RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 18 - Testo della Trasmissione di domenica 18
gennaio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Strage
a Baghdad: 25 i morti e oltre 130 i feriti.
Domani
nell’Iowa, negli Usa, le prime tappe in vista delle prossime elezioni nazionali
In
Guatemala, Rigoberta Manchu ambasciatrice per gli accordi di pace.
18
gennaio 2004
“IN UN
MONDO ASSETATO DI PACE, E’ URGENTE CHE LE COMUNITA’ CRISTIANE
ANNUNCINO
IL VANGELO IN MODO CONCORDE”: COSI’ IL PAPA ALL’ANGELUS.
NEL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI
AUSPICA
“UN ABBRACCIO FRATERNO NELLA PACE DEL SIGNORE”
“In un mondo assetato di pace, è urgente che le comunità
cristiane annuncino il vangelo in modo concorde”: sono le parole del Papa che
all’Angelus ha ricordato che
inizia oggi la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ribadendo il tema di quest’anno: “Io vi lascio la mia
pace”, una frase di Gesù tratta dal Vangelo di Giovanni. Ha sottolineato che
l’indicazione del tema è giunta proprio dalle Chiese del Medio Oriente, “dove
l’unità e la pace sono le priorità più sentite”. Il servizio di Fausta Speranza:
*********
Nel promettere la sua pace Cristo ha assicurato ai
discepoli il suo sostegno nelle prove,
ha ricordato il Papa lamentando
il “dolore” della mancata unità:
“E non è forse una
prova dolorosa la perdurante divisione tra i cristiani?”
Per questo “i cristiani sentono vivo il bisogno di
rivolgersi all’unico Signore”, chiedendo che li aiuti a “vincere la tentazione
dello scoraggiamento lungo il difficile cammino che conduce alla piena
comunione”. Un cammino doveroso di cui il Papa ha affermato anche l’urgenza:
“In un mondo assetato di pace, è urgente che
le comunità cristiane annuncino il vangelo in modo concorde”.
“E’ indispensabile – ha aggiunto il Papa – che le comunità
cristiane testimonino l’Amore divino che le unisce, si facciano portatrici di
gioia, di speranza, di pace divenendo lievito di nuova umanità”. E Giovanni
Paolo II ha ricordato che durante i prossimi otto giorni, in ogni parte del
mondo, i cristiani delle diverse confessioni e tradizioni si riuniranno per
pregare intensamente il Signore, affinché rafforzi il comune impegno per la
piena unità. E “lo faranno – ha sottolineato – proprio a partire dalla
ricchezza di significato contenuta nella promessa di Cristo, meditando, di
giorno in giorno, sul dono evangelico della pace e sugli impegni che esso
comporta”. In conclusione, l’auspicio del Papa che la settimana sia
“un’occasione propizia perché coloro che credono in Cristo si scambino un abbraccio
fraterno, nella pace del Signore” , con “copiosi frutti per la causa dell’unità
dei cristiani”.
Dopo
l’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto in particolare ai “grandi popoli
dell’Oriente, soprattutto Cinesi, Vietnamiti e Coreani, che nei prossimi giorni
celebreranno con gioia il capodanno
lunare”, augurando di cuore serenità e
prosperità. Ha poi ricordato che si celebra oggi a Roma la Giornata della Scuola
Cattolica, inserita
nella linea pastorale della Diocesi in questi anni. Salutando religiosi e laici, ha espresso apprezzamento per la
qualità del loro impegno, costante “tra tante difficoltà” affrontate. Ha poi rivolto un pensiero alle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù
Cristo, presenti in occasione del 75° di fondazione dell'Istituto, come anche il Gruppo donatori di sangue e midollo osseo
"Fratres", di Figline
Valdarno.
*********
HA
INIZIO OGGI LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:
IL
DIALOGO TRA LA CHIESA E LE ANTICHE CHIESE
D’ORIENTE
-
Intervista con mons. Johan Bonny,
officiale
del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani -
Ad aprire, oggi pomeriggio la Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani sarà il cardinale Walter Kasper, presidente del
Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristian, presso la
chiesa di Santa Brigida in Piazza Farnese, con un atto ecumenico assieme al
vescovo luterano di Helsinki Eero Huovinen, che guida la delegazione luterana
finlandese venuta a Roma per l’occasione. Lo stesso cardinale Kasper, a nome
del Papa, concluderà l’Ottavario domenica prossima 25 gennaio, di pomeriggio,
presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, con una solenne liturgia, alla
quale saranno presenti le delegazioni delle varie confessioni cristiane.
La celebrazione della Settimana invita a guardare ai
dialoghi bilaterali fra le Chiese cristiane sorelle e fra queste e le Antiche
Chiese d’Oriente o precalcedonesi in dialogo con la Chiesa di Roma.
Se ne occupa mons. Johan Bonny, officiale
del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Giovanni Peduto gli ha chiesto
qual è il prossimo appuntamento in agenda:
**********
R. - L’ultima settimana di gennaio, dal 26 al 31, avremo
per la prima volta una riunione al Cairo con alcuni rappresentanti di tutte le
antiche Chiese dell’Oriente. In passato, avevamo già avuto dialoghi con alcune
di queste Chiese ma questa è la prima volta che rappresentanti di tutte le
Chiese di questo gruppo si incontreranno con i nostri rappresentanti cattolici.
