RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 44 - Testo della Trasmissione di venerdì 13 febbraio 2004

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Dalla violenza e dal nazionalismo esasperato scaturiscono solo lacrime e sangue: così il Santo Padre ai funerali del cardinale Opilio Rossi. Il Pontefice ha ricordato la figura del porporato, un “ministro di Dio che sapeva farsi prossimo di tutti”

 

Messaggio di Giovanni Paolo II al presidente iraniano Khatami per i 50 anni delle relazioni tra Iran e Santa Sede. Il Papa ha sottolineato come l’obiettivo di ogni relazione internazionale sia l’affermazione dei diritti dell’uomo: ai nostri microfoni mons. Giovanni Lajolo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Riesplode la polemica sulla cosiddetta clonazione terapeutica: intervista con mons. Elio Sgreccia.

 

Recuperare l’unità dell’atto educativo e puntare allo sviluppo della persona: le “Sfide dell’educazione” al centro di un convegno di tre giorni a Roma, promosso dalla Cei.

 

Ripartono le carovane della pace in tutto il mondo: ce ne parlano Flavio Lotti e Riccardo Troisi.

 

Per la prima volta in Italia la New World Symphony Orchestra diretta dal suo fondatore Michael Tilson Thomas all’Accademia nazionale di Santa Cecenia: ai nostri microfoni il Maestro

 

CHIESA E SOCIETA’:

Pubblicato su richiesta della Conferenza episcopale siciliana, un sussidio pastorale dedicato al dialogo tra cattolici e musulmani

 

Ucciso un Casco Blu dell’Onu in un’imboscata nel Congo ex Zaire

 

Molto critica la situazione del debito estero boliviano, che ha raggiunto picchi mai registrati nella storia del Paese

 

Arriva oggi nelle sale italiane “Cold Mountain”, il kolossal sulla guerra civile americana interpretato da Nicole Kidman e Jude Law

 

Uscita in libreria l’autobiografia dell’ebreo cristiano Eugenio Zolli: rabbino capo di Roma prima della guerra, si convertì al cattolicesimo nel 1944

 

24 ORE NEL MONDO:

 L’Onu auspica di “essere presente alle tappe del processo elettorale in Iraq”, mentre proseguono le violenze

 

Ucciso un palestinese in Cisgiordania. La prossima settimana, missione Usa in Israele

 

L'ex presidente della Cecenia, Yandarbiyev, ideologo del movimento indipendentista, ucciso nel Qatar

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 febbraio 2004

 

 

DALLA VIOLENZA E DAL NAZIONALISMO ESASPERATO SCATURISCONO SOLO

LACRIME E SANGUE: COSI’, IL PAPA AI FUNERALI DEL CARDINALE OPILIO ROSSI.

IL PONTEFICE HA RICORDATO LA FIGURA DEL PORPORATO,

UN “MINISTRO DI DIO CHE SAPEVA FARSI PROSSIMO DI TUTTI”

- Il servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il Ventesimo secolo ci insegna che dal nazionalismo esasperato e dalla violenza “scaturiscono solo lacrime e sangue”. E’ la riflessione offerta ai fedeli da Giovanni Paolo II durante i funerali del cardinale Opilio Rossi, stamani nella Basilica Vaticana. La liturgia esequiale è stata presieduta dal Pontefice, mentre la Santa Messa è stata celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, decano del collegio cardinalizio. Il Papa ha tratteggiato la figura e l’impegno instancabile al servizio del Vangelo del porporato morto, lunedì scorso, all’età di 93 anni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(canti)

 

Nell’Eucaristia, “testamento dell’amore di Cristo, il nostro Redentore si fa cibo e bevanda spirituale per il viaggio che stiamo compiendo verso la Pasqua eterna”. Nell’estremo saluto al cardinale Rossi, il Papa ha ricordato come chi “mangia e beve il Corpo e il Sangue di Cristo, anche se muore vive in eterno”. Proprio celebrando il Divino Sacrificio, ha proseguito, egli ha tratto dall’Eucaristia “la luce e la forza interiore per le sue scelte quotidiane e per il suo apostolato”. Per questo, “confidiamo che egli oggi partecipi al convito del cielo e veda faccia a faccia” il Cristo Signore. “Omnia in Christo”: il Pontefice ha ricordato il motto episcopale del porporato, che intendeva con questo sottolineare come il cristiano “debba raccogliere, riunire e porre tutto sotto il dominio di Cristo”.

 

“Possiamo dire che, pur nei limiti dell’umana fragilità, questa totale tensione verso Cristo ha animato l’instancabile servizio che egli ha reso alla Santa Sede nelle Rappresentanze pontificie di diversi Paesi in America e in Europa, e in seguito nell’ambito della Curia Romana”.

 

Quindi, ha messo l’accento sulla sua esperienza, durante la Seconda guerra mondiale, come uditore presso la Rappresentanza pontificia di Berlino, dove ebbe a prodigarsi in favore dei tanti fratelli sofferenti, “infondendo loro coraggio e alimentando in essi la fede e la speranza cristiana”. Un’esperienza questa che cercò di trasmettere nella sua esistenza alle nuove generazioni:

 

 

“Era infatti persuaso che i giovani dovevano trarre dalla storia del XX secolo un’importante lezione: che cioè dall’odio, dal disprezzo degli altri, dalla violenza, dall’esasperato nazionalismo, scaturiscono solo lacrime e sangue”.

 

Il Pontefice ha sottolineato la saggezza dimostrata dal porporato nel suo servizio ecclesiale e ne ha ricordato la sua apprezzata collaborazione alla Sede Apostolica, in particolare come primo presidente del Pontificio consiglio per i laici. Dovunque ha svolto “la sua attività pastorale e diplomatica”, ha affermato, il cardinale Opilio Rossi ha “lasciato il ricordo d’un degno ministro di Dio, che sapeva farsi prossimo di tutti”.

