambiare vicendevolmente cattolici e ortodossi?

 

R. – Direi subito la fede fondamentalmente comune di sacramentalità ed eccle-sialità. La Chiesa cattolica ha essenzialmente modificato la sua normativa canonica e pastorale e il suo atteggiamento verso i fedeli ortodossi, ad esempio nei matrimoni misti, nella comunicazione, nei sacramenti dell’euca-ristia e della penitenza, nell’unzione degli infermi. E’, però, da notare che le Chiese ortodosse restano stabili nel loro rigore in questa materia. Manca ancora la legittima reciprocità auspicata dal recente direttorio ecumenico. Le Chiese ortodosse e i loro teologi devono chiarire il loro punto di vista sull’ecclesialità e la sacramentalità della Chiesa cattolica.

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NELLA GIORNATA PER LA CARITA’ DEL PAPA LA CHIESA NEL MONDO

RACCOGLIE LE OFFERTE PER SOSTENERE LA SOLIDARIETA’ DEL SANTO PADRE

- Intervista con Alberto Bochicchio -

 

In occasione della prossima solennità dei Santi Pietro e Paolo, in tutto il mondo si raccoglieranno offerte per la Giornata per la carità del Papa. Tale ricorrenza, che in alcuni Paesi si celebra invece oggi, nella domenica più vicina al 29 giugno, affonda le proprie radici nella storia antica.

 

Alla fine del secolo VIII, infatti, gli anglosassoni, dopo la loro conversione, si sentirono tanto legati al Vescovo dell’Urbe che decisero di inviare in maniera stabile un contributo annuale al Pontefice. Nacque così il “Denarius Sancti Petri” (Elemosina a San Pietro), che ben presto si diffuse nei Paesi europei. L’Obolo di San Pietro, quindi, rappresenta l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre, come segno di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi. Secondo l’ultimo bilancio consuntivo della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, nel 2002 sono stati raccolti quasi 53 milioni di dollari, che Giovanni Paolo II ha destinato ad interventi caritativi per comunità ecclesiali del Terzo Mondo e per alleviare necessità verificatesi nel corso dell’anno a motivo di guerre e gravi calamità naturali.

 

Giovanni Peduto ha intervistato il prof. Alberto Bochicchio, presidente della Commissione per la carità del Papa per la diocesi di Roma, dove ad occuparsi di questo Obolo è il Circolo di San Pietro:

 

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R. – Il Circolo San Pietro nasce nel 1869 per dimostrare, dopo l’occupazione dei possedimenti della Chiesa, fedeltà al Santo Padre. Da quel momento cominciano a nascere, per volontà dei Papi, le Opere di carità (come, ad esempio, le cucine economiche per i poveri o gli asili notturni) e si è sempre andato evolvendo seguendo le necessità della diocesi. L’impegno per l’agro romano è stata la più grande opera che il Circolo ha compiuto, e mano mano che sono sorte le varie parrocchie il Circolo si è ritirato discretamente.

 

D. – Quante persone vi operano?

 

R. – Il Circolo San Pietro ha circa 600 soci e nella Commissione opera tutto il Circolo. E questo perché la raccolta veniva fatta, fino a qualche anno fa, di parrocchia in parrocchia. Oggi, essendo cambiate alcune situazioni che non erano più possibili, i soci contattano i parroci e si occupano della raccolta che si tiene soltanto nelle quattro Basiliche la Giornata del 29 giugno.

 

D. – A quanto si può calcolare l’ammontare per la diocesi di Roma?

 

R. – Il Circolo San Pietro ogni anno offre direttamente al Santo Padre quanto raccolto. Lo scorso anno abbiamo potuto offrire al Santo Padre 220 mila euro.

 

D. – Può spiegarci come il Pontefice impiega questi fondi?

 

R. – Il Santo Padre riceve sollecitazioni da tutte le parti del mondo, ma ha sicuramente una particolare attenzione per la sua diocesi. Il Santo Padre, ad esempio, acquista personalmente dei buoni pasto per i poveri che vengono devoluti nella città di Roma, con la scritta “Per munificenza di Sua Santità Giovanni Paolo II”.

 

D. – Tornando al Circolo San Pietro, quanti poveri aiutate con questi pasti?

 

R. – Con questi buoni pasto 30 mila persone l’anno mangiano gratuitamente nelle tre cucine che abbiamo ancora. In passato ne abbiamo avute anche 25-30 e nell’immediato dopoguerra sono state servite quattro milioni di ministre.

