RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 155 - Testo della trasmissione di giovedì 3 giugno 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa ha esortato oggi la Chiesa greco cattolica di Ucraina ad attendere nella speranza il suo pieno riconoscimento giuridico ecclesiale

 

Messaggio di Giovanni Paolo II per il 25° anniversario del suo primo viaggio in Polonia

 

I vescovi elvetici invitano la Chiesa locale a stringersi attorno al Pontefice, fra due giorni a Berna. Intervista con il presidente confederale Joseph Deiss e il cardinale Roberto Tucci

 

Un milione di ugandesi hanno partecipato oggi a Namugongo alla Messa celebrata dal cardinale Martino per i martiri San Carlo Lwanga e compagni. La cronaca di padre Giulio Albanese

 

“Alla guerra non ci si deve mai rassegnare e piegare”: è l’appello del cardinale Daoud appena rientrato da un viaggio in Terra Santa, Bulgaria e Turchia. Il porporato ai nostri microfoni.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Bukavu nelle mani dei ribelli: Kinshasa accusa il Rwanda, la popolazione accusa l’Onu: le testimonianze di due missionari

 

Da domani a Roma le manifestazioni per i 60 anni della Liberazione. Intervista con Umberto Gentiloni Silveri.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Ancora violenza in Afghanistan. Uccisi in un agguato cinque operatori di ‘Medici senza frontiere’

 

‘Una visione per un Pakistan migliore’: questo lo slogan che accompagna un documento redatto recentemente dai leader pakistani

 

“Il presidente argentino è chiamato a pronunciarsi contro l’aborto”: il monito lanciato dal vescovo di San Luis, mons. Lona, all’indomani della designazione alla Corte Suprema di Giustizia di due giuriste contrarie al riconoscimento dei diritti del nascituro

 

Ha preso il via oggi a Lubiana il Convegno interdisciplinare su scienza e fede. L’incontro si chiuderà il prossimo 6 giugno

 

Verrà inaugurato il prossimo 12 giugno un nuovo seminario in India. Le celebrazioni saranno presiedute dall’arcivescovo Quintana, nunzio apostolico nel Paese asiatico.

 

Annunciati in Nicaragua i lavori di restauro dell’antica cattedrale di Managua. I fondi arriveranno da Francia, Spagna e Messico.

 

24 ORE NEL MONDO:

Domani il presidente statunitense Bush arriva a Roma per incontrare il Papa, Ciampi e Berlusconi

 

Cina: 15 anni fa la strage di piazza Tienanmen.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 giugno 2004

 

LA CHIESA GRECO-CATTOLICA DI UCRAINA,

VITALE E EROICAMENTE FEDELE AL VANGELO, ATTENDA CON FIDUCIA IL TEMPO

DEL PROPRIO RICONOSCIMENTO GIURIDICO-ECCLESIALE:

COSI’ IL PAPA AI MEMBRI DEL SINODO GRECO-CATTOLICO LOCALE,

 RICEVUTI IN UDIENZA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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La Chiesa ucraina greco-cattolica sta svolgendo “un’efficace opera di evangelizzazione” grazie anche al “clima di libertà” che si respira oggi nel Paese ex sovietico. Ed è una Chiesa alla quale Giovanni Paolo II guarda affetto e “ammirazione profonda”, nella speranza che possa presto ottenere ciò a cui aspira: una piena configurazione giuridico-ecclesiale. Il Papa ha accolto con queste parole in udienza, questa mattina, i membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica ucraina, che da martedì scorso sono riuniti a Roma sotto la guida del cardinale Lubomyr Husar. Il Pontefice, che ha parlato in ucraino, ha sottolineato “la profonda vitalità” e la fedeltà che l’ha distinta nel corso dei secoli. Una fedeltà pagata a caro prezzo, in particolare durante l’ultimo secolo quando il regime comunista di Stalin tentò letteralmente di liquidare i greco-cattolici, con l’arresto di massa dei vescovi nell’aprile del ’45 e il tentativo, fallito, di far passare con la forza un’intera comunità all’ortodossia. Ma già un decennio prima, la pulizia etnica attuata del regime aveva innescato una spirale di morte con la drammatica pagina dell’Holodomor, il genocidio per fame dell’Ucraina, che portò alla morte sette milioni di persone.

 

Il Papa, che già lo scorso anno aveva ricordato in un discorso il 70.mo anniversario di quell’abominio, ha lodato ancora una volta il coraggio della Chiesa Ucraina, che oggi conta 5 milioni di cattolici di rito bizantino e mezzo milione di rito latino. “Ricca delle eroiche testimonianze, rese anche nel recente passato – ha affermato - essa si sta impegnando in programmi pastorali che vedono la collaborazione generosa e concorde del clero e dei laici per un’efficace opera di evangelizzazione, favorita dal clima di libertà che oggi si respira anche nel vostro Paese”. Giovanni Paolo II ha detto di condividere, “nella preghiera e anche nella sofferenza”, l’aspirazione ad un riconoscimento pieno della struttura giuridico-ecclesiale dei greco-cattolici d’Ucraina. Attendo “il giorno stabilito da Dio - ha aggiunto - nel quale potrò confermare, quale Successore dell'apostolo Pietro, il frutto maturo del vostro sviluppo ecclesiale”.

 

Assicurando che tale richiesta è oggetto di un serio studio, “anche alla luce delle valutazioni di altre Chiese cristiane”, il Papa ha concluso con queste parole di incoraggiamento: “Questa attesa – ha detto ai membri del Sinodo ucraino - non sia freno al vostro coraggio apostolico né motivo di spegnere od attenuare la gioia dello Spirito Santo che anima e sprona (…) a un più intenso impegno nell'annuncio del Vangelo e nel consolidamento della vostra tradizione ecclesiale”.