Si tratta dei rappresentanti di sette Chiese: la Chiesa copta in Egitto, la
Chiesa ortodossa in Eritrea e in Etiopia, la Chiesa siro-ortodossa, la Chiesa
malankarese-ortodossa in India e poi la Chiesa armena apostolica e due
catholikossati di Antilias e di Etchmeazin. Abbiamo la speranza di poter progredire
adesso insieme, con un consenso a
livello della fede, dei sacramenti e della costituzione della Chiesa.
D. – Perché vengono dette ‘pre-calcedonesi’?
R. – Perché tutte queste Chiese nel IV secolo non hanno
accettato il Concilio di Calcedonia, concilio in cui è stato definito il dogma
cristologico che afferma che Gesù Cristo è una persona in cui sono unite le due
nature: la natura divina e la natura umana. Ed era proprio questo linguaggio
delle due nature unite in Gesù Cristo che non piaceva alle Chiese dell’Oriente,
cioè della parte orientale dell’Impero romano. Fortunatamente, già da 20-30
anni abbiamo degli accordi cristologici. Il punto essenziale del disaccordo è
stato risolto. Adesso dobbiamo con calma avanzare e provare ad arrivare dalla
cristologia alla teologia dei sacramenti.
D. – Quindi, si va verso l’accordo dogmatico?
R. – Sì. Si fa distinzione tra la fede e la formulazione,
cioè si è d’accordo sull’essenza della fede, accettando che le nostre Chiese
possono utilizzare alcune formulazioni diverse.
**********
“IL
BISOGNO PRESSANTE DI UNA SINCERA RICONCILIAZIONE
TRA I
CREDENTI NELL’UNICO DIO”:
RIBADITO
DAL PAPA AL CONCERTO IERI IN VATICANO
PER LA RICONCILIAZIONE TRA EBREI, CRISTIANI E
MUSULMANI
-
Servizio di Luca Pellegrini -
*********
La musica ha la sua grande parola da dire anche davanti al
mondo di oggi: ed è una parola di pace, dialogo, riconciliazione. La più eterea
ed universale delle arti ritorna nell’Aula Paolo VI, in quella sala titolata a
Papa Montini che intuitivamente scriveva, quasi quarant’anni fa, come proprio
la musica “ha il compito di placare con un messaggio di serenità le oscure
crisi di pensiero e di sentimento, di temperare l’aridità e il freddo; ha una
missione da svolgere in nome dei valori umani più alti, veri e duraturi”. Forse
che la pace non è il più alto e vero e duraturo bene dell’umanità? Per questo è
da ricordare come eccezionale il Concerto che ieri pomeriggio è stato
organizzato dai Pontifici Consigli dell’Unità dei Cristiani e del Dialogo Interreligioso
insieme con la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e grazie al
generoso contributo dei Cavalieri di Colombo.
Sul podio l’americano Gilbert Levine - già noto al Santo
Padre e al Vaticano - alla guida dell’ottima Pittsburgh Symphony Orchestra.
Quattro i cori, provenienti da Ankara, Cracovia, Londra e dalla stessa
Pittsburgh, per un totale poderoso di 300 coristi. Rappresentanza folta
dell’ebraismo, tra i quali il Rabbino Capo emerito di Roma, Elio Toaff,
Riccardo Di Segni, Amos Luzzatto e Jona Metzgher, Rabbino Capo d’Israele; tra
le personalità musulmane l’Imam Abdulwahab Hussein Gomaa, della Moschea di Roma
e Hamid Al-Rifaie, Presidente dell’International Islamic Forum for Dialogue.
Molti anche i rappresentanti delle altre Chiese e comunità ecclesiali. “Pace,
Shalom, Salaam”, sono le parole di benvenuto del Cardinale Walter Kasper, cui
fanno eco quelle di Giovanni Paolo II che ricorda:
“La storia dei rapporti tra
Ebrei, Cristiani e Musulmani è segnata da luci e da ombre e, purtroppo, ha conosciuto
momenti dolorosi. Oggi, si sente il bisogno pressante di una sincera riconciliazione
tra i credenti nell’unico Dio.”.
Da questo bisogno, scaturisce l’impegno:
“Dobbiamo trovare in noi il
coraggio della pace. Dobbiamo implorare dall’Alto il dono della pace. E questa
pace si spanderà come olio che lenisce, se percorreremo senza sosta la strada
della riconciliazione. Allora il deserto diventerà un giardino dove regnerà la
giustizia ed effetto della giustizia sarà la pace”.
Omnia vincit amor! L’amore vince tutto. E’ la
medesima convinzione che si trova al termine del Messaggio del Santo Padre per
la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. Forse, anche la musica riesce
come l’amore a vincere l’odio e il male che minacciano continuamente la pace del
mondo. Non facile trovare soggetti e note capaci di accomunare le tre religioni
monoteiste: un sapiente e suggestivo equilibrio, allora nella scelta di
affidare al compositore americano di fede luterana, John Harbison, un mottetto,
dalla scrittura semplice ed evocativa, per doppio coro e tredici strumenti a
fiato, dedicato alla figura del Patriarca Abramo, “padre di una moltitudine di
popoli”. Poi, la comune speranza di ebrei, cristiani e musulmani nella vita
eterna, nel Paradiso del Signore, è stata evocata dalla Sinfonia n. 2 di Mahler, titolandosi proprio Risurrezione, della quale sono stati eseguiti l’iniziale Allegro
maestoso, il quarto movimento Molto maestoso con il canto dell’Urlicht, la “Luce primordiale”, da parte
del mezzosoprano Birgit Remmert, ed infine il “Grosse Appel”, il “Grande
appello”: Risorgerai.
