RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
360 - Testo della trasmissione di sabato 25 dicembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di
domani: il commento del teologo padre Rupnik.
CHIESA E SOCIETA’:
“Si riaccende la speranza”: così l’editoriale dell’Osservatore
Romano sul Natale.
L’arcivescovo di Città del Guatemala richiama alla
riflessione le autorità del Paese.
Il vescovo di Hong Kong invita tutti a lasciarsi circondare
dall’amore ‘eccessivo’ di Dio.
25
dicembre 2004
PACE PER LA TERRA SANTA, L’AFRICA E L’IRAQ.
BAMBINO DI BETLEMME AIUTACI A
FUGGIRE IL MALE E A PERSEGUIRE IL BENE CON
CORAGGIO: E’ LA PREGHIERA
DI
GIOVANNI PAOLO II NEL SUO MESSAGGIO NATALIZIO, PRIMA DEGLI AUGURI
PRONUNCIATI IN 62 LINGUE E DELLA BENEDIZIONE URBI
ET ORBI.
NELLA MESSA DI MEZZANOTTE, L’INVOCAZIONE DEL PAPA:
L’UMANITA’
SEGNATA DA
TANTE DIFFICOLTA’ HA BISOGNO DI TE, DIVINO REDENTORE
- Servizio di Alessandro Gisotti -
“Dappertutto c’è bisogno di
pace”. Gesù, Principe della pace vera aiutaci a sconfiggere il male con il
bene: è la preghiera di Giovanni Paolo II nel suo messaggio di Natale, prima
degli auguri rivolti in 62 lingue e della solenne benedizione Urbi et Orbi.
Dal sagrato della Basilica di San Pietro, a mezzogiorno, il Santo Padre ha
dunque levato un nuovo accorato appello per la pace. Parole riecheggiate nel
mondo intero, grazie al collegamento di più di 110 enti televisivi di oltre 70
Paesi. Nella suggestiva Messa di mezzanotte, il Papa ha sottolineato come nel
Bambino Gesù riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo”. L’umanità
“segnata da tante prove”, è stata la sua invocazione, “ha bisogno di te” divino
Redentore. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Davanti al presepe in cui giaci
inerme cessino le tante forme di dilagante violenza, causa di inenarrabili
sofferenze, si spengano i numerosi focolai di tensione, che rischiano di degenerare
in conflitti aperti”. E’ la vibrante invocazione per la pace levata dal Papa
nel giorno di Natale. Nel messaggio natalizio, trasmesso in mondovisione, il
Pontefice ha pregato affinché “si rafforzi la volontà di cercare soluzioni
pacifiche, rispettose delle legittime aspirazioni di uomini e popoli”:
Bambino di Betlemme, Profeta di
pace, incoraggia i tentativi di dialogo e di riconciliazione, sostieni gli
sforzi di pace che timidi, ma carichi di speranza, sono attualmente in atto per
un presente e un futuro più sereno di tanti nostri fratelli e sorelle nel
mondo.
Alle migliaia di fedeli, accorsi
in piazza San Pietro nonostante la pioggia, il Papa ha così indicato quelle
regioni del mondo, ferite dalla violenza, che hanno un posto particolare nel
suo cuore. “Penso all’Africa, alla tragedia del Darfur in Sudan, alla Costa
d’Avorio e alla regione dei Grandi Laghi”, ha detto. “Con viva apprensione – ha
aggiunto – seguo le vicende dell’Iraq. E come non volgere uno sguardo di
partecipe ansia, ma anche di inestinguibile fiducia, alla Terra di cui Tu sei
Figlio?”. Pace, pace per l’umanità, ha esortato il Papa:
Dappertutto c’è bisogno di pace!
Tu, che sei il Principe della vera pace, aiutaci a capire che l’unica via per
costruirla è fuggire il male con orrore e perseguire sempre e con coraggio il
bene. Uomini di buona volontà di ogni popolo della terra, venite
con fiducia al presepe del Salvatore!
Prima della benedizione Urbi et Orbi, il
Papa, instancabile, ha letto personalmente gli auguri natalizi in 62 lingue
diverse, più volte interrotto dagli applausi dei fedeli. Al popolo italiano, ha
augurato che il Natale possa essere fonte di “rinnovamento interiore” e di
“autentico progresso sociale”.
(Canti)
Nel cuore della notte, in una Basilica di San
Pietro gremita, Giovanni Paolo II aveva celebrato con emozione il mistero della
Nascita del Signore. Nell’omelia della Messa di Mezzanotte, il Pontefice ha
ricordato come Betlemme, nella lingua ebraica, significhi “casa del pane”. Là,
dunque, doveva “nascere il Messia, che avrebbe detto di sé: “Io sono il pane
della vita”.
A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato
il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa
Notte Santa, adorazione eucaristica.
