RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 155 - Testo della trasmissione di giovedì 3 giugno
2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Messaggio di Giovanni Paolo II
per il 25° anniversario del suo primo viaggio in Polonia
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Ancora
violenza in Afghanistan. Uccisi in un agguato cinque operatori di ‘Medici senza
frontiere’
Domani il presidente
statunitense Bush arriva a Roma per incontrare il Papa, Ciampi e Berlusconi
Cina: 15 anni fa la strage
di piazza Tienanmen.
3 giugno 2004
LA
CHIESA GRECO-CATTOLICA DI UCRAINA,
VITALE
E EROICAMENTE FEDELE AL VANGELO, ATTENDA CON FIDUCIA IL TEMPO
DEL PROPRIO RICONOSCIMENTO GIURIDICO-ECCLESIALE:
COSI’
IL PAPA AI MEMBRI DEL SINODO GRECO-CATTOLICO LOCALE,
RICEVUTI IN UDIENZA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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La Chiesa ucraina greco-cattolica
sta svolgendo “un’efficace opera di evangelizzazione” grazie anche al “clima di
libertà” che si respira oggi nel Paese ex sovietico. Ed è una Chiesa alla quale
Giovanni Paolo II guarda affetto e “ammirazione profonda”, nella speranza che
possa presto ottenere ciò a cui aspira: una piena configurazione
giuridico-ecclesiale. Il Papa ha accolto con queste parole in udienza, questa
mattina, i membri del Sinodo permanente della Chiesa greco-cattolica ucraina,
che da martedì scorso sono riuniti a Roma sotto la guida del cardinale Lubomyr
Husar. Il Pontefice, che ha parlato in ucraino, ha sottolineato “la profonda
vitalità” e la fedeltà che l’ha distinta nel corso dei secoli. Una fedeltà
pagata a caro prezzo, in particolare durante l’ultimo secolo quando il regime comunista
di Stalin tentò letteralmente di liquidare i greco-cattolici, con l’arresto di
massa dei vescovi nell’aprile del ’45 e il tentativo, fallito, di far passare
con la forza un’intera comunità all’ortodossia. Ma già un decennio prima, la
pulizia etnica attuata del regime aveva innescato una spirale di morte con la
drammatica pagina dell’Holodomor, il genocidio per fame dell’Ucraina,
che portò alla morte sette milioni di persone.
Il Papa, che già lo scorso anno
aveva ricordato in un discorso il 70.mo anniversario di quell’abominio, ha
lodato ancora una volta il coraggio della Chiesa Ucraina, che oggi conta 5
milioni di cattolici di rito bizantino e mezzo milione di rito latino. “Ricca
delle eroiche testimonianze, rese anche nel recente passato – ha affermato -
essa si sta impegnando in programmi pastorali che vedono la collaborazione
generosa e concorde del clero e dei laici per un’efficace opera di
evangelizzazione, favorita dal clima di libertà che oggi si respira anche nel
vostro Paese”. Giovanni Paolo II ha detto di condividere, “nella preghiera e
anche nella sofferenza”, l’aspirazione ad un riconoscimento pieno della
struttura giuridico-ecclesiale dei greco-cattolici d’Ucraina. Attendo “il
giorno stabilito da Dio - ha aggiunto - nel quale potrò confermare, quale
Successore dell'apostolo Pietro, il frutto maturo del vostro sviluppo
ecclesiale”.
Assicurando
che tale richiesta è oggetto di un serio studio, “anche alla luce delle
valutazioni di altre Chiese cristiane”, il Papa ha concluso con queste parole
di incoraggiamento: “Questa attesa – ha detto ai membri del Sinodo ucraino -
non sia freno al vostro coraggio apostolico né motivo di spegnere od attenuare
la gioia dello Spirito Santo che anima e sprona (…) a un più intenso impegno
nell'annuncio del Vangelo e nel consolidamento della vostra tradizione
ecclesiale”.
**********
LA
POLONIA FESTEGGIA IN QUESTI GIORNI IL 25MO ANNIVERSARIO DEL PRIMO
VIAGGIO
APOSTOLICO DI GIOVANNI PAOLO II NEL SUO PAESE NATIO:
PER
L’OCCASIONE IL SANTO PADRE HA INVIATO UN MESSAGGIO
AL
PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE POLACCA, MONS. JOZEF MICHALIK
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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“Col
passare del tempo si rivela sempre di più, quanto quei giorni erano importanti
per la Chiesa in Polonia, per la nostra Nazione, e anche in qualche misura per
la storia dell’Europa e del mondo. Oggi si può dire che era un avvenimento
provvidenziale.” Con queste parole Giovanni Paolo II rievoca il suo primo
pellegrinaggio in terra polacca, dal 2 al 10 giugno del 1979, quando insieme
con i vescovi, il clero e tutti i fedeli aveva implorato il dono dello Spirito
Santo: “potevo mai pensare – si chiede oggi il Papa - che avremmo visto così
presto i primi frutti di questa preghiera?” Fin da allora il Santo Padre si
interrogava sui destini della Polonia: “non abbiamo forse il diritto –
dichiarava all’omelia nella prima Messa in Piazza della Vittoria a Varsavia –
di pensare che la Polonia è diventata, nei nostri tempi, terra di una
testimonianza particolarmente responsabile?” “Ma quanti doveri ed obblighi
nascono! – aggiungeva - Ne siamo capaci?” Allora, “bisogna continuamente
ritornare a questa domanda, - scrive oggi Giovanni Paolo II - affinché la
libertà mal utilizzata non porti a una soggezione interiore degli individui e
dell’intera Nazione.” Bisogna rinnovare continuamente menti e cuori, “perché
siano riempiti di amore e giustizia, onestà e dedizione, rispetto per gli altri
e preoccupazione per il bene comune, specialmente per quel bene che è la Patria
libera”. “Solo un impegno solidale” può dare “un felice presente e futuro” a
tutti i polacchi, e sviluppare la cultura nazionale profondamente radicata nel
Cristianesimo, arginando nell’Europa unita “gli influssi dell’ideologia
laicista che – ha denunciato ancora una volta il Papa - misconosce le radici
cristiane del Vecchio Continente”.
