RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 26 - Testo della Trasmissione di lunedì 26
gennaio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La metà
degli abitanti della regione autonoma del Tibet vive sotto la soglia di povertà.
Il segretario generale dell’ONU Kofi Annan a
Stoccolma ricorda i tanti genocidi degli ultimi decenni: la comunità
internazionale poteva impedirli, ma non lo ha fatto.
Uniti contro il terrorismo e le armi di
distruzione di massa: così il vicepresidente americano Dick Cheney nel suo
discorso di oggi al Senato italiano: domani l’incontro con il Papa
Il segretario di stato americano Powell in visita
a Mosca: Stati Uniti e Russia devono collaborare per un ordine mondiale sicuro.
26 gennaio 2004
Il
Papa ha proseguito stamane le udienze ai vescovi francesi in visita “ad Limina
Apostolorum” ed ha poi incontrato l’arcivescovo Antonio Mennini, nunzio
apostolico, rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa ed il
neo-vescovo Renato Boccardo, segretario del Pontificio Consiglio delle
comunicazioni sociali, ordinato, sabato scorso nella Basilica Vaticana, dal
cardinale Angelo Sodano, accompagnato oggi da un numeroso gruppo di familiari
Il Santo Padre ha inoltre nominato vicario apostolico di Tierradentro,
in Colombia, padre Edgar Hernando Tirado Mazo, già superiore generale
dell’Istituto per le Missioni Estere di Yarumal, attualmente parroco della
parrocchia San Bautista di Vitichi in Bolivia, assegnandogli la sede titolare
vescovile di Zaba.
CON
UNA CELEBRAZIONE ECUMENICA PRESIEDUTA DAL CARDINALE KASPER, CONCLUSA IERI SERA
NELLA BASILICA ROMANA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA
LA
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI
Continuare a pregare e a impegnarsi per l’unità dei
discepoli di Cristo nonostante le difficoltà, senza mai scoraggiarsi. Questo
l’appello del Papa ieri all’Angelus nell’ultimo giorno della settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani. Un invito ripreso ieri sera dal cardinale
Walter Kasper, che ha presieduto a nome del Papa una celebrazione ecumenica, a
conclusione solenne della settimana,
nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, a cui hanno
partecipato i rappresentanti di varie Chiese e comunità cristiane. Il
presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,
ha commentato in particolare il tema della settimana di preghiera di
quest’anno, ispirato alle parole del
Vangelo di Giovanni: “Io vi lascio la mia pace”. Il servizio di Dorotea Gambardella.
**********
(musica)
Dinanzi a una moltitudine di
fedeli, il cardinale Walter Kasper ha ricordato che “non possiamo ricomporre
l’unità con le nostre sole forze. Per questo Gesù ci ha lasciato la sua pace”.
“Sulla croce Cristo ha fondato la
pace e ha inchiodato l’odio e la violenza”.
Quindi, ha invocato la pace
soprattutto per il Medio Oriente e ha ribadito che “pace non significa solo
silenzio delle armi. È l’ordinamento voluto da Dio, è la pace tra le nazioni,
all’interno di un popolo, nell’intimo di un cuore”. “Un cuore – ha sottolineato
– che si riempie di vergogna perché la testimonianza delle Chiese nel corso
della storia piuttosto che in favore della pace è stata di antagonismo”.
Tuttavia proprio grazie allo “Spirito infuso da Cristo – ha detto - negli ultimi
decenni abbiamo compiuto grandi progressi. Non ricorriamo più ad espressioni di
odio e di derisione reciproci. Si è sviluppato un nuovo spirito di fratellanza”.
“Viviamo, lavoriamo e preghiamo
insieme. Siamo diventati amici”.
Nonostante questi progressi, però
– ha rilevato il cardinale Kasper – “non possiamo fingere che tutto sia
perfetto” e non notare “gli accenni di stanchezza ecumenica e i tentativi di
minare il cammino verso l’unità”. Quindi ha evidenziato che “non può esserci
ecumenismo senza conversione”, una conversione che “deve iniziare innanzitutto
in noi stessi”. Come più volte ripetuto dallo stesso Pontefice, infatti,
“l’ecumenismo ci incoraggia ad esercitare autocritica, adempie anche alla
funzione di un esame di coscienza e deve essere un’esortazione a chiedere
perdono”. Il Porporato si è poi soffermato sul valore del dialogo:
“Il dialogo è il metodo stesso
dell’ecumenismo”.
Mediante il dialogo possiamo arricchirci
vicendevolmente, ma – ha ammonito – occorre umiltà e la capacità di riconoscere
che anche noi abbiamo bisogno degli altri. Infine ha messo l’accento
sull’importanza della spiritualità di comunione, che secondo l’insegnamento del
Papa, significa “condividere i desideri e le sofferenze dell’altro e non
puntare il dito contro le sue debolezze”.