 

D. – Quanti soci sono impegnati nella raccolta delle offerte?

 

R. - In questi giorni abbiamo circa 60 persone che saranno presenti nelle quattro Basiliche. Questo lavoro, tuttavia, continua ovviamente tutto l’anno, anche grazie al supporto del computer. Non tutti poi ci conoscono e, quindi, dobbiamo incrementare e agevolare la conoscenza di questa manifestazione di amore verso il Santo Padre.

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 giugno 2004

 

 

LA SERBIA AL SECONDO TURNO DELLE PRESIDENZIALI:

DEVE SCEGLIERE TRA L’ULTRANAZIONALISTA NIKOLIC E IL DEMOCRATICO TADIC

- A cura di Giada Aquilino -

 

 

Sono oltre 6 milioni e mezzo i cittadini serbi che oggi si recano alle urne per il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Sono in lizza il candidato ultranazionalista Nikolic e il leader del Partito democratico Tadic. Al primo turno del 13 giugno, Nikolic ha ottenuto il 30,6% dei voti contro il 27,37% del rivale, ma Tadic ora è sostenuto dalla coalizione di governo guidata dal premier Kostunica. Per favorire l’affluenza alle urne - rimasta molto bassa nelle ultime consultazioni - le autorità di Belgrado hanno abolito il tetto minimo di partecipazione. Ma da cosa è caratterizzato questo ballottaggio presidenziale? Risponde Federico Eichberg, esperto di questioni balcaniche:

 

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R. - Il voto di Nikolic è facile definirlo ‘di protesta’, legato ad una certa idea di Serbia che non per forza è nazionalista-monarchica - incarnata invece da Draskovic - e non è una destra ferma su temi specifici, come il Kosovo o la difesa della cristianità, riferibili più che altro a Kostunica. E’ una destra nazionalista legata ad un’idea di grande Serbia, piuttosto antagonista delle diverse nazionalità presenti nell’area. L’altro candidato, Tadic, rappresenta un volto democratico. E’ il successore di Zoran Djindjic, già premier serbo nel primo governo democratico eletto nel dicembre del 2000. Tadic rappresenta una Serbia che guarda all’Europa.

 

D. – Ma quello che sta avvenendo in Serbia si può definire uno scontro tra il passato regime nazionalista - responsabile dei conflitti balcanici degli anni ’90 - ed il nuovo corso riformista ed europeista, oppure non è così?

 

R. – Sicuramente è uno scontro fra una parte di quel regime ed una parte del nuovo. Non dimentichiamo che l’attuale governo serbo, guidato da un democratico come Kostunica, conta sull’appoggio esterno dei socialisti di Milosevic, socialisti profondamente rinnovatisi e liberatisi di quella ‘tara’ nazionalistica che invece riguarda maggiormente i radicali di Vojislav Seselj, i quali si riconoscono nel candidato Nikolic. Quindi, una parte di quella Serbia intollerante è rappresentata da Nikolic, una parte del fronte democratico è rappresentata da Tadic.

 

D. – Chi appare avvantaggiato?

 

R. – La vittoria di Tadic è certa se voterà un numero di aventi diritto superiore al 40 per cento. E’ incerta se voterà un numero di serbi fra il 40 e il 30 per cento ed è molto difficile se voterà un numero inferiore al 30 per cento.

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Ma quale orientamento al voto c’è stato in questi giorni in Serbia? Risponde il collega Nicola Falcinella, raggiunto telefonicamente a Belgrado:

 

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R. – Mentre Belgrado è in maggioranza per Tadic, la campagna è per Nikolic. Questo lo si è visto nei giorni scorsi. Tadic ha chiuso la campagna elettorale in Piazza della Repubblica, nel centro di Belgrado, e per lui c’era ‘il meglio’ della Serbia. Sul palco c’erano esponenti della cultura, dello sport, cantanti, attori. In piazza c’era un po’ l’élite di Belgrado. Il giorno seguente c’è stata la conclusione della campagna elettorale di Nikolic e i suoi sostenitori non si sono radunati in piazza, ma in periferia. Erano presenti soprattutto giovani e gente della campagna, che hanno marciato verso il centro della città attraversando le principali arterie belgradesi. Lì si è notato veramente la differenza di strato sociale dei due candidati.

