RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 179 - Testo della trasmissione di domenica 27 giugno
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Allarme di Human Rights Watch
sulla situazione dei civili nelle campagne del Burundi
Tre milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono a causa dell’inquinamento di aria e acqua.
Iraq:
la violenza che pervade il Paese, a tre giorni dal passaggio formale di
sovranità agli iracheni, fa temere un rinvio delle annunciate elezione nel
gennaio 2005
Nuovi
sanguinosi attentati anche in Afghanistan per boicottare le elezioni del capo
di Stato, previste in settembre.
Al
voto oggi anche in Lituania, Mongolia e Italia e primi risultati in Islanda
27 giugno 2004
L’ECUMENISMO,
I DIRITTI UMANI E LA PACE IN MEDIO ORIENTE:
TEMI
CARI AL PAPA, CHE NE HA PARLATO STAMANE ALL’ANGELUS,
RICHIAMANDO
ANCORA UNA VOLTA UN MAGGIORE IMPEGNO DI TUTTI
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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Giovanni Paolo II attende con gioia l’arrivo di
Bartolomeo I, che giungerà in Vaticano dopodomani 29 giugno, festa dei santi
Apostoli Pietro e Paolo, una “felice ricorrenza” – ha detto il Papa – per
“accogliere nuovamente” il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. “Intendiamo
commemorare insieme” “lo storico incontro” tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora
I, che quarant’anni fa “si scambiarono un indimenticabile abbraccio di fraternità
e di pace a Gerusalemme”, durante il pellegrinaggio che Papa Montini compì nel
gennaio 1964, mentre era in corso il Concilio Ecumenico Vaticano II. E fu nel
novembre di quell’anno che i Padri conciliari approvarono il Decreto Unitatis
redintegratio, dove si afferma “che la promozione dell’unità di tutti i
cristiani è uno dei principali intenti del Concilio, e che ad essa
devono tendere gli sforzi delle istituzioni e comunità ecclesiali”
Con uno
sguardo all’oggi, Giovanni Paolo II ha lodato in particolare la
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che “è entrata a far parte del
normale itinerario liturgico-pastorale delle diocesi e delle parrocchie” e
anche l’attvità di
numerose associazioni e comunità ecclesiali “che dedicano un’attenzione
costante alla reciproca conoscenza e all’amicizia tra cristiani di diverse
confessioni”, “sempre più uniti in opere di solidarietà, di giustizia e di
pace.”
“In questo periodo, malgrado le difficoltà che ancora
permangono, l’ecumenismo ha fatto notevoli passi e si è sviluppata nel Popolo
di Dio la sensibilità ecumenica.”
Da qui l’invocazione alla Santa Madre di Dio, a cui i
cristiani d’Oriente sono tanto devoti “per un rinnovato impegno di comunione
tra cattolici e ortodossi”.
Dopo la preghiera mariana, il Papa si è soffermato su una
drammatica realtà, poco conosciuta, su cui ieri Giornata internazionale contro
della tortura si sono accesi i riflettori dei media.
“Possa il comune impegno delle istituzioni e dei cittadini
bandire completamente questa intollerabile violazione dei diritti umani,
radicalmente contraria alla dignità dell’uomo.”
Infine un saluto commovente al gruppo di ragazzi
israeliani e palestinesi, che con le loro famiglie sono ospitati a Napoli, per
testimoniare al mondo “che desiderano la pace e la riconciliazione per la Terra
Santa”, proprio loro che portano nel cuore il dolore di parenti morti nel
conflitto.
“E’ dovere di tutti non deludere questi ragazzi e aiutarli
a crescere nella fiducia in Dio e negli altri”
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ATTESA PER LA PROSSIMA VISITA
IN VATICANO DEL PATRIARCA ECUMENICO
DI COSTANTINOPOLI, BARTOLOMEO I, NELLA FESTA DEI
SANTI PIETRO E PAOLO,
PATRONI DI ROMA
- Intervista con padre Dimitri Salakas -
Sull’annunciata
visita di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, martedì prossimo
29 giugno, per la festa dei Santi Pietro e Paolo, ascoltiamo un approfondimento
di padre Dimitri Salakas, esperto di rapporti tra cattolici e ortodossi,
consultore presso il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei
cristiani, nonché professore di diritto canonico presso l’Università Urbaniana
e il Pontificio Istituto orientale, e consultore di vari altri dicasteri della
Curia romana. Giovanni Peduto gli ha chiesto come è iniziata la tradizione
delle visite a Roma:
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R. – Dopo il Concilio Vaticano
II e l’abrogazione delle reciproche scomuniche del 1054, la Chiesa di Roma e la
Chiesa di Costantinopoli hanno inaugurato un nuovo cammino verso l’unità, con
lo scambio di visite, con delegazioni ufficiali in occasione della festa del proprio
patrono: dei Santi Pietro e Paolo a Roma, il 29 giugno, e di Sant’Andrea a
Costantinopoli, il 30 novembre. Questa volta la delegazione ortodossa sarà
preceduta dal Patriarca ecumenico stesso, Bartolomeo I. E’ diventata ormai una
tradizione, una sacra consuetudine, questo scambio fraterno di visite e di
partecipazione, che testimonia i particolari vincoli tra le due Chiese
dell’antica e della nuova Roma, secondo il linguaggio dei primi Concilii
ecumenici. Inoltre queste visite permettono delle conversazioni con i
rispettivi organi della Santa Sede e del Patriarcato ecumenico, sullo stato dei
rapporti ecclesiali, sui problemi, le difficoltà che nel frattempo emergono, il
proseguimento del dialogo teologico, e sugli impegni e sulle prospettive
ecumeniche aperte.