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LA POLONIA FESTEGGIA IN QUESTI GIORNI IL 25MO ANNIVERSARIO DEL PRIMO

VIAGGIO APOSTOLICO DI GIOVANNI PAOLO II NEL SUO PAESE NATIO:

PER L’OCCASIONE IL SANTO PADRE HA INVIATO UN MESSAGGIO

AL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE POLACCA, MONS. JOZEF MICHALIK

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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“Col passare del tempo si rivela sempre di più, quanto quei giorni erano importanti per la Chiesa in Polonia, per la nostra Nazione, e anche in qualche misura per la storia dell’Europa e del mondo. Oggi si può dire che era un avvenimento provvidenziale.” Con queste parole Giovanni Paolo II rievoca il suo primo pellegrinaggio in terra polacca, dal 2 al 10 giugno del 1979, quando insieme con i vescovi, il clero e tutti i fedeli aveva implorato il dono dello Spirito Santo: “potevo mai pensare – si chiede oggi il Papa - che avremmo visto così presto i primi frutti di questa preghiera?” Fin da allora il Santo Padre si interrogava sui destini della Polonia: “non abbiamo forse il diritto – dichiarava all’omelia nella prima Messa in Piazza della Vittoria a Varsavia – di pensare che la Polonia è diventata, nei nostri tempi, terra di una testimonianza particolarmente responsabile?” “Ma quanti doveri ed obblighi nascono! – aggiungeva - Ne siamo capaci?” Allora, “bisogna continuamente ritornare a questa domanda, - scrive oggi Giovanni Paolo II - affinché la libertà mal utilizzata non porti a una soggezione interiore degli individui e dell’intera Nazione.” Bisogna rinnovare continuamente menti e cuori, “perché siano riempiti di amore e giustizia, onestà e dedizione, rispetto per gli altri e preoccupazione per il bene comune, specialmente per quel bene che è la Patria libera”. “Solo un impegno solidale” può dare “un felice presente e futuro” a tutti i polacchi, e sviluppare la cultura nazionale profondamente radicata nel Cristianesimo, arginando nell’Europa unita “gli influssi dell’ideologia laicista che – ha denunciato ancora una volta il Papa - misconosce le radici cristiane del Vecchio Continente”.

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IN UN MESSAGGIO DI BENVENUTO AL PAPA, CHE TRA DUE GIORNI PARTIRA’

PER LA SVIZZERA, I VESCOVI ELVETICI INVITANO LA CHIESA LOCALE A STRINGERSI ATTORNO AL PONTEFICE,

IN PARTICOLARE I GIOVANI CATTOLICI, ATTESI DAL LORO PRIMO RADUNO NAZIONALE

- Intervista con il presidente confederale Joseph Deiss e il cardinale Roberto Tucci -

 

Un saluto più che cordiale a Giovanni Paolo II e la speranza che l’incontro con lui segni un momento particolare di grazia e di incoraggiamento per la Chiesa svizzera. I vescovi elvetici hanno affidato ad un breve messaggio il loro benvenuto al Papa, che dopodomani mattina partirà per Berna e per il suo 103.mo viaggio apostolico internazionale. La visita, come è noto, è incentrata sul grande raduno giovanile di dopodomani pomeriggio, il primo incontro nazionale dei giovani cattolici svizzeri. E in vescovi locali - nell’auspicare che il Pontefice trovi “una Chiesa viva e credibile”, che si lasci interpellare dal motto del viaggio “Alzati!” - hanno voluto esortare ancora una volta ragazzi e ragazze - ma anche adulti, bambini, anziani - a stringersi attorno a Giovanni Paolo II.

 

“Siate tutti i benvenuti a Berna”, si legge nel messaggio dei presuli, che ringraziano anche tutti coloro che si sono adoperati per rendere possibile questo evento, vent’anni dopo l’ultima sosta del Papa in Svizzera. Un evento atteso anche dalle autorità elvetiche, che preannunciano per bocca del loro presidente federale, Joseph Deiss, un’evoluzione nei rapporti diplomatici con la Santa Sede. Ascoltiamolo, nell’intervista della nostra collega francese, Gabrielle De Jasay:

 

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R. – LE CONSEIL FEDERAL A JUSQU’A PRESENT ....

Fino ad oggi il Consiglio Federale ha presso il Vaticano un rappresentante in missione speciale. Ora si tratta di trasformare questa presenza in quella di un ambasciatore straordinario e plenipotenziario. Probabilmente ciò sarà annunciato in occasione della visita del Papa.

 

D. – Secondo lei, la visita del Papa potrà cambiare qualcosa non solo per i cattolici in Svizzera?

 

R. – JE PENSE CHE LE PAPE...

Penso che anzitutto il Papa si rivolga certamente ai cattolici. Ma in generale anche a tutto il mondo, a cristiani e non. Il Santo Padre porta un messaggio molto forte a favore della pace e dei diritti dell’uomo. Tutti valori, credo, condivisi dalla popolazione svizzera, indipendentemente dalla professione religiosa. Sono certo che tutti gli svizzeri siano attenti a questo messaggio.

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L’incontro ravvicinato di Giovanni Paolo II con i giovani di un Paese al centro di una visita pastorale è una costante da molti anni. Anzi, può essere considerato un tratto distintivo dell’attuale pontificato, nato da un desiderio stesso del Papa, come racconta, al microfono di Rosario Tronnolone, il cardinale Roberto Tucci:

 

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R. – Nell’attività che ho svolto per tanti anni, dal 1982 al 2001, nella preparazione dei viaggi pontifici, sapevo benissimo che il Papa dovunque andasse desiderava un incontro con i giovani. E sapevo pure che - dato che questo incontro con i giovani poteva durare molto di più di quello che si potesse prevedere - era meglio organizzarlo generalmente alla fine della giornata, così da non far attendere il gruppo seguente. Dappertutto, io ho notato che il Papa portava un messaggio forte a questi giovani e suscitava entusiasmo perché si rivelava un uomo di fede: una fede chiara, esigente. I giovani, anche se non sempre sono in grado di accettare il messaggio, amano però sentirsi dire certe cose in maniera convinta.

 

D. – Quello in Svizzera, è un viaggio che potrebbe presentare qualche difficoltà. C’è qualcuno che ha parlato anche di possibili contestazioni...