All’inizio tumultuoso, con le fanfare dei corni e lo
squillare altisonante delle trombe – perfetta la sezione dei fiati
dell’Orchestra, così come la voce del soprano Ruth Ziesak – è seguito un vero
ribollire sinfonico che dice: giudizio, il tempo è compiuto, il dolore
cancellato, la morte vinta e c’è la luce di Dio che tutto penetra. E, tra i
raffinati arabeschi melodici di Mahler, risuonano finalmente l’organo maestoso
e le campane festose: è la risurrezione nel nome dell’Onnipotente. E’ la vita
eterna: morirò per vivere, intona il coro. Riconciliati. Non potrebbe questa
magica parola, riconciliazione, via alla pace, entrare da quest’oggi
definitivamente nel dizionario delle speranze di ebrei, musulmani e cristiani?
La musica trasporta l’animo sulle soglie di un mondo riconciliato. Giovanni
Paolo II dice: spetta ora all’uomo avere la forza e il coraggio di accedervi.
**********
=======ooo=======
18
gennaio 2004
L’INDIA,
PAESE INSERITO NEI PROCESSI DEL MERCATO GLOBALE MA FRENATO DALLA MISERIA,
METAFORA DI UNA GLOBALIZZAZIONE PROFONDAMENTE SQUILIBRATA. E’ QUANTO EMERGE NEL
IV WORLD SOCIAL FORUM IN CORSO A BOMBAY
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
*********
75 mila
delegati provenienti da almeno 130 Paesi e un’affluenza di oltre mezzo milione
di persone. Sono questi i dati più significativi del IV World Social Forum che
si sta svolgendo per la prima volta a Bombay, dopo le tre precedenti edizioni a
Porto Alegre, in Brasile. Nato sull’onda delle grandi manifestazioni tenutesi a
Seattle nel 1999, questo appuntamento sta suscitando grande interesse soprattutto
per la partecipazione di dirigenti politici, premi Nobel, scienziati e religiosi. Dal Social Forum emerge la paradossale
situazione dell’India, Paese inserito nei processi del mercato globale ma anche
lacerato dalla miseria. All’incontro, che intende tracciare una linea
alternativa al liberismo dei Paesi più industrializzati analizzando limiti e
potenzialità della globalizzazione, ha preso parte anche una delegazione
internazionale di gesuiti. Sul significato di questa presenza al Social Forum,
ascoltiamo padre Daniele Friggeri, raggiunto telefonicamente, a Bombay, da
Fabio Colagrande:
R. – Questo gruppo, composto da 25 membri che provengono
da 14 Paesi diversi, fa parte di una delegazione molto più grande nella quale
sono compresi gesuiti indiani e tutta una serie di persone coinvolte
all’interno dei lavori dell’Apostolato sociale della Compagnia in India. La
presenza in un Social Forum da parte della Compagnia risponde, soprattutto, ad
un desiderio di mettersi in ascolto di quelle persone che spesso sono escluse
dai vantaggi della globalizzazione.
D. – Uno dei leader no global, il francese José Bové, ha
molto criticato il governo indiano, colpevole, secondo lui, di non aiutare la
casta dei Dahlit, i cui diritti sono spesso derisi. Quale predominanza assume
questo aspetto nel World Social Forum di quest’anno?
R. – Sono moltissimi i Dahlit presenti e credo che questo
Social Forum è soprattutto loro. Quello che li caratterizza è di essere
portatori di un’identità. Questo è un segno importante per i loro diritti ed
anche per l’India stessa. Per i Dahlit significa scoprirsi e mostrarsi nella
loro identità.
*********
Lo sviluppo sostenibile, l’esigenza di distribuire
equamente le risorse del pianeta e la difesa delle identità locali sono alcuni
dei temi al centro del Forum che in India sembra sottolineare, in modo ancora
più evidente, lo stridente contrasto tra il progresso tecnologico ed il dramma
della miseria. Proprio su questo squilibrio ascoltiamo Stefano Femminis,
giornalista della rivista gesuita “Popoli”:
*********
R. – Su questo tema dello squilibrio, che in questa città
è così evidente, si è tenuta una Conferenza molto interessante su “Terra, acqua
e sovranità alimentare”, dove è stato citato un dato emblematico riferito non
solo all’India: attualmente ci sono 30 milioni di contadini che usano un
trattore ed oltre un miliardo e 200 milioni di contadini che, invece, lavorano
usando soltanto le mani. Questo è un dato significativo delle attuali dinamiche
della globalizzazione e, allo stesso tempo, delle difficili condizioni
dell’India.