 

D. – Che cosa dovrà cambiare veramente dopo queste elezioni per la Serbia?

 

R. – Se vincesse Tadic, dovrà iniziare un cammino piuttosto lungo che potrà portare la Serbia ad avvicinarsi all’Unione Europea o comunque a prendere in considerazione delle trattative per entrarvi. Se vincesse Nikolic, la prospettiva sarebbe di andare verso nuove elezioni legislative perché il candidato ultranazionalista ha chiesto lo scioglimento del Parlamento in caso di vittoria. Quindi si tornerebbe alle urne e sarebbero le ennesime elezioni nell’arco di pochi mesi.

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LA FAMIGLIA IN EUROPA: COME RECUPERARE I VINCOLI D’AMORE E SOLIDARIETA’

E CONTRASTARE LE FORZE CHE MINANO QUESTA ISTITUZIONE:

CHIUSO STAMANE A ROMA IL SIMPOSIO DEI DOCENTI UNIVERSITARI DI 30 PAESI

 

 

Con la celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, si sono da poco chiusi a Roma i lavori del Simposio europeo dei docenti universitari, iniziato giovedì scorso sul tema “La famiglia in Europa: fondamenti, esperienze, prospettive”. L’incontro è stato promosso dal Vicariato di Roma in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell’Anno internazionale della famiglia. 400 docenti di 30 Paesi europei hanno così risposto all’appello del cardinale Ruini e del Papa, a riallacciare i legami tra l’esperienza familiare e la concezione dell’uomo e dell’intera esistenza sociale, offrendo riflessioni e stili di vita in grado di generare famiglie autentiche. Il servizio di Gabriella Ceraso:

 

 

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Quella che stiamo vivendo è una fase epocale non facile per il matrimonio e per la famiglia, minacciati da forze che vorrebbero disgregarli, da progetti umani alternativi a quelli divini e da una società europea che vede le proprie risorse negli individui e nei mercati, non certo nelle relazioni familiari. Sono dati comuni a molti Paesi europei, secondo quanto è emerso dai lavori del Simposio romano insieme a tendenze uniformi come la disaffezione al matrimonio come istituzione, l’aumento dei divorzi, delle famiglie con un solo genitore, dei figli nati fuori dal matrimonio e delle forme precarie di convivenza.

 

E’ la crisi o addirittura la fine della famiglia? Probabilmente solo una transizione che, come ci insegna la storia, appartiene costitutivamente alla famiglia e che va guidata come tutte le transizioni, affinché muti ciò che deve mutare e permanga ciò che deve permanere.

 

In questo senso, le indicazioni che provengono dalla Chiesa cattolica sono fondamentali, come la critica alla concezione individualistico-borghese della famiglia, ormai ampiamente condivisa. Ma proposte per il futuro della famiglia sono emerse anche dai lavori. Importante – si è detto – è rinunciare alla dicotomia tra modello tradizionale e moderno, per annunciare la famiglia come una comunità d’amore e solidarietà che non trova il suo fondamento né nella legge né nell’utile. E altrettanto importante è dare spazio all’energia e alla creatività culturale di quanti credono nella famiglia, a partire dal basso, dalle reti associative familiari, perché impongano un nuovo modo di lavorare, di consumare e di fare l’Europa. D’altronde, nelle inchieste europee, la famiglia risulta tra i primi tre ideali di felicità. Quindi esiste un’Europa delle famiglie, alternativa a quella dei governi e del mercato. Si tratta ora di darle voce.

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IN UN FILM DOCUMENTARIO DEL REGISTA ROMANO CLAUDIO CAMARCA

IL RACCONTO DI DOLORI E SPERANZE CHE ACCOMPAGNANO L’ITER DEGLI IMMIGRATI

- Servizio di Adriana Masotti -

 

 

Cinquanta minuti girati all’interno del Centro di permanenza temporanea per immigrati, “Regina Pacis” di Lecce, dove non è permesso scattare neppure una fotografia e poi in Moldavia, lungo le strade e dentro le case. E’ il film-documentario del regista romano Claudio Camarca: “Un’incerta grazia”. Racconta attraverso le immagini e le parole del direttore del Centro, mons. Cesare Lo deserto, la faccia meno conosciuta e più “sporca” dell’immigrazione. Alla presentazione del film, giovedì scorso nella sede della nostra emittente, c’era per noi Adriana Masotti:

 

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(musica)

 

Quello girato da Camarca è il racconto della speranza, dei sogni, delle rabbie e delle paure dell’umanità migrante sbarcata sulle coste italiane. A parlare sono soprattutto i volti: giovani, ragazzi e ragazze, uomini e bambini. Sono i loro occhi ora seri e severi, ora carichi del dolore del presente e del ricordo delle esperienze vissute, a volte luminosi per una vita ritrovata. Le storie si snodano una dopo l’altra narrate dal migrante stesso, ma ad emergere è anche la testimonianza forte di una Chiesa che ha fatto una scelta precisa. Ascoltiamo mons. Lodeserto e il regista Camarca:

 

“Ho definito questo documentario un cammino di annuncio, un apostolato,un modo nuovo, come Chiesa, di dire che i poveri sono la grande risorsa di una Chiesa che deve fare ogni giorno carità”.

