RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 49 - Testo della Trasmissione di mercoledì 18  febbraio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

       Dio desidera ardentemente la nostra salvezza: così il Papa nella catechesi dell’udienza generale, in Aula Paolo VI

 Essere santi e vivere in modo straordinario il quotidiano: lo ha detto Giovanni Paolo II, in un messaggio ai vescovi amici del Movimento dei Focolari

 

 Il cardinale Kasper da Mosca: no ad una deliberata strategia di proselitismo

 

Vent’anni fa, la firma della revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede: ai nostri microfoni,l’ambasciatore Giuseppe Balboni Acqua.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

       Un incontro degli universitari romani con il cardinale Ruini sull’essere testimoni del Vangelo negli atenei. Intervista con mons. Lorenzo Leuzzi

 

 Oggi e domani, a Roma, la 27.ma Sessione annuale dell’esecutivo dell’Ifad

 

Haiti chiede l’appoggio della comunità internazionale per sedare la rivolta civile. Con noi, il vescovo di Port-au-Prince, Pierre Dumas

 

Concerto, stasera a Roma, per raccontare in musica le opere del Caravaggio. Intervista con mons. Marco Frisina.

 

CHIESA E SOCIETA’:

       Via libera dell’Olanda alla nuova legge sull’immigrazione

 

I vescovi spagnoli criticano il tribunale del Paese che ha concesso la patria potestà di due bambine a una coppia di donne omosessuali.

 

Per la prima volta in Mozambico è una donna il nuovo primo ministro.

 

In India non si fermano le violenze: molti cristiani dei villaggi sono costretti a riconvertirsi all’induismo.

 

L’epidemia di febbre dengue continua a provocare vittime in Indonesia.  

 

24 ORE NEL MONDO:

 

In Iran 182 i morti per l’esplosione di un treno carico di materiale combustibile 

 

La Croce Rossa  critica il muro che Israele sta costruendo in Cisgiordania

 

 Oggi pomeriggio a Berlino il discusso vertice tra Francia, Germania e Gran Bretagna

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 febbraio 2004

 

DIO HA PREDESTINATO L’UOMO ALLA SALVEZZA SIN DAL TEMPO

DELL’ETERNITA’ DIVINA CHE PRECEDE LA CREAZIONE.

LO HA DETTO IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE IN AULA PAOLO VI

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Dio desidera appassionatamente la nostra salvezza, alla quale ci ha predestinati ancor prima dell’inizio del cosmo, attraverso il sacrificio di Cristo. Una verità netta e luminosa, che si staglia all’interno della Lettera agli Efesini. Giovanni Paolo II ha preso spunto dall’inno di benedizione che apre il testo di Paolo per la prima di una serie di meditazioni che occuperanno le prossime udienze generali. Nella sua catechesi del mercoledì in Aula Paolo VI, davanti a circa 9 mila persone, il Papa ha introdotto il cantico, definendolo un inno “splendido” e “solenne”: una sorta di “maestosa costruzione” destinata a illustrare, fin dalle prime righe, il “prima” che precede il tempo e la creazione. Ovvero, ha affermato, “l’eternità divina, nella quale già prende vita un progetto che ci supera”, una “pre-destinazione” appunto, che non è altro che il disegno d’amore, gratuito, di un destino di salvezza e di gloria. In questo “progetto trascendente”, ha detto il Pontefice, sono compresi gli estremi: la creazione e la redenzione, il cosmo e la storia umana”. Nella “sua benevolenza”, ha ripetuto il Papa con le parole di San Paolo,  Dio aveva deciso di “ricapitolare in Cristo” tutte le cose: di “riportare a un ordine e a un senso profondo tutte le realtà, quelle celesti e quelle terrene”:

 

“La signoria di Cristo si estende, perciò, sia al cosmo sia a quell’orizzonte più specifico che è la Chiesa (...) Questa sorta di Salmo neotestamentario fissa l’attenzione soprattutto sulla storia della salvezza che è espressione e segno vivo della ‘benevolenza’, del ‘beneplacito’ e dell’amore divino”.

 

Il Papa ha proseguito la riflessione sul Cantico, riproponendo il commento di un grande padre e maestro della Chiesa, san Giovanni Crisostomo. Essere stati benedetti in Cristo, osserva l’antico vescovo di Costantinopoli, significa aver ricevuto tutto. “Che cosa ti manca, infatti? – domanda ai suoi fedeli di un tempo e a noi oggi - Sei diventato immortale, sei diventato libero, sei diventato figlio, sei diventato giusto, sei diventato fratello, sei diventato coerede, con lui regni, con lui sei glorificato”. E Dio ha fatto tutto questo per noi - continua Giovanni Crisostomo – “secondo il beneplacito della sua volontà”. Che cosa significa questo? Significa che Dio appassionatamente desidera e ardentemente brama la nostra salvezza”. E per quale motivo ci vuol tanto bene?, si chiede ancora. “Per sola bontà: la ‘grazia’, infatti, è propria della bontà”.

 

Al momento conclusivo dei saluti - oltre a rivolgere un pensiero alla delegazione dell’Università polacca di Opole, che ieri ha consegnato al Papa una laurea honoris causa - Giovanni Paolo II ha salutato, tra gli altri, il cardinale vicario Camillo Ruini e gli studenti riuniti a Roma con lui per riflettere sul tema “Testimoni del Vangelo in Università”, oltre ai rappresentanti dell’Unione cattolica artisti, ai quali il Pontefice ha additato come modello il Beato Angelico, loro patrono.

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OGNI CREDENTE E’ CHIAMATO AD ESSERE SANTO E  A VIVERE IN MODO STRAORDINARIO IL QUOTIDIANO: COSI’ IL PAPA AI VESCOVI AMICI DEI FOCOLARI

PRESENTI CON CHIARA LUBICH ALL’UDIENZA GENERALE

 

Il Papa, alla fine dell’udienza generale, ha salutato anche alcuni cardinali, tra cui l’arcivescovo di Praga Miloslav Vlk, e i vescovi amici del “Movimento dei Focolari” presenti nell’aula Paolo  VI con Chiara Lubich, che stanno partecipando  in questi giorni, presso il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, a un convegno sulla santità. Per quest’occasione Giovanni Paolo II ha consegnato loro un messaggio. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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Ogni battezzato, ogni fedele è chiamato a essere santo. Il Papa ribadisce quanto è stato espresso dal Concilio Vaticano II. Si tratta di una “esigenza primaria da proporre a tutti i membri del Popolo di Dio”. “Solo infatti una comunità cristiana splendente di santità – dice il Papa - può compiere efficacemente la missione affidatale da Cristo, quella cioè di diffondere il Vangelo sino agli estremi confini della terra”. “I battezzati sappiano vivere con coerenza il Vangelo nella quotidianità: in famiglia, nell’attività lavorativa, in ogni relazione e occupazione. E’ proprio nell’ordinario – aggiunge Giovanni Paolo II - che si deve vivere lo straordinario, così che la “misura” della vita tenda all’“alto”, cioè alla “piena maturità di Cristo”. La Vergine Maria “sia il modello sublime” a cui sempre ispirarsi: “in Lei si compendia la santità del Popolo di Dio, perché in Lei risplende nella massima umiltà la perfezione della vocazione cristiana”.