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SEMINARIO IERI ALLA GREGORIANA IN OCCASIONE DEI 50 ANNI

DALL’INIZIO DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA IRAN E SANTA SEDE

- Intervista con mons. Giovanni Lajolo -

 

Dopo l’udienza dal Papa, ieri pomeriggio il ministro degli esteri iraniano, Kamal Kharrazi, ha partecipato, presso la Pontificia Università Gregoriana, al seminario “Iran e Santa Sede: passato, presente e futuro”, promosso in occasione dei 50 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra i due Stati. Presente all’incontro il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, mons. Giovanni Lajolo. Il servizio di Giancarlo La Vella:

 

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Cinquanta anni di dialogo tra Santa Sede e Iran, nel corso dei quali il Paese musulmano ha attraversato avvenimenti epocali: tra il 1978 e il 1979 il rovesciamento dello scià Reza Pahlavi e la rivoluzione che portò alla creazione della Repubblica islamica guidata dall’ayatollah Khomeini; negli anni ’80 la sfiancante e drammatica guerra contro l’Iraq, e oggi i faticosi tentativi di dialogo con l’occidente portati avanti dal presidente riformista Mohammad Khatami. A questi eventi, vissuti anche dalla esigua comunità cattolica iraniana, la Santa Sede ha sempre guardato con profonda attenzione e con spirito di dialogo, uno spirito che ieri ha fatto da sottofondo all’incontro ospitato a Roma dall’Università Gregoriana. All’apertura del seminario è stato letto il messaggio di saluto del presidente iraniano, Khatami, a Giovanni Paolo II, nel quale il capo di Stato ha ricordato come i rapporti tra le due entità statali siano sempre stati ispirati al reciproco rispetto e comprensione, un segno – ha sottolineato nel suo intervento il ministro Kharrazi – di quanto i seguaci delle due religioni rivelate, Islam e Cristianesimo siano stati sempre interessati all’instaurazione di rapporti costruttivi, tesi all’affermazione degli alti valori morali comuni e degli insegnamenti sacri. “Le istituzioni politiche e culturali che compongono la comunità internazionale – ha detto ancora Kharrazi – ormai stanche di relazioni fondate sullo scontro e sulla violenza, ora più che mai necessitano di dialogo, tolleranza e pace: aspetti necessari per affrontare le attuali crisi mondiali e regionali”.

 

Nel suo saluto del Papa al presidente Khatami, letto al ministro Kharrazi da mons. Giovanni Lajolo, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, il Santo Padre, ripercorrendo le varie tappe del rapporto diplomatico Santa Sede – Iran, ha sottolineato come l’obiettivo di ogni relazione internazionale sia l’affermazione dei diritti inalienabili dell’uomo: la giustizia, la libertà, la solidarietà, il progresso sociale e culturale e la pace. La cooperazione internazionale – ha detto ancora il Papa – per percorrere le vie della non proliferazione nucleare e della lotta al terrorismo.

 

Sulla base di questi principi, il dialogo tra Santa Sede e Iran sta progredendo e le incomprensioni di un tempo si avviano ad essere presto risolte. Lo ha confermato ieri mons. Giovanni Lajolo, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, che ha espresso la vicinanza della Santa Sede alla piccola comunità di cattolici iraniani. Alla luce di tutto questo come guardare, dunque, all’Iran di oggi? Ascoltiamo quanto ci ha risposto mons. Lajolo:

 

R. – La Santa Sede guarda all’Iran di oggi, sia per la sua presenza nel contesto internazionale – di certo una presenza molto importante - sia, in particolare, per la piccola comunità di cattolici che vive in quel Paese. Si tratta di circa 10 mila fedeli su una popolazione di 80 milioni di abitanti, quasi tutti di religione islamica. La Santa Sede, quindi, è attenta a difendere e tutelare la loro libertà di coscienza, di fede, di religione vissuta sia individualmente che in comunità. Da parte iraniana ci si assicura che vi sia una piena libertà di coscienza dei cattolici ed anche di culto. Noi abbiamo qualche interrogativo da risolvere – in realtà non si tratta di problemi molto grandi – concernente anzitutto la libertà di culto, la libertà di organizzazione, la concessione dei visti di ingresso ai religiosi che vengono da fuori e la cui presenza è necessaria proprio per il piccolo numero di cattolici in Iran. Abbiamo, poi, qualche problema riguardante le scuole, che all’inizio degli anni ’80, vennero espropriate agli istituti cattolici, che le guidavano. I nostri rapporti con l’Iran sono, comunque, rapporti animati da mutua e buona volontà di intesa e di sempre maggiore concordia.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Il Papa ha ricevuto stamani in udienza il cardinale Julián Herránz, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, con mons. Bruno Bertagna e mons. Bernard A. Hebda, rispettivamente segretario e sotto-segretario del medesimo Pontificio consiglio.

 

Oggi pomeriggio, il Pontefice riceverà in successive udienze l’arcivescovo Luigi Bonazzi, nunzio apostolico in Haiti; il sottosegretario degli Affari Esteri d'Italia, Mario Baccini ed un gruppo di presuli della Conferenza episcopale francese, in Visita “ad Limina Apostolorum”.

 

In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Dijon presentata da mons. Michel Coloni per sopraggiunti limiti d’età. Il Santo Padre ha nominato suo successore mons. Roland Minnerath, dell’arcidiocesi di Strasburgo, finora professore di Storia ecclesiastica presso la Facoltà teologica dell’Università statale di Strasburgo.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'Iraq, con la notizia dell'attentato al comandante delle Forze Usa, rimasto illeso. L'Onu e l'ayatollah Ali al-Sistani concordano sull'esigenza di elezioni dirette.

 

Nelle vaticane, l'omelia di Giovanni Paolo II in occasione delle solenni esequie del cardinale Opilio Rossi: dall'Eucaristia la luce e la forza interiore per le sue scelte quotidiane e per il suo apostolato.

