RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 170 - Testo della trasmissione di venerdì 18 giugno
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Presentata dall’Onu a Roma,
la prossima Giornata mondiale del rifugiato: con noi Laura Boldrini
Al Katholikentag tedesco,
intervento sull’ecumenismo del cardinale Kasper
Al Festival di Taormina,
presentato l’ultimo film di Margarethe von Trotta.
CHIESA E SOCIETA’:
Europa vicina ad un
accordo sulla Costituzione. Più teso il confronto per la nomina del prossimo
presidente della Commissione
Tensione in Arabia
Saudita sulla sorte di un ostaggio americano.
18 giugno 2004
LA
SPAGNA E LA NUOVA EUROPA NON DIMENTICHINO LE PROPRIE RADICI CRISTIANE:
LO HA DETTO IL PAPA AL NUOVO AMBASCIATORE
SPAGNOLO PRESSO LA SANTA SEDE.
NEL
DISCORSO, IL PONTEFICE HA INOLTRE RIBADITO
LA NECESSITA’ DELLA DIFESA E PROMOZIONE DELLA
FAMIGLIA E DELLA VITA UMANA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Le
radici cristiane dell’Europa e la difesa della vita umana e della famiglia sono stati i temi forti del
discorso di Giovanni Paolo II al nuovo ambasciatore di Spagna presso la Santa
Sede, Jorge Dezcallar de Mazarredo, ricevuto stamani in Vaticano
per la presentazione delle lettere credenziali. Il Papa ha inoltre sottolineato
che nella fede il popolo spagnolo ha trovato la forza per affrontare tragiche
esperienze, come la piaga del terrorismo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
Nel
momento in cui nella Vecchia Europa, nasce un nuovo sistema politico, “non si
possono trascurare” le sue radici cristiane, che nel corso dei secoli hanno
promosso un alto concetto della persona umana “fattore decisivo di integrazione
e universalità”. Quelle stesse radici che rappresentano l’identità della
Spagna. E’ la riflessione offerta da Giovanni Paolo II al nuovo ambasciatore
spagnolo presso la Santa Sede. Nella mia ultima visita in terra iberica, nel
2003, ha poi ricordato, ho potuto incontrare una moltitudine di persone animate
da una fede profonda. Un segno molto “chiaro di speranza” per la Chiesa e la
società spagnola. Proprio questi “elevati valori vissuti intensamente”, ha
avvertito il Papa, rappresentano l’anima che dà coesione ed unità nei momenti
avversi, alle “tragiche esperienze”, che la Spagna ha recentemente vissuto,
“soprattutto a causa della piaga del terrorismo”.
Nella
sua azione evangelizzatrice, ha proseguito il Pontefice, la Chiesa si impegna
“a costruire una società basata sui valori fondamentali e irrinunciabili”
attraverso un ordine “giusto e degno dell’essere umano”. In tale contesto, ha
spiegato, bisogna sottolineare l’incoerenza di certe tendenze del nostro tempo,
che da un lato esaltano il benessere delle persone, dall’altro attaccano le
radici della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali, come nel caso
dell’aborto. “Proteggere la vita umana – ha esortato – è un dovere di tutti”,
non solo dei cristiani. I responsabili pubblici, dunque, “in quanto garanti dei
diritti di ognuno, hanno l’obbligo di difendere la vita, specie dei più deboli
e indifesi”. Le vere “conquiste sociali”, ha così rilevato Giovanni Paolo II,
sono quelle “che promuovono e tutelano la vita di ognuno e, allo stesso tempo,
il bene comune della società”.
E qui
il Pontefice ha ribadito l’urgenza di difendere la famiglia, nucleo fondamentale
della società, “luogo ineguagliabile di solidarietà e scuola naturale di
convivenza pacifica”. Per questo, ha affermato, non bisogna cedere a certe voci
che vogliono “confondere il matrimonio con altre forme di unione del tutto
diverse, o addirittura contrarie allo stesso” o che “sembrano considerare i
figli come oggetti per la propria soddisfazione”. La famiglia, ha detto ancora,
ha inoltre il diritto e il dovere di educare i propri figli, secondo le proprie
convinzioni morali e religiose, “perché la formazione integrale non può
trascurare la dimensione trascendente e spirituale dell’essere umano”. In tale
contesto, ha aggiunto, le istituzioni educative legate alla Chiesa
contribuiscono al bene comune, e particolarmente in favore dei meno fortunati.
Va allora valorizzato “l’insegnamento della religione cattolica nelle
istituzioni statali, basato precisamente sul diritto delle famiglie che lo sollecitano,
senza discriminazioni né imposizioni”.
Nell’esercizio
della sua missione, ha proseguito il Papa, la Chiesa ricerca il bene integrale
del popolo, “nel pieno rispetto dell’autonomia delle autorità civili”. D’altro
canto, i due ambiti, pur autonomi, non si possono ignorare, ma devono dialogare
in modo leale e costruttivo. Ha, così, evidenziato i frutti derivati dagli
Accordi tra Spagna e Santa Sede, stabiliti immediatamente dopo l’approvazione
dell’attuale Costituzione spagnola.
**********
Nel suo
indirizzo di saluto al Papa, l’ambasciatore Jorge Dezcallar de Mazarredo ha
messo l’accento sulla solidità delle relazioni tra la Spagna e la Santa Sede.
Quindi, ha espresso parole di viva gratitudine per la vicinanza mostrata al
popolo spagnolo dal Santo Padre di fronte alla tragedia dell’attacco
terroristico a Madrid, l’11 marzo scorso. Il diplomatico ha così ribadito che
la Spagna è impegnata nella lotta al terrorismo, ma senza sacrificare i
principi e i valori dello stato di diritto, garantiti dalla costituzione.
L’ambasciatore ha infine sottolineato che la visita in Vaticano del nuovo capo
di governo spagnolo, Zapatero – in programma lunedì prossimo – vuole essere un
segno di grande rispetto di tutta la Spagna nei confronti della figura e del magistero
di Giovanni Paolo II.
Nato a
Palma de Maiorca, nel 1945, l’ambasciatore Jorge Dezcallar de Mazarredo, è sposato
ed ha tre figli. Laureato in legge, ha iniziato la carriera diplomatica nel
1972 presso la sezione consolare a Varsavia. Incaricato d’Affari a New York e
Montevideo, negli anni ’70, nel 1982 è diventato consigliere presso il
Dipartimento internazionale della presidenza del governo e, in seguito,
direttore generale presso il ministero degli esteri. Dal 1996 al 1997, ha
rivestivo l’incarico di ambasciatore in missione speciale per la Politica
estera e la Sicurezza. Dal ’97 al 2001 è stato ambasciatore in Marocco. Infine,
prima dell’incarico presso la Santa Sede, è stato direttore del Centro
superiore di informazione per la Difesa, con rango di ministro.
