RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 168 - Testo della trasmissione di mercoledì 16 giugno
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Convegno islamo-cristiano, la scorsa settimana a
Beirut, sulla convivenza
In
Iraq, un attentato uccide 9 persone nella città di Ramadi. Cresce l’attesa per
la sorte di Saddam Hussein
Ariel
Sharon prosciolto dall’accusa di corruzione
Domani
il Consiglio europeo a Bruxelles. Per Prodi possibile il varo della Carta
costituzionale.
16 giugno 2004
IL
SIGNORE INTERVIENE CONTRO LE GUERRE E STABILISCE LA PACE
PER
TUTTI GLI UOMINI: COSI’, IL PAPA, STAMANI, ALL’UDIENZA GENERALE
IN
PIAZZA SAN PIETRO, DEDICATA AL SALMO 45,
“DIO
RIFUGIO E FORZA DEL SUO POPOLO”
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Nonostante
gli sconvolgimenti della storia, il fedele trova sempre pace e serenità nella
comunione con Dio. E’ la riflessione offerta stamani da Giovanni Paolo II ai
fedeli raccolti in piazza San Pietro per l’udienza generale. La catechesi è
stata dedicata al salmo 45, “Dio rifugio e forza del suo popolo”. Citando il
profeta Isaia il Papa ha, inoltre, invocato la fine delle guerre e della corsa
agli armamenti. Il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
Primo
dei sei inni a Sion, il salmo 45 celebra la Città santa di Gerusalemme, “ma
esprime soprattutto una fiducia incrollabile in Dio” rifugio e forza nelle
angosce. Giovanni Paolo II ha tratteggiato così il significato del componimento
sacro, con il quale la tradizione cristiana ha inneggiato a Cristo “nostra
pace” e nostro “liberatore dal male attraverso la sua morte e risurrezione”:
“Il
Signore interviene con estremo vigore contro le guerre e stabilisce la pace che
tutti bramano”.
Anche
il profeta Isaia, ha aggiunto il Papa, “ha cantato la fine della corsa agli armamenti
e la trasformazione degli strumenti bellici di morte in mezzi per lo sviluppo
dei popoli”. Peraltro, ha rilevato, il titolo di “Signore degli eserciti”,
tipico del culto ebraico nel tempio di Sion, “nonostante l’aspetto marziale”,
rimanda alla “signoria di Dio sull’intero cosmo e sulla storia”. E’ allora un
titolo di fiducia, perché “il mondo intero e tutte le sue vicende sono sotto il
supremo governo del Signore”.
Il
salmo, ha spiegato il Pontefice, è incentrato sul simbolo dell’acqua e presenta
un significato contrastante. Da un lato, si scatenano le acque tempestose,
segno - nel linguaggio biblico - di devastazione e caos. Dall’altro, ecco le
acque dissetanti di Sion, in cui il salmista scorge “un segno della vita che
prospera nella Città santa, della sua fecondità spirituale, della sua forza
rigeneratrice”.
Per
questo, nonostante gli sconvolgimenti della storia che fanno fremere i popoli e
scuotono i regni, il fedele incontra in Sion la pace e la serenità derivanti
dalla comunione con Dio.
All’udienza
generale in piazza San Pietro, hanno partecipato oltre 10 mila persone. Giovanni
Paolo II è giunto in auto scoperta, compiendo un ampio giro della piazza per
ricevere il caloroso abbraccio dei fedeli. Dopo la catechesi, al momento dei
saluti, il Papa ha ricordato che, dopodomani, verrà celebrata la solennità del
Sacro Cuore di Gesù. “Una festa – ha affermato – che richiama il mistero
dell’Amore che Dio nutre per gli uomini di ogni tempo”. Ha così invitato i
giovani a prepararsi alla scuola del Cuore di Cristo, affrontando con fiducia
gli impegni che li attendono nel corso della vita.
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“L’EUROPA,
PUR CON TUTTE LE DIVERSITÀ CULTURALI,
DEVE
DIVENIRE SEMPRE PIÙ UNITA NELLO SPIRITO”.
COSI’
IL PAPA NEL MESSAGGIO PER IL 95.ESIMO KATHOLIKENTAG TEDESCO.
L’INCONTRO,
CHE INIZIA OGGI POMERIGGIO E CHIUDERA’ IL 20 GIUGNO A ULM,
SI
PROPONE DI RAFFORZARE IL CONTRIBUTO
DEI CATTOLICI
NELLA CONVIVENZA TRA I POPOLI
- A
cura di Barbara Castelli -
“Le
manifestazioni di questo grande incontro dei cattolici vi incoraggino ad alzare
la voce quando si mettono in discussione i fondamenti della fede cristiana e
della convivenza umana”. Con queste parole Giovanni Paolo II, in un messaggio,
saluta i partecipanti al 95.mo Katholikentag tedesco, a Ulm, nella diocesi di
Rottenburg-Stuttgart.
L’incontro,
sul tema “Vivere della forza di Dio”, ha sottolineato il Papa, vuole essere una
corale celebrazione della fede nel Signore della vita e un’occasione di
riflessione su alcuni temi chiave dello scenario contemporaneo: bioetica,
ecumenismo, Europa e globalizzazione.
“Vi
invito a vivere queste giornate comuni - esorta il Pontefice nella lettera -
con occhio sveglio e cuore aperto, affinché una volta ancora possiate prendere
coscienza della potenza con cui la forza di Dio opera in voi e può essere da
voi trasmessa come testimonianza credibile alla società intera”. Un impegno,
quindi, che deve tradursi in gesti concreti di solidarietà, “a favore dei
poveri e degli svantaggiati”, “per la pace e la giustizia in tutto il mondo”.
Dopo
aver ricordato che solo Dio è fonte di vera speranza e forza per ogni creatura
umana, il pensiero del Papa si è rivolto all’Unione Europea, che lo scorso
primo maggio ha esteso i propri confini abbracciando 10 nuove nazioni.
“L’Europa - scrive Giovanni Paolo II - non è in realtà un’unione casuale di
Stati che hanno solamente un nesso geografico. L’Europa, pur con tutte le
diversità culturali, deve diventare sempre più, sulla base dei valori umani e
cristiani, un’unione dello spirito”. Per essere veramente unito, quindi, il
Vecchio Continente non può voltare le spalle alle proprie radici cristiane,
privando gli uomini “della grande possibilità di salvezza offerta da Dio” e
imbrigliando uno “sviluppo positivo dei suoi popoli”.