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IN UN MESSAGGIO DI BENVENUTO AL PAPA, CHE TRA DUE
GIORNI PARTIRA’
PER LA SVIZZERA, I VESCOVI
ELVETICI INVITANO LA CHIESA LOCALE A STRINGERSI ATTORNO AL PONTEFICE,
IN PARTICOLARE I GIOVANI CATTOLICI,
ATTESI DAL LORO PRIMO RADUNO NAZIONALE
- Intervista con il presidente
confederale Joseph Deiss e il cardinale Roberto Tucci -
Un saluto più che cordiale a
Giovanni Paolo II e la speranza che l’incontro con lui segni un momento
particolare di grazia e di incoraggiamento per la Chiesa svizzera. I vescovi elvetici
hanno affidato ad un breve messaggio il loro benvenuto al Papa, che dopodomani
mattina partirà per Berna e per il suo 103.mo viaggio apostolico
internazionale. La visita, come è noto, è incentrata sul grande raduno
giovanile di dopodomani pomeriggio, il primo incontro nazionale dei giovani cattolici
svizzeri. E in vescovi locali - nell’auspicare che il Pontefice trovi “una
Chiesa viva e credibile”, che si lasci interpellare dal motto del viaggio
“Alzati!” - hanno voluto esortare ancora una volta ragazzi e ragazze - ma anche
adulti, bambini, anziani - a stringersi attorno a Giovanni Paolo II.
“Siate tutti i benvenuti a
Berna”, si legge nel messaggio dei presuli, che ringraziano anche tutti coloro
che si sono adoperati per rendere possibile questo evento, vent’anni dopo
l’ultima sosta del Papa in Svizzera. Un evento atteso anche dalle autorità
elvetiche, che preannunciano per bocca del loro presidente federale, Joseph
Deiss, un’evoluzione nei rapporti diplomatici con la Santa Sede. Ascoltiamolo,
nell’intervista della nostra collega francese, Gabrielle De Jasay:
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R. – LE CONSEIL FEDERAL A
JUSQU’A PRESENT ....
Fino ad oggi il Consiglio
Federale ha presso il Vaticano un rappresentante in missione speciale. Ora si
tratta di trasformare questa presenza in quella di un ambasciatore straordinario
e plenipotenziario. Probabilmente ciò sarà annunciato in occasione della visita
del Papa.
D. – Secondo lei, la visita del
Papa potrà cambiare qualcosa non solo per i cattolici in Svizzera?
R. –
JE PENSE CHE LE PAPE...
Penso che anzitutto il Papa si rivolga certamente ai cattolici. Ma in
generale anche a tutto il mondo, a cristiani e non. Il Santo Padre porta un
messaggio molto forte a favore della pace e dei diritti dell’uomo. Tutti valori,
credo, condivisi dalla popolazione svizzera, indipendentemente dalla
professione religiosa. Sono certo che tutti gli svizzeri siano attenti a questo
messaggio.
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L’incontro ravvicinato di
Giovanni Paolo II con i giovani di un Paese al centro di una visita pastorale è
una costante da molti anni. Anzi, può essere considerato un tratto distintivo
dell’attuale pontificato, nato da un desiderio stesso del Papa, come racconta,
al microfono di Rosario Tronnolone, il cardinale Roberto Tucci:
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R. – Nell’attività che ho svolto
per tanti anni, dal 1982 al 2001, nella preparazione dei viaggi pontifici,
sapevo benissimo che il Papa dovunque andasse desiderava un incontro con i
giovani. E sapevo pure che - dato che questo incontro con i giovani poteva
durare molto di più di quello che si potesse prevedere - era meglio organizzarlo
generalmente alla fine della giornata, così da non far attendere il gruppo
seguente. Dappertutto, io ho notato che il Papa portava un messaggio forte a
questi giovani e suscitava entusiasmo perché si rivelava un uomo di fede: una
fede chiara, esigente. I giovani, anche se non sempre sono in grado di accettare
il messaggio, amano però sentirsi dire certe cose in maniera convinta.
D. – Quello in Svizzera, è un
viaggio che potrebbe presentare qualche difficoltà. C’è qualcuno che ha parlato
anche di possibili contestazioni...
R. – E’ possibile, ma non mi
meraviglierei. Comunque, Giovanni Paolo II non ha mai avuto paura. Oltre ad
aver esortato tutti noi a non aver paura di aprire le porte a Cristo, fin dal
momento iniziale del suo pontificato, non è un uomo che si lasci spaventare.
Una volta, ebbi l’ardire di consigliare al Papa di rinviare delle visite, per
esempio in Nicaragua - la prima visita, quando ancora c’erano i sandinisti al
governo - o in Olanda, perché temevo in quel caso che non avesse gran successo,
o per lo meno che ci fossero dure contestazioni. In quell’occasione, il Santo
Padre reagì in modo molto chiaro: il Papa deve andare dovunque lo invitano,
disse, dovunque c’è una Chiesa in difficoltà bisogna che il Papa vada, anche a
costo di non avere un pieno successo. Quindi il Papa va. E alla fine - per esempio
nel caso dell’Olanda - il suo coraggio veniva ammirato anche da coloro che
erano stati inizialmente piuttosto contrari alla sua visita.
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ALTRE
UDIENZE
Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto anche alcuni presuli della Conferenza Episcopale
degli Stati Uniti d’ America (Regione XIII), in visita “ad Limina” e il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della
Congregazione per l’Evangeliz-zazione dei Popoli.
UN MILIONE DI PERSONE HANNO PARTECIPATO OGGI
ALLA MESSA CELEBRATA DAL CARDINALE MARTINO
PER I MARTIRI UGANDESI SAN CARLO LWANGA E COMPAGNI
NEL NORD DELL’UGANDA
- La cronaca di padre Giulio Albanese -
Centinaia
di migliaia di ugandesi hanno partecipato oggi a Namugongo nel nord del Paese
alla messa celebrata dal cardinale Renato Raffaele Martino per la memoria dei
martiri san Carlo Lwanga e compagni. Domani, il presidente del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace, dopo 5 giorni di visita, lascerà l’Uganda per
rientrare a Roma. Da Kampala ci parla di questa giornata padre Giulio Albanese,
direttore dell’agenzia missionaria Misna.