UDIENZE
E NOMINE
Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata,
in successive udienze, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del
Pontificio Consiglio Cor Unum" e un gruppo di quattro presuli della Conferenza episcopale
della Colombia, in visita ad Limina.
In Francia, il Papa ha nominato
vescovo coadiutore di Nizza mons. Louis Sankalé, finora vescovo di Cayenne,
nella Guyana francese. Il presule, 58 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1976
ed incardinato nell’arcidiocesi di Marseille. Ha perfezionato gli studi a Roma,
presso la Pontificia Università Gregoriana, dove si è licenziato in Filosofia e
Teologia. Dal 1983, il presule appartiene all’Istituto “Notre- Dame- de-Vie” di
Venasque. Oltre a vari incarichi pastorali in veste di parroco a Marsiglia,
mons. Sankalé, è stato vicario episcopale per la Vita religiosa e le Nuove
comunità. Nel 1998 è stato nominato
vescovo di Cayenne.
Nella Guyana francese, il
Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Cayenne il sacerdote Emmanuel
Lafont, del clero francese di Tours. Il nuovo presule, 59 anni, parigino di
nascita, ha studiato in patria ed a Roma, alla Gregoriana, conseguendo la Licenza
in Teologia. E’ stato, tra l’altro, sacerdote Fidei Donum in Sud Africa
per 14 anni, come parroco a Soweto, incaricato della formazione permanente del
clero, e docente nel Seminario maggiore interdiocesano di Pretoria. Rientrato
in patria, è stato per due mandati Direttore delle Pontificie opere missionarie
di Francia e segretario del Comitato episcopale per la Cooperazione
missionaria. Dal 2002 è parroco in diocesi di Tours.
La
Diocesi di Cayenne, creata nel 1956, ha una superficie di 90. mila kmq., con
200 mila abitanti, dei quali 150 mila sono cattolici, suddivisi in 23
parrocchie, con 31 sacerdoti, 63 Religiose e
tre seminaristi maggiori.
NELL’ODIERNA SOLENNITA’ DEL SACRO CUORE DI GESU’,
CHE COINCIDE
CON LA
GIORNATA MONDIALE DELLA SANTIFICAZIONE SACERDOTALE,
ANNUNCIATO
DALLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO IL CONVEGNO MONDIALE
DEI
SACERDOTI, IN OTTOBRE A MALTA
-
Intervista con l’arcivescovo Csaba Ternyàk -
Un incontro mondiale di sacerdoti, per riscoprire il
fascino di una vocazione che rende viva la presenza di Cristo nell’oggi della
Chiesa. La Congregazione per il Clero ha organizzato per il prossimo ottobre, a
Malta, un Convegno internazionale dal titolo “Sacerdoti, forgiatori di santi
per il nuovo millennio”. L’annuncio del convegno cade in coincidenza con
l’odierna solennità del Sacro Cuore di Gesù, giorno in cui si celebra anche la Giornata
mondiale di Santificazione sacerdotale. Giovanni Peduto ha chiesto
all’arcivescovo Csaba Ternyàk, segretario del dicastero del clero, quali siano
oggi le sfide più grande per la santificazione dei sacerdoti:
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R. – Secondo me sono due le principali sfide che il
sacerdote incontra nel suo cammino di santificazione: a livello personale e in
rapporto al mondo. Il livello personale riguarda i limiti di sempre: le nostre
debolezze, le fragilità, l’aridità che spesso invade il cuore umano, problemi
che del resto sperimentano i cristiani di tutti i tempi. In secondo luogo, la
secolarizzazione - o meglio, un mondo che sembra voler vivere come se Dio non
esistesse - mi pare sia un serio ostacolo per la santificazione del sacerdote.
Purtroppo, il mondo da evangelizzare respinge con troppa facilità il messaggio
che il sacerdote gli porta e ciò può indurre il presbitero in uno
scoraggiamento umanamente comprensibile.
D. – Le come vede i sacerdoti oggi?
R. – Vedo il sacerdote di sempre, pieno di sollecitudine
pastorale per tutti gli uomini, in una dimensione sempre più universale e
missionaria che è la stessa missione di amore del Verbo incarnato, con le
difficoltà di cui abbiamo già parlato. Lo vedo impegnato oltre ogni limite di
tempo, proprio perché gli impegni pastorali crescono a dismisura in una realtà
sociale in continua evoluzione. A ciò dobbiamo aggiungere che non sempre
all’aumento delle attività corrisponde un aumento di forze numeriche di
sacerdoti.
D. – Spesso il lavoro e gli impegni occupano gran parte
della giornata: ma quali sono le cose cui un sacerdote non può rinunciare?
R. – Il sacerdote non deve mai rinunciare alla sua vita
interiore, alla preghiera, alla pratica dei sacramenti e specialmente
all’Eucaristia da dove attingerà la forza della carità di Cristo. E’ per questo
che il nostro cardinale prefetto, Castrillon Hoyos, nella lettera ai sacerdoti
già nel titolo ha voluto sottolineare questi aspetti: “L’Eucaristia, sorgente
di santità nel ministero sacerdotale”, che richiama le parole del Santo Padre
nell’Ecclesia de Eucaristia: “Ogni impegno di santità (…) ogni
attuazione di piani pastorali deve trarre la necessaria forza dal Mistero
Eucaristico e ad esso si deve ordinare come al suo culmine”.
D. – Chi è oggi il sacerdote per la gente?
R. – Per la gente, per il popolo il sacerdote è l’uomo di
Dio, è l’uomo che richiama il trascendente, in una parola è l’uomo del Mistero.
Le persone, ancora oggi, vogliono vedere nel sacerdote il volto di Cristo: il
“servitore della gioia degli uomini”, colui che partecipa delle loro gioie e
speranze, delle loro angosce e tristezze. Vogliamo un sacerdote non solo
annunciatore, ma testimone, che si accosta con tenerezza e fascia le ferite
dell’uomo. Vorrei ricordare i tanti bravi preti che operano per alleviare le
miserie umane, che sono presente nel mondo.
D. – Il sacerdote agisce “in persona Christi”: ci
può spiegare cosa significa?