“Lasciatevi
guidare, in questi giorni - conclude il Papa - dalla dinamica di Dio che
illumina e rende liberi. Depositate tutte le vostre pene, le vostre incapacità
e limitatezze nell’ampiezza di Dio, il cui amore è più grande del nostro cuore”.
Sull’incontro
lasciamo la parola al nostro collega della redazione tedesca, Ludwig Waldmüller,
inviato a Ulm:
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L’Olanda e la città di Ulm hanno in questi giorni una cosa
in comune, il colore arancione. Lì il colore della squadra di calcio, qui il
colore del Katholikentag, la giornata dei cattolici. La città è piena di
bandiere, manifesti e indicazioni in arancione, e dappertutto si possono già
vedere la gente che porta i tesserini del Katholikentag – naturalmente legati
ad un portachiavi arancione. Intanto arrivano i partecipanti alla giornata dei
cattolici: saranno più di 24 mila, 10 mila più di quanto gli organizzatori
avessero previsto. Stasera, alle ore 18.00, il Katholikentag tedesco verrà
aperto con una manifestazione ed una preghiera comune nella piazza davanti al
“Muenster”, la chiesa più grande di Ulm che dai tempi della riforma è
protestante e che oggi è la Chiesa protestante più grande della Germania.
La serata andrà avanti fino a mezzanotte con una “festa di
incontro” in tutto il centro della città. Circa 800 celebrazioni liturgiche,
discussioni, incontri, feste, preghiere o altre manifestazioni seguiranno fino
a domenica: tutto sotto il tema “Leben aus Gottes Kraft”, vivere dalla forza di
Dio. I Katholikentage sono una istituzione da 156 anni, sempre organizzati dal
“Zentralkomittee der Deutschen Katholiken”, il Comitato centrale dei cattolici
tedeschi, l’organizzazione centrale dei laici cattolici in Germania. Dei circa
82 milioni di tedeschi, 26,5 milioni sono cattolici, 26, 1 milioni protestanti.
La religione più grande che segue nel paese sono i musulmani con circa 3,2 milioni.
La giornata dei cattolici sarà la possibilità per la Chiesa di vivere l’insieme
della fede, di mostrarne la vivacità, di discutere su Chiesa e società. Ma
anche, come sottolineava il cardinale Karl Lehmann, presidente della Conferenza
episcopale tedesca: “E’ anche una grande possibilità per la chiesa di occupare
le copertine dei giornali e le prime notizie in televisione e radio”.
Da Ulm, Ludwig Waldmueller, per la Radio Vaticana.
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RICONCILIAZIONE
FRATERNA, LOTTA ALLA POVERTA’, ALL’AIDS E ALLA CORRUZIONE:
LE
PRIORITA’ DELLA CHIESA PER L’AFRICA RICORDATE DAL PAPA NEL DISCORSO
AI
VESCOVI DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL CONTINENTE,
RIUNITI
NEL 12.MO CONSIGLIO POST-SINODALE
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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Speranze e piaghe per un continente in eterna lotta contro
i mali che lo affliggono. Giovanni Paolo II ha dedicato una nuova e accorata
riflessione all’Africa, in un discorso indirizzato ai suoi presuli, riuniti nel
12.mo incontro del Consiglio post-sinodale dell’Assemblea speciale per
l’Africa, conclusosi oggi a Roma, che ha stata fissata la data della 13.ma
riunione al 7 e l’8 giugno 2005. Il Papa ha messo in evidenza le luci e le ombre
di un continente che non sembra conoscere “né tregua né pace durevoli” e nel
quale, ha osservato, le “situazioni politiche e socio-economiche sono ancora
per la maggior parte tragicamente sfavorevoli” e dunque tanto “più lodevoli e
degne di ammirazione” sono le iniziative e i progetti messi in campo dalle
Chiese locali.
Nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in
Africa, il Pontefice aveva già notato i segnali positivi che lasciano ben
sperare per il futuro di questa enorme porzione geografica del sud del mondo.
Ma non ha esitato a denunciare ancora una volta i “flagelli” che ne colpiscono
le popolazioni: dalla povertà all’Aids, dai “focolai endemici di lotta”, che
“seminano terrore e devastazioni”, alla corruzione troppo diffusa a vari
livelli della società civile. “In tal modo – è stata la preoccupata
constatazione del Papa – si chiude il circolo vizioso che fa andare in cancrena
questo giovane corpo pieno di vigore”. In che modo portare aiuto, dunque?
Giovanni Paolo II ha ricordato ai vescovi e alle “forze vive della società” africani
le “cinque priorità” già delineate
dalla Chiesa per restituire agli africani, ha affermato, “quanto è stato loro
sottratto, spesso con la violenza”: il rispetto della vita e delle diversità
religiose, lo sradicamento della povertà, la fine del traffico delle armi, la
soluzione dei conflitti e l’azione in vista d’uno sviluppo motivato dalla
solidarietà.
Inoltre il Pontefice,
nell’esprimere gratitudine ai vescovi dell’Africa per le iniziative e i
progetti di solidarietà, ha richiamato alla necessità di “un’autentica
riconciliazione fraterna, dopo le ferite provocate dai conflitti che – ha osservato - ancora
avvelenano i rapporti interpersonali, inter-etnici e internazionali nelle
diverse regioni dell’Africa”. Non sarebbe giunto il momento, come sollecitano
numerosi pastori d’Africa, di approfondire questa esperienza sinodale
africana?”, si è chiesto Giovanni Paolo II al termine del suo discorso,
sottolineando la “dimensione familiare della Chiesa locale”. Ed ha concluso:
“L’eccezionale crescita della Chiesa in Africa, il rapido ricambio dei pastori,
le nuove sfide che il Continente deve affrontare esigono risposte che solo la
prosecuzione dello sforzo richiesto dalla messa in opera dell’Ecclesia in
Africa potrebbe offrire, ridando così rinnovato vigore e rafforzata
speranza a questo continente in difficoltà”.
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NOMINE
In Indonesia, Giovanni Paolo II ha accettato la rinuncia
al governo pastorale della Diocesi di Larantuka, presentata per raggiunti
limiti di età dal vescovo Darius Nggawa, dei Padri Verbiti. Al suo posto, il
Papa ha nominato mons. Franciscus Kopong Kung, finora coadiutore della medesima
Diocesi.
In Brasile, il Pontefice ha accettato la rinuncia
all’ufficio di ausiliare dell’Arcidiocesi di Brasília, presentata per raggiunti
limiti di età dal vescovo gesuita, João
Evangelista Martins Terra.