(Canti)
Durante il suggestivo rito, ricco di simbolismi, si è pregato per la pace
in Terra Santa e affinché i responsabili delle nazioni si impegnino a vincere
il male con il bene. In quest’anno particolarmente dedicato all’Eucaristia, ha
ricordato il Santo Padre, “adoriamo Te, Signore, realmente presente nel
Sacramento dell’altare, Pane vivo che dai vita all’uomo. Ti riconosciamo come
nostro unico Dio, fragile Bambino che stai inerme nel presepe!”. Per noi
“viandanti sui sentieri del tempo”, ha detto ancora, “ti sei fatto cibo di vita
eterna”, “uomo tra gli uomini”. Nella celebrazione del mistero della Natività
di Gesù, il Pontefice ha così levato un’invocazione al nostro Salvatore:
L’intera umanità, segnata da tante prove e
difficoltà, ha bisogno di Te. Resta con noi, Pane vivo disceso dal Cielo per la
nostra salvezza! Resta con noi per sempre.
Nel Figlio della Vergine, ha ribadito il Papa,
“riconosciamo e adoriamo il “Redentore venuto sulla terra per dare la vita al
mondo”.
(Canti)
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IERI POMERIGGIO, L’INAUGURAZIONE DEL PRESEPE
IN PIAZZA SAN PIETRO, SEGNO DI FEDE IN DIO,
CHE A BETLEMME È VENUTO
“AD ABITARE IN MEZZO A NOI”
- Ai nostri microfoni il
cardinale Szoka e padre Battistelli -
Si è rinnovata per la 23.ma volta la tradizione voluta da Giovanni Paolo
II del Presepe in Piazza San Pietro, inaugurato ieri pomeriggio alla presenza
del cardinale Edmund Casimir Szoka, presidente della Pontificia commissione per
lo Stato della Città del Vaticano, e dell’ingegnere Massimo Stoppa, direttore
generale dei Servizi Tecnici, con la diretta televisiva di Telepace in
collegamento con Betlemme. Dopo l’inaugurazione del Presepe, il Papa – alla
finestra del suo studio – ha acceso e benedetto il lume della pace. Il servizio
di A.V.:
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(musica)
Richiamata dai canti, una
piccola folla sfida il freddo e accorre attorno alla scena tradizionale della
Natività, con elementi originali del 1842 provenienti dal Presepe di San Vincenzo
Pallotti nella chiesa romana di Sant'Andrea della Valle. Alla vita quotidiana
si ispirano genti e mestieri, oggetti, animali e doni, mentre all’antica
etimologia ebraica di Betlemme “città del pane”, profezia del cenacolo, si
riferisce il mulino posto al lato della capanna. Il cardinale Szoka:
E’ sempre un momento molto significativo e
suggestivo per tutti noi che crediamo che Gesù è venuto come nostro Salvatore e
nostro Redentore. La parola Betlemme significa “casa del pane” e in questo anno
dell’Eucaristia ricordiamo qui l’Eucaristia in questa “casa del pane”.
E’ il simbolo più importante del
Natale, rappresentazione domestica o artistica, sacra o popolare. Così il Papa
all’Angelus del 12 dicembre ha definito la centralità del Presepe: “E’ un
elemento della nostra cultura e dell’arte, ma soprattutto un segno di fede in
Dio, che a Betlemme è venuto “ad abitare in mezzo a noi”. E alla grotta di
Betlemme rimanda la struttura ad arco del Presepe di Piazza San Pietro, mentre
la fontana ricorda quella dell’annunciazione di Nazareth. Padre Giovanni
Battistelli, già custode di Terra Santa, invita a visitare i luoghi della vita
di Gesù.
Questa è un’occasione
magnifica di essere ambasciatore per dire ai pellegrini di tornare a Betlemme
perché non avranno difficoltà e sapremo accoglierli come messaggeri di pace e
artefici di comprensione e di dialogo.
Un invito confortato dalla
recente dichiarazione congiunta dei ministri del Turismo di Israele e
Palestina, che agevoleranno l’ingresso dei pellegrini cristiani quali
sentinelle della Pace in Terra Santa.
(Canti)
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25
dicembre 2004
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
In Terra Santa, migliaia
di fedeli hanno partecipato alla messa di mezzanotte nella Basilica della
Natività, a Betlemme. Durante la cerimonia, il patriarca latino di Gerusalemme,
Michel Sabbah, ha denunciato l’occupazione israeliana e la barriera di
sicurezza costruita dal governo di Tel Aviv in Cisgiordania. Preghiamo – ha
detto il patriarca - perché cadano tutti i muri: quelli attorno a Betlemme,
alle altre città palestinesi e nei nostri cuori. Alla messa ha assistito anche
il leader palestinese Abu Mazen, candidato favorito alle presidenziali del
prossimo 9 gennaio nelle quali sono riposte le speranze di pace per i
Territori. Ma sul terreno non si interrompe la violenza: un membro delle
Brigate dei martiri di Al Aqsa è stato ucciso stamani da soldati israeliani a
Jenin. Difficile anche la situazione di Betlemme, colpita da una profonda crisi
economica, dal crollo del turismo e da un vertiginoso aumento
dell’emigrazione cristiana. Ascoltiamo in proposito padre Ibrahim Faltas,
parroco a Gerusalemme della parrocchia latina della Città Santa, intervistato
da Francesca Sabatinelli:
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R. – Un solo messaggio per tutti
i cristiani, per tutto il mondo: tornate in Terra Santa! I cristiani, vostri
fratelli nella fede, hanno bisogno di voi. Qui è tutto calmo, tutto tranquillo,
non c’è da aver paura. La Terra Santa non è la Strisca di Gaza; la Terra Santa
non è Khan Younis. Tutti i Luoghi Santi possono essere visitati: in questi
giorni si può andare a Betlemme e perfino ad Hebron! Sarebbe veramente un gesto
di grande solidarietà, di grande incoraggiamento per i cristiani locali:
significherebbe per loro che il mondo non li ha dimenticati. Il problema dei
cristiani di Terra Santa è che tutti lavoravano nel settore del turismo. Ora,
con il turismo bloccato, la loro situazione è difficilissima...
