RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 360 - Testo della trasmissione di sabato 25 dicembre 2004

 

Sommario

 

                                                                   

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Pace per la Terra Santa, per l’Africa e per l’Iraq. Bambino di Betlemme aiutaci a fuggire il male e a perseguire il bene con coraggio: è la preghiera di Giovanni Paolo II nel suo messaggio natalizio, prima della benedizione Urbi et Orbi. Nella Messa di Mezzanotte, l’invocazione del Papa: l’umanità segnata da tante difficoltà ha bisogno di te, Divino Redentore.

 

Ieri pomeriggio, l’inaugurazione del Presepe in piazza San Pietro. Ai nostri microfoni il cardinale Szoka e padre Battistelli.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 Natale nel mondo: In Terra Santa, l’appello per la pace del Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Sabbah. Con noi padre Faltas – In Iraq, per motivi di sicurezza, scarsa partecipazione dei cristiani alle celebrazioni natalizie: ai nostri microfoni: mons. Warduni – Natale di pace per l’Uganda. E’ la preghiera dei vescovi del Paese africano: con noi il missionario padre Pazzaglia – Appello dei presuli brasiliani contro ogni forma di violenza: ce ne parla padre Odylo Scherer - Tra difficoltà e speranze, il Natale dei cristiani in Asia: il commento di padre Cervellera.

 

Oggi, a Santa Maria in Trastevere a Roma, il tradizionale pranzo di Natale della Comunita’ di S. Egidio per i poveri della città: intervista con Claudio Betti.

 

Il Vangelo di domani: il commento del teologo padre Rupnik.

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Si riaccende la speranza”: così l’editoriale dell’Osservatore Romano sul Natale.  

 

Il cardinale Dionigi Tettamanzi nell’omelia della messa di mezzanotte nel Duomo di Milano sottolinea che la gioia del Natale è deturpata dalle violazioni della dignità umana.

 

L’arcivescovo di Città del Guatemala richiama alla riflessione le autorità del Paese.

 

Il vescovo di Hong Kong invita tutti a lasciarsi circondare dall’amore ‘eccessivo’ di Dio.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 dicembre 2004

 

 

PACE PER LA TERRA SANTA, L’AFRICA E L’IRAQ. BAMBINO DI BETLEMME AIUTACI A

FUGGIRE IL MALE E A PERSEGUIRE IL BENE CON CORAGGIO: E’ LA PREGHIERA

 DI GIOVANNI PAOLO II NEL SUO MESSAGGIO NATALIZIO, PRIMA DEGLI AUGURI

PRONUNCIATI IN 62 LINGUE E DELLA BENEDIZIONE URBI ET ORBI.

NELLA MESSA DI MEZZANOTTE, L’INVOCAZIONE DEL PAPA: L’UMANITA’

 SEGNATA DA TANTE DIFFICOLTA’ HA BISOGNO DI TE, DIVINO REDENTORE

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

“Dappertutto c’è bisogno di pace”. Gesù, Principe della pace vera aiutaci a sconfiggere il male con il bene: è la preghiera di Giovanni Paolo II nel suo messaggio di Natale, prima degli auguri rivolti in 62 lingue e della solenne benedizione Urbi et Orbi. Dal sagrato della Basilica di San Pietro, a mezzogiorno, il Santo Padre ha dunque levato un nuovo accorato appello per la pace. Parole riecheggiate nel mondo intero, grazie al collegamento di più di 110 enti televisivi di oltre 70 Paesi. Nella suggestiva Messa di mezzanotte, il Papa ha sottolineato come nel Bambino Gesù riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo”. L’umanità “segnata da tante prove”, è stata la sua invocazione, “ha bisogno di te” divino Redentore. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Davanti al presepe in cui giaci inerme cessino le tante forme di dilagante violenza, causa di inenarrabili sofferenze, si spengano i numerosi focolai di tensione, che rischiano di degenerare in conflitti aperti”. E’ la vibrante invocazione per la pace levata dal Papa nel giorno di Natale. Nel messaggio natalizio, trasmesso in mondovisione, il Pontefice ha pregato affinché “si rafforzi la volontà di cercare soluzioni pacifiche, rispettose delle legittime aspirazioni di uomini e popoli”:

 

Bambino di Betlemme, Profeta di pace, incoraggia i tentativi di dialogo e di riconciliazione, sostieni gli sforzi di pace che timidi, ma carichi di speranza, sono attualmente in atto per un presente e un futuro più sereno di tanti nostri fratelli e sorelle nel mondo.

 

Alle migliaia di fedeli, accorsi in piazza San Pietro nonostante la pioggia, il Papa ha così indicato quelle regioni del mondo, ferite dalla violenza, che hanno un posto particolare nel suo cuore. “Penso all’Africa, alla tragedia del Darfur in Sudan, alla Costa d’Avorio e alla regione dei Grandi Laghi”, ha detto. “Con viva apprensione – ha aggiunto – seguo le vicende dell’Iraq. E come non volgere uno sguardo di partecipe ansia, ma anche di inestinguibile fiducia, alla Terra di cui Tu sei Figlio?”. Pace, pace per l’umanità, ha esortato il Papa:

 

Dappertutto c’è bisogno di pace! Tu, che sei il Principe della vera pace, aiutaci a capire che l’unica via per costruirla è fuggire il male con orrore e perseguire sempre e con coraggio il bene. Uomini di buona volontà di ogni popolo della terra, venite con fiducia al presepe del Salvatore!

