RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 44 - Testo della
Trasmissione di venerdì 13 febbraio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Riesplode la polemica sulla cosiddetta clonazione
terapeutica: intervista con mons. Elio Sgreccia.
Ripartono le carovane della pace in tutto il mondo: ce ne
parlano Flavio Lotti e Riccardo Troisi.
CHIESA E SOCIETA’:
Ucciso
un Casco Blu dell’Onu in un’imboscata nel Congo ex Zaire
L’Onu auspica di “essere
presente alle tappe del processo elettorale in Iraq”, mentre proseguono le
violenze
Ucciso
un palestinese in Cisgiordania. La prossima settimana, missione Usa in Israele
L'ex
presidente della Cecenia, Yandarbiyev, ideologo del movimento indipendentista,
ucciso nel Qatar
13
febbraio 2004
DALLA
VIOLENZA E DAL NAZIONALISMO ESASPERATO SCATURISCONO SOLO
LACRIME E SANGUE: COSI’, IL PAPA
AI FUNERALI DEL CARDINALE OPILIO ROSSI.
IL PONTEFICE HA RICORDATO LA
FIGURA DEL PORPORATO,
UN “MINISTRO DI DIO CHE SAPEVA
FARSI PROSSIMO DI TUTTI”
- Il servizio di Alessandro
Gisotti -
Il Ventesimo secolo ci insegna che dal nazionalismo
esasperato e dalla violenza “scaturiscono solo lacrime e sangue”. E’ la
riflessione offerta ai fedeli da Giovanni Paolo II durante i funerali del
cardinale Opilio Rossi, stamani nella Basilica Vaticana. La liturgia esequiale
è stata presieduta dal Pontefice, mentre la
Santa Messa è stata celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, decano del
collegio cardinalizio. Il Papa ha tratteggiato la figura e l’impegno instancabile al servizio del
Vangelo del porporato morto, lunedì scorso, all’età di 93 anni. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(canti)
Nell’Eucaristia,
“testamento dell’amore di Cristo, il nostro Redentore si fa cibo e bevanda
spirituale per il viaggio che stiamo compiendo verso la Pasqua eterna”.
Nell’estremo saluto al cardinale Rossi, il Papa ha ricordato come chi “mangia e
beve il Corpo e il Sangue di Cristo, anche se muore vive in eterno”. Proprio
celebrando il Divino Sacrificio, ha proseguito, egli ha tratto dall’Eucaristia
“la luce e la forza interiore per le sue scelte quotidiane e per il suo
apostolato”. Per questo, “confidiamo che egli oggi partecipi al convito del
cielo e veda faccia a faccia” il Cristo Signore. “Omnia in Christo”: il
Pontefice ha ricordato il motto episcopale del porporato, che intendeva con
questo sottolineare come il cristiano “debba raccogliere, riunire e porre tutto
sotto il dominio di Cristo”.
“Possiamo dire che, pur
nei limiti dell’umana fragilità, questa totale tensione verso Cristo ha animato
l’instancabile servizio che egli ha reso alla Santa Sede nelle Rappresentanze
pontificie di diversi Paesi in America e in Europa, e in seguito nell’ambito
della Curia Romana”.
Quindi,
ha messo l’accento sulla sua esperienza, durante la Seconda guerra mondiale,
come uditore presso la Rappresentanza pontificia di Berlino, dove ebbe a
prodigarsi in favore dei tanti fratelli sofferenti, “infondendo loro coraggio e
alimentando in essi la fede e la speranza cristiana”. Un’esperienza questa che
cercò di trasmettere nella sua esistenza alle nuove generazioni:
“Era infatti persuaso che i giovani dovevano trarre
dalla storia del XX secolo un’importante lezione: che cioè dall’odio, dal
disprezzo degli altri, dalla violenza, dall’esasperato nazionalismo,
scaturiscono solo lacrime e sangue”.
Il Pontefice ha sottolineato la saggezza dimostrata dal
porporato nel suo servizio ecclesiale e ne ha ricordato la sua apprezzata
collaborazione alla Sede Apostolica, in particolare come primo presidente del
Pontificio consiglio per i laici. Dovunque ha svolto “la sua attività pastorale
e diplomatica”, ha affermato, il cardinale Opilio Rossi ha “lasciato il ricordo
d’un degno ministro di Dio, che sapeva farsi prossimo di tutti”.
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SEMINARIO
IERI ALLA GREGORIANA IN OCCASIONE DEI 50 ANNI
DALL’INIZIO DELLE RELAZIONI
DIPLOMATICHE TRA IRAN E SANTA SEDE
- Intervista con mons. Giovanni
Lajolo -
Dopo
l’udienza dal Papa, ieri pomeriggio il ministro degli esteri iraniano, Kamal
Kharrazi, ha partecipato, presso la Pontificia Università Gregoriana, al
seminario “Iran e Santa Sede: passato, presente e futuro”, promosso in
occasione dei 50 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra i due Stati.
Presente all’incontro il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati,
mons. Giovanni Lajolo. Il servizio di Giancarlo La Vella:
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Cinquanta
anni di dialogo tra Santa Sede e Iran, nel corso dei quali il Paese musulmano
ha attraversato avvenimenti epocali: tra il 1978 e il 1979 il rovesciamento
dello scià Reza Pahlavi e la rivoluzione che portò alla creazione della
Repubblica islamica guidata dall’ayatollah Khomeini; negli anni ’80 la
sfiancante e drammatica guerra contro l’Iraq, e oggi i faticosi tentativi di
dialogo con l’occidente portati avanti dal presidente riformista Mohammad
Khatami. A questi eventi, vissuti anche dalla esigua comunità cattolica
iraniana, la Santa Sede ha sempre guardato con profonda attenzione e con
spirito di dialogo, uno spirito che ieri ha fatto da sottofondo all’incontro
ospitato a Roma dall’Università Gregoriana. All’apertura del seminario è stato
letto il messaggio di saluto del presidente iraniano, Khatami, a Giovanni Paolo
II, nel quale il capo di Stato ha ricordato come i rapporti tra le due entità
statali siano sempre stati ispirati al reciproco rispetto e comprensione, un
segno – ha sottolineato nel suo intervento il ministro Kharrazi – di quanto i
seguaci delle due religioni rivelate, Islam e Cristianesimo siano stati sempre
interessati all’instaurazione di rapporti costruttivi, tesi all’affermazione
degli alti valori morali comuni e degli insegnamenti sacri. “Le istituzioni
politiche e culturali che compongono la comunità internazionale – ha detto
ancora Kharrazi – ormai stanche di relazioni fondate sullo scontro e sulla
violenza, ora più che mai necessitano di dialogo, tolleranza e pace: aspetti
necessari per affrontare le attuali crisi mondiali e regionali”.