 

R. – E’ possibile, ma non mi meraviglierei. Comunque, Giovanni Paolo II non ha mai avuto paura. Oltre ad aver esortato tutti noi a non aver paura di aprire le porte a Cristo, fin dal momento iniziale del suo pontificato, non è un uomo che si lasci spaventare. Una volta, ebbi l’ardire di consigliare al Papa di rinviare delle visite, per esempio in Nicaragua - la prima visita, quando ancora c’erano i sandinisti al governo - o in Olanda, perché temevo in quel caso che non avesse gran successo, o per lo meno che ci fossero dure contestazioni. In quell’occasione, il Santo Padre reagì in modo molto chiaro: il Papa deve andare dovunque lo invitano, disse, dovunque c’è una Chiesa in difficoltà bisogna che il Papa vada, anche a costo di non avere un pieno successo. Quindi il Papa va. E alla fine - per esempio nel caso dell’Olanda - il suo coraggio veniva ammirato anche da coloro che erano stati inizialmente piuttosto contrari alla sua visita.

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ALTRE UDIENZE

 

Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto anche  alcuni presuli della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’ America (Regione XIII), in visita “ad Limina” e  il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangeliz-zazione dei Popoli.

 

 

UN MILIONE DI PERSONE HANNO PARTECIPATO OGGI

ALLA MESSA CELEBRATA DAL CARDINALE MARTINO

PER I MARTIRI UGANDESI SAN CARLO LWANGA E COMPAGNI NEL NORD DELL’UGANDA

- La cronaca di padre Giulio Albanese -

 

Centinaia di migliaia di ugandesi hanno partecipato oggi a Namugongo nel nord del Paese alla messa celebrata dal cardinale Renato Raffaele Martino per la memoria dei martiri san Carlo Lwanga e compagni. Domani, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dopo 5 giorni di visita, lascerà l’Uganda per rientrare a Roma. Da Kampala ci parla di questa giornata padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia missionaria Misna.

 

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Il cardinale Martino, questa mattina, ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica a Namugongo, in occasione di quella che qui in Uganda è considerata la festa nazionale: si celebra infatti la memoria liturgica dei martiri di Uganda, San Carlo di Lwanga e compagni. In una cornice davvero suggestiva, quella appunto di questo santuario alla periferia estrema di Kampala. Alla cerimonia ha peraltro preso parte un numero incredibile di pellegrini. Si è parlato di 800 mila persone, forse la cifra va addirittura ben oltre il milione. E’ stata davvero un’occasione per il porporato per condividere quella che è stata l’esperienza che ha vissuto in questi giorni nel Nord Uganda. Naturalmente ha preso lo spunto partendo proprio dal martirio, quello dei martiri dell’Uganda. Chiaramente il cardinale Martino aveva ben presente tutto quello che ha visto in questi giorni ed ha ricordato l’importanza del martirio come espressione di santità. A proposito di santità ha ricordato che si tratta proprio di un qualcosa non di straordinario, che nella fede appartiene alla ferialità, alla quotidianità della vita. In questo senso ogni cristiano è chiamato ad essere martire, un testimone del Dio vivente, un segno di contraddizione, araldo del Vangelo, e di un Vangelo di pace e di riconciliazione. Vi è poi un altro aspetto – a mio avviso – molto importante che è stato toccato dal cardinale Martino: se da una parte è giusto vivere la dimensione della solidarietà a 360 gradi e quindi far riferimento ai benefattori e alle grandi agenzie internazionali, il cardinale ha anche ricordato che la soluzione dei problemi parte proprio dall’impegno della nazione, degli ugandesi. Devono essere loro i protagonisti della solidarietà, i protagonisti della missione. Ha poi citato una bellissima frase di Papa Paolo VI, proferita proprio qui a Kampala nel 1969 all’Episcopato africano: “Da questo momento – disse Paolo VI – voi africani siete missionari di voi stessi”. 

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“ALLA GUERRA NON CI SI DEVE MAI RASSEGNARE E PIEGARE”:

E’ L’APPELLO DEL CARDINALE IGNACE MOUSSA I DAOUD

APPENA RIENTRATO DA UN VIAGGIO IN TERRA SANTA, TURCHIA E BULGARIA

- Il porporato ai nostri microfoni -

 

Il cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, è rientrato in questi giorni da un lungo viaggio che lo ha portato in Terra Santa, Turchia e Bulgaria. Particolarmente forte l’appello che ha voluto lanciare per la riconciliazione nella Terra Santa. Giovanni Peduto lo ha intervistato:

 

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R. – Siamo uniti alla preghiera del Papa e ai suoi continui sforzi per avvicinare le parti in conflitto e favorire ogni possibile intesa in vista di una pace giusta e duratura. Nell’indimenticabile pellegrinaggio che ho compiuto in Terra Santa, ho chiesto a Cristo Risorto di abbattere ogni barriera di separazione tra i singoli e i popoli. Si sono uniti in preghiera i pastori e le comunità cattoliche di rito latino e orientale, e numerosi rappresentanti ecumenici. Alla guerra non ci si deve mai rassegnare e piegare! Come prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali chiedo nuovamente la “carità dei pellegrinaggi”. Sono possibili con la dovuta cautela e la debita organizzazione. Sì, i pellegrinaggi!Per ricevere e dare speranza!

 

D. – Lei è stato in Turchia: quali gli incontri principali?

 

R. – Prima di tutto la comunità cattolica. E’ numericamente esigua, ma lodevole nella sua testimonianza al Signore in quel contesto fortemente islamico. Ho incontrato la Conferenza episcopale. Ho pregato nella “Casa di Maria”, poco lontano dal luogo dove i padri del Concilio di Efeso la proclamarono “Madre di Dio”, le ho affidato le sorti dell’ecumenismo, anche per prepararmi all’incontro personale che avrei avuto con il Patriarca Ecumenico e con il Patriarca armeno apostolico ad Istanbul. Ho visitato Smirne, Antiochia di cui porto il titolo come Patriarca emerito della Chiesa siro-cattolica, Edessa, Nisibe, luoghi di straordinaria importanza per le memorie degli apostoli, dei padri e di tappe decisive dello sviluppo della Chiesa. A Mardin sono intervenuto ad un importante ritrovo interreligioso.