NOTA DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA VATICANA,
NAVARRO VALLS,
SULLA CREAZIONE DI DUE NUOVE DIOCESI,
NATE DALLA DIVISIONE TERRITORIALE DELL’ARCIDIOCESI DI BARCELLONA,
ERETTA DAL PAPA A CHIESA METROPOLITANA
- A cura di Alessandro De Carolis -
In relazione alla creazione di due
nuove diocesi di Terrassa e di Sant Feliu di Llobregat, nate dalla suddivisione
del territorio dell’arcidiocesi di Barcellona, elevata a rango di Chiesa
Metropolitana – diocesi per le quali Giovanni Paolo II ha provveduto a nominare
come primi vescovi rispettivamente il 48.enne mons. Josep Angel Saiz Meneses,
finora ausiliare di Barcellona, e il 57.enne mons. Augustin Cortés Soriano,
finora vescovo di Ibiza – il direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin
Navarro Valls, ha precisato che la divisione della grande arcidiocesi catalana
“era allo studio da un paio di decenni”. Già all’inizio degli anni Ottanta, ha
spiegato il portavoce vaticano, l’allora arcivescovo di Barcellona, il cardinale
Narciso Jubany, “aveva fatto alcuni passi prospettando l’opportunità di creare
due nuove diocesi. Successivamente alcuni ecclesiastici, a più riprese, hanno
fatto presente alla Congregazione per i Vescovi l’utilità pastorale che sia la
demarcazione di El Vallés, sia la demarcazione del Baix Llobregat,
Penedés i Garraf fossero erette in diocesi”.
Ora, dopo la divisione, il numero degli abitanti
dell’arcidiocesi di Barcellona rimane di circa 2 milioni e mezzo di persone,
mentre la nuova diocesi di Terrassa ne conterà circa un milione, con 12 arcipreture
e 120 parrocchie. Allo stesso tempo, la diocesi di Sant Feliu de Llobregat avrà
670 mila abitanti e sarà suddivisa in 9 arcipreture e 121 parrocchie.
CHIUSO
OGGI IN VATICANO L’INCONTRO INTERDICASTERIALE SUL NEW
AGE PER
RIFLETTERE
SULLE SFIDE CHE IL COMPLESSO FENOMENO PONE ALLA CHIESA
-
Intervista con la dott.ssa Teresa Gonçalves -
New Age, una sfida per i cristiani: si sono conclusi oggi, in
Vaticano, i lavori dell’incontro interdicasteriale sul complesso fenomeno, con
la partecipazione di esponenti del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso, il Pontificio Consiglio della Cultura, il Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e la Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli. Già lo scorso anno era stato presentato un
documento esplicativo, intitolato “Gesù Cristo, portatore dell’acqua viva – una
riflessione cristiana sul New Age”. Giovanni Peduto ha chiesto alla
dott.ssa Teresa Gonçalves, officiale del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso, cosa è emerso dall’incontro:
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R. – Dall’incontro sono emerse delle indicazioni pastorali
per rispondere alle sfide della mentalità del New Age che si sta
diffondendo un po’ dappertutto, non solo tra i cristiani, ma tra persone di
diverse religioni, dando una prospettiva di tipo caleidoscopico, che riunisce
elementi di varie origini e crea sempre configurazioni nuove e suggerimenti
nuovi. E’ diffuso attraverso delle tecniche per sviluppare la potenzialità
umana, per esperienze spirituali o per la guarigione. Tante volte si prende
spunto da ideologie o modi di vedere che sono però antitetici rispetto alla
visione cristiana.
D. – A proposito della visione cristiana, c’è
compatibilità tra New Age e cristianesimo?
R. – Se pensiamo al termine New Age, che vuole dire
nuova era, possiamo dire che siamo in una nuova era cristiana ed il desiderio
di migliorare il mondo in cui ci troviamo è comune a tutti gli uomini. Quando
si parla invece di New Age intesa come una corrente culturale ed
ideologica, che ha fondamento nell’esoterismo del XIX secolo, sicuramente
troviamo delle idee, che sono opposte a quelle cristiane, perché sono nate
proprio come alternativa alla visione dominante.
D. – Quale dialogo è possibile con questo complesso mondo
del New Age?
R. – Il dialogo è sempre possibile con ogni persona che
creda o non creda, che abbia una ideologia, una religione o una cultura diversa
dalla nostra. Con le persone è sempre possibile ed anzi è un dovere il dialogo.
Ma il dialogo deve portare ad un porto sicuro, deve avere cioè un senso e deve
avere una conclusione. Nel dialogo si deve essere autentici in quello che si
crede ed è necessario cercare di entrare un po’ nel mondo l’uno dell’altro, per
vedere come si può raggiungere una maggiore intesa, un maggior perfezionamento
anche di noi stessi.
D. – Che uso farete dei risultati di questo Simposio?
R. – Abbiamo cercato di riunire, in due o tre pagine, le
principali considerazioni che sono state fatte qui sia sul discernimento
riguardante alle tecniche promosso dal New Age, sia riguardo alla
spiritualità, sia riguardo ad altri principi di discernimento. Questo rappresenta
semplicemente una sintesi e non vuole essere un documento ufficiale.
Rappresenterà il frutto degli scambi di questi giorni. Sarà comunque successivamente
perfezionato, proprio perché è stato stilati in poco tempo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con
l'esortazione di Giovanni Paolo II ad unire tutte le forze della società, in
particolare quelle della Chiesa, per "spezzare le nuove catene" che
opprimono il continente africano: tale esortazione è stata formulata dal Papa
all'udienza generale, rivolgendosi ai partecipanti alla Riunione del
Consiglio post-sinodale dell'Assemblea Speciale per l'Africa della Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Il messaggio del Papa al
vescovo di Rottenburg-Stuggart, in occasione del 95.mo "Katholikentag"
tedesco in corso ad Ulm: l'Europa, nonostante la sua molteplicità culturale, deve
divenire sempre più, sulla base dei valori umani e cristiani, un'unità
spirituale.
Un articolo di Inos Biffi dal
titolo "Il culto all'Eucaristia".
Nelle estere, in rilievo
l'Iraq: il generale Casey sostituisce Sanchez come capo delle forze della
coalizione. Il Presidente Bush detta le condizioni per la consegna di
Saddam Hussein agli iracheni.
Sudan: nel Sud muoiono 95.000
bambini all'anno per fame e malattie.
Nella pagina culturale, un
dettagliato articolo di Mario Gabriele Giordano dedicato ad una nuova edizione
del "Diario di un giudice" di Dante Troisi.
Nelle pagine italiane, in primo
piano un articolo sulla riflessione, in sede politica, riguardo all'esito delle
elezioni europee ed amministrative.