Nel suo
saluto del Papa al presidente Khatami, letto al ministro Kharrazi da mons.
Giovanni Lajolo, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, il Santo
Padre, ripercorrendo le varie tappe del rapporto diplomatico Santa Sede – Iran,
ha sottolineato come l’obiettivo di ogni relazione internazionale sia
l’affermazione dei diritti inalienabili dell’uomo: la giustizia, la libertà, la
solidarietà, il progresso sociale e culturale e la pace. La cooperazione
internazionale – ha detto ancora il Papa – per percorrere le vie della non
proliferazione nucleare e della lotta al terrorismo.
Sulla base di questi principi, il dialogo tra Santa Sede e
Iran sta progredendo e le incomprensioni di un tempo si avviano ad essere
presto risolte. Lo ha confermato ieri mons. Giovanni Lajolo, segretario
vaticano per i rapporti con gli Stati, che ha espresso la vicinanza della Santa
Sede alla piccola comunità di cattolici iraniani. Alla luce di tutto questo
come guardare, dunque, all’Iran di oggi? Ascoltiamo quanto ci ha risposto mons.
Lajolo:
R. – La Santa Sede guarda all’Iran di oggi, sia per la sua
presenza nel contesto internazionale – di certo una presenza molto importante -
sia, in particolare, per la piccola comunità di cattolici che vive in quel Paese.
Si tratta di circa 10 mila fedeli su una popolazione di 80 milioni di abitanti,
quasi tutti di religione islamica. La Santa Sede, quindi, è attenta a difendere
e tutelare la loro libertà di coscienza, di fede, di religione vissuta sia
individualmente che in comunità. Da parte iraniana ci si assicura che vi sia
una piena libertà di coscienza dei cattolici ed anche di culto. Noi abbiamo
qualche interrogativo da risolvere – in realtà non si tratta di problemi molto
grandi – concernente anzitutto la libertà di culto, la libertà di
organizzazione, la concessione dei visti di ingresso ai religiosi che vengono
da fuori e la cui presenza è necessaria proprio per il piccolo numero di
cattolici in Iran. Abbiamo, poi, qualche problema riguardante le scuole, che all’inizio
degli anni ’80, vennero espropriate agli istituti cattolici, che le guidavano.
I nostri rapporti con l’Iran sono, comunque, rapporti animati da mutua e buona
volontà di intesa e di sempre maggiore concordia.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Il Papa ha ricevuto stamani in udienza il cardinale Julián
Herránz, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, con mons.
Bruno Bertagna e mons. Bernard A. Hebda, rispettivamente segretario e
sotto-segretario del medesimo Pontificio consiglio.
Oggi pomeriggio, il Pontefice riceverà in successive
udienze l’arcivescovo Luigi Bonazzi, nunzio apostolico in Haiti; il
sottosegretario degli Affari Esteri d'Italia, Mario Baccini ed un gruppo di
presuli della Conferenza episcopale francese, in Visita “ad Limina
Apostolorum”.
In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo
pastorale dell’arcidiocesi di Dijon presentata da mons. Michel Coloni per
sopraggiunti limiti d’età. Il Santo Padre ha nominato suo successore mons.
Roland Minnerath, dell’arcidiocesi di Strasburgo, finora professore di Storia
ecclesiastica presso la Facoltà teologica dell’Università statale di
Strasburgo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l'Iraq,
con la notizia dell'attentato al comandante delle Forze Usa, rimasto
illeso. L'Onu e l'ayatollah Ali al-Sistani concordano sull'esigenza di
elezioni dirette.
Nelle vaticane, l'omelia di
Giovanni Paolo II in occasione delle solenni esequie del cardinale Opilio
Rossi: dall'Eucaristia la luce e la forza interiore per le sue scelte
quotidiane e per il suo apostolato.
Un articolo di Angel Rodriguez
Luno, della Pontificia Università della Santa Croce, dal titolo "La legge
italiana sulla procreazione medicalmente assistita". Il Comunicato
dell'Associazione Medici Cattolici Italiani in cui si esprime soddisfazione per
l'approvazione definitiva della legge.
Nelle estere, Repubblica
Democratica del Congo: cruento attacco ai "caschi blu" nell'Ituri;
ucciso un osservatore dell'Onu.
Nella pagina culturale, un
articolo di Danilo Veneruso su un volume di Giovanni Ansaldo dal titolo
"Anni freddi. 1946-1950".
Una monografica dal titolo
"60 anni fa il bombardamento dell'Abbazia di Montecassino".
Nelle pagine italiane, in
rilievo i temi delle riforme e delle pensioni.
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13
febbraio 2004
RIESPLODE
LA POLEMICA SULLA COSIDDETTA CLONAZIONE TERAPEUTICA
-
Intervista con mons. Elio Sgreccia -
Riesplode
la polemica sulla cosiddetta clonazione terapeutica dopo che ieri alcuni
scienziati statunitensi e sud-coreani hanno annunciato di aver clonato un
embrione umano. Lo scopo – affermano gli studiosi – è quello di utilizzare le
cellule staminali dell’embrione per curare
malattie come il diabete, il Parkinson e l’Alzheimer. Le cellule
staminali – lo ricordiamo – sono cellule ancora indifferenziate, che trattate
in un certo modo possono ricreare tessuti umani sani per rimpiazzare quelli
malati. L’utilizzo di queste cellule implica la distruzione dell’embrione
umano. Sulla questione Giovanni Peduto ha raccolto il commento di mons. Elio
Sgreccia, vice-presidente della Pontificia Accademia per la vita.