 

D. - In Turchia come procede il dialogo fra cristiani e musulmani?

 

R. – Estenderei la risposta al dialogo tra le religioni monoteiste, che prosegue a piccoli passi, ma è improntato a promettente rispetto. Un esempio è stato il convegno di Mardin dedicato al tema della pace, erano presenti il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Patriarca siro-ortodosso Zakka, esponenti di diverse comunioni cristiane, dell’ebraismo e dell’islam, insieme alle autorità turche. Un seme di dialogo e di collaborazione!

 

D. – Che ricordo c’è della visita di Giovanni Paolo II avvenuta 25 anni or sono?

 

R. – Il Papa è molto amato dai cattolici e gode la sincera stima di tutti i turchi, i capi religiosi hanno ricordato la visita nei colloqui intercorsi e hanno espresso convinto apprezzamento per la sua testimonianza di fede e la generosa opera di pace, e sarebbero lieti di riaverlo tra loro.

 

D. – La sua visita in Bulgaria: cosa è emerso?

 

R. – Ho accolto l’invito dei vescovi a commemorare il secondo anniversario della visita del Papa, ripercorrendo le sue orme nelle date esatte di quel passaggio indimenticabile.

 

D. – A che punto è in questo Paese il dialogo fra cattolici e ortodossi?

 

R. – Le mie impressioni sono positive. In nunziatura ho incontrato il metropolita Neofit e il vescovo di Rila con alcuni sacerdoti ortodossi. A Russe tre metropoliti hanno partecipato alla Santa Messa che ho presieduto in cattedrale nel ricordo del vescovo Bossilkov, martirizzato dal regime comunista. Il metropolita Kalinik è intervenuto con parole di particolare stima per il Santo Padre. Metropoliti e presuli cattolici mi hanno poi accompagnato alla cattedrale ortodossa di Russe per una comune preghiera. E ci siamo, infine, ritrovati fraternamente nella residenza del vescovo cattolico di Russe. Segnali positivi, dunque!

 

D. – In che spirito si è svolto l’incontro con il Patriarca ortodosso bulgaro Maxim? Quali frutti dalla conversazione?

 

R. – Il Patriarca mi ha accolto con molta cordialità, insieme a tre metropoliti, ed ha avuto parole di stima e di fraterno saluto per il Santo Padre. Abbiamo espresso l’auspicio per un progresso nel cammino verso l’unità, preparata dalla collaborazione sempre più proficua nel comune servizio alla società bulgara, e particolarmente ai giovani. Al Patriarca abbiamo presentato l’augurio per l’imminente novantesimo compleanno. Vorrei infine dire che sia in Turchia, sia in Bulgaria sono stato accompagnato da tanti ricordi del beato Giovanni XXIII, che fu Delegato apostolico per lunghi anni nelle due nazioni. Nell’anniversario della sua morte, avvenuta il 3 giugno 1963, affido alla sua intercessione il futuro delle due Chiese e dei due popoli, da lui intensamente amati.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'Iraq: al vaglio della comunità internazionale la risoluzione presentata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

 

Nelle vaticane, il discorso di Giovanni Paolo II al Sinodo Permanente della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina.

 

Nelle estere, in rilievo un articolo sull'Afghanistan dal titolo "Paga un doloroso tributo di sangue l'impegno di civiltà dei Medici senza frontiere': mortale agguato a cinque volontari. 

Uganda: non si fermano nel Nord le atrocità contro i civili; centinaia di vittime nell'ultimo mese. 

 

Nella pagina culturale, i contributi di Danilo Veneruso e di Fabrizio Contessa in merito al sessantesimo anniversario della liberazione di Roma

 

Nelle pagine italiane, in primo piano un articolo sul nuovo video con i tre ostaggi italiani trasmesso da "Al Jazeera".

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

3 giugno 2004

 

 

BUKAVU NELLE MANI DEI RIBELLI:

KINSHASA ACCUSA IL RWANDA, LA POPOLAZIONE ACCUSA L’ONU

- Dalla città congolese, le testimonianze di due missionari -

 

Dopo giorni di intensi combattimenti, Bukavu – città nell’est della Repubblica democratica del Congo – è nelle mani dei miliziani filoruandesi della Rcd-Goma, che il governo di Kigali nega di avere appoggiato. Dure accuse della popolazione contro i caschi blu, che non sarebbero intervenuti in tempo per riportare la calma: nelle manifestazioni di questa mattina a Kinshasa una persona è morta e tre sono rimaste ferite.

 

Andrea Sarubbi ha raccolto telefonicamente la drammatica testimonianza di due missionari a Bukavu, che lasciamo anonimi per motivi di sicurezza:

 

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R. - I combattimenti sono finiti. Si sente solo qualche sporadico sparo nella città ed in periferia.

 

D. – Secondo le agenzie di stampa, è stata colpita anche l’emittente cattolica “Radio Maria Regina della pace”. È vero?

 

R. – C’è stato un tentativo di aprire le porte. Sono stati rotti i vetri, hanno tentato di entrare ma non sono riusciti.

 

D. – Ma perché volevano colpire questa radio?

 

R. – Era un tentativo di fermare tutti i programmi che questa emittente cattolica sta trasmettendo, da tempo, per preparare la gente alla transizione democratica. Dall’inizio del conflitto, Radio Maria è stata sempre ben chiara nel dire tutta la verità.

 

D. – La Bbc riferisce di saccheggi, di violenze e di stupri. Lei conferma?

 

R. – Sicuramente. Violenze di tutti i generi, stupri, soprattutto in alcune parti della città. La suora che è qui con me – una suora croata – può raccontarvi quello che hanno vissuto questa notte.

 

R. – (Suora) Sono entrati nel nostro chiostro, ma non in casa.

 

D. – Che cosa volevano i guerriglieri?

 

R. – (Suora) Entrare, impadronirsi dei mezzi di comunicazione, dei telefoni, dei soldi, eccetera.

 

D. – Però, non sono entrati ...

 

R. – (Suora) No, perché abbiamo chiamato tutti: i saveriani, la Monuc e così via.

 

D. – Padre, da ieri in diverse città - fra cui Kinshasa - la popolazione sta protestando violentemente contro i caschi blu dell’Onu, perché la Monuc farebbe troppo poco ...