R. – Certo, Gesù è ritornato al Padre ma ha voluto
continuare a rimanere in mezzo a noi, attraverso la sua Chiesa: la Chiesa è la
faccia visibile di Cristo. Vorrei ricordare, che non esiste una Chiesa anonima,
c’è la Chiesa, perché per espressa volontà di Cristo è stata affidata agli
Apostoli, che con i loro sacerdoti, rendono operante e vivo il Cristo in ogni
angolo, in ogni epoca: sono i sacerdoti che rendono contemporaneo Cristo in
ogni epoca e in ogni situazione esistenziale.
D. - La Congregazione per il Clero sta organizzando per il
prossimo ottobre, a Malta, un Convegno internazionale per i sacerdoti. A quale
scopo?
R. – Vogliamo rafforzare i sacerdoti nel loro cammino di
santificazione, far comprendere che, nonostante la tribolazione, è un’avventura
affascinante raggiungere la santità. Il convegno sarà un’occasione privilegiata
per tutti i sacerdoti per sperimentare la comunione e ritrovare nuovo slancio a
favore della missione affidataci da Cristo”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq:
Annan ha dichiarato che l'Onu non torna a Baghdad a causa del progressivo
deteriorarsi delle condizioni di sicurezza.
Nelle vaticane, nel discorso al
nuovo ambasciatore di Spagna, Giovanni Paolo II ha sottolineato con forza che i
bambini hanno il diritto di nascere e di crescere in una casa, in cui regni la
stabilità e le parole padre e madre possano dirsi con gioia e senza inganno.
La Lettera del cardinale
Castrillon Hoyos, in occasione della Giornata mondiale per la santificazione
dei sacerdoti nella solennità del Sacro Cuore di Gesù.
Nelle estere, Unione
Europea: nel vertice a Bruxelles febbrile impegno a trovare l'intesa sulla
Costituzione.
Nella pagina culturale, un
articolo di Giuseppe Degli Agosti in margine alla mostra "Bombe sulla
città. Milano in guerra (1942-44)".
Nelle pagine italiane, continua
il dibattito, in sede politica, sui riflessi determinati dall'esito delle
elezioni europee ed amministrative.
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18 giugno 2004
L’ONU NON VUOLE RITORNARE NELL’IRAQ DELLA VIOLENZA
- Servizio di Amedeo Lomonaco -
Nassiriya, Baquba, Mossul e
Amara. Sono le città irachene che oggi hanno subito il fuoco della guerriglia.
Ma l’argomento del giorno è sicuramente la decisione dell’Onu di non tornare
per il momento, in Iraq, per motivi di sicurezza. Sulla situazione del Paese
arabo, ci riferisce Amedeo Lomonaco:
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Dopo le deflagrazioni di due ordigni che ieri hanno
causato oltre 40 morti ed almeno 140 feriti, un’altra autobomba è esplosa
questa notte a Nassiriya. L’attentato, che ha preso di mira le forze di polizia
irachene e non i soldati del contingente italiano, ha causato il ferimento di
quattro persone e due di queste versano in condizioni gravi. Due miliziani iracheni
sono inoltre rimasti uccisi a Baquba in seguito a sanguinosi scontri tra guerriglieri
e soldati americani, mentre tre civili sono stati feriti per l’esplosione di
una bomba a Mossul e guerriglieri sciiti hanno aperto il fuoco contro la sede
della coalizione ad Amara. Da sottolineare
poi che ieri sono stati rilasciati
due ostaggi stranieri, un egiziano ed un turco, rapiti due settimane fa. In
questo contesto segnato dalle violenze, proseguono intanto gli sforzi della
comunità internazionale per assicurare stabilità e sicurezza allo Stato arabo:
circa tremila soldati sudcoreani, secondo quanto dichiarato dal ministro della
Difesa di Seul, saranno dispiegati nel nord dell’Iraq a partire dal mese di
agosto. Ed il governo di Tokyo ha annunciato che il Giappone parteciperà alla
forza multinazionale della coalizione dopo il trasferimento dei poteri in
programma il prossimo 30 giugno. L’esecutivo giapponese ha anche precisato che
il proprio esercito svolgerà azioni umanitarie e non militari. In base alla
risoluzione sull’Iraq appena approvata, l’Onu dovrebbe inoltre gestire le elezioni
e favorire la ricostruzione dopo il passaggio di poteri. Ma il segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha dichiarato che al momento la
difficile situazione del Paese arabo non permette l’avvio della nuova missione.
La preoccupazione di Annan è emersa sullo sfondo del dibattito riguardante le
motivazioni che hanno portato all’intervento bellico nel Golfo Persico. Il
presidente americano, George Bush, ha insistito sull’esistenza di un rapporto,
prima della guerra, tra l’Iraq di Saddam Hussein e Al Qaeda. Ed il presidente russo, Vladimir Putin, ha
confermato oggi che i servizi segreti di Mosca hanno trasmesso agli americani,
un paio di anni fa, informazioni sulla preparazione di azioni terroristiche
negli Stati Uniti da parte del regime di dell’ex rais.
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Le violenze in atto in Iraq stanno, dunque, scoraggiando
anche l’Onu, che non sembra intenzionato a rientrare nel Paese fino a quando le
condizioni di sicurezza non lo consentiranno. Il segretario generale
dell’Onu, Kofi Annan, si è detto ieri “estremamente preoccupato” per il
dilagare della violenza nel Paese del Golfo. Annan, inoltre, deve ancora decidere
chi sarà il rappresentante delle Nazioni Unite in Iraq, dopo l’uccisione,
nell’agosto 2003, di Sergio Vieira de Mello, vittima di un attentato a Baghdad.
Ma sulle parole di Annan ascoltiamo il commento della professoressa Maria Rita
Saulle, docente di diritto internazionale all’università “La Sapienza” di Roma.
L’intervista è di Barbara Castelli:
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R. – Nella risoluzione dell’ottobre dell’anno scorso è
stato sottolineato che le Nazioni Unite sarebbero rientrate in Iraq in
condizioni di sicurezza. Il fatto che ci siano attentati quotidiani, con un
numero consistente di morti, testimonia che in Iraq oggi non esistono sufficienti
condizioni di sicurezza. Non mi sembra, quindi, che ci sia incoerenza tra gli
atti formali, come una risoluzione delle Nazioni Unite, e le dichiarazioni di
Kofi Annan. Non si tratta di codardia: gli operatori di pace devono poter
essere messi in condizione di agire in una condizioni di sicurezza.
D. – Questa cautela espressa da Annan, quanto influisce
nella preparazione delle elezioni in Iraq del gennaio 2005?