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16 giugno 2004
CONCLUSO
A ROMA IL CONVEGNO SUI DIRITTI E L’INTEGRAZIONE DEI RIFUGIATI.
CRITICHE
LE ONG: IN ITALIA MANCANO LEGGI APPROPRIATE
- Ai
nostri microfoni di Chiara Peri e di Roberto Losciale -
Scarsa
accoglienza e pochi diritti. E’ questa la situazione di centinaia di migliaia
di rifugiati e richiedenti asilo che fuggono verso i Paesi europei in cerca di
una realtà migliore, costretti a vivere lontano dalle proprie radici a causa di
guerre, fame e persecuzioni. Una situazione aggravata in Italia dall’assenza di
una legislazione organica in materia. La denuncia arriva dalle Organizzazioni
non governative italiane a conclusione di un Convegno su diritti e integrazione
dei rifugiati svoltosi a Roma. Il servizio di Francesca Smacchia e Stefano
Leszczynski.
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In Italia, oltre 9 mila rifugiati riconosciuti e più di 8
mila richiedenti asilo sono abbandonati a se stessi e alle poche risorse che il
mondo del volontariato riesce a mettere loro a disposizione. L’assenza di una
legge organica in materia, e la lentezza esasperante della burocrazia nazionale
nell’esaminare le domande d’asilo, costringe migliaia di persone in fuga da
guerre e persecuzioni di ogni genere a lottare per la sopravvivenza quotidiana,
proprio nel Paese in cui hanno cercato rifugio. Una situazione anomala in
Europa, che rende estremamente complesso anche il processo di integrazione
sociale di queste persone. Sentiamo il commento di Chiara Peri del Centro
Astalli di Roma:
R. – Credo che una cosa importante sia cercare di lavorare
con gli italiani, oltre che con i rifugiati, per creare i presupposti per
un’integrazione. Quando si parla di integrazione non si dovrebbe intendere un
processo a senso unico di un adeguamento dello straniero che arriva alla
società che trova, ma anche della società che lo accoglie, in vista di un
risultato comune, che è una società nuova più consapevole delle differenze
culturali e più consapevole dei diritti di cui ciascun cittadino è portatore.
Eppure gli strumenti di tutela dei diritti dei rifugiati
richiedenti asilo avrebbero potuto essere disponibili da tempo. Sono oltre 4
anni che un progetto di legge sull’asilo giace in Commissione Affari
Costituzionali della Camera, senza approdare a nulla di concreto. In questo
contesto, si inserisce il grave problema dei centri di permanenza temporanea,
in cui vengono rinchiusi indistintamente immigrati clandestini ex galeotti in
attesa di espulsione ed interi nuclei familiari di richiedenti asilo. Una
situazione denunciata in un rapporto da Medici senza Frontiere, ma con quali
risultati? Risponde Roberto Losciale della Ong italiana:
R. – Stiamo pagando lo scotto della pubblicazione di
questo Rapporto, perché comunque siamo stati mandati via dal Centro di
Lampedusa, all’interno del quale c’era un nostro infermiere. C’è stato
interdetto un ingresso anche a due centri di permanenza temporanea in Puglia.
Per cui ci sentiamo un poco messi da parte, forse proprio a causa della pubblicazione
di questo documento
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TEMPO
DI BILANCI PER IL POLICLINICO “AGOSTINO GEMELLI”.
OGGI E
DOMANI A ROMA LE CELEBRAZIONI PER IL QUARANTENNALE DI FONDAZIONE
-
Intervista con Lorenzo Ornaghi -
Una tavola rotonda dedicata al fondatore dell’ateneo del
Sacro Cuore, padre Agostino Gemelli, ha aperto oggi a Roma le iniziative per i
40 anni del Policlinico dell’Università Cattolica. Le celebrazioni culmineranno
domani con l’inaugurazione della “Piastra Polifunzionale” del Gemelli, alla
presenza del cardinale Camillo Ruini, del ministro della Salute Girolamo
Sirchia e dell’onorevole Gianni Letta. Su questa particolare ricorrenza, Fabio
Colagrande ha raccolto il commento di Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università
cattolica del Sacro Cuore.
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R. - Quarant’anni sono pochi e tanti: sono pochi nella
vita di un’istituzione e molti nella vita di ciascuno di noi. Ci permettono di
guardare indietro e vedere ciò che è stato fatto. In 40 anni, il Policlinico
Gemelli è diventato una grande realtà, non solo nazionale ma anche
internazionale. Lungo questa strada dovremmo procedere sempre con maggiore impegno.
Qual è però il significato più profondo? Il Policlinico è il sogno di Agostino
Gemelli: un sogno che il nostro padre fondatore vede cominciare a plasmarsi ma
di cui non vedrà la realizzazione concreta. Credo che ciò sia di grande
importanza: è una testimonianza ulteriore che quando si crede fino in fondo ad
una grande causa, si riesce poi a tradurla in realtà.
D. - Noi sappiamo che una delle linee di sviluppo più
seguita dai vescovi italiani in questi anni è quella del Progetto culturale. In
questo ambito, una struttura come quella del Policlinico Gemelli, inserita in
quella più ampia dell’Università Cattolica, quali linee per uno sviluppo futuro
si prefigge?
R. - Credo siano soprattutto due gli obiettivi. Uno legato
al progetto culturale orientato in senso cristiano: il Gemelli è la
testimonianza che - ed è fuori da ogni retorica - ciò che importa è la persona
e la persona nella sua totalità, soprattutto nel momento in cui la persona è
più indifesa. L’altro aspetto che non va mai dimenticato è che il Policlinico,
collegato strettamente alla Facoltà di medicina e chirurgia, è un luogo di ricerca.
Credo che il progetto culturale ci solleciti davvero - come spesso si dice - ad
alzare la nostra antropologia ai livelli della ricerca scientifica.
D. - A proposito dei quarant’anni del Policlinico Gemelli:
c’è da ricordare che, secondo molti biografi, Giovanni Paolo II ha trascorso
qualcosa come 135 giorni in questa struttura ospedaliera, che lui stesso ha
spiritosamente definito “il Vaticano numero tre”, dopo San Pietro e Castel
Gandolfo. Cosa si può dire, rettore Ornaghi, sul rapporto particolare tra il
Papa e il Policlinico Gemelli?