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Il cardinale Martino, questa mattina, ha presieduto la solenne
celebrazione eucaristica a Namugongo, in occasione di quella che qui in Uganda
è considerata la festa nazionale: si celebra infatti la memoria liturgica dei
martiri di Uganda, San Carlo di Lwanga e compagni. In una cornice davvero
suggestiva, quella appunto di questo santuario alla periferia estrema di
Kampala. Alla cerimonia ha peraltro preso parte un numero incredibile di pellegrini.
Si è parlato di 800 mila persone, forse la cifra va addirittura ben oltre il milione.
E’ stata davvero un’occasione per il porporato per condividere quella che è
stata l’esperienza che ha vissuto in questi giorni nel Nord Uganda.
Naturalmente ha preso lo spunto partendo proprio dal martirio, quello dei
martiri dell’Uganda. Chiaramente il cardinale Martino aveva ben presente tutto
quello che ha visto in questi giorni ed ha ricordato l’importanza del martirio
come espressione di santità. A proposito di santità ha ricordato che si tratta
proprio di un qualcosa non di straordinario, che nella fede appartiene alla ferialità,
alla quotidianità della vita. In questo senso ogni cristiano è chiamato ad
essere martire, un testimone del Dio vivente, un segno di contraddizione,
araldo del Vangelo, e di un Vangelo di pace e di riconciliazione. Vi è poi un
altro aspetto – a mio avviso – molto importante che è stato toccato dal
cardinale Martino: se da una parte è giusto vivere la dimensione della
solidarietà a 360 gradi e quindi far riferimento ai benefattori e alle grandi
agenzie internazionali, il cardinale ha anche ricordato che la soluzione dei
problemi parte proprio dall’impegno della nazione, degli ugandesi. Devono
essere loro i protagonisti della solidarietà, i protagonisti della missione. Ha
poi citato una bellissima frase di Papa Paolo VI, proferita proprio qui a
Kampala nel 1969 all’Episcopato africano: “Da questo momento – disse Paolo VI –
voi africani siete missionari di voi stessi”.
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“ALLA
GUERRA NON CI SI DEVE MAI RASSEGNARE E PIEGARE”:
E’
L’APPELLO DEL CARDINALE IGNACE MOUSSA I DAOUD
APPENA
RIENTRATO DA UN VIAGGIO IN TERRA SANTA, TURCHIA E BULGARIA
- Il
porporato ai nostri microfoni -
Il
cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali,
è rientrato in questi giorni da un lungo viaggio che lo ha portato in Terra
Santa, Turchia e Bulgaria. Particolarmente forte l’appello che ha voluto
lanciare per la riconciliazione nella Terra Santa. Giovanni Peduto lo ha
intervistato:
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R. – Siamo uniti alla preghiera del Papa e ai suoi
continui sforzi per avvicinare le parti in conflitto e favorire ogni possibile
intesa in vista di una pace giusta e duratura. Nell’indimenticabile
pellegrinaggio che ho compiuto in Terra Santa, ho chiesto a Cristo Risorto di
abbattere ogni barriera di separazione tra i singoli e i popoli. Si sono uniti
in preghiera i pastori e le comunità cattoliche di rito latino e orientale, e
numerosi rappresentanti ecumenici. Alla guerra non ci si deve mai rassegnare e
piegare! Come prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali chiedo
nuovamente la “carità dei pellegrinaggi”. Sono possibili con la dovuta cautela
e la debita organizzazione. Sì, i pellegrinaggi!Per ricevere e dare speranza!
D. – Lei è stato in Turchia: quali gli incontri
principali?
R. – Prima di tutto la comunità cattolica. E’
numericamente esigua, ma lodevole nella sua testimonianza al Signore in quel
contesto fortemente islamico. Ho incontrato la Conferenza episcopale. Ho
pregato nella “Casa di Maria”, poco lontano dal luogo dove i padri del Concilio
di Efeso la proclamarono “Madre di Dio”, le ho affidato le sorti
dell’ecumenismo, anche per prepararmi all’incontro personale che avrei avuto
con il Patriarca Ecumenico e con il Patriarca armeno apostolico ad Istanbul. Ho
visitato Smirne, Antiochia di cui porto il titolo come Patriarca emerito della
Chiesa siro-cattolica, Edessa, Nisibe, luoghi di straordinaria importanza per
le memorie degli apostoli, dei padri e di tappe decisive dello sviluppo della
Chiesa. A Mardin sono intervenuto ad un importante ritrovo interreligioso.
D. - In Turchia come procede il dialogo fra cristiani e
musulmani?
R. – Estenderei la risposta al dialogo tra le religioni
monoteiste, che prosegue a piccoli passi, ma è improntato a promettente
rispetto. Un esempio è stato il convegno di Mardin dedicato al tema della pace,
erano presenti il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Patriarca siro-ortodosso
Zakka, esponenti di diverse comunioni cristiane, dell’ebraismo e dell’islam,
insieme alle autorità turche. Un seme di dialogo e di collaborazione!
D. – Che ricordo c’è della visita di Giovanni Paolo II
avvenuta 25 anni or sono?
R. – Il Papa è molto amato dai cattolici e gode la sincera
stima di tutti i turchi, i capi religiosi hanno ricordato la visita nei
colloqui intercorsi e hanno espresso convinto apprezzamento per la sua
testimonianza di fede e la generosa opera di pace, e sarebbero lieti di
riaverlo tra loro.
D. – La sua visita in Bulgaria: cosa è emerso?
R. – Ho accolto l’invito dei vescovi a commemorare il
secondo anniversario della visita del Papa, ripercorrendo le sue orme nelle
date esatte di quel passaggio indimenticabile.
D. – A che punto è in questo Paese il dialogo fra
cattolici e ortodossi?