D. – Ritiene che la situazione
sia così grave, soprattutto per i cristiani?
R. – La situazione per i
cristiani è veramente molto difficile. Nella zona di Betlemme, i cristiani
stanno andando via. E da Gerusalemme sta andando via un numero ancora maggiore
di cristiani. La nostra preoccupazione è che alla fine i Luoghi Santi
rimarranno senza cristiani locali. A quel punto diventeranno musei senza
cristiani. Questo nostro timore deve però diventare anche la preoccupazione
degli altri cristiani del mondo ...
D. – Secondo lei, si può parlare
di un Natale diverso, di uno spirito diverso che accompagna queste feste? Forse
c’è un po’ più di speranza ...
R. – C’è un po’ di speranza.
Penso che adesso, dopo le elezioni, si tornerà al tavolo dei negoziati e si
riprenderà il dialogo. Credo che le cose andranno molto meglio rispetto agli
ultimi quattro anni, da quando è iniziata quest’ultima Intifada. Abu Mazen è un
moderato ed è benvoluto da tutti. Ha le idee chiare e penso che si inizierà a
fare qualcosa in favore della popolazione palestinese, che ha conosciuto solo
Yasser Arafat come leader. La gente non lo dimenticherà mai, ma seguiranno il
nuovo governo; anche gli israeliani, per il bene del loro popolo, devono
impegnarsi perché così non possono farcela: anche loro hanno sofferto!
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Scarsa partecipazione alle
cerimonie natalizie in Iraq, dove circa 700 mila cristiani non festeggiano
collettivamente il Natale per la mancanza di sicurezza, soprattutto dopo gli
ultimi sanguinosi attentati, che non hanno risparmiato neanche le chiese. Non è
stata celebrata la messa di mezzanotte, perché dopo il tramonto è pericoloso
scendere in strada e in molte città vige il coprifuoco. Nel Paese arabo,
intanto, sono stati sequestrati due cittadini turchi ed è salito a sei morti il
bilancio dell’attentato compiuto ieri sera nei pressi dell’ambasciata libica a
Baghdad, nel quartiere al Mansour. Sul difficile Natale in Iraq, ascoltiamo il vescovo caldeo ausiliare di Baghdad, mons.
Shlemon Warduni.
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R. – Non c’è pace, non c’è sicurezza: tutti quanti siamo in pericolo.
Pregheremo per chiedere a quel Bambino che ci dia la pace, che dia ai nostri
bambini la sicurezza ma anche per dire “no” a tutta l’ostilità che sentiamo, al
terrorismo, agli ordigni disseminati nelle chiese, nelle moschee.
D. – Mons. Warduni, in questa
situazione c’è più pessimismo per quello che sta accadendo o c’è comunque un
filo di speranza anche in vista delle elezioni?
R. – Non userei il termine
pessimismo ma sicuramente non siamo tranquilli. In modo particolare vengono
prese di mira le nostre chiese per colpire noi cristiani iracheni, i cristiani
occidentali e gli americani. E’ questo che ci fa male. La nostra speranza è
riposta nelle elezioni del prossimo 30 gennaio. L’auspicio è che sia una
consultazione positiva per gli iracheni e per l’Iraq. Il cristianesimo è pieno
di speranza, anche se la situazione resta drammatica: non si può nemmeno
immaginare la vita delle persone in questo Paese! Adesso non si ha fiducia in
nessuno e le armi sono ovunque. Per questo la nostra speranza risiede nel
Signore, nelle vostre preghiere e nell’aiuto che ci dà il Santo Padre incoraggiandoci,
pregando per noi e parlando sempre in favore della pace e dei diritti umani in
Iraq.
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In occasione del Natale, il
presidente pakistano Musharaff ha invitato i fedeli delle religioni del mondo a
lavorare per la pace. “Oggi - ha detto il capo di Stato del Pakistan - è più
importante che mai eliminare nel mondo la sfiducia e le incomprensioni tra i
fedeli delle diverse religioni”. Ma nel Paese non si fermano le violenze:
l’esplosione di una bomba ha provocato stamani la morte di una persona nei
pressi della frontiera
con la regione tribale del Waziristan.
Domani si terrà in Ucraina il
ballottaggio tra il candidato filo russo Yanukovic e quello filo occidentale
Yushenko, dato per favorito dai sondaggi. Lo ha assicurato il presidente della
Commissione elettorale dopo la decisione della Corte costituzionale di
giudicare non conformi alla costituzione alcuni emendamenti alla legge
elettorale. Le Chiese orientali, che seguono il calendario giuliano, festeggiano
il Natale il prossimo 7 gennaio.