 

R. – A dire la verità, questa notte le suore sono state liberate proprio dai caschi blu: noi abbiamo chiamato quelli della Monuc che sono andati a prenderle e le hanno portate qui da noi. D’altra parte, è innegabile che c’è qualcosa di poco chiaro: non escluderei che ci fossero alcuni caschi blu colpevoli di complicità con gli altri.

 

D. – In che senso ci sarebbe complicità?

 

R. – Ha destato molto stupore la presa così improvvisa della città. Sembrava che la delegazione di Kinshasa dovesse arrivare da un momento all’altro, per potere, nella pace senza sangue, arrivare ad una soluzione che invece non c’è stata. E ciò è accaduto proprio perché si è interposta la Monuc, non si sa per quali motivi.

 

D. – Il governo congolese accusa il Ruanda di aver aiutato i ribelli, il Ruanda smentisce. Quale delle due affermazioni è falsa?

 

R. – È falsa la smentita.

 

D. – Lei dice così perché i ribelli della Rcd-Goma sono dichiaratamente filo-ruandesi ...

 

R. – Sicuramente. Ma questa responsabilità di Kigali è confermata da tutta una serie di testimonianze.

 

D. – Cosa significa tutto ciò per il futuro di Bukavu?

 

R. – Significa che le cose non sono ancora chiare. Le parti dovranno sicuramente mettersi attorno ad un tavolo e trattare la situazione di Bukavu pensando soprattutto alla popolazione, che in questo momento sta soffrendo moltissimo. Il grande mercato di Kadutu, che dava da mangiare a tutta la città, è stato saccheggiato completamente e poi bruciato. Per cui la popolazione, questa mattina, sta vagando per le strade in cerca di un po’ di cibo. Sono due giorni che vivono senza mangiare… fino a che punto arriveremo?

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DA DOMANI A ROMA LE MANIFESTAZIONE PER I 60 ANNI DELLA LIBERAZIONE

- Intervista con Umberto Gentiloni Silveri -

 

Al via domani a Roma la mostra fotografica “4 giugno 1944”: la liberazione di Roma nelle immagini degli archivi alleati”. L’esposizione ospitata nelle sale del Vittoriano è il primo degli eventi organizzati per ricordare il 60.mo anniversario dell’ingresso delle truppe americane nella capitale. Articolata in cinque sezioni ospita circa 400 foto, in gran parte inedite, ma anche giornali, filmati di propaganda e documentari prodotti dagli alleati. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

 

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(musica)

 

Piazze gremite, gente in festa stretta attorno alle divise degli americani entrati in città. Era il 4 giugno del 1944, momento decisivo per la capitale che usciva dai duri mesi di occupazione nazi-fascista, dalle deportazioni nei campi di sterminio, dalla fame, dalla guerra. E Roma si prepara ad ospitare una serie di iniziative per il 60.mo della liberazione, a lanciare un messaggio di pace in un momento di difficili tensioni internazionali. “Così noi ricordiamo”, progetto culturale che ha impegnato molte scuole superiori della capitale in mesi di ricerche e dibattiti sulla II Guerra Mondiale. Alcuni lavori verranno presentati domenica 6 giugno, durante la commemorazione allestita dal Comune in Piazza Venezia fin dalle 19.00 per festeggiare insieme alla popolazione, per non dimenticare. Saranno proiettate anche 150 gigantografie, riprese dagli obiettivi americani mentre avanzavano verso la capitale. Istanti capaci di fermare il tempo, il sorriso, le lacrime di gioia, la speranza. Gli scatti saranno tratti dalla grande mostra storiografica “4 giugno 1944: la liberazione di Roma nelle immagini degli archivi alleati”, aperta al pubblico sin da domani nei saloni della Gipsoteca del Vittoriano. Umberto Gentiloni Silveri, curatore della mostra:

 

“Non è la prima volta che noi vedremo insieme cronologicamente, divisi per alcuni temi, una raccolta di foto di lavoro fatte da semplici soldati, quindi l’incontro tra gli alleati e i romani in piazza, gli abbracci, i baci, la ricerca degli amici, angoli di Roma che in parte non ci sono più, le sue bellezze, i suoi monumenti, Roma circondata da questa atmosfera che era un misto tra la fine della guerra e l’inizio di una nuova speranza. E tra le cose curiose da vedere in mostra, le riprese dall’alto, che provengono dalle foto fatte dagli aerei della Royal Air Force”.

 

A fare da cornice alla manifestazione del 6 giugno a Piazza Venezia anche filmati, balli, canti d’epoca e uno spettacolo di fuochi d’artificio.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

3 giugno 2004

 

 

TRAGICA FIAMMATA DI VIOLENZA IN AFGHANISTAN.

UCCISI IN UN AGGUATO 5 OPERATORI UMANITARI DI “MEDICI SENZA FRONTIERE”.

FERMA LA CONDANNA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

 

KABUL. = Medici Senza Frontiere sospenderà, per il momento, le operazioni in Afghanistan. La notizia è stata resa nota stamani dall’organizzazione umanitaria internazionale, all’indomani dell’agguato costato la vita a cinque dei suoi volontari. Una belga, un norvegese, un olandese e due afgani sono stati uccisi ieri mentre viaggiavano in auto tra le montagne dell’impervia zona di Khair Khana, circa 500 km a ovest di Kabul, non lontano dal confine con il Turkmenistan. Ignoti assalitori, secondo quanto ha riferito il governatore provinciale, Azizullah Alzali, hanno aperto il fuoco contro il veicolo che trasportava i tre medici stranieri e i loro due collaboratori. I corpi senza vita dei cinque sono stati trovati nell’auto crivellata di proiettili. Si tratta di “un altro tragico e inaccettabile atto diretto contro la comunità che opera per garantire assistenza umanitaria”: ha commentato Jean Arnault, rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Dalla caduta del regime dei Talebani, alla fine del 2001, 26 fra stranieri e afgani, impegnati in operazioni di aiuto alla popolazione, sono rimasti uccisi. Medici senza frontiere, presente in Afghanistan dal 1980, era attiva nel paese in 12 province con 80 operatori internazionali e 1400 afgani, anche con programmi specializzati nella lotta alla tubercolosi e nella assistenza psicologica. Nel Paese, intanto, la tensione resta alta. Un pacco bomba, destinato al capo della polizia della città orientale di Nangharhar, Malik Omar, è esploso stamani nel suo ufficio, ferendo sette suoi collaboratori, cinque in modo molto grave. (B.C.)