 

“Il perché di questo documentario è raccolto nella voglia di testimoniare un cammino ecclesiale. L’obiettivo è raccontare il migrante”.

 

(musica)

 

“Rivoluzione”, una parola che viene pronunciata più volte da mons. Lodeserto nel corso del filmato. Che cosa s’intende ce lo spiegano ancora il direttore di “Regina Pacis” e Claudio Camarca:

 

“Anzitutto c’è una rivoluzione interiore che parte dalla mia convinzione di dover essere al servizio dei poveri. Ma di fatto ci vogliono poi anche le rivoluzioni – le rivoluzioni culturali, rivoluzioni politiche – e la capacità di capire che ci sono dei momenti in cui bisogna avere il coraggio di affermare anche dei principi morali, pur di difendere i poveri. Certamente questo non toglie nulla alla legalità. Nel momento in cui accoglienza e legalità si pongono insieme, è già una rivoluzione!”.

 

“Una rivoluzione che deve partire all’interno di noi stessi per poi cambiare le cose. Le ragazze “trafficate” vengono qua perché c’è una domanda. La domanda è quella dei nostri conterranei italiani. Loro sono “pure”, si sporcano con noi!”.

 

(musica)

 

Accanto al diritto di immigrare alla ricerca di una vita migliore esiste anche il diritto a non emigrare. Il diritto cioè a non dover lasciare terra, casa, famiglia per potersi assicurare un futuro. Dalla Puglia alla Moldavia, uno dei luoghi di provenienza degli immigrati. Qui la Fondazione “Regina Pacis” ha creato diverse opere di solidarietà. Claudio Camarca:

 

“Colui che parte, abbandona la radice di vita. Abbandona tutto se stesso. L’occidente ricco dovrebbe rispondere all’immigrazione lì, in quei Paesi poveri, e non qua. Dobbiamo far sì che loro possano non partire. La politica è essenzialmente questa: rispondere a dei bisogni primari. Noi viviamo una politica che bada all’hic et nunc, non abbiamo cioè una politica lungimirante. La Chiesa, spesso, lo è.

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“IL MISTERO DEL CORPORALE”: QUESTA SERA IN ONDA ALLA RADIO VATICANA

L’OPERA LIRICA DEL MAESTRO VITALINI

- Intervista con mons. Raffaello Lavagna -

 

 

Sarà trasmessa questa sera alle 19.40 nella rubrica “Concerto spirituale” della Radio Vaticana l’opera lirica del Maestro Alberico Vitalini “Il mistero del corporale”. L’opera, eseguita per la prima volta a Roma nella Domenica delle Palme 2003, è scritta su libretto di mons. Raffaello Lavagna, e intende essere un contributo artistico alla rinnovata riflessione sull’Eucaristia, proposta di recente dallo stesso Giovanni Paolo II. Ma sentiamo, al microfono di Francesca Smacchia, lo stesso mons. Lavagna:

 

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(musica)

 

R. – Innanzitutto, bisogna dire che è un’opera lirica, quindi preparata sostanzialmente per il palcoscenico. Come soggetto, è stata tratta da un bellissimo testo delle sacre rappresentazioni trecentesche orvietane.

 

D. – Per quale occasione è stata composta l’opera?

 

R. – Andrebbe bene per i Congressi, per le manifestazioni eucaristiche ... La tematica, sostanzialmente, è legata al mistero dell’eucaristia e si ispira al fatto del miracolo di Bolsena quando il prete, celebrando la Messa nel duomo di Bolsena, vede scendere gocce di sangue sulle sue mani e sul corporale.