“Facciamo
in modo che questo sia un Natale di pace. Continuiamo a pregare per la pace e
lasciamola entrare nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nel nostro Paese”:
lo chiedono i vescovi dell’Uganda nel loro messaggio per il Natale. I presuli,
che hanno recentemente visitato le popolazioni del nord e dell’est del Paese
“per condividere la loro vita e le loro sofferenze”, hanno anche sottolineato
come gli sforzi del governo per dialogare con i ribelli rappresentino una
pietra miliare nella ricerca della pace. Sul Natale in Uganda, la testimonianza
di padre Tarcisio Pazzaglia, missionario comboniano nel Paese africano:
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R. – Qui nel Nord Uganda, a
cento chilometri dal confine con il Sudan, la guerra è una drammatica realtà.
Ma ieri sera la chiesa era ugualmente piena di gente. Sono andato a pregare in
un campo profughi appena tramontato il sole e mi sono sentito come l’Angelo che
annuncia ai pastori: “Vi porto una buona notizia”. Tutta questa gente, oltre 16
mila persone, che vivono in questo campo profughi vivono anche loro la notizia
che Dio è venuto tra noi. La partecipazione di questa notte è stata fortissima.
Oggi sono in viaggio per raggiungere un altro campo profughi, dove sarà
presente moltissima gente. Dopo la preghiera non ci saranno pranzi come avviene
in Italia, ma la gioia delle famiglie è un segnale di speranza nonostante la situazione
difficile e la paura.
D. – Il Natale in Africa e
soprattutto in Uganda è vissuto con il dramma della guerra ma anche con molta
speranza…
R. – Il dramma della guerra è
sempre presente. Ho ricevuto ieri la notizia che il mio catechista, sequestrato
lunedì scorso, è stato ucciso. I suoi bambini non si sa dove siano, forse sono
ancora in mano ai ribelli. Tutti i giorni ci sono notizie di questo tipo.
Malgrado questo, gli africani vivono questa situazione di sofferenza, senza
dimenticare la loro vita di comunità e di solidarietà. Quindi, se da una parte
c’è tristezza, dall’altra c’è questo collante della solidarietà e della
condivisione.
D. – Padre, vuole rivolgere un
augurio speciale?
R. – Noi aiutiamo tanti bambini,
tanti orfani. Tutto questo lo facciamo perché c’è gente che dall’Italia ci
aiuta. Dico grazie a loro e Buon Natale. Invito tutti ad essere solidali con
questa gente che non ha tutto quello che abbiamo noi.
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Restiamo
in Africa: nella Repubblica democratica del Congo il vicario generale della diocesi
di Bunia, mons. Diedonné Uringi ha rivolto un accorato appello ai fedeli della
martoriata regione nordorientale dell’Ituri. “La nascita di Cristo – si legge
nel messaggio - deve donarci un nuovo volto: è tempo di abbandonare la guerra,
le divisioni, le discriminazioni sociali, tribali e razziali e di creare finalmente
un’unica famiglia”.
In
Brasile, il messaggio natalizio della Conferenza episcopale brasiliana è incentrato
sul tema della pace. “Ad ostacolare la vera pace - si legge nel testo - sono
tutte le forme di prepotenza dei più forti contro i più deboli, come la guerra
e gli atti di terrorismo, i massacri, le azioni di violenza contro i popoli più
fragili e indifesi”. “La nascita di Gesù - aggiungono i vescovi - è una buona
notizia per tutti coloro che amano e promuovono la pace”. Sul
messaggio dei presuli brasiliani per il Natale, ascoltiamo padre Odylo Scherer,
segretario della Conferenza episcopale e vescovo ausiliare di San Paolo,
intervistato da Christiane Murray:
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R. – La Conferenza dei vescovi
brasiliani ha diffuso il messaggio di Natale, centrato sul tema della pace e
del superamento della violenza. Il nostro Paese è sconvolto, infatti, da un
aumento della violenza. Allo stesso tempo, però, sono in atto molte iniziative
positive che mirano a risvegliare e sviluppare una cultura della pace per il
superamento di ogni violenza. Sono tante le organizzazioni nella società civile
impegnate in questo obiettivo. E notevole è anche lo sforzo della Chiesa
cattolica. Il Consiglio delle Chiese cristiane in Brasile ha lanciato una campagna
contro la violenza ed incentrata sul tema della pace. Lo stesso governo
brasiliano sta cercando di mettere in atto un piano per la consegna volontaria
delle armi: la gente che possiede un’arma è invitata a consegnarla spontaneamente.
La conferenza episcopale ha voluto – per tutte queste ragioni – lanciare questo
messaggio di Natale, proprio quando ricordiamo la nascita di Gesù, il Principe
della Pace, invitando tutta la gente a collaborare positivamente in questo risveglio
della cultura della pace. Credo che questo sia veramente un contributo
importante per annunciare il Vangelo della vita e della pace.