 

Il Pontefice ricorda la lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte”, dove chiede a tutti i fedeli di non “accontentarsi di una vita mediocre” che, per un cristiano, sarebbe “un controsenso”: occorre invece essere testimoni radicali dell’amore di Dio. “Se mancherà la carità – scrive il Papa – tutto sarà inutile”.

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Zé Doca (Brasile) padre Carlo Ellena, sacerdote fidei donum dell’arcidiocesi di Torino, finora segretario esecutivo del Regionale Nordeste 5 della Conferenza episcopale del Brasile. Mons. Ellena è nato a Valperga, arcidiocesi di Torino, il 28 marzo 1938.  Ordinato sacerdote il 29 giugno 1962, è stato inviato in Brasile all’inizio del 1974, come sacerdote fidei donum dell’arcidiocesi di Torino, al servizio della diocesi di Zé Doca.  Rientrato in Italia nel 1993 è stato parroco della parrocchia di San Gioacchino a Torino. Tornato in Brasile nel 1997, a servizio della diocesi di Ponta de Pedras, ha svolto la mansione di rettore del Seminario maggiore diocesano. Dal 2001 è Segretario esecutivo del Regionale Nordeste 5 della Conferenza Episcopale del Brasile.

 

 

ENTRA NEL CUORE DEI TEMI ECUMENICI LA VISITA DEL CARDINALE WALTER KASPER, PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI, DA IERI A MOSCA, SU INVITO DEI PRESULI CATTOLICI DELLA FEDERAZIONE RUSSA.

IL RAPPRESENTANTE DELLA SANTA SEDE SI E’ DETTO CONTRARIO

AD UNA STRATEGIA DELIBERATA DI PROSELITISMO

- Il servizio di Roberta Gisotti -

 

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Sono venuto “con la speranza di voltare pagina ed aprirne una nuova, una pagina d’amicizia”: le prime parole del cardinale Walter Kasper, raccolte ieri dalla stampa a Mosca, sono state dedicate al tema dell’ecumenismo e dei rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa. Ed oggi una nuova apertura al dialogo su uno dei punti, forse il più spinoso, di contrasto tra le due confessioni il problema del proselitismo: “Nella misura in cui noi riconosciamo la Chiesa ortodossa quale Chiesa vera ed i suoi sacramenti come autentici, non si può avere – ha detto il porporato - una politica deliberata o una strategia d’evangelizzazione dei cristiani ortodossi. Una visita molto attesa questa del cardinale Kasper, che arriva a quattro anni da una precedente visita nella capitale russa del presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei Cristiani e dopo l’annullamento di un’altra visita lo scorso anno. Una tappa comunque importante nel cammino di dialogo ecumenico. Il cardinale Kasper non ha nascosto l’esistenza di problemi tutt’ora irrisolti: “esistono – ha detto – molti ostacoli e pregiudizi, ma con la buona volontà e l’aiuto di Dio riusciremo a superarli”.

 

E veniamo al programma della visita. Oggi l’incontro con i vescovi cattolici della Federazione russa, in un clima di grande gioia, come testimoniato dall’arcivescovo metropolita di Mosca, Tadeusz Kondrusiewicz, che ha dichiarato come questa visita sia per tutti i cattolici “un segno di speranza”, anche per dare nuovo impulso ai rapporti con gli ortodossi. Il cardinale Kasper ha tenuto stamane nella cattedrale cattolica di Mosca una conferenza dal titolo “L’Ortodossia  e la Chiesa cattolica”, presenti un centinaio di persone, oltre ai presuli cattolici, il portavoce del Patriarcato ortodosso padre Igor Vizhanov, che ha commentato “questo è un discorso equilibrato”, riferendosi al problema del proselitismo, auspicando che “le buone parole” del cardinale Kasper “siano seguite da atti concreti”.

 

 Domani quindi il porporato sarà a colloquio con il vescovo metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill, presidente del Dipartimento delle relazioni ecclesiastiche estere del Patriarcato di Mosca. “Un incontro di lavoro non ufficiale”, ha precisato ieri lo stesso padre Vizhanov, che non ha né confermato né escluso del tutto la possibilità nei prossimi giorni di un incontro - in un primo tempo previsto - anche con il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II, che al momento sarebbe ammalato e fuori dalla capitale russa.

 

Da registrare nei giorni scorsi le dure critiche rivolte dal Patriarcato di Mosca alla Santa Sede circa l’eventuale istituzione in Ucraina occidentale di un Patriarcato per la comunica greco-cattolica, provvedimento che ha incontrato la condanna di tutte le Chiese ortodosse, ben 14 quelle interpellate, tra cui anche il parere decisamente contrario del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Si prevede allora che questo nuovo delicato e complesso tema sarà in primo piano nei colloqui del cardinale Kasper a Mosca.

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20 ANNI FA LA FIRMA DELL’ACCORDO DI REVISIONE DEL CONCORDATO

TRA SANTA SEDE E STATO ITALIANO

- Intervista con l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Giuseppe Balboni Acqua -

 

Esattamente 20 anni, il 18 febbraio del 1984,  fa veniva firmato a Roma a Villa Madama l’Accordo di revisione del Concordato del 1929  tra Santa Sede e Stato italiano. Il documento veniva sottoscritto dal cardinale segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli e dal presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi. Questa sera si svolgerà all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede l’annuale ricevimento celebrativo dell’evento. Sulle novità apportate dalla revisione del Concordato Giovanni Peduto ha intervistato il neo ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Giuseppe Balboni Acqua.