*********
LA SFIDA DEL MADAGASCAR VERSO LO SVILUPPO,
DUE
ANNI DOPO LA GRAVE CRISI POLITICA CHE COLPÌ IL PAESE AFRICANO A FINE 2001
- Con
noi, padre Cosimo Alvati -
Sono
passati poco più di due anni dal 16 dicembre 2001, quando il Madagascar andò al
voto per le presidenziali. L’esito delle consultazioni assegnò il 51,4 per
cento dei consensi a Marc Ravalomanana, sindaco della capitale, e il 35,9 per
cento al presidente uscente, l’ammiraglio Didier Ratsiraka. L’ex capo di
Stato, al potere per oltre 20 anni, non
volle accettare la vittoria al primo turno di Ravalomanana. Cominciarono mesi
di proteste popolari, che portarono all’insediamento ufficiale di Ravalomanana
soltanto il 6 maggio 2002. Il suo avversario riparò poi in Francia. Ma cosa
rimane oggi di quei mesi così difficili per il popolo malgascio? Giada Aquilino
lo ha chiesto a padre Cosimo Alvati, direttore di Radio Don Bosco nella
capitale Antananarivo:
**********
R. – E’ stato un periodo molto duro, è vero. La
popolazione scese in piazza e per sei mesi il Madagascar fu bloccato da questo
sciopero generale. La popolazione chiedeva il riconoscimento della vittoria
alle presidenziali del signor Ravalomanana, che attualmente è il presidente.
Per due mesi circa, ogni giorno tra i 500 mila ed il milione di persone sono
scese in piazza, pacificamente, per chiedere verità e giustizia. Furono mesi di
difficoltà. Tananarivo fu isolata, non arrivavano medicinali, viveri,
carburante. La popolazione resistette finché nel maggio fu proclamato
ufficialmente Ravalomanana presidente. Poi, in giugno prima gli Stati Uniti e
poi la Francia lo riconobbero come presidente.
D. – Ma come si era giunti a questa situazione?
R. – Le elezione del dicembre 2001 furono contestate
perché Ravalomanana sosteneva di aver vinto le elezioni con la maggioranza
assoluta, quindi avrebbe dovuto essere proclamato immediatamente presidente. Il
vecchio presidente in carica, Ratsiraka, sosteneva invece che Ravalomanana non
avesse ottenuto la maggioranza. Ratsiraka fu accusato di brogli elettorali.
Questa situazione generò poi lo sciopero generale, le manifestazioni in tutto
il Madagascar.
D. – Qual è la situazione politica del Madagascar, oggi?
R. – E’ tornata la calma ma è una calma apparente. Proprio
due settimane fa, c’è stato il terzo rimpasto del governo da quando un anno fa
è stato insediato Ravalomanana come presidente. Questo è un sintomo del
tentativo di Ravalomanana di voler cambiare, di voler creare strutture per uno
sviluppo immediato e duraturo, come lui dice. Il problema fondamentale, però, è
che mancano le persone competenti che possano effettivamente mettere in moto
uno sviluppo veramente equo per la popolazione del Madagascar.
D. – Cosa manca al Magadascar per arrivare allo sviluppo?
Quali sono le condizioni sociali del Paese?
R. – Il Madagascar è tra i Paesi più poveri del mondo, tra
gli ultimi dieci. Per quanto riguarda i redditi, si parla di una media di 100
dollari l’anno. Mancano le strade, le infrastrutture. Mancano i medicinali, gli
ospedali. Per non parlare della situazione scolastica: praticamente, la metà
delle scuole sono quelle messe su dalla Chiesa cattolica…
D. – Giungono aiuti dall’estero, anche dalle Chiese dell’estero?
R. – L’aiuto c’è. Bisogna anche riconoscere che la
Conferenza episcopale italiana è molto vicina, soprattutto con il Comitato di
aiuto al Terzo Mondo, e sostiene diversi progetti, soprattutto che riguardano
strutture sanitarie, strutture scolastiche e strutture nel campo della
comunicazione sociale, per fare uscire il Madagascar dalla sua situazione di
povertà.
**********
SI
RIACCENDE IN EUROPA IL DIBATTITO SUL FENOMENO DELLA “FUGA
DEI CERVELLI”, RIPORTATO IN PRIMO PIANO DAL SETTIMANALE TIME
- Con
noi, il prof. Piero Benvenuti -
Nella
ricerca scientifica, l’Europa ha perso le sue stelle. E’ il titolo provocatorio
che campeggia sulla copertina dell’edizione europea di Time che, nel numero di
questa settimana, ha pubblicato un dossier sulla cosiddetta “fuga dei cervelli”
dal Vecchio Continente. Sarebbero 400 mila i ricercatori e scienziati europei
trasferitisi negli Stati Uniti. A causare questa “migrazione” sarebbero
soprattutto gli scarsi finanziamenti che gli Stati dell’Europa dedicano alla
ricerca. Sul fenomeno Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del prof.
Piero Benvenuti, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica:
**********
R. – Vorrei partire dal fatto che è vero che c’è una
consistente presenza di ricercatori e scienziati italiani nei più prestigiosi
istituti di ricerca estera, soprattutto americani. E’ un dato di fatto. Questo
significa, per me, che il sistema interno di alta formazione riesce a produrre
delle professionalità che sono ambite da questi istituti nei quali, per
entrare, c’è un’altissima competizione. Bisogna quindi chiedersi se questa è
veramente una fuga oppure è semplicemente un’espansione di una comunità molto
attiva che ha la capacità di assumere responsabilità di ricerca anche in ambito
internazionale.