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R. - Dal punto di vista etico la cosiddetta clonazione
terapeutica è doppiamente illecita. In primo luogo, la clonazione ha una
procedura che è contro natura ed inoltre sopprime l’embrione clonato. Quindi,
se è mostruoso clonare una persona, fare una fotocopia a nostro comando e a
nostro volere, lo è ancora di più se si sopprime anche l’embrione per farne un
uso terapeutico. Un uso terapeutico che, scientificamente, ancora non è
dimostrato. Non ci sono prove che tutto questo serva a qualcosa. Invece, ci
sono prove che per curare queste malattie sono valide e sufficienti le cellule
staminali che derivano dall’adulto oppure dal cordone ombelicale. Se c’è stato
qualche risultato è stato semplicemente con le cellule staminali adulte. E
voler insistere su questa via della clonazione, cosiddetta terapeutica, con fini
mirabolanti, mi dà l’idea che sia una battaglia politica, cioè voler alla fine
ottenere la libertà di fare dell’embrione umano quello che si vuole dal punto
di vista industriale.
D. – C’è qualche tipo di clonazione umana accettabile da
un punto di vista morale?
R. – No, perché il concetto stesso di clonazione – e non è
soltanto la morale cattolica ad esprimersi
così – indica che si va a produrre un essere umano – l’embrione – non
attraverso l’unione coniugale dell’uomo e della donna, ma attraverso un tipo di
riproduzione asessuale. Non solo, ma è anche una riproduzione agamica, cioè non
utilizza il patrimonio genetico del padre o il patrimonio genetico della madre,
ma soltanto il patrimonio genetico di un solo individuo, preso da una cellula
del corpo, per avere così la certezza che riproduca la costituzione biologica
di un solo individuo. Quindi, questo avviene non dalla somma e dall’incontro
del codice paterno e del codice materno, ma di un solo individuo. Questa
volontà di dominare la costituzione totale di un individuo umano è in se stessa
immorale, molto di più dell’eugenismo, il razzismo e così via discorrendo.
D. – Cosa rispondere a quanti, con malattie incurabili,
accusano la Chiesa di essere oscurantista e crudele, perchè non ammette la cosiddetta
clonazione terapeutica?
R. – Questa è un’accusa veramente falsa da capo a fondo,
perchè abbiamo appena detto che per curare queste malattie le risorse sono
ancora poche, ma se ce n’è qualcuna questa non viene dalle cellule embrionali.
Finora chi ha dato buon risultato sono state le cellule staminali dell’adulto.
Bisogna avvertire anche che qui c’è un gioco politico due volte falsificante,
cioè si amplificano i successi e le attese per creare nella gente chissà quali
movimenti di speranza. E quando questo è fatto in maniera infondata è un
inganno.
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RECUPERARE L’UNITA’ DELL’ATTO EDUCATIVO E PUNTARE
ALLO SVILUPPO
DELLA PERSONA: LE “SFIDE DELL’EDUCAZIONE” AL CENTRO DI UN CONVEGNO
DI TRE GIORNI A ROMA, PROMOSSO DALLA
CEI
“La complessa vicenda della riforma scolastica” sotto la
lente della Chiesa italiana. Si è aperto ieri pomeriggio a Roma il Convegno promosso dalla Cei sulle
“Sfide dell’educazione”, poste dalla modernità e dal trapasso culturale in
atto. Presente ai lavori il ministro italiano dell’Istruzione, dell’Università
e della ricerca, Letizia Moratti, che ha
auspicato un nuovo rapporto tra famiglia e scuola per ritrovare il senso
della missione educatrice. “Il compito della scuola è di trasmettere un sapere
sano”, gli ha fatto eco il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della
Congregazione per l’educazione cattolica, insistendo sullo “sviluppo della
persona”. E così anche il cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della
Cei, ha raccomandato nella sua prolusione di “ripensare e rimettere l’uomo” al
centro “dell’azione educativa”. Il servizio di Roberta Gisotti.
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E’ compito della fede cristiana – ha chiarito il cardinale
Ruini - “non già arrestare i cambiamenti in atto”, ma “orientarli” e
“indirizzarli”, verso un “progetto di vita buona”, per garantire la
trasmissione dei saperi, “di ciò che sta alla radice della vita comune, vale a
dire il senso profondo e ultimo del vivere”. E qui entrano in gioco la
famiglia, la scuola, le associazioni che operano nella società civile, i media
e le comunità ecclesiali. Bisogna – qui l’appello del presidente dei vescovi
italiani – recuperare “l’unità dell’atto educativo”, dove fede, cultura e vita
sono in continuo dialogo. In particolare occorre recuperare nella scuola “la frattura
tra pubblico e privato”, e le istituzione scolastiche non statali devono avere
“piena libertà ed essere accessibili a tutti”. Il cardinale Ruini è poi entrato
nel merito dei contenuti della nuova scuola, responsabilità - ha ricordato -
che ricadrà anche sui singoli istituti, in forza dell’autonomia ad essi
riconosciuta; da qui l’importanza delle comunità locali di tessere una rete di
relazioni fra soggetti che operano sul territorio. Ma attenzione ha avvertito
il cardinale vicario - a non “smarrirsi nella confusione”, “in un contesto
fortemente pluralistico”, avendo ben chiaro “l’impegno educativo” teso alle
“mete ultime”, alle “grandi domande di senso”, alla “trascendenza”, “per
sconfiggere la cultura della banalità, purtroppo diffusa nel mondo della scuola”.
