RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 59 - Testo della Trasmissione di sabato 28 febbraio
2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Oggi pomeriggio il Papa riceverà in Vaticano le comunità di 4 parrocchie di Roma. Sale così a 307, su 336, il numero delle comunità della capitale incontrate finora.
OGGI IN PRIMO PIANO:
“Perugino, il divin pittore” è il titolo della mostra, a Perugia, dedicata ad uno dei maggiori esponenti dell’arte italiana del Quattrocento: ai nostri microfoni Francesco Federico Mancini e Vittoria Garibaldi.
CHIESA E
SOCIETA’:
Assassinata in Mozambico una suora brasiliana luterana.
In Bangladesh il
77 per cento della popolazione non ha un’adeguata disponibilità di cibo.
Sempre tesa la situazione nella regione sudanese del Darfur.
La
smentita degli Usa sull’annuncio della cattura di Bin Laden.
Ad Haiti il presidente Aristide chiede ai
sostenitori una mobilitazione pacifica
Conclusi a
Pechino i negoziati sul programma nucleare nordcoreano: un nuovo round di
colloqui nel mese di giugno.
28 febbraio 2004
IL
RISPETTO DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA,
LA DIFESA DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA COME
FULCRO DELLE RELAZIONI UMANE E DEI VALORI LEGATI ALLA VITA:
SONO I TEMI AL CENTRO DEL DISCORSO DEL PAPA AL
NUOVO AMBASCIATORE DELL’ARGENTINA, RICEVUTO PER LE LETTERE CREDENZIALI
Il legislatore, e il legislatore
cattolico in particolare, non può contribuire alla formulazione e
all’approvazione di leggi che vanno contro i valori fondamentali della vita e
della persona e non rispettano il valore del matrimonio come unione tra un uomo
e una donna: lo ha ribadito questa mattina il Papa ricevendo per le lettere
credenziali il nuovo ambasciatore dell’Argentina, signor Carlos Luis Custer. Giovanni Paolo II ha
ricordato i buoni rapporti diplomatici tra la Santa Sede e l’Argentina per poi
esprimere apprezzamento per la sensibilità dimostrata da questo Paese in tema
di valori fondamentali. Il servizio di Fausta Speranza:
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“La Chiesa invita tutti a
costruire una società basata sui valori fondamentali e irrinunciabili per un
ordine nazionale e internazionale degno dell’essere umano”. Lo ripete il Papa
ricordando che specialmente nei momenti difficili, quando per diversi motivi aumenta
l’incertezza e crescono le necessità, è ancora più importante che la Chiesa si
impegni nella sua missione: alimentare l’amore per il prossimo, promuovere la
solidarietà e il rigoroso rispetto dei
diritti della persona che sono a fondamento della convivenza pacifica. Questo è
stato l’impegno finora di tante persone e istituzioni cattoliche in Argentina.
Ed è stato possibile grazie alla collaborazione con le autorità e alla fede del
popolo argentino. Proprio quest’anno si ricorda l’inaugurazione del monumento a
Cristo Redentore che – afferma il Papa - è l’espressione dei “valori evangelici
che contribuiscono a costruire una società pacifica, solidale e riconciliata,
nella quale sia sempre vivo l’impegno a migliorare le condizioni di vita di
tutti i cittadini senza eccezione”.
Poi il Papa ricorda che”l’altro
pilastro della società è il matrimonio, quale unione di un uomo e di una donna,
aperta alla vita”. E’ il fulcro delle relazioni umane ispirate all’amore e alla
solidarietà ed ha un ambito specifico di autonomia che le legislazioni devono
rispettare. Significa “garantire i diritti della famiglia e assicurarle un
sostegno”. “In un momento in cui si tenta di ridurre il matrimonio a un mero
contratto individuale – sottolinea Giovanni Paolo II - il legislatore cattolico in particolare deve
difendere i valori più alti legati alla vita e alla persona umana. E il Papa
ricorda l’impegno concreto in favore del matrimonio e della famiglia assunto
dall’Argentina in occasione di alcuni forum internazionali e incoraggia i suoi
rappresentanti a proseguire su questa strada, perché si tratta di tematiche “fondamentali
per il futuro dell’umanità”.
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OGGI POMERIGGIO IL PAPA RICEVERA’ IN VATICANO
LE COMUNITA’
DI 4
PARROCCHIE DI ROMA. SALIRA’ COSI’ A 307, SU 336,
IL
NUMERO DELLE COMUNITA’ PARROCCHIALI INCONTRATE FINORA
- Intervista con don Mario
Sanfilippo -
Oggi
pomeriggio Giovanni Paolo II riceverà nel pomeriggio nell’Aula Paolo VI in
Vaticano le comunità di Sant’Anselmo, di Santa Maria dell’Evangelizzazione, di
San Carlo Borromeo e di San Giovanni Battista de la Salle, tutte nel settore
sud della diocesi di Roma. Salirà dunque a 307 il numero delle parrocchie
romane incontrate finora dal Papa. In tutto
sono 336. Ma vediamo come si sta preparando una delle 4 che verrà
ricevuta domani dal Papa. Salvatore Sabatino ha intervistato don Mario
Sanfilippo, parroco di Sant’Anselmo:
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R. –
La preparazione è partita circa una decina di giorni fa, quando abbiamo saputo
la cosa. Abbiamo informato la gente e attivato le persone che sono più vicine
alla parrocchia. Siamo riusciti a organizzare una decina di pullman mentre
diverse persone verranno con mezzi privati.