 

 

“UNA VISIONE PER UN PAKISTAN MIGLIORE”: E’ LO SLOGAN CHE ACCOMPAGNA

UN DOCUMENTO RECENTEMENTE REDATTO DAI LEADER RELIGIOSI PAKISTANI.

IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI E DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA AL CENTRO DEL TESTO

 

LAHORE. = Abolizione di leggi discriminatorie, rispetto dei diritti delle minoranze, difesa dei diritti umani e delle libertà personali, pari dignità alle donne e, ancora, aumento della partecipazione democratica dei cittadini. In un documento, intitolato “Una visione per un Pakistan Migliore”, i leader religiosi locali hanno sintetizzato in questi termini le priorità per costruire il benessere e l’armonia della Nazione. Il testo è frutto di un recente incontro, a Lahore, tra cristiani, musulmani, ahmadi e bahai. Fra i partecipanti anche mons. Lawrence John Saldanha, arcivescovo della località pakistana. Uno dei punti su cui l’assemblea si è soffermata è stata la richiesta di abolizione della legge sulla blasfemia. La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale del Pakistan, infatti, ha reso noto che dal 1987 ad oggi almeno 148 musulmani, 208 ahmadi, 75 cristiani e 8 indù sono stati accusati ingiustamente di blasfemia. L’articolo 295/c del Codice di Procedura Penale Pakistano condanna “quanti con parole o scritti, gesti o rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insultano il sacro nome del Profeta”. La pena prevista arriva fino alla condanna a morte. La Chiesa pakistana e altre minoranze religiose hanno denunciato l’uso scorretto della legge, strumentalizzata per regolare questioni personali. I leader religiosi hanno, inoltre, chiesto una maggiore protezione per le minoranze religiose, esortando il governo a migliorare la situazione di sicurezza. (B.C.)

 


IL PRESIDENTE ARGENTINO E’ CHIAMATO A PRONUNCIARSI CONTRO L’ABORTO.

E’ IL MONITO LANCIATO DAL VESCOVO DI SAN LUIS, MONS. LONA, ALL’INDOMANI

DELLA DESIGNAZIONE ALLA CORTE SUPREMA DI GIUSTIZIA DI DUE GIURISTE

CONTRARIE AL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEL NASCITURO

 

BUENOS AIRES. = La designazione della penalista Carmen Argibay e della specialista in diritto civile Elena Highton de Nolasco alla Corte Suprema di Giustizia, da parte di Néstor Kirchner, aprirà la porte all’aborto in Argentina. A lanciare l’allarme, in un’intervista rilasciata all’agenzia Infobae, è il vescovo di San Luis, mons. Jorge Luis Lona. La scelta del capo del governo, ha sottolineato il presule, “non è in linea con la sua cultura e le sue idee, considerato che le due giuriste si sono apertamente dichiarate contrarie al riconoscimento dei diritti del nascituro”. “Argibay ritiene che l’interruzione di gravidanza sia un diritto della donna” ha detto mons. Lona. “Lo stesso vale per la Highton che si è espressa a favore dell’eutanasia. Con tali criteri anche Beethoven sarebbe stato ucciso a causa della sua sordità”. “Kirchner si è detto contrario all’interruzione della gravidanza - ha concluso il vescovo di San Luis - e oggi è chiamato a dimostrare la sua coerenza. Senza interferire con l’attività istituzionale, la Chiesa continuerà a difendere la vita”. (D.D.)

 

 

HA PRESO IL VIA OGGI A LUBIANA IL CONVEGNO INTERDISCIPLINARE SU SCIENZA

E FEDE. L’INCONTRO, CHE SI CHIUDERA’ IL PROSSIMO 6 GIUGNO, E’ PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA

E DALL’ACCADEMIA SLOVENA DELLE SCIENZE

 

LUBIANA. = “La Chiesa non ha intenzione di dire allo scienziato cosa e come deve scoprire”, ma intende richiamare sempre con forza “la dignità inalienabile dell’uomo”. Con queste parole il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha aperto stamani a Lubiana, in Slovenia, il Convegno Interdisciplinare su Scienza e Fede. L’incontro, organizzato dal Dicastero Vaticano e dall’Accademia Slovena delle Scienze, dal 3 al 6 giugno 2004, ha per tema: “Ethical Responsibility in the World in Transformation”. Il sacrificio di una vita umana, siano embrioni, bambini, o prigionieri dei campi di concentramento, ha aggiunto il porporato, non vale né giustifica il minimo progresso della scienza. Il Convegno si articola in quattro sezioni. La prima, “Scienza, fede e società”­, analizza il ruolo che esercitano nella vita sociale queste due forme del sapere. La seconda, “Scienza e valori, il valore della scienza”, invece, si ferma alla considerazione delle implicazioni etiche della ricerca scientifica, specialmente in campi tanto delicati come la ricerca biomedica. Il terzo blocco di questioni riguarda l’unità della conoscenza e l’etica, la multidisciplinarietà e l’interdisciplinarietà. L’ultima parte del Convegno tratta i nuovi orizzonti di azione. Attualmente, il Pontificio Consiglio della Cultura promuove il Progetto Stoq, un’iniziativa per la formazione di personale competente nel campo del dialogo scienza e fede, con base in tre università romane. (B.C.)

 

 

VERRA’ INAUGURATO IL PROSSIMO 12 GIUGNO UN NUOVO SEMINARIO IN INDIA.