R. – A me sembra di capire che, tutto sommato, Annan
prenda la seguente posizione: si mettano d’accordo, risolvano i loro problemi
interni e poi le Nazioni Unite rientreranno per fare il loro lavoro, che in
questo caso non sarebbe più - come prima sembrava - un lavoro d’équipe
esclusivamente umanitario. Le Nazioni Unite, infatti, devono svolgere il ruolo
politico per il quale sono state create, ma devono poterlo svolgere in
condizioni di sicurezza. Quando furono create nel lontano 1945, la guerra si
era conclusa. Oggi, in Iraq, con 40 morti al giorno, non mi sembra che le Nazioni
Unite possano obiettivamente operare. In questo momento, le varie fazioni
dovrebbero astenersi dagli atti violenti. Ora c’è da chiedersi se tutto questo
sia possibile. Attualmente non credo che esistano le condizioni giuste: ci sono
diverse persone che hanno vari sistemi di potere - legali o illegali - e che,
tutto sommato, hanno sempre da guadagnare dal disordine, piuttosto che
dall’ordine.
D. – A suo avviso, come interpreterà questa dichiarazione
di Annan il terrorismo internazionale?
R. – Le Nazioni Unite - a parte i trattati internazionali
e le Convenzioni - non sono in grado di fornire mezzi concreti per la lotta
contro il terrorismo. Offrono strumenti che, se applicati concretamente e
correttamente da parte degli Stati, possono anche dare risultati notevoli.
Certo i terroristi possono pensare di avere mano libera, vista l’incertezza che
regna nel Paese, ma se le Nazioni Unite tornano in Iraq i suoi funzionari
finiranno sicuramente nel mirino della guerriglia.
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TORNARE A CASA, UNA SPERANZA RISPOSTA NEL CUORE
DELLA MAGGIORANZA
DEI RIFUGIATI. CONFERENZA
DELL’ONU A ROMA, IN VISTA
DELLA GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO
- Ai nostri microfoni Laura Boldrini -
“Un posto chiamato casa”: è il tema della prossima
Giornata mondiale del rifugiato, che verrà celebrata domenica prossima 20
giugno. Stamane a Roma si è svolta una conferenza stampa di presentazione,
organizzata dall’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, che da oltre 50
anni opera a sostegno di decine di milioni di persone, costrette a lasciare il
proprio Paese perché perseguitate o a rischio di vita per motivi razziali,
politici, religiosi e di conflitto armato. Il servizio di Roberta Gisotti:
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I rifugiati non abbandonano mai il sogno di riavere una
casa, ovvero affetti, calore, sicurezza, senso di appartenenza. Perdere la propria
casa può significare allora perdere la propria identità. Walter Irvine,
delegato per l’Italia dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, ha
sottolineato che la maggior parte di queste persone vuole rimpatriare, ma non
sempre può farlo, e spesso il rientro è una sfida enorme da affrontare, un
percorso lungo e faticoso. Ma negli ultimi due anni si è registrato un numero
di rimpatri senza precedenti, circa 3 milioni e mezzo. Una buona notizia che si
aggiunge ad un altro dato positivo: scende il numero totale di rifugiati, dal
2001 al 2003 sono passati da quasi 22 milioni a poco più di 17 milioni, con un
calo di oltre il 20 per cento, raggiungendo la cifra più bassa da un decennio.
Motivo di orgoglio per l’Alto Commissariato, che loda il rinnovato impegno
della comunità internazionale, ma mette in guardia da un eccessivo ottimismo perché
questo dato, in parte, potrebbe essere il risultato di politiche d’asilo più
restrittive, specie nei Paesi europei. Ancora qualche dato sulle persone al
momento sotto la protezione dell’Onu: 9 milioni e 700 mila i rifugiati e 1
milione 100 mila i rimpatriati, 4 milioni e 200 mila gli sfollati nel proprio
Paese e 223 mila quelli rientrati, quasi 1 milione i richiedenti asilo ed
altrettanti i migranti forzati, tra cui gli apolidi.
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Ma ascoltiamo ora al microfono di Francesca Smacchia, la
dott.ssa Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato dell’Onu
per i rifugiati, che spiega le
strategie d’intervento per sostenere i rifugiati:
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Il tema di quest’anno è “Un posto chiamato casa”, proprio
perché vogliamo sottolineare le soluzioni al dramma dei rifugiati. I rifugiati
esistono, ma quali sono le soluzioni? Abbiamo voluto evidenziare che ci sono
tre soluzioni. Una, quella preferita dai rifugiati in assoluto, è il ritorno a
casa. Ma un ritorno che sia in sicurezza e in dignità. Un ritorno che deve
essere sostenuto dalla comunità internazionale. L’altra soluzione è
l’integrazione nel Paese di primo asilo. La terza misura, che è considerata
possibile per dare ai rifugiati un futuro, è quella del trasferimento in un
Paese terzo, il reinsediamento. In questo caso, quando ci sono i Paesi che
offrono delle quote, i rifugiati vengono trasferiti in un Paese terzo se nel
Paese di primo asilo non riescono ad integrarsi o non hanno una protezione
sufficiente. Questa misura di reinsediamento e delle quote ha anche un impatto
sulla diminuzione dei pericoli a cui sono esposti i rifugiati, i quali spesso
sono costretti a rivolgersi ai trafficanti di uomini per mettersi in salvo.
Quindi, noi consideriamo anche questa misura come modo per offrire un futuro ai
rifugiati e anche per contribuire a diminuire il traffico clandestino.
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AL 95.MO KATHOLIKENTAG TEDESCO, GIORNATA ALL’INSEGNA
DELL’ECUMENISMO
CON
L’INTERVENTO DEL CARDINALE WALTER KASPER
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Servizio di Ludwig Waldmüller
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“Ecumenismo della vita”: questo il titolo della conferenza
tenuta dal presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, il
cardinale Walter Kasper. “Noi ci troviamo, da un punto di vista ecumenico, in
uno stadio intermedio - ha affermato - il muro tra le confessioni è stato
danneggiato, ma intorno ci sono ancora tanti massi che rendono difficile il
passaggio”. Nell’ecumenismo, due sono le utopie, secondo il cardinale: quella
progressista, di non vedere cioè più le rocce e quindi cadere – ovvero, chi
pensa che le differenze tra le confessioni non esistano più - e l’altra utopia,
quella clericalista-integralista, di chi – secondo il porporato – pensa di
poter regolare i problemi attraverso tanti divieti. “Quest’ultima utopia
distrugge sul nascere ogni vita e ogni sviluppo”, ha affermato il cardinale
Kasper.