D. – Quali sono le conseguenze di questo fenomeno?
R. – Le conseguenze sono legate, nel momento attuale, alla
crisi del finanziamento della ricerca di base che si sta espandendo un po’ in
tutta Europa. E, se questa crisi di finanziamento della ricerca pura si
protrarrà per troppo tempo, entreremo in una fase perversa di riduzione di
capacità che potrebbe veramente farci “fuggire i cervelli” e le capacità che
abbiamo acquisito. Spero che il governo italiano sia abbastanza lungimirante,
in questa fase difficilissima di congiuntura economica, da investire in una
ricerca che, per sua propria natura, non ha delle ricadute immediate ma ha
prospettive veramente a lungo termine.
D. – Soffermiamoci su questo aspetto del finanziamento
della ricerca: quali sono, secondo lei, gli interventi necessari per essere
competitivi a livello mondiale?
R. – Al momento, i finanziamenti che arrivano alla
comunità astrofisica – faccio riferimento a quella che conosco meglio – coprono
praticamente gli stipendi ed il funzionamento ordinario. C’è pochissimo spazio,
il 5-10 per cento, per investimenti di ricerca pura. Dovremmo arrivare a
livelli più alti del 20-30 per cento, come negli Stati Uniti. La situazione è
veramente critica perché a quel punto ci limitiamo a pagare lo stipendio a
ricercatori però non possiamo investire in acquisizione di strumentazione e di
sviluppo tecnologico. Il vero problema è che abbiamo in atto delle
collaborazioni internazionali su progetti di ampio respiro che devono a tutti i
costi essere mantenuti, altrimenti perderemo anche la credibilità!
**********
“PERU’ - TREMILA ANNI DI CAPOLAVORI” E’ IL TITOLO DELL’ESPOSIZIONE
DEDICATA ALLE CULTURE ANDINE PRECOLOMBIANE E
OSPITATA
DALLA CITTA’ DI FIRENZE
- Intervista con Antonio Aimi -
“Perú – Tremila anni di capolavori” è il titolo dell’ampia
rassegna sulle culture andine precolombiane allestita a Firenze presso Palazzo
Strozzi fino al 22 febbraio prossimo. Posta sotto l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica Italiana, la mostra offre al pubblico oltre 300
opere provenienti dai maggiori musei peruviani e da importanti raccolte
europee. Sono esposte anche le collezioni di reperti andini preispanici di
proprietà della famiglia dei Medici. Il servizio è di Maria Di Maggio.
**********
(musica)
Raccontare la ricchezza artistica e culturale delle
civiltà andine precolombiane che popolarono il Perú dal 900 avanti Cristo fino
all’arrivo dei Conquistadores spagnoli nel 1532: è questo l’intento della rassegna
“Perú – Tremila anni di capolavori”, in grado di segnare una svolta nella
percezione occidentale dell’arte preispanica peruviana. Oltre a presentare al
pubblico più di 300 reperti tra pitture, tessuti, sculture, ceramiche e gioielli,
la mostra si propone di consegnare al regno dell’arte e dell’estetica il Perú
precolombiano, fino ad oggi dominio della sola archeologia. Antonio Aimi,
curatore dell’esposizione:
R. – Si danno tutte le informazioni che servono da un
punto di vista antropologico e archeologico per contestualizzare queste
culture, ma la fruizione estetica, lo specifico estetico dell’arte
precolombiana del Perú viene offerto per la prima volta in una mostra in tutta
la sua ampiezza, in tutto il suo spessore e anche in tutta la sua qualità.
D. – Quali aspetti inediti, quindi, di questa civiltà
emergono dalla mostra?
R. –
L’aspetto nuovo, inedito è presentare lo specifico artistico del Perú precolombiano,
il che vuol dire, per la prima volta, entrare nel merito delle attribuzioni,
delle scuole. Significa distinguere l’artigianato dalle opere dei Maestri, fare
delle gerarchie. Forse l’elemento più nuovo della mostra è far vedere che da un
punto di vista artistico esisteva un gioco tra artisti, committenza e corti che
non era molto diverso da quello dell’Europa rinascimentale. Da questo punto di
vista, attraverso l’arte la mostra fa vedere un complesso di culture che per
certi versi sono molto più vicine di quanto pensiamo.
D. – Tra le opere raccolte, quale a suo avviso è
maggiormente significativa e rappresentativa della intera cultura precolombiana
peruviana?
R. – Ad esempio, una delle realizzazioni tipiche di una
cultura preispanica del periodo della cultura Moche è la produzione di
bottiglie a ritratto che hanno in genere caratteristiche di vero e proprio
realismo. In particolare, presentiamo una bottiglia che rappresenta un cieco,
probabilmente una sorta di sacerdote, che sta ridendo: è una cosa eccezionale,
sia dal punto di vista antropologico che archeologico, perché soggetti che
ridono sono abbastanza estranei alle rappresentazioni delle alte culture e poi
è eccezionale per la qualità
straordinaria qualità del pezzo.