LE CELEBRAZIONI SARANNO PRESIEDUTE DALL’ARCIVESCOVO QUINTANA,

NUNZIO APOSTOLICO NEL PAESE ASIATICO

  

SEVASI. = Nuova pagina nella storia della Chiesa in India. L’arcivescovo Pedro Lopez Quintana, nunzio apostolico nel Paese asiatico, inaugurerà il prossimo 12 giugno, nella diocesi indiana di Baroda, il Gujarat Vidja Deep (Gvd), il Seminario Regionale di Sevasi. L’arcivescovo presiederà la celebrazione eucaristica e, quindi, benedirà il complesso del nuovo seminario, che comprende un edificio con le aule di insegnamento e un insieme di residenze destinate ai gesuiti e ai carmelitani di Maria Immacolata, nonché ai seminaristi diocesani. Un edificio ospita anche alcune religiose. Il nuovo seminario regionale per il Guyarat nasce ufficialmente nel giugno del 1998, prendendo il posto del Teologato regionale dei gesuiti ad Ahmedabad. Attualmente ospita sacerdoti, suore e due laici, provenienti dalle quattro diocesi di Ahmedabad, di Baroda, di Gandhinagar e di Rajkot, comprese nello stato indiano di Gujarat. (A.M.)

 

 

ANNUNCIATI IN NICARAGUA I LAVORI DI RESTAURO DELL’ANTICA CATTEDRALE

DI MANAGUA. I FONDI ARRIVERANNO DA FRANCIA, SPAGNA E MESSICO

 

MANAGUA. = A breve verranno aperti i cantieri per il restauro dell’antica Cattedrale di Managua. Lo ha reso noto, nei giorni scorsi, il presidente del Nicaragua, Enrique Bolaños, durante il suo viaggio in Messico. L’imponente costruzione, situata nella Plaza de la Revolución (ribattezzata Plaza de la República dal sindaco ex somozista, Arnoldo Alemán), venne quasi totalmente distrutta dal terremoto del 1972 e oggi ne restano visibili soltanto i muri esterni e le capriate metalliche, che sorreggevano il tetto. L’idea del restauro è nata in occasione della visita ufficiale in Nicaragua del presidente del Messico, Vincent Fox, il quale, interpretando le esigenze dei fedeli della capitale, si è fatto carico di sollecitare le Nazioni Unite affinché la Cattedrale venisse dichiarata patrimonio dell’umanità. I lavori, ha specificato il presidente Bolaños, saranno sovvenzionati dai governi francese, spagnolo e messicano, per una somma complessiva di 6 milioni e 56 mila dollari. Al resto, un milione di dollari, penserà l’esecutivo nicaraguese. (D.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

3 giugno 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Sul terreno in Iraq non mancano gli episodi di violenza. A Kufa cinque iracheni sono stati uccisi e nove feriti, tra cui diversi bambini, in violenti scontri tra miliziani di Moqtada Sadr e militari americani. A Baquba ribelli hanno attaccato la macchina che trasportava a scuola la figlia del vicegovernatore uccidendo una guardia del corpo. La ragazza è rimasta illesa. In un altro scontro a fuoco, nella stessa città, è morto un poliziotto iracheno, mentre altri due sono stati uccisi a Kirkuk. Intanto, è attualmente al vaglio degli organismi di intelligence il video, diffuso ieri dalle televisioni arabe, che mostra i tre ostaggi italiani in buone condizioni fisiche. Una delle prime circostanze da appurare è se la data in cui è stato girato è effettivamente il 31 maggio. Ma quali sono gli elementi importanti di questo nuovo video? Roberto Piermarini ne ha parlato con Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera:

 

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R. – Sicuramente un’assenza di richieste precise. Questo video avanza ancora una volta la richiesta di fare manifestazioni. Si ha quasi l’impressione che i terroristi non sappiano bene che cosa vogliono e quindi c’è il timore che questo nasconda una tattica per guadagnare tempo e portare avanti questa vicenda all’infinito, fino alle elezioni europee e anche dopo.

 

D. – Guardando questo video che cosa emerge, secondo te?

 

R.- Certamente i terroristi sono stati molto attenti. Sanno che questi video vengono studiati per cui, rispetto ai precedenti, hanno eliminato qualsiasi scena, qualsiasi ambiente, c’è solo un muro. Poi fanno vedere i tre ostaggi che mangiano. Quindi il primo elemento è quello di eliminare particolari che potrebbero costituire tracce da interpretare. Il secondo elemento, quello degli ostaggi che mangiano, è il tentativo di dire: sono ospiti, non prigionieri. Se noi lo paragoniamo al primo video e poi a quegli altri terribili che vengono diffusi da altri gruppi, si nota una marcata differenza.

 

D. – Non a caso è stato diffuso proprio il 2 giugno, festa della Repubblica...

 

R. – Però la diffusione il 2 giugno secondo me era attesa, cioè dicevano che forse in concomitanza con il 2 giugno, ma soprattutto con la visita di George Bush a Roma e il 4 ci sarebbe stato un segnale da parte dei terroristi, magari qualche richiesta molto dura e forte. Per ora la richiesta non mi sembra straordinaria. Chiedono di manifestare ma manifestazioni potrebbero già esserci. Quindi non è una richiesta specifica e non mi sorprende l’arrivo della cassetta e in queste ore.

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Sul piano delle prospettive politiche per l’Iraq, il neo-presidente iracheno Ghazi Yawar, annuncia che riconciliazione nazionale e sicurezza sono gli obiettivi del nuovo governo per costruire il futuro dell'Iraq. E fa sentire la sua voce l'Ayatollah Ali al Sistani, massima autorità sciita nel Paese. Dà un “appoggio condizionato” al nuovo governo iracheno, per un compito che definisce “immane''. Secondo Sistani, il governo manca di ''legittimità elettorale'', ma costituisce un passo nella giusta direzione. E di passo in avanti si parla anche in sede Onu. Il nostro servizio:

 

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E’ la bozza di risoluzione sull'Iraq, in discussione al Consiglio di sicurezza a costituire un passo in avanti secondo i Paesi membri dell’Onu che, però, accusano: è vaga quando parla del controllo che l'Iraq avrà in tema di sicurezza e del ruolo dei soldati Usa che resteranno nel Paese fino al 2005. In particolare la Russia chiede nuove modifiche.