 

Prima della benedizione Urbi et Orbi, il Papa, instancabile, ha letto personalmente gli auguri natalizi in 62 lingue diverse, più volte interrotto dagli applausi dei fedeli. Al popolo italiano, ha augurato che il Natale possa essere fonte di “rinnovamento interiore” e di “autentico progresso sociale”.

 

(Canti)

 

Nel cuore della notte, in una Basilica di San Pietro gremita, Giovanni Paolo II aveva celebrato con emozione il mistero della Nascita del Signore. Nell’omelia della Messa di Mezzanotte, il Pontefice ha ricordato come Betlemme, nella lingua ebraica, significhi “casa del pane”. Là, dunque, doveva “nascere il Messia, che avrebbe detto di sé: “Io sono il pane della vita”.

 

A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù diventa, in questa Notte Santa, adorazione eucaristica.

 

(Canti)

 

Durante il suggestivo rito, ricco di simbolismi, si è pregato per la pace in Terra Santa e affinché i responsabili delle nazioni si impegnino a vincere il male con il bene. In quest’anno particolarmente dedicato all’Eucaristia, ha ricordato il Santo Padre, “adoriamo Te, Signore, realmente presente nel Sacramento dell’altare, Pane vivo che dai vita all’uomo. Ti riconosciamo come nostro unico Dio, fragile Bambino che stai inerme nel presepe!”. Per noi “viandanti sui sentieri del tempo”, ha detto ancora, “ti sei fatto cibo di vita eterna”, “uomo tra gli uomini”. Nella celebrazione del mistero della Natività di Gesù, il Pontefice ha così levato un’invocazione al nostro Salvatore:

 

L’intera umanità, segnata da tante prove e difficoltà, ha bisogno di Te. Resta con noi, Pane vivo disceso dal Cielo per la nostra salvezza! Resta con noi per sempre.

 

Nel Figlio della Vergine, ha ribadito il Papa, “riconosciamo e adoriamo il “Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo”.

 

(Canti)

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IERI POMERIGGIO, L’INAUGURAZIONE DEL PRESEPE

 IN PIAZZA SAN PIETRO, SEGNO DI FEDE IN DIO,

CHE A BETLEMME È VENUTO “AD ABITARE IN MEZZO A NOI”

- Ai nostri microfoni il cardinale Szoka e padre Battistelli -

 

 

Si è rinnovata per la 23.ma volta la tradizione voluta da Giovanni Paolo II del Presepe in Piazza San Pietro, inaugurato ieri pomeriggio alla presenza del cardinale Edmund Casimir Szoka, presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, e dell’ingegnere Massimo Stoppa, direttore generale dei Servizi Tecnici, con la diretta televisiva di Telepace in collegamento con Betlemme. Dopo l’inaugurazione del Presepe, il Papa – alla finestra del suo studio – ha acceso e benedetto il lume della pace. Il servizio di A.V.:

 

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(musica)

 

Richiamata dai canti, una piccola folla sfida il freddo e accorre attorno alla scena tradizionale della Natività, con elementi originali del 1842 provenienti dal Presepe di San Vincenzo Pallotti nella chiesa romana di Sant'Andrea della Valle. Alla vita quotidiana si ispirano genti e mestieri, oggetti, animali e doni, mentre all’antica etimologia ebraica di Betlemme “città del pane”, profezia del cenacolo, si riferisce il mulino posto al lato della capanna. Il cardinale Szoka:

 

E’ sempre un momento molto significativo e suggestivo per tutti noi che crediamo che Gesù è venuto come nostro Salvatore e nostro Redentore. La parola Betlemme significa “casa del pane” e in questo anno dell’Eucaristia ricordiamo qui l’Eucaristia in questa “casa del pane”. 

 

E’ il simbolo più importante del Natale, rappresentazione domestica o artistica, sacra o popolare. Così il Papa all’Angelus del 12 dicembre ha definito la centralità del Presepe: “E’ un elemento della nostra cultura e dell’arte, ma soprattutto un segno di fede in Dio, che a Betlemme è venuto “ad abitare in mezzo a noi”. E alla grotta di Betlemme rimanda la struttura ad arco del Presepe di Piazza San Pietro, mentre la fontana ricorda quella dell’annunciazione di Nazareth. Padre Giovanni Battistelli, già custode di Terra Santa, invita a visitare i luoghi della vita di Gesù.

 

Questa è un’occasione magnifica di essere ambasciatore per dire ai pellegrini di tornare a Betlemme perché non avranno difficoltà e sapremo accoglierli come messaggeri di pace e artefici di comprensione e di dialogo.  

 

Un invito confortato dalla recente dichiarazione congiunta dei ministri del Turismo di Israele e Palestina, che agevoleranno l’ingresso dei pellegrini cristiani quali sentinelle della Pace in Terra Santa.