Un articolo di Angel Rodriguez Luno, della Pontificia Università della Santa Croce, dal titolo "La legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita". Il Comunicato dell'Associazione Medici Cattolici Italiani in cui si esprime soddisfazione per l'approvazione definitiva della legge.

 

Nelle estere, Repubblica Democratica del Congo: cruento attacco ai "caschi blu" nell'Ituri; ucciso un osservatore dell'Onu.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Danilo Veneruso su un volume di Giovanni Ansaldo dal titolo "Anni freddi. 1946-1950".

Una monografica dal titolo "60 anni fa il bombardamento dell'Abbazia di Montecassino".

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi delle riforme e delle pensioni.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 febbraio 2004

 

 

RIESPLODE LA POLEMICA SULLA COSIDDETTA CLONAZIONE TERAPEUTICA

- Intervista con mons. Elio Sgreccia -

 

Riesplode la polemica sulla cosiddetta clonazione terapeutica dopo che ieri alcuni scienziati statunitensi e sud-coreani hanno annunciato di aver clonato un embrione umano. Lo scopo – affermano gli studiosi – è quello di utilizzare le cellule staminali dell’embrione per curare  malattie come il diabete, il Parkinson e l’Alzheimer. Le cellule staminali – lo ricordiamo – sono cellule ancora indifferenziate, che trattate in un certo modo possono ricreare tessuti umani sani per rimpiazzare quelli malati. L’utilizzo di queste cellule implica la distruzione dell’embrione umano. Sulla questione Giovanni Peduto ha raccolto il commento di mons. Elio Sgreccia, vice-presidente della Pontificia Accademia per la vita.

 

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R. - Dal punto di vista etico la cosiddetta clonazione terapeutica è doppiamente illecita. In primo luogo, la clonazione ha una procedura che è contro natura ed inoltre sopprime l’embrione clonato. Quindi, se è mostruoso clonare una persona, fare una fotocopia a nostro comando e a nostro volere, lo è ancora di più se si sopprime anche l’embrione per farne un uso terapeutico. Un uso terapeutico che, scientificamente, ancora non è dimostrato. Non ci sono prove che tutto questo serva a qualcosa. Invece, ci sono prove che per curare queste malattie sono valide e sufficienti le cellule staminali che derivano dall’adulto oppure dal cordone ombelicale. Se c’è stato qualche risultato è stato semplicemente con le cellule staminali adulte. E voler insistere su questa via della clonazione, cosiddetta terapeutica, con fini mirabolanti, mi dà l’idea che sia una battaglia politica, cioè voler alla fine ottenere la libertà di fare dell’embrione umano quello che si vuole dal punto di vista industriale.

 

D. – C’è qualche tipo di clonazione umana accettabile da un punto di vista morale?

 

R. – No, perché il concetto stesso di clonazione – e non è soltanto la morale cattolica ad esprimersi  così – indica che si va a produrre un essere umano – l’embrione – non attraverso l’unione coniugale dell’uomo e della donna, ma attraverso un tipo di riproduzione asessuale. Non solo, ma è anche una riproduzione agamica, cioè non utilizza il patrimonio genetico del padre o il patrimonio genetico della madre, ma soltanto il patrimonio genetico di un solo individuo, preso da una cellula del corpo, per avere così la certezza che riproduca la costituzione biologica di un solo individuo. Quindi, questo avviene non dalla somma e dall’incontro del codice paterno e del codice materno, ma di un solo individuo. Questa volontà di dominare la costituzione totale di un individuo umano è in se stessa immorale, molto di più dell’eugenismo, il razzismo e così via discorrendo.

 

D. – Cosa rispondere a quanti, con malattie incurabili, accusano la Chiesa di essere oscurantista e crudele, perchè non ammette la cosiddetta clonazione terapeutica?

 

R. – Questa è un’accusa veramente falsa da capo a fondo, perchè abbiamo appena detto che per curare queste malattie le risorse sono ancora poche, ma se ce n’è qualcuna questa non viene dalle cellule embrionali. Finora chi ha dato buon risultato sono state le cellule staminali dell’adulto. Bisogna avvertire anche che qui c’è un gioco politico due volte falsificante, cioè si amplificano i successi e le attese per creare nella gente chissà quali movimenti di speranza. E quando questo è fatto in maniera infondata è un inganno.

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RECUPERARE L’UNITA’ DELL’ATTO EDUCATIVO E PUNTARE ALLO SVILUPPO

DELLA PERSONA: LE “SFIDE DELL’EDUCAZIONE” AL CENTRO DI UN CONVEGNO

DI TRE GIORNI A ROMA, PROMOSSO DALLA  CEI

 

“La complessa vicenda della riforma scolastica” sotto la lente della Chiesa italiana. Si è aperto ieri pomeriggio a  Roma il Convegno promosso dalla Cei sulle “Sfide dell’educazione”, poste dalla modernità e dal trapasso culturale in atto. Presente ai lavori il ministro italiano dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Letizia Moratti, che ha  auspicato un nuovo rapporto tra famiglia e scuola per ritrovare il senso della missione educatrice. “Il compito della scuola è di trasmettere un sapere sano”, gli ha fatto eco il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, insistendo sullo “sviluppo della persona”. E così anche il cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della Cei, ha raccomandato nella sua prolusione di “ripensare e rimettere l’uomo” al centro “dell’azione educativa”. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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E’ compito della fede cristiana – ha chiarito il cardinale Ruini - “non già arrestare i cambiamenti in atto”, ma “orientarli” e “indirizzarli”, verso un “progetto di vita buona”, per garantire la trasmissione dei saperi, “di ciò che sta alla radice della vita comune, vale a dire il senso profondo e ultimo del vivere”. E qui entrano in gioco la famiglia, la scuola, le associazioni che operano nella società civile, i media e le comunità ecclesiali. Bisogna – qui l’appello del presidente dei vescovi italiani – recuperare “l’unità dell’atto educativo”, dove fede, cultura e vita sono in continuo dialogo. In particolare occorre recuperare nella scuola “la frattura tra pubblico e privato”, e le istituzione scolastiche non statali devono avere “piena libertà ed essere accessibili a tutti”. Il cardinale Ruini è poi entrato nel merito dei contenuti della nuova scuola, responsabilità - ha ricordato - che ricadrà anche sui singoli istituti, in forza dell’autonomia ad essi riconosciuta; da qui l’importanza delle comunità locali di tessere una rete di relazioni fra soggetti che operano sul territorio. Ma attenzione ha avvertito il cardinale vicario - a non “smarrirsi nella confusione”, “in un contesto fortemente pluralistico”, avendo ben chiaro “l’impegno educativo” teso alle “mete ultime”, alle “grandi domande di senso”, alla “trascendenza”, “per sconfiggere la cultura della banalità, purtroppo diffusa nel mondo della scuola”. E se anche la scuola è interessata “alla saggezza del vivere bene e dell’agire bene” “il compito appare assai problematico” se pensiamo al disorientamento della società in cui viviamo e al clima di relativismo diffuso che si respira”, E perciò – ha concluso il cardinale Ruini - si fa indispensabile l’apporto originale che i cristiani possono e devono dare, “rendendo ragione della speranza che è in loro”.