Per tanti anni vescovo della diocesi di
Rottenburg-Stuttgart, la diocesi nella quale si trova Ulm, nella sua conferenza
il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani ha proposto
l’ecumenismo come un processo di crescita, illustrando possibilità pratiche
d’insieme delle diverse Chiese: la lettura della Bibbia insieme a cristiani di
altre confessioni, le preghiere e le celebrazioni liturgiche della Parola, il
grande campo della diaconia. Il cardinale Kasper ha parlato anche della
comunione eucaristica. “C’è una regola - ha sottolineato il porporato - ogni
cristiano fa la comunione in seno alla propria Chiesa, ma ci sono circostanze
in cui anche un non-cattolico può ricevere la comunione nell’ambito di una
Messa cattolica. Non è ora possibile – ha aggiunto – elencare tutti i casi in
cui ciò diventi lecito”. L’ecumenismo deve essere un movimento spirituale, e
anche se all’interno delle diverse confessioni ci sono idee diverse sul “come”
perseguire l’unità dei cristiani, si deve comunque sempre andare avanti. E
ancora un’altro concetto ha espresso il cardinale Kasper: l’ecumenismo deve
essere soprattutto mondiale.
E che alla gente il tema dell’ecumenismo interessi, si è
visto bene: sono venute più di duemila persone ad ascoltare le parole del
cardinale Walter Kasper.
Da Ulm, Ludwig Waldmüller, Radio Vaticana.
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CREARE
UN PONTE DI DIALOGO TRA ISRAELIANI E PALESTINESI:
GIUNTI
A GERUSALEMME I PARTECIPANTI AL VIAGGIO PROMOSSO
DAL
CONSIGLIO DELLE CHIESE CRISTIANE DELLA DIOCESI DI MILANO
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Intervista con don Gianfranco Bottoni -
Cristiani di diverse confessioni sono da ieri in Terra
Santa per ascoltare e promuovere la pace. Si tratta del Cammino ecumenico di
pace a Gerusalemme, promosso dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. Un
itinerario scandito da momenti di incontro con rappresentanti delle Chiese
cristiane, con esponenti delle autorità israeliane e palestinesi e con coloro
che in diverso modo si impegnano per la pace. Lo conferma don Gianfranco Bottoni,
coordinatore dell’iniziativa e responsabile del servizio per l’ecumenismo e il
dialogo della diocesi di Milano, intervistato da Debora Donnini:
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R. – I nostri incontri avverranno con le diverse realtà
delle Chiese presenti, ma soprattutto con le autorità delle due realtà,
israeliane e palestinesi, oggi in conflitto in quel Paese. E poi avremo
incontri con altre esperienze significative: con l’Associazione dei parenti
delle vittime israeliane e palestinesi, l’incontro con un educatore di pace. In
sostanza, con tutte quelle esperienze nelle quali si è attenti ad educare
alla pace, facendosi carico della sofferenza e delle ferite dell’altro. Andremo
a visitare il Centro internazionale di Betlemme, tenuto da un pastore luterano,
palestinese, che lavora per creare sentimenti di pace all’interno dei giovani.
D. – Il vostro
viaggio è fatto da cristiani di diverse confessioni e non solo quindi
cattolici: un segno di unità nella diversità che vuole essere un segno concreto
per questa popolazione …
R. – Direi proprio
di sì. A Gerusalemme è particolarmente visibile il segno delle nostre divisioni.
Noi siamo però anche testimoni che lo Spirito di Dio opera nelle nostre Chiese
per trasfigurare la divisione in quella unità nella diversità, che si attua quando
in spirito di dialogo ci si ascolta per scoprire e lenire le ferite che
sanguinano negli animi. La nostra stessa esperienza di Consiglio delle Chiese
di Milano, un tempo impensabile, unisce oggi una decina di Chiese e di confessioni
diverse che lavorano per l’appunto insieme. Se oggi può apparire impossibile la
pace a Gerusalemme, noi andiamo per poter testimoniare la nostra convinzione
che nulla è impossibile all’unico Dio, Creatore e Signore del cielo e della
terra. E che nulla sia impossibile lo ricaviamo sia dal Nuovo Testamento, sia
dall’Antico Testamento: la Parola di Dio, sia nella Bibbia ebraica che nella
Bibbia cristiana, ha questo punto di forza: tutto è possibile a Dio. La nostra
intenzione è comunque quella di andare e di metterci in atteggiamento di
ascolto. Crediamo che dall’una e dall’altra parte ci siano cause giuste, che
restano sicuramente giuste nella misura in cui non vengono ricercate e
perseguite nella logica dell’inimicizia. Vorremmo stare – almeno metaforicamente
– “dentro” questo conflitto, con l’atteggiamento di chi stringe una mano con
gli uni e l’altro mano con gli altri e sta lì finché le due parti non si ritrovano
loro stesse nell’atteggiamento dello stringersi la mano.
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PARLA
AL FEMMINILE IL CINEMA DEL FESTIVAL DI TAORMINA: PRESENTATO L’ULTIMO FILM DI
MARGARETHE VON TROTTA,
LA
REGISTA JANE CAMPION PARLA DELLA SUA ARTE
-
Servizio di Luca Pellegrini -
Due registe al Festival di Taormina parlano della donna e
di storie al femminile: la tedesca Margarethe von Trotta presenta il suo ultimo
film Die andere Frau in cui racconta una verità scomoda e tragica
vissuta dalla Germania divisa dal muro mentre la neozelandese Jane Campion
svela il suo volto nascosto di artista. Da Taormina, il servizio di Luca Pellegrini:
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Due
registe e due volti di donna: la tedesca Margarethe von Trotta presenta il suo
ultimo film, “Die andere Frau” (“L’altra donna”) mentre la neozelandese Jane
Campion sale in cattedra per la sua “Lezione” di cinema. Entrambe hanno un
particolare intuito nel raccontare storie al femminile. La prima, dopo le
coraggiose spose di “Rosenstrasse” alle prese con il nazismo, affronta un
secondo, doloroso capitolo della recente storia tedesca. L’inizio del film è
abbastanza misterioso: Ivonne (Barbara Auer), bella e ricca signora felicemente
sposata con Peter, riceve inaspettatamente una lettera da parte di Vera (Barbara
Sukova), in carcere da oltre cinque anni. Incuriosita per il contenuto, le fa
visita, senza immaginare quali verità sarà costretta ad affrontare.