 

(Canti)

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 dicembre 2004

 

 

NATALE NEL MONDO

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

In Terra Santa, migliaia di fedeli hanno partecipato alla messa di mezzanotte nella Basilica della Natività, a Betlemme. Durante la cerimonia, il patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, ha denunciato l’occupazione israeliana e la barriera di sicurezza costruita dal governo di Tel Aviv in Cisgiordania. Preghiamo – ha detto il patriarca - perché cadano tutti i muri: quelli attorno a Betlemme, alle altre città palestinesi e nei nostri cuori. Alla messa ha assistito anche il leader palestinese Abu Mazen, candidato favorito alle presidenziali del prossimo 9 gennaio nelle quali sono riposte le speranze di pace per i Territori. Ma sul terreno non si interrompe la violenza: un membro delle Brigate dei martiri di Al Aqsa è stato ucciso stamani da soldati israeliani a Jenin. Difficile anche la situazione di Betlemme, colpita da una profonda crisi economica, dal crollo del turismo e da un vertiginoso aumento dell’emigrazione cristiana. Ascoltiamo in proposito padre Ibrahim Faltas, parroco a Gerusalemme della parrocchia latina della Città Santa, intervistato da Francesca Sabatinelli:

 

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R. – Un solo messaggio per tutti i cristiani, per tutto il mondo: tornate in Terra Santa! I cristiani, vostri fratelli nella fede, hanno bisogno di voi. Qui è tutto calmo, tutto tranquillo, non c’è da aver paura. La Terra Santa non è la Strisca di Gaza; la Terra Santa non è Khan Younis. Tutti i Luoghi Santi possono essere visitati: in questi giorni si può andare a Betlemme e perfino ad Hebron! Sarebbe veramente un gesto di grande solidarietà, di grande incoraggiamento per i cristiani locali: significherebbe per loro che il mondo non li ha dimenticati. Il problema dei cristiani di Terra Santa è che tutti lavoravano nel settore del turismo. Ora, con il turismo bloccato, la loro situazione è difficilissima...

 

D. – Ritiene che la situazione sia così grave, soprattutto per i cristiani?

 

R. – La situazione per i cristiani è veramente molto difficile. Nella zona di Betlemme, i cristiani stanno andando via. E da Gerusalemme sta andando via un numero ancora maggiore di cristiani. La nostra preoccupazione è che alla fine i Luoghi Santi rimarranno senza cristiani locali. A quel punto diventeranno musei senza cristiani. Questo nostro timore deve però diventare anche la preoccupazione degli altri cristiani del mondo ...

 

D. – Secondo lei, si può parlare di un Natale diverso, di uno spirito diverso che accompagna queste feste? Forse c’è un po’ più di speranza ...

 

R. – C’è un po’ di speranza. Penso che adesso, dopo le elezioni, si tornerà al tavolo dei negoziati e si riprenderà il dialogo. Credo che le cose andranno molto meglio rispetto agli ultimi quattro anni, da quando è iniziata quest’ultima Intifada. Abu Mazen è un moderato ed è benvoluto da tutti. Ha le idee chiare e penso che si inizierà a fare qualcosa in favore della popolazione palestinese, che ha conosciuto solo Yasser Arafat come leader. La gente non lo dimenticherà mai, ma seguiranno il nuovo governo; anche gli israeliani, per il bene del loro popolo, devono impegnarsi perché così non possono farcela: anche loro hanno sofferto!

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Scarsa partecipazione alle cerimonie natalizie in Iraq, dove circa 700 mila cristiani non festeggiano collettivamente il Natale per la mancanza di sicurezza, soprattutto dopo gli ultimi sanguinosi attentati, che non hanno risparmiato neanche le chiese. Non è stata celebrata la messa di mezzanotte, perché dopo il tramonto è pericoloso scendere in strada e in molte città vige il coprifuoco. Nel Paese arabo, intanto, sono stati sequestrati due cittadini turchi ed è salito a sei morti il bilancio dell’attentato compiuto ieri sera nei pressi dell’ambasciata libica a Baghdad, nel quartiere al Mansour. Sul difficile Natale in Iraq, ascoltiamo il vescovo caldeo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni.

 

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R. –    Non c’è pace, non c’è sicurezza: tutti quanti siamo in pericolo. Pregheremo per chiedere a quel Bambino che ci dia la pace, che dia ai nostri bambini la sicurezza ma anche per dire “no” a tutta l’ostilità che sentiamo, al terrorismo, agli ordigni disseminati nelle chiese, nelle moschee.

 

D. – Mons. Warduni, in questa situazione c’è più pessimismo per quello che sta accadendo o c’è comunque un filo di speranza anche in vista delle elezioni?

 

R. – Non userei il termine pessimismo ma sicuramente non siamo tranquilli. In modo particolare vengono prese di mira le nostre chiese per colpire noi cristiani iracheni, i cristiani occidentali e gli americani. E’ questo che ci fa male. La nostra speranza è riposta nelle elezioni del prossimo 30 gennaio. L’auspicio è che sia una consultazione positiva per gli iracheni e per l’Iraq. Il cristianesimo è pieno di speranza, anche se la situazione resta drammatica: non si può nemmeno immaginare la vita delle persone in questo Paese! Adesso non si ha fiducia in nessuno e le armi sono ovunque. Per questo la nostra speranza risiede nel Signore, nelle vostre preghiere e nell’aiuto che ci dà il Santo Padre incoraggiandoci, pregando per noi e parlando sempre in favore della pace e dei diritti umani in Iraq.