D. – Quali sono le principali differenze?
R. – Le Chiese ortodosse sono le più vicine alla Chiesa
cattolica, soprattutto in virtù della Successione apostolica. Il sacerdozio e
l’eucaristia le uniscono ancora a noi con strettissimi vincoli. La comunione
con le Chiese ortodosse è quasi piena, ma per la non piena comunione esistono
ancora dei problemi teologici e differenze non secondarie. Il Santo Padre ne ha
segnalato uno principale nella lettera enciclica Ut unum sint, cioè il
ministero del vescovo di Roma. Il Santo Padre ha chiesto ai teologi delle varie
Chiese di ricercare insieme le forme nelle quali questo ministero possa realizzare
un servizio di amore, riconosciuto dagli uni e dagli altri. Infatti, dopo
questo invito ci sono stati importanti incontri ad alto livello. Un altro
problema che diventa sempre più grave, è il modo con cui le Chiese ortodosse
vedono l’esistenza delle Chiese cattoliche orientali, esigendo semplicemente la
loro soppressione. Il problema si è ancora maggiormente aggravato in questi
mesi a causa della richiesta della Chiesa greco-cattolica ucraina di essere
elevata al rango di Chiesa patriarcale. Ovviamente la richiesta ortodossa per
la soppressione delle Chiese orientali, in piena comunione con la sede
apostolica, è inaccettabile da parte della Chiesa cattolica per ragioni
dottrinali. Non vedo per il momento come possa essere risolto questo problema,
specie dopo la lettera che sua Santità il Patriarca Bartolomeo ha scritto il
novembre scorso al Santo Padre, pubblicata su Internet. Il problema, comunque,
è già stato discusso nel dialogo teologico ufficiale tra le due Chiese.
D. – Il patriarca ecumenico di Costantinopoli è un primus
inter pares nelle Chiese ortodosse. Cosa significa in pratica?
R. – Significa anzitutto che non esercita una potestà
all’interno delle altre Chiese ortodosse, ma coordina le iniziative a livello
pan-ortodosso, come sono state le varie conferenze pan-ortodosse finora
convocate – presiedute dal Patriarcato ecumenico – l’impegno ecumenico
pan-ortodosso e il dialogo ufficiale delle Chiese ortodosse con la Chiesa cattolica
e le altre Chiese. Il Patriarcato ecumenico è un punto di riferimento, di
concertazione fraterna di tutte le Chiese ortodosse.
D. – Attualmente come sono i rapporti all’interno delle
varie Chiese ortodosse?
R. – Ci sono attualmente dei problemi nei rapporti di
Costantinopoli con alcune Chiese ortodosse, come ad esempio con la Chiesa russa
e recentemente con la Chiesa di Grecia, che sono stati fortunatamente superati.
Le ragioni sono di tipo canonico, ma anche nazionalistico, etnico. Ci sono
stati sempre nella storia dei problemi tra le varie Chiese autocefale nazionali,
ma alla fine la comunione veniva ristabilita. Uno dei problemi è lo statuto
giuridico della diaspora ortodossa. Costantinopoli, con una sua propria
interpretazione dei canoni antichi, rivendica la giurisdizione su tutti i
fedeli ortodossi fuori dai confini dei patriarcati e delle Chiese autocefale.
D. – Cosa si possono scambiare vicendevolmente cattolici e
ortodossi?
R. – Direi subito la fede fondamentalmente comune di
sacramentalità ed eccle-sialità. La Chiesa cattolica ha essenzialmente modificato
la sua normativa canonica e pastorale e il suo atteggiamento verso i fedeli
ortodossi, ad esempio nei matrimoni misti, nella comunicazione, nei sacramenti
dell’euca-ristia e della penitenza, nell’unzione degli infermi. E’, però, da
notare che le Chiese ortodosse restano stabili nel loro rigore in questa
materia. Manca ancora la legittima reciprocità auspicata dal recente direttorio
ecumenico. Le Chiese ortodosse e i loro teologi devono chiarire il loro punto
di vista sull’ecclesialità e la sacramentalità della Chiesa cattolica.
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NELLA GIORNATA PER LA CARITA’ DEL PAPA LA CHIESA
NEL MONDO
RACCOGLIE
LE OFFERTE PER SOSTENERE LA SOLIDARIETA’ DEL SANTO PADRE
-
Intervista con Alberto Bochicchio -
In occasione della prossima solennità dei Santi Pietro e
Paolo, in tutto il mondo si raccoglieranno offerte per la Giornata per la
carità del Papa. Tale ricorrenza, che in alcuni Paesi si celebra invece oggi,
nella domenica più vicina al 29 giugno, affonda le proprie radici nella storia
antica.
Alla fine del secolo VIII, infatti, gli anglosassoni, dopo
la loro conversione, si sentirono tanto legati al Vescovo dell’Urbe che
decisero di inviare in maniera stabile un contributo annuale al Pontefice.
Nacque così il “Denarius Sancti Petri” (Elemosina a San Pietro), che ben
presto si diffuse nei Paesi europei. L’Obolo di San Pietro, quindi,
rappresenta l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre, come segno
di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici
necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più
bisognosi. Secondo l’ultimo bilancio consuntivo della Santa Sede e dello Stato
della Città del Vaticano, nel 2002 sono stati raccolti quasi 53 milioni di
dollari, che Giovanni Paolo II ha destinato ad interventi caritativi per
comunità ecclesiali del Terzo Mondo e per alleviare necessità verificatesi nel
corso dell’anno a motivo di guerre e gravi calamità naturali.