(musica)
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IL CARDINALE
VON GALEN VERSO LA BEATIFICAZIONE:
SI
OPPOSE STRENUAMENTE AL REGIME NAZISTA
-
Intervista con Andrea Ambrosi -
Fu profeta di speranza in tempi
dolorosi per il popolo tedesco: parliamo del cardinale Clemente Augusto von
Galen, vescovo di Münster, che si oppose con coraggio al regime nazista. Il 20
dicembre scorso è stato firmato alla presenza del Papa il decreto inerente al
riconoscimento delle sue virtù eroiche. Il cardinale von Galen, nato nel 1878,
morì nel 1946, un anno dopo la fine del regime di Hitler. Per il suo coraggio è
stato chiamato “il Leone di Münster”. Ma ascoltiamo il postulatore della causa
di beatificazione, l’avvocato Andrea Ambrosi, al microfono di Giovanni Peduto.
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R. – Clemente Augusto
von Galen era singolarmente tollerante verso le offese perpetrate a danno della
sua persona ma risultò, invece, fermissimo nella difesa dei diritti della
Chiesa e dell’umanità. Tuonò con audacia contro le nefandezze dei nazisti,
soprattutto con le famose tre omelie dell’estate 1941, rischiando per questo
anche la propria vita.
D. – Un episodio
significativo della vita di von Galen, ad esempio l’impegno a favore degli
ebrei?
R. – Sì, apparivano
particolarmente aberranti agli occhi del servo di Dio le inique sanzioni, anzi
la feroce persecuzione contro gli ebrei: si occupava e preoccupava di loro,
cercando di aiutarli come poteva. Molto avrebbe voluto fare, parlandone
apertamente e con forza, ma sapeva bene come costoro non avrebbero tratto un
vantaggio dal suo intervento. Probabilmente gli ebrei avrebbero, infatti, visto
peggiorare la loro condizione, tanto è che gli stessi ebrei lo pregarono – per
mezzo di persone amiche – di voler desistere da una presa di posizione aperta
in loro favore. Ma ugualmente lui ne protesse più di uno, li fece rifugiare
addirittura in Episcopio, salvandoli veramente da morte sicura.
D. – Cosa ha lasciato von Galen alla Chiesa tedesca?
R. – E’ da
considerarsi uno dei più grandi vescovi mai esistiti nella nazione tedesca. Occupa
un posto veramente insostituibile nella coscienza storica di tutta la Germania.
In particolare è stato un protagonista contro l’ideologia razzista propria del
regime nazionalsocialista. Un grande merito è stato quello di aver contribuito
in modo sostanziale, nella regione di Munster, alla immunizzazione dei fedeli
cristiani dall’infiltrazione subdola e sistematica del partito. La sua memoria,
tuttora vivissima, continuerà a vivere nel cuore della gente della sua diocesi.
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LA
DIFESA DEI POVERI E DEGLI OPPRESSI NEGLI ATTUALI CONTESTI
DI
INGIUSTIZIE E CONFLITTI DIFFUSI NEL MONDO: L’IMPEGNO RIBADITO
DAL
CARDINALE MARTINO, PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO
- A
cura di Roberta Gisotti -
“Condividere
con gli ultimi le sofferenze e l’emarginazione imposte ai più deboli dalla
civiltà dei consumi e dall’opulenza di pochi”: un impegno di carità che si fa
urgente nei nostri tempi, così come ha sottolineato ieri pomeriggio il cardinale
Renato Martino, presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace,
durante la celebrazione per la presa di possesso del suo titolo cardinalizio nella
chiesa romana di San Francesco di Paola. Il grande Santo calabrese, coscienza
critica e dolente nel secolo XV di un popolo impoverito, senza voce, senza
storia e senza libertà; esempio mirabile – ha sottolineato il porporato – nella
società odierna, lui che “non temette di elevare la sua voce, denunziando
apertamente le malversazioni dei potenti”. Un punto di riferimento
luminosissimo – ha aggiunto - per il mio nuovo percorso di principe della
Chiesa. “Possano gli umili, i diseredati, i sofferenti – ha auspicato infine il
cardinale Martino – trovare in noi e nella Chiesa quell’accoglienza, che spesso
mendicano altrove” e che negli attuali contesti di ingiustizie, di guerre e
conflitti siano “la conversione e l’amore i segni più eloquenti di rinnovamento
della vita ecclesiale e di fecondità evangelica”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo:
"Anche io vi voglio bene, vi voglio molto bene": dalla finestra dello
studio privato Giovanni Paolo II ricambia l'affettuoso abbraccio dei bambini e
dei ragazzi dell'Azione Cattolica arrivati in Piazza San Pietro per l'annuale
"carovana della pace".
Risalta poi il titolo
"L'unità dei cristiani: ansia costante del mio Pontificato" (all'interno,
una pagina dedicata alla conclusione della Settimana di preghiera per l'unità
dei cristiani).
Sempre in prima, in rilievo
l'udienza al gruppo polacco del Centro di formazione culturale ed artistica: il
Papa ha donato agli artisti un trittico del Bello. Riguardo all'avvenimento,
una riflessione di Franco Patruno dal titolo "Come nel mattino della
creazione".