 

D. – L’autore dell’opera lirica è il maestro Alberico Vitalini, che ha composto anche altre opere ...

 

R. – Soprattutto, si è dedicato alla musica sacra: mottetti, messe ... Però, il Maestro ha anche al suo attivo, ed è bene ricordarlo, il segnale d’intervallo della Radio Vaticana, che è apprezzatissimo soprattutto dalle emittenti televisive straniere. E’ autore, naturalmente, anche di un’altra opera – “Davide Re” – che è appunto sempre nel genere dell’opera lirica. Interessa anche sapere che questo stesso “Mistero del corporale” andrà in onda, nella stessa giornata di oggi, sul terzo programma radiofonico Rai, nella rubrica “Radiotre suite”, la rubrica che trasmette abitualmente dalle principali istituzioni musicali operistiche e concertistiche.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

27 giugno 2004

 

ATTESA PER IL 9 LUGLIO LA SENTENZA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA DELL’AJA SULLA COSTRUZIONE DEL MURO DI SEPARAZIONE

FRA ISRAELIANI E PALESTINESI

 

L’AJA. = Un parere di carattere soltanto consultivo è quello che la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, organo delle Nazioni Unite, emetterà il prossimo 9 luglio. Un verdetto che esprimerà il pensiero dell’Onu sulla costruzione del muro in Cisgiordania da parte israeliana e che sarà letto nella grande sala del Palazzo della pace dal presidente cinese Shi Jiuyong. Dal 23 al 25 febbraio scorso, i giudici della Corte, chiamati a chiarire quali sono, dal punto di vista giuridico, le conseguenze della costruzione del muro, hanno ascoltato le posizioni di oltre venti Paesi e di molte organizzazioni, che hanno espresso in maggioranza un parere negativo sull’innalzamento della barriera di separazione. A motivare il giudizio: l’idea che il muro sia una violazione delle leggi internazionali, in sostanza un atto illecito che penalizza i lavoratori palestinesi, che allontana i bambini dalle scuole e di fatto non separa i terroristi dalle loro vittime. Nel clima di forte opposizione alla costruzione del muro, Israele ha già pronta la sua difesa. Secondo il governo di Tel Aviv, la Corte dell’Aja ha ascoltato soltanto 21 Paesi su 191 e quelli sentiti violano in modo pesante i diritti umani, inoltre la barriera di separazione è per Israele solo un atto di difesa. Sulla vicenda, Stati Uniti e Unione Europea hanno sospeso il giudizio, sottolineando però che il verdetto della Corte potrebbe avere ripercussioni sul piano di pace e rallentare ulteriormente i negoziati sulla “Road Map”. (B.C.)

 

 

LA SOLUZIONE DELLA DIFFICILE CRISI DEL DARFUR NEL SUDAN SUDOCCIDENTALE,

 AL CENTRO DELL’INCONTRO, PREVISTO IN SETTIMANA A KHARTOUM,

TRA IL SEGRETARIO DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN,

 E IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, COLIN POWELL

 

NEW YORK. = “E’ responsabilità di un governo proteggere la sua popolazione contro il genere di crimini commessi nel Darfur. Se questo governo non lo può fare, deve chiedere aiuto alla comunità internazionale e la comunità internazionale deve essere pronta a rispondere positivamente”. con questa dichiarazione il numero uno dell’Onu, Kofi Annan, ha rilanciato la sua preoccupazione per la drammatica situazione in Sudan, sconvolto fin dal 1983 da una guerra civile e in preda ad una grave crisi umanitaria. Annan sarà la prossima settimana a Khartoum, dove incontrerà il segretario di Stato americano, Colin Powell per fare insieme pressione sulle autorità locali affinché venga avviata una soluzione pacifica della crisi nella regione del Darfur, nel Sudan sudoccidentale. Costantemente violato il cessate il fuoco, sottoscritto a maggio, il Paese è in preda ad una lotta intestina tra il governo ed i ribelli, che rivendicano l'indipendenza delle regioni meridionali del Paese. E’ in gravissime difficoltà la popolazione civile; secondo le Nazioni Unite sono un milione gli sfollati e solo negli ultimi mesi, circa 150.000 persone sono fuggite oltre il confine, verso il Ciad. “Una catastrofe umanitaria - ha sottolineato Kofi Annan - in cui sono in gioco centinaia di migliaia di vite umane”. (B.C.)