Giovanni Peduto ha intervistato il prof. Alberto
Bochicchio, presidente della Commissione per la carità del Papa per la diocesi
di Roma, dove ad occuparsi di questo Obolo è il Circolo di San Pietro:
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R. – Il Circolo San Pietro nasce
nel 1869 per dimostrare, dopo l’occupazione dei possedimenti della Chiesa,
fedeltà al Santo Padre. Da quel momento cominciano a nascere, per volontà dei
Papi, le Opere di carità (come, ad esempio, le cucine economiche per i poveri o
gli asili notturni) e si è sempre andato evolvendo seguendo le necessità della
diocesi. L’impegno per l’agro romano è stata la più grande opera che il Circolo
ha compiuto, e mano mano che sono sorte le varie parrocchie il Circolo si è
ritirato discretamente.
D. – Quante persone vi operano?
R. – Il Circolo San Pietro ha circa 600 soci e nella
Commissione opera tutto il Circolo. E questo perché la raccolta veniva fatta,
fino a qualche anno fa, di parrocchia in parrocchia. Oggi, essendo cambiate
alcune situazioni che non erano più possibili, i soci contattano i parroci e si
occupano della raccolta che si tiene soltanto nelle quattro Basiliche la Giornata
del 29 giugno.
D. – A quanto si può calcolare l’ammontare per la diocesi
di Roma?
R. – Il Circolo San Pietro ogni anno offre direttamente al
Santo Padre quanto raccolto. Lo scorso anno abbiamo potuto offrire al Santo
Padre 220 mila euro.
D. – Può spiegarci come il Pontefice impiega questi fondi?
R. – Il Santo Padre riceve sollecitazioni da tutte le
parti del mondo, ma ha sicuramente una particolare attenzione per la sua
diocesi. Il Santo Padre, ad esempio, acquista personalmente dei buoni pasto per
i poveri che vengono devoluti nella città di Roma, con la scritta “Per
munificenza di Sua Santità Giovanni Paolo II”.
D. – Tornando al Circolo San Pietro, quanti poveri aiutate
con questi pasti?
R. – Con questi buoni pasto 30 mila persone l’anno
mangiano gratuitamente nelle tre cucine che abbiamo ancora. In passato ne
abbiamo avute anche 25-30 e nell’immediato dopoguerra sono state servite
quattro milioni di ministre.
D. – Quanti soci sono impegnati nella raccolta delle offerte?
R. - In questi giorni abbiamo circa 60 persone che saranno
presenti nelle quattro Basiliche. Questo lavoro, tuttavia, continua ovviamente
tutto l’anno, anche grazie al supporto del computer. Non tutti poi ci conoscono
e, quindi, dobbiamo incrementare e agevolare la conoscenza di questa
manifestazione di amore verso il Santo Padre.
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27 giugno 2004
LA
SERBIA AL SECONDO TURNO DELLE PRESIDENZIALI:
DEVE
SCEGLIERE TRA L’ULTRANAZIONALISTA NIKOLIC E IL DEMOCRATICO TADIC
- A
cura di Giada Aquilino -
Sono oltre 6 milioni e mezzo i cittadini serbi che oggi si
recano alle urne per il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Sono in
lizza il candidato ultranazionalista Nikolic e il leader del Partito democratico
Tadic. Al primo turno del 13 giugno, Nikolic ha ottenuto il 30,6% dei voti
contro il 27,37% del rivale, ma Tadic ora è sostenuto dalla coalizione di governo
guidata dal premier Kostunica. Per favorire l’affluenza alle urne - rimasta
molto bassa nelle ultime consultazioni - le autorità di Belgrado hanno abolito
il tetto minimo di partecipazione. Ma da cosa è caratterizzato questo
ballottaggio presidenziale? Risponde Federico Eichberg, esperto di questioni
balcaniche:
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R. - Il voto di Nikolic è facile definirlo ‘di protesta’,
legato ad una certa idea di Serbia che non per forza è nazionalista-monarchica
- incarnata invece da Draskovic - e non è una destra ferma su temi specifici,
come il Kosovo o la difesa della cristianità, riferibili più che altro a
Kostunica. E’ una destra nazionalista legata ad un’idea di grande Serbia,
piuttosto antagonista delle diverse nazionalità presenti nell’area. L’altro
candidato, Tadic, rappresenta un volto democratico. E’ il successore di Zoran
Djindjic, già premier serbo nel primo governo democratico eletto nel dicembre
del 2000. Tadic rappresenta una Serbia che guarda all’Europa.
D. – Ma quello che sta avvenendo in Serbia si può definire
uno scontro tra il passato regime nazionalista - responsabile dei conflitti
balcanici degli anni ’90 - ed il nuovo corso riformista ed europeista, oppure
non è così?
R. – Sicuramente è uno scontro fra una parte di quel
regime ed una parte del nuovo. Non dimentichiamo che l’attuale governo serbo,
guidato da un democratico come Kostunica, conta sull’appoggio esterno dei
socialisti di Milosevic, socialisti profondamente rinnovatisi e liberatisi di
quella ‘tara’ nazionalistica che invece riguarda maggiormente i radicali di Vojislav
Seselj, i quali si riconoscono nel candidato Nikolic. Quindi, una parte di
quella Serbia intollerante è rappresentata da Nikolic, una parte del fronte
democratico è rappresentata da Tadic.
D. – Chi appare avvantaggiato?
R. – La vittoria di Tadic è certa se voterà un numero di
aventi diritto superiore al 40 per cento. E’ incerta se voterà un numero di
serbi fra il 40 e il 30 per cento ed è molto difficile se voterà un numero
inferiore al 30 per cento.