 

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R. - Il Concordato ed il Trattato del Laterano del 1929 avevano la seguente premessa: “In nome della Santissima Trinità”. L’Accordo del 1984 ha invece un semplice proemio in cui si fa riferimento al processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e si ricordano le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa ed i rapporti tra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico promulgata nel 1983 che modifica quella pio-benedettina del 1917. La religione cattolica cessa di essere la sola religione dello Stato e cade quindi la caratterizzazione confessionale dell’ordinamento statale. La Conferenza episcopale italiana che non era interlocutore dello Stato all’epoca del precedente Concordato, acquista personalità giuridica.La nomina dei titolari di Uffici ecclesiastici è liberamente effettuata dall’Autorità ecclesiastica (non ci è più l’impegno di prenotificazione al Governo per assicurarsi che non vi siano ragioni di carattere politico da sollevare contro la nomina).L’apprendimento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è facoltativo. L’insegnamento della religione cattolica perde ogni impostazione confessionalistica: non è più “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica” come nel vecchio Concordato, ma è semplicemente riconoscimento del valore della cultura religiosa e dell’appartenenza dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano. Nuovo sistema per il sostentamento del cero con conseguente abolizione delle con conseguente abolizione delle congrue. L’introduzione dell’8 per mille affida alla scelta dei fedeli la determinazione del flusso finanziario da devolvere alle necessità del clero. Il matrimonio canonico produce effetti civili ma la relativa norma non richiama più la sua natura sacramentale. Viene introdotta la doppia giurisdizione in materia di nullità del matrimoni concordatari (non è più automatica la “delibazione” della sentenza). La collaborazione tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Le disposizioni finali dell’Accordo del 1984 stabiliscono che “se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata”. L’introduzione dell’Accordo del 1984 dello strumento della Commissione paritetica come congegno negoziale consente di superare eventuali difficoltà senza traumi e senza rottura. Le norme dell’Accordo predetto hanno cercato di adeguare alcuni dei tradizionali istituti delle relazioni tra Stato e Chiesa cattolica al mutamento della situazione politico-sociale, in considerazione anche della progressiva laicizzazione dei costumi, mantenendo fermo il caposaldo dell’irrilevanza per lo Stato italiano sul piano dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali, della credenza religiosa degli individui.

 

D. – Come vede gli attuali rapporti tra Vaticano e Italia?

 

R. – Sono ottimi. Vorrei terminare questa intervista citando alcune espressioni rivolte dal presidente della Repubblica a Giovanni Paolo II in occasione della visita ufficiale in Vaticano nell’ottobre 1999. Il presidente Ciampi si riferisce al suo intervento in Parlamento in occasione del suo insediamento del maggio 1999, ricordando come lo sforzo europeo per la pace debba vedere in prima fila noi italiani, “che abbiamo l’onore di convivere con la Chiesa cattolica, suprema istituzione di pace, e con la Sua persona, riferimento universale dei più alti valori umani”. Egli successivamente aggiunse che “i rapporti fra la Santa Sede e l’Italia si sviluppano in modo intenso e costruttivo. La Chiesa è portatrice di istanze e di attese che permeano la società italiana, una società che ha come riferimento centrale la famiglia e i suoi valori. Il senso della famiglia è profondamente radicato nel popolo italiano; è elemento costitutivo della sua identità, patrimonio da preservare gelosamente per il bene delle future generazioni. Ogni segno di crisi di questo nucleo fondante, come quello delle culle vuote per difficoltà economiche o per sfiducia nell’avvenire, preoccupa e sollecita appropriate politiche di sostegno”. Ebbene, queste frasi io ho sottolineato in occasione della presentazione delle mie lettere credenziali al Sommo Pontefice il 9 gennaio 2004.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina l'Iraq, dove continua a scorrere sangue; un doppio attacco kamikaze, a Sud di Baghdad, ha provocato più di dieci morti ed un centinaio di feriti.

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Nel cammino della Chiesa in Asia, un articolo di Gianluca Biccini sui progetti promossi, in India, dall'Associazione italiana "Amici di Raoul Follereau".

 

Nelle estere, Haiti: governo ed opposizione favorevoli ad una forza internazionale per fermare le violenze.

Sudan: alla stretta finale i colloqui di pace per il Sud.

 

 

Nella pagina culturale, un articolo di Piero Amici sul "cammino spirituale" di Alfred Doblin, l'autore di "Berlin, Alexanderplatz"

 

Nelle pagine italiane, un articolo di Gaetano Vallini sull'accorato appello lanciato da un abitante di Barletta - attraverso il nostro giornale - affinché vengano aiutate sua figlia ed il suo nipotino affetti da sclerosi tuberosa.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 febbraio 2004

 

 

“TESTIMONI DEL VANGELO IN UNIVERSITÀ”:

IL TEMA DELL’INCONTRO DI QUESTA SERA ALLA LATERANENSE

TRA IL CARDINALE RUINI E GLI UNIVERSITARI DI ROMA

 

“Testimoni del Vangelo in Università”. Questo il tema dell’incontro del Cardinale Vicario, Camillo Ruini, con gli universitari di Roma, che si svolgerà questa sera alle 19, alla Pontificia Università Lateranense. La serata inizia con un momento di preghiera davanti all’Icona della Vergine di Loreto, seguito da testimonianze di docenti, studenti e cappellani universitari. Mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria, illustrerà i nuovi percorsi d’impegno della pastorale del settore. Ce ne parla al microfono di Dorotea Gambardella.

 

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R. – Il rafforzamento delle cappellanie universitari e il rafforzamento dei laboratori culturali in università e una maggiore collaborazione tra le parrocchie e le cappellanie universitarie: sono i tre pilastri su cui ci stiamo muovendo per raggiungere un maggior numero di studenti.

 

D. – In che misura docenti e studenti possono rendersi testimoni del Vangelo in ambito universitario?

 

R. – Stiamo cercando che le cappellanie universitarie possano essere veramente un luogo dove i giovani possono ascoltare la Parola, celebrare l’Eucaristia, avere momenti per la direzione spirituale, programmare insieme iniziative di annuncio nel mondo universitario. Il secondo livello, che coinvolge più direttamente gli studenti e i docenti è la loro presenza in facoltà, per testimoniare che il Vangelo è in grado di accogliere le sfide della cultura universitaria e orientarle, queste sfide, che la cultura universitaria oggi vive in maniera anche drammatica: pensiamo a tutti i problemi sollevati dalla ricerca tecnologica sulla vita umana ...