R. - E’ un rapporto del quale l’Università Cattolica
intera è altamente orgogliosa, proprio perché da quel rapporto è nato quel
particolare affetto che il Santo Padre ci ha dimostrato e testimoniato in
diverse occasioni. E’ un rapporto che nasce certo, e purtroppo, con le lunghe
degenze del Santo Padre, ma anche prima. Il Policlinico Gemelli ha ospitato
negli ultimi giorni della sua esistenza terrena Giancarlo Brasca, che è stato
il grande direttore amministrativo della nostra Università ed è stato legato da
un profondo rapporto di affetto all’arcivescovo di Cracovia. Direi, quindi, che
ci sono una serie di rapporti che vanno anche al di là degli elementi più
istituzionali.
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AL
FESTIVAL DI TAORMINA, PRESENTATO IL FILM “HURENSOHN”
DELL’ESORDIENTE
REGISTA TEDESCO MICHAEL STURMINGER,
UNA
DELLE OTTO PELLICOLE IN GARA PER IL PREMIO “BNL-OPERA PRIMA”
-
Servizio di Luca Pellegrini -
La 50.ma edizione del Festival cinematografico di
Taormina, che si concluderà il prossimo 20 giugno, prosegue - tra retrospettive
e premi a personalità di spicco del panorama cinematografico mondiale - con la
visione dei film in concorso di altrettanti registi esordienti. Tra le otto
pellicole in lizza, presentate all'interno delle sezioni “Cinema del mondo” e
“Grande cinema al Teatro Greco”, la giuria internazionale, presieduta dal regista
tedesco Michael Verhoeven dovrà individuare quella vincitrice cui assegnare i
25 mila euro del Premio BNL Opera Prima, destinati allo sviluppo dell'opera
seconda. Il servizio di Luca Pellegrini:
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Proseguendo l’esplorazione dei disagi sociali che imperversano
sull’Europa delle migrazioni e dell’edonismo, ecco la storia di Ozren, della
sua mamma e dei suoi parenti croati in “Hurensohn”,
dell’austriaco Michael Sturminger. La sfacciataggine del titolo corrisponde
alla vita promiscua e dolorosa della donna, che produce inevitabili riflessi di
sofferenza e di ribellione nel figlio. Lo vediamo a tre anni, quando pensa che
la mamma sia un angelo protettore e con difficoltà lei tenta di esserlo. A nove
anni, l’età dell’apprendimento, alcuni dubbi si insinuano, specialmente quando
vicini ed amici si indirizzano a lui in termini non propriamente educati e
molto espliciti, ma l’attaccamento alla figura materna non viene scalfita dalla
realtà. A sedici anni, Ozren con chiarezza perviene alla verità, soprattutto per
l’abbandono che comincia a pesare, i clienti che occupano di notte
l’appartamento ed il denaro col quale la madre crede di supplire all’affetto
dovuto. Un ruolo positivo, nella vita di Ozren, lo assumono gli zii, che gli
assicureranno attenzione e futuro nel momento in cui una tragedia troppo
intuibile (e facile) sconvolgerà la sua vita. Sturminger sa condurre, però,
senza melismi facili ma con proporzione e verità questa vicenda cruda e ben
interpretata, in cui il senso della maternità travalica anche la più infima
delle vite.
Molte sono, invece, le vite che si spezzano, per motivi
ben diversi, nella celebre vicenda dell’assedio di Alamo, avvenuta in Texas nel
1836 ad opera delle truppe messicane. Quasi 200 i texani uccisi in un’ora e
mezzo, altrettanto terribile la vendetta del generale Houston, che in diciotto
minuti sbaraglierà l’esercito del crudele dittatore Santa Anna, assicurando
l’ingresso del Texas come 28.mo stato dell’Unione. Sono 136, invece, i minuti
del film The Alamo diretto da John
Lee Hancock con Dennis Quaid e Billy Bob Thornton, che interpreta il mitico
Davy Crockett. Infarcito di retorica e dei più ovvi luoghi comuni del genere
western, non risolve il problema del racconto storico obiettivo e nemmeno
quello di una equilibrata sintesi cinematografica.
Luca Pellegrini, da Taormina, per la Radio Vaticana.
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16 giugno 2004
IL
RUOLO DEL CRISTIANESIMO E DELLE CHIESE NELL’UNIONE EUROPEA.
E’
STATO IL TEMA AL CENTRO DELL’ANNUALE INCONTRO ORGANIZZATO
DAL
CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA.
IL
VERTICE SI E’ CONCLUSO LUNEDI’ A BELGRADO
BELGRADO.
= Nella nuova Unione Europea, il ruolo del cristianesimo e delle Chiese deve
essere quello di superare “definitivamente lo schema di un’Europa dell’Est e
dell’Ovest”. Questo, in sintesi, è quanto è emerso dal vertice dei segretari
generali delle Conferenze episcopali europee, conclusosi lunedì a Belgrado, in
Serbia e Montenegro. “Diventa urgente - si legge nel comunicato finale - realizzare
il confronto con la cultura moderna e i fenomeni della secolarizzazione e del
secolarismo”. “Importante per i segretari - spiegano i rappresentanti delle
Conferenze episcopali europee - è stata la possibilità di conoscere
personalmente la realtà della Chiesa cattolica locale, piccola ma coraggiosa,
caratterizzata dalla multiculturalità; vedere ancora i segni delle grandi
sofferenze vissute; percepire le difficoltà che ancora covano sotto la cenere
per la convivenza di etnie diverse e la persistenza di un falso spirito
nazionalista: conoscere impressionanti esperienze di riconciliazione e
sperimentare la vocazione di Belgrado ad essere “città dei ponti”.
All’incontro, organizzato ogni anno dal Consiglio delle Conferenze Episcopali
d’Europa (Ccee), hanno partecipato i segretari generali di 29 Paesi. (B.C.)