E se anche la scuola è interessata “alla saggezza del vivere bene e dell’agire
bene” “il compito appare assai problematico” se pensiamo al disorientamento
della società in cui viviamo e al clima di relativismo diffuso che si respira”,
E perciò – ha concluso il cardinale Ruini - si fa indispensabile l’apporto
originale che i cristiani possono e devono dare, “rendendo ragione della
speranza che è in loro”.
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RIPARTONO LE CAROVANE DELLA PACE IN TUTTO IL MONDO
-
Intervista con Flavio Lotti e Riccardo Troisi -
In piazza in favore della pace. E’ la risposta di oltre 50
movimenti pacifisti italiani che hanno aderito alla mobilitazione mondiale
lanciata dalla coalizione statunitense United Peace and Justice. Ieri a
Roma la Conferenza stampa in cui è stata rilanciata per il 20 marzo, un anno
dopo l’inizio della guerra in Iraq, una giornata mondiale di manifestazioni
contro la guerra ed a favore del ritiro delle truppe della coalizione dal
Paese. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
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Il 20 marzo in piazza contro le guerre per la pace in
Iraq, per il rispetto dei diritti umani e per dare ad ogni popolo la libertà di
scelta sul proprio futuro. E’ la sfida lanciata da United Peace and Justice,
coalizione statunitense di associazioni pacifiste il forum sociale europeo e il
quarto forum sociale mondiale di Mumbay e raccolta da 50 associazioni italiane.
Molte le adesioni in tutto il mondo, fervono i preparativi e punto condiviso è
la necessità di affrontare e discutere della difficile situazione irachena. Ma
qual è l’invito? Flavio Lotti, coordinatore del Movimento “La tavola della
pace”:
“L’invito, rivolto a tutti, è quello di prendere la parola
per dare al popolo iracheno un futuro di pace e quindi sostenere un rapido
rientro delle Nazioni Unite in Iraq. Dobbiamo ricordare che le Nazioni Unite
sono l’unico organismo in grado di aiutare quel popolo ad uscire da questo
difficilissimo momento”.
Già dal 28 febbraio partiranno le cosiddette carovane della
pace internazionali: 100 persone che andranno in Medio Oriente, Iran, Iraq e
Kurdistan per cercare di favorire il dialogo. Riccardo Troisi della Rete Lilliput:
“Gli obiettivi di queste carovane sono dei tentativi di
incontro per ritornare a chiedere pace, ripercorrere insieme tutti i cammini
possibili e le articolazioni possibili per risolvere pacificamente e non
violentemente quelli che sono i conflitti oggi”.
In
Italia, sempre il 28 febbraio per stimolare gli incontri ed i dibattiti
partiranno le carovane nazionali che da Genova, Trieste e Catania – dopo una
serie di tappe – confluiranno a Roma il 20 marzo.
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PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA LA NEW WORLD SYMPHONY
ORCHESTRA
DIRETTA
DAL SUO FONDATORE MICHAEL TILSON THOMAS
ALL’ACCADEMIA
NAZIONALE DI SANTA CECILIA
Successo straordinario all’Auditorium Parco della Musica
di Roma, ieri sera, per la New World Symphony Orchestra diretta dal
suo fondatore Michael Tilson Thomas: archi luminosi e compatti, splendidi
ottoni e prime parti virtuose e dal gusto cameristico per Rendering, quasi un
restauro pittorico da Schubert di Luciano Berio, e per l’imponente V
Sinfonia di Mahler. Si conclude così la “residenza italiana”, dall’8 al 13
febbraio, di questa importante compagine giovanile inserita nel ciclo
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia insieme all’Orquesta Escuela Superior
de Musica “Reina Sofia” di Madrid e alla Gustav Mahler Jügend Orchester diretta
da Claudio Abbado, attesa per il prossimo 14 aprile. Il servizio di A.V..
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E’
l’unico esempio americano, uno dei pochi internazionali, di prestigiosa
orchestra-laboratorio con forti investimenti privati, composta da giovani di
Stati Uniti e altri 17 Paesi nel mondo per un tirocinio triennale. Perché un
direttore d’orchestra con una importante carriera artistica, come Michael
Tilson Thomas (che ha appena vinto il suo sesto Grammy Award – Best Classical
Album, con l’incisione della II Sinfonia di Mahler), ha deciso di devolvere la
sua attività ai giovani musicisti della New World Symphony Orchestra?
R. – I
CARE VERY MUCH ABOUT…
Tengo molto a fare la grande musica, ma tengo molto anche
alle persone che la fanno, hanno l’ispirazione e vivono bene con la musica. E
per questo, spesso, lavorando in Festival musicali estivi, ho chiesto ai
giovani musicisti: “Cosa farete l’anno prossimo?”. Molte volte mi rispondevano:
“Non lo sappiamo. Potremmo tornare a scuola, lavorare da free-lance nell’ambito
musicale…”. Così ho capito che sarebbe stato un bene creare un’Accademia, dove
i giovani musicisti, finiti gli studi di Conservatorio, potessero avere un anno
per imparare veramente il repertorio orchestrale ed essere in grado di
concentrarsi sulla loro prima importante audizione per l’orchestra sinfonica.
Offrire loro questa opportunità, è ciò che mi ha spinto a creare l’Orchestra. E
la maggior soddisfazione per me oggi è di veder lavorare moltissimi nostri
laureati nelle grandi orchestre statunitensi ed europee, spesso come prime
parti: primo flauto nella Symphony Orchestra; primo timpano nella San
Francisco… E tutti condividono questa grande attenzione e passione per la
musica.
D. -
Cosa si può insegnare, trasferire ai giovani musicisti, e cosa pensa non possa
essere insegnato?