Nelle vaticane, l'omelia del
cardinale Angelo Sodano nella Santa Messa per il conferimento
dell'ordinazione episcopale a mons. Renato Boccardo, segretario del Pontificio
Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
L'articolo dell'inviato
Francesco Maria Valiante in occasione del solenne ingresso nella Prelatura di
Pompei del vescovo Carlo Liberati.
Nelle estere, ancora episodi di
violenza in Iraq.
Medio Oriente: scambio di prigionieri
tra Israele ed Hezbollah.
Nella pagina culturale, un
articolo di Carmine Di Biase sull'opera di Giacinto Spagnoletti dal titolo
"Poesia italiana contemporanea".
Nelle pagine italiane, in primo
piano i temi della giustizia e della Rai: cresce la tensione tra i poli e tra i
poteri mentre emergono inquietudini all'interno del principale telegiornale.
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26 gennaio 2004
RATIFICATO
IL PROTOCOLLO ISTITUTIVO DELLA CORTE AFRICANA PER I DIRITTI DELL’UOMO. IL NUOVO
TRIBUNALE, ANALOGO ALLA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO,
E’ UNA
EMANAZIONE DELL’UNIONE AFRICANA E VIGILERA’
SULL’APPLICAZIONE
DELLA CARTA DEI DIRITTI APPROVATA NEL 1981
- A
cura di Alessandro De Carolis –
Da ieri, anche l’Africa ha il suo tribunale continentale
per la difesa delle libertà individuali. Il protocollo istitutivo della Corte
africana per i diritti dell'uomo è entrato in vigore dopo le firme di ratifica
di 15 dei 53 Stati che comprende l’Ua, l’Unione Africana, necessarie per
conferire validità formale al nuovo strumento di tutela. Il modello è quello
della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo: il nuovo tribunale,
secondo Alpha Oumar Konaré, presidente della commissione dell’Ua, “accrescerà
l’impegno dell’Unione Africana nella realizzazione dei diritti umani e nei
valori fondamentali della tolleranza, solidarietà, eguaglianza tra generi e
questioni umanitarie nel continente”. Tra gli Stati che hanno aderito finora
figurano Burundi, Uganda, Algeria, Rwanda, Costa d’Avorio, Togo, Burkina Faso,
Gambia, Mali, Maurizio, Senegal, Sudafrica, Libia, Lesotho. Analogamente alla
Corte di Strasburgo, per i cittadini europei, a quella di Addis Abeba (sede
dell’Ua) si potranno rivolgere tutti gli africani nei casi e nelle controversie
sull’interpretazione e l’applicazione della Carta dei diritti africana,
approvato il 27 giugno 1981 ed entrata in vigore cinque anni dopo. Restano
ancora da definire la sede della Corte e la nomina dei giudici, i quali
verranno probabilmente scelti durante il prossimo vertice di luglio dell'Unione
Africana, della quale la Corte è una emanazione.
Nonostante
le difficoltà a diventare operativa, la Corte Africana dei diritti umani e
civili costituisce un significativo passo avanti, anche se il percorso per una
affermazione piena dei diritti fondamentali della persona appare ancora lungo.
Ma è davvero così? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre Claudio Marano, missionario
che opera a Bujumbura, in Burundi:
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R. – Sì, perché il
problema dell’Africa è un problema che riguarda l’autorità e la politica; è un
problema di capi. Ogni Stato ha un suo capo, culturalmente parlando, che può
fare quello che vuole per gestire uno Stato. Riuscire a rompere questa catena
significa riuscire ad entrare a far parte di una politica internazionale,
caratterizzata dal fatto che tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi
doveri. Mi sembra che questa Corte
rientri proprio in questo ambito.
D. – La Corte è
emanazione dell’Unione Africana, che ha già approvato una Carta dei diritti
dell’uomo. Quanto viene rispettata oggi questa Carta?
R. – Penso che sia
rimasta sulla carta, purtroppo. Ogni stato è caratterizzato da tutta una serie
di guerre nascoste, da ribelli e non ribelli, da zone che sono più o meno
ricche e che vogliono assolutamente l’indipendenza e quanto altro.
D. – Lei opera in
Burundi, un Paese flagellato da dieci anni di guerra civile con 300 mila
vittime. A cosa potrà servire la Corte Africana dei diritti umani e civili in
questo Paese?
R. – Potrà
continuare nel processo di apertura del Burundi agli altri Stati. Il Burundi,
fin quando è stato un luogo dove nessuno poteva metterci il naso, se non con
degli aiuti per permettere di far sopravvivere la gente e il Paese, ha continuato
a vivere nell’ingiustizia; da quando Mandela è riuscito a far entrare nel Paese
dei controllori a livello africano, è riuscito a far entrare nel Paese un
esercito africano, in Burundi dei passi sono stati fatti in modo che la ricerca
della pace e della giustizia diventi realmente effettiva.