D. – Quali sono le aspettative della sua comunità parrocchiale,
rispetto a questo incontro?
R. – La prima cosa è chiaramente l’aspettativa spirituale.
Essendo tutte in zone nuove, le problematiche delle quattro parrocchie sono
abbastanza simili. Sono zone nuove con
persone che vengono anche da parti diverse della città oppure, nel mio territorio
in particolare, anche da altre regioni del Centrosud. C’è una sorta di
disorientamento. E’ chiaro che l’incontro con il Santo Padre è una di quelle
luci fondamentali che possono incoraggiare la ripresa di un rapporto con la
Chiesa per molti che purtroppo sono disorientati. Infatti, a parte le persone
che frequentano abitualmente, ho notato anche il desiderio di partecipare anche
da parte di alcuni che magari vengono meno. In questa occasione hanno subito
colto l’importanza di questo incontro con il Santo Padre.
D. – Ci può descrivere la realtà sociale in cui opera la
sua parrocchia che è poi, come diceva lei, la stessa delle altre tre che
verranno ricevute da Giovanni Paolo II?
R. – Più o meno, sì. L’ambiente è fondamentalmente formato
da coppie in cui quasi sempre lavorano moglie e marito, di un ceto medio, con
un buon livello culturale, complessivamente. Diciamo che il loro problema
essenziale nel nostro territorio è quello delle strutture.
D. – Qual è, a tale proposito, il ruolo di una parrocchia
oggi in una metropoli come Roma?
R. – Per me, la parrocchia ha ancora un ruolo molto, molto
importante. Consideriamo che c’è una crisi di valori, oggi. La Chiesa ha la
possibilità di sostenere, anche a livello umano, la formazione completa della
persona. In fondo non è un mistero che anche e soprattutto nelle grosse metropoli
la gente cerca qualcosa di diverso e noi possiamo offrire sempre la grande
notizia del Cristo morto e risorto. E’ la notizia più grande, sempre fresca,
nuova. Interessa sempre la gente.
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Ricordiamo che, nel pomeriggio, la nostra emittente
seguirà in radiocronaca diretta, a partire dalle 18.00, l’incontro del Papa con
le parrocchie romane, con commento in italiano sui 585 kHz dell’onda media e
sui 105 MHz della modulazione di frequenza.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"L'abbraccio del 'Parroco del mondo' alla sue dilette parrocchie di
Roma": sabato pomeriggio, nell'Aula Paolo VI, Giovanni Paolo II celebra la
Santa Messa per i fedeli di quattro parrocchie. Una riflessione di Giampaolo
Mattei.
Nelle vaticane, nel discorso al
nuovo Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa ha espresso il suo
"grazie" all'Argentina per l'impegno profuso in favore del matrimonio
e della famiglia.
Nelle estere, Mozambico:
assassinata una suora luterana che aveva denunciato un traffico d'organi.
Iraq: la Nato pronta ad
intervenire su richiesta di un Governo legittimo.
Nella pagina culturale, un
articolo di Marco Testi dal titolo "La forza luciferina di un ambiguo romanzo":
ritorna "Appartamento ad Atene" di Glenway Wescott, sullo sfondo
dell'occupazione nazista in Grecia.
Una monografica in ricordo
dell'abate Carlo Egger, illustre latinista e fondatore della rivista "Latinitas":
i contributi di Mauro Pisini e di Walter Lapini.
Nelle pagine italiane,
Alitalia: i nuovi vertici decisi dal Governo.
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28 febbraio 2004
PRESENTATI, SU COMMISSIONE DEI VESCOVI
STATUNITENSI, I RAPPORTI CHE FANNO
IL PUNTO SUI CASI DI MOLESTIE SESSUALI AI
DANNI DI MINORI DA PARTE DI SACERDOTI AMERICANI.
LA
CHIESA LOCALE: SIAMO IMPEGNATI PERCHE’ CIO’ NON SI RIPETA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
Un’indagine svolta su un arco
di tempo di 42 anni, dal 1950 al 2002, per chiarire l’ampiezza del fenomeno
degli abusi sessuali sui minori da parte del clero statunitense e per
evidenziarne le cause. Il risultato è raccolto nei due rapporti, uno di tipo statistico e l’altro di analisi,
presentati ieri a New York dal National Review Board, il gruppo di
controllo di laici insediato dalla Conferenza episcopale americana con
il compito di far luce sul problema della pedofilia. Un problema che i vescovi
degli Stati Uniti si sono detti determinati a risolvere perché non si ripeta.
Il servizio di Alessandro De Carolis.
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A curare la raccolta dei dati
che hanno permesso l’elaborazione dei due rapporti è stato il John Jay
College di Pittsburgh, che ha ricevuto l’incarico dalla Commissione laica
voluta dai vescovi americani, sulla base della Carta per la protezione dei
bambini e dei giovani promulgata a Dallas nel giugno del 2002. Nel mezzo secolo
preso in considerazione, sono emersi 10.667 casi di molestie sessuali da parte
dei sacerdoti statunitensi, perpetrate - nell’80% dei casi - su minorenni
maschi: in questo caso, rileva il rapporto statistico, oltre la metà degli abusi
è stata consumata ai danni di adolescenti compresi in una fascia d’età tra gli
11 e i 14 anni. Lo studio si è basato sull’esame delle risposte fornite al John
Jay College sia dalla quasi totalità (il 97%) delle 195 diocesi contattate, sia
dalle 142 comunità religiose prese a campione per l’indagine, in rappresentanza
dell’80% di tutti i sacerdoti del Paese. E’ emerso che, in totale, sui circa
110 mila sacerdoti impegnati nel ministero tra il ’50 e il 2002, 4.400 sono
stati accusati di molestie, ovvero il 4%.