R. – REAL
TALENT AND PASSION…
Non puoi insegnare il vero talento, la passione. Ma puoi
indicare loro come usare questo talento e questa passione, e anche come
salvaguardare e proteggere l’ispirazione, per mantenerla lungo tutta la vita. I
musicisti meritano il nostro rispetto, perché stanno cercando di tenere vivo il
sogno della nostra società, e devono farlo spesso in condizioni davvero
difficili, nell’insicurezza economica. Quindi, devono avere davvero dentro di
loro un’ossessione tale da tenere vive queste tradizioni. Credo sia molto
importante.
D. – Come compositore, lei ha espresso nelle sue partiture
le tragedie della storia contemporanea: Hiroshima (Shòwa/Shoàh, per il
50° anniversario del bombardamento atomico), l’Olocausto (From the Diary of
Anne Franck, commissione Unicef)… Pensa che un musicista, un artista, debba
essere impegnato a tradurre gli eventi del suo tempo?
R. – FOR
ME, MUSIC IS…
Per me la musica è importante in quanto espressione
astratta. Ma sembra che la buona musica in qualche modo debba riguardare
qualcosa: ciò che la gente sente, cui reagisce nella sua vita, nella natura,
forse negli eventi del mondo. Ma è una sorta di mistero il fatto che
semplicemente in qualche nota, che non significa nulla, siamo in grado di
sentire una tale forte emozione. E io credo debba venire da un contatto tra
l’artista, la sua vita e il suo mondo.
D. – Nei due concerti in programma lei contrappone la
musica americana (Steve Reich, Leonard Bernstein, Tilson Thomas ma anche
Stravinsky se consideriamo la sua attività negli Stati Uniti) ed europea (Berio/Schubert,
Mahler): vecchio e nuovo mondo, tradizione e innovazione. Un confronto di
culture e mentalità forse azzerato dall’11 settembre 2001, quando il seme
occidentale dell’incertezza, della crisi si è impiantato nella sicurezza
ottimistica e progressiva degli Usa: il giorno dopo lei ha registrato la VI
Sinfonia di Mahler, che evoca un clima di distruzione…
R. - I
THINK ALL MUSICIANS AROUND THE WORLD…
Penso che tutti i musicisti sparsi nel mondo siano più
consapevoli gli uni degli altri, delle reciproche tradizioni classiche e
popolari. I giovani musicisti europei conoscono profondamente la tradizione
musicale, ma anche negli Stati Uniti c’è più apprezzamento e condivisione della
gioia di suonare repertori diversi. La tradizione deve essere continuamente
reinventata, la nuova generazione deve guardare al passato per costruire il
futuro.
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13
febbraio 2004
PUBBLICATO SU RICHIESTA DELLA CONFERENZA
ESPICOPALE SICILIANA,
UN
SUSSIDIO PASTORALE DEDICATO AL DIALOGO TRA CATTOLICI E MUSULMANI:
SI
INTITOLA “PER UN DISCERNIMENTO CRISTIANO DELL’ISLAM”
PALERMO. = L’incremento inarrestabile del numero
di musulmani immigrati rende indispensabile lo sforzo di un’autentica
conoscenza dell’islam, per favorire l’integrazione ed eliminare le cause che
portano all’emarginazione, prima tra tutte l’ignoranza sui fondamenti di un
credo religioso diverso dal proprio. C’è tutto questo, e molto di più, dietro
il documento pastorale intitolato “Per un discernimento cristiano dell’Islam”,
prodotto da alcuni studiosi della Facoltà teologica siciliana “San Giovanni
Evangelista”, su incarico della Conferenza episcopale dell’isola. Pubblicato
dalle Edizioni Paoline, l’agile volumetto di 67 pagine è dedicato principalmente
alle comunità cattoliche della Sicilia, i cui membri sono sempre più spesso a
contatto quotidiano con persone di fede musulmana. Una delle affermazioni
centrali del testo è che la ricerca dei punti di convergenza tra cristianesimo
e islam non rappresenta “una garanzia di un concordismo necessario e a tutto
campo, da realizzarsi ineluttabilmente”. In altre parole, l’impegno del dialogo
religioso, se condotto in maniera acritica verso un punto di convergenza a
tutti i costi, corre il rischio di generare confusione, quando non un
rinnegamento delle proprie identità di fede. Ecco, dunque il libro mettere in
evidenza le differenze sul carattere monoteista tra islam e cristianesimo, o
sull’assenza del concetto di peccato originale per i musulmani ed altro ancora.
Del resto, ha affermato don Antonio Raspanti, preside della Facoltà teologica
che ha realizzato lo studio, “la chiarezza dottrinale non deve mai tradursi in
discriminazione religiosa, né tanto meno spingere a congelare le vie del
dialogo”. (A.D.C.)
CASCHI
BLU DELL’ONU CADONO IN UN’IMBOSCATA NEL CONGO EX ZAIRE:
UCCISO
UN OSSERVATORE DELLE NAZIONI UNITE. GLI AUTORI DELL’AGGUATO
FORSE
APPARTENENTI AI RIBELLI DELL’“UNIONE PATRIOTI CONGOLESI”
KINSHASA. = “Condanniamo con fermezza l'uccisione di uno
dei nostri uomini. Abbiamo già aperto un'inchiesta e faremo chiarezza il prima
possibile": con queste parole il portavoce della Missione delle Nazioni
Unite nella Repubblica democratica del Congo (Monuc), Hamadoun Tourè, ha
commentato alla Misna la morte di un osservatore militare dell'Onu ucciso ieri
nei pressi di Bunia, capoluogo della provincia nord orientale dell'Ituri.