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RIPARTONO LE CAROVANE DELLA PACE IN TUTTO IL MONDO

- Intervista con Flavio Lotti e Riccardo Troisi -

 

In piazza in favore della pace. E’ la risposta di oltre 50 movimenti pacifisti italiani che hanno aderito alla mobilitazione mondiale lanciata dalla coalizione statunitense United Peace and Justice. Ieri a Roma la Conferenza stampa in cui è stata rilanciata per il 20 marzo, un anno dopo l’inizio della guerra in Iraq, una giornata mondiale di manifestazioni contro la guerra ed a favore del ritiro delle truppe della coalizione dal Paese. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

 

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Il 20 marzo in piazza contro le guerre per la pace in Iraq, per il rispetto dei diritti umani e per dare ad ogni popolo la libertà di scelta sul proprio futuro. E’ la sfida lanciata da United Peace and Justice, coalizione statunitense di associazioni pacifiste il forum sociale europeo e il quarto forum sociale mondiale di Mumbay e raccolta da 50 associazioni italiane. Molte le adesioni in tutto il mondo, fervono i preparativi e punto condiviso è la necessità di affrontare e discutere della difficile situazione irachena. Ma qual è l’invito? Flavio Lotti, coordinatore del Movimento “La tavola della pace”:

 

“L’invito, rivolto a tutti, è quello di prendere la parola per dare al popolo iracheno un futuro di pace e quindi sostenere un rapido rientro delle Nazioni Unite in Iraq. Dobbiamo ricordare che le Nazioni Unite sono l’unico organismo in grado di aiutare quel popolo ad uscire da questo difficilissimo momento”.

 

Già dal 28 febbraio partiranno le cosiddette carovane della pace internazionali: 100 persone che andranno in Medio Oriente, Iran, Iraq e Kurdistan per cercare di favorire il dialogo. Riccardo Troisi della Rete Lilliput:

 

“Gli obiettivi di queste carovane sono dei tentativi di incontro per ritornare a chiedere pace, ripercorrere insieme tutti i cammini possibili e le articolazioni possibili per risolvere pacificamente e non violentemente quelli che sono i conflitti oggi”.

 

In Italia, sempre il 28 febbraio per stimolare gli incontri ed i dibattiti partiranno le carovane nazionali che da Genova, Trieste e Catania – dopo una serie di tappe – confluiranno a Roma il 20 marzo.

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PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA LA NEW WORLD SYMPHONY ORCHESTRA

DIRETTA DAL SUO FONDATORE MICHAEL TILSON THOMAS

ALL’ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA

 

Successo straordinario all’Auditorium Parco della Musica di Roma, ieri sera, per la New World Symphony Orchestra diretta dal suo fondatore Michael Tilson Thomas: archi luminosi e compatti, splendidi ottoni e prime parti virtuose e dal gusto cameristico per Rendering, quasi un restauro pittorico da Schubert di Luciano Berio, e per l’imponente V Sinfonia di Mahler. Si conclude così la “residenza italiana”, dall’8 al 13 febbraio, di questa importante compagine giovanile inserita nel ciclo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia insieme all’Orquesta Escuela Superior de Musica “Reina Sofia” di Madrid e alla Gustav Mahler Jügend Orchester diretta da Claudio Abbado, attesa per il prossimo 14 aprile. Il servizio di A.V..

 

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E’ l’unico esempio americano, uno dei pochi internazionali, di prestigiosa orchestra-laboratorio con forti investimenti privati, composta da giovani di Stati Uniti e altri 17 Paesi nel mondo per un tirocinio triennale. Perché un direttore d’orchestra con una importante carriera artistica, come Michael Tilson Thomas (che ha appena vinto il suo sesto Grammy Award – Best Classical Album, con l’incisione della II Sinfonia di Mahler), ha deciso di devolvere la sua attività ai giovani musicisti della New World Symphony Orchestra?

 

R. – I CARE VERY MUCH ABOUT…

Tengo molto a fare la grande musica, ma tengo molto anche alle persone che la fanno, hanno l’ispirazione e vivono bene con la musica. E per questo, spesso, lavorando in Festival musicali estivi, ho chiesto ai giovani musicisti: “Cosa farete l’anno prossimo?”. Molte volte mi rispondevano: “Non lo sappiamo. Potremmo tornare a scuola, lavorare da free-lance nell’ambito musicale…”. Così ho capito che sarebbe stato un bene creare un’Accademia, dove i giovani musicisti, finiti gli studi di Conservatorio, potessero avere un anno per imparare veramente il repertorio orchestrale ed essere in grado di concentrarsi sulla loro prima importante audizione per l’orchestra sinfonica. Offrire loro questa opportunità, è ciò che mi ha spinto a creare l’Orchestra. E la maggior soddisfazione per me oggi è di veder lavorare moltissimi nostri laureati nelle grandi orchestre statunitensi ed europee, spesso come prime parti: primo flauto nella Symphony Orchestra; primo timpano nella San Francisco… E tutti condividono questa grande attenzione e passione per la musica.