Il rapporto statistico ha posto
anche in luce che, degli oltre diecimila casi denunciati, solo il 10% sono
risultati infondati e il 20% mai indagati, perché o il sacerdote non era più in
vita o perché, all’epoca della denuncia, aveva lasciato il sacerdozio. Nelle
pagine dello studio, figura anche un calcolo dei costi legali e di risarcimento
sostenuti dalle diocesi, che ammontano a 572 milioni di dollari. Una cifra che
non include - si spiega - un più recente patteggiamento da 85 milioni di
dollari, perché giunto dopo la chiusura della raccolta dei dati. Passando dai
numeri alle cause, il rapporto indica, tra l’altro, nell’immaturità dello
sviluppo affettivo dei candidati al sacerdozio una delle possibili cause del
fenomeno: immaturità che sarebbe in certo modo il frutto di una carenza
formativa da parte dei seminari, di fatto inidonei - si sostiene - a preparare
ad una vita di celibato sacerdotale all’interno di una società dove il sesso è
preponderante. Ma si pone in risalto anche un problema di corresponsabilità
dovuto alla scarsa vigilanza o all’inerzia mostrate, nel periodo preso in
considerazione, da parte dei vertici della Chiesa locale. Nell’indicare
possibili rimedi, il rapporto raccomanda studi supplementari ed analisi del
problema, una più accurata selezione dei giovani destinati al sacerdozio, una
maggiore sensibilità ed efficacia rispetto ai casi di abuso, un più grande senso
di responsabilità da parte dei vescovi e degli altri responsabili religiosi,
una migliore interazione con le autorità civili ed una significativa attenzione
da parte degli appartenenti alla Chiesa.
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Sulle reazioni da parte dei
vescovi statunitensi che hanno accompagnato la pubblicazione dei rapporti, ci
riferisce da New York, Paolo Mastrolilli:
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“Non abbiamo nulla da temere
dalla verità o dal passato, se da essi impariamo”. Sono le parole con cui il
vescovo di Belleville, Wilton Gregory, presidente della Conferenza episcopale
americana, ha presentato ieri i due rapporti. Mons. Gregory ha detto che le
vicende, documentate dai due studi, sono terribili ma ormai sono storia, perché
la Chiesa è determinata ad impedire che si ripetano. Il presidente della Conferenza
episcopale ha anche notato che la maggior parte degli episodi elencati è
avvenuta diversi anni fa, prima di una serie di rimedi adottati dalla gerarchia
locale ed ha aggiunto che quasi tutti i vescovi in servizio all’epoca non lo
sono più oggi. Le vittime degli abusi hanno affermato che i due rapporti non
devono servire solo a migliorare l’immagine della Chiesa. Mons. Gregory ha concordato
con loro, dichiarando che piuttosto devono rappresentare uno stimolo per andare
incontro alle persone che hanno subito le molestie ed aiutarle.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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EMERGENZA UMANITARIA E NUOVI SCONTRI TRA RIBELLI E FORZE GOVERNATIVE:
E’ IL DRAMMATICO SCENARIO DELL’UGANDA, PAESE
RECENTEMENTE COLPITO
DAL TRAGICO
MASSACRO PERPETRATO NEL CAMPO PROFUGHI DI BARLONYO
-
Intervista con Pietro Galli -
La situazione dell’Uganda
continua ad essere drammatica. Le aree del Nord e dell’Est del Paese,
martoriate da ripetuti attacchi condotti dai ribelli, sono state dichiarate dal
Parlamento di Kampala “zone di emergenza umanitaria”. Sul terreno non si
interrompe l’ondata di violenza: l’esercito ugandese ha infatti annunciato,
ieri, di aver ucciso almeno trenta miliziani del sedicente Esercito di
resistenza del signore che avrebbero partecipato, lo scorso fine settimana, al
massacro di oltre 200 persone nel campo profughi di Barlonyo, nel distretto
settentrionale di Lira. Ma come potrebbe cambiare la situazione dopo il
provvedimento preso dall’Assemblea di Kampala? Giada Aquilino la ha chiesto a
Pietro Galli, coordinatore dei progetti dell’Associazione volontari per il
servizio internazionale, raggiunto telefonicamente a Kitgum:
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R. - Ancora non lo sappiamo,
visto che il governo non sembra avere la stessa idea. Per governo intendo il
presidente Museveni che è anche capo dell’Esercito. Potrebbe cambiare qualcosa
con gli aiuti che possono arrivare dal governo, e quindi con i fondi per la
sanità o per gli aiuti agricoli.
D. – Qual è la situazione nelle
aree del Nord e dell’Est dell’Uganda, dopo il recente massacro nel campo
profughi di Barlonyo?