 

D. – Che cosa significa un’università permeata dal messaggio evangelico?

 

R. – Credo che una università che voglia recuperare l’ispirazione cristiana, debba interrogarsi sul senso del fare ricerca nel senso dello studio e anche e soprattutto del servizio che l’università, oggi, è chiamata a rendere per la crescita della società.

 

D. – Quali sono le problematiche maggiori per gli universitari? Ci risponde Sabrina Mazzocchi, studentessa dell’ateneo romano di Tor Vergata:

 

R. – Il grosso male di oggi è non saper comunicare; non sapersi rapportare al mondo esterno: ci copriamo dietro al fatto di essere impegnati all’università. Questo è un obiettivo importante: riuscire a scardinare questi muri perché gli studenti possano avvalersi di un aiuto che possa aprire le porte della vita a 360°, non solo in un unico senso. E allora, questo è l’impegno che oggi cerchiamo da tutti quei ragazzi che sono già sensibilizzati e che possono dare un aiuto concreto a questo tipo di missionarietà universitaria.

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SOTTO ACCUSA LE RELAZIONI COMMERCIALI INTERNAZIONALI

NELLA PRIMA GIORNATA DELL’ASSEMBLEA ANNUALE DELL’IFAD,

INAUGURATA STAMANE NEL PALAZZO DEI CONGRESSI A ROMA

 

Al via stamani al Palazzo dei Congressi di Roma la 27.ma sessione annuale del consiglio esecutivo dell’Ifad, l’agenzia dell’Onu impegnata nella lotta alla povertà rurale. Ad aprire la due giorni di lavori è stato il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré. L’incontro di quest’anno è incentrato sul ruolo del commercio per lo sviluppo delle aree rurali. A seguirlo per noi, c’è Alessandro Gisotti:

 

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         “I mercati devono lavorare per l’eliminazione della povertà e non contro i poveri”. E’ l’avvertimento del presidente dell’Ifad, Leonard Bage, che nell’Assemblea plenaria ha sottolineato come al momento i sussidi e le politiche commerciali protezionistiche stiano danneggiando i Paesi in via di sviluppo. E’ allora necessario affrontare ed eliminare i vincoli politici e materiali, che operano contro l’attribuzione di potere ai poveri che vivono nelle campagne.

 

In un discorso molto atteso, il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, ha affermato che la scadente performance del settore agricolo africano è in gran parte dovuta alle disuguaglianze che pervadono le relazioni commerciali internazionali. In Burkina Faso, per esempio, nel corso degli ultimi sette anni la produzione di cotone è aumentata dal 400 per cento e tuttavia i produttori di cotone del Paese, come di ogni altra area dell’Africa occidentale, lamentano una perdita di 150 milioni di dollari all’anno in entrate dalle esportazioni, proprio a causa dei sussidii dei Paesi industrializzati alle proprie agricolture. Compaoré non ha poi mancato di mettere l’accento sullo straordinario ruolo che le donne possono svolgere nello sradicamento della povertà del continente africano. 

 

Dal canto suo il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha ribadito l’impegno della sua organizzazione a lavorare con l’Ifad per combattere la fame nel mondo ed ha esortato la Comunità internazionale a fare di più sul fronte della lotta alla povertà, altrimenti sarà impossibile raggiungere gli obiettivi stabiliti al Vertice del Millennio. Parole, queste, che hanno fatto eco a quelle del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che in un messaggio inviato per l’occasione ha sottolineato come gli agricoltori dei Paesi poveri debbano essere messi in grado di usufruire dei vantaggi e della liberalizzazione del commercio internazionale.

 

La due giorni di lavoro prosegue con una serie di tavole rotonde che, tra oggi e domani, si concentreranno sul tema: “Commercio e sviluppo rurale, sfide ed opportunità per i poveri delle campagne”.

 

Per la Radio Vaticana, dal Palazzo dei Congressi, in Roma, Alessandro Gisotti.

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IL GOVERNO DI HAITI CHIEDE L’APPOGGIO DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE MENTRE SI ALZA LA TENSIONE E SI AGGRAVA L’EMERGENZA UMANITARIA

- Intervista col vescovo Pierre Dumas -

 

Il governo di Haiti chiese l’appoggio della comunità internazionale per far fronte alla rivolta armata, in atto da due settimane, che ha già causato oltre 50 morti ed ha fatto precipitare l'isola nell’emergenza umanitaria. La violenza si estende e gli insorti, che contestano il presidente, Jean-Bertrand Aristide, conquistano sempre più terreno. Il governo di Port-au-Prince ha assistito impotente alla presa da parte delle milizie ribelli  anche della città di Hinche, al confine con la Repubblica Dominicana.

 

Il premier haitiano, Neptune, ha invocato la presenza di una forza internazionale nell’isola, senza però fare diretto riferimento alla proposta avanzata ieri dal ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, di inviare “una forza di pace” ad Haiti. De Villepin ha spiegato di agire nell’ambito delle Nazioni Unite, che hanno già inviato una missione umanitaria, e di voler promuovere un processo di dialogo. La proposta di Parigi è stata accolta con favore da una fazione dell’opposizione politica interna, ma è stata bocciata dagli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa, Powell, ha detto che “non verrà accettata alcuna soluzione alla crisi che preveda l'uscita di scena del presidente eletto”. Ma c’è ancora spazio per il dialogo ad Haiti? Risponde il vescovo ausiliare di Port-au-Prince, mons. Pierre Dumas, al microfono di Lucas Duran:

 

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R. – Finora io credo di sì. Se ognuno lascia i propri interessi e vede il bene della nazione, penso che sia possibile aprire una finestra per il dialogo e far tacere la voce delle armi.

 

D. – Un compromesso di questo tipo può prevedere il mantenimento in carica del presidente Aristide?

 

R. – Io so che in questo momento il presidente è una figura molto contestata e anche una figura che non riesce a pacificare la nazione. E’ una figura che fa scatenare molte passioni.

 

D. – Quindi voi ripetete quanto già affermato. Voi vescovi avete detto che per il bene di un popolo può anche essere necessario fare un passo indietro: pensavate alla possibilità di dimissioni del presidente?

 

R. – Sì. Se il bene del mio popolo significa, ad un certo punto, che devo ritirarmi, devo capirlo. Egli deve avere questa consapevolezza e prendere la decisione giusta.