AIUTARE I CRISTIANI A NON EMIGRARE DAL
MEDIO-ORIENTE PER SALVARSI
DAL FONDAMENTALISMO. È L’INVITO DEL
CONSIGLIERE DEL MUFTI SUNNITA,
SAMMAK,
DURANTE IL CONVEGNO ISLAMO-CRISTIANO SULLA CONVIVENZA
CHE SI E’ TENUTO LA SCORSA SETTIMANA A BEIRUT
BEIRUT. = “Qual è il mio
ruolo di prelato nel mondo arabo ed islamico e qual è il senso della presenza
dei cristiani e il loro ruolo?”. È la domanda che si è posto il patriarca greco-cattolico
Gregorio III Laham, durante il convegno dal titolo “La
Chiesa degli Arabi”, conclusosi lo scorso 12 giugno presso la
sede dell’Unesco a Beirut. All’incontro ha preso parte anche il
consigliere del Mufti sunnita, il dott. Mohammed Sammak, che ha attribuito la
diffusione del fondamentalismo islamico all’assenza di istituzioni democratiche
e rappresentative, individuando “la sfida maggiore nell’emigrazione dei
cristiani arabi” dai loro Paesi. “La civiltà arabo-islamica – ha detto Sammak citato
dall’agenzia Asia News – non era l’opera esclusiva di musulmani, bensì il
prodotto comune di musulmani e cristiani, ma la comprensione islamica del cristianesimo
è stata poi influenzata da un’enorme quantità di influssi culturali dovuti a
circostanze politiche ed economiche contingenti, come il colonialismo occidentale
del mondo arabo”. E ha aggiunto: “Tali condizioni hanno così prodotto il
fenomeno più negativo e pericoloso nella società islamica, ossia quello di
guardare con sospetto ai cristiani arabi ogni volta che il mondo islamico sta attraversando
una crisi”. Alla manifestazione erano presenti molte personalità cristiane e
musulmane, per discutere sugli ostacoli del dialogo islamo-cristiano e sulle
possibilità di incrementarlo. Fra i partecipanti, anche l’ex ministro Michel
Eddé, presidente della Lega maronita, ed il famoso giornalista e diplomatico
libanese, Ghassan Tueni. I lavori del convegno si sono conclusi con la
pubblicazione di una serie di raccomandazioni. Tra queste: affermare il ruolo
della Chiesa contro ogni progetto volto a creare un fossato tra le religioni e
le civiltà; definire il concetto di “Chiesa degli Arabi”; definire i termini
equivoci nel dialogo interreligioso; rigettare l’ideologia fondamentalista, da
qualsiasi parte provenga; affermare la cultura della moderazione nell’Oriente arabo
per costruire la civiltà dell’amore; ammonire dal pericolo dell’emigrazione dei
cristiani dall’Oriente; gettare le basi di un dialogo islamo-cristiano nel
terzo millennio che possa essere garante della convivenza. (R.M.)
I
LEGAMI TRA LA PROPAGANDA RAZZISTA, XENOFOBA E ANTISEMITA SU INTERNET
E I
CRIMINI ISPIRATI ALL’ODIO, AL CENTRO DELLA CONFERENZA DELL’OSCE,
ORGANIZZAZIONE
PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA,
APERTASI,
OGGI, A PARIGI
- A
cura di Francesca Pierantozzi -
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PARIGI. = Internet può essere lo spazio della libertà ma
anche dell’odio e del razzismo: con questo grido di allarme si è aperta, questa
mattina a Parigi una conferenza dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e
la cooperazione in Europa, incentrata sui legami tra la propaganda razzista,
xenofoba e antisemita su internet e i crimini ispirati dall’odio. Ad aprire i
lavori il ministro degli Esteri francese, Michel Barnier. Ieri, il rabbino
Abraham Cooper, presidente del Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles, ha presentato
il suo Rapporto annuale su terrorismo e odio digitale. Nel rapporto sono
elencati ben 4 mila siti sospetti. Adam Cooper, che segue i lavori della
Conferenza dell’Osce, ha denunciato l’uso crescente di Internet come arma di
propaganda e strumento di raccolta di fondi da parte di gruppi terroristi.
Parigi chiede oggi la firma di un codice di buona condotta che possa conciliare
libertà di espressione e repressione della propaganda razzista e terrorista.
D’altra parte, gli Stati Uniti sono ancora restii a qualsiasi ostacolo alla
libertà di espressione, garantita dal primo articolo della Costituzione. Dopo
l’11 settembre, tuttavia, la società americana è diventata più sensibile, in
particolare al nesso tra propaganda e crimine vero e proprio.
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RICHIESTI
IERI DALL’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI
ALTRI
55 MILIONI DI DOLLARI NECESSARI PER LE OPERAZIONI DI ASSISTENZA IN CIAD. NEL
PAESE AFRICANO NON SI ARRESTA IL FLUSSO DI RIFUGIATI SUDANESI
DALLE AREE DI CONFINE E DALLA REGIONE DEL
DARFUR
GINEVRA.
= Sono quasi centomila i rifugiati sudanesi trasferiti dalle aree di confine
nei campi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur)
nel Ciad orientale, mentre a centinaia continuano ad arrivare dalla regione sudanese
del Darfur. L’aggravarsi della situazione ha spinto l’organismo dell’Onu con
sede a Ginevra, in Svizzera, a rivolgere, ieri, un nuovo appello ai donatori,
affinché vengano stanziati oltre 55 milioni di dollari per le operazioni di
assistenza. Nell’appello, viene considerato prioritario l’immediato trasferimento
dei rifugiati, che si trovano lungo la pericolosa fascia di confine tra Sudan e
Ciad, negli otto campi allestiti dall’Agenzia, prima che l’arrivo della
stagione delle piogge, in luglio, renda impraticabili gran parte delle strade
della regione. “Ogni ritardo – sottolinea l’Acnur – significherebbe per i
rifugiati difficoltà a ricevere assistenza e continuare a trovarsi sotto le
minacce come il reclutamento forzato e la violenza sessuale”. La richiesta di
ieri segue quella dello scorso febbraio di circa 21 milioni di dollari, necessari
per l’assistenza di 110mila rifugiati sudanesi, ma attualmente insufficienti a
causa dell’inarrestabile afflusso di persone. Il conflitto nel Darfur, infatti,
continua a provocare massicce fughe di popolazione all’interno del Sudan e
oltre i suoi confini. A causa dei bombardamenti sui loro villaggi e degli
attacchi dei miliziani janjaweed, dalla metà del 2003, fino ad ora, circa
160mila sudanesi sono riparati in Ciad, in un’inospitale area di frontiera
lunga 600 chilometri, dove sono esposti a temperature elevatissime durante il
giorno e al gelo durante la notte. (D.G.)
ASSICURARE
IL PLURALISMO E L’ASSISTENZA SPIRITUALE AGLI ATLETI:
QUESTO
L’OBIETTIVO DELL’ASSEMBLEA DELLE RELIGIONI, PRESENTATA OGGI A TORINO. SI TRATTA
DELL’ORGANO CONSULTIVO DEL COMITATO INTERFEDI DEI XX GIOCHI OLIMPICI INVERNALI
CHE SI SVOLGERANNO NEL CAPOLUOGO PIEMONTESE NEL 2006
TORINO. = Assicurare il pluralismo e l’assistenza
spirituale agli atleti olimpici: questo il fine principale dell’Assemblea delle
Religioni, presentata oggi a Torino, presso il Toroc (la sigla che identifica
il Comitato per l'Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006).