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Ma quale orientamento al voto c’è stato in questi giorni
in Serbia? Risponde il collega Nicola Falcinella, raggiunto telefonicamente a
Belgrado:
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R. – Mentre Belgrado è in maggioranza per Tadic, la
campagna è per Nikolic. Questo lo si è visto nei giorni scorsi. Tadic ha chiuso
la campagna elettorale in Piazza della Repubblica, nel centro di Belgrado, e
per lui c’era ‘il meglio’ della Serbia. Sul palco c’erano esponenti della
cultura, dello sport, cantanti, attori. In piazza c’era un po’ l’élite di
Belgrado. Il giorno seguente c’è stata la conclusione della campagna elettorale
di Nikolic e i suoi sostenitori non si sono radunati in piazza, ma in
periferia. Erano presenti soprattutto giovani e gente della campagna, che hanno
marciato verso il centro della città attraversando le principali arterie
belgradesi. Lì si è notato veramente la differenza di strato sociale dei due
candidati.
D. – Che cosa dovrà cambiare veramente dopo queste
elezioni per la Serbia?
R. – Se vincesse Tadic, dovrà iniziare un cammino
piuttosto lungo che potrà portare la Serbia ad avvicinarsi all’Unione Europea o
comunque a prendere in considerazione delle trattative per entrarvi. Se
vincesse Nikolic, la prospettiva sarebbe di andare verso nuove elezioni
legislative perché il candidato ultranazionalista ha chiesto lo scioglimento
del Parlamento in caso di vittoria. Quindi si tornerebbe alle urne e sarebbero
le ennesime elezioni nell’arco di pochi mesi.
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LA
FAMIGLIA IN EUROPA: COME RECUPERARE I VINCOLI D’AMORE E SOLIDARIETA’
E
CONTRASTARE LE FORZE CHE MINANO QUESTA ISTITUZIONE:
CHIUSO
STAMANE A ROMA IL SIMPOSIO DEI DOCENTI UNIVERSITARI DI 30 PAESI
Con la
celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Alfonso López Trujillo, presidente
del Pontificio Consiglio per la famiglia, si sono da poco chiusi a Roma i
lavori del Simposio europeo dei docenti universitari, iniziato giovedì scorso
sul tema “La famiglia in Europa: fondamenti, esperienze, prospettive”.
L’incontro è stato promosso dal Vicariato di Roma in collaborazione con il
Ministero dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca e il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, nell’Anno internazionale della famiglia. 400 docenti
di 30 Paesi europei hanno così risposto all’appello del cardinale Ruini e del
Papa, a riallacciare i legami tra l’esperienza familiare e la concezione
dell’uomo e dell’intera esistenza sociale, offrendo riflessioni e stili di vita
in grado di generare famiglie autentiche. Il servizio di Gabriella Ceraso:
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Quella
che stiamo vivendo è una fase epocale non facile per il matrimonio e per la famiglia,
minacciati da forze che vorrebbero disgregarli, da progetti umani alternativi a
quelli divini e da una società europea che vede le proprie risorse negli
individui e nei mercati, non certo nelle relazioni familiari. Sono dati comuni
a molti Paesi europei, secondo quanto è emerso dai lavori del Simposio romano
insieme a tendenze uniformi come la disaffezione al matrimonio come
istituzione, l’aumento dei divorzi, delle famiglie con un solo genitore, dei
figli nati fuori dal matrimonio e delle forme precarie di convivenza.
E’ la
crisi o addirittura la fine della famiglia? Probabilmente solo una transizione
che, come ci insegna la storia, appartiene costitutivamente alla famiglia e che
va guidata come tutte le transizioni, affinché muti ciò che deve mutare e
permanga ciò che deve permanere.
In
questo senso, le indicazioni che provengono dalla Chiesa cattolica sono fondamentali,
come la critica alla concezione individualistico-borghese della famiglia, ormai
ampiamente condivisa. Ma proposte per il futuro della famiglia sono emerse
anche dai lavori. Importante – si è detto – è rinunciare alla dicotomia tra
modello tradizionale e moderno, per annunciare la famiglia come una comunità
d’amore e solidarietà che non trova il suo fondamento né nella legge né
nell’utile. E altrettanto importante è dare spazio all’energia e alla
creatività culturale di quanti credono nella famiglia, a partire dal basso,
dalle reti associative familiari, perché impongano un nuovo modo di lavorare,
di consumare e di fare l’Europa. D’altronde, nelle inchieste europee, la
famiglia risulta tra i primi tre ideali di felicità. Quindi esiste un’Europa
delle famiglie, alternativa a quella dei governi e del mercato. Si tratta ora
di darle voce.
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IN UN
FILM DOCUMENTARIO DEL REGISTA ROMANO CLAUDIO CAMARCA
IL
RACCONTO DI DOLORI E SPERANZE CHE ACCOMPAGNANO L’ITER DEGLI IMMIGRATI
-
Servizio di Adriana Masotti -
Cinquanta minuti girati all’interno del Centro di
permanenza temporanea per immigrati, “Regina Pacis” di Lecce, dove non è
permesso scattare neppure una fotografia e poi in Moldavia, lungo le strade e
dentro le case. E’ il film-documentario del regista romano Claudio Camarca:
“Un’incerta grazia”. Racconta attraverso le immagini e le parole del direttore
del Centro, mons. Cesare Lo deserto, la faccia meno conosciuta e più “sporca”
dell’immigrazione. Alla presentazione del film, giovedì scorso nella sede della
nostra emittente, c’era per noi Adriana Masotti:
*********
(musica)
Quello
girato da Camarca è il racconto della speranza, dei sogni, delle rabbie e delle
paure dell’umanità migrante sbarcata sulle coste italiane. A parlare sono soprattutto
i volti: giovani, ragazzi e ragazze, uomini e bambini. Sono i loro occhi ora
seri e severi, ora carichi del dolore del presente e del ricordo delle esperienze
vissute, a volte luminosi per una vita ritrovata. Le storie si snodano una dopo
l’altra narrate dal migrante stesso, ma ad emergere è anche la testimonianza
forte di una Chiesa che ha fatto una scelta precisa. Ascoltiamo mons. Lodeserto
e il regista Camarca:
“Ho definito questo documentario un cammino di annuncio,
un apostolato,un modo nuovo, come Chiesa, di dire che i poveri sono la grande
risorsa di una Chiesa che deve fare ogni giorno carità”.