 

D. – Gli Stati Uniti si sono dichiarati pronti ad organizzare un campo per rifugiati haitiani nella base di Guantanamo, a Cuba…

 

R. – Io penso che se sono consapevole che una catastrofe mi minaccia, il mio dovere morale è di intervenire prima se posso impedirla e non aspettare che 100 mila, 50 mila o 200 mila persone siano costrette a fuggire. C’è un dovere morale da parte degli Stati Uniti, ma anche da parte di chi può parlare con l’America per suggerire quello che si può fare oggi. Per questo la preparazione di campi profughi per i prossimi mesi risponde ad una logica che non regge.

 

D. – Cosa fa oggi la Chiesa e che cosa potrebbe fare?

 

R. – Oggi la Chiesa cerca in questa situazione di conflitto di elevare un po’ il livello di coscienza della gente. La Chiesa prima di tutto accompagna il popolo di Dio nella sua sofferenza, nel suo Calvario, perché noi abbiamo fatto una scelta evangelica, anche se qualche ecclesiastico si espone. Dio ci ha scelti come suoi ministri per dire la verità, togliendo ogni paura. Dobbiamo testimoniare la fede, l’amore, la speranza.

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CARAVAGGIO, GESUALDO E FRESCOBALDI:

A QUESTE TRE GRANDI PERSONALITA’ DEL PRIMO SEICENTO

E’ DEDICATO IL CONCERTO IN PROGRAMMA STASERA

 A ROMA NELLA CHIESA DI SAN LUIGI DEI FRANCESI

- Intervista con mons. Marco Frisina -

 

“Caravaggio, Gesualdo, Frescobaldi: la luce e l’ombra, il peccato e la grazia” è il titolo del concerto che si terrà questa sera alle 20.30 nella Chiesa di San Luigi dei Francesi. Mons. Marco Frisina commenterà i capolavori realizzati da Caravaggio per la Cappella Contarelli e alcuni brani di Gesualdo da Venosa e Girolamo Frescobaldi saranno eseguiti dal Coro Musicanova diretto da Fabrizio Barchi e dall’organista Alessandro Albenga. Ma quali sono i criteri che hanno condotto all’accostamento di queste personalità artistiche del primo Seicento? Maria Di Maggio lo ha chiesto a mons. Marco Frisina, direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato.

 

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R. – Anzitutto sono vicine temporalmente ma soprattutto sono vicine spiritualmente ed emotivamente. Gesualdo da Venosa un musicista – diremmo - tra la tenebra e la luce, che si avvicina molto a Caravaggio, sia come vita, una vita abbastanza corrusca, avventurosa, e sia come stile, uno stile molto moderno, ardito nelle armonie e nelle soluzioni, quasi ricercando la trasgressione musicale, così come Caravaggio cercò quella stessa trasgressione nella pittura. Similmente anche Frescobaldi, perché Frescobaldi realizza nella musica strumentale una ricerca di colori, di armonie originali e nuove, tanto che mi è sembrato interessante, anche per la vicinanza temporale, inserirlo in questo stesso concerto.

 

D. – Personalità molto vicine all’uomo moderno?

 

R. – Sì, molto moderno. Era questo un po’ il tema e fatto per capire un po’ meglio il cuore dell’uomo moderno, con tutte le sue contraddizioni. Mi pare significativo che questo avvenga all’inizio del Seicento con questi grandi artisti, con questi grandi uomini che oggi ammiriamo ma che al loro tempo furono osteggiati, criticati ed anche incompresi. E’ interessante vedere come la fede cristiana fosse sempre presente, anche in queste vite così tormentate. L’ispirazione cristiana, il punto di riferimento e il punto di vista cristiano era sempre molto vivo.

 

D. – Cosa si vuole comunicare al pubblico?

 

R. – Si vuole mostrare come attraverso l’arte l’uomo riesce sempre ad esprimere la sua anima. E’ una sorta di invito a riscoprire l’anima e i valori dello spirito, ovunque essi si trovano. In questo caso anche in queste vite drammatiche, anche in queste situazioni così tragiche, in cui l’ombra e la tenebra fanno contrasto con la luce e la grazia, come appare spesso proprio nei dipinti del Caravaggio. Questa luce che irrompe violentemente, quasi sorprendendo gli uomini nelle tenebre, ma portando un segno di luce e di speranza. Ciò che Caravaggio cercava nella sua vita, ciò che anche Gesualdo avrebbe voluto e che gli uomini di oggi credo che ancora vogliono e desiderano lo sanno.

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CHIESA E SOCIETA’

18 febbraio 2004

 

 

POLEMICHE IN SPAGNA IN SEGUITO ALLA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI PAMPLONA

DI CONCEDERE AD UNA COPPIA DI DONNE OMOSESSUALi LA PATRIA POTESTA’

DI DUE GEMELLINE. DURA PRESA DI POSIZIONE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE SPAGNOLA: “NON SI RISPETTA IL DIRITTO IRRINUNCIABILE DI OGNI BAMBINO AD AVERE UN PADRE ED UNA MADRE”

 

PAMPLONA. = Sta provocando una vera e proprio ondata di polemica la decisione di un Tribunale di Navarra di concedere ad una coppia di donne omosessuali la patria potestà di due gemelline. Tutto è iniziato lunedì scorso, quando il Tribunale di Pamplona ha accolto la richiesta di adozione presentata dalle due donne, una delle quali è la madre biologica delle due bambine - concepite per inseminazione artificiale - grazie ad una norma regionale del 2000 che stabilisce l'uguaglianza giuridica delle coppie stabili, siano esse di fatto o unite in matrimonio, eterosessuali o omosessuali. Immediata la reazione della Chiesa cattolica spagnola: la Conferenza episcopale iberica ha condannato, infatti, la sentenza, sostenendo che “non rispetta il diritto irrinunciabile di ogni bambino ad avere un padre e una madre” ed aggiungendo che “la mancanza di una figura materna o paterna porta sempre gravi difficoltà per lo sviluppo della personalità”. Una posizione critica è stata assunta anche dal Governo di Madrid, il cui sottosegretario alla Giustizia, Rafel Català, ha detto di “rispettare” la sentenza del Tribunale navarro, sottolineando però che la legge regionale che l'ha resa possibile è stata portata al Tribunale costituzionale. Català ha inoltre auspicato che la norma sulla quale si è basata la decisione venga cassata. Il governo centrale spagnolo ha portato la legge regionale all’attenzione dell’Alta Corte perché sostiene che costituisca un’invasione di competenza indebita, in quanto crea un diritto familiare diverso da quello cui sono sottoposti tutti gli altri cittadini del Paese. La decisione è stata invece salutata come “un passo storico” dalle organizzazioni di difesa dei diritti degli omosessuali. Giudizi positivi sono arrivati anche dal Partito Socialista e da Izquierda Unida, la coalizione che comprende i comunisti. (S.S.)