R. – C’è sicuramente più paura.
C’è sicuramente più tensione tra le tribù. L’attacco a Barlonyo è stato
condotto nella zona dei Lango, che è una tribù diversa dagli Acholi. E, in
seguito agli attacchi a Barlonyo, ci sono state delle tensioni forti tra Lango
e Acholi.
D. – E’ una situazione, quindi,
di crisi. Cosa serve alla popolazione civile?
R. – Più sicurezza. E’ inutile
portare aiuti in un campo di sfollati, quando il campo può essere attaccato
come è stato quello di Barlonyo. Se non c’è sicurezza, anche il fatto di stare
in un campo cosiddetto protetto è inutile. Dobbiamo ricordarci che più di un
milione e 200 mila persone vivono nei campi. Una volta che c’è la sicurezza,
bisogna garantire un numero di servizi di base, che vanno dall’acqua, al cibo,
ad avere un riparo, ad avere beni per cucinare, per tagliare la legna, per
coltivare. Queste sono le cose che servono alla popolazione.
D. – Dall’estero arrivano
aiuti?
R. – Sì. Gli aiuti arrivano ed
anche in vaste quantità, rispetto agli anni precedenti. Solo l’intervento della
comunità europea per i fondi di emergenza è passato da poco meno di un milione
di euro, due anni fa, a 12 milioni di euro quest’anno. Il problema degli aiuti,
in questo momento, è l’accesso: le strade sono spesso teatro di imboscate. Per
noi portare gli aiuti nei campi, che spesso sono anche molto distanti dai
centri urbani dove le Ong hanno i loro centri logistici, è un grande problema.
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UNO SGUARDO ALLA CITTA’ DI ROMA E AI SUOI BISOGNI: QUESTO E’
STATO
IL
CONVEGNO ORGANIZZATO IERI DA S.EGIDIO, CARITAS ROMANA
E FONDAZIONE DI LIEGRO, A TRENT’ANNI DAL
CONVEGNO SU CARITA’ E GIUSTIZIA
CHE HA
LASCIATO UN SEGNO NELLA VITA DELLA CAPITALE
-
Intervista con mons. Guerino Di Tora e Giovanni Battista Sgritta -
Uno sguardo alla città di Roma è stato rivolto ieri
dalla Comunità di S.Egidio, dalla Caritas romana e dalla Fondazione
Internazionale Luigi Di Liegro, con l’incontro in Campidoglio organizzato per
celebrare i trent’anni dal convegno “La responsabilità dei cristiani di fronte
alle attese di carità e giustizia nella diocesi di Roma”. L’evento, che si
svolse nella Basilica Laterana dal 12 al 15 febbraio del 1974, segnò una tappa
fondamentale nella vita non solo religiosa ma anche culturale e politica della
capitale. Vide raccolte tutte le realtà ecclesiali della diocesi e migliaia di
cristiani romani. Ascoltiamo quale eredità ha lasciato nel servizio di Dorotea
Gambardella:
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“Stimolare la responsabilità
dei cristiani nella vita sociale e politica”. Era questO, nelle intenzioni
dell’allora Vicario Generale del Papa, il cardinale Ugo Poletti, l’obiettivo
del convegno “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e
giustizia nella Diocesi di Roma”, ricordato come il convegno “sui mali di
Roma”. Quattro giorni d’intenso dibattito, al quale parteciparono cinquemila
persone, tra cui anche molti politici. Si svolsero nella Roma delle baracche,
senza luce né acqua, delle borgate dimenticate, priva di strade e servizi,
cresciuta a dismisura dopo la guerra con un’espansione urbanistica figlia di
interessi e speculazioni. Ma perché il convegno del febbraio ’74 fu tanto
importante da essere ricordato a distanza di trent’anni? Ci risponde mons.
Guerino Di Tora, direttore della Caritas di Roma:
“E’ stato importante perché la
diocesi di Roma si è impegnata in prima persona sulla scia del Concilio a voler
guardare anche a quella che è la realtà sociale del territorio. E’ stata,
quindi, una presa di coscienza del
fatto che il cristiano non si occupa solo di preghiera, ma ha una sua realtà
attiva anche nella vita sociale, civile, comunitaria”.
“Quell’evento fu dunque una
grande scossa alla vita religiosa, culturale e politica della capitale”, come
ha sottolineato lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di
S.Egidio, nel suo intervento. Da lì emerse una identità di chiesa locale, una
“chiesa comunità che fosse stimolo per
una città più umana e comunitaria”, come era nell’idea del cardinale Poletti.
Significativo, a tal proposito, fu lo stesso luogo dove si tenne il convegno:
la Basilica Laterana. Essa appariva, per la prima volta, la sede della riunione
dei cristiani di Roma e ciò ne evidenziò il significato di cattedrale. Inoltre,
convinto che da quell’evento doveva nascere una nuova cultura sociale della
città, don Luigi Di Liegro, due anni più tardi, avrebbe fondato la Caritas.
Ascoltiamo in proposito una riflessione di Giovanni Battista Sgritta, ordinario
di Sociologia all’ateneo romano La Sapienza:
“Il messaggio più forte, più formidabile che la
Chiesa ha dato, specie attraverso l’opera di don Luigi Di Liegro con la
Caritas, è stato quello che, rimboccandosi le maniche, “sporcandosi le mani”,
come diceva lui, si riesce a dare l’esempio e ad ottenere dei risultati, che
sono molto vicini alla carità evangelica”.