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DOMANI SI RICORDA L’ORRORE DELLA SHOAH:
L’ESPERIENZA DI SETTIMIO DI PORTO,
SCAMPATO ALLE PERSECUZIONI NAZISTE
Ricorre domani in Italia e in vari paesi Europei,
tra cui la Germania, il “Giorno della memoria”
nell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, il 27
gennaio 1945. Varie le cerimonie di commemorazione dello sterminio e delle
persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani
nei campi nazisti. A Roma si svolgerà il Quarto Convivio Parlamentare
Nazionale, dedicato quest’anno al tema “La Famiglia alla luce della Shoah”:
interverranno il rabbino capo della comunità di Roma, Riccardo Di Segni, il
rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Rino Fisichella ed il
segretario generale dell’Alleanza Chiese Cristiane Evangeliche in Italia.
Per
ricordare una pagina nera della nostra storia iniziata in Italia con
l’emanazione nel 1938 delle leggi razziali, Paolo Ondarza ha raggiunto Settimio
Di Porto, ebreo, che durante le persecuzioni naziste trovò rifugio presso i
monaci trappisti dell’abbazia romana delle Tre Fontane. Sentiamo la sua
testimonianza.
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R. – La mattina del 16 ottobre, mia madre era scesa presto per
prendere le sigarette, che venivano date con la tessera. Ritornò a casa
terrorizzata: aveva visto i camion che stavano facendo razzia di noi ebrei,
setacciando di casa in casa. Noi scappammo via, chi da una parte, chi
dall’altra. Non sapevo dove era mia madre, dove era mio padre e dove i miei
fratelli. Poi, grazie a mio cognato che aveva delle conoscenze, andammo dai
frati trappisti all’Eur e, dopo esserci radunati con i miei fratelli e mio
cognato, siamo stati lì fino alla liberazione. Per riconoscenza, dopo la
liberazione, abbiamo realizzato una Madonna in marmo che è tuttora sullo
stipite dell’abbazia. Non abbiamo mai pensato lontanamente che stando lì dentro
ci potesse capitare qualcosa.
D. – Quindi, in un momento storico tanto difficile e di diffusa
diffidenza ha incontrato la fiducia…
R. – Esatto. Abbiamo trovato
proprio la fiducia nella trappa.
D. – Alla fine vi siete
ritrovati tutti?
R. – Sì, perché avevamo un qualche rapporto o meglio ero io che avevo
qualche rapporto con l’esterno perché ero quello rischiava un po’ più degli
altri ed uscivo: andavo dalla mia fidanzata, di religione cattolica, che poi ho
sposato e girando per le strade mi informavo della sorte dei miei parenti.
D. – Immagino che tra le sue conoscenze ci sia anche qualcuno che non
ce l’ha fatta a sopravvivere?
R. – Sì, mia zia – la sorella di
mio padre.
D. – Cosa ha saputo di lei?
R. – Ho saputo da mia cugina, che ha avuto la fortuna di ritornare,
che il padre e la madre sono andati nelle camere a gas, a Dachau. Lei ha avuto
la fortuna di incontrare un austriaco che la aiutava e le dava qualcosa da
mangiare: così è riuscita a sopportare e quindi a ritornare… ma purtroppo è
ritornata sola.
D. – Quali erano le torture a
cui fu sottoposta?
R. – Lei non lo ha mai detto. Ma quando è morta, sul suo cadavere abbiamo
trovato i segni delle cicatrici alle gambe. I medici ci hanno detto che erano i morsi dei cani,cioè i doberman con cui i nazisti la torturarono.
D. – Signor Settimio, la Giornata della Memoria è un’occasione per
ricordare una pagina nera, assurda della nostra storia…
R. – Sì e per non dimenticare vorrei dire soltanto questo: in tutta
Europa si stanno riformando delle forme di antisemitismo: forse perché lo Stato
di Israele è in guerra, ma la religione non c’entra niente con uno Stato libero
ed indipendente. Vorrei fare soltanto l’appello che non si formino più queste
forme di antisemitismo.
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26 gennaio 2004
IL
PATRIARCA ORTODOSSO BARTOLOMEO I, IN VISITA A CUBA,
HA
CONSACRATO ALL’AVANA LA NUOVA CATTEDRALE DI SAN NICOLA,
- A
cura di Maurizio Salvi -
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L’AVANA. = Durati quattro ore, la consacrazione della cattedrale
di San Nicola e il successivo rito religioso, sono stati il momento centrale
della visita del Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo I di Costantinopoli,
che è giunto all’Avana mercoledì scorso. Dopo aver ricevuto ieri mattina da
Fidel Castro in persona le chiavi dell’edificio sacro, il Patriarca gli ha
consegnato l’Ordine di Sant’Andrea, come benedizione e simbolo di giustizia e
fermezza. In un discorso dai toni religiosi - ma nel quale non sono mancati
spunti politici, come la condanna dell’embargo economico imposto dagli Stati
Uniti a Cuba - Bartolomeo I ha detto che nell’isola è giunta la luce di Cristo.