 

 

IL GOVERNO OLANDESE DA’ IL VIA LIBERA ALLA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE.

DA APRILE VERRANNO RIMPATRIATE 26MILA PERSONE.

IMMEDIATA LA PROTESTA DEGLI IMMIGRATI

L’AJA.= Far rimpatriare circa 26 mila immigrati che avevano chiesto l'asilo nei Paesi Bassi. Questo in sostanza prevede la proposta del governo di centro-destra olandese, guidato da Jan Peter Balkenende. In tema di immigrazione l'Olanda si conferma così uno degli Stati più severi dell'Unione Europea. Preannunciato da settimane di contrasti politici e polemiche, il via libera deciso dal Parlamento dell'Aja rappresenta una vittoria del ministro per l'immigrazione e l'integrazione, la liberale Rita Verdonk. La proposta dovrebbe entrare in vigore il prossimo primo aprile. A partire da quella data, e per un periodo di tre anni, circa 26 mila immigrati - molti dei quali vivono da tempo nei Paesi Bassi - saranno espulsi dal Paese. Fra loro, solo 2.300 saranno regolarizzati nell'ambito di un'amnistia: si tratta di casi che riguardano situazioni individuali molto gravi. I partiti dell'opposizione si sono espressi a favore di un'amnistia più ampia e di altre misure al fine di rendere meno drastica la proposta. Anche i due terzi degli olandesi consultati in un sondaggio realizzato da un istituto demoscopico si sono pronunciati a favore di una legge più aperta verso gli immigrati che vivono nel Paese da più di cinque anni. Il Consiglio delle Chiese - che raggruppa 18 autorità religiose diverse dell'Olanda - ha inoltre sottolineato che molti degli immigrati che hanno chiesto l'asilo “vivono in condizioni critiche, visto che si tratta di malati fisici e psichici, e di famiglie separate, che rientrando nel Paese d’origine troveranno una situazione di insicurezza”. Inevitabili le proteste, anche accese, da parte degli immigrati. (S.S.)

 

 

DESIGNATO IL NUOVO PRIMO MINISTRO IN MOZAMBICO. E’ LUISA DIOGO,

RESPONSABILE DEL MINISTERO DELLE FINANZE DI MAPUTO.

PER LA PRIMA VOLTA UNA DONNA A CAPO DELL’ESECUTIVO DEL PAESE AFRICANO

 

MAPUTO.= Il Mozambico ha da ieri un nuovo primo ministro. Si tratta di Luisa Diogo nominata dal presidente Joaquim Chissano. E’ la prima volta che una donna diventa capo del governo nel Paese africano. Quarantasei anni, responsabile del ministero delle Finanze del Paese africano, la Diogo ha preso il posto di Pascoal Mocumbi, che ha rassegnato ufficialmente le dimissioni per dedicarsi interamente alla ricerca scientifica. Il neo-premier conserverà l’incarico di ministro delle Finanze fino alle prossime elezioni politiche previste per la fine dell’anno. Nata nella provincia occidentale di Tete, Luisa Diogo aveva solo 17 anni quando il suo Paese ottenne l’indipendenza dal Portogallo nel 1975; non ha partecipato, dunque, alla lotta armata indipendentista promossa dal Frelimo, il Fronte di liberazione del Mozambico. Assunta presso il ministero delle Finanze nel 1980, nel 1986 diventò capo Dipartimento e tra il 1989 e il 1992 fu direttore dell’Ufficio per il budget nazionale. Dal 1993 al 1994 fece parte dello staff della Banca mondiale in Mozambico. Dopo le elezioni del 1994, accettò l’invito di Chissano a lasciare l’istituzione internazionale per diventare vice ministro delle finanze. Dopo il voto del dicembre 1999, la donna assunse la guida del dicastero finanziario. (S.S.)

 

 

IN INDIA NON SI FERMANO LE VIOLENZE: MOLTI CRISTIANI CHE VIVONO NEI VILLAGGI VENGONO OBBLIGATI DA GRUPPI DI FONDAMENTALISTI INDU

A  RINCONVERTIRSI ALL’INDUISMO

 

NEW DELHI. = Non si riesce ad interrompere la spirale di violenza in India. In un villaggio,  nello stato di Orissa, ad est del Paese, gruppi di fondamentalisti indù, obbligano i convertiti al Cristianesimo a sottoporsi alla tonsura: un rito che consiste nel taglio di ciocche di capelli in cinque punti diversi della testa; simboleggia da parte di chi lo subisce la riconversione all’induismo e la rinunzia al mondo. Lo scorso 6 febbraio, sei donne, tra cui due ragazze di 15 anni, del villaggio di Kilipal, sono state trascinate fuori delle loro abitazioni, picchiate e poi sottoposte allo stesso rito. Alcune di loro sono state denudate per aver resistito alle aggressioni. Il clima è, dunque, quello di terrore: diversi abitanti sono stati costretti a lasciare il villaggio, altri invece si sono rifugiati nelle chiese temendo rappresaglie dopo le loro resistenze. Alcuni degli aggressori sono gli stessi parenti indù delle vittime. In realtà gli atti di violenza si perpetrano da anni; a questo proposito, John Dayal, Segretario Generale dell’All Indian Christian Council (Aicc), ha inviato una lettera ufficiale al Presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani.  Nell’aprile 2000, le gerarchie della Chiesa cattolica di Orissa, si sono opposte con una petizione ad una direttiva di questo Stato, secondo cui un cittadino può convertirsi a un’altra religione solo dopo aver ottenuto un permesso dal governo. (F.C)

 

 

L’EPIDEMIA DI FEBBRE DENGUE CONTINUA A PROVOCARE VITTIME IN INDONESIA.