“Il perché di questo documentario è raccolto nella voglia di
testimoniare un cammino ecclesiale. L’obiettivo è raccontare il migrante”.
(musica)
“Rivoluzione”, una parola che viene pronunciata più volte
da mons. Lodeserto nel corso del filmato. Che cosa s’intende ce lo spiegano
ancora il direttore di “Regina Pacis” e Claudio Camarca:
“Anzitutto c’è una rivoluzione interiore che parte dalla
mia convinzione di dover essere al servizio dei poveri. Ma di fatto ci vogliono
poi anche le rivoluzioni – le rivoluzioni culturali, rivoluzioni politiche – e
la capacità di capire che ci sono dei momenti in cui bisogna avere il coraggio
di affermare anche dei principi morali, pur di difendere i poveri. Certamente
questo non toglie nulla alla legalità. Nel momento in cui accoglienza e
legalità si pongono insieme, è già una rivoluzione!”.
“Una rivoluzione che deve partire all’interno di noi
stessi per poi cambiare le cose. Le ragazze “trafficate” vengono qua perché c’è
una domanda. La domanda è quella dei nostri conterranei italiani. Loro sono
“pure”, si sporcano con noi!”.
(musica)
Accanto al diritto di immigrare alla ricerca di una vita
migliore esiste anche il diritto a non emigrare. Il diritto cioè a non dover
lasciare terra, casa, famiglia per potersi assicurare un futuro. Dalla Puglia
alla Moldavia, uno dei luoghi di provenienza degli immigrati. Qui la Fondazione
“Regina Pacis” ha creato diverse opere di solidarietà. Claudio Camarca:
“Colui che parte, abbandona la radice di vita. Abbandona
tutto se stesso. L’occidente ricco dovrebbe rispondere all’immigrazione lì, in
quei Paesi poveri, e non qua. Dobbiamo far sì che loro possano non partire. La
politica è essenzialmente questa: rispondere a dei bisogni primari. Noi viviamo
una politica che bada all’hic et nunc, non abbiamo cioè una politica
lungimirante. La Chiesa, spesso, lo è.
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“IL MISTERO DEL CORPORALE”: QUESTA SERA IN ONDA
ALLA RADIO VATICANA
L’OPERA
LIRICA DEL MAESTRO VITALINI
-
Intervista con mons. Raffaello Lavagna -
Sarà trasmessa questa sera alle 19.40 nella rubrica
“Concerto spirituale” della Radio Vaticana l’opera lirica del Maestro Alberico
Vitalini “Il mistero del corporale”. L’opera, eseguita per la prima volta a
Roma nella Domenica delle Palme 2003, è scritta su libretto di mons. Raffaello
Lavagna, e intende essere un contributo artistico alla rinnovata riflessione
sull’Eucaristia, proposta di recente dallo stesso Giovanni Paolo II. Ma
sentiamo, al microfono di Francesca Smacchia, lo stesso mons. Lavagna:
**********
(musica)
R. – Innanzitutto, bisogna dire che è un’opera lirica,
quindi preparata sostanzialmente per il palcoscenico. Come soggetto, è stata
tratta da un bellissimo testo delle sacre rappresentazioni trecentesche
orvietane.
D. – Per quale occasione è stata composta l’opera?
R. – Andrebbe bene per i Congressi, per le manifestazioni
eucaristiche ... La tematica, sostanzialmente, è legata al mistero
dell’eucaristia e si ispira al fatto del miracolo di Bolsena quando il prete,
celebrando la Messa nel duomo di Bolsena, vede scendere gocce di sangue sulle
sue mani e sul corporale.
D. – L’autore dell’opera lirica è il maestro Alberico
Vitalini, che ha composto anche altre opere ...
R. – Soprattutto, si è dedicato alla musica sacra:
mottetti, messe ... Però, il Maestro ha anche al suo attivo, ed è bene
ricordarlo, il segnale d’intervallo della Radio Vaticana, che è apprezzatissimo
soprattutto dalle emittenti televisive straniere. E’ autore, naturalmente,
anche di un’altra opera – “Davide Re” – che è appunto sempre nel genere
dell’opera lirica. Interessa anche sapere che questo stesso “Mistero del corporale”
andrà in onda, nella stessa giornata di oggi, sul terzo programma radiofonico
Rai, nella rubrica “Radiotre suite”, la rubrica che trasmette abitualmente
dalle principali istituzioni musicali operistiche e concertistiche.
(musica)
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27 giugno 2004
ATTESA PER IL 9 LUGLIO LA SENTENZA DELLA CORTE
INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA DELL’AJA SULLA COSTRUZIONE DEL MURO DI SEPARAZIONE
FRA
ISRAELIANI E PALESTINESI
L’AJA. = Un parere di carattere soltanto
consultivo è quello che la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, organo
delle Nazioni Unite, emetterà il prossimo 9 luglio. Un verdetto che esprimerà
il pensiero dell’Onu sulla costruzione del muro in Cisgiordania da parte israeliana
e che sarà letto nella grande sala del Palazzo della pace dal presidente cinese
Shi Jiuyong. Dal 23 al 25 febbraio scorso, i giudici della Corte, chiamati a
chiarire quali sono, dal punto di vista giuridico, le conseguenze della
costruzione del muro, hanno ascoltato le posizioni di oltre venti Paesi e di
molte organizzazioni, che hanno espresso in maggioranza un parere negativo
sull’innalzamento della barriera di separazione. A motivare il giudizio: l’idea
che il muro sia una violazione delle leggi internazionali, in sostanza un atto
illecito che penalizza i lavoratori palestinesi, che allontana i bambini dalle
scuole e di fatto non separa i terroristi dalle loro vittime. Nel clima di
forte opposizione alla costruzione del muro, Israele ha già pronta la sua difesa.