L’Assemblea delle Religioni è un organo consultivo del Comitato Interfedi di
Torino 2006, al quale possono aderire tutti i culti riconosciuti dallo Stato
italiano e, in qualità di uditori, anche le confessioni che, pur non essendo
riconosciute, possano dimostrare le proprie finalità sociali. Tra gli altri
obiettivi che si pone l’Assemblea delle Religioni, vi è anche quello di favorire
il dialogo tra i credi, nell’ottica del confronto tra le fedi e della
conoscenza del patrimonio culturale delle diverse comunità religiose. Il
Comitato Interfedi di Torino 2006 è stato costituito il 23 ottobre 2003 al fine
di fornire, appunto, assistenza spirituale agli atleti e di individuare gli
spazi per la preghiera nei villaggi olimpici. È composto dai rappresentanti
delle sette religioni maggiormente professate nel mondo - cattolica,
evangelica, ortodossa, ebraica, islamica, induista e buddista - e dal
presidente del Toroc, Valentino Castellani. (D.G.)
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16 giugno 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Ancora una giornata di sangue in Iraq.
Almeno 9 persone, tra le quali 4 stranieri, sono morte questa mattina a Ramadi,
città a circa a 100 chilometri ad ovest di Bagdad, per l’esplosione di
un’autobomba. E a Kirkuk è stato inoltre ucciso il capo della sicurezza
della compagnia petrolifera del nord dell’Iraq, Ghazi al Talabani. Nel Paese
arabo, dove il leader radicale sciita Moqtada Sadr ha ordinato a tutti i suoi
miliziani non originari di Najaf di lasciare la città santa, aumenta intanto
l’attesa per la sorte di Saddam Hussein. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il presidente americano George
Bush ha dichiarato ieri pomeriggio che le forze della coalizione consegneranno
l’ex rais al governo ad interim di Baghdad “quando le condizioni di sicurezza
saranno adeguate”. Per la consegna di Saddam, “sono in corso negoziati e si
registrano importanti progressi”, ha inoltre affermato il premier iracheno,
Iyad Allawi, rettificando una precedente dichiarazione nella quale aveva annunciato,
entro il prossimo 30 giugno, il trasferimento dell’ex rais e di altri detenuti
del passato regime alle autorità irachene. Bush, che ieri ha incontrato a Washington
il presidente afghano Amid Karzai, ha anche reso noto l’avvicendamento al comando
delle truppe in Iraq ufficializzando la sostituzione del generale, Ricardo Sanchez,
con il vice capo di Stato maggiore, George Casey. Fonti del Pentagono hanno
sottolineato che si tratta di una normale rotazione dei vertici militari nello
Stato arabo, dove oggi è arrivato a Baghdad il vice segretario alla Difesa statunitense,
Paul Wolfowitz, per consultazioni su questioni relative alla sicurezza. In seguito
a possibili vuoti di potere, nell’eventualità di un
prossimo ritiro delle truppe americane, il governo di Teheran ha inoltre deciso
di concentrare le proprie truppe nella zona di confine con l’Iraq. Non è
intanto ancora chiaro quando potranno ripartire le esportazioni di petrolio
iracheno dai terminali del sud del Paese, dopo il blocco causato ieri da un doppio
sabotaggio ai due principali oleodotti meridionali di Bassora e Khor al-Amaya.
Sulla complessa vicenda legata alla liberazione degli ostaggi italiani
proseguono, infine, gli interrogatori dei pubblici ministeri di Roma. Dopo aver
ascoltato i tre ex ostaggi - Agliana, Cupertino e Stefio - è previsto oggi
pomeriggio l’interrogatorio al fondatore di Emergency, Gino Strada, che nei
giorni scorsi aveva ventilato l’ipotesi del pagamento di un riscatto per il rilascio
dei sequestrati. E, sempre sulla sorte dei civili rapiti in Iraq, c’è da
segnalare la notizia positiva, riferita dalla France Presse, della liberazione
di un ostaggio libanese.
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Il presidente iraniano, Mohammad Khatami, ha chiesto oggi un
“processo giusto” per Saddam Hussein, che ritiene responsabile della “più
grande oppressione contro il suo popolo e la regione”. Ma ha aggiunto che
“anche per gli oppressori può essere considerata una qualche clemenza”. Dal
1980 al 1988, Iraq e Iran hanno combattuto una sanguinosa guerra durante la
quale le truppe di Saddam hanno anche fatto uso di armi chimiche.
Sempre in Iran, crescono le tensioni tra il Paese del Golfo Persico e l’Agenzia internazionale
dell’energia atomica. Il presidente iraniano Khatami ha infatti definito
“inaccettabile” la proposta di risoluzione presentata all’Aiea da Francia, Gran
Bretagna e Germania nella quale si esprime insoddisfazione per una scarsa cooperazione
di Teheran con gli ispettori dell’Onu. Khatami ha aggiunto che, se la risoluzione
fosse approvata, la Repubblica islamica non si sentirebbe più in obbligo “di
sospendere l'arricchimento dell'uranio”. Anche se Teheran ha assicurato di non
volersi ritirare dal Trattato di non proliferazione nucleare, quanto sono realistiche
le minacce iraniane? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Alberto Zanconato, corrispondente
Ansa da Teheran:
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R. –
Queste minacce sembrano rientrare nell’atmosfera che precede la chiusura delle
trattative. L’Iran sostiene di aver collaborato pienamente ma ci sono molti
dubbi su questo, perché nonostante il governo di Teheran si fosse impegnato a
sospendere la produzione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, in
realtà questa produzione è continuata in tre laboratori. L’altro aspetto è il
ritrovamento di tracce di uranio arricchito al 36 per cento, e quindi molto
superiore come percentuale a quella che sarebbe sufficiente per giustificare un
programma nucleare civile.
D. –
Quanto sono importanti per Teheran i programmi nucleari?
R. –
L’Iran dice che sono importanti per il proprio sviluppo industriale ed economico.
D’altra parte, quello che soprattutto gli Stati Uniti contestano è l’ambizione
iraniana a dotarsi di centrali nucleari. L’Iran è un Paese che è ricchissimo di
petrolio, essendo il quarto produttore al mondo, e il secondo per riserve
stimate di gas naturali dopo la Russia.
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Se entro 72 ore l’Arabia Saudita non libererà tutti i miliziani di
Al Qaeda detenuti nelle carceri del Paese, verrà ucciso l’ostaggio americano,
l’ingegnere Paul Marshall, sequestrato sabato scorso a Riad. E’ questa la
minaccia contenuta in un video diffuso ieri dalla rete terroristica di Osama
Bin Laden. L’ultimatum è stato respinto dal governo saudita.