“E’ giunta - ha proseguito - per condividere la croce del Paese e del popolo,
per offrire una mano di appoggio a chiunque sia afflitto o prostrato e per
apprezzare i valori della cultura cubana”. Edificata nella città vecchia,
vicino alla basilica cattolica di San Francesco, la cattedrale di San Nicola ha
dimensioni ridotte, perché la comunità ortodossa dell’isola non supera i
duemila membri. Riferendosi ai 153 metri quadrati dell’interno dell’edificio,
l’historiador della capitale, Eusebio Leal, ha detto che si tratta di
una cappella piccolissima, ma realizzata con tutti i canoni dell’architettura
bizantina: un gioiello per la capitale. Due giorni fa, dopo un incontro fra il
patriarca Bartolomeo e il cardinale primate, Jaime Ortega, la Conferenza
episcopale cattolica aveva diffuso un comunicato in cui si sosteneva che la
cattedrale ortodossa era un segno della presenza di Cristo nell’isola.
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CORSA
CONTRO IL TEMPO DELL’ACNUR PER SALVARE DALLA GUERRA E DALLA MISERIA CENTOMILA
SFOLLATI SUDANESI DELLA ZONA DEL DARFUR,
ZONA
POVERISSIMA SOGGETTA A INONDAZIONI
DARFUR (SUDAN). = Ha i giorni
contati l’assistenza umanitaria agli sfollati dal Darfur, la regione
occidentale del Sudan sconvolta dalla guerra. A lanciare ieri l’allarme è stato
Yvan Sturm, coordinatore dell’Alto commissariato dell’Onu per i
rifugiati (Acnur) ad Abeche, in
Ciad. “La situazione sta peggiorando - ha affermato il funzionario - e la gente
del posto che aiuta i rifugiati presto non sarà più in grado di farlo”. Secondo
le Nazioni Unite – riferisce la Misna - sono ormai 100 mila i sudanesi che
hanno superato il confine per sfuggire ai combattimenti in corso tra la falange
ribelle del Darfur e l’esercito regolare sudanese. Gli operatori umanitari
stanno cercando di superare le difficoltà logistiche, che rallentano
l’approvvigionamento di acqua e cibo in una zona poverissima e senza infrastrutture.
In questa fase, ha spiegato Sturm, gli sforzi sono concentrati nel
trasferimento dei civili dalle zone di confine - dove sono accampati in
condizioni disumane ed esposti al rischio di attacco da parte di bande armate -
ai campi profughi gestiti dall’Onu e dalle organizzazioni umanitarie. L’Acnur
vuole evitare che i rifugiati rimangano all’addiaccio in vista della stagione
delle piogge, che tra pochi mesi trasformerà le zone aride e desertiche di
Darfur in enormi paludi, dove le esondazioni dei corsi d’acqua interrompono le
vie di comunicazione. Il conflitto nel Darfur è esploso all’inizio del 2003,
quando l’Esercito di liberazione del Sudan (Sla-m) ha deciso di prendere le
armi contro i militari governativi, accusando le autorità di Khartoum di non garantire
sicurezza alle popolazione di questa regione. Nel Darfur sono attive bande di
predoni arabi, che negli ultimi anni hanno provocato oltre duemila morti.
L’emergenza umanitaria riguarda anche gli sfollati in territorio sudanese, che
secondo stime dell’Onu sarebbero oltre 600 mila. (A.D.C.)
SOTTO LA SOGLIA DELLA POVERTÀ: E’
QUESTA LA CONDIZIONE IN CUI VIVE META’
DELLA POPOLAZIONE TIBETANA. LO
RENDE NOTO UN COMUNICATO
DELL’AGENZIA DI STAMPA CINESE
“XINHAU”
- A
cura di Flaminia Caldani -
PECHINO. = La metà degli
abitanti della regione autonoma del Tibet, vive sotto la soglia di povertà, con
circa 160 dollari all’anno. E’ quanto si apprende dall’agenzia di stampa cinese
“Xinhau”, che ha riportato le stime del Ministero dell’economia di Pechino.
Secondo il governo cinese, dal 2002 ad oggi, gli investimenti di oltre 35
milioni di dollari hanno aiutato in parte a migliorare le condizioni della
popolazione, in particolare quella urbana. Ma la forbice tra campagna e città
resta ancora molto grande, poiché i contadini guadagnano quattro-cinque volte
meno degli abitanti di città. Ancora marginale, in questa moderata crescita
dell’economia locale, è la partecipazione della popolazione autoctona tibetana,
dislocata nelle province sud orientali, nel cosiddetto “Grande Tibet”. In
generale, sono aumentate le piccole attività legate al turismo, ma nonostante
la crescita verificatasi nel 2002, il settore ha subito un notevole crollo a
causa del virus della Sars. (F.C.)