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In occasione del Natale, il presidente pakistano Musharaff ha invitato i fedeli delle religioni del mondo a lavorare per la pace. “Oggi - ha detto il capo di Stato del Pakistan - è più importante che mai eliminare nel mondo la sfiducia e le incomprensioni tra i fedeli delle diverse religioni”. Ma nel Paese non si fermano le violenze: l’esplosione di una bomba ha provocato stamani la morte di una persona nei pressi della frontiera con la regione tribale del Waziristan.

 

Domani si terrà in Ucraina il ballottaggio tra il candidato filo russo Yanukovic e quello filo occidentale Yushenko, dato per favorito dai sondaggi. Lo ha assicurato il presidente della Commissione elettorale dopo la decisione della Corte costituzionale di giudicare non conformi alla costituzione alcuni emendamenti alla legge elettorale. Le Chiese orientali, che seguono il calendario giuliano, festeggiano il Natale il prossimo 7 gennaio.

 

“Facciamo in modo che questo sia un Natale di pace. Continuiamo a pregare per la pace e lasciamola entrare nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nel nostro Paese”: lo chiedono i vescovi dell’Uganda nel loro messaggio per il Natale. I presuli, che hanno recentemente visitato le popolazioni del nord e dell’est del Paese “per condividere la loro vita e le loro sofferenze”, hanno anche sottolineato come gli sforzi del governo per dialogare con i ribelli rappresentino una pietra miliare nella ricerca della pace. Sul Natale in Uganda, la testimonianza di padre Tarcisio Pazzaglia, missionario comboniano nel Paese africano:

 

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R. – Qui nel Nord Uganda, a cento chilometri dal confine con il Sudan, la guerra è una drammatica realtà. Ma ieri sera la chiesa era ugualmente piena di gente. Sono andato a pregare in un campo profughi appena tramontato il sole e mi sono sentito come l’Angelo che annuncia ai pastori: “Vi porto una buona notizia”. Tutta questa gente, oltre 16 mila persone, che vivono in questo campo profughi vivono anche loro la notizia che Dio è venuto tra noi. La partecipazione di questa notte è stata fortissima. Oggi sono in viaggio per raggiungere un altro campo profughi, dove sarà presente moltissima gente. Dopo la preghiera non ci saranno pranzi come avviene in Italia, ma la gioia delle famiglie è un segnale di speranza nonostante la situazione difficile e la paura.

 

D. – Il Natale in Africa e soprattutto in Uganda è vissuto con il dramma della guerra ma anche con molta speranza…

 

R. – Il dramma della guerra è sempre presente. Ho ricevuto ieri la notizia che il mio catechista, sequestrato lunedì scorso, è stato ucciso. I suoi bambini non si sa dove siano, forse sono ancora in mano ai ribelli. Tutti i giorni ci sono notizie di questo tipo. Malgrado questo, gli africani vivono questa situazione di sofferenza, senza dimenticare la loro vita di comunità e di solidarietà. Quindi, se da una parte c’è tristezza, dall’altra c’è questo collante della solidarietà e della condivisione.

 

D. – Padre, vuole rivolgere un augurio speciale?

 

R. – Noi aiutiamo tanti bambini, tanti orfani. Tutto questo lo facciamo perché c’è gente che dall’Italia ci aiuta. Dico grazie a loro e Buon Natale. Invito tutti ad essere solidali con questa gente che non ha tutto quello che abbiamo noi.

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Restiamo in Africa: nella Repubblica democratica del Congo il vicario generale della diocesi di Bunia, mons. Diedonné Uringi ha rivolto un accorato appello ai fedeli della martoriata regione nordorientale dell’Ituri. “La nascita di Cristo – si legge nel messaggio - deve donarci un nuovo volto: è tempo di abbandonare la guerra, le divisioni, le discriminazioni sociali, tribali e razziali e di creare finalmente un’unica famiglia”.

 

In Brasile, il messaggio natalizio della Conferenza episcopale brasiliana è incentrato sul tema della pace. “Ad ostacolare la vera pace - si legge nel testo - sono tutte le forme di prepotenza dei più forti contro i più deboli, come la guerra e gli atti di terrorismo, i massacri, le azioni di violenza contro i popoli più fragili e indifesi”. “La nascita di Gesù - aggiungono i vescovi - è una buona notizia per tutti coloro che amano e promuovono la pace”. Sul messaggio dei presuli brasiliani per il Natale, ascoltiamo padre Odylo Scherer, segretario della Conferenza episcopale e vescovo ausiliare di San Paolo, intervistato da Christiane Murray:

 