R. – Le mie impressioni sono positive. In nunziatura ho
incontrato il metropolita Neofit e il vescovo di Rila con alcuni sacerdoti
ortodossi. A Russe tre metropoliti hanno partecipato alla Santa Messa che ho
presieduto in cattedrale nel ricordo del vescovo Bossilkov, martirizzato dal
regime comunista. Il metropolita Kalinik è intervenuto con parole di particolare
stima per il Santo Padre. Metropoliti e presuli cattolici mi hanno poi
accompagnato alla cattedrale ortodossa di Russe per una comune preghiera. E ci
siamo, infine, ritrovati fraternamente nella residenza del vescovo cattolico di
Russe. Segnali positivi, dunque!
D. – In che spirito si è svolto l’incontro con il
Patriarca ortodosso bulgaro Maxim? Quali frutti dalla conversazione?
R. – Il Patriarca mi ha accolto con molta cordialità,
insieme a tre metropoliti, ed ha avuto parole di stima e di fraterno saluto per
il Santo Padre. Abbiamo espresso l’auspicio per un progresso nel cammino verso
l’unità, preparata dalla collaborazione sempre più proficua nel comune servizio
alla società bulgara, e particolarmente ai giovani. Al Patriarca abbiamo
presentato l’augurio per l’imminente novantesimo compleanno. Vorrei infine dire
che sia in Turchia, sia in Bulgaria sono stato accompagnato da tanti ricordi
del beato Giovanni XXIII, che fu Delegato apostolico per lunghi anni nelle due
nazioni. Nell’anniversario della sua morte, avvenuta il 3 giugno 1963, affido
alla sua intercessione il futuro delle due Chiese e dei due popoli, da lui
intensamente amati.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq: al
vaglio della comunità internazionale la risoluzione presentata dagli Stati
Uniti e dalla Gran Bretagna.
Nelle vaticane, il discorso di
Giovanni Paolo II al Sinodo Permanente della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina.
Nelle estere, in rilievo un
articolo sull'Afghanistan dal titolo "Paga un doloroso tributo di sangue
l'impegno di civiltà dei Medici senza frontiere': mortale agguato a cinque
volontari.
Uganda: non si fermano nel Nord
le atrocità contro i civili; centinaia di vittime nell'ultimo mese.
Nella pagina culturale, i contributi
di Danilo Veneruso e di Fabrizio Contessa in merito al sessantesimo
anniversario della liberazione di Roma
Nelle pagine italiane, in primo
piano un articolo sul nuovo video con i tre ostaggi italiani trasmesso da
"Al Jazeera".
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3 giugno 2004
BUKAVU NELLE MANI DEI RIBELLI:
KINSHASA
ACCUSA IL RWANDA, LA POPOLAZIONE ACCUSA L’ONU
-
Dalla città congolese, le testimonianze di due missionari -
Dopo giorni di intensi combattimenti,
Bukavu – città nell’est della Repubblica democratica del Congo – è nelle mani
dei miliziani filoruandesi della Rcd-Goma, che il governo di Kigali nega di
avere appoggiato. Dure accuse della popolazione contro i caschi blu, che non sarebbero
intervenuti in tempo per riportare la calma: nelle manifestazioni di questa
mattina a Kinshasa una persona è morta e tre sono rimaste ferite.
Andrea Sarubbi ha raccolto telefonicamente
la drammatica testimonianza di due missionari a Bukavu, che lasciamo anonimi
per motivi di sicurezza:
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R. - I combattimenti sono finiti. Si sente solo qualche
sporadico sparo nella città ed in periferia.
D. – Secondo le agenzie di stampa, è stata colpita anche
l’emittente cattolica “Radio Maria Regina della pace”. È vero?
R. – C’è stato un tentativo di aprire le porte. Sono stati
rotti i vetri, hanno tentato di entrare ma non sono riusciti.
D. – Ma perché volevano colpire questa radio?
R. – Era un tentativo di fermare tutti i programmi che
questa emittente cattolica sta trasmettendo, da tempo, per preparare la gente
alla transizione democratica. Dall’inizio del conflitto, Radio Maria è stata
sempre ben chiara nel dire tutta la verità.
D. – La Bbc riferisce di saccheggi, di violenze e di
stupri. Lei conferma?
R. – Sicuramente. Violenze di tutti i generi, stupri,
soprattutto in alcune parti della città. La suora che è qui con me – una suora
croata – può raccontarvi quello che hanno vissuto questa notte.
R. – (Suora) Sono entrati nel nostro chiostro, ma non in
casa.
D. – Che cosa volevano i guerriglieri?
R. – (Suora) Entrare, impadronirsi dei mezzi di
comunicazione, dei telefoni, dei soldi, eccetera.
D. – Però, non sono entrati ...
R. – (Suora) No, perché abbiamo chiamato tutti: i
saveriani, la Monuc e così via.
D. – Padre, da ieri in diverse città - fra cui Kinshasa -
la popolazione sta protestando violentemente contro i caschi blu dell’Onu,
perché la Monuc farebbe troppo poco ...
R. – A dire la verità, questa notte le suore sono state
liberate proprio dai caschi blu: noi abbiamo chiamato quelli della Monuc che
sono andati a prenderle e le hanno portate qui da noi. D’altra parte, è
innegabile che c’è qualcosa di poco chiaro: non escluderei che ci fossero
alcuni caschi blu colpevoli di complicità con gli altri.
D. – In che senso ci sarebbe complicità?
R. – Ha destato molto stupore la presa così improvvisa
della città. Sembrava che la delegazione di Kinshasa dovesse arrivare da un
momento all’altro, per potere, nella pace senza sangue, arrivare ad una
soluzione che invece non c’è stata. E ciò è accaduto proprio perché si è
interposta la Monuc, non si sa per quali motivi.
D. – Il governo congolese accusa il Ruanda di aver aiutato
i ribelli, il Ruanda smentisce. Quale delle due affermazioni è falsa?
R. – È falsa la smentita.
D. – Lei dice così perché i ribelli della Rcd-Goma sono
dichiaratamente filo-ruandesi ...