GLI ULTIMI DATI IFFICIALI DEL MINISTERO DELLA SANITA’ DI JAKARTA

PARLANO DI 161 MORTI IN TUTTO IL PAESE

 

JAKARTA. = Sono 161 i morti in Indonesia causati da un’epidemia di febbre dengue. Il dato è stato è stato diffuso oggi dal Ministero della salute di Jakarta, che riporta i dati di tutte le 32 provincie. Complessivamente le persone infettate dalla dengue, trasmessa dalla zanzara aedes aegpty, sono 8135 in tutto il Paese orientale. Si tratta di più del doppio dei casi registrati lo scorso anno nello steso periodo di tempo. Il ministro della Salute Achmad Sujudi ha parlato di una catastrofe nazionale. Indagini mediche sono in corso per accertare se l’eccezionale diffusione della malattia dipenda anche da una nuova e più forte mutazione del virus. Le copiose piogge di quest’anno potrebbero aver inoltre incoraggiato la proliferazione della zanzara vettore della malattia, le cui larve crescono nelle pozze d’acqua. I sintomi della dengue sono febbre, dolori muscolari e, nei casi più gravi, emorragie interne. La malattia, per la quale non esiste vaccino, è endemica in gran parte del sudest asiatico, in Africa, in America Centrale e Meridionale e in Oceania. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ricorda che ogni anno quasi 100 milioni di persone vengono infettare dal virus, di cui circa il 5 per cento con esito mortale.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

18 febbraio 2004

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

In Iraq non si placano gli attacchi contro le forze della coalizione. Bersaglio dell’ultimo attentato, avvenuto stamattina, una base dell’esercito polacco un centinaio di chilometri a sud di Baghdad. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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Il copione di questa mattina ad Al Hilla è lo stesso del 12 novembre scorso a Nassiriya: due mezzi carichi di esplosivo che entrano a tutta velocità in una base della coalizione. Almeno tredici i morti - oltre ai due attentatori, undici civili iracheni –  ed oltre 100 i feriti, una sessantina dei quali militari: polacchi, ungheresi e statunitensi. Ancora una volta, dunque, la guerriglia colpisce gli alleati degli americani, ma non risparmia neppure i protagonisti del vecchio regime: Hachem Rajeh Akao, tra i leader locali dell’ormai disciolto partito Baath, è stato ucciso ieri sera a Kerbala, la città santa del sud, dove la pacificazione è ancora lontana. Nonostante il parere contrario dell’Onu, infatti, gli sciiti continuano a reclamare nuove elezioni, e per convincere il Palazzo di vetro – che le escluderebbe prima del 30 giugno, data del previsto trasferimento di poteri – hanno trovato un accordo con i curdi del nord: un piano, cioè, che prevede il voto immediato in tutto il Paese, con l’eccezione del triangolo sunnita. Con il passare del tempo, dunque, per la coalizione i problemi rimangono quelli di sempre: le proteste per l’autogoverno, le continue violenze e le polemiche sul mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa. Anche a Sidney – annuncia oggi la stampa australiana – si sta preparando una nuova inchiesta indipendente, che potrebbe mettere a rischio la poltrona del premier, John Howard.

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Sciagura in Iran: almeno 200 persone sono morte e 350 sono rimaste ferite per l’esplosione di alcuni vagoni ferroviari che  trasportavano zolfo, petrolio e nafta. L’incidente è avvenuto nella stazione di Khayyam, vicino alla città di Neyshabour, nel nord-est del Paese. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente il corrispondente dell’Ansa a Teheran,  Alberto Zanconato:

 

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R. – Le versioni sono ancora molto contrastanti. L’agenzia Irna dice che l’esplosione è avvenuta quando i vigili del fuoco stavano praticamente ultimando la loro opera, spegnendo le fiamme dell’incendio scoppiato a bordo del convoglio che trasportava zolfo e che era fermo in una stazione. L’onda d’urto, poi, provocata dall’esplosione avrebbe a sua volta provocato qualche particolare reazione, per cui si è messo anche in marcia, inspiegabilmente, un convoglio da un’altra stazione vicina, che sarebbe piombato su quello in fiamme, provocando un incendio ancora più grande. Mentre la televisione dice che, in realtà, è stata proprio questa collisione tra i due convogli a provocare l’esplosione.

 

D. – Si tratta quindi di un incidente o potrebbe essere anche un attentato?

 

R. – Fino a quando non verrà chiarita la dinamica, i dubbi restano. Tanto più perché di questo disastro non era stata data notizia da nessun organo di informazione fino a nove ore dopo. Questo ovviamente non fa che creare qualche sospetto.

 

D. – Siamo ormai alla vigilia delle legislative: in che modo colpisce l’Iran questa nuova sciagura a due mesi dal terremo di Bam?

 

R. – Certo è che si tratta di una sciagura che ha un impatto forte sull’opinione pubblica, anche se creare una connessione tra questo fatto e le elezioni sembra ancora azzardato, almeno fin quando non sarà chiarito che si è trattato di un incidente e nient’altro.

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La barriera di sicurezza che Israele sta costruendo in Cisgiordania è “contraria alle leggi umanitarie internazionali”. Si pronuncia così il Comitato  internazionale della Croce Rossa a Ginevra, spiegando che il muro in Cisgiordania devia dalla ‘Linea verde’ e sconfina nei Territori occupati,provocando conseguenze umanitarie ed economiche per migliaia di palestinesi. La Linea verde è la linea stabilita dall’armistizio del ’49,  e separa Israele dalla Cisgiordania. E’ la prima volta che la Croce Rossa  prende pubblicamente posizione, mentre, dietroesta dell’Onu, dovrà pronunciarsi presto la Corte internazionale di Giustizia sulle conseguenze  giuridiche della costruzione del muro. Il governo israeliano di Sharon sostiene che si tratta solo di uno strumento di protezione necessario contro il terrorismo palestinese, mentre i palestinesi lo definiscono uno strumento di apartheid.