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R. – La Conferenza dei vescovi brasiliani ha diffuso il messaggio di Natale, centrato sul tema della pace e del superamento della violenza. Il nostro Paese è sconvolto, infatti, da un aumento della violenza. Allo stesso tempo, però, sono in atto molte iniziative positive che mirano a risvegliare e sviluppare una cultura della pace per il superamento di ogni violenza. Sono tante le organizzazioni nella società civile impegnate in questo obiettivo. E notevole è anche lo sforzo della Chiesa cattolica. Il Consiglio delle Chiese cristiane in Brasile ha lanciato una campagna contro la violenza ed incentrata sul tema della pace. Lo stesso governo brasiliano sta cercando di mettere in atto un piano per la consegna volontaria delle armi: la gente che possiede un’arma è invitata a consegnarla spontaneamente. La conferenza episcopale ha voluto – per tutte queste ragioni – lanciare questo messaggio di Natale, proprio quando ricordiamo la nascita di Gesù, il Principe della Pace, invitando tutta la gente a collaborare positivamente in questo risveglio della cultura della pace. Credo che questo sia veramente un contributo importante per annunciare il Vangelo della vita e della pace.

 

D. –  Lei ha parlato di una campagna di fraternità ecumenica per il 2005. E questo si ricollega al messaggio del Papa quando ha invitato tutti ad un comportamento improntato all’esercizio di responsabilità individuale e collettiva, una sorta di unione fra tutti per la ricerca del bene…

 

R. – La Campagna della fraternità per il prossimo anno ha come tema “Solidarietà e pace” ed è un’iniziativa ecumenica, promossa dal Consiglio nazionale delle Chiese cristiane. E’ necessario unire le forze e gli sforzi per promuovere ciò che è buono e risvegliare nella società quelli che sono i buoni sentimenti. Bisogna risvegliare quelle forze positive spesso nascoste e a volte soffocate, aspettando il momento opportuno per rendersi partecipi alla costruzione del bene. L’invito rivolto dal Papa a tutta l’umanità si muove proprio su questa linea. Bisogna cercare la pace senza porre differenze di colore, religione o di razze. E’ quindi compito di tutti vegliare ed unirsi nella costruzione del bene.

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         In India, il Natale è una festa alla quale partecipano in modo diverso persone di tutte le religioni. In Cina, la polizia ha impedito ieri a Pechino lo svolgimento di una cerimonia organizzata da fedeli cristiani per celebrare la vigilia. In Arabia Saudita il Natale non si celebra ufficialmente. I cristiani che si trovano nel Regno saudita, soprattutto lavoratori stranieri, si radunano in silenzio e spesso in segreto. Come festeggiano, dunque, i cristiani il Natale in Asia? Risponde il direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera:

 

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R. - Il Natale in Asia si festeggia in tanti Paesi, anche dove i cristiani sono una minoranza. Naturalmente, i cristiani in questo continente cercano di vivere il significato religioso del Natale. Mi ha colpito in particolare una testimonianza di alcuni cristiani dell’Uzbekistan che dicono di essere gli unici che festeggiano e conoscono il significato del Natale come celebrazione della nascita di Gesù. Poi ci sono i Paesi dove il Natale è più controllato, per esempio in Vietnam e in Cina. I governi di questi Stati cercano addirittura di controllare il numero dei partecipanti alle Messe. Molti cinesi sono interessati anche se sono atei, buddisti o taoisti, a capire di più il valore del Natale.

 

D. – Come si festeggia, invece, il Natale nei Paesi dove è più forte la presenza cristiana, come India e Filippine?

 

R. – Nelle Filippine il Natale viene festeggiato quasi per un mese intero ed è un Natale all’insegna della solidarietà. In India il Natale viene festeggiato dai cristiani, rispettato da molta parte della popolazione, ma in alcune regioni c’è invece il pericolo di un conflitto con i fondamentalisti indù.

 

D. – Quali sono dunque le luci e le ombre del Natale in Asia?

 

R. – Anche nei Paesi dove la Chiesa è perseguitata, come la Cina, oppure in Paesi islamici dove è tenuta più sotto controllo, come in Indonesia, Malesia o in Bangladesh, ci sono molti giovani interessati a conoscere la fede. Questo è un segno di luce perché Gesù è venuto per loro. Nello stesso tempo, però, penso che la parte del leone nel cercare di soffocare la festa di Natale la faccia soprattutto la Cina offrendo un Natale consumistico. In questo modo viene dimenticato completamente il Natale religioso.

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“Nel pieno delle preparazioni al Natale siamo stati colpiti dalla tragedia dei tifoni e delle piogge torrenziali che hanno sepolto interi villaggi e famiglie nel nord; questo è stato il nostro Avvento, ma tutto il Paese si è mobilitato per aiutare le vittime e la solidarietà si è moltiplicata”. Lo ha detto ieri padre Angel Calvo, missionario claretiano che si trova nel sud dell’arcipelago filippino, ricordando le recenti inondazioni che hanno causato nelle Filippine oltre 1.400 vittime.

 

Chiudiamo questo spazio dedicato al Natale nel mondo con l’augurio di padre Luciano Capelli, salesiano che si definisce il missionario più lontano del mondo da quando si trova nelle Isole Salomone. Qui il Natale – dice il missionario all’agenzia missionaria MISNA - è privo di qualsiasi matrice consumistica ed è un evento davvero speciale per la sua semplicità e la sua umanità.