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“PERUGINO, IL DIVIN PITTORE” E’ IL TITOLO DELLA MOSTRA
DEDICATA
A UNODEI MAGGIORI ESPONENTI DELL’ARTE ITALIANA DEL QUATTROCENTO.
E’
VISITABILE NELLA CITTA’ DI PERUGIA FINO
A LUGLIO PROSSIMO
MA NON
E’ L’UNICA MANIFESTAZIONE
CHE LA
REGIONE UMBRIA DEDICA AL PERUGINO
- Ai
nostri microfoni Francesco Federico Mancini e Vittoria Garibaldi -
“Perugino, il divin pittore” è
il titolo della mostra dedicata alla produzione artistica di Pietro Vannucci,
detto il Perugino, e allestita presso la Galleria Nazionale dell’Umbria di
Perugia fino al 18 luglio prossimo. L’esposizione rappresenta il fulcro delle
manifestazioni in onore di uno dei maggiori esponenti dell’arte italiana del
Quattrocento organizzate in tutta la regione. Il servizio di Maria Di Maggio:
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L’Umbria racconta l’esperienza
umana ed artistica del Perugino attraverso un complesso ed ambizioso progetto
espositivo. Sei mostre in contemporanea, più una rete di 12 itinerari nel
territorio umbro, documentano nella sua completezza il genio artistico del
Perugino ma anche il contesto storico sociale in cui egli visse ed operò e le
ragioni ultime della sua originalità espressiva. Francesco Federico Mancini,
curatore della mostra:
“Non c’è possibilità di
studiare il Perugino se non in rapporto alla sua terra e quindi abbiamo voluto
cogliere quest’occasione per dimostrare quale grande connessione ci fosse tra
l’estetica peruginesca e le morbide, armoniose e delicate colline del paesaggio
umbro. Il Perugino è molto noto non soltanto per le sue mirabili, armoniche e
composte figure, ma anche per i suoi straordinari, estremanente lirici paesaggi.
E i paesaggi che il Perugino dipinge a fondale delle sue opere ricordano molto
da vicino gli sfondi paesistici che noi abbiamo la possibilità di vedere in Umbria”.
Tra gli aspetti più
interessanti della mostra c’è la ricomposizione di alcune monumentali macchine
d’altare e l’esposizione di numerose opere inedite del Perugino. Vittoria Garibaldi,
curatrice della mostra:
“Tra tutte, ricorderei il
polittico Albani-Torlonia. E’ un polittico mai uscito da Palazzo Torlonia,
quindi questo è un evento eccezionale, per poterlo ammirare. All’interno della
cornice, nella complessa architettura, sono raccolte una serie di scene, una
serie di immagini: al centro la Natività e intorno l’Annunciazione e la
Crocifissione con la Vergine San Giovanni e Maria Maddalena, e poi i famosi paesaggi
del Perugino. In questo dipinto si concentra l’ideale creativo del Perugino,
proprio perché questo è il momento in cui riesce a raggiungere il massimo equilibrio
tra architettura, figura umana e paesaggio. Non c’è un elemento che prevale
sugli altri: sono elementi che si integrano perfettamente l’uno con l’altro.
Anche in questo caso, con capacità di raggiungere momenti di poesia altissima”.
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IL
VANGELO DI DOMANI
Domani, 29 febbraio, prima
domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta le tentazioni subite da Gesù,
come racconta San Luca:
“Gesù, pieno di Spirito Santo,
si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per
quaranta giorni, fu tentato dal diavolo”. “Dopo aver esaurito ogni specie di
tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato”.
Su queste parole ascoltiamo il
commento del teologo gesuita, Marko Ivan Rupnik:
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Vladimir Soloviov esplicita tre
livelli nelle tentazioni, come tre livelli della crescita spirituale. Primo
livello: si è tentati di piegare al proprio egoismo il creato, le cose buone
del mondo e così distruggere il mondo, cioè salvare se stessi accumulando le
cose. Al secondo livello, la tentazione suggerisce che siccome sei già una
persona spirituale, tu non sei più sotto la concupiscenza dei sensi, a te è
permesso tutto perché sei superiore alle cose materiali e corporali e, dunque,
tu vuoi tutto. Al terzo livello, la tentazione ti fa pensare che, siccome sei
spirituale e conosci la verità e il bene puoi usare i mezzi potenti del mondo
per affermare il bene e la verità.
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28 febbraio 2004
ASSASSINATA IN MOZAMBICO UNA SUORA BRASILIANA LUTERANA.
LE
AUTORITA’ PARLANO DI UNA RAPINA,
SCARTANDO
L’IPOTESI DI UN POSSIBILE LEGAME
CON LE
DENUNCIE SUL TRAFFICO DI ORGANI,
MA LE
INDAGINI SONO ANCORA IN CORSO
MANILA.