 

D. - Cosa si può insegnare, trasferire ai giovani musicisti, e cosa pensa non possa essere insegnato?

 

R. – REAL TALENT AND PASSION…

Non puoi insegnare il vero talento, la passione. Ma puoi indicare loro come usare questo talento e questa passione, e anche come salvaguardare e proteggere l’ispirazione, per mantenerla lungo tutta la vita. I musicisti meritano il nostro rispetto, perché stanno cercando di tenere vivo il sogno della nostra società, e devono farlo spesso in condizioni davvero difficili, nell’insicurezza economica. Quindi, devono avere davvero dentro di loro un’ossessione tale da tenere vive queste tradizioni. Credo sia molto importante.

 

D. – Come compositore, lei ha espresso nelle sue partiture le tragedie della storia contemporanea: Hiroshima (Shòwa/Shoàh, per il 50° anniversario del bombardamento atomico), l’Olocausto (From the Diary of Anne Franck, commissione Unicef)… Pensa che un musicista, un artista, debba essere impegnato a tradurre gli eventi del suo tempo?

 

R. – FOR ME, MUSIC IS…

Per me la musica è importante in quanto espressione astratta. Ma sembra che la buona musica in qualche modo debba riguardare qualcosa: ciò che la gente sente, cui reagisce nella sua vita, nella natura, forse negli eventi del mondo. Ma è una sorta di mistero il fatto che semplicemente in qualche nota, che non significa nulla, siamo in grado di sentire una tale forte emozione. E io credo debba venire da un contatto tra l’artista, la sua vita e il suo mondo.

 

D. – Nei due concerti in programma lei contrappone la musica americana (Steve Reich, Leonard Bernstein, Tilson Thomas ma anche Stravinsky se consideriamo la sua attività negli Stati Uniti) ed europea (Berio/Schubert, Mahler): vecchio e nuovo mondo, tradizione e innovazione. Un confronto di culture e mentalità forse azzerato dall’11 settembre 2001, quando il seme occidentale dell’incertezza, della crisi si è impiantato nella sicurezza ottimistica e progressiva degli Usa: il giorno dopo lei ha registrato la VI Sinfonia di Mahler, che evoca un clima di distruzione…

 

R. - I THINK ALL MUSICIANS AROUND THE WORLD…

Penso che tutti i musicisti sparsi nel mondo siano più consapevoli gli uni degli altri, delle reciproche tradizioni classiche e popolari. I giovani musicisti europei conoscono profondamente la tradizione musicale, ma anche negli Stati Uniti c’è più apprezzamento e condivisione della gioia di suonare repertori diversi. La tradizione deve essere continuamente reinventata, la nuova generazione deve guardare al passato per costruire il futuro.

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CHIESA E SOCIETA’

13 febbraio 2004

 

 

PUBBLICATO SU RICHIESTA DELLA CONFERENZA ESPICOPALE SICILIANA,

UN SUSSIDIO PASTORALE DEDICATO AL DIALOGO TRA CATTOLICI E MUSULMANI:

SI INTITOLA “PER UN DISCERNIMENTO CRISTIANO DELL’ISLAM”

 

PALERMO. = L’incremento inarrestabile del numero di musulmani immigrati rende indispensabile lo sforzo di un’autentica conoscenza dell’islam, per favorire l’integrazione ed eliminare le cause che portano all’emarginazione, prima tra tutte l’ignoranza sui fondamenti di un credo religioso diverso dal proprio. C’è tutto questo, e molto di più, dietro il documento pastorale intitolato “Per un discernimento cristiano dell’Islam”, prodotto da alcuni studiosi della Facoltà teologica siciliana “San Giovanni Evangelista”, su incarico della Conferenza episcopale dell’isola. Pubblicato dalle Edizioni Paoline, l’agile volumetto di 67 pagine è dedicato principalmente alle comunità cattoliche della Sicilia, i cui membri sono sempre più spesso a contatto quotidiano con persone di fede musulmana. Una delle affermazioni centrali del testo è che la ricerca dei punti di convergenza tra cristianesimo e islam non rappresenta “una garanzia di un concordismo necessario e a tutto campo, da realizzarsi ineluttabilmente”. In altre parole, l’impegno del dialogo religioso, se condotto in maniera acritica verso un punto di convergenza a tutti i costi, corre il rischio di generare confusione, quando non un rinnegamento delle proprie identità di fede. Ecco, dunque il libro mettere in evidenza le differenze sul carattere monoteista tra islam e cristianesimo, o sull’assenza del concetto di peccato originale per i musulmani ed altro ancora. Del resto, ha affermato don Antonio Raspanti, preside della Facoltà teologica che ha realizzato lo studio, “la chiarezza dottrinale non deve mai tradursi in discriminazione religiosa, né tanto meno spingere a congelare le vie del dialogo”. (A.D.C.)