Sono
verità per lo più sconosciute anche a noi. Infatti, con quell’amore per la storia
e la società che hanno da sempre contraddistinto il cinema della regista
tedesca, si viene a conoscenza di un programma messo in atto dalla famigerata
Stasi (la polizia segreta della Repubblica Democratica Tedesca) ai tempi della
divisione e del muro: uomini di bell’aspetto e di provata fede nel partito
venivano spediti all’Ovest per concupire signore capaci di trafugare documenti
riservati e consegnarli ai finti spasimanti. Un’operazione su vasta scala che
ha prodotto lacerazioni e tragedie, personali e familiari, ancora oggi non
rimarginate. Sceneggiato con emozione e pudore da Pamela Kats, “Die andere
Frau” conserva i suoi momenti migliori nei dialoghi tra le due donne,
nei loro volti che si contrappongono, nelle fragilità create dai meccanismi
della storia, che per la Germania sono stati particolarmente infelici, se non
spaventosi.
Jane
Campion, invece, parla molto di se stessa e delle dimensioni della vita che le
stanno a cuore: la spiritualità e la sensualità. “Per me è sempre stato difficile
- spiega - parlare di religioni. Sono convinta che ogni essere vivente abbia un
flusso di energia interiore che mette in comunione con tutte le energie della
natura. Dai miei film si capisce anche cosa intendo per sensualità: non è
necessario avere immagini esplicite per percepirla. Basta la fantasia”. Ci
tiene a descrivere la profonda passione per la dimensione intima della natura
femminile: “I miei film sono intimi, perché raccontano come una donna vede il
mondo. E’ bello scoprire cosa pensa una donna nel suo intimo e raccontarlo”. Come
ha fatto con “Lezioni di piano” e “Ritratto di signora”. Infine, identità e
futuro: “Non contano tanto le proprie radici - confessa - quanto la fiducia in
se stessi. Così si riesce ad accettare i cambiamenti ed a capire chi si è
diventati. Questo mi fa essere una persona che non ha molte paure, nemmeno
quella di smettere di girare film. La mia vita non può essere dedicata solo al
cinema, anche se penso che mi abbia aiutato a capirla meglio. Ora è il momento
di prendere una pausa. Non so cosa succederà di me. Ma sono contenta e
soddisfatta di quello che sono”.
Luca Pellegrini, da Taormina, per Radio Vaticana.
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18 giugno 2004
IL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI HA APERTO OGGI A ROMA
LA FASE DIOCESANA DEL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE DI LELIA COSSIDENTE E ULISSE AMENDOLAGINE,
UNA
COPPIA DI SPOSI VISSUTA NELLA PRIMA META’ DEL ‘900
- A
cura di Ignazio Ingrao -
ROMA. =
Dopo i coniugi Beltrame Quattrocchi, si apre il cammino verso gli altari di
altri due sposi romani, genitori di cinque figli, di cui quattro viventi.
Ulisse Amendolagine, originario di Salerno e Lelia Cossidente, di Potenza, si
conoscono nella capitale dove entrambi lavorano come impiegati pubblici. Si
sposano nel 1930 nella parrocchia di Santa Teresa a Corso d’Italia e presto
entrano a fare attivamente parte della famiglia parrocchiale, lui nel
Terz’Ordine carmelitano e lei nella confraternita del Santo Scapolare. Lelia e
Ulisse seguono con amore e dedizione la crescita dei loro cinque figli, due dei
quali prenderanno la strada del sacerdozio. Ma la famiglia viene messa a dura
prova dalla seconda guerra mondiale. I bombardamenti, la fuga da Roma come
sfollati in un paesino dell’Abruzzo, la messa a riposo d’ufficio durante
l’occupazione tedesca, il rifugio e il nascondimento nel Seminario Romano
Maggiore, la paura dei rastrellamenti e delle ritorsioni tedesche, unita
alla mancanza del necessario per sopravvivere, non scoraggiano i due sposi che
restano fedeli alla preghiera quotidiana e alla pratica eucaristica. Dopo la
guerra sono le malattie a mettere alla prova la famiglia. Dopo due anni di
sofferenze Lelia muore nel 1951 a causa di un tumore. Ulisse si spegnerà alcuni
anni dopo, nel 1969, confortato dai sacramenti amministrati dai due figli
sacerdoti. “Le malattie di Lelia e Ulisse, sposi e genitori cristiani,
l’armonia coniugale ed educativa di due differentissime personalità potrebbero
essere luce e confronto a tanti altri genitori”, scrive don Roberto, uno dei
figli che insieme all’altro fratello sacerdote si è fatto promotore del
processo di beatificazione.
DALL’UNIONE DELLE PROVINCE DI CASTIGLIA E TOLEDO, E’ STATA
CREATA IN SPAGNA UNA NUOVA PROVINCIA DEI GESUITI CHE PRENDE IL NOME DI CASTIGLIA.
L’ANNUNCIO
E’
STATO DATO OGGI ALLA PRESENZA DEL PREPOSITO GENERALE, PADRE KOLVENBACH
MADRID. = In Spagna è stata creata una nuova provincia dei
gesuiti: la provincia di Castiglia, che nasce dall’unificazione delle
precedenti province di Castiglia e Toledo. L’annuncio è stato dato oggi, Festa
del Sacro Cuore di Gesù, ad Alcalà di Henares in Spagna, alla presenza del
preposito generale della congregazione dei gesuiti, padre Peter-Hans
Kolvenbach. La curia provinciale è stabilita a Madrid. Fanno parte della nuova
provincia 701 gesuiti con un’età media di 66 anni e 46 anni di vita nella
Società di Gesù. Tra le attività pastorali della nuova provincia si contano 18
scuole, 3 università, 11 parrocchie, 10 chiese e 7 case di esercizi. Superiore
provinciale è stato nominato padre Joaquín Barrero Díaz, 55 anni, già Superiore
provinciale della precedente provincia di Castiglia. A seguito di questa unificazione
le province spagnole dei gesuiti passano da sei a cinque: Castiglia, Andalusia
e Isole Canarie, Loyola, Aragona e Tarragona. (I.I.)
IN
EUROPA, L’INQUINAMENTO UCCIDE OGNI ANNO 100 MILA BAMBINI:
E’
QUANTO AFFERMA IL PRIMO RAPPORTO DEDICATO ALLA VALUTAZIONE
DELL’IMPATTO
AMBIENTALE SULLA SALUTE DEI MINORI
COMMISSIONATO
DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’
E
PUBBLICATO OGGI SULLA RIVISTA SCIENTIFICA “THE LANCET”
GINEVRA.