 

 

ALLARME DI HUMAN RIGHTS WATCH SULLA SITUAZIONE DEI CIVILI NELLE CAMPAGNE DEL BURUNDI. NONOSTANTE I PROGRESSI SULLA VIA DELLA PACE,

 NELLE ZONE RURALI LA GUERRA CONTINUA

 

BUJUMBURA.= Un rapporto presentato dall’organizzazione umanitaria, Human Rights Watch, ha fotografato la situazione dei civili burundesi che vivono nelle campagne. Pur riconoscendo i notevoli progressi sulla via della pacificazione nel Paese africano, nella relazione si sottolinea che gli abitanti delle zone rurali sono in preda alle prevaricazione dell’esercito regolare, delle FDD, Forze per la difesa della democrazia, e dei miliziani delle FNL, Forze Nazionali di Liberazione. Violenze che hanno portato tantissimi civili a scappare dalle loro terre, quasi 50 mila intorno alla capitale. Nel rapporto, Human Rights Watch invita ad un maggiore impegno la missione di pace dell’Onu, che ha il compito di vigilare sugli accordi di pace del 2003, firmati dopo una decennale guerra civile che ha provocato la morte di oltre 300.000 persone. Il Paese africano sta comunque facendo notevoli passi in avanti verso la normalità; un segnale importante è rappresentato dalle elezioni del prossimo 31 ottobre, le prime consultazioni comunali e legislative dal 1993. (B.C.)

 

 

FRENARE L’ESCALATION DI VIOLENZA E IL DILAGANTE FENOMENO

DEI SEQUESTRI E DEL NARCOTRAFFICO. SONO LE RICHIESTE DEI PARTECIPANTI

ALLA MARCIA NAZIONALE CHE SI SVOLGE OGGI A CITTA’ DEL MESSICO

 

CITTA’ DEL MESSICO.= Saranno 80 le organizzazioni della società civile che prenderanno parte alla Marcia nazionale contro l’insicurezza, indetta per chiedere al governo messicano più impegno nella lotta alla criminalità organizzata. Alla fine della Marcia, che si snoderà tra le principali via di Città del Messico, verrà consegnata alle autorità del distretto federale e dei 32 Stati del Paese una petizione per chiedere misure risolutive che frenino la violenza dilagante, che blocchino i numerosi  sequestri e il narcotraffico. Fenomeni che preoccupano il presidente Vicente Fox, il quale, intervenendo sulla questione della sicurezza, ha ricordato le situazioni più critiche, in particolare al confine con gli Stati Uniti. Sulla manifestazione di oggi, pesa lo scontro tra il presidente Fox e il sindaco di Città del Messico, Andrès Manuel Lopez Obrador, che incolpa il governo di aver sostenuto poco la Marcia: accusa assolutamente rifiutata dalle autorità. (B.C.)

 

 

NEL MONDO TRE MILIONI DI BAMBINI SOTTO I CINQUE ANNI MUOIONO

A CAUSA DI ARIA E ACQUA INQUINATE. ADOTTATO DALL’UNIONE EUROPEA

UN PIANO DI AZIONE PER LA DIFESA DELL’AMBIENTE

 

BUDAPEST.= Si è conclusa pochi giorni fa la Conferenza ministeriale dell’Orga-nizzazione mondiale della sanità, nella quale si è discusso delle conseguenze dell’inquinamento ambientale sulla salute dei bambini. “I bambini hanno diritto di crescere e vivere in un ambiente sano. Invece sono loro a pagare per primi il prezzo della degradazione dell’ambiente” è l’allarme lanciato dal commissario dell’Ambiente dell’Unione europea, Margot Wallstroem, durante il suo intervento, nel quale ha richiamato i governi di ogni Paese a lavorare per migliorare le loro politiche ambientali. Il commissario ha anche illustrato il piano di azione per l’Ambiente e la sanità adottato recentemente dall’Ue, 13 capitoli per ridurre il rischio di malattie derivanti da fattori ambientali. Industrializzazione, cambiamenti climatici, un crescente ricorso alle sostanze chimiche espongono i minori a maggiori rischi per la loro salute. Secondo una stima fatta dall’Organizzazione mondiale della sanità, sono tre milioni i bambini al di sotto dei cinque anni che muoiono per cause legate all’inquinamento ambientale. “E’ inaccettabile - ha detto il direttore generale dell’Oms, Jong-Wook Lee - che siano i più deboli membri della società a pagare il prezzo delle nostre mancanze nella lotta per un ambiente più sano”. Ridurre di due terzi entro il 2015 la mortalità dei bambini sotto i cinque anni, è la sfida lanciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la quale però è necessaria una politica globale dell’ambiente. (B.C.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 giugno 2004

 

- A cura di Dorotea Gambardella -

 

Iraq. Con tre ostaggi turchi minacciati di decapitazione, 23 vittime nello scoppio di un’autobomba, avvenuta ieri nella città sciita di Hilla, e due razzi lanciati stamani contro la Zona verde della Coalizione, a Baghdad, per fortuna senza provocare danni, il Paese a tre giorni dal passaggio formale di sovranità agli iracheni resta  travolto dalla violenza. Ce ne parla Dorotea Gambardella.