D. – Lei ha parlato di una campagna di fraternità ecumenica per il
2005. E questo si ricollega al messaggio del Papa quando ha invitato tutti ad
un comportamento improntato all’esercizio di responsabilità individuale e collettiva,
una sorta di unione fra tutti per la ricerca del bene…
R. – La Campagna della
fraternità per il prossimo anno ha come tema “Solidarietà e pace” ed è
un’iniziativa ecumenica, promossa dal Consiglio nazionale delle Chiese
cristiane. E’ necessario unire le forze e gli sforzi per promuovere ciò che è
buono e risvegliare nella società quelli che sono i buoni sentimenti. Bisogna risvegliare
quelle forze positive spesso nascoste e a volte soffocate, aspettando il
momento opportuno per rendersi partecipi alla costruzione del bene. L’invito rivolto
dal Papa a tutta l’umanità si muove proprio su questa linea. Bisogna cercare la
pace senza porre differenze di colore, religione o di razze. E’ quindi compito
di tutti vegliare ed unirsi nella costruzione del bene.
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In
India, il Natale è una festa alla quale
partecipano in modo diverso persone di tutte le religioni. In Cina,
la polizia ha impedito ieri a Pechino lo svolgimento di una cerimonia
organizzata da fedeli cristiani per celebrare la vigilia. In Arabia Saudita il
Natale non si celebra ufficialmente. I cristiani che si trovano nel Regno
saudita, soprattutto lavoratori stranieri, si radunano in silenzio e spesso in
segreto. Come festeggiano, dunque, i cristiani il Natale in Asia? Risponde il
direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera:
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R. - Il Natale in Asia si festeggia in tanti Paesi, anche dove i
cristiani sono una minoranza. Naturalmente, i cristiani in questo continente
cercano di vivere il significato religioso del Natale. Mi ha colpito in
particolare una testimonianza di alcuni cristiani dell’Uzbekistan che dicono di
essere gli unici che festeggiano e conoscono il significato del Natale come
celebrazione della nascita di Gesù. Poi ci sono i Paesi dove il Natale è più
controllato, per esempio in Vietnam e in Cina. I governi di questi Stati
cercano addirittura di controllare il numero dei partecipanti alle Messe. Molti
cinesi sono interessati anche se sono atei, buddisti o taoisti, a capire di più
il valore del Natale.
D. – Come si festeggia, invece,
il Natale nei Paesi dove è più forte la presenza cristiana, come India e
Filippine?
R. – Nelle Filippine il Natale
viene festeggiato quasi per un mese intero ed è un Natale all’insegna della
solidarietà. In India il Natale viene festeggiato dai cristiani, rispettato da
molta parte della popolazione, ma in alcune regioni c’è invece il pericolo di
un conflitto con i fondamentalisti indù.
D. – Quali sono dunque le luci e
le ombre del Natale in Asia?
R. – Anche nei Paesi dove la
Chiesa è perseguitata, come la Cina, oppure in Paesi islamici dove è tenuta più
sotto controllo, come in Indonesia, Malesia o in Bangladesh, ci sono molti
giovani interessati a conoscere la fede. Questo è un segno di luce perché Gesù
è venuto per loro. Nello stesso tempo, però, penso che la parte del leone nel
cercare di soffocare la festa di Natale la faccia soprattutto la Cina offrendo
un Natale consumistico. In questo modo viene dimenticato completamente il
Natale religioso.
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“Nel
pieno delle preparazioni al Natale siamo stati colpiti dalla tragedia dei tifoni
e delle piogge torrenziali che hanno sepolto interi villaggi e famiglie nel
nord; questo è stato il nostro Avvento, ma tutto il Paese si è mobilitato per
aiutare le vittime e la solidarietà si è moltiplicata”. Lo ha detto ieri padre
Angel Calvo, missionario claretiano che si trova nel sud dell’arcipelago
filippino, ricordando le recenti inondazioni che hanno causato nelle Filippine
oltre 1.400 vittime.
Chiudiamo
questo spazio dedicato al Natale nel mondo con l’augurio di padre Luciano Capelli,
salesiano che si definisce il missionario più lontano del mondo da quando si
trova nelle Isole Salomone. Qui il Natale – dice il missionario all’agenzia
missionaria MISNA - è privo di qualsiasi matrice consumistica ed è un evento
davvero speciale per la sua semplicità e la sua umanità.
OGGI, NELLA BASILICA ROMANA DI
SANTA MARIA IN TRASTEVERE,
IL
TRADIZIONALE PRANZO DI NATALE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO
PER
I POVERI DELLA CITTA’
- Intervista con Claudio Betti -
Anche quest’anno la Comunità di Sant’Egidio rinnova
la tradizione del pranzo di Natale con i poveri. A Roma, nella Basilica di
Santa Maria in Trastevere, e in tutte le sedi in Italia e all’estero della
Comunità, centinaia di bisognosi stanno vivendo nel calore umano la Venuta del
Signore. Ma quali sono i significati di quest’iniziativa? Giancarlo La Vella lo
ha chiesto a Claudio Betti della Comunità di Sant’Egidio:
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R. – Senza dubbio è un Natale un po’ particolare, in cui il mondo è in
guerra. E’ un Natale in cui tanti attendono una speranza di pace. Credo che la
nostra iniziativa vada proprio inserita in questo spirito. Penso che bisogna
rileggere insieme il Vangelo e mi viene in mente il primo capitolo di Giovanni:
veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Nel mondo oggi ci
sono tanti che aspettano la luce vera, diversa dalle tante luci false che spesso
ci abbagliano.