R. – Sicuramente. Ma questa responsabilità di Kigali è
confermata da tutta una serie di testimonianze.
D. – Cosa significa tutto ciò per il futuro di Bukavu?
R. – Significa che le cose non sono ancora chiare. Le
parti dovranno sicuramente mettersi attorno ad un tavolo e trattare la
situazione di Bukavu pensando soprattutto alla popolazione, che in questo
momento sta soffrendo moltissimo. Il grande mercato di Kadutu, che dava da
mangiare a tutta la città, è stato saccheggiato completamente e poi bruciato.
Per cui la popolazione, questa mattina, sta vagando per le strade in cerca di
un po’ di cibo. Sono due giorni che vivono senza mangiare… fino a che punto
arriveremo?
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DA
DOMANI A ROMA LE MANIFESTAZIONE PER I 60 ANNI DELLA LIBERAZIONE
-
Intervista con Umberto Gentiloni Silveri -
Al via domani a Roma la mostra fotografica “4 giugno
1944”: la liberazione di Roma nelle immagini degli archivi alleati”.
L’esposizione ospitata nelle sale del Vittoriano è il primo degli eventi
organizzati per ricordare il 60.mo anniversario dell’ingresso delle truppe americane
nella capitale. Articolata in cinque sezioni ospita circa 400 foto, in gran parte
inedite, ma anche giornali, filmati di propaganda e documentari prodotti dagli
alleati. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
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(musica)
Piazze gremite, gente in festa stretta attorno alle divise
degli americani entrati in città. Era il 4 giugno del 1944, momento decisivo
per la capitale che usciva dai duri mesi di occupazione nazi-fascista, dalle
deportazioni nei campi di sterminio, dalla fame, dalla guerra. E Roma si
prepara ad ospitare una serie di iniziative per il 60.mo della liberazione, a
lanciare un messaggio di pace in un momento di difficili tensioni
internazionali. “Così noi ricordiamo”, progetto culturale che ha impegnato
molte scuole superiori della capitale in mesi di ricerche e dibattiti sulla II
Guerra Mondiale. Alcuni lavori verranno presentati domenica 6 giugno, durante la
commemorazione allestita dal Comune in Piazza Venezia fin dalle 19.00 per
festeggiare insieme alla popolazione, per non dimenticare. Saranno proiettate
anche 150 gigantografie, riprese dagli obiettivi americani mentre avanzavano
verso la capitale. Istanti capaci di fermare il tempo, il sorriso, le lacrime
di gioia, la speranza. Gli scatti saranno tratti dalla grande mostra
storiografica “4 giugno 1944: la liberazione di Roma nelle immagini degli
archivi alleati”, aperta al pubblico sin da domani nei saloni della Gipsoteca
del Vittoriano. Umberto Gentiloni Silveri, curatore della mostra:
“Non è la prima volta che noi vedremo insieme
cronologicamente, divisi per alcuni temi, una raccolta di foto di lavoro fatte
da semplici soldati, quindi l’incontro tra gli alleati e i romani in piazza,
gli abbracci, i baci, la ricerca degli amici, angoli di Roma che in parte non
ci sono più, le sue bellezze, i suoi monumenti, Roma circondata da questa
atmosfera che era un misto tra la fine della guerra e l’inizio di una nuova
speranza. E tra le cose curiose da vedere in mostra, le riprese dall’alto, che
provengono dalle foto fatte dagli aerei della Royal Air Force”.
A fare
da cornice alla manifestazione del 6 giugno a Piazza Venezia anche filmati,
balli, canti d’epoca e uno spettacolo di fuochi d’artificio.
(musica)
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3 giugno 2004
TRAGICA FIAMMATA DI VIOLENZA IN AFGHANISTAN.
UCCISI
IN UN AGGUATO 5 OPERATORI UMANITARI DI “MEDICI SENZA FRONTIERE”.
FERMA
LA CONDANNA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
KABUL.
= Medici Senza Frontiere sospenderà, per il momento, le operazioni in Afghanistan.
La notizia è stata resa nota stamani dall’organizzazione umanitaria
internazionale, all’indomani dell’agguato costato la vita a cinque dei suoi
volontari. Una belga, un norvegese, un olandese e due afgani sono stati uccisi
ieri mentre viaggiavano in auto tra le montagne dell’impervia zona di Khair
Khana, circa 500 km a ovest di Kabul, non lontano dal confine con il
Turkmenistan. Ignoti assalitori, secondo quanto ha riferito il governatore
provinciale, Azizullah Alzali, hanno aperto il fuoco contro il veicolo che
trasportava i tre medici stranieri e i loro due collaboratori. I corpi senza
vita dei cinque sono stati trovati nell’auto crivellata di proiettili. Si
tratta di “un altro tragico e inaccettabile atto diretto contro la comunità che
opera per garantire assistenza umanitaria”: ha commentato Jean Arnault,
rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi
Annan. Dalla caduta del regime dei Talebani, alla fine del 2001, 26 fra
stranieri e afgani, impegnati in operazioni di aiuto alla popolazione, sono
rimasti uccisi. Medici senza frontiere, presente in Afghanistan dal 1980, era
attiva nel paese in 12 province con 80 operatori internazionali e 1400 afgani,
anche con programmi specializzati nella lotta alla tubercolosi e nella
assistenza psicologica. Nel Paese, intanto, la tensione resta alta. Un pacco
bomba, destinato al capo della polizia della città orientale di Nangharhar,
Malik Omar, è esploso stamani nel suo ufficio, ferendo sette suoi
collaboratori, cinque in modo molto grave. (B.C.)
“UNA VISIONE
PER UN PAKISTAN MIGLIORE”: E’ LO SLOGAN CHE ACCOMPAGNA
UN DOCUMENTO RECENTEMENTE REDATTO
DAI LEADER RELIGIOSI PAKISTANI.
IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI E
DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA AL CENTRO DEL TESTO
LAHORE.