 

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“La Turchia non accetta mai le richieste dei terroristi”. Con queste parole il ministro della difesa turco, Vecdi Gonul, ha respinto l’ultimatum del gruppo, probabilmente quello di Abu Mussab al Zarqawi legato ad al Qaida, che ha sequestrato tre lavoratori turchi in Iraq ed ha minacciato, ieri, di decapitarli se entro 72 ore Ankara non ordinerà a tutti i suoi cittadini di ritirarsi dal Paese. Collaborazione per risolvere la questione è stata offerta da Washington. Lo ha reso noto il portavoce statunitense, Sean McCormack, a margine della visita odierna ad Ankara del presidente americano, George W. Bush. Intanto, il premier iracheno ad interim, Iyad Allawi, il quale ieri ha annunciato che problemi di sicurezza potrebbero far slittare la data delle elezioni in Iraq, previste per gennaio 2005, dalle colonne del quotidiano britannico, Independent on Sunday, ha fatto sapere che sta pensando ad un’amnistia per quanti si sono uniti alla resistenza contro l’occupazione americana del Paese, ma che non abbiano commesso crimini. E in un’intervista all’emittente britannica, Bbc, il segretario Usa alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha dichiarato che gli Stati Uniti non invieranno altre truppe. L’annuncio contraddice quanto era stato rivelato nei giorni scorsi dalla stampa Usa che aveva scritto di rinforzi del Pentagono tra le 15 e le 25mila unità. Soddisfazione per il superamento delle incomprensioni tra America ed Europa sull’Iraq, sancito ieri in Irlanda durante il vertice Ue-Usa, è stata espressa dal segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. Il numero uno olandese dell’Alleanza atlantica si è anche detto fiducioso che nel corso del vertice di domani ad Istanbul, sarà accolta la richiesta di assistenza tecnica arrivata da Baghdad per l’addestramento delle Forze irachene, dopo il trasferimento dei poteri alle autorità locali.

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Non si arrestano in Afghanistan gli attentati contro le elezioni presidenziali previste per settembre. All’indomani dell’uccisione delle due funzionarie delle Nazioni Unite, sedici persone che si erano registrate per poter partecipare alle consultazioni sono state massacrate dai Taleban, in un Ufficio elettorale nel centro del Paese. Intanto, alla vigilia del vertice Nato ad Istanbul, in Turchia, il comandante dell’Alleanza atlantica per l’Europa, il generale Jones, ha affermato che per espandere la missione di assistenza e sicurezza dell’organismo in Afghanistan occorre un dispiegamento di almeno 2mila uomini. Ma sul clima che si respira in Afghanistan a tre mesi dalle elezioni, Dorotea Gambardella ha raccolto la testimonianza di Ketta Grazia, responsabile dell’Amministrazione internazionale di Emergency, raggiunta telefonicamente a Kabul:

 

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R. – Le elezioni, tutti le aspettano con ansia e paura, nel senso che sono state rimandate per parecchio tempo e ora sembra che invece ci saranno: infatti, si sta lavorando per questo. So di organizzazioni internazionali che stanno aiutando le autorità locali a fare un censimento per registrare appunto le persone per il voto. Ovviamente, le elezioni sono contraddistinte anche da un clima di tensione: si è saputo dell’attentato che è avvenuto ieri, proprio a persone che facevano questo tipo di lavoro. Erano due donne afghane, che collaboravano con le Nazioni Unite appunto per pianificare le elezioni.

 

D. – Gli attentati di ieri sono stati rivendicati dai talebani; in realtà, oltre ai talebani ci sono anche membri di Al Qaeda e guerriglieri integralisti islamici che vogliono boicottare queste elezioni. Ma a che cosa mirano, queste forze?

 

R. – A destabilizzare il sistema in atto qui, a Kabul. Proprio perché le elezioni restituirebbero il potere agli afghani, il potere di decidere del proprio destino e quindi loro cercano in ogni modo di evitare questo passaggio. Loro in passato, infatti, hanno fatto questo: hanno tolto qualsiasi volontà ai cittadini.