D. - Questa iniziativa riesce a
valicare i confini del nostro Paese per lanciare un messaggio particolare di
pace a tutto il mondo?
R. – Sì, certo. Ormai è nata
molti anni fa con un piccolo gruppo di anziani a Trastevere, con un solo tavolo.
Oggi invece ce ne sono almeno 50. L’iniziativa si è sparsa lentamente in tutta
la città di Roma, poi in Italia, e ormai da qualche anno è in tutto il mondo.
Laddove c’è una Comunità di Sant’Egidio c’è un Natale passato con i poveri.
Perché fare festa con i poveri oggi è imbandire una tavola dove finalmente Gesù
che viene è accolto e non lasciato fuori al freddo.
D. – La Comunità di Sant’Egidio
già da diversi anni ha evidenziato la nascita delle cosiddette nuove povertà…
R. – Certamente. E’ un trend che
ormai noi abbiamo cominciato a vedere da tempo. Noi abbiamo questa mensa a Via
Dandolo che accoglie stranieri, immigrati, ma sempre di più si notano anziani
italiani che alla fine del mese cominciano a venire alla mensa. C’è proprio una
difficoltà di arrivare alla fine del mese. E questo genera tutta una serie di
problemi per questi anziani che hanno vissuto una vita dignitosa e che alla
fine della loro vita, quando dovrebbero invece essere amati di più, si
ritrovano soli e abbandonati. Noi abbiamo questo centro di accoglienza per gli
italiani. Quindi, non si tratta di stranieri, si tratta di queste nuove povertà
che sono nascoste. Abbiamo distribuito 50 mila pacchi, viveri, per gli italiani
in un anno. Vuol dire che 50 mila persone sono venute a prenderli al nostro
centro. Abbiamo distribuito 50 tonnellate di vestiario in un anno.
D. – Alla fine del pranzo,
proprio per simboleggiare questo vostro impegno, c’è un pacco dono per ognuno…
R. – Sì, già ieri siamo stati in
giro per tutte le stazioni, per tutti i luoghi dove i poveri vivono la notte di
Natale, quindi per strada, e abbiamo distribuito a ciascuno un pasto caldo e un
regalo. Oggi, alla fine del pranzo, ognuno riceverà un pacco dono con il
proprio nome. L’anno scorso una signora, parlando dopo aver ricevuto questo
pacco ad una signora che veniva per la prima volta, ha detto: “Questo può
essere solo un dono di Dio, perché nessuno conosce il mio nome se non il
Signore”.
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Domani, domenica 26 dicembre, la Chiesa celebra la Festa della Santa Famiglia
di Gesù, Maria e Giuseppe. La liturgia ci presenta il brano evangelico in cui
un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe e gli dice:
“Alzati,
prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non
ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
Sulla Festa della Santa Famiglia ascoltiamo il commento del teologo
gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:
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Dio si
fa conoscere attraverso la Creazione. Tutto il Creato ha il suo senso nel
parlarci di Dio e orientarci a Lui. Dio si rivela anche o soprattutto nella
storia, attraverso le vicende degli uomini e dei popoli, ma la suprema rivelazione
Dio l’ha riservata alla Famiglia, facendo nascere suo Figlio Gesù Cristo in una
famiglia. La famiglia è una realtà complessa, è una realtà di relazioni che
affondano e nascono dall’amore, ma che sono in pieno travagliate dal peccato
dell’umanità. Un amore che attraversa i conflitti, i drammi, le lacerazioni,
tante lacrime, silenzi prolungati, offese, ferite e realtà di un difficile
intreccio tra sangue, eredità, psicologia e il cammino della salvezza, cioè la
vittoria dell’amore. Dio è amore e perciò è entrato nel mondo attraverso
l’ambito costituito dall’amore: la Santa Famiglia di Nazareth. E’ l’orizzonte
su cui Dio sta purificando e salvando ogni famiglia umana.
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25
dicembre 2004
IN UN MONDO SEGNATO DA “TROPPE GUERRE IRRISOLTE” E
DALLO “STILLICIDIO DEL TERRORISMO”, “IL NATALE E’ QUELLA SPERANZA CHE MUOVE I
PROGETTI PER IL FUTURO E ANIMA LE VISIONI DEL DOMANI”. COSI’, IL PROF. ANDREA
RICCARDI, FONDATORE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO, NELL’EDITORIALE
DELL’OSSERVATORE ROMANO DI OGGI
- A cura di Roberta Moretti -
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ROMA. = “Si riaccende la
speranza”: è questo il titolo dell’editoriale sull’Osservatore Romano di oggi,
firmato dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio,.