(musica)
**********
=======ooo=======
18
gennaio 2004
NELLA
SINAGOGA DI MILANO ESPONENTI DI 16 CHIESE CRISTIANE
HANNO PARTECIPATO, IERI,
AL RITO EBRAICO DI CONCLUSIONE DEL SABATO
MILANO.
= In occasione della Giornata dell’Ebraismo, promossa dal Consiglio delle
Chiese cristiane, rappresentanti della Chiesa cattolica e di altre confessioni
cristiane hanno partecipato ieri, nella sinagoga maggiore di Milano, al rito
ebraico di conclusione del sabato. Il rabbino capo, Giuseppe Laras, nel
ringraziare le Comunità cristiane milanesi, ha ricordato come l’arcivescovo di
Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, abbia auspicato - nel fare visita alla
sinagoga - la collaborazione tra le religioni monoteistiche. La cerimonia è
proseguita con l’intervento del capo della comunità ebraica di Milano, Roberto
Jarach, che ha ricordato come i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo siano
tornati a convergere in un dialogo ripreso, soprattutto, dopo la tragedia della
Shoa. “Un dialogo – ha ricordato Jarach – al quale ha dato grande
slancio il cardinale Carlo Maria Martini che oggi vive a Gerusalemme”. “Per combattere
la piaga dell’antisemitismo – ha aggiunto il capo della Comunità ebraica
milanese – c’è bisogno di maggiore conoscenza e informazione”. (A.L.)
GRAZIE
AD UN’INIZIATIVA DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I
RIFUGIATI,
AL
POPOLO SAHARAWI, IN ESILIO NEL SAHARA ALGERINO, E’ DATA LA POSSIBILITA’
DI
TELEFONARE AI PROPRI CARI, INTERROMPENDO
COSI’ UN ISOLAMENTO DURATO VENTOTTO ANNI
SAHARA ALGERINO. = Tre giorni fa, per la prima volta dal 1976, i saharawi
hanno potuto telefonare ai propri cari, spezzando l’isolamento vissuto in
attesa di un accordo internazionale che non è ancora stato raggiunto. Sigillata
in gabbie a cielo aperto con lo status di rifugiati, che offre il diritto a
ricevere assistenza ma non quello a poter tornare in patria, questa popolazione
vive nel Sahara algerino da ventotto anni, da quando cioè le truppe spagnole
d’occupazione si ritirarono e il Marocco si è annesso quel lembo di terra che
si affaccia sull’Oceano Atlantico, di fronte alle isole Canarie. La possibilità
di contattare le famiglie è stata offerta dall’Alto commissariato dell’Onu per
i rifugiati. In poche ore una cinquantina di persone, soprattutto donne, hanno
telefonato ai parenti rimasti nel Sahara Occidentale, sotto sovranità
marocchina. La dolorosa vicenda di questo popolo dura da quando, con
l’annessione del Marocco, decine di migliaia di saharawi vennero forzati
all’esilio. La resistenza armata contro Rabat, condotta dal Fronte Polisario,
sostenuto dall’Algeria, è cessata nel 1991. In quell’anno è stato firmato un
cessate-il-fuoco e le Nazioni Unite hanno inviato circa 300 caschi blu. Da
allora, almeno quattro ipotesi di accordo per garantire l’autodeterminazione
dei saharawi sono stati ostacolati da veti incrociati. Ad agosto scorso,
il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha adottato il piano di pace proposto
dall’ex sottosegretario di Stato Usa, James Baker. Prevede un referendum entro
cinque anni per decidere lo status definitivo del Sahara Occidentale. Ma anche
questa proposta, per ora, è stata bloccata. (D.G.)
PROSEGUE
IN PAKISTAN UN PROGRAMMA DI SENSIBILIZZAZIONE PROMOSSO DALLA CONFERENZA
EPISCOPALE PAKISTANA PER PROMUOVERE UN COINVOLGIMENTO PIÙ
ATTIVO DELLA SOCIETÀ CIVILE ALLA VITA DEMOCRATICA DEL PAESE
KASUR.
= Informare tutti i cittadini sui loro diritti civili e politici ed
incoraggiarli ad una partecipazione più consapevole e attiva al processo
democratico del Pakistan. E’ l’obiettivo di uno speciale programma di
sensibilizzazione e informazione lanciato nella provincia del Punjab, nel Paese
asiatico, dalla Commissione nazionale della giustizia e della pace della
Conferenza episcopale pakistana (Ncjp). “Il programma - spiega il coordinatore
Samson Salamat all’agenzia Ucan - consiste in una serie di seminari e incontri
aperti a tutte le persone, senza distinzione di appartenenza religiosa”.
L’ultimo, in ordine di tempo, si è svolto recentemente nella cittadina di
Kasur, a 55 km a Sud di Lahore, sul tema: “Diffusione della democrazia in
Pakistan”. “La democrazia – ha detto Salamat - dovrebbe essere a vantaggio della
gente”. Sullo stesso piano è stato l’intervento del segretario esecutivo della
Commissione episcopale, Peter Jacob, che ha evidenziato la necessità di
promuovere, nel Paese, un clima veramente democratico e improntato sul rispetto
reciproco e sulla convivenza pacifica delle molteplici componenti della società
pakistana. Dopo il Punjab, la campagna
di informazione promossa del Ncjp sarà estesa anche alle altre province del
Pakistan. (L.Z.)