“Ringrazio voi e la vostra popolazione per l’impegno preso nei
confronti del nostro popolo: ci avete sostenuto con le vostre risorse, con la
vostra leadership nella comunità mondiale e soprattutto con le preziose vite
dei vostri soldati”. Sono queste le dichiarazioni rilasciate ieri, a
Washington, dal presidente afgano, Amid Karzai, durante il suo intervento al
Congresso. Karzai ha inoltre chiesto di rafforzare la cooperazione contro il
terrorismo e un maggior impegno della Nato in vista della prossime elezioni nel
Paese. Sul terreno si registrano, intanto, nuovi episodi di violenza: quattro
afghani sono rimasti uccisi in un attentato contro una pattuglia della Forza
internazionale di sicurezza in Afghanistan (Isaf).
“Il caso contro il primo ministro Ariel Sharon e suo figlio Gilad
sarà chiuso per insufficienza di prove”. Con questo annuncio il procuratore di
Stato israeliano ha archiviato ieri l’inchiesta che ha visto coinvolto Sharon,
accusato di corruzione nella realizzazione di un complesso turistico su
un’isola greca. Dopo il proscioglimento, oggi è stato presentato il ricorso dal
Movimento per la qualità nel governo, un gruppo che si batte contro gli abusi
da parte degli amministratori della cosa pubblica. Sul terreno proseguono,
intanto, i raid israeliani: le truppe di Tel Aviv hanno infatti ucciso a colpi
di arma da fuoco a Jenin, in Cisgiordania, un militante della Jihad Islamica.
Sono alte le probabilità che venga adottata, entro questa
settimana, la Costituzione europea. Ad affermarlo è il presidente della
Commissione, Romano Prodi, dopo il vertice di inizio settimana tra i ministri
degli Esteri dell’Unione e alla vigilia del Consiglio europeo di domani e
dopodomani. Ma si deve anche preventivare la possibilità di un veto da parte
del premier britannico, Tony Blair, alla nuova Costituzione.
E quanto rivelano alcuni esponenti del governo di Londra al quotidiano “Times”,
precisando che domani Blair affronterà l’argomento con il presidente francese,
Jacques Chirac, e con il cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder. Prodi
rende intanto omaggio al “lavoro nascosto ma molto efficace” della presidenza
di turno irlandese che ha sbloccato l’empasse vissuta al fallimentare Consiglio
di dicembre scorso. Ascoltiamo il servizio della nostra inviata a Bruxelles,
Fausta Speranza:
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L’astensionismo
alle elezioni ha scosso i leader, che si mostrano intenzionati a trovare
l’accordo per non far mancare all’Europa la base costituzionale per avere
capacità politica e, dunque, per meritare la fiducia dei cittadini. E’ la
seconda scossa dopo quella scioccante della strage di Madrid e della spaccatura
sulla guerra in Iraq. L’occasione per l’accordo c’è ma - sottolinea il ministro
degli Esteri italiano, Franco Frattini - “se non si trova domani o dopodomani
non si troverà mai più”. Altrettanto esplicito il ministro degli Esteri irlandese,
Brian Cowen, che sottolinea: “Dobbiamo dimostrare ora che l’Unione lavora”. E
dall’impasse di dicembre scorso deve aver lavorato in questi mesi e, in
particolare negli ultimi incontri, se è vero - come afferma Cowen - che il
dossier delle questioni ancora aperte è “breve e preciso”. In realtà, si tratta
di temi delicati e cruciali. Primo fra tutti, quello degli argomenti sui quali
deliberare a maggioranza qualificata, abbandonando la maggioranza assoluta
strenuamente difesa dalla Gran Bretagna.
Vengono date già per risolte, invece, altre questioni come
il numero dei commissari e quello degli europarlamentari che rappresentano i Paesi
più piccoli e il potere di bilancio dell’Europarlamento. Per quanto riguarda, invece,
il riferimento alle radici giudaico-cristiane, il tema continua ad essere posto
in discussione anche se finora - ribadisce il presidente di turno - “non c’è
alcun segno di consenso”. Ad attendere il pronunciamento dei capi di Stato e
di governo ci sono anche le decisioni sul patto di stabilità e la discussa
nomina del prossimo presidente della Commissione, ma per questo incarico si
profila l’ipotesi di un rinvio ad un Vertice straordinario di luglio.
Da
Bruxelles, Fausta Speranza, Radio Vaticana.
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La povertà genera il terrorismo. E’ la convinzione espressa dal
segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, in occasione dell’11.ma sessione
della Conferenza dell’Onu per il commercio e lo sviluppo (Unctad) apertasi
lunedì scorso a San Paolo. Nel suo intervento, Annan ha puntato il dito
soprattutto contro i Paesi ricchi e li esorta a rispettare gli impegni presi
per aiutare le zone povere del mondo.
In Colombia, sono stati uccisi ieri 34 contadini nel villaggio di
La Gabarra, al confine con il Venezuela. Sono sospettati di questo eccidio gli
uomini delle Forze Armate Rivoluzionarie.
Da ieri, Ivan Gasparovic è il nuovo presidente della
Slovacchia. Il capo di Stato ha infatti prestato giuramento davanti alla Corte
Costituzionale. Gasparovic seguirà nei prossimi 5 anni i primi passi della
Slovacchia nella Nato e nell’Ue.
Cooperazione economica e lotta al terrorismo. Sono questi
gli elementi principali dell’accordo firmato ieri dal presidente cinese e da
quello uzbeko a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan dove domani si apre
il Vertice del cosiddetto Gruppo di Shangai che vede riuniti Cina e Russia
insieme a diversi Paesi dell’Asia centrale.
Tragico incidente ferroviario in India: almeno venti persone sono
morte ed un centinaio sono rimaste ferite nello Stato occidentale di
Maharashtra. Secondo quanto riferito da funzionari delle ferrovie di Nuova
Delhi, l’incidente si è verificato quando il treno - composto da undici
carrozze, sulle quali viaggiavano migliaia di passeggeri - è deragliato mentre
attraversava un ponte lungo il tragitto tra Mangalore e Bombay.
In Pakistan, almeno 37 persone sono morte oggi alla periferia di
Islamabad, quando il bus di linea sul quale viaggiavano ha urtato un trattore
ed è precipitato da un ponte schiantandosi sul greto di un fiume.
Nella Repubblica Democratica del Congo sembra crescere di ora in
ora la tensione militare nell’Est del Paese per il rischio di nuovi scontri tra
gruppi ribelli e forze governative. Molte migliaia di civili - segnalano fonti
Onu - stanno inoltre cercando rifugio verso il Burundi, il Ruanda e l’Uganda.
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