= Aria inquinata nei luoghi chiusi o all'aperto, acqua contaminata, piombo,
traumi e incidenti: sono questi i cinque 'killer' responsabili ogni anno del
decesso di 100 mila bambini e ragazzi da 0 a 19 anni, in 52 Paesi europei. E’
quanto afferma il primo rapporto dedicato alla valutazione dell’impatto ambientale
sulla salute dei bambini che l'Organizzazione mondiale della sanità ha commissionato
all'Università di Udine e all'Istituto per l'infanzia Burlo Garofalo di
Trieste. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati oggi sull’autorevole
rivista scientifica “The Lancet”. I ricercatori stimano che siano 6 milioni gli
anni di vita in salute persi da bambini e ragazzi da 0 a 19 anni a causa dei
cinque “killer ambientali”. L'aria esterna, rivela il rapporto dell’OMS, è
responsabile di infezioni acute dell’apparato respiratorio, asma, basso peso
alla nascita e danneggiamento delle funzioni polmonari. E in questo caso il
principale nemico sono le polveri sottili. L'aria degli ambienti chiusi uccide
quasi 10 mila bambini l'anno, soprattutto per l'uso di combustibili fossili,
mentre vengono esclusi da questa categoria i danni da fumo passivo. Ben due milioni
di bambini in Europa non hanno accesso all'acqua pulita e le vittime provocate
da questa mancanza sono oltre 13.500. Il piombo non causa il decesso ma è
tossico e può essere all'origine di ritardo mentale lieve ma sufficiente a
complicare le condizioni di vita di chi ne viene a contatto in misura
eccessiva. I risultati di questo rapporto serviranno da base per definire un
piano d’azione che verrà discusso nel corso della quarta conferenza
ministeriale “Ambiente e Salute” in programma a Budapest dal 23 al 25 giugno.
(I.I.)
E’ STATA PUBBLICATA LA GUIDA INTERNET DELLA CHIESA CATTOLICA,
CURATA
DALLA RETE INFORMATICA DELLA CHIESA IN AMERICA LATINA. RACCOLTI
GLI INDIRIZZI DI OLTRE 16 MILA SITI WEB IN SPAGNOLO, PORTOGHESE E ITALIANO
MADRID.
= E’ stata presentata nella sede dell’arcidiocesi di Madrid la Guida Internet
della Chiesa cattolica, curata dal Dipartimento diocesano per Internet e la
Rete Informatica della Chiesa in America Latina (Riial). La pubblicazione
contiene oltre 16 mila indirizzi di siti web in spagnolo, portoghese e italiano
e diecimila indirizzi di posta elettronica. “E’ un passo in avanti ma è solo il
primo”, ha spiegato il direttore della Filmoteca vaticana e membro del
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, mons. Enrique Planas, intervenuto
alla presentazione dell’opera. “La Chiesa deve entrare con decisione nel
settore mediatico se vuol continuare ad essere maestra dell’umanità” ha
spiegato il rappresentate del Pontificio Consiglio. “Il mondo di Internet è
appassionante e favorisce le persone che vogliono avvicinarsi alla ricchezza
culturale e artistica della Chiesa”, ha aggiunto mons. César Franco Martínez,
vescovo ausiliare di Madrid. La guida è stata pubblicata nella versione
cartacea e digitale. La seconda più ricca e aggiornata. (I.I.)
I MISSIONARI COMBONIANI HANNO PROMOSSO
OGGI IN TUTTA ITALIA SIT-IN
DI PROTESTA CONTRO I CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA PER GLI IMMIGRATI
CASTELVOLTURNO. = Si svolge oggi la giornata nazionale di
mobilitazione contro i Centri di permanenza temporanea (CPT) per immigrati
indetta dai missionari comboniani di Castelvolturno. Sono previsti sit-in
davanti alle prefetture, alle questure e ad altri luoghi significativi delle
principali città italiane per chiedere la chiusura di tali Centri. I missionari
denunciano “un regime punitivo-repressivo” che ignora i diritti fondamentali
degli immigrati. “Nei CPT, trasformati in luoghi peggiori delle carceri,
vengono rinchiusi gli immigrati considerati irregolari per la mancanza del
permesso di soggiorno”, affermano i comboniani in un comunicato. Firenze, Roma,
Genova, Milano, Napoli, Parma, Nuoro, Trento, Caserta, Modena, Rovigo,
Avellino, Torino, Venezia, Bari, Agrigento, Varese e Reggio Calabria sono
alcune delle città italiane dove sono previsti i sit-in di protesta. Alla manifestazione,
alla quale ha aderito la Commissione Giustizia e Pace della Cimi (Conferenza
degli istituti missionari italiani), partecipano gruppi e associazioni come il
Naga di Milano, Medici del Mondo, i Padri Sacramentini, la Rete Antirazzista.
All’inizio di giugno dello scorso anno due missionari comboniani si erano
incatenati a una finestra della questura di Caserta per protestare contro le
operazioni delle forze dell’ordine nei confronti degli immigrati di origine africana
che vivono nell’area di Castelvolturno. (I.I.)
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18 giugno 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Proseguono
i lavori con maggiore ottimismo al Consiglio europeo. Al centro del dibattito
il Trattato costituzionale e la nomina del prossimo presidente della
Commissione. Dopo un po’ di tensione registrata in nottata durante una discussione
protrattasi ad oltranza, i leader sembrano più vicini ad una intesa. Sugli
ultimi aggiornamento, sentiamo da Bruxelles la nostra inviata Fausta Speranza:
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In attesa di pronunciamenti ufficiali, c’è un’ultima
proposta di compromesso di cui si parla con molta fiducia, forse vincente per
risolvere l’impasse. Si tratta di una sorta di super maggioranza
qualificata che sostituirebbe l’ipotesi dell’unanimità su materie chiave: unanimità
alla quale la Gran Bretagna non intendeva rinunciare. La proposta è tanto più
promettente se è vero, come si dice, che verrebbe dal premier britannico, Tony
Blair. In ostanza, si vorrebbe distinguere fra temi sui quali si può decidere
potendo contare sul 55 per cento di Stati e il 65 per cento della popolazione e
temi sui quali invece varrebbe la seconda soglia fissata al 62 per cento. Gli
argomenti per i quali si chiede invece una soglia più restrittiva sarebbero
politica estera e giustizia. E si comprende meglio anche il salto di qualità
che l’idea potrebbe far compiere all’intesa se si ricorda che la Gran Bretagna
minacciava il veto, chiedendo un’unanimità su questi ambiti, oltre a fisco,
politica sociale ed immigrazione. Dunque, superati gli ostacoli più difficili,
si dovrebbe arrivare davvero a quell’accordo su tutti i fronti ed in giornata.