TRA LE
INIZIATIVE DI QUESTA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ
DEI CRISTIANI,
HA PARTICOLARE RISALTO L’OTTAVARIO CHE SI
APRE OGGI, A ROMA,
NELLA CHIESA DI SANTA MARIA IN VIA LATA.
- A
cura di Giovanni Peduto -
ROMA. = Sono ormai numerose, nella sola Roma, le
iniziative per la Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani. Fra le
tante, spicca la celebrazione dell’ottavario presso la basilica di Santa Maria
in via Lata per iniziativa di “Unitas” con la collaborazione delle Suore Figlie
della Chiesa. Ogni sera, a partire da oggi fino al prossimo 25 gennaio, alle
ore 20, si alterneranno le divine liturgie in un differente rito cattolico
orientale: ucraino, bizantino-russo, siro-malankarese, bizantino-romeno,
bizantino-greco, armeno, siro-àmaronita e antiocheno. E’ una forma di
fraternità fra cristiani cattolici e ortodossi perché diversi riti orientali
sunnominati non sono diversi dai corrispondenti riti delle Chiese sorelle
ortodosse. Il merito dell’iniziativa, che si ripete ormai da vari decenni è di
mons. Lino Lozza, rettore della basilica di Santa Maria in Via Lata.
=======ooo=======
18
gennaio 2004
- A cura di Dorotea Gambardella -
Ennesima strage in Iraq. Almeno 25 persone hanno perso la
vita e 131 sono rimaste ferite nello scoppio di un’autobomba, imbottita con 500
chili di esplosivo, davanti alla sede della coalizione, a Baghdad. Il nostro
servizio.
*********
“Queste morti
sono tragiche e imperdonabili”. L’amministratore civile americano in Iraq, Paul
Bremer, condanna duramente l’attentato suicida compiuto stamani davanti alla sede
della coalizione a Baghdad, presso la cosiddetta Porta degli assassini. Bremer
ha definito la strage, in cui hanno perso la vita almeno 25 persone, la maggior
parte delle quali civili iracheni, più due americani dipendenti del Pentagono,
“uno scandalo, che testimonia ancora una volta le intenzioni assassine e
ciniche dei terroristi, i quali – ha detto - cercano di sabotare la libertà,
la democrazia e il progresso in Iraq”.
La vettura della morte, un pick-up Toyota di colore bianco, secondo un testimone,
si era accodata dietro la fila delle altre auto che aspettavano di entrare
nell'ex palazzo presidenziale di Saddam Hussein, dove Bremer ha installato gli
uomini della Difesa. Poi, alle otto ora locale, la deflagrazione che ha
provocato anche 131 feriti, subito soccorsi dalle autoambulanze. La conferma
che si è trattato di un attentato suicida, è arrivata da fonti militari
statunitensi. Secondo il capo della polizia irachena, il generale Ahmed
Ibrahim, “l'attacco è opera di gruppi stranieri, intenzionati forse a far
tornare al potere il partito Baath”. Quello di oggi è il primo attentato
compiuto a Baghdad dall'inizio dell'anno. L'ultimo, contro un ristorante, in
cui morirono otto persone, risale infatti al 31 dicembre. Infine, a Bassora,
nel sud dell’Iraq, una deflagrazione ha provocato il ferimento di due soldati
britannici. A darne notizia, l'emittente del Qatar, Al Jazeera.
*********
Domani sera
negli Stati Uniti, gli elettori del partito democratico dello stato dell’Iowa
si riuniranno in 2457 assemblee per eleggere i candidati che aspirano a sfidare
George Bush nelle elezioni nazionali del prossimo 2 novembre. I sondaggi delle ultime ore
indicano come favoriti l’ex governatore
del Vermont, Howard Dean, i senatori John Kerry e John Edwards e l’ex capogruppo
democratico alla camera, Dick Gephardt. Il servizio è di Elena Molinari.
*********
Quelli
di Dean hanno la cuffia arancione, quelli di Gephardt hanno i cappellini da
baseball. Sono le centinaia di volontari discesi sull’Iowa, per dare una mano
ai candidati che si contendono il primo voto per la nomination democratica. Gli
sfidanti hanno bisogno di tutto l’aiuto che possono ottenere, perché la competizione
è serrata. La corsa, che inizialmente sembrava aperta solo a Dean e Gephardt,
si è trasformata in un testa a testa a quattro, dove ogni mossa conta anche
perché gli indecisi sono ben l’11 per cento. Ma i candidati democratici stanno
già guardando alle prossime tappe del carrozzone elettorale americano: se
l’Iowa è importante perché è il primo a pronunciarsi, nessuno si può permettere
di ignorare gli Stati dove la battaglia per la nomination si sposterà già alla
prossima settimana. La maratona è lunga e la guerra sarà all’ultimo sangue,
anche perché da Washington arrivano segnali che George Bush non è imbattibile.
Se è vero che il 52 per cento degli americani è pronto a rieleggerlo, è anche
vero che un vantaggio del genere a nove mesi dalle presidenziali non appare
insormontabile.