= Abolizione di leggi discriminatorie, rispetto dei diritti delle minoranze,
difesa dei diritti umani e delle libertà personali, pari dignità alle donne e,
ancora, aumento della partecipazione democratica dei cittadini. In un
documento, intitolato “Una visione per un Pakistan Migliore”, i leader
religiosi locali hanno sintetizzato in questi termini le priorità per costruire
il benessere e l’armonia della Nazione. Il testo è frutto di un recente
incontro, a Lahore, tra cristiani, musulmani, ahmadi e bahai. Fra i
partecipanti anche mons. Lawrence John Saldanha, arcivescovo della località
pakistana. Uno dei punti su cui l’assemblea si è soffermata è stata la
richiesta di abolizione della legge sulla blasfemia. La Commissione Giustizia e
Pace della Conferenza Episcopale del Pakistan, infatti, ha reso noto che dal
1987 ad oggi almeno 148 musulmani, 208 ahmadi, 75 cristiani e 8 indù sono stati
accusati ingiustamente di blasfemia. L’articolo 295/c del Codice di Procedura
Penale Pakistano condanna “quanti con parole o scritti, gesti o
rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insultano il
sacro nome del Profeta”. La pena prevista arriva fino alla condanna a morte. La
Chiesa pakistana e altre minoranze religiose hanno denunciato l’uso scorretto
della legge, strumentalizzata per regolare questioni personali. I leader
religiosi hanno, inoltre, chiesto una maggiore protezione per le minoranze
religiose, esortando il governo a migliorare la situazione di sicurezza. (B.C.)
IL PRESIDENTE ARGENTINO E’
CHIAMATO A PRONUNCIARSI CONTRO L’ABORTO.
E’ IL MONITO LANCIATO DAL VESCOVO DI SAN LUIS, MONS. LONA,
ALL’INDOMANI
DELLA DESIGNAZIONE ALLA CORTE SUPREMA DI GIUSTIZIA DI DUE
GIURISTE
CONTRARIE AL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEL NASCITURO
BUENOS AIRES. =
La designazione della penalista Carmen Argibay e della specialista in diritto civile Elena
Highton de Nolasco alla Corte Suprema di Giustizia, da parte di Néstor
Kirchner, aprirà la porte all’aborto in Argentina. A lanciare l’allarme, in
un’intervista rilasciata all’agenzia Infobae, è il vescovo di San Luis, mons.
Jorge Luis Lona. La scelta del capo del governo, ha sottolineato il presule,
“non è in linea con la sua cultura e le sue idee, considerato che le due
giuriste si sono apertamente dichiarate contrarie al riconoscimento dei diritti
del nascituro”. “Argibay ritiene che l’interruzione di gravidanza sia un
diritto della donna” ha detto mons. Lona. “Lo stesso vale per la Highton che si
è espressa a favore dell’eutanasia. Con tali criteri anche Beethoven sarebbe
stato ucciso a causa della sua sordità”. “Kirchner si è detto contrario
all’interruzione della gravidanza - ha concluso il vescovo di San Luis - e oggi
è chiamato a dimostrare la sua coerenza. Senza interferire con l’attività
istituzionale, la Chiesa continuerà a difendere la vita”. (D.D.)
HA PRESO IL VIA OGGI A LUBIANA IL CONVEGNO
INTERDISCIPLINARE SU SCIENZA
E FEDE.
L’INCONTRO, CHE SI CHIUDERA’ IL PROSSIMO 6 GIUGNO, E’ PROMOSSO DAL PONTIFICIO
CONSIGLIO DELLA CULTURA
E
DALL’ACCADEMIA SLOVENA DELLE SCIENZE
LUBIANA. = “La Chiesa non ha intenzione di
dire allo scienziato cosa e come deve scoprire”, ma intende richiamare sempre
con forza “la dignità inalienabile dell’uomo”. Con queste parole il cardinale
Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha aperto
stamani a Lubiana, in Slovenia, il Convegno Interdisciplinare su Scienza e
Fede. L’incontro, organizzato dal Dicastero Vaticano e dall’Accademia Slovena
delle Scienze, dal 3 al 6 giugno 2004, ha per tema: “Ethical Responsibility in
the World in Transformation”. Il sacrificio di una vita umana, siano embrioni,
bambini, o prigionieri dei campi di concentramento, ha aggiunto il porporato,
non vale né giustifica il minimo progresso della scienza. Il Convegno si
articola in quattro sezioni. La prima, “Scienza, fede e società”, analizza il
ruolo che esercitano nella vita sociale queste due forme del sapere. La seconda,
“Scienza e valori, il valore della scienza”, invece, si ferma alla considerazione
delle implicazioni etiche della ricerca scientifica, specialmente in campi tanto
delicati come la ricerca biomedica. Il terzo blocco di questioni riguarda
l’unità della conoscenza e l’etica, la multidisciplinarietà e
l’interdisciplinarietà. L’ultima parte del Convegno tratta i nuovi orizzonti di
azione. Attualmente, il Pontificio Consiglio della Cultura promuove il Progetto
Stoq, un’iniziativa per la formazione di personale competente nel campo del
dialogo scienza e fede, con base in tre università romane. (B.C.)
VERRA’ INAUGURATO IL
PROSSIMO 12 GIUGNO UN NUOVO SEMINARIO IN INDIA.
LE CELEBRAZIONI SARANNO PRESIEDUTE
DALL’ARCIVESCOVO QUINTANA,
NUNZIO APOSTOLICO NEL PAESE ASIATICO
SEVASI.
= Nuova pagina nella storia della Chiesa in India. L’arcivescovo Pedro Lopez
Quintana, nunzio apostolico nel Paese asiatico, inaugurerà il prossimo 12
giugno, nella diocesi indiana di Baroda, il Gujarat Vidja Deep (Gvd), il
Seminario Regionale di Sevasi. L’arcivescovo presiederà la celebrazione
eucaristica e, quindi, benedirà il complesso del nuovo seminario, che comprende
un edificio con le aule di insegnamento e un insieme di residenze destinate ai
gesuiti e ai carmelitani di Maria Immacolata, nonché ai seminaristi diocesani.