Secondo le informazioni raccolte finora dall’Agenzia missionaria, alcuni
'caschi blu' sono caduti in un'imboscata mentre stavano rientrando a Bunia da
Katoto (circa 25 chilometri a nord) dove erano stati inviati per verificare le
testimonianze di presunti scontri e violenze ai danni di civili avvenuti nei
giorni scorsi. A circa 15 chilometri da Bunia, alcuni uomini armati ancora non
identificati hanno aperto il fuoco contro il personale dell'Onu. L'osservatore
ucciso, che secondo alcune fonti giornalistiche sarebbe di nazionalità keniana,
sembrerebbe essere l'unica vittima dell'agguato. Da alcuni giorni, gli
osservatori delle Nazioni Unite avevano ricevuto informazioni secondo le quali
erano in corso scontri nella regione tra le due branche dissidenti dell'Unione
dei patrioti congolesi (Upc). A fine 2003, l'Upc, milizia dell'etnia hutu, si
e' scissa: un'ala e' attualmente guidata da Bosco Ntaganda; l'altra, vicina a
Kisnhasa, da Floribert Kisembo. L'attacco di ieri è il sesto contro la Monuc
all'esterno di Bunia dal 16 gennaio scorso. Finora non v'erano state vittime
tra il personale Onu. (A.D.C.)
MOLTO
CRITICA LA SITUAZIONE DEL DEBITO ESTERO BOLIVIANO,
CHE HA
RAGGIUNTO PICCHI MAI REGISTRATI NELLA STORIA DEL PAESE.
LO HA RESO NOTO OGGI LA BANCA CENTRALE,
MENTRE
CONTINUANO I DISORDINI SOCIALI
LA PAZ.
= Svetta alle stelle il debito estero della Bolivia, che ha raggiunto nello
scorso dicembre un valore di oltre cinque miliardi di dollari, il più alto
della storia del Paese. Sebbene l’indebitamento fosse diminuito tra 1995 e il
2002, secondo i dati resi noti dalla Banca Centrale, lo scorso anno il trend
ha subito un brusco capovolgimento a causa dell’aumento dei crediti concessi al
Paese, pari al 33 per cento. La maggior parte del debito estero, corrisponde
per il 90 per cento a prestiti di organismi internazionali del credito. E’ di
ieri intanto l’ennesimo episodio di violenza, che ha visto coinvolti familiari
e amici delle vittime del 13 febbraio scorso, morti durante gli scontri tra
dimostranti e militari. Cercavano di raggiungere la piazza centrale di La Paz,
per rendere omaggio ai loro cari, ma sono stati fermarti e dispersi con i
lacrimogeni dalle forze dell’ordine.Successivamente grazie alla mediazione di
Sacha Liorenty, presidente dell’Assemblea permanente dei diritti umani, hanno
potuto deporre corone d’alloro ai piedi del cippo, che ricorda la tragedia.
(F.C.)
ARRIVA OGGI NELLE SALE ITALIANE “COLD MOUNTAIN”, IL KOLOSSAL SULLA GUERRA
CIVILE AMERICANA INTERPRETATO DA NICOLE KIDMAN E JUDE LAW
- A
cura di Luca Pellegrini -
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ROMA. = Fredda la montagna (di neve e di sentimenti)
e calda la guerra (di sangue, violenza e tradimenti). Un panorama intriso del
rosso di cadaveri affastellati dopo una battaglia (Petersburg, 1864, la seconda
per numero di morti ed orrori della guerra civile americana, 620 mila caduti in
totale) e del verde di una valle che sembra essere lontana da queste tragedie.
Anche gli Stati Uniti nascono da una Rivoluzione prima e da uno sterminio
fratricida poi. E Anthony Minghella, il regista del pluripremiato Paziente inglese, tenta di rincorrere
ancora una volta l’Oscar (ha sette candidature, ma non quelle principali) con
questo film imponente e suggestivo, languente ed epico (sembra, anche questa
volta, la storia di Ulisse e Penelope), sentimentale e avventuroso, adattato
dal best seller di Charles Frazier. Certo, può disporre di tre fuoriclasse: Jud
Law è Inman, rustico contadino che con un solo bacio si innamora perdutamente
di Ada, Nicole Kidman, figlia di un pastore - il bravissimo Donald Sutherland –
che vive riparata col babbo nel tranquillo paesino di Cold Mountain, nella
Carolina del Nord. Lui partirà per combattere, sopravviverà agli orrori e
diserterà per raggiungere, con tante e troppe vicissitudini tra la pietà, il
furore e la fame, la splendida ed intrepida ragazza. E lei, sola tra i cattivi,
a combattere e resistere e attendere e dire ogni venti minuti: “Torna, torna da
me”. Fortunatamente le si affianca Renée Zellweger, rustica, forte
contadinotta, che ben allevata, solida e coraggiosa, riuscirà a proteggere,
rincuorare e sorridere in mezzo a tanta tragedia. Insomma, Ritorno a Cold Mountain recupera e aggiorna Via col vento facendo, non si sa perché, sparire i neri (vero
motivo, quello dell’abolizione della schiavitù, della guerra di Secessione
americana), moltiplicando soprusi e violenze (come in ogni guerra) ed
inseguendo con puntualità i primi piani dell’allibito Inman che giustamente
riflette sull’abominio col quale ogni guerra si presenta nella storia
dell’umanità. Stupenda e spaventosa la scena della battaglia iniziale, grandi
orizzonti di rigogliosa, incontaminata natura (ma è la Romania, ove il film è
stato girato), dispendio di attori e comparse, di costumi (disegnati da Ann
Roth) e di scene (sono dell’italiano Dante Ferretti), commento musicale
adeguato e, per molti, alla fine, un sospiro di sollievo e, forse, anche una
lacrima.
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USCITA
IN LIBRERIA L’AUTOBIOGRAFIA DELL’EBREO CRISTIANO EUGENIO ZOLLI:
RABBINO
CAPO DI ROMA PRIMA DELLA GUERRA, SI CONVERTI’ AL CATTOLICESIMO
ROMA. = La sua conversione al cristianesimo fece
scalpore nell’Italia del dopoguerra e all’estero, e agitò non poco gli ebrei
tra i quali aveva ricoperto la funzione di rabbino. Oggi è possibile
ripercorrere la parabola spirituale di Eugenio Zolli - ebreo polacco, divenuto
rabbino capo di Roma nel 1938, ma convertitosi sei anni dopo al cattolicesimo –
nella sua autobiografia “Prima dell’alba”, uscita in questi giorni in libreria.
