RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 116 - Testo della trasmissione di domenica 25 aprile 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“E’ l’amore per Cristo il segreto della santità”: lo ha detto Giovanni Paolo II questa mattina, in Piazza San Pietro, nel presiedere la Messa di beatificazione per sei Servi di Dio. L’appello del Papa per una rapida via di pace per la Colombia.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’Austria alle urne per scegliere il nuovo capo dello Stato. Intervista con Erich Leitenberger

 

La lunga tornata elettorale dell’India, tra violenze e voglia di riscatto sociale. Ne parliamo con Federica Calegari

 

In Sudafrica, Thabo Mbeki pronto per il nuovo mandato presidenziale. Ai nostri microfoni, Laura Mezzanotte

 

Chiusa tra luci e ombre, a Ginevra, la 60.ma sessione della Commissione Onu per i diritti umani: il commento dell’arcivescovo Silvano Tomasi

 

Oggi, in Italia, le celebrazioni per l’80.ma Giornata dell’università cattolica. Con noi il prof. Lorenzo Ornaghi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il Sudan smentisce che nella regione del Darfour sia in corso un genocidio

 

Incontri di preghiera a Cuba per invocare la liberazione dei dissidenti politici

 

Si celebra oggi la “Giornata mondiale della malaria in Africa”, indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

 

Il presidente italiano Ciampi conferisce le onorificenze al valore civile e militare nel 59.mo anniversario della Liberazione

 

Assegnato venerdì scorso il “Premio città di Melfi”.

 

24 ORE NEL MONDO:

Infinita scia di sangue in Iraq: uccisi 4 bambini a Baghdad, altre vittime a Mossul. Ieri razzi contro la base italiana a Nassirya

 

Finisce con un “no” il referendum per la riunificazione dell’isola di Cipro. Delusa la comunità internazionale.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 aprile 2004

 

 

 

IL PAPA HA PROCLAMATO SEI NUOVI BEATI DAVANTI A 20 MILA PERSONE

IN PIAZZA SAN PIETRO. APPELLO PER LA PACE IN COLOMBIA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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“E’ l’amore verso Cristo il segreto della santità”. La chiosa dell’omelia di Giovanni Paolo II è anche la migliore presentazione della solenne cerimonia di beatificazioni che questa mattina – in una Piazza San Pietro dai colori più autunnali che primaverili – ha visto elevare agli altari sei nuove modelli di santità, di amore verso Dio, di servizio ai poveri. Decine di migliaia di pellegrini di molte parti del mondo si sono strette attorno al Papa per riflettere sulle sei esistenze che - dalla Polonia alla Colombia, dalla mondanità di una vita a corte alla spoglia essenzialità di un villaggio amazzonico – sono diventate oggi, secondo la definizione del Pontefice, “esempi eloquenti di come il Signore trasformi l’esistenza dei credenti quando ci si fida di Lui”.

 

Vissuti tutti tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, i sei nuovi Beati – un sacerdote, cinque religiose e una laica – sono stati ricordati dal Papa nei tratti salienti della loro vita, sintetizzati nell’omelia che il Pontefice ha letto per intero in quattro lingue. Circostanze ed epoche diverse, ambienti culturali e religiosi e lontani, ma corde di santità simili: Giovanni Paolo II ha indicato nel giovane principe polacco, Augusto Czartoryski - divenuto sacerdote salesiano - un modello di profondità spirituale per i giovani, capace di discernere con chiarezza la volontà di Dio lungo gli anni della sua scelta vocazionale e poi del suo ministero. “Miei cari giovani amici – ha detto il Pontefice - imparate dal beato Augusto a chiedere ardentemente nella preghiera la luce dello Spirito Santo e guide sagge, affinché possiate conoscere il piano divino nella vostra vita e siate capaci di camminare sempre sulla via della santità”. Anche la spagnola Suor Eusebia Palomino, salesiana delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha messo in evidenza tratti analoghi:

 

“CON LA RADICALIDAD Y LA COHEREN­CIA DE SUS OPCIONES...                         

Con la radicalità e la coerenza delle sue scelte, suor Eusebia Palomino Yenes traccia un cammino affascinante ed esigente di santità per tutti noi e soprattutto per i giovani del nostro tempo”.

 

Il ricordo delle virtù di suor Laura Montoya, fondatrice della Congregazione delle Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena - chiamata dal Pontefice “madre di tutti gli indigeni” per la sua opera in favore delle tribù colombiane - ha permesso a Giovanni Paolo II di levare un appello per la popolazione del Paese latinoamericano. “Ispirandoci al suo messaggio di pace – ha esclamato il Papa tra gli applausi – le chiediamo oggi che l’amata Colombia goda presto di pace, di giustizia e di progresso a tutti i livelli”.