= “Gli effetti della globalizzazione sulla famiglia in Asia non possono non
essere al centro dell’azione pastorale della Chiesa”. Lo ha sottolineato, in
un’in-tervista, mons. Orlando Quevedo, presidente uscente della Conferenza
episco-pale filippina, in vista della prossima plenaria della Federazione delle
Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc). L’assemblea, che si svolgerà dal 17 al
22 agosto in Corea del Sud, avrà per tema “La famiglia in Asia verso una
cultura della vita”. La globalizzazione “ha portato nel continente molti
progressi tecnologici e scientifici - ha detto mons. Quevedo - insieme con una
maggiore consapevolezza della dignità e dei diritti fondamentali della persona
umana, ma d’altra parte, essa ha avuto conseguenze sociali che hanno inciso
negativamente sulla famiglia”. Sul piano economico, infatti, la globalizzazione
ha penalizzato le fasce sociali più povere, accrescendo il fenomeno migratorio
e, quindi, la frammentazione delle famiglie. Sul piano culturale, inoltre, le
nuove tecnologie della comunicazione hanno favorito l’invasione di modelli
materialisti occidentali. Le sfide, comunque - precisa mons. Quevedo - vengono
anche dai modelli sociali tradizionali asiatici, che non sono tutti positivi e
che, quindi, devono essere anch’essi “evangelizzati”. E’ il caso della
struttura patriarcale, che mortifica la donna, o del castismo ancora presente.
Per una pastorale familiare che voglia difendere in modo efficace i valori
della vita - conclude il presule - la Chiesa in Asia deve “comprendere il
contesto locale nella sua integralità” e adeguare i propri programmi pastorali
alla nuova situazione sociale determinata dalla globalizzazione. (L.Z.)
SULLA DRAMMATICA QUESTIONE DELLE MINE RESTA
ANCORA MOLTO DA FARE:
LO
RICORDA L’UNICEF NELL’ANNIVERSARIO DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO DI
OTTAWA.
ANCORA
FUORI DALL’INTESA, TRA GLI ALTRI, RUSSIA, CINA E STATI UNITI
BERLINO. = La Comunità
internazionale deve esercitare una maggiore pressione politica nei confronti di
quei Paesi che ancora non hanno ratificato il Trattato di Ottawa sulla messa al
bando delle mine. Questo, in sintesi, l’appello lanciato ieri a Berlino, in
Germania, dall’Unicef, nel quinto anniversario dell’entrata in vigore del
Trattato. In tutto il mondo ogni anno restano uccise o ferite dall’esplosione
di tali ordigni fra le 15 mila e le 20 mila persone e un terzo di queste sono
bambini. L’adesione al Trattato di Ottawa non è stata ancora siglata da tre
potenze come Russia, Cina e Stati Uniti che producono, usano ed esportano
queste “armi leggere”. L’unica ‘apertura’ dell’America in tema di mine riguarda
il progetto di eliminare entro il 2010 le mine “di vecchia generazione”,
sostituendole con quelle che si auto-distruggono o diventano inerti, dopo un
certo lasso di tempo. Washington, inoltre, ha annunciato che raddoppierà,
portandola a 70 milioni di dollari, la cifra che spende ogni anno per
localizzare e far brillare le mine. Alla cerimonia berlinese ha partecipato
anche Christina Rau, moglie del presidente tedesco, Johannes Rau, e madrina
dell’Unicef. La first lady tedesca era di ritorno da un viaggio in Cambogia,
dove sono stimate in cinque o sei milioni le mine anti-persona ancora sepolte e
in grado di uccidere. Sono almeno 60 milioni, secondo alcune fonti addirittura
100 milioni, le mine inesplose che attualmente infettano decine di Paesi, forse
addirittura 60, dall’Angola alla Bosnia, dalla Cambogia alla Colombia. (B.C.)
IN BANGLADESH I TRE QUARTI DELLA POPOLAZIONE NON HA CIBO
SUFFICIENTE:
E’ LA
DRAMMATICA REALTA’ TRATTEGGIATA, IN UNO STUDIO, DALL’UFFICIO NAZIONALE DELLE
STATISTICHE DI DHAKA
E
DALL’ORGANIZZAZIONE ALIMENTARE MONDIALE
DHAKA.
= In Bangladesh il 77 per cento della popolazione non ha un’adeguata
disponibilità di cibo. E’ quanto rivela un documento presentato ieri
dall’ufficio nazionale delle statistiche di Dhaka, congiuntamente con il
Programma alimentare mondiale (Pam). Il 27 per cento dei 132 milioni di
abitanti - si legge nello studio, presentato come “mappa della povertà” del
Paese - è a rischio di malnutrizione. Le regioni maggiormente colpite dal
problema sono il distretto nord-orientale di Sylhet, le isole, i territori
sulla costa meridionale, le zona della colline di Chittagong e il sud-est. In
questo contesto, tuttavia, si registrano segni positivi. Secondo quanto ha sottolineato
il Pam, infatti, negli ultimi anni il Bangladesh è riuscito a migliorare la
propria produzione agricola. Resta critico, invece, il problema della crescente
sovrappopolazione, l’ostacolo maggiore per sconfiggere la povertà e la fame nel
Paese. Il Bangladesh ha la metà dell’estensione territoriale dell’Italia ma più
del doppio della popolazione, con un tasso di crescita demografica dell’1,47
per cento annuo. (B.C.)
SEMPRE TESA LA SITUAZIONE NELLA REGIONE SUDANESE DEL DARFUR.