Zolli, il cui nome originario era Israel Zoller, inizia a scrivere la storia
della conversione nel 1947, due anni più tardi aver ricevuto il Battesimo: in
quell’occasione volle assumere il nome di Eugenio in onore di Papa Pacelli. La
prima pubblicazione dell’autobiografia risale al 1954. Uscì negli Stati Uniti
provocando le vibranti reazioni negative delle comunità ebraiche americane.
“Scomparso” non solo fisicamente (morì nel ’56), Zolli fu dimenticato per
alcuni decenni, finché l’attuale evoluzione dei rapporti tra cattolicesimo ed
ebraismo ha creato le condizioni culturali per una sua riscoperta. Interessante
- anche per i recenti risvolti legati ad una certa interpretazione storica del
ruolo giocato da Papa Pacelli durante il nazismo – restano le parole di Zolli
quando spiega il perché volle assumere lo stesso nome del Pontefice: Eugenio.
Non fu una conversione, scrisse di suo pugno, “in segno di riconoscenza per gli
innumerevoli atti di carità di Pio XII”, in favore degli ebrei. Tuttavia,
affermò pure che “nessun eroe della storia ha mai comandato un esercito più
combattivo, più combattuto e più eroico di quello che fu guidato nella
battaglia da Pio XII in nome della carità cristiana”. (A.D.C.)
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13
febbraio 2004
- A cura di Fausta Speranza -
Le elezioni in Iraq non possono
essere tenute prima che le autorità provvisorie americane trasferiscano il potere nelle mani di un governo
iracheno alla fine di giugno, ha detto oggi un funzionario dell'Onu a Baghdad parlando alla radio della
Bbc. La massima autorità sciita Ayatollah Ali al-Sistani ha chiesto che le elezioni si tengano
subito. Intanto, anche oggi c’è notizia di violenze. Ascoltiamo Roberto
Piermarini:
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Un’altra giornata di sangue, in un
Paese ancora lontano dalla pace. Fonti locali riferiscono di tre vittime
americane, il Pentagono ne conferma solo una: il soldato ucciso stamattina da
un’esplosione in un distretto occidentale di Baghdad. Presto gli Stati Uniti
riceveranno nuovi aiuti – il Parlamento sudcoreano ha infatti approvato l’invio
di 3 mila uomini – ma nel frattempo la spirale infinita di attentati sta
mettendo a dura prova alcune alleanze. Il Giappone ha confermato il proprio
impegno, mentre la Spagna potrebbe cambiare idea: “Se vinceremo alle elezioni
di marzo – ha detto il leader socialista Zapatero – potremmo ritirare i soldati
il prossimo 30 giugno, perché il passaggio dei poteri agli iracheni è stato
finora troppo lento”.Proprio la transizione democratica, come la chiamano gli
americani, è l’argomento cruciale di queste ore. L’Onu ha ribadito, stamattina,
che non esistono le condizioni per andare al voto, come richiesto invece dagli
sciiti del sud. “Manca il quadro legale – ha detto il portavoce dell’inviato
speciale, Brahimi – ed allo stesso tempo manca pure il consenso politico
indispensabile in un sistema democratico”. L’unica certezza, al momento, è che
non si faranno primarie: la proposta di Washington non piace ai leader locali,
che preferiscono andare direttamente al voto.
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Le autorità militari israeliane
hanno confermato l’uccisione, avvenuta stamane a Kabatya in Cisgiordania, di un
giovane palestinese negando che sia stato colpito nei campi, come dichiarato da
parte palestinese, ma affermando che si trovava a bordo di un veicolo sospetto.
Sul fronte diplomatico, tre emissari americani di alto livello saranno in
missione la settimana prossima in Israele per studiare con i dirigenti dello
Stato ebraico il piano di disimpegno unilaterale per la Striscia di Gaza
annunciato la settimana scorsa dal
premier Ariel Sharon. Lo si è appreso oggi da fonti diplomatiche a Tel Aviv. La
delegazione Usa comprenderà William Burns, l'inviato per il Medio Oriente del
dipartimento di Stato, Ellio Abraham, membro influente del Consiglio della
sicurezza nazionale, e Stephen Hadley, consigliere per la sicurezza. Stando
alle fonti, dai risultati della missione Usa potrebbe dipendere la posizione
definitiva che Washington prenderà sul
piano Sharon, che prevede fra l'altro il ritiro di tutti gli insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza.
L’Iran è ormai ad una settimana dalle elezioni legislative del 20
febbraio, per le quali migliaia di candidature, comprese quelle di
un'ottantina dei parlamentari
riformisti più popolari, sono state bocciate
dal Consiglio dei Guardiani, organismo conservatore. Parlando come guida della preghiera del venerdì a Teheran,
la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha accusato polemicamente
''un gruppo'' di persone, alcune delle
quali vestono anche l'abito di mullah o
sono all'interno del Parlamento, di ''fare contento il nemico'' con le loro azioni. Ha poi chiamato in causa
anche ''alcuni Parlamenti europei'', affermando che se cercheranno di compiere
''interferenze'' in relazione alle elezioni riceveranno ''un pugno in bocca''.
Le bocciature avevano indotto ad ipotizzare un rinvio del voto ma Khatami,
pur mantenendo intatte le sue critiche
al Consiglio dei Guardiani, ha assicurato che la consultazione si svolgerà
nella data prevista. Tuttavia molti deputati riformisti hanno dichiarato che
boicotteranno le elezioni ritenendole ''non democratiche''.