Elena
Molinari, per la Radio Vaticana.
*********
Guatemala. Sarà il premio Nobel 1992 per la pace Rigoberta
Menchu, attivista per i diritti civili, a vigilare sull'applicazione degli
accordi di pace che hanno messo fine a una guerra civile finora costata la vita
a 200 mila persone. “Ho molto interesse per questo ruolo - ha dichiarato la
Menchu al quotidiano “Prensa libre” - per poter offrire al Guatemala i contatti
amichevoli che ho accumulato nel mondo e recuperare la fiducia che abbiamo perso”
negli anni scorsi. L’incarico le è stato offerto dal presidente Oscar Berger.
L’accordo di pace nel Paese dell’America centrale, mediato dall'Onu, è stato
firmato nel 1996, ma la sua applicazione è stata sempre oggetto di contrasti.
Le truppe delle Nazioni Unite sono entrate nell'est della
Liberia, controllato dai ribelli. A riferirlo è l’emittente televisiva
britannica “Bbc” nel suo sito on line. I caschi blu etiopici, circa un
migliaio, hanno fatto il loro ingresso a Zwedru, nella giungla liberiana,
ricevendo una buona accoglienza da parte della popolazione locale. I capi dei
gruppi ribelli, dal canto loro, hanno ribadito la loro volontà di rispettare
gli accordi di pace siglati dopo l'uscita di scena dell'ex presidente Charles
Taylor. Nel resto del Paese africano, tuttavia, ci sono ben 40mila guerriglieri
che non hanno ancora ceduto le armi.
Con gli ultimi due nuovi casi, sale a 75 il bilancio delle
persone contagiate dalla legionellosi in Francia, nella regione di
Pas-de-Calais, dove è in corso una vera e propria epidemia. Di esse, dieci sono
morte. Per tentare di arginare la malattia, nel pomeriggio, si terrà a Lens una
riunione con le autorità sanitarie della zona, convocata dal ministro della Sanità
francese, Jean-Francois Mattei.
Sharm El
Sheikh. La seconda
scatola nera dell'aereo precipitato nel Mar Rosso, recuperata oggi, non è in
buone condizioni ed è, quindi, probabile che i dati in essa contenuti siano
inutilizzabili. Ad annunciarlo è stato il capo della squadra di ricerca
egiziana, il quale ha precisato che a danneggiare la scatola, oltre allo
schianto, è stata la lunga permanenza sott’acqua a grande profondità.
La sciagura aerea avvenuta martedì scorso in Uzbekistan e
costata la vita a 37 persone, è stata causata da un errore del pilota del velivolo.
Lo hanno indicato le registrazioni delle scatole nere, come riporta il sito on
line dell’emittente britannica “Bbc”. Stando alle dichiarazioni di un
testimone, l'aereo, partito da Termez, si è schiantato nei pressi
dell'aeroporto della capitale uzbeka, Tashkent, dopo aver urtato un muro dello
scalo in fase di atterraggio.
“Sono pronto ad affrontare un
processo internazionale per genocidio”. È quanto ha dichiarato Nuon Chea,
numero 2 dei khmer rossi durante il regime di Pol Pot in Cambogia, in
un’intervista all’agenzia di stampa americana Associated Press. “Abbiamo
commesso errori - ha riconosciuto Chea - ma abbiamo agito per migliorare le
condizioni del popolo”. I capi dei Khmer rossi verranno giudicati da un tribunale
internazionale, come richiesto sia dal governo cambogiano sia dalle Nazioni
Unite.
Diventa permanente il programma
americano di addestramento dell’esercito in Georgia. Ne dà notizia la tv
britannica “Bbc”. Gli ufficiali statunitensi, di stanza nell'ex stato sovietico
dal 2002 per addestrare i militari georgiani, avrebbero dovuto lasciare il
Paese il prossimo marzo.
È stato arrestato dalla polizia di
Islamabad, l’assistente dell’inventore della bomba atomica pachistana,
Islam-ul-Haq, nell'ambito dell'indagine sul trasferimento della tecnologia
nucleare all'Iran. Il governo di Teheran ha negato coinvolgimenti nella vicenda.
Medioriente. È stato riaperto il
valico di Erez che collega Israele alla Striscia di Gaza. Il posto di controllo
era stato chiuso mercoledì scorso, in seguito alla strage provocata da una
donna kamikaze palestinese, in cui, oltre a lei, morirono quattro israeliani.
Cinque uomini e due donne sono
stati arrestati in Pakistan perché sospettati di essere membri di Al Qaeda. I
sette sono stati catturati durante una retata dei servizi segreti locali, che
non hanno fornito dettagli sulla loro nazionalità.
Otto morti e sei feriti è il
bilancio degli scontri avvenuti ieri nella provincia di Amran, 100 km a nord
della capitale Sanaa, nello Yemen. A scatenare gli scontri, secondo la polizia,
la disputa sul possesso e l’utilizzo di alcuni fazzoletti di terra.
L’Alitalia ha soppresso 364 voli
per lo sciopero dalle 10 alle 18 di domani proclamato da tutti i sindacati,
eccetto Anpac e Unione Piloti. Secondo la compagnia di bandiera italiana,
saranno 18 mila i passeggeri danneggiati.
=======ooo======