ALTRI
10 MILA PROFUGHI HANNO RAGGIUNTO IL CONFINANTE CIAD
N’DJAMENA. = Una nuova ondata di profughi in
fuga dalla regione occidentale sudanese del Darfur, teatro da oltre un anno di
scontri tra ribelli e governo, ha raggiunto il confinante Ciad. Lo riferiscono
fonti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur),
precisando che si tratta di oltre 10 mila sudanesi, più di 25 mila secondo
altre fonti. I nuovi arrivati si aggiungono agli oltre 100 mila profughi
sudanesi che, secondo le stime dell’Onu, si trovano già da mesi nel territorio
del Ciad. A partire dallo scorso febbraio, alcuni gruppi si sono sollevati in
armi contro il governo islamico di Khartoum, accusato di non occuparsi del
Darfur e di finanziarie milizie di predoni arabi, che da anni seminano morte e
distruzione in questa regione. Oltre ai 110 mila profughi, i combattimenti tra
governo e ribelli avrebbero provocato anche alcune migliaia di morti e quasi un
milione di sfollati interni. Nonostante i proclami del presidente, Omar el
Beshir, la situazione in tutta l’area resta fuori controllo. Cresce la paura,
intanto, perché la recente accelerazione del conflitto in Darfur e la crisi
umanitaria ad esso legata possono avere delle ripercussioni anche a Naivasha,
in Kenya, dove sono in corso negoziati per mettere fine al più lungo conflitto
africano, quello del Sud Sudan, durato oltre 20 anni e costato la vita a due
milioni di persone. I colloqui tra Khartoum e i ribelli dell’Esercito popolare
di liberazione del Sudan (Spla) si sono nuovamente arenati sul destino dello
Stato petrolifero di Abyei. (B.C.)
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28 febbraio 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
La radio iraniana ha diffuso la notizia della cattura di
Osama Bin Laden alla frontiera, nella regione tribale fra Pakistan e
Afghanistan. Al momento la notizia, smentita da Pakistan e Stati Uniti, non è
stata confermata da altre fonti. Ma quale significato avrebbe questa cattura?
Risponde Alessandro Politi, analista strategico europeo
specializzato nelle questioni di sicurezza internazionale:
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Conta da un punto di vista simbolico, perché ci fa vedere
che il numero uno può essere catturato e, si spera, processato. E’ il modo più
sicuro per distruggere il mito di un terrorista. Dal punto di vista operativo
conta relativamente. Nel caso di Al Qaeda si può anche distruggere la casa
madre, ma ormai i vari “negozi” terroristici continueranno per i fatti loro,
fino a quando non verranno neutralizzati. E questo è un lavoro molto meno
spettacolare, che richiederebbe molto più investimento, che invece non c’è.
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In Iraq si moltiplicano le tensioni e le proteste.
Le autorità locali non sono giunte ieri ad un accordo sul quadro legislativo
che dovrebbe reggere il Paese nel periodo di transizione. I turcomani hanno
inscenato ieri una protesta a Baghdad, mentre gli sciiti radicali sono tornati
a pretendere che la legge islamica sia considerata la principale fonte del
diritto. Sono intanto rientrati ieri, in Italia, 144 carabinieri impiegati a
Nassiriya nella missione ‘Antica Babilonia’.
Clima da “resa dei conti” ad Haiti. Nell’imminenza
dell’ingresso dei ribelli del Fronte di Liberazione a Port Au Prince, la
capitale sembra in preda al caos e ai saccheggi. Le “chimere”, come si fanno
chiamare le forze fedeli al presidente Aristide, che agiscono senza controllo,
hanno riconquistato Cayes, la terza città del Paese caraibico. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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Il presidente haitiano, Jean-Bertrand Aristide, ha
invitato i suoi sostenitori ad una mobilitazione pacifica, ribadendo che non
intende dimettersi. In un intervento trasmesso la scorsa notte dalla
televisione statale, Aristide non ha raccolto gli appelli lanciati da Stati
Uniti, Francia e Canada affinché lasci il potere. “Partire – ha detto - è fuori
discussione e le notizie sulle mie prossime dimissioni sono voci senza
fondamento veicolate dai leader dell’opposizione per provocare la popolazione e
causare disordini nel Paese”. Aristide ha quindi auspicato la ripresa delle
attività commerciali, chiedendo “ai 46 mila dipendenti statali di essere
presenti al loro posto di lavoro lunedì prossimo”. “Io stesso e i membri del
governo – ha assicurato - saremo al nostro posto”. Nel condannare “gli atti di
violenza ed i saccheggi”, il presidente haitiano ha infine chiesto ai suoi
sostenitori di mobilitarsi pacificamente per “proteggere la democrazia”.
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Non
c’è solo l’haitiano Aristide, tra i presidenti a rischio in America Latina. In
Venezuela, infatti, proseguono nel sangue le manifestazioni contro Chávez, invitato dall’opposizione a
dimettersi. Particolarmente violenti gli scontri di ieri a Caracas, dove era in
corso il vertice del G-15, al quale aderiscono i principali Paesi in via di
sviluppo tra cui Argentina, Brasile, India, Iran e Nigeria.
Non accenna a diminuire la tensione in Medio
Oriente. Le Brigate dei Martiri di Al Aqsa hanno rivendicato stamani
l’uccisione di due israeliani - un uomo e una donna - avvenuta ieri sera nei
pressi di Hebron, in Cisgiordania. Strage evitata, invece, nella Striscia di
Gaza. Un terrorista kamikaze della Jihad Islamica si è fatto esplodere senza
coinvolgere i coloni dell’insediamento ebraico di Kfar Darom.