“Il Natale – si legge – parla agli uomini e alle donne che vivono su scenari in
rapido cambiamento”. Se la mangiatoia “ricorda amaramente la persistente
inospitalità degli uomini verso il Signore”, il Vangelo di oggi “rammenta
soprattutto la grande fedeltà di Dio nel suo riproporsi ad un’umanità
distratta, talvolta disperata, altre volte dimenticata”. E nella “coltre
consumistica”, specie delle “nostre società occidentali”, è questa fedeltà che
la Chiesa celebra ogni anno a Natale. Il Presepe, allora, rimane l’espressione
“di un genio che ha sentito vicino l’evento” e ne ha riprodotto le sembianze
con scenari differenti. Un’arte, questa, che “è stata quasi un’educazione per
generazioni a sentire il Natale vicino”, scrive Riccardi. Ma il Natale è anche
un invito a “non temere” di prendere con sé il Bambino: “in tanta debolezza sta
una forza più grande che il mondo non conosce”. E’ la forza di una vita che
nasce: “E’ quella speranza che muove i progetti per il futuro e anima le
visioni del domani”. “Ed oggi – aggiunge il professore – di visioni e di
progetti non ce ne sono molti. Basta guardare gli scenari internazionali,
segnati da troppe guerre irrisolte e dallo stillicidio del terrorismo”. Ma
contro questa “paura del futuro, mentre ci si piega preoccupati sul presente”,
la Chiesa “con grande gioia celebra la festa del Natale e chiama tutti a ritornare
alle fonti della nostra speranza, cioè a quel Gesù che nasce tra noi”. E lo fa
“attraverso i Vangeli del Natale, dove si parla di uomini che andarono a vedere
quell’evento e cedettero”. Un evento “di fronte a cui provare stupore”,
sottolinea Riccardi, “lo stupore di una fede che rinasce dinnanzi alla visione
del Figlio di Dio”. “Il Natale – continua – non è un’imposizione in un mondo in
cui tutti fanno la voce grossa: è un gioioso invito”. “E un invito a credere,
quindi a sperare”. E la Chiesa lo propone con convinzione e con grande semplicità.
“Sulla bocca sembra quasi di sentire le parole del profeta Zaccaria: ‘Chi oserà
disprezzare il giorno di così modesti inizi?’ Noi crediamo – conclude il
professore – che il giorno di modesti inizi, quello del Natale, cominci a
dischiudere i cuori alla visione di un nuovo cielo e una nuova terra”.
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NEL MONDO LA GIOIA DEL NATALE VIENE DETURPATA DA
TROPPE VIOLAZIONI DELLA
DIGNITA’
DELLA PERSONA. E’ IL RICHIAMO DEL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI,
ARCIVESCOVO
DI MILANO, NELL’OMELIA DELLA MESSA DI MEZZANOTTE IN DUOMO
MILANO. = “L’affascinante
bellezza del Natale viene deturpata, così come la gioia indescrivibile che da
esso si sprigiona viene messa a dura prova dalle tante e troppe forme di
violazione della insopprimibile dignità della persona”. A sottolinarlo,
nell’omelia della messa di mezzanotte nel Duomo di Milano, è stato
l’arcivescovo del capoluogo lombardo, il cardinale Dionigi Tettamanzi. “Il
Natale, in questo suo volto così umano e insieme così religioso – ha affermato
il porporato – viene drammaticamente sconvolto e sfigurato, nel nostro mondo,
da una folla enorme di persone misconosciute e calpestate nella loro nativa
dignità e nei loro sacrosanti diritti umani.” E’ la “folla incalcolabile dei poveri,
dei miseri, degli abbandonati, degli emarginati, dei privati di cibo, di
medicine e di cultura, dei disperati, di quanti, innocenti, abitano in terre
sconvolte da odio, violenza, guerra e terrorismo. Il cardinale ha poi
sottolineato come il Natale solleciti ad uno sguardo particolare sulla
situazione dei più piccoli: “E’ quanto mai ampia – ha avvertito - la sorte
triste, penosa e spesso spaventosa dei bambini non ancora nati e già rifiutati;
dei bambini che soffrono e sono minacciati, che patiscono la miseria, muoiono a
causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime della guerra e
talvolta ne diventano persino protagonisti”. Il porporato ha anche ricordato i
“bambini abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del
calore di una propria famiglia; i bambini che subiscono molte forme di violenza
e di prepotenza da parte degli adulti; i bambini non rispettati nel corpo e
nell’anima”. “Come dimenticare – ha poi evidenziato nell’omelia – che quella
presa dal Figlio di Dio da Maria è una carne umana fragile, povera,
vulnerabile, provata e sofferente, una carne mortale?” “Proprio con questa
carne – ha spiegato – Dio dice a tutti noi il suo amore tenerissimo e forte e,
insieme, la sua volontà di partecipare in modo radicale al dolore del mondo”.
“Un Natale celebrato così – ha concluso l’arcivescovo di Milano – ci apre ad
una sorpresa che ci rianima e ci infonde una gioia imperturbabile: quella di sentirsi
guardati nei nostri occhi dagli occhi di Gesù. E non è in questo scambio di
sguardi tutto il Natale che ci salva? Sia veramente così per tutti noi”.