 

 

CASCHI BLU DELL’ONU CADONO IN UN’IMBOSCATA NEL CONGO EX ZAIRE:

UCCISO UN OSSERVATORE DELLE NAZIONI UNITE. GLI AUTORI DELL’AGGUATO

FORSE APPARTENENTI AI RIBELLI DELL’“UNIONE PATRIOTI CONGOLESI”

 

KINSHASA. = “Condanniamo con fermezza l'uccisione di uno dei nostri uomini. Abbiamo già aperto un'inchiesta e faremo chiarezza il prima possibile": con queste parole il portavoce della Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (Monuc), Hamadoun Tourè, ha commentato alla Misna la morte di un osservatore militare dell'Onu ucciso ieri nei pressi di Bunia, capoluogo della provincia nord orientale dell'Ituri. Secondo le informazioni raccolte finora dall’Agenzia missionaria, alcuni 'caschi blu' sono caduti in un'imboscata mentre stavano rientrando a Bunia da Katoto (circa 25 chilometri a nord) dove erano stati inviati per verificare le testimonianze di presunti scontri e violenze ai danni di civili avvenuti nei giorni scorsi. A circa 15 chilometri da Bunia, alcuni uomini armati ancora non identificati hanno aperto il fuoco contro il personale dell'Onu. L'osservatore ucciso, che secondo alcune fonti giornalistiche sarebbe di nazionalità keniana, sembrerebbe essere l'unica vittima dell'agguato. Da alcuni giorni, gli osservatori delle Nazioni Unite avevano ricevuto informazioni secondo le quali erano in corso scontri nella regione tra le due branche dissidenti dell'Unione dei patrioti congolesi (Upc). A fine 2003, l'Upc, milizia dell'etnia hutu, si e' scissa: un'ala e' attualmente guidata da Bosco Ntaganda; l'altra, vicina a Kisnhasa, da Floribert Kisembo. L'attacco di ieri è il sesto contro la Monuc all'esterno di Bunia dal 16 gennaio scorso. Finora non v'erano state vittime tra il personale Onu. (A.D.C.)

 

 

MOLTO CRITICA LA SITUAZIONE DEL DEBITO ESTERO BOLIVIANO,

CHE HA RAGGIUNTO PICCHI MAI REGISTRATI NELLA STORIA DEL PAESE.

 LO HA RESO NOTO OGGI LA BANCA CENTRALE,

MENTRE CONTINUANO I DISORDINI SOCIALI

 

LA PAZ. = Svetta alle stelle il debito estero della Bolivia, che ha raggiunto nello scorso dicembre un valore di oltre cinque miliardi di dollari, il più alto della storia del Paese. Sebbene l’indebitamento fosse diminuito tra 1995 e il 2002, secondo i dati resi noti dalla Banca Centrale, lo scorso anno il trend ha subito un brusco capovolgimento a causa dell’aumento dei crediti concessi al Paese, pari al 33 per cento. La maggior parte del debito estero, corrisponde per il 90 per cento a prestiti di organismi internazionali del credito. E’ di ieri intanto l’ennesimo episodio di violenza, che ha visto coinvolti familiari e amici delle vittime del 13 febbraio scorso, morti durante gli scontri tra dimostranti e militari. Cercavano di raggiungere la piazza centrale di La Paz, per rendere omaggio ai loro cari, ma sono stati fermarti e dispersi con i lacrimogeni dalle forze dell’ordine.Successivamente grazie alla mediazione di Sacha Liorenty, presidente dell’Assemblea permanente dei diritti umani, hanno potuto deporre corone d’alloro ai piedi del cippo, che ricorda la tragedia. (F.C.)

 

 

ARRIVA OGGI NELLE SALE ITALIANE  “COLD MOUNTAIN”, IL KOLOSSAL SULLA GUERRA CIVILE AMERICANA INTERPRETATO DA NICOLE KIDMAN E JUDE LAW

- A cura di Luca Pellegrini -

 

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ROMA. = Fredda la montagna (di neve e di sentimenti) e calda la guerra (di sangue, violenza e tradimenti). Un panorama intriso del rosso di cadaveri affastellati dopo una battaglia (Petersburg, 1864, la seconda per numero di morti ed orrori della guerra civile americana, 620 mila caduti in totale) e del verde di una valle che sembra essere lontana da queste tragedie. Anche gli Stati Uniti nascono da una Rivoluzione prima e da uno sterminio fratricida poi. E Anthony Minghella, il regista del pluripremiato Paziente inglese, tenta di rincorrere ancora una volta l’Oscar (ha sette candidature, ma non quelle principali) con questo film imponente e suggestivo, languente ed epico (sembra, anche questa volta, la storia di Ulisse e Penelope), sentimentale e avventuroso, adattato dal best seller di Charles Frazier. Certo, può disporre di tre fuoriclasse: Jud Law è Inman, rustico contadino che con un solo bacio si innamora perdutamente di Ada, Nicole Kidman, figlia di un pastore - il bravissimo Donald Sutherland – che vive riparata col babbo nel tranquillo paesino di Cold Mountain, nella Carolina del Nord. Lui partirà per combattere, sopravviverà agli orrori e diserterà per raggiungere, con tante e troppe vicissitudini tra la pietà, il furore e la fame, la splendida ed intrepida ragazza. E lei, sola tra i cattivi, a combattere e resistere e attendere e dire ogni venti minuti: “Torna, torna da me”. Fortunatamente le si affianca Renée Zellweger, rustica, forte contadinotta, che ben allevata, solida e coraggiosa, riuscirà a proteggere, rincuorare e sorridere in mezzo a tanta tragedia. Insomma, Ritorno a Cold Mountain recupera e aggiorna Via col vento facendo, non si sa perché, sparire i neri (vero motivo, quello dell’abolizione della schiavitù, della guerra di Secessione americana), moltiplicando soprusi e violenze (come in ogni guerra) ed inseguendo con puntualità i primi piani dell’allibito Inman che giustamente riflette sull’abominio col quale ogni guerra si presenta nella storia dell’umanità. Stupenda e spaventosa la scena della battaglia iniziale, grandi orizzonti di rigogliosa, incontaminata natura (ma è la Romania, ove il film è stato girato), dispendio di attori e comparse, di costumi (disegnati da Ann Roth) e di scene (sono dell’italiano Dante Ferretti), commento musicale adeguato e, per molti, alla fine, un sospiro di sollievo e, forse, anche una lacrima.