Si è chiuso, a Pechino, il
secondo round di negoziati multilaterali a 6 per tentare di convincere la Corea
del Nord a rinunciare ai piani di sviluppo nucleare. Gli Stati Uniti si sono
detti “soddisfatti” perché tutti i Paesi partecipanti all’incontro hanno
chiesto a Pyongyang un calendario per lo smantellamento del programma atomico. In ogni caso, la Corea del Nord
ha ripetuto oggi di non avere un programma di sviluppo di armi nucleari basato
sull'uranio arricchito, come affermano gli Stati Uniti. Il capo della
delegazione nordcoreana ai colloqui di Pechino Kim Gye-gwan ha detto in una
conferenza stampa che il suo paese ha ''solo uranio naturale''. Il
servizio di Chiaretta Zucconi:
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Con una cerimonia iniziata tre ore e mezza dopo l’ora
prevista, il ministro degli esteri cinese ha chiuso il secondo round di consultazioni
a sei sulla crisi nucleare nord-coreana, annunciando che le due Coree, Usa,
Cina, Russia, Giappone e Russia si incontreranno ancora alla fine di giugno a Pechino.
I sei Paesi hanno anche rilasciato una dichiarazione congiunta, nella quale
esprimono l’impegno a favore di una penisola coreana denuclearizzata e la
volontà di improntare i propri rapporti ai principi della coesistenza pacifica.
Il comunicato congiunto parla anche dell’istituzione di gruppi di lavoro, senza
fornire ulteriori dettagli. “Brindiamo ai progressi che sono stati fatti a
prescindere dalle difficoltà che incontreremo ancora”, ha detto il ministro
degli esteri cinese, aggiungendo tuttavia che esistono ancora serie divergenze
tra le parti. Durante questi negoziati, la Corea del Nord ha offerto di
congelare il suo piano di sviluppo nucleare, esclusi quelli per uso pacifico,
in cambio di forniture di energia da parte degli Usa e dell’abbandono americano
della sua politica ostile. Un’offerta accettata da Russia, Cina e Corea del Sud,
ma Tokyo e Washington sono stati irremovibili: niente aiuti energetici o
assistenza economica fino a quando il regime comunista del Nord non avrà distrutto
tutti i suoi programmi nucleari.
Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.
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Allarme in Giappone per
l’influenza dei polli: il virus è stato riscontrato in alcuni volatili di una
macelleria di Kyoto. Il ministero dell’agricoltura, che due giorni fa aveva
accertato con un primo test la presenza del virus, ha detto di temere che i gravi
ritardi emersi nel sistema di denunce e controlli possano aver allargato il
fronte dell’infezione.
Dolore
e bandiere a mezz’asta in Macedonia per la tragica morte del presidente, Boris
Trajkovski. Il Paese balcanico renderà l’ultimo omaggio al capo dello Stato
martedì prossimo, quando si svolgeranno i funerali solenni. Intanto ieri sono
stati ritrovati i corpi delle otto persone che viaggiavano insieme Trajkovski a
bordo del velivolo schiantatosi giovedì scorso nel sud della Bosnia, ma sulla vicenda
c’è ancora molto da chiarire.
Accesso
all’acqua, agricoltura, difesa comune, soluzione dei conflitti interni: sono
temi impegnativi, quelli all’esame dell’Unione africana, riunita da ieri in un
vertice straordinario. Aprendo i lavori a Sirte – alla presenza del presidente
della Commissione europea, Prodi – il leader libico Gheddafi ha invitato ieri
gli Stati Uniti a mettere da parte la mentalità colonialista ed imitare
l’Europa. Sentiamo Giulio Albanese:
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Il
documento finale del Summit dovrebbe contenere il progetto di creare
rapidamente un fondo africano per lo sviluppo dell’agricoltura. Per quanto concerne
l’altro argomento in agenda, la sicurezza comune, la cui discussione è prevista
per oggi, è probabile che venga presentato il progetto di creare una forza
africana in grado di intervenire nei conflitti continentali. La maggior parte
dei presenti si è detta contraria all’idea di creare un esercito unico
africano, sostenuta dal padrone di casa, il presidente, Mohamar Gheddafi. E
proprio lui, l’irriducibile, acceso, sostenitore del panafricanesimo, ha
ricevuto l’elogio del presidente della Commissione Europea, l’italiano Romano
Prodi, secondo cui l’apertura della Libia in materia di armi di distruzione di
massa e i rinnovati rapporti con l’Occidente hanno reso il mondo migliore e
messo solide basi per l’allacciamento di relazioni forti e strutturali tra il
Paese nord africano e l’Unione Europea.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite invierà in Costa d’Avorio una forza di oltre 6.000 caschi blu,
per il mantenimento della pace. Il provvedimento è stato approvato ieri
all’unanimità. Le truppe Onu, che resteranno per un anno a partire dal prossimo
4 aprile, sostituiranno la forza di pace africana.
La
Corte Suprema della California deciderà entro il 5 marzo sulla legalità dei
matrimoni omosessuali celebrati nelle ultime settimane a San Francisco. La
richiesta di agire con urgenza e di ordinare alla contea di sospendere il
rilascio di licenze di matrimonio a coppie gay è stata presentata dal ministro
della Giustizia, Bill Lockyer, sollecitato dal governatore, Arnold
Schwarzenegger. Richiesta, inoltre, la nullità delle unioni già sancite.
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