 

OGGI, NELLA BASILICA ROMANA DI SANTA MARIA IN TRASTEVERE,

 IL TRADIZIONALE PRANZO DI NATALE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO

 PER I POVERI DELLA CITTA’

- Intervista con Claudio Betti -

 

Anche quest’anno la Comunità di Sant’Egidio rinnova la tradizione del pranzo di Natale con i poveri. A Roma, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, e in tutte le sedi in Italia e all’estero della Comunità, centinaia di bisognosi stanno vivendo nel calore umano la Venuta del Signore. Ma quali sono i significati di quest’iniziativa? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Claudio Betti della Comunità di Sant’Egidio:

 

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R. – Senza dubbio è un Natale un po’ particolare, in cui il mondo è in guerra. E’ un Natale in cui tanti attendono una speranza di pace. Credo che la nostra iniziativa vada proprio inserita in questo spirito. Penso che bisogna rileggere insieme il Vangelo e mi viene in mente il primo capitolo di Giovanni: veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Nel mondo oggi ci sono tanti che aspettano la luce vera, diversa dalle tante luci false che spesso ci abbagliano.

 

D. - Questa iniziativa riesce a valicare i confini del nostro Paese per lanciare un messaggio particolare di pace a tutto il mondo?

 

R. – Sì, certo. Ormai è nata molti anni fa con un piccolo gruppo di anziani a Trastevere, con un solo tavolo. Oggi invece ce ne sono almeno 50. L’iniziativa si è sparsa lentamente in tutta la città di Roma, poi in Italia, e ormai da qualche anno è in tutto il mondo. Laddove c’è una Comunità di Sant’Egidio c’è un Natale passato con i poveri. Perché fare festa con i poveri oggi è imbandire una tavola dove finalmente Gesù che viene è accolto e non lasciato fuori al freddo.

 

D. – La Comunità di Sant’Egidio già da diversi anni ha evidenziato la nascita delle cosiddette nuove povertà…

 

R. – Certamente. E’ un trend che ormai noi abbiamo cominciato a vedere da tempo. Noi abbiamo questa mensa a Via Dandolo che accoglie stranieri, immigrati, ma sempre di più si notano anziani italiani che alla fine del mese cominciano a venire alla mensa. C’è proprio una difficoltà di arrivare alla fine del mese. E questo genera tutta una serie di problemi per questi anziani che hanno vissuto una vita dignitosa e che alla fine della loro vita, quando dovrebbero invece essere amati di più, si ritrovano soli e abbandonati. Noi abbiamo questo centro di accoglienza per gli italiani. Quindi, non si tratta di stranieri, si tratta di queste nuove povertà che sono nascoste. Abbiamo distribuito 50 mila pacchi, viveri, per gli italiani in un anno. Vuol dire che 50 mila persone sono venute a prenderli al nostro centro. Abbiamo distribuito 50 tonnellate di vestiario in un anno.

 

D. – Alla fine del pranzo, proprio per simboleggiare questo vostro impegno, c’è un pacco dono per ognuno…

 

R. – Sì, già ieri siamo stati in giro per tutte le stazioni, per tutti i luoghi dove i poveri vivono la notte di Natale, quindi per strada, e abbiamo distribuito a ciascuno un pasto caldo e un regalo. Oggi, alla fine del pranzo, ognuno riceverà un pacco dono con il proprio nome. L’anno scorso una signora, parlando dopo aver ricevuto questo pacco ad una signora che veniva per la prima volta, ha detto: “Questo può essere solo un dono di Dio, perché nessuno conosce il mio nome se non il Signore”.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani, domenica 26 dicembre, la Chiesa celebra la Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. La liturgia ci presenta il brano evangelico in cui un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe e gli dice:

 

“Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. 

 

Sulla Festa della Santa Famiglia ascoltiamo il commento del teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:

 

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Dio si fa conoscere attraverso la Creazione. Tutto il Creato ha il suo senso nel parlarci di Dio e orientarci a Lui. Dio si rivela anche o soprattutto nella storia, attraverso le vicende degli uomini e dei popoli, ma la suprema rivelazione Dio l’ha riservata alla Famiglia, facendo nascere suo Figlio Gesù Cristo in una famiglia. La famiglia è una realtà complessa, è una realtà di relazioni che affondano e nascono dall’amore, ma che sono in pieno travagliate dal peccato dell’umanità. Un amore che attraversa i conflitti, i drammi, le lacerazioni, tante lacrime, silenzi prolungati, offese, ferite e realtà di un difficile intreccio tra sangue, eredità, psicologia e il cammino della salvezza, cioè la vittoria dell’amore. Dio è amore e perciò è entrato nel mondo attraverso l’ambito costituito dall’amore: la Santa Famiglia di Nazareth. E’ l’orizzonte su cui Dio sta purificando e salvando ogni famiglia umana.