 

Altre due figure femminili, tra le nuove Beate, hanno fatto risaltare l’aspetto del servizio alle fasce più disagiate della società, vissuto nel nome di Cristo. La messicana Guadalupe García Zavala rinunciò al matrimonio e fondò un Istituto per dedicarsi ai più bisognosi e ai malati: la Congregazione delle Serve di Santa Margherita Maria e dei poveri. Un impegno che, quasi negli stessi anni, condivise l’italiana Nemesia Valle, religiosa delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret:

 

“E’ l’esempio di una santità luminosa, protesa alle alte vette della perfezione evangelica, e che si traduce nei semplici gesti della vita quotidiana interamente spesa per Dio”.

 

Una laica, infine, Alexandrina Maria da Costa: la terza salesiana nel gruppo dei Beati di oggi. La sua fu un’esistenza segnata dal dolore prodotto da una caduta e dalla progressiva paralisi che ne seguì. Il Pontefice ne ha ricordato lo straordinario spessore spirituale, che la portarono a sperimentare in modo mistico, nell’arco di quattro anni e per 182 volte, le sofferenze della Passione di Gesù:

 

“Come Pietro, come gli Apostoli sulle rive del lago di Tiberiade, anche questi nuovi Beati hanno fatto propria, portandola alle estreme conseguenze, questa semplice ma incisiva professione di fede e di amore. L’amore verso Cristo è il segreto della santità!”

 

Al termine della Messa, Giovanni Paolo II ha intonato la preghiera del Regina Coeli, salutando tutti i vari gruppi nazionali presenti in Piazza San Pietro, ricambiato da numerose manifestazioni di affetto da parte dei presenti. Ai suoi connazionali, ha indicato nel beato Augusto Czartoryski “un nuovo patrono” ed ha rivolto un pensiero speciale alla famiglia del Beato, presente nella piazza, conosciuta da vicino negli anni dell’episcopato a Cracovia. Infine, rivolgendosi alla Madonna, il Papa ha concluso la preghiera con questa implorazione:

 

“Che la famiglia umana possa trovare le vie della giustizia e della pace”.

 

(canto)

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 aprile 2004

 

 

L’AUSTRIA SCEGLIE IL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

- Intervista con Erich Leitenberger -

 

Oltre 6 milioni di austriaci sono chiamati oggi alle urne per eleggere il successore di Thomas Klestil alla presidenza della Repubblica. In lizza sono il socialdemocratico Heinz Fischer, uno degli esponenti più autorevoli dell’opposizione, e la popolare Benita Ferrero-Waldner, che deve il suo successo politico all’attuale cancelliere Wolfgang Schuessel. Alle ore 10 di questa mattina a Vienna - che da sola comprende un quinto dell'intera popolazione – si era recato a votare quasi il 15% degli elettori: un dato migliore rispetto alle presidenziali del ’98, quando alla stessa ora aveva votato il 14% degli aventi diritto. Da un punto di vista politico, il voto avrà un impatto rilevante soprattutto per i popolari di Schuessel, che alle amministrative del mese scorso hanno perso in due regioni. Ma chi sono i candidati presidenziali? Giada Aquilino lo ha chiesto a Erich Leitenberger, direttore dell’agenzia di stampa cattolica austriaca ‘Kath Press’:

 

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R. – Sono due personaggi da molto tempo impegnati in politica. La candidata del Partito popolare, Benita Ferrero-Waldner, che è il ministro degli Esteri della Repubblica austriaca, e il candidato del Partito socialdemocratico, Heinz Fischer, vicepresidente del Parlamento austriaco, un uomo da 40 anni in politica che conosce benissimo i personaggi-chiave della politica nazionale. Comunque, non ci sono grandi divergenze tra i due candidati.

 

D. – È per questo che si prevede un testa a testa?

 

R. – Sì. Sebbene siano due personaggi che rappresentano schieramenti politici diversi, su molti problemi le loro opinioni non sono divergenti.

 

D. – Che ripercussioni avranno queste elezioni sulle sorti del governo di Vienna?

 

R. – Il potere reale del presidente austriaco è molto limitato dalla Costituzione. La votazione è però interessante, perché rappresenta una sorta di test sull’incidenza dei due schieramenti - popolare e socialdemocratico - sull’opinione pubblica austriaca. Ma con queste elezioni non si giocano le sorti del governo.