(R.M.)
“CHE IL NATALE SIA UN MOMENTO
DI RIFLESSIONE PER LE AUTORITÀ
GUATEMALTECHE”. E’ L’AUSPICIO DELL’ARCIVESCOVO DI
CITTÀ DEL GUATEMALA, IL CARDINALE RODOLFO QUEZADA TORUÑO, PARLANDO AL CLERO
DELLA SUA DIOCESI SULLA SITUAZIONE NEL PAESE, SEGNATO DA “CRISI ECONOMICA,
INSICUREZZA E MANCATA APPLICAZIONE DEGLI ACCORDI DI PACE CHE NEL 1996 MISERO
FINE A 36 ANNI DI GUERRA CIVILE”
CITTA’
DEL GUATEMALA. = Un Natale, senza eccessi, dedicato alla famiglia, ma che sia
anche un momento di riflessione per le autorità su come stanno governando il
Guatemala. E’ l’auspicio che l’arcivescovo di Città del Guatemala, il cardinale
Rodolfo Quezada Toruño, ha formulato per il Natale al termine di un incontro
con il clero della sua arcidiocesi. Il porporato ha tracciato un bilancio del
2004, primo anno di governo del presidente Oscar Berger, “segnato
dall’insicurezza, dalla crisi economica e da mancanze nell’applicazione degli accordi
di pace che nel 1996 misero fine a 36 anni di guerra civile”. “É stato un anno
difficile e mi dispiace delle polemiche sorte con il governo”, ha proseguito
l’arcivescovo, riferendosi, in particolare, a un suo recente pronunciamento
sulla necessità di controllare lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo,
contestato dall’esecutivo. “Ho creduto che fosse mio dovere intervenire. Noi
vescovi non siamo esperti su temi come l’estrazione mineraria, ma conosciamo
bene le condizioni in cui vive il nostro popolo e le difficoltà che è costretto
ad affrontare”. “È tempo che i guatemaltechi cerchino nuove strade per una
convivenza sociale più solidale e meno di scontro, per creare una nazione
capace di risolvere i propri problemi partendo dal principio del bene comune”,
ha sottolineato. Il porporato è intervenuto anche a proposito del recente
aumento del salario dei membri del Parlamento: “Non è un momento opportuno per
decisioni simili. Auspichiamo che i deputati nel 2005 compiano il loro dovere
perché l’agenda di lavoro è molto intensa e solo rispettandola il Paese potrà
progredire”. “Mi auguro – ha concluso – che il Natale ci faccia riflettere
tutti rispetto alle azioni da compiere per migliorare”. (R.M.)
“IN QUESTO NATALE DELL’ANNO DELL’EUCARISTIA
LASCIAMOCI CIRCONDARE DALL’AMORE ‘ECCESSIVO’ DI DIO”. E’ L’INVITO DEL VESCOVO
DI HONG KONG, MONS.
JOSEPH ZEN, NEL SUO MESSAGGIO DI NATALE, RIVOLTO
IN MODO SPECIALE
A SACERDOTI, PADRI DI FAMIGLIA E GOVERNANTI
HONG KONG. = “L’amore di Dio non
fallisce, sta a noi dargli il benvenuto, la conversione consiste solamente nel
compiere un passo”, esorta il vescovo di Hong Kong, mons. Joseph Zen, nel suo
messaggio di Natale. Dio “ha deciso di venire in mezzo a noi come nostro
fratello, amico e compagno di viaggio. Il suo nome è Emmanuel, Dio con noi”,
ricorda il presule. “Persino al termine del Suo pellegrinaggio terreno, Egli
non ha voluto lasciarci e ha inventato una meravigliosa forma per rimanere con
noi, nascondendosi nel sacramento dell’Eucaristia”. “In questo Natale dell’Anno
dell’Eucaristia – prosegue - lasciamoci allora circondare dall’‘eccessivo’
amore di Dio”. Il vescovo di Hong Kong invita a vedere Gesù in ciascuna
persona, imitando l’esempio del “Buon Samaritano”. Questo Gesù, “presente in
noi”, “deve essere esempio in special modo per i pastori, i padri e i leader
della società”. Ai sacerdoti, mons. Zen chiede che si consacrino al loro
“gregge” e siano disposti a sacrificarsi in sua difesa, dedicandogli “tempo ed energia”.
Ai padri e alle madri di famiglia ricorda che “la loro presenza e compagnia è
più preziosa” per i figli “che qualsiasi altro regalo che si possa offrire
loro”. “Servitori del popolo” devono essere invece i leader della società: la
vicinanza alla gente “non dovrebbe essere una semplice tattica, quanto una
attitudine sincera”, e tutti i politici dovrebbero basare il proprio agire sul
“benessere” della gente. Oltre alla ferita inflitta dal fattore economico e
dalla difficile relazione con Pechino e con il governo locale, mons. Zen
constata che la società di Hong Kong ha visto emergere recentemente molti
problemi. E conclude: “Non ci dobbiamo disperare. L’amore di Dio non fallisce,
dipende da noi dargli il benvenuto”. (R.M.)
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