L’ATTUALE
EFFETTO SERRA SUL PIANETA PROVOCATO DALLE EMISSIONI DI GAS
DI 30
ANNI FA. LE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA AVVENUTE PRIMA DEL 2000,
SARANNO
VISIBILI TRA 20 ANNI. AD AFFERMARLO,
UNO
STUDIO DELLA RIVISTA “CLIMATIC CHANGE”
DORDRECHT. = Il riscaldamento
climatico causato dagli aumenti di anidride carbonica avvenuti prima del 2000
sarà visibile non prima del 2020-2030. Quelle
sotto i nostri occhi, sono le
conseguenze sul clima dei gas serra immessi nell'atmosfera ed accumulati prima
del 1970-80. Lo afferma uno studio pubblicato sul periodico internazionale di
studi ambientali “Climatic change”, in cui si sostiene che l'influenza delle
attività umane sul clima non è, come si crede, un fatto recente cominciato 150
anni fa con l’era industriale, ma ben ottomila anni fa, quando l’uomo iniziò a
praticare l'agricoltura, i disboscamenti, la deforestazione, i cambiamenti di
uso del suolo e la sempre maggiore innovazione tecnologica nelle pratiche
agricole. Le conclusioni sintetizzate sulla rivista sono il frutto di recenti
ricerche sul paleoclima (che si estendono fino a 420 mila anni fa), condotte in
Antartide, che hanno portato a migliori e più dettagliate informazioni sui
climi, ma anche sui gas di serra, dei secoli scorsi. Nello studio, si
ricostruisce il passato e si spiega anche che la cosiddetta “piccola era
glaciale” (sviluppatasi tra il XIII e il XiX secolo) è stata causata da un
intenso incremento dei sinks forestali, cioè crescita abnorme della
forestazione e riforestazione, dovuta al crollo dell'agricoltura, causato a sua
volta dalle violente epidemie di peste e di riduzione della popolazione, che vi
furono a quei tempi. L'influenza delle attività umane sul clima si è resa più
visibile e riconoscibile in questi ultimi 150 anni, soltanto perché l'avvento
dell'era industriale (iniziata attorno al 1850) ha accentuato le cause di
impatto antropogenico sul clima. (A.D.C.)
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26 gennaio 2004
- A cura di Fausta Speranza -
● Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha
dichiarato che deciderà oggi o domani sull’invio di una missione esplorativa in
Iraq, per verificare la possibilità di organizzare in tempi brevi elezioni
generali. Questa mattina il governo di Tokyo ha formalizzato la decisione di
inviare 600 uomini per assicurare una migliore cornice di sicurezza al Paese
arabo, mentre si veniva a sapere dell’attacco, avvenuto ieri ad ovest di
Baghdad, ad un camion che trasportava materiale per l’esercito giapponese.
Nell’agguato è rimasto ucciso l’autista giordano del mezzo.
● Le attuali emergenze
internazionali e, dunque, la lotta al terrorismo e la crisi irachena sono al
centro della visita del segretario di Stato americano, Powell, oggi a Mosca.
Questa mattina ha incontrato il ministro degli esteri, Ivanov. Tra i temi in agenda
anche il futuro della Georgia, dove ieri Powell ha assistito all’insediamento
ufficiale del capo dello Stato, Saakashvili, che ha sostituito il dimissionario
Shevardnadze. Per capire su questi temi quali siano i punti di vista comuni ma
anche quali siano le divergenze tra Russia e Stati Uniti, Giancarlo La Vella ha
intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto
dell’area ex sovietica:
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R. – Francamente,
credo che le identità di vedute tra Russia e Stati Uniti siano poche,
nonostante le apparenze. I due Paesi fanno un grande sforzo per mostrare di
avere una volontà comune in alcune direzioni, per esempio nella lotta al
terrorismo internazionale. Però, a me pare che proprio già su questo tema le
divergenze siano notevoli. Lo si è visto sull’Iraq, ma anche sulla Georgia, che
è al centro di questo viaggio di Powell. Non dimentichiamo che per i russi la
Georgia era un Paese che probabilmente appoggiava o almeno non combatteva i
terroristi ceceni, mentre per gli Stati Uniti la Georgia è un Paese minacciato
dal terrorismo islamico.
D. – Il nuovo
presidente georgiano, Saakashvili, ha strizzato l’occhio in un modo abbastanza
chiaro ad un futuro avvicinamento a Bruxelles. Potrebbe nascere un contrasto a
tre sul futuro della Georgia, tra Russia, Stati Uniti e Unione Europea?
R. – Credo che
questa presa di posizione sia più che altro un tentativo di tirarsi fuori da
questa polemica bipolare sul futuro della Georgia. Io credo che un eventuale
aggancio della Georgia all’Unione Europea possa essere un bell’auspicio, ma nei
fatti molto lontano e molto difficile.
D. – La comune
esigenza di creare un ordine mondiale più sicuro non potrebbe celare
l’intenzione di Mosca e Washington di dividere il mondo in nuove aree
d’influenza?
R. – Io sono
assolutamente convinto che le grandi potenze, e anche le medie potenze,
facciano molto poco per “idealismo” ma piuttosto fanno tutto quel che possono
per l’interesse nazionale. Certamente, la Russia ha in questo momento
l’interesse a che l’influenza americana nel Caucaso si fermi: non dimentichiamo
che gli Stati Uniti hanno 250-300 consiglieri militari in Georgia e questa
presenza ha poi portato all’intensificazione di certi discorsi sugli oleodotti
che dovrebbero poi appunto passare attraverso la Georgia e poi finire in
Turchia. Questo progetto, chiaramente, sarebbe una sorta di cesura
nell’influenza russa sul Caucaso. Io credo che sarà sostanzialmente una battaglia
d’interessi.