Un edificio ospita anche alcune religiose. Il nuovo seminario regionale per il
Guyarat nasce ufficialmente nel giugno del 1998, prendendo il posto del
Teologato regionale dei gesuiti ad Ahmedabad. Attualmente ospita sacerdoti,
suore e due laici, provenienti dalle quattro diocesi di Ahmedabad, di Baroda,
di Gandhinagar e di Rajkot, comprese nello stato indiano di Gujarat. (A.M.)
ANNUNCIATI IN NICARAGUA I LAVORI DI RESTAURO
DELL’ANTICA CATTEDRALE
DI MANAGUA. I FONDI ARRIVERANNO DA FRANCIA, SPAGNA E MESSICO
MANAGUA. = A breve verranno aperti i cantieri per il
restauro dell’antica Cattedrale di Managua. Lo ha reso noto, nei giorni scorsi,
il presidente del Nicaragua, Enrique Bolaños, durante il suo viaggio in
Messico. L’imponente costruzione, situata nella Plaza de la Revolución
(ribattezzata Plaza de la República dal sindaco ex somozista, Arnoldo Alemán),
venne quasi totalmente distrutta dal terremoto del 1972 e oggi ne restano
visibili soltanto i muri esterni e le capriate metalliche, che sorreggevano il
tetto. L’idea del restauro è nata in occasione della visita ufficiale in
Nicaragua del presidente del Messico, Vincent Fox, il quale, interpretando le
esigenze dei fedeli della capitale, si è fatto carico di sollecitare le Nazioni
Unite affinché la Cattedrale venisse dichiarata patrimonio dell’umanità. I
lavori, ha specificato il presidente Bolaños, saranno sovvenzionati dai governi
francese, spagnolo e messicano, per una somma complessiva di 6 milioni e 56
mila dollari. Al resto, un milione di dollari, penserà l’esecutivo nicaraguese.
(D.D.)
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3 giugno 2004
- A cura di Fausta Speranza -
Sul terreno in Iraq non mancano gli episodi di violenza. A
Kufa cinque iracheni sono stati uccisi e nove feriti, tra cui diversi bambini,
in violenti scontri tra miliziani di Moqtada Sadr e militari americani. A Baquba
ribelli hanno attaccato la macchina che trasportava a scuola la figlia del
vicegovernatore uccidendo una guardia del corpo. La ragazza è rimasta illesa.
In un altro scontro a fuoco, nella stessa città, è morto un poliziotto
iracheno, mentre altri due sono stati uccisi a Kirkuk. Intanto, è attualmente
al vaglio degli organismi di intelligence il video, diffuso ieri dalle
televisioni arabe, che mostra i tre ostaggi italiani in buone condizioni
fisiche. Una delle prime circostanze da appurare è se la data in cui è stato
girato è effettivamente il 31 maggio. Ma quali sono gli elementi importanti di
questo nuovo video? Roberto Piermarini ne ha parlato con Guido Olimpio, esperto
di terrorismo del Corriere della Sera:
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R. – Sicuramente un’assenza di
richieste precise. Questo video avanza ancora una volta la richiesta di fare
manifestazioni. Si ha quasi l’impressione che i terroristi non sappiano bene
che cosa vogliono e quindi c’è il timore che questo nasconda una tattica per
guadagnare tempo e portare avanti questa vicenda all’infinito, fino alle
elezioni europee e anche dopo.
D. – Guardando questo video che
cosa emerge, secondo te?
R.- Certamente i terroristi sono
stati molto attenti. Sanno che questi video vengono studiati per cui, rispetto
ai precedenti, hanno eliminato qualsiasi scena, qualsiasi ambiente, c’è solo un
muro. Poi fanno vedere i tre ostaggi che mangiano. Quindi il primo elemento è
quello di eliminare particolari che potrebbero costituire tracce da
interpretare. Il secondo elemento, quello degli ostaggi che mangiano, è il
tentativo di dire: sono ospiti, non prigionieri. Se noi lo paragoniamo al primo
video e poi a quegli altri terribili che vengono diffusi da altri gruppi, si
nota una marcata differenza.
D. – Non a caso è stato diffuso
proprio il 2 giugno, festa della Repubblica...
R. – Però la diffusione il 2
giugno secondo me era attesa, cioè dicevano che forse in concomitanza con il 2
giugno, ma soprattutto con la visita di George Bush a Roma e il 4 ci sarebbe
stato un segnale da parte dei terroristi, magari qualche richiesta molto dura e
forte. Per ora la richiesta non mi sembra straordinaria. Chiedono di
manifestare ma manifestazioni potrebbero già esserci. Quindi non è una
richiesta specifica e non mi sorprende l’arrivo della cassetta e in queste ore.
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Sul piano delle prospettive
politiche per l’Iraq, il neo-presidente iracheno Ghazi Yawar, annuncia che
riconciliazione nazionale e sicurezza sono gli obiettivi del nuovo governo per
costruire il futuro dell'Iraq. E fa sentire la sua voce l'Ayatollah Ali al
Sistani, massima autorità sciita nel Paese. Dà un “appoggio condizionato” al
nuovo governo iracheno, per un compito che definisce “immane''. Secondo
Sistani, il governo manca di ''legittimità elettorale'', ma costituisce un passo
nella giusta direzione. E di passo in avanti si parla anche in sede Onu. Il
nostro servizio:
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E’ la bozza di risoluzione
sull'Iraq, in discussione al Consiglio di sicurezza a costituire un passo in
avanti secondo i Paesi membri dell’Onu che, però, accusano: è vaga quando parla
del controllo che l'Iraq avrà in tema di sicurezza e del ruolo dei soldati Usa
che resteranno nel Paese fino al 2005. In particolare la Russia chiede nuove
modifiche.