Secondo il governo di Tel Aviv, la Corte dell’Aja ha ascoltato soltanto 21
Paesi su 191 e quelli sentiti violano in modo pesante i diritti umani, inoltre
la barriera di separazione è per Israele solo un atto di difesa. Sulla vicenda,
Stati Uniti e Unione Europea hanno sospeso il giudizio, sottolineando però che
il verdetto della Corte potrebbe avere ripercussioni sul piano di pace e
rallentare ulteriormente i negoziati sulla “Road Map”. (B.C.)
LA
SOLUZIONE DELLA DIFFICILE CRISI DEL DARFUR NEL SUDAN SUDOCCIDENTALE,
AL CENTRO DELL’INCONTRO, PREVISTO IN
SETTIMANA A KHARTOUM,
TRA IL
SEGRETARIO DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN,
E IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, COLIN
POWELL
NEW YORK. = “E’ responsabilità di un governo
proteggere la sua popolazione contro il genere di crimini commessi nel Darfur.
Se questo governo non lo può fare, deve chiedere aiuto alla comunità
internazionale e la comunità internazionale deve essere pronta a rispondere
positivamente”. con questa dichiarazione il numero uno dell’Onu, Kofi Annan, ha
rilanciato la sua preoccupazione per la drammatica situazione in Sudan,
sconvolto fin dal 1983 da una guerra civile e in preda ad una grave crisi
umanitaria. Annan sarà la prossima settimana a Khartoum, dove incontrerà il
segretario di Stato americano, Colin Powell per fare insieme pressione sulle
autorità locali affinché venga avviata una soluzione pacifica della crisi nella
regione del Darfur, nel Sudan sudoccidentale. Costantemente violato il cessate
il fuoco, sottoscritto a maggio, il Paese è in preda ad una lotta intestina tra
il governo ed i ribelli, che rivendicano
l'indipendenza delle regioni meridionali del Paese. E’ in gravissime difficoltà
la popolazione civile; secondo le Nazioni Unite sono un milione gli sfollati e
solo negli ultimi
mesi, circa 150.000 persone sono fuggite oltre il confine, verso il Ciad. “Una
catastrofe umanitaria - ha sottolineato Kofi Annan - in cui sono in gioco
centinaia di migliaia di vite umane”. (B.C.)
ALLARME
DI HUMAN RIGHTS WATCH SULLA SITUAZIONE DEI CIVILI NELLE CAMPAGNE DEL BURUNDI.
NONOSTANTE I PROGRESSI SULLA VIA DELLA PACE,
NELLE ZONE RURALI LA GUERRA CONTINUA
BUJUMBURA.=
Un rapporto presentato dall’organizzazione umanitaria, Human Rights Watch, ha
fotografato la situazione dei civili burundesi che vivono nelle campagne. Pur
riconoscendo i notevoli progressi sulla via della pacificazione nel Paese
africano, nella relazione si sottolinea che gli abitanti delle zone rurali sono
in preda alle prevaricazione dell’esercito regolare, delle FDD, Forze per la
difesa della democrazia, e dei miliziani delle FNL, Forze Nazionali di
Liberazione. Violenze che hanno portato tantissimi civili a scappare dalle loro
terre, quasi 50 mila intorno alla capitale. Nel rapporto, Human Rights Watch
invita ad un maggiore impegno la missione di pace dell’Onu, che ha il compito
di vigilare sugli accordi di pace del 2003, firmati dopo una decennale guerra
civile che ha provocato la morte di oltre
300.000 persone. Il Paese africano sta comunque facendo notevoli passi in
avanti verso la normalità; un segnale importante è rappresentato dalle elezioni
del prossimo 31 ottobre, le prime consultazioni
comunali e legislative dal 1993.
(B.C.)
FRENARE
L’ESCALATION DI VIOLENZA E IL DILAGANTE FENOMENO
DEI
SEQUESTRI E DEL NARCOTRAFFICO. SONO LE RICHIESTE DEI PARTECIPANTI
ALLA
MARCIA NAZIONALE CHE SI SVOLGE OGGI A CITTA’ DEL MESSICO
CITTA’ DEL MESSICO.= Saranno 80 le organizzazioni
della società civile che prenderanno parte alla Marcia nazionale contro
l’insicurezza, indetta per chiedere al governo messicano più impegno nella
lotta alla criminalità organizzata. Alla fine della Marcia, che si snoderà tra
le principali via di Città del Messico, verrà consegnata alle autorità del
distretto federale e dei 32 Stati del Paese una petizione per chiedere misure
risolutive che frenino la violenza dilagante, che blocchino i numerosi sequestri e il narcotraffico. Fenomeni che
preoccupano il presidente Vicente Fox, il quale, intervenendo sulla questione
della sicurezza, ha ricordato le situazioni più critiche, in particolare al
confine con gli Stati Uniti. Sulla manifestazione di oggi, pesa lo scontro tra
il presidente Fox e il sindaco di Città del Messico, Andrès Manuel Lopez
Obrador, che incolpa il governo di aver sostenuto poco la Marcia: accusa
assolutamente rifiutata dalle autorità. (B.C.)