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CHIESA E SOCIETA’

25 dicembre 2004

 

 

IN UN MONDO SEGNATO DA “TROPPE GUERRE IRRISOLTE” E DALLO “STILLICIDIO DEL TERRORISMO”, “IL NATALE E’ QUELLA SPERANZA CHE MUOVE I PROGETTI PER IL FUTURO E ANIMA LE VISIONI DEL DOMANI”. COSI’, IL PROF. ANDREA RICCARDI, FONDATORE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO, NELL’EDITORIALE DELL’OSSERVATORE ROMANO DI OGGI

- A cura di Roberta Moretti -

 

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ROMA. = “Si riaccende la speranza”: è questo il titolo dell’editoriale sull’Osservatore Romano di oggi, firmato dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio,. “Il Natale – si legge – parla agli uomini e alle donne che vivono su scenari in rapido cambiamento”. Se la mangiatoia “ricorda amaramente la persistente inospitalità degli uomini verso il Signore”, il Vangelo di oggi “rammenta soprattutto la grande fedeltà di Dio nel suo riproporsi ad un’umanità distratta, talvolta disperata, altre volte dimenticata”. E nella “coltre consumistica”, specie delle “nostre società occidentali”, è questa fedeltà che la Chiesa celebra ogni anno a Natale. Il Presepe, allora, rimane l’espressione “di un genio che ha sentito vicino l’evento” e ne ha riprodotto le sembianze con scenari differenti. Un’arte, questa, che “è stata quasi un’educazione per generazioni a sentire il Natale vicino”, scrive Riccardi. Ma il Natale è anche un invito a “non temere” di prendere con sé il Bambino: “in tanta debolezza sta una forza più grande che il mondo non conosce”. E’ la forza di una vita che nasce: “E’ quella speranza che muove i progetti per il futuro e anima le visioni del domani”. “Ed oggi – aggiunge il professore – di visioni e di progetti non ce ne sono molti. Basta guardare gli scenari internazionali, segnati da troppe guerre irrisolte e dallo stillicidio del terrorismo”. Ma contro questa “paura del futuro, mentre ci si piega preoccupati sul presente”, la Chiesa “con grande gioia celebra la festa del Natale e chiama tutti a ritornare alle fonti della nostra speranza, cioè a quel Gesù che nasce tra noi”. E lo fa “attraverso i Vangeli del Natale, dove si parla di uomini che andarono a vedere quell’evento e cedettero”. Un evento “di fronte a cui provare stupore”, sottolinea Riccardi, “lo stupore di una fede che rinasce dinnanzi alla visione del Figlio di Dio”. “Il Natale – continua – non è un’imposizione in un mondo in cui tutti fanno la voce grossa: è un gioioso invito”. “E un invito a credere, quindi a sperare”. E la Chiesa lo propone con convinzione e con grande semplicità. “Sulla bocca sembra quasi di sentire le parole del profeta Zaccaria: ‘Chi oserà disprezzare il giorno di così modesti inizi?’ Noi crediamo – conclude il professore – che il giorno di modesti inizi, quello del Natale, cominci a dischiudere i cuori alla visione di un nuovo cielo e una nuova terra”.

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NEL MONDO LA GIOIA DEL NATALE VIENE DETURPATA DA TROPPE VIOLAZIONI DELLA

 DIGNITA’ DELLA PERSONA. E’ IL RICHIAMO DEL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI,

 ARCIVESCOVO DI MILANO, NELL’OMELIA DELLA MESSA DI MEZZANOTTE IN DUOMO

 

MILANO. = “L’affascinante bellezza del Natale viene deturpata, così come la gioia indescrivibile che da esso si sprigiona viene messa a dura prova dalle tante e troppe forme di violazione della insopprimibile dignità della persona”. A sottolinarlo, nell’omelia della messa di mezzanotte nel Duomo di Milano, è stato l’arcivescovo del capoluogo lombardo, il cardinale Dionigi Tettamanzi. “Il Natale, in questo suo volto così umano e insieme così religioso – ha affermato il porporato – viene drammaticamente sconvolto e sfigurato, nel nostro mondo, da una folla enorme di persone misconosciute e calpestate nella loro nativa dignità e nei loro sacrosanti diritti umani.” E’ la “folla incalcolabile dei poveri, dei miseri, degli abbandonati, degli emarginati, dei privati di cibo, di medicine e di cultura, dei disperati, di quanti, innocenti, abitano in terre sconvolte da odio, violenza, guerra e terrorismo. Il cardinale ha poi sottolineato come il Natale solleciti ad uno sguardo particolare sulla situazione dei più piccoli: “E’ quanto mai ampia – ha avvertito - la sorte triste, penosa e spesso spaventosa dei bambini non ancora nati e già rifiutati; dei bambini che soffrono e sono minacciati, che patiscono la miseria, muoiono a causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime della guerra e talvolta ne diventano persino protagonisti”. Il porporato ha anche ricordato i “bambini abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del calore di una propria famiglia; i bambini che subiscono molte forme di violenza e di prepotenza da parte degli adulti; i bambini non rispettati nel corpo e nell’anima”. “Come dimenticare – ha poi evidenziato nell’omelia – che quella presa dal Figlio di Dio da Maria è una carne umana fragile, povera, vulnerabile, provata e sofferente, una carne mortale?” “Proprio con questa carne – ha spiegato – Dio dice a tutti noi il suo amore tenerissimo e forte e, insieme, la sua volontà di partecipare in modo radicale al dolore del mondo”. “Un Natale celebrato così – ha concluso l’arcivescovo di Milano – ci apre ad una sorpresa che ci rianima e ci infonde una gioia imperturbabile: quella di sentirsi guardati nei nostri occhi dagli occhi di Gesù. E non è in questo scambio di sguardi tutto il Natale che ci salva? Sia veramente così per tutti noi”. (R.M.) 