 

D. – Queste presidenziali giungono alla vigilia dell’allargamento dell’Unione Europea. Che clima si respira in Austria?

 

R. – C’è molta attesa per l’allargamento, soprattutto per il fatto che per molti decenni Vienna è stata un po’ messa da parte, perché rappresentava l’ultima città dell’Occidente prima della cosiddetta “cortina di ferro”. La Chiesa cattolica, per l’appuntamento del primo maggio, sta facendo molto: il 22 maggio ci sarà un grande pellegrinaggio dei popoli, provenienti da otto Paesi dell’area centroeuropea, che raggiungerà il famoso santuario mariano austriaco di Mariazell, nella Stiria, per proclamare Cristo come speranza dell’Europa del futuro.

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L’INDIA AL VOTO, TRA VIOLENZE E L’URGENZA DI UN SALTO DI QUALITA’ SOCIALE

- Intervista con Federica Calegari -

 

Imponenti misure di sicurezza in India per le elezioni legislative in corso fino al prossimo 10 maggio. Secondo la polizia, durante la sola prima giornata di elezioni sono state uccise 16 persone e ferite altre 25, in attentati e imboscate ordite in diverse parti del Paese. Al momento, gli exit poll, non sempre affidabili nell’esperienza indiana, danno in testa il nazionalista Bjp - Bharatiya Janata Party dell’attuale primo ministro Athal Binali Vajpayee - incalzato dal partito del Congresso di Sonia Gandhi. Tra i temi più scottanti della campagna elettorale, la disoccupazione, la povertà, la corruzione, l’aumento del carovita, l’accesso all’acqua potabile, il terrorismo e l’elettricità. Domani, si aprono i seggi nei popolosi Stati dell’Uttar Pradesh e Bihar. Per un commento sulle consultazioni, Paolo Ondarza ha intervistato Federica Calegari, coordinatrice nazionale di Amnesty International per l’India:

 

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R. – Secondo me, è un dato che ci si aspettava. Chi va a votare? Certamente vanno le persone convinte, ma va anche chi viene portato a votare.

 

D. – Vuol dire che non c’è una spontaneità nel voto?

 

R. – Certamente c’è, ma non del 100 per cento di chi va a votare.

 

D. – Quali sono, quindi, le direttive delle caste?

 

R. – Le caste vogliono lo status quo. Vogliono un’India nazionalista forte, vogliono un’India dove le caste più basse rimangano al loro posto.

 

D. – E’ in crescita il partito del Congresso di Sonia Gandhi: che cosa vuol dire questo?

 

R. – Forse che molte persone si stanno rendendo conto che la patria di Gandhi non può diventare la patria dell’Rss, che non dimentichiamocelo aveva nelle sue file l’assassino di Gandhi e che non fa mistero di rifarsi al Mein Kampf di Hitler. Noi assistiamo oggi ad un fondamentalismo indù, che sembra in effetti un ossimoro, essendo l’induismo una religione assolutamente sincretica. I motivi religiosi nascondono sempre dei motivi economici. Quando lei prende una persona povera e dice a questa persona che è meglio di un’altra persona povera, perché appartiene a questa religione piuttosto che ad un’altra, ecco che viene innescata una guerra.

 

D. – Chi sono gli autori delle violenze che si sono susseguite in ambito elettorale?

 

R. – Sicuramente il Bjp non è estraneo. L’India senz’altro era un Paese abbastanza chiuso. Ora in India arriva il canale Mtv ed anche le case delle baraccopoli hanno l’antenna satellitare. Il Paese si sta aprendo all’Occidente. La gente si ferma a pensare che forse non è giusto essere trattati male perché si è nati in una casta bassa. Chi invece vive in una situazione di privilegio, certamente non può trattare questa presa di coscienza.

 

D. – Questo vuol dire che nei prossimi anni potremmo assistere a dei cambiamenti ancora più forti?

 

R. – Sì, anche se in un certo senso temo la direzione di questi cambiamenti. Abbiamo visto un’India estremamente aggressiva con il Pakistan. Noi, come Amnesty seguiamo con molta attenzione lo svolgimento dei colloqui di pace. Di realmente valido, per ora, non abbiamo visto niente.