NEL
MONDO TRE MILIONI DI BAMBINI SOTTO I CINQUE ANNI MUOIONO
A CAUSA
DI ARIA E ACQUA INQUINATE. ADOTTATO DALL’UNIONE EUROPEA
UN
PIANO DI AZIONE PER LA DIFESA DELL’AMBIENTE
BUDAPEST.= Si è conclusa
pochi giorni fa la Conferenza ministeriale dell’Orga-nizzazione mondiale
della sanità, nella quale si è
discusso delle conseguenze dell’inquinamento ambientale sulla salute dei
bambini. “I bambini hanno diritto di crescere e vivere in un ambiente sano.
Invece sono loro a pagare per primi il prezzo della degradazione dell’ambiente”
è l’allarme lanciato dal commissario dell’Ambiente dell’Unione europea, Margot
Wallstroem, durante il suo intervento, nel quale ha richiamato i governi di
ogni Paese a lavorare per migliorare le loro politiche ambientali. Il
commissario ha anche illustrato il piano di azione per l’Ambiente e la sanità
adottato recentemente dall’Ue, 13 capitoli per ridurre il rischio di malattie
derivanti da fattori ambientali. Industrializzazione, cambiamenti climatici, un
crescente ricorso alle sostanze chimiche espongono i minori a maggiori rischi per la loro salute. Secondo una
stima fatta dall’Organizzazione mondiale della sanità, sono tre milioni i
bambini al di sotto dei cinque anni che muoiono per cause legate
all’inquinamento ambientale. “E’ inaccettabile - ha detto il direttore generale
dell’Oms, Jong-Wook Lee - che siano i più deboli membri della società a pagare
il prezzo delle nostre mancanze nella lotta per un ambiente più sano”. Ridurre
di due terzi entro il 2015 la mortalità dei bambini sotto i cinque anni, è la
sfida lanciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la quale però è
necessaria una politica globale dell’ambiente. (B.C.)
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27
giugno 2004
- A cura di Dorotea Gambardella -
Iraq. Con tre ostaggi turchi
minacciati di decapitazione, 23 vittime nello scoppio di un’autobomba, avvenuta
ieri nella città sciita di Hilla, e due razzi lanciati stamani contro la Zona
verde della Coalizione, a Baghdad, per fortuna senza provocare danni, il Paese
a tre giorni dal passaggio formale di sovranità agli iracheni resta travolto dalla violenza. Ce ne parla Dorotea
Gambardella.
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“La Turchia non accetta mai le
richieste dei terroristi”. Con queste parole il ministro della difesa turco,
Vecdi Gonul, ha respinto l’ultimatum del gruppo, probabilmente quello di Abu
Mussab al Zarqawi legato ad al Qaida, che ha sequestrato tre lavoratori turchi
in Iraq ed ha minacciato, ieri, di decapitarli se entro 72 ore Ankara non
ordinerà a tutti i suoi cittadini di ritirarsi dal Paese. Collaborazione per
risolvere la questione è stata offerta da Washington. Lo ha reso noto il portavoce
statunitense, Sean McCormack, a margine della visita odierna ad Ankara del presidente
americano, George W. Bush. Intanto, il premier iracheno ad interim, Iyad Allawi,
il quale ieri ha annunciato che problemi di sicurezza potrebbero far slittare
la data delle elezioni in Iraq, previste per gennaio 2005, dalle colonne del
quotidiano britannico, Independent on Sunday, ha fatto sapere che sta pensando
ad un’amnistia per quanti si sono uniti alla resistenza contro l’occupazione americana
del Paese, ma che non abbiano commesso crimini. E in un’intervista
all’emittente britannica, Bbc, il segretario Usa alla Difesa, Donald Rumsfeld,
ha dichiarato che gli Stati Uniti non invieranno altre truppe. L’annuncio
contraddice quanto era stato rivelato nei giorni scorsi dalla stampa Usa che
aveva scritto di rinforzi del Pentagono tra le 15 e le 25mila unità.
Soddisfazione per il superamento delle incomprensioni tra America ed Europa
sull’Iraq, sancito ieri in Irlanda durante il vertice Ue-Usa, è stata espressa
dal segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. Il numero uno
olandese dell’Alleanza atlantica si è anche detto fiducioso che nel corso del
vertice di domani ad Istanbul, sarà accolta la richiesta di assistenza tecnica
arrivata da Baghdad per l’addestramento delle Forze irachene, dopo il trasferimento
dei poteri alle autorità locali.
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Non si arrestano in Afghanistan
gli attentati contro le elezioni presidenziali previste per settembre.
All’indomani dell’uccisione delle due funzionarie delle Nazioni Unite, sedici
persone che si erano registrate per poter partecipare alle consultazioni sono
state massacrate dai Taleban, in un Ufficio elettorale nel centro del Paese.
Intanto, alla vigilia del vertice Nato ad Istanbul, in Turchia, il comandante
dell’Alleanza atlantica per l’Europa, il generale Jones, ha affermato che per espandere
la missione di assistenza e sicurezza dell’organismo in Afghanistan occorre un
dispiegamento di almeno 2mila uomini. Ma sul clima che si respira in Afghanistan
a tre mesi dalle elezioni, Dorotea Gambardella ha raccolto la testimonianza di
Ketta Grazia, responsabile dell’Amministrazione internazionale di Emergency,
raggiunta telefonicamente a Kabul:
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R. – Le elezioni, tutti le aspettano con ansia e paura,
nel senso che sono state rimandate per parecchio tempo e ora sembra che invece
ci saranno: infatti, si sta lavorando per questo. So di organizzazioni internazionali
che stanno aiutando le autorità locali a fare un censimento per registrare
appunto le persone per il voto. Ovviamente, le elezioni sono contraddistinte
anche da un clima di tensione: si è saputo dell’attentato che è avvenuto ieri,
proprio a persone che facevano questo tipo di lavoro. Erano due donne afghane,
che collaboravano con le Nazioni Unite appunto per pianificare le elezioni.