Intanto, accuse all’Iran giungono
dagli Stati Uniti per la questione del nucleare. Ieri vicepresidenti della
Segreteria di Stato americana, hanno di nuovo accusato Teheran di cercare di
produrre armi nucleari e di non aver rispettato l’impegno a sospendere il suo
programma per l’arricchimento di uranio. Da parte sua, il ministro degli esteri
iraniano, Kamal Kharrazi, che ieri si trovava a Roma, ha immediatamente
smentito. Ha raccolto la sua dichiarazione Giancarlo La Vella:
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“Abbiamo deciso di sviluppare la tecnologia nucleare per
obiettivi pacifici. Insistiamo sul nostro legittimo diritto ad avere una
tecnologia nucleare per propositi di pace. Non abbiamo armi nucleari e siamo
pronti a far entrare gli ispettori dell'Agenzia Internazionale per l’Energia
Atomica. Rivendichiamo il diritto di sviluppare l’energia nucleare per usi
civili. Sul dossier nucleare l’Iran ha deciso di collaborare con gli ispettori,
nei confronti dei quali abbiamo avuto sempre un comportamento trasparente.
Tutte le cose che vogliamo fare hanno obiettivi pacifici. Il nostro nucleare
non ha motivi bellici. Abbiamo firmato un protocollo e, anche se ancora la
discussione non è approdata in Parlamento, stiamo rispettando gli accordi
assunti”.
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L'ex presidente della Cecenia,
Zelimikhan Yandarbiyev è morto nell'esplosione della sua vettura a Doha, nel
Qatar, mentre il figlio tredicenne che era con lui sarebbe gravemente ferito.
Yandarbiyev, che viveva da anni come rifugiato in Qatar, è stato l'ideologo del
movimento indipendentista, l'inviato del presidente Mashkadov nella regione del
Golfo e la persona incaricata per i rapporti con l'Afghanistan.
Le due comunità di Cipro, quella
greca e quella turca, hanno posizioni ancora distanti sul progetto di
riunificazione dell’isola. I negoziatori, giunti al terzo giorno di colloqui,
hanno deciso di rincontrarsi nel pomeriggio, per decidere se firmare o meno la
proposta avanzata dal segretario generale dell’Onu, Annan. Il testo prevede un
referendum il prossimo 21 aprile.
Decisamente difficile la situazione ad Haiti. Non cambia
la linea politica del presidente Aristide che oppone un secco no alla richiesta
delle opposizioni a dimettersi per ''evitare un bagno di sangue''. I
fedelissimi del presidente hanno impedito ieri lo svolgimento di una
manifestazione di protesta nel centro di Port-au-Prince e 4 persone sono
rimaste ferite. Di fronte ai continui scontri tra governativi e oppositori
armati, ci si chiede se la situazione dell’isola caraibica possa degenerare
fino ad arrivare a un colpo di Stato che sarebbe il 33.mo. Giada Aquilino ha
chiesto a Maurizio Chierici, esperto di America Latina la sua opinione:
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R. – Il rischio c’è, anche perché
questo rischio è favorito dall’evoluzione politica di Aristide. Quando questo
giovane si è proposto come candidato politico, l’entusiasmo che lo ha
accompagnato è stato straordinario ed ha stravinto le elezioni.
D. – Cosa è cambiato allora?
R. – Hanno subito organizzato un
colpo di Stato. L’esilio ha cambiato Aristide. Quando ha ripreso il potere, ha
sempre vissuto nella paura di perderlo e quindi ha organizzato intorno a sé
delle milizie, ha privatizzato i telefoni e ha affidato le televisioni a suoi
portavoce. E’ diventato il padrone del Paese.
D. – Quali sono le ragioni per cui l’opposizione accusa
Aristide di essere il responsabile della crisi economica dell’isola?
R. – La ragione principale è che
nell’isola non è cambiato nulla. La crisi umanitaria è endemica ed Haiti è
proprio l’ultimo Paese del mondo, più o meno come il Bangladesh, la Bolivia
degli Altipiani. E’ un Paese dove l’analfabetismo è indefinito, dove le scuole
sono solo private, dove non esiste un quotidiano.
D. – Insomma, Aristide resterà al
potere?
R. – Credo proprio di no. Nelle ultime
elezioni quando è stato rieletto, l’opposizione proprio per la mancanza di
garanzie e di numero sufficiente di osservatori stranieri non è andata a
votare. Aristide può solo scappare, come coloro che hanno provocato questo
disfacimento del Paese.
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Due persone, un civile e un
soldato, hanno perso la vita a seguito dell'esplosione di una bomba posta nei
pressi di una stazione militare nella provincia di Khost, nel sudest
dell'Afghanistan. Popolata da tribù pashtun, la provincia di Khost, a 150 km a
sudest di Kabul, si trova al confine con la zona tribale pachistana dove i
taleban sono molto attivi.
L’opposizione russa protesta
contro Putin, accusato di violare le regole della campagna elettorale. Il presidente
in carica, accreditato del 71 per cento dei consensi nelle elezioni del 14
marzo prossimo, ha tenuto ieri un discorso di mezz’ora, trasmesso da due canali
televisivi. Si è invece rifiutato di partecipare ai dibattiti tv con gli altri
candidati, che nei sondaggi lo seguono a grande distanza: l’avversario più
pericoloso per il capo del Cremlino non va oltre il 2,7 per cento.
L'influenza dei polli non è ancora
debellata ed è prematuro, dunque, parlare di cessato allarme. Lo afferma la
Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura.
“La diffusione del virus dell'influenza aviaria in diversi Paesi asiatici
continua a non essere sotto controllo” fa sapere la Fao, dal suo ufficio a
Bangkok. “A differenza della Thailandia dove non si sono registrati nuovi casi, la Cambogia, la Cina,
l'Indonesia e il Laos continuano a
denunciare nuovi casi di influenza aviaria nei volatili”. Finora, calcola l'agenzia
Onu, sono stati abbattuti circa 80 milioni di volatili nel tentativo di fermare
la malattia. Maggiormente a rischio, spiega la Fao, sono i Paesi più poveri
dove “la risposta all'emergenza è stata lenta per la mancanza di infrastrutture
e di risorse”. L'agenzia delle Nazioni Unite suggerisce di ''coordinare meglio
le iniziative dei Paesi donatori e di assicurarsi che i fondi raggiungano
coloro cui sono destinati''.
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