 

D. – I riflettori della comunità internazionale sono tutti puntati sull’Iraq: vi sentite un po’ messi da parte?

 

R. – Questo è un Paese distrutto. Noi, insieme ad altre organizzazioni, stiamo cercando di aiutare questa gente a ricostruirlo, ma non è facile. Non credo sia giusto abbandonare un popolo a se stesso dopo che si è deciso di bombardarlo, ed aggravare una situazione che era già pessima prima dei bombardamenti. Qui non c’è la luce. Il nostro ospedale a Kabul è l’unico centro di rianimazione presente in tutto il Paese. Quindi, non vedo perché l’attenzione della comunità internazionale nel periodo dei bombardamenti era così alta, adesso è calata in questa maniera: non lo ritengo giusto!

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Spostiamoci in Medio Oriente. Le forze israeliane si sono ritirate all’alba di stamani dalla casbah di Nablus, dopo che ieri avevano ucciso il capo delle Brigate dei Martiri di al Aqsa per la Cisgiordania e altri sei combattenti. Il leader assassinato era Nayef Abu Sharah, ricercato dall’inizio dell’Intifada nel settembre 2000 per coinvolgimento in vari attentati anti-israeliani. L’omicidio è stato duramente criticato, oggi, dal premier palestinese Abu Ala.

 

“La Turchia merita che l’Unione europea le fissi una data per l’adesione”. Lo ha detto il presidente americano, George W. Bush, incontrando, oggi, ad Ankara, il premier turco, Erdogan. Bush ha elogiato la Turchia come esempio di Paese musulmano e democratico. Con questa dichiarazione, il capo della Casa Bianca ha quindi proseguito la campagna per l’adesione della Turchia all’Ue condotta già ieri nell’annuale vertice Ue-Usa in Irlanda.

 

L’Iran continuerà a rispettare l’impegno di sospendere l’arricchimento di uranio, ma respinge le critiche della comunità internazionale circa la decisione di riprendere la costruzione di centrifughe. Lo ha dichiarato, oggi, il portavoce del ministero degli Esteri.

 

Italia. Continua per il terzo giorno consecutivo il blocco dei binari alla stazione di Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno, da parte dei manifestanti in protesta contro la riapertura della discarica di Parapoti di Giffoni Valle Piana, decisa dal Commissario straordinario per l’emergenza ai Rifiuti, Corrado Catenacci. Soppressi cinquanta treni che coprono il percorso Salerno-Reggio Calabria.

 

Restiamo in Italia. Si sono aperti alle ore 7 i seggi per la seconda tornata delle elezioni amministrative riguardante 22 Province e 101 Comuni. I circa 12 milioni di elettori interessati potranno recarsi a votare fino alle ore 22. Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura dei seggi. Ieri sera, al termine della prima giornata elettorale, per le Province si è registrata un’affluen-za di votanti del 15 per cento. Per quanto riguarda i Comuni, invece, alle ore 22 la percentuale di votanti è stata pari al 20,3 per cento.

 

Urne aperte anche in Lituania dove 2,6 milioni di cittadini sono chiamati ad eleggere il nuovo presidente. Al ballottaggio si confrontano l’ex capo di Stato, Valdas Adamkus, e la prima premier del Paese dal crollo del comunismo, Kazimira Prunskiene. La Lituania è entrata il 1 maggio nell’Unione europea a 25 e nella Nato in marzo. 

 

Dai primi risultati delle elezioni presidenziali di ieri, in Islanda, con l’85 per cento dei voti, risulta confermato per il terzo mandato il presidente uscente, Olafur Ragnar Grimsson. Il suo principale avversario, l’imprenditore Baldur Agustsson, ha racimolato appena il 12 per cento dei consensi.

 

Cominciate le operazioni di voto anche in Mongolia dove gli elettori sceglieranno il nuovo Parlamento. Lo schieramento al potere, il Partito rivoluzionario del popolo della Mongolia, dovrebbe vedere riconfermato senza problemi il proprio ruolo di leadership.

 

Una stretta di mano pubblica ha segnato l’apertura dei colloqui, a New Dehli, tra India e Pakistan per trovare un accordo sulla spinosa questione della sovranità sul Kashmir. Riaz Khokhar, ministro degli Esteri pachistano, incontra oggi il suo omologo indiano Shashank.

 

Il premier e presidente del Partito socialdemocratico (Cssd) della Repubblica Ceca, Vladimir Spidla, ha annunciato ieri le sue dimissioni. A succedergli, dovrebbe essere Stanislav Gross, vice presidente del Cssd e ministro dell’Interno.

 

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