D. – Gli attentati di ieri sono stati rivendicati dai
talebani; in realtà, oltre ai talebani ci sono anche membri di Al Qaeda e
guerriglieri integralisti islamici che vogliono boicottare queste elezioni. Ma
a che cosa mirano, queste forze?
R. – A destabilizzare il sistema in atto qui, a Kabul.
Proprio perché le elezioni restituirebbero il potere agli afghani, il potere di
decidere del proprio destino e quindi loro cercano in ogni modo di evitare
questo passaggio. Loro in passato, infatti, hanno fatto questo: hanno tolto
qualsiasi volontà ai cittadini.
D. – I riflettori della comunità internazionale sono tutti
puntati sull’Iraq: vi sentite un po’ messi da parte?
R. – Questo è un Paese distrutto. Noi, insieme ad altre
organizzazioni, stiamo cercando di aiutare questa gente a ricostruirlo, ma non
è facile. Non credo sia giusto abbandonare un popolo a se stesso dopo che si è
deciso di bombardarlo, ed aggravare una situazione che era già pessima prima
dei bombardamenti. Qui non c’è la luce. Il nostro ospedale a Kabul è l’unico
centro di rianimazione presente in tutto il Paese. Quindi, non vedo perché
l’attenzione della comunità internazionale nel periodo dei bombardamenti era
così alta, adesso è calata in questa maniera: non lo ritengo giusto!
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Spostiamoci in Medio Oriente. Le
forze israeliane si sono ritirate all’alba di stamani dalla casbah di Nablus,
dopo che ieri avevano ucciso il capo delle Brigate dei Martiri di al Aqsa per
la Cisgiordania e altri sei combattenti. Il leader assassinato era Nayef Abu
Sharah, ricercato dall’inizio dell’Intifada nel settembre 2000 per
coinvolgimento in vari attentati anti-israeliani. L’omicidio è stato duramente
criticato, oggi, dal premier palestinese Abu Ala.
“La Turchia merita che l’Unione
europea le fissi una data per l’adesione”. Lo ha detto il presidente americano,
George W. Bush, incontrando, oggi, ad Ankara, il premier turco, Erdogan. Bush
ha elogiato la Turchia come esempio di Paese musulmano e democratico. Con
questa dichiarazione, il capo della Casa Bianca ha quindi proseguito la campagna
per l’adesione della Turchia all’Ue condotta già ieri nell’annuale vertice Ue-Usa
in Irlanda.
L’Iran continuerà a rispettare
l’impegno di sospendere l’arricchimento di uranio, ma respinge le critiche
della comunità internazionale circa la decisione di riprendere la costruzione
di centrifughe. Lo ha dichiarato, oggi, il portavoce del ministero degli
Esteri.
Italia. Continua per il terzo
giorno consecutivo il blocco dei binari alla stazione di Montecorvino Rovella,
in provincia di Salerno, da parte dei manifestanti in protesta contro la riapertura della discarica
di Parapoti di Giffoni Valle Piana, decisa dal Commissario straordinario per
l’emergenza ai Rifiuti, Corrado Catenacci. Soppressi cinquanta treni che coprono
il percorso Salerno-Reggio Calabria.
Restiamo in Italia. Si sono
aperti alle ore 7 i seggi per la seconda tornata delle elezioni amministrative
riguardante 22 Province e 101 Comuni. I circa 12 milioni di elettori interessati
potranno recarsi a votare fino alle ore 22. Le operazioni di scrutinio avranno
inizio subito dopo la chiusura dei seggi. Ieri sera, al termine della prima
giornata elettorale, per le Province si è registrata un’affluen-za di votanti
del 15 per cento. Per quanto riguarda i Comuni, invece, alle ore 22 la percentuale
di votanti è stata pari al 20,3 per cento.
Urne aperte anche in Lituania
dove 2,6 milioni di cittadini sono chiamati ad eleggere il nuovo presidente. Al
ballottaggio si confrontano l’ex capo di Stato, Valdas Adamkus, e la prima
premier del Paese dal crollo del comunismo, Kazimira Prunskiene. La Lituania è
entrata il 1 maggio nell’Unione europea a 25 e nella Nato in marzo.
Dai primi risultati delle
elezioni presidenziali di ieri, in Islanda, con l’85 per cento dei voti,
risulta confermato per il terzo mandato il presidente uscente, Olafur Ragnar
Grimsson. Il suo principale avversario, l’imprenditore Baldur Agustsson, ha
racimolato appena il 12 per cento dei consensi.
Cominciate le operazioni di voto
anche in Mongolia dove gli elettori sceglieranno il nuovo Parlamento. Lo
schieramento al potere, il Partito rivoluzionario del popolo della Mongolia,
dovrebbe vedere riconfermato senza problemi il proprio ruolo di leadership.
Una stretta di mano
pubblica ha segnato l’apertura dei colloqui, a New Dehli, tra India e Pakistan
per trovare un accordo sulla spinosa questione della sovranità sul Kashmir.
Riaz Khokhar, ministro degli Esteri pachistano, incontra oggi il suo omologo
indiano Shashank.
Il premier e presidente del
Partito socialdemocratico (Cssd) della Repubblica Ceca, Vladimir Spidla, ha
annunciato ieri le sue dimissioni. A succedergli, dovrebbe essere Stanislav
Gross, vice presidente del Cssd e ministro dell’Interno.
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