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USCITA IN LIBRERIA L’AUTOBIOGRAFIA DELL’EBREO CRISTIANO EUGENIO ZOLLI:

RABBINO CAPO DI ROMA PRIMA DELLA GUERRA, SI CONVERTI’ AL CATTOLICESIMO

 

ROMA. = La sua conversione al cristianesimo fece scalpore nell’Italia del dopoguerra e all’estero, e agitò non poco gli ebrei tra i quali aveva ricoperto la funzione di rabbino. Oggi è possibile ripercorrere la parabola spirituale di Eugenio Zolli - ebreo polacco, divenuto rabbino capo di Roma nel 1938, ma convertitosi sei anni dopo al cattolicesimo – nella sua autobiografia “Prima dell’alba”, uscita in questi giorni in libreria. Zolli, il cui nome originario era Israel Zoller, inizia a scrivere la storia della conversione nel 1947, due anni più tardi aver ricevuto il Battesimo: in quell’occasione volle assumere il nome di Eugenio in onore di Papa Pacelli. La prima pubblicazione dell’autobiografia risale al 1954. Uscì negli Stati Uniti provocando le vibranti reazioni negative delle comunità ebraiche americane. “Scomparso” non solo fisicamente (morì nel ’56), Zolli fu dimenticato per alcuni decenni, finché l’attuale evoluzione dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo ha creato le condizioni culturali per una sua riscoperta. Interessante - anche per i recenti risvolti legati ad una certa interpretazione storica del ruolo giocato da Papa Pacelli durante il nazismo – restano le parole di Zolli quando spiega il perché volle assumere lo stesso nome del Pontefice: Eugenio. Non fu una conversione, scrisse di suo pugno, “in segno di riconoscenza per gli innumerevoli atti di carità di Pio XII”, in favore degli ebrei. Tuttavia, affermò pure che “nessun eroe della storia ha mai comandato un esercito più combattivo, più combattuto e più eroico di quello che fu guidato nella battaglia da Pio XII in nome della carità cristiana”. (A.D.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 febbraio 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Le elezioni in Iraq non possono essere tenute prima che le autorità provvisorie  americane trasferiscano il potere nelle mani di un governo iracheno alla fine di giugno, ha detto oggi un funzionario  dell'Onu a Baghdad parlando alla radio della Bbc. La massima autorità sciita Ayatollah Ali al-Sistani  ha chiesto che le elezioni si tengano subito. Intanto, anche oggi c’è notizia di violenze. Ascoltiamo Roberto Piermarini:

 

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Un’altra giornata di sangue, in un Paese ancora lontano dalla pace. Fonti locali riferiscono di tre vittime americane, il Pentagono ne conferma solo una: il soldato ucciso stamattina da un’esplosione in un distretto occidentale di Baghdad. Presto gli Stati Uniti riceveranno nuovi aiuti – il Parlamento sudcoreano ha infatti approvato l’invio di 3 mila uomini – ma nel frattempo la spirale infinita di attentati sta mettendo a dura prova alcune alleanze. Il Giappone ha confermato il proprio impegno, mentre la Spagna potrebbe cambiare idea: “Se vinceremo alle elezioni di marzo – ha detto il leader socialista Zapatero – potremmo ritirare i soldati il prossimo 30 giugno, perché il passaggio dei poteri agli iracheni è stato finora troppo lento”.Proprio la transizione democratica, come la chiamano gli americani, è l’argomento cruciale di queste ore. L’Onu ha ribadito, stamattina, che non esistono le condizioni per andare al voto, come richiesto invece dagli sciiti del sud. “Manca il quadro legale – ha detto il portavoce dell’inviato speciale, Brahimi – ed allo stesso tempo manca pure il consenso politico indispensabile in un sistema democratico”. L’unica certezza, al momento, è che non si faranno primarie: la proposta di Washington non piace ai leader locali, che preferiscono andare direttamente al voto.

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Le autorità militari israeliane hanno confermato l’uccisione, avvenuta stamane a Kabatya in Cisgiordania, di un giovane palestinese negando che sia stato colpito nei campi, come dichiarato da parte palestinese, ma affermando che si trovava a bordo di un veicolo sospetto. Sul fronte diplomatico, tre emissari americani di alto livello saranno in missione la settimana prossima in Israele per studiare con i dirigenti dello Stato ebraico il piano di disimpegno unilaterale per la Striscia di Gaza annunciato la  settimana scorsa dal premier Ariel Sharon. Lo si è appreso oggi da fonti diplomatiche a Tel Aviv. La delegazione Usa comprenderà William Burns, l'inviato per il Medio Oriente del dipartimento di Stato, Ellio Abraham, membro influente del Consiglio della sicurezza nazionale, e Stephen Hadley, consigliere per la sicurezza. Stando alle fonti, dai risultati della missione Usa potrebbe dipendere la posizione definitiva che Washington prenderà sul  piano Sharon, che prevede fra l'altro il ritiro di tutti gli  insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza.

 

L’Iran è ormai ad una  settimana dalle elezioni legislative del 20 febbraio, per le quali migliaia di candidature, comprese quelle di un'ottantina  dei parlamentari riformisti più popolari, sono state bocciate  dal Consiglio dei Guardiani, organismo conservatore. Parlando come  guida della preghiera del venerdì a Teheran, la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha accusato polemicamente ''un gruppo'' di  persone, alcune delle quali vestono anche l'abito di mullah o  sono all'interno del Parlamento, di ''fare contento il nemico''  con le loro azioni. Ha poi chiamato in causa anche ''alcuni Parlamenti europei'', affermando che se cercheranno di compiere ''interferenze'' in relazione alle elezioni riceveranno ''un pugno in bocca''. Le bocciature avevano indotto ad ipotizzare un rinvio del voto ma Khatami, pur  mantenendo intatte le sue critiche al Consiglio dei Guardiani, ha assicurato che la consultazione si svolgerà nella data prevista. Tuttavia molti deputati riformisti hanno dichiarato che boicotteranno le elezioni ritenendole ''non democratiche''.