Accordo per il quale, a metà mattina, si è detto ottimista il presidente del
Parlamento, Pat Cox. E “su tutti i fronti” significa anche individuare il nome
del successore di Romano Prodi. Con i giornalisti che cercavano di strappargli
qualche indiscrezione su Verhofstadt, Cox ha glissato dicendo che “non c’è
qualcuno più candidato di altri”. Resta quanto già noto finora: un veto da
parte di Gran Bretagna ed Italia sul premier belga, alacremente sostenuto da
Francia e Germania.
Da Bruxelles, Fausta Speranza, Radio Vaticana.
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Nessuna trattativa con i
terroristi. È la linea adottata dall’amministrazione americana e dalle autorità
dell’Arabia Saudita in merito alla vicenda del cittadino americano, rapito a
Riad sabato scorso da un gruppo legato ad Al Qaida. I rapitori hanno minacciato
di uccidere l’ingegnere americano, Paul Marshall Johnson, se non saranno
rilasciati alcuni estremisti
islamici detenuti nelle carceri saudite. Stamani un collega
dell’ostaggio ha lanciato un appello ai rapitori affinché l’americano venga
rilasciato. E un imam della moschea della Mecca ha inoltre chiesto la fine
degli attacchi contro i non musulmani in Arabia Saudita.
L’Agenzia internazionale per
l’energia atomica (Aiea) ha approvato oggi una risoluzione presentata da
Francia, Germania e Gran Bretagna nella quale si esprime “preoccupazione per
questioni non risolte legate al programma nucleare dell’Iran”. Il ministro
degli Esteri iraniano, Kamal Kharrazi, ha detto che si tratta di una risoluzione
“motivata politicamente” e che il Consiglio dei governatori dell’agenzia “non
ha agito puramente in base a dati tecnici” e ha “amplificato alcuni problemi
minori per gli obiettivi politici di alcune potenze”, in particolare degli
Stati Uniti.
In
Medio Oriente, estremisti palestinesi hanno lanciato un nuovo tipo di missile
dalla Striscia di Gaza contro la città israeliana di Sderot, nel deserto del
Negev. Il razzo denominato Nasser 3, che ha causato danni leggeri, ha una
gittata più lunga e una maggiore potenza esplosiva rispetto ai modelli
precedenti.
“La
situazione in Afghanistan è una delle ragioni della creazione del gruppo di
Shangai”. Così il capo del Cremlino Putin ha giustificato l’appoggio al governo
di Kabul, deciso ieri da Russia, Cina, Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan,
riuniti in un organismo di cooperazione dal 2001. Il servizio di Giuseppe
D’Amato:
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Un
ruolo sempre più cruciale in Asia centrale per il Gruppo di Shangai: Cina,
Russia e quattro Repubbliche ex-sovietiche l’hanno ribadito nel vertice
tenutosi a Tashkent, in Uzbekistan, dove è stato inaugurato il quartier
generale. Lotta al terrorismo internazionale ed al commercio della droga sono i
due obiettivi principali del Gruppo che si propone anche di tenere sotto
controllo l’evoluzione in Afghanistan. Il presidente Putin ha espresso la
speranza che il collega di Kabul, Kharzai, presente come ospite anche lui a
Tashkent, riesca a mantenere la stabilità nel Paese in vista delle elezioni. La
Russia ha aperto una base aerea a Kant, in Kirghizia, proprio per controllare
la regione. Il Gruppo ha poi stabilito di tenere consultazioni in materia di
politica estera su argomenti riguardanti la sicurezza dell’area, firmando un
protocollo d’intesa.
Per
la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Il conflitto del Darfour,
regione occidentale del Sudan, rischia di allargarsi ad altri Paesi. Violenti
scontri sono scoppiati ieri in Ciad, al confine con il Sudan, tra l’esercito di
N’Djamena e le milizie arabe che appoggiano il governo di Karthoum,
provenienti dal Darfour. Probabilmente
all’origine delle violenze c’è il tentativo dei miliziani di reclutare truppe
nel Paese confinante. Sarebbero 69 i morti tra le truppe arabe Janjawid. Ma
quali i motivi all’origine della crisi nel Darfur? Giancarlo La Vella ne ha
parlato con Domenico Quirico, esperto di Africa del quotidiano La Stampa:
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R. – Si è lasciato che questa situazione di genocidio nel
Darfour si incancrenisse, ed è evidente che le metastasi si estendano con
decine di migliaia di profughi del Darfour stesso nel vicino Ciad: era
inevitabile che ciò avvenisse. La conseguenza è stata che la crisi del Darfour
si è estesa con i profughi, con le violenze delle milizie al soldo del governo
di Khartoum, inevitabilmente anche al Ciad, altro Paese estremamente debole,
fragile e che potrebbe esplodere, come è successo nel Sudan.
D. – Si vuole in qualche modo far scontare al Ciad di
essersi posto come mediatore nella crisi del Darfour?
R. – Probabilmente sì. Chi siano i veri responsabili di
questo genocidio, è ancora poco chiaro. Le organizzazioni indipendentiste o
separatiste del Darfour sono dei nomi dietro cui ci sono degli agenti. Tutto
questo, nelle crisi africane ci può anche stare. Quello che non si deve assolutamente
verificare è l’indifferenza e l’insofferenza della comunità internazionale, in
particolare delle Nazioni Unite, nei confronti di un problema che ha ormai
assunto proporzioni assolutamente gigantesche.
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In Somalia, è di almeno sei morti il primo bilancio degli
scontri di mercoledì scorso tra diverse milizie per il controllo del porto di
Chisimaio, città a circa 500 chilometri a sud di Mogadiscio. La Somalia è priva
di un governo centrale dal 1991, anno in cui fu rovesciato il regime del
dittatore, Siad Barre.
L’ex
leader serbo, Slobodan Milosevic, nel corso dell’udienza preliminare tenutasi
ieri alla Corte penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia,
ha chiesto di far intervenire l’ex presidente americano Bill Clinton, il primo
ministro britannico Tony Blair ed il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder come
testimoni al processo, intentato a suo carico, che si terrà il prossimo 5
luglio al Tribunale dell’Aja. L’imputato, che si difenderà da solo dalle accuse
di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra in relazione ai
conflitti di Croazia, Bosnia e Kosovo, ha dichiarato di voler dimostrare
l’infondatezza delle accuse rivolte contro di lui, la Serbia e la Repubblica
federale di Jugoslavia.
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