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● La lotta al terrorismo è
un tema chiave anche nella visita a Roma del vicepresidente degli Stati Uniti,
Dick Cheney, la prima volta dalla fine della guerra in Iraq. Numerosi gli
incontri in programma con le massime autorità italiane. Stamani, Cheney ha incontrato
il presidente della Repubblica Ciampi, poi ha tenuto un discorso alla
Biblioteca del Senato. Quindi, stasera sarà a Villa Madama per incontrare il
premier Berlusconi e domani si recherà in Vaticano per un colloquio con il
Papa. Ma del discorso di questa mattina ci riferisce Alessandro Gisotti, che lo
ha seguito alla Biblioteca del Senato.
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(ITALIANS AND AMERICANS…)
“Italiani e americani conoscono
bene il prezzo della libertà, per questo devono restare uniti contro la nuova
minaccia del terrorismo”. Il vicepresidente americano, Dick Cheney, ha
sottolineato il significato della partnership tra Roma e Washington, rafforzata
dal tributo pagato dagli italiani a Nassirya. Con l’11 settembre, ha
sottolineato il numero due della Casa Bianca, il mondo ha potuto “intravedere, solo in parte, la grandezza della
minaccia del terrorismo internazionale”, un pericolo nuovo che vuole abbattere
i valori su cui si basano le società occidentali. Per questo, ha dichiarato,
bisogna promuovere la democrazia anche nel Medio Oriente, perché il terrorismo
non fiorisce dove c’è un sistema democratico. La Palestina ha dunque bisogno di
democrazia, ha avvertito, ma anche Israele deve rafforzare l’impegno per vivere
pacificamente accanto ai palestinesi.
(OUR CHOICE….)
La scelta oggi non
è tra mondo unipolare o multipolare – ha dichiarato Cheney - ma è per un mondo
giusto, democratico e libero. Sul fronte della proliferazione nucleare, il vice
di Bush ha confermato la determinazione degli Stati Uniti nei confronti di Iran
e Corea del Nord ed ha tenuto a segnalare il caso positivo della Libia. E se la
ricerca delle armi di distruzione di massa in Iraq si rivela ancora vana - a
otto mesi dalla fine del conflitto - Cheney si è detto tuttavia certo che “i
terroristi stanno facendo tutto il possibile per acquisire armi chimiche e
batteriologiche”. Dal canto suo, il presidente del Senato, Marcello Pera, ha
messo l’accento sulla necessità di scongiurare la contrapposizione tra Europa e
Stati Uniti nella necessaria lotta comune contro il terrorismo. “La nostra
visione dell'Europa - ha affermato Pera - è quella di un unico continente
stretto attorno ai valori di libertà, democrazia” alleato degli Stati Uniti.
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● Il ministro degli esteri israeliano, Shalom, in vista della
sua prossima visita ufficiale a Amman,
il 28 gennaio, ha affermato che Israele è disposto a liberare un numero
imprecisato di detenuti giordani. Shalom ha precisato che la liberazione di
detenuti giordani o egiziani è del tutto indipendente dall'accordo sullo
scambio di prigionieri tra Israele e i
guerriglieri sciiti libanesi, Hezbollah, mediato dalla Germania. La visita di
Shalom in Giordania coincide con un
momento in cui le relazioni tra i due
Paesi sono segnate da contrasti
politici. La Giordania è tra i più decisi avversari della decisione israeliana
di costruire una barriera di sicurezza
in Cisgiordania.
● Il Consiglio dei
guardiani, istituzione chiave dei conservatori in Iran, ha respinto ieri sera
la modifica del codice elettorale adottata dal Parlamento riformatore nel
tentativo di aggirare la bocciatura massiccia di candidati alle legislative.
Secondo la stampa, il Consiglio dei guardiani della Costituzione ha ritenuto il
progetto di legge contrario all'islam e ad alcuni articoli della Costituzione.
La riforma elettorale approvata ieri dal Parlamento avrebbe costretto i
conservatori ad ammettere le candidature dei loro avversari politici alle legislative. Le rispettive posizioni dei
riformatori e dei conservatori appaiono ancora più rigidamente contrapposte.
● I ministri degli Esteri dell'Unione europea sono
tornati a parlare della Conferenza intergovernativa e della Costituzione
europea, informalmente, durante il pranzo che si tiene nel corso del Consiglio
Affari Generali. Nel pomeriggio, nella sessione dedicata alle relazioni
esterne, si discuterà di Medioriente e Iran. C’è poi in agenda anche la
questione dell'embargo alla vendita di armi alla Cina sollevata dal Consiglio
europeo del dicembre scorso.
● “Il caso Parmalat ci ha fatto
capire che la frode non conosce confini nazionali''. E’ quanto ha detto
il presidente della Sec, la Consob americana, Donaldson, parlando questa
mattina a Bruxelles, per poi aggiungere che la lezione da trarre è che c'è
bisogno di una cooperazione tra gli Stati Uniti e tutte le autorità di
regolamentazione del mondo. Intanto, sul caso dell’azienda italiana di Collecchio
è emerso che al 30 settembre scorso l'indebitamento finanziario netto del gruppo aveva raggiunto i 14,3 miliardi di
euro.