Il presidente Bush sembra
richiamare tutti all’ottimismo quando ribadisce che un Iraq democratico
''cambierà i dati'' della guerra contro il terrorismo e solleverà ''un'ondata
di democrazia'' nel Medio Oriente. Il leader degli Stati Uniti si pronuncia il
giorno prima della partenza per l’Europa e traccia numerosi paralleli tra quella
che definisce “la guerra di 60 anni fa contro le tirannie” e “l'attuale guerra
contro il terrorismo”. ''Come le ideologie assassine del Ventesimo Secolo –
spiega - l'ideologia del terrorismo cerca di imporre una nera visione dove ogni
dissenso è schiacciato”.
Da parte sua, quale
rappresentante della Commissione europea, Prodi sottolinea che ''l'Europa è
legata per sempre all'America. Lo fa nel messaggio inviato al presidente degli
Stati Uniti in occasione della sua visita nel vecchio continente. L'amicizia
tra America ed Europa – afferma Prodi - è la base su cui poggia l'aspirazione
per un mondo in cui pace, libertà, sicurezza e giustizia possano prevalere''.
Interpellato dalla stampa sull’Iraq, il capo dell’esecutivo europeo torna a
chiedere un cambiamento reale, che significa ruolo dell'Onu e coinvolgimento
dei Paesi arabi. Così – spiega Prodi - si conduce la lotta comune contro il
terrorismo, così si esprime anche la vicinanza, l'amicizia e la solidarietà
agli Stati Uniti''.
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La
missione in Europa di Bush lo porterà innanzitutto a Roma, tra imponenti misure
di sicurezza. Domani incontrerà il Papa in Vaticano, per la terza volta, e il
presidente della Repubblica, Ciampi, al Quirinale, per poi cenare con il
presidente del Consiglio, Berlusconi, a Villa Madama. La visita nella capitale
cade il 4 giugno, anniversario della Liberazione della città dall’occupazione
tedesca. Il giorno dopo, dopo l’incontro e la conferenza stampa sempre con il
premier, Bush ripartirà per essere presente alle cerimonie in Francia che ricorderanno
lo sbarco delle truppe alleate sulle spiagge della Normandia, episodio chiave
per l’epilogo della seconda guerra mondiale.
Una ventina di case palestinesi
sono state distrutte da reparti militari israeliani impegnati da ieri in una
vasta operazione a Rafah, nella zona di confine fra l'Egitto e la striscia di
Gaza. La radio militare israeliana ha aggiunto che in due giorni i soldati sono
riusciti a scoprire in quella zona e a distruggere due tunnel adibiti alla
trafugazione di armi e munizioni per l'intifada. Intanto in Cisgiordania, a
Nablus, reparti israeliani sono riusciti a catturare due quadri militari di
Tanzim, una formazione legata ad al-Fatah.
Dure critiche alla repressione
militare israeliana dell'intifada sono espresse, in un’intervista al quotidiano
Haaretz, dal premier turco Erdogan, che con l'occasione assicura di provare
spiccata amicizia verso gli ebrei e verso Israele. Erdogan fa notare al governo
di Sharon che la lotta al terrorismo ''deve avvenire nel rispetto dei diritti
civili e nel rispetto della superiorità della legge''. Per poi sottolineare
come i rapporti politici con Israele siano ''talmente solidi dal consentire il
superamento delle difficoltà''.
Sono passati 15 anni dai fatti
di Tienanmen. Nella notte tra il 3 ed il 4 giugno del 1989 l'esercito cinese
sgomberò con la forza la piazza centrale di Pechino, denominata appunto
Tienanmen, occupata da due mesi dai giovani del movimento studentesco che manifestavano
chiedendo riforme e democrazia. Centinaia, forse migliaia di persone furono
uccise e il movimento venne definito ''controrivoluzionario'' dal Partito
Comunista. Nel 15.mo anniversario, decine di dissidenti, secondo i gruppi
umanitari, sono stati messi agli arresti domiciliari o sono stati allontanati
dalla capitale in vista della ricorrenza.
Il servizio di Bernardo
Cervellera:
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Gruppi speciali di polizia sono
pronti a bloccare iniziative di studenti e attivisti politici in occasione del
XV anniversario del massacro di Tienanmen. Le università sono controllate e
l’uso di piazza Tienanmen è da poche settimane condizionato a nuove restrizioni
e regolamenti per prevenire ogni possibile protesta. Stretta sorveglianza e
arresti domiciliari anche per diverse figure della dissidenza. Prima fra tutte
la dottoressa Ding Zilin, leader del gruppo delle madri di Tienanmen che ogni
anno chiedono giustizia per i loro figli uccisi dai carri armati. Anche Zhao Ziyang,
primo ministro nel 1989, che venne esautorato per essere contrario al massacro,
è agli arresti domiciliari.
Il governo continua a predicare
che è tempo di dimenticare, che lo sviluppo economico attuale della Cina è
frutto della stabilità sociale garantita col massacro, ma arresti, telefoni
tagliati, vigilanza di corpi speciali mostrano che questo sviluppo è
fragilissimo. Centinaia di milioni di disoccupati e scontenti, dovuti alle aperture
economiche senza riforme politiche, rischiano di creare le condizioni per un
nuovo conflitto, ancora più sanguinoso di quello di 15 anni fa.
Un ultimo importante elemento è
eredità di Tienanmen: dopo il massacro e la prigionia molti dissidenti hanno
scoperto la fede cristiana. Diversi fra loro, come il sindacalista Han Dongfan,
hanno perdonato i persecutori e lavorano per giustizia e riforme che non
pescano più nell’ideologia e nella rivolta, ma in una nuova immagine dell’uomo.
Come ci hanno detto alcuni accademici cinesi, la Cina ha bisogno di Dio e del
Cristianesimo. Solo così i diritti dell’uomo saranno difesi di fronte a
qualunque potere.
Per la Radio Vaticana. Bernardo
Cervellera
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A fine mattinata negli aeroporti
britannici non sono stati ancora smaltiti i problemi causati dal fermo, durato
50 minuti, del sistema operativo computerizzato dello scalo di Heathrow. Ancora
non è chiaro quanti voli siano stati coinvolti dal guasto al sistema operativo,
verificatosi nelle prime ore della mattina, e non si possono fare previsioni su
quanto tempo ci vorrà per normalizzare la situazione dei voli.
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