 

Il vertice a tre, oggi pomeriggio a Berlino, fra il cancelliere Schröder, il presidente francese Chirac e il premier britannico Blair, accompagnati da uno stuolo di ministri, sottosegretari e funzionari, è diretto nelle intenzioni dei promotori a spianare la strada su questioni che da mesi impegnano i Quindici dell’Unione Europea e che assumono importanza cruciale in vista dell’allarga-mento, il 1 maggio,  a 25 Paesi. I tre grandi hanno rifiutato la definizione polemica di “direttorio”, spiegando di voler cercare soluzioni, senza prendere decisioni, per il rilancio dell’economia europea. Perplessità e disappunto è stata espressa da diversi dei Paesi esclusi, compresa l’Italia che ha parlato di un “pasticcio”. In controtendenza, la dichiarazione questa mattina del premier del Lussemburgo, che l’ha definita una riunione utile. L’economia, e in particolare l’industria, sembra essere il tema centrale, ma si parla anche di ipotesi di riorganizzazione della Commissione e di difesa. Ma quali sono le vere priorità di questo vertice? Lo chiediamo a Andrea Bonanni, esperto delle questioni europee del quotidiano La Repubblica:

 

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R. – In realtà, i temi che saranno trattati sono molti. C’è una politica industriale più sensibile alle questioni, ai problemi di competitività dell’Europa, c’è la ristrutturazione della futura Commissione e forse anche la discussione sul nome del futuro presidente della Commissione ... Ci sono sicuramente questioni di politica estera e di politica di difesa da discutere. Ma io credo che sostanzialmente la vera priorità sia il fatto che, da una parte i franco-tedeschi e dall’altra gli inglesi, si sono resi conto di avere un potere di interdizione l’uno nei confronti degli altri, tale per cui senza un accordo preventivo non si riesce ad andare da nessuna parte. In questo senso, obiettivamente, è possibile che questo vertice possa spianare la strada per alcune delle decisioni che in Europa sono ormai bloccate da moltissimo tempo, non ultima quella della questione delle riforme istituzionali.

 

D. – Da Berlino può venire una svolta nel rapporto tra Stati Uniti ed Europa, come qualcuno si attende?

 

R. – Una svolta mi sembra francamente eccessiva, anche perché è vero che i franco-tedeschi, attraverso il contatto e l’accordo con Blair, sperano di riavvicinarsi agli Stati Uniti, ed è in programma anche una visita del cancelliere Schröder negli Stati Uniti, prossimamente. Quindi, senz’altro c’è un tentativo di ricucire la frattura irachena. Ma io la leggerei piuttosto anche nell’altro senso: con una certa delusione dei britannici per l’esperienza irachena, in cui si sono trovati schiacciati sulle posizioni degli Stati Uniti e privi – se vogliamo – di una “sponda” europea. E’ un’esperienza che Blair ha pagato a carissimo prezzo e che, secondo me, non vuole più ripetere.

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L’Eta ha deciso la “sospensione  della lotta armata” dei suoi militanti nella regione di Catalogna, un cessate il fuoco valido dallo scorso primo  gennaio, secondo il comunicato del gruppo armato del separatismo  basco, diffuso stamani dalla televisione pubblica basca Eitb e da altri mezzi di comunicazione. I primi frammenti noti del comunicato dell’Eta confermano che la tregua sarà valida solo per la Catalogna e che questa  decisione “tiene in conto” la nuova situazione politica catalana. In altre occasioni, il gruppo armato ha proclamato tregue, ma sempre in tutta la Spagna.

 

Pakistan e India  hanno deciso di avere dei colloqui sul Kashmir a maggio-giugno: in agosto, i risultati di tali incontri verranno esaminati  dai ministri degli Esteri dei rispettivi Paesi. Lo ha detto oggi il capo della diplomazia pakistana Riaz Khokhar. I primi negoziati si terranno dopo le elezioni in India,  previste per il prossimo aprile. “La questione del Kashmir sarà certamente affrontata - ha  detto il presidente pachistano Pervez Musharraf - e poi vedremo  a quale livello dovrà essere associata al dialogo”. Le delegazioni dei due Paesi hanno esaminato e approvato, in questi ultimi tre giorni a Islamabad, un calendario basato su  una specie di essenziale road map per risolvere tutti i  problemi e i conflitti sul tappeto.

 

L’Unione europea ha deciso di  rinnovare per dodici mesi, per il terzo anno consecutivo, le sanzioni imposte contro lo Zimbabwe. La decisione - affermano fonti comunitarie - verrà formalizzata domani nel corso della riunione dei ministri  dell’Ue della Giustizia e Affari interni. Le sanzioni europee contro il Paese africano, in vigore dal febbraio del 2002, proibiscono il soggiorno nell’Ue e il blocco delle proprietà del presidente Robert Mugabe, e di diverse decine di esponenti e dignitari del governo.

 

La Russia è pronta a cooperare con l’Osce, l’Ue e altre organizzazioni internazionali in Cecenia. Lo ha ribadito ieri il ministro degli Esteri, Ivanov, nell’incontro con il suo collega bulgaro, Passy. Ivanov aveva fatto dichiarazioni dello stesso tenore già durante la visita a Mosca, nelle scorse settimane, del ministro degli Esteri italiano, Frattini. Allora come ieri, ha parlato espressamente di una soluzione politica e di gruppi di lavoro impegnati a preparare documenti su “progetti concreti”. La disponibilità russa viene espressa mentre sia Europa che Stati Uniti hanno elevato il tono delle loro critiche nei confronti di Mosca per la situazione in Cecenia. Da parte sua, il presidente ribelle ceceno, Maskhadov, proprio oggi rilancia l'offerta di un negoziato di pace quale unica via per porre fine alla guerra e alla violenza. Maskhadov, commentando l’uccisione, nei giorni scorsi, dell’ex presidente ceceno, Yandarbiyev, suo collaboratore in Qatar, ha detto di “non avere dubbi” sul fatto che sia stato ucciso dai servizi segreti russi. La polizia del Qatar fa sapere di aver arrestato due uomini sospettati di essere coinvolti nell’uccisione dell'ex presidente della Cecenia.

 

Il ministro degli Esteri sudcoreano  con ottimismo annuncia risultati positivi per il prossimo round di negoziati a sei, cioè tra le  due Coree, Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia, sulla crisi  nucleare, in programma a Pechino dal 25 febbraio. Si dice certo che si arriverà a un comunicato congiunto. Ma resta la posizione ufficiale di Pyongyang, che non ha mai parlato finora di uno “smantellamento” dei suoi programmi nucleari ma solo di un loro possibile congelamento in cambio di concessioni politiche ed economiche. La doppia via delle pressioni economiche e del dialogo è quanto si registra, intanto, nei rapporti unilaterali con il Giappone. Tra i due Paesi, oltre alla crisi nucleare, resta aperta la questione dei civili giapponesi rapiti dai servizi segreti di Pyongyang e quella delle altre armi di distruzione di massa in possesso del Paese comunista, come missili balistici a lunga gittata in grado di colpire qualsiasi punto dell’arcipelago nipponico.

 

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