● La minaccia, le responsabilità e la prevenzione
dei genocidi. Sono questi i temi centrali della Conferenza internazionale
dedicata al drammatico fenomeno degli omicidi di massa che si è aperta oggi a
Stoccolma alla presenza dei sovrani di Svezia e del segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan. Sulle riflessioni emerse, il servizio di Amedeo
Lomonaco:
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“Non esiste problema più
importante, né obbligo a cui siamo maggiormente tenuti, della prevenzione dei
genocidi”. Sono queste le parole con cui Kofi Annan ha ricordato a Stoccolma,
aprendo i lavori della Conferenza internazionale, le omissioni e le
responsabilità della comunità internazionale. L’obiettivo dell’iniziativa è
quello di analizzare le strategie tese a sradicare un fenomeno che anche dopo
la fine del nazismo si è ripetuto più volte negli ultimi decenni in diverse
aree del mondo: dalla Cambogia alla regione africana dei Grandi Laghi, alla
Bosnia. “Gli avvenimenti degli anni ’90, che hanno drammaticamente colpito l’ex
Jugoslavia e il Rwanda – ha spiegato Annan – confermano la gravità del problema
e sono particolarmente vergognosi”. “La comunità internazionale - ha aggiunto -
aveva chiaramente i mezzi per impedire queste tragedie ma è mancata la volontà”.
La Conferenza è l’ultima di un ciclo cominciato nel 2000 sul tema
dell’olocausto per iniziativa della Svezia. Alla fine dei lavori, ai quali partecipano
le delegazioni dei governi di 58 Paesi e diverse organizzazioni internazionali,
è prevista l’adozione di un documento conclusivo che impegni gli Stati aderenti
a coordinare la loro azione di vigilanza per prevenire i genocidi, punire i responsabili
ed educare le nuove generazioni.
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● Sono sei, tra cui un
bambino, le persone morte in Thailandia per la cosiddetta influenza dei polli.
Altre due persone risultano contagiate. In Pakistan sono stati individuati casi del virus nella città portuale di Karachi, nel sud del Paese. In
Vietnam la malattia ha già provocato la morte di sei persone. Il virus ha fatto
la sua comparsa finora in Indonesia, Cambogia, Giappone, Corea del sud, Taiwan,
Vietnam e, forse, anche nel Laos.
● Non sembra, invece,
proprio collegata a questa epidemia la misteriosa malattia che sta colpendo i
Paesi del nord del Bangladesh. Nelle ultime 24 ore ha ucciso tre persone portando a quindici le vittime attribuite
ad essa. Le vittime, molte delle quali bambini, vivevano nel distretto di
Rajbari, a circa 130 km da Dhaka.
● Il presidente cinese Hu
Jintao è partito per Parigi, prima
tappa di un lungo viaggio che lo porterà anche in Egitto, Algeria e Gabon. Il
leader cinese è accompagnato tra gli altri dalla moglie, e dal ministro degli
esteri. Nel corso della sua visita Hu,
che è il primo presidente cinese a compiere una visita ufficiale in Francia,
terrà un discorso davanti al Parlamento. Tra i problemi dei quali Hu discuterà
con il presidente francese, Chirac, figurano ai primi posti la ricostruzione dell'Iraq
e l'annullamento dell'embargo sulle vendite di armi alla Cina. L'embargo fu
imposto dai Paesi dell'Unione Europea dopo il massacro di piazza Tiananmen del
1989, quando centinaia di persone che
manifestavano per la democrazia furono uccise
dall'esercito cinese.
● Joseph Kabila, presidente
della Repubblica democratica del Congo, Rdc, non intende presentarsi alle
elezioni presidenziali in programma nel paese nel 2005. In un'intervista al
quotidiano belga 'Le soir', Kabila ha ricordato di essere un ufficiale delle forze
armate congolesi e che i militari, in base allo statuto mai modificato, non
possono candidarsi. Al potere dal gennaio del 2001, quando ha sostituito il
padre Lauren-Desirè, assassinato, l'attuale presidente congolese ha ammesso che
il processo per preparare la consultazione è in ritardo sottolineando che la
stessa legge elettorale deve ancora essere votata dall'assemblea nazionale.
● L'amministrazione americana intratterrà colloqui
con rappresentanti del governo libico sulla normalizzazione delle relazioni
bilaterali, all'inizio del mese prossimo a Londra. E’ quanto scrive il
Financial Times mentre a Tripoli, per la prima volta in 35 anni, si trova una
delegazione del Congresso statunitense. Lo scorso 19 dicembre, il
leader libico Gheddafi ha annunciato a sorpresa lo smantellamento delle armi nucleari
di Tripoli e la collaborazione con la comunità internazionale.
● Uno spiraglio di speranza per la crisi ad Haiti. Il
presidente Aristide ha accettato ieri di incontrare l’opposizione, rispondendo
agli sforzi di pace dei leaders dei Carabi. Secondo quanto ha riferito il primo
ministro delle Bahamas, Perry Christie, il vertice potrebbe svolgersi quanto
prima in Jamaica, mettendo fine alle proteste che in 4 mesi hanno causato la
morte di 47 persone.
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