 

Il presidente Bush sembra richiamare tutti all’ottimismo quando ribadisce che un Iraq democratico ''cambierà i dati'' della guerra contro il terrorismo e solleverà ''un'ondata di democrazia'' nel Medio Oriente. Il leader degli Stati Uniti si pronuncia il giorno prima della partenza per l’Europa e traccia numerosi paralleli tra quella che definisce “la guerra di 60 anni fa contro le tirannie” e “l'attuale guerra contro il terrorismo”. ''Come le ideologie assassine del Ventesimo Secolo – spiega - l'ideologia del terrorismo cerca di imporre una nera visione dove ogni dissenso è schiacciato”. 

 

Da parte sua, quale rappresentante della Commissione europea, Prodi sottolinea che ''l'Europa è legata per sempre all'America. Lo fa nel messaggio inviato al presidente degli Stati Uniti in occasione della sua visita nel vecchio continente. L'amicizia tra America ed Europa – afferma Prodi - è la base su cui poggia l'aspirazione per un mondo in cui pace, libertà, sicurezza e giustizia possano prevalere''. Interpellato dalla stampa sull’Iraq, il capo dell’esecutivo europeo torna a chiedere un cambiamento reale, che significa ruolo dell'Onu e coinvolgimento dei Paesi arabi. Così – spiega Prodi - si conduce la lotta comune contro il terrorismo, così si esprime anche la vicinanza, l'amicizia e la solidarietà agli Stati Uniti''.

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La missione in Europa di Bush lo porterà innanzitutto a Roma, tra imponenti misure di sicurezza. Domani incontrerà il Papa in Vaticano, per la terza volta, e il presidente della Repubblica, Ciampi, al Quirinale, per poi cenare con il presidente del Consiglio, Berlusconi, a Villa Madama. La visita nella capitale cade il 4 giugno, anniversario della Liberazione della città dall’occupazione tedesca. Il giorno dopo, dopo l’incontro e la conferenza stampa sempre con il premier, Bush ripartirà per essere presente alle cerimonie in Francia che ricorderanno lo sbarco delle truppe alleate sulle spiagge della Normandia, episodio chiave per l’epilogo della seconda guerra mondiale.

 

Una ventina di case palestinesi sono state distrutte da reparti militari israeliani impegnati da ieri in una vasta operazione a Rafah, nella zona di confine fra l'Egitto e la striscia di Gaza. La radio militare israeliana ha aggiunto che in due giorni i soldati sono riusciti a scoprire in quella zona e a distruggere due tunnel adibiti alla trafugazione di armi e munizioni per l'intifada. Intanto in Cisgiordania, a Nablus, reparti israeliani sono riusciti a catturare due quadri militari di Tanzim, una formazione legata ad al-Fatah.

 

Dure critiche alla repressione militare israeliana dell'intifada sono espresse, in un’intervista al quotidiano Haaretz, dal premier turco Erdogan, che con l'occasione assicura di provare spiccata amicizia verso gli ebrei e verso Israele. Erdogan fa notare al governo di Sharon che la lotta al terrorismo ''deve avvenire nel rispetto dei diritti civili e nel rispetto della superiorità della legge''. Per poi sottolineare come i rapporti politici con Israele siano ''talmente solidi dal consentire il superamento delle difficoltà''. 

 

Sono passati 15 anni dai fatti di Tienanmen. Nella notte tra il 3 ed il 4 giugno del 1989 l'esercito cinese sgomberò con la forza la piazza centrale di Pechino, denominata appunto Tienanmen, occupata da due mesi dai giovani del movimento studentesco che manifestavano chiedendo riforme e democrazia. Centinaia, forse migliaia di persone furono uccise e il movimento venne definito ''controrivoluzionario'' dal Partito Comunista. Nel 15.mo anniversario, decine di dissidenti, secondo i gruppi umanitari, sono stati messi agli arresti domiciliari o sono stati allontanati dalla capitale in vista della ricorrenza.

Il servizio di Bernardo Cervellera:

 

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Gruppi speciali di polizia sono pronti a bloccare iniziative di studenti e attivisti politici in occasione del XV anniversario del massacro di Tienanmen. Le università sono controllate e l’uso di piazza Tienanmen è da poche settimane condizionato a nuove restrizioni e regolamenti per prevenire ogni possibile protesta. Stretta sorveglianza e arresti domiciliari anche per diverse figure della dissidenza. Prima fra tutte la dottoressa Ding Zilin, leader del gruppo delle madri di Tienanmen che ogni anno chiedono giustizia per i loro figli uccisi dai carri armati. Anche Zhao Ziyang, primo ministro nel 1989, che venne esautorato per essere contrario al massacro, è agli arresti domiciliari.

 

Il governo continua a predicare che è tempo di dimenticare, che lo sviluppo economico attuale della Cina è frutto della stabilità sociale garantita col massacro, ma arresti, telefoni tagliati, vigilanza di corpi speciali mostrano che questo sviluppo è fragilissimo. Centinaia di milioni di disoccupati e scontenti, dovuti alle aperture economiche senza riforme politiche, rischiano di creare le condizioni per un nuovo conflitto, ancora più sanguinoso di quello di 15 anni fa.

 

Un ultimo importante elemento è eredità di Tienanmen: dopo il massacro e la prigionia molti dissidenti hanno scoperto la fede cristiana. Diversi fra loro, come il sindacalista Han Dongfan, hanno perdonato i persecutori e lavorano per giustizia e riforme che non pescano più nell’ideologia e nella rivolta, ma in una nuova immagine dell’uomo. Come ci hanno detto alcuni accademici cinesi, la Cina ha bisogno di Dio e del Cristianesimo. Solo così i diritti dell’uomo saranno difesi di fronte a qualunque potere.

 

Per la Radio Vaticana. Bernardo Cervellera

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A fine mattinata negli aeroporti britannici non sono stati ancora smaltiti i problemi causati dal fermo, durato 50 minuti, del sistema operativo computerizzato dello scalo di Heathrow. Ancora non è chiaro quanti voli siano stati coinvolti dal guasto al sistema operativo, verificatosi nelle prime ore della mattina, e non si possono fare previsioni su quanto tempo ci vorrà per normalizzare la situazione dei voli.

 

 

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