 

 

“CHE IL NATALE SIA UN MOMENTO DI RIFLESSIONE PER LE AUTORITÀ

GUATEMALTECHE”. E’ L’AUSPICIO DELL’ARCIVESCOVO DI CITTÀ DEL GUATEMALA, IL CARDINALE RODOLFO QUEZADA TORUÑO, PARLANDO AL CLERO DELLA SUA DIOCESI SULLA SITUAZIONE NEL PAESE, SEGNATO DA “CRISI ECONOMICA, INSICUREZZA E MANCATA APPLICAZIONE DEGLI ACCORDI DI PACE CHE NEL 1996 MISERO FINE A 36 ANNI DI GUERRA CIVILE”

 

CITTA’ DEL GUATEMALA. = Un Natale, senza eccessi, dedicato alla famiglia, ma che sia anche un momento di riflessione per le autorità su come stanno governando il Guatemala. E’ l’auspicio che l’arcivescovo di Città del Guatemala, il cardinale Rodolfo Quezada Toruño, ha formulato per il Natale al termine di un incontro con il clero della sua arcidiocesi. Il porporato ha tracciato un bilancio del 2004, primo anno di governo del presidente Oscar Berger, “segnato dall’insicurezza, dalla crisi economica e da mancanze nell’applicazione degli accordi di pace che nel 1996 misero fine a 36 anni di guerra civile”. “É stato un anno difficile e mi dispiace delle polemiche sorte con il governo”, ha proseguito l’arcivescovo, riferendosi, in particolare, a un suo recente pronunciamento sulla necessità di controllare lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo, contestato dall’esecutivo. “Ho creduto che fosse mio dovere intervenire. Noi vescovi non siamo esperti su temi come l’estrazione mineraria, ma conosciamo bene le condizioni in cui vive il nostro popolo e le difficoltà che è costretto ad affrontare”. “È tempo che i guatemaltechi cerchino nuove strade per una convivenza sociale più solidale e meno di scontro, per creare una nazione capace di risolvere i propri problemi partendo dal principio del bene comune”, ha sottolineato. Il porporato è intervenuto anche a proposito del recente aumento del salario dei membri del Parlamento: “Non è un momento opportuno per decisioni simili. Auspichiamo che i deputati nel 2005 compiano il loro dovere perché l’agenda di lavoro è molto intensa e solo rispettandola il Paese potrà progredire”. “Mi auguro – ha concluso – che il Natale ci faccia riflettere tutti rispetto alle azioni da compiere per migliorare”. (R.M.)

 

 

“IN QUESTO NATALE DELL’ANNO DELL’EUCARISTIA LASCIAMOCI CIRCONDARE DALL’AMORE ‘ECCESSIVO’ DI DIO”. E’ L’INVITO DEL VESCOVO DI HONG KONG, MONS.

JOSEPH ZEN, NEL SUO MESSAGGIO DI NATALE, RIVOLTO IN MODO SPECIALE

A SACERDOTI, PADRI DI FAMIGLIA E GOVERNANTI

 

HONG KONG. = “L’amore di Dio non fallisce, sta a noi dargli il benvenuto, la conversione consiste solamente nel compiere un passo”, esorta il vescovo di Hong Kong, mons. Joseph Zen, nel suo messaggio di Natale. Dio “ha deciso di venire in mezzo a noi come nostro fratello, amico e compagno di viaggio. Il suo nome è Emmanuel, Dio con noi”, ricorda il presule. “Persino al termine del Suo pellegrinaggio terreno, Egli non ha voluto lasciarci e ha inventato una meravigliosa forma per rimanere con noi, nascondendosi nel sacramento dell’Eucaristia”. “In questo Natale dell’Anno dell’Eucaristia – prosegue - lasciamoci allora circondare dall’‘eccessivo’ amore di Dio”. Il vescovo di Hong Kong invita a vedere Gesù in ciascuna persona, imitando l’esempio del “Buon Samaritano”. Questo Gesù, “presente in noi”, “deve essere esempio in special modo per i pastori, i padri e i leader della società”. Ai sacerdoti, mons. Zen chiede che si consacrino al loro “gregge” e siano disposti a sacrificarsi in sua difesa, dedicandogli “tempo ed energia”. Ai padri e alle madri di famiglia ricorda che “la loro presenza e compagnia è più preziosa” per i figli “che qualsiasi altro regalo che si possa offrire loro”. “Servitori del popolo” devono essere invece i leader della società: la vicinanza alla gente “non dovrebbe essere una semplice tattica, quanto una attitudine sincera”, e tutti i politici dovrebbero basare il proprio agire sul “benessere” della gente. Oltre alla ferita inflitta dal fattore economico e dalla difficile relazione con Pechino e con il governo locale, mons. Zen constata che la società di Hong Kong ha visto emergere recentemente molti problemi. E conclude: “Non ci dobbiamo disperare. L’amore di Dio non fallisce, dipende da noi dargli il benvenuto”. (R.M.)

 

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