 

Intanto, accuse all’Iran giungono dagli Stati Uniti per la questione del nucleare. Ieri vicepresidenti della Segreteria di Stato americana, hanno di nuovo accusato Teheran di cercare di produrre armi nucleari e di non aver rispettato l’impegno a sospendere il suo programma per l’arricchimento di uranio. Da parte sua, il ministro degli esteri iraniano, Kamal Kharrazi, che ieri si trovava a Roma, ha immediatamente smentito. Ha raccolto la sua dichiarazione Giancarlo La Vella:

 

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“Abbiamo deciso di sviluppare la tecnologia nucleare per obiettivi pacifici. Insistiamo sul nostro legittimo diritto ad avere una tecnologia nucleare per propositi di pace. Non abbiamo armi nucleari e siamo pronti a far entrare gli ispettori dell'Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Rivendichiamo il diritto di sviluppare l’energia nucleare per usi civili. Sul dossier nucleare l’Iran ha deciso di collaborare con gli ispettori, nei confronti dei quali abbiamo avuto sempre un comportamento trasparente. Tutte le cose che vogliamo fare hanno obiettivi pacifici. Il nostro nucleare non ha motivi bellici. Abbiamo firmato un protocollo e, anche se ancora la discussione non è approdata in Parlamento, stiamo rispettando gli accordi assunti”.

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L'ex presidente della Cecenia, Zelimikhan Yandarbiyev è morto nell'esplosione della sua vettura a Doha, nel Qatar, mentre il figlio tredicenne che era con lui sarebbe gravemente ferito. Yandarbiyev, che viveva da anni come rifugiato in Qatar, è stato l'ideologo del movimento indipendentista, l'inviato del presidente Mashkadov nella regione del Golfo e la persona incaricata per i rapporti con l'Afghanistan.

 

Le due comunità di Cipro, quella greca e quella turca, hanno posizioni ancora distanti sul progetto di riunificazione dell’isola. I negoziatori, giunti al terzo giorno di colloqui, hanno deciso di rincontrarsi nel pomeriggio, per decidere se firmare o meno la proposta avanzata dal segretario generale dell’Onu, Annan. Il testo prevede un referendum il prossimo 21 aprile.

 

Decisamente difficile la situazione ad Haiti. Non cambia la linea politica del presidente Aristide che oppone un secco no alla richiesta delle opposizioni a dimettersi per ''evitare un bagno di sangue''. I fedelissimi del presidente hanno impedito ieri lo svolgimento di una manifestazione di protesta nel centro di Port-au-Prince e 4 persone sono rimaste ferite. Di fronte ai continui scontri tra governativi e oppositori armati, ci si chiede se la situazione dell’isola caraibica possa degenerare fino ad arrivare a un colpo di Stato che sarebbe il 33.mo. Giada Aquilino ha chiesto a Maurizio Chierici, esperto di America Latina la sua opinione:

 

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R. – Il rischio c’è, anche perché questo rischio è favorito dall’evoluzione politica di Aristide. Quando questo giovane si è proposto come candidato politico, l’entusiasmo che lo ha accompagnato è stato straordinario ed ha stravinto le elezioni.

 

D. – Cosa è cambiato allora?

 

R. – Hanno subito organizzato un colpo di Stato. L’esilio ha cambiato Aristide. Quando ha ripreso il potere, ha sempre vissuto nella paura di perderlo e quindi ha organizzato intorno a sé delle milizie, ha privatizzato i telefoni e ha affidato le televisioni a suoi portavoce. E’ diventato il padrone del Paese.

 

D. – Quali sono le ragioni per cui l’opposizione accusa Aristide di essere il responsabile della crisi economica dell’isola?

 

R. – La ragione principale è che nell’isola non è cambiato nulla. La crisi umanitaria è endemica ed Haiti è proprio l’ultimo Paese del mondo, più o meno come il Bangladesh, la Bolivia degli Altipiani. E’ un Paese dove l’analfabetismo è indefinito, dove le scuole sono solo private, dove non esiste un quotidiano.

 

D. – Insomma, Aristide resterà al potere?

 

R. – Credo proprio di no. Nelle ultime elezioni quando è stato rieletto, l’opposizione proprio per la mancanza di garanzie e di numero sufficiente di osservatori stranieri non è andata a votare. Aristide può solo scappare, come coloro che hanno provocato questo disfacimento del Paese.

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Due persone, un civile e un soldato, hanno perso la vita a seguito dell'esplosione di una bomba posta nei pressi di una stazione militare nella provincia di Khost, nel sudest dell'Afghanistan. Popolata da tribù pashtun, la provincia di Khost, a 150 km a sudest di Kabul, si trova al confine con la zona tribale pachistana dove i taleban sono molto attivi.

 

L’opposizione russa protesta contro Putin, accusato di violare le regole della campagna elettorale. Il presidente in carica, accreditato del 71 per cento dei consensi nelle elezioni del 14 marzo prossimo, ha tenuto ieri un discorso di mezz’ora, trasmesso da due canali televisivi. Si è invece rifiutato di partecipare ai dibattiti tv con gli altri candidati, che nei sondaggi lo seguono a grande distanza: l’avversario più pericoloso per il capo del Cremlino non va oltre il 2,7 per cento.

 

L'influenza dei polli non è ancora debellata ed è prematuro, dunque, parlare di cessato allarme. Lo afferma la Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. “La diffusione del virus dell'influenza aviaria in diversi Paesi asiatici continua a non essere sotto controllo” fa sapere la Fao, dal suo ufficio a Bangkok. “A differenza della Thailandia dove non si sono registrati  nuovi casi, la Cambogia, la Cina, l'Indonesia e il Laos  continuano a denunciare nuovi casi di influenza aviaria nei volatili”. Finora, calcola l'agenzia Onu, sono stati abbattuti circa 80 milioni di volatili nel tentativo di fermare la malattia. Maggiormente a rischio, spiega la Fao, sono i Paesi più poveri dove “la risposta all'emergenza è stata lenta per la mancanza di infrastrutture e di risorse”. L'agenzia delle Nazioni Unite suggerisce di ''coordinare meglio le iniziative dei Paesi donatori e di assicurarsi che i fondi raggiungano coloro cui sono destinati''.

 

                                              

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