 

D. – E quanto è reale il rischio nucleare?    

 

R. – Credo che stiano solo mostrando i muscoli, non credo siano così sconsiderati.

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A DIECI ANNI DALLA FINE DELL’APARTHEID, MARTEDI’ PROSSIMO SI INSEDIA

 ALLA PRESIDENZA DEL SUDAFRICA IL RIELETTO CAPO DI STATO THABO MBEKI

- Intervista con Laura Mezzanotte -

 

Con una grande cerimonia a cui prenderanno parte leader e celebrità di tutto il mondo, Thabo Mbeki riassume ufficialmente martedì prossimo la carica di presidente del Sudafrica. Una settimana fa la netta vittoria alle elezioni dell’African National Congress, il partito di Nelson Mandela, che proprio dieci anni fa, alla fine dell’apartheid, gestì il cambiamento in un Paese per lungo tempo escluso dalla comunità internazionale a causa del suo regime di stampo razzista, in cui la maggioranza nera era costretta a vivere ai margini della società. Ma come avvenne lo storico cambiamento? Giancarlo La Vella lo ha chiesto alla collega Laura Mezzanotte, esperta di Sudafrica:

 

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R. - Sicuramente il Sudafrica fu obbligato dalle pressioni internazionali, però bisogna anche dire che il modo in cui la cosa si svolse è tutto merito dei sudafricani, perché è stata la capacità, da una parte dei bianchi e dall’altra soprattutto di Mandela, di volere una transizione pacifica che non era né scontata né facile.

 

D. – Come si riuscì a mettere da parte tutta la serie di conflitti sociali che comunque permanevano?

 

R. – In realtà, non furono messi da parte. Si decise soltanto, fu un atto di fiducia, di voler convivere pacificamente, di andare avanti pacificamente nel Paese. Poi, in qualche modo, ci sarebbe stato il tempo di risolvere i conflitti, il tempo di provare anche a lenire le ferite gravissime che l’apartheid aveva lasciato. In questo senso, il merito va soprattutto ai leader del movimento nero.

 

D. – Oggi, che tipo di democrazia è il Sudafrica?

 

R. – E’ senz’altro una democrazia in costruzione, ma in costruzione perché affronta dei problemi sociali molto grandi, non perché non lo sia politicamente. Politicamente, il Sudafrica è un Paese molto maturo, la società civile è forte, molto organizzata e molto presente, cosciente del suo ruolo. Ma questo in realtà avviene da tanto tempo.

 

D. – Qual è la considerazione che la comunità internazionale oggi ha di questo Paese?

 

R. – E’ senz’altro una considerazione molto alta, nel senso che intanto la transizione, per come si è svolta, è stata considerata da tutti un miracolo, e poi comunque il Sudafrica è un Paese che, sia pure con scossoni, con sussulti perché i problemi sociali sono molto grandi, sta mostrandosi capace non solo di gestire se stesso, ma anche capace di giocare un ruolo importante a livello globale. Ad esempio, ricordiamo che il Sudafrica, insieme al Brasile e all’India, sono le nazioni che stanno guidando di fatto un movimento di riscossa sulla questione globalizzazione dei diritti rispetto alle questioni economiche ecc...

 

D. – Un commento su quelli che sono i rapporti tra Sudafrica, un Paese di stampo quasi occidentale, e gli Stati confinanti, forse più vicini allo stile di vita dell’Africa nera...

 

R. – Da una parte, il Sudafrica è sempre stato un mito, perché è il posto dove le cose nuove avvengono in Africa, è il posto dove anche all’interno del continente si vuole andare o emigrare per vedere il mondo, ed è - ovviamente - anche un mito dal punto di vista politico. Il Sudafrica ha dei debiti di gratitudine nei confronti degli altri Paesi africani, che hanno sempre fatto barriera contro il governo dell’apartheid. Dall’altra parte però,  lo strapotere economico sudafricano, che è un dato di fatto, fa sì che ci sia un’onda di investimenti, di attività economiche che dal Sudafrica partono e vanno a conquistare, in un certo senso, settori economici di altri Stati del continente e questo spesso provoca qualche problema, provoca frizioni, provoca qualche risentimento.

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LA TRAGEDIA DELL’IRAQ E QUELLA DEL SUDAN AL CENTRO DEI LAVORI

DELLA 60.MA SESSIONE DELLA COMMISSIONE ONU PER I DIRITTI UMANI

- Intervista con l’arcivescovo Silvano Tomasi -

 

Luci e ombre alla 60.ma Sessione della Commissione dell’Onu per i diritti umani che si è conclusa venerdì scorso a Ginevra dopo sei settimane di lavori. La riunione, che rappresenta un appuntamento annuale, ha riunito i delegati di 53 Paesi e di numerose organizzazioni non governative per un totale di 3000 persone. Sui risultati di questa Sessione Sergio Centofanti ha chiesto un commento all’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, che ha partecipato ai lavori con vari interventi.

 

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R. - La sessione ha visto alcuni passi in avanti nella difesa dei diritti umani, ma non mancano certamente critiche. Tra i punti importanti che sono emersi c’è stata la decisione presa sul Sudan davanti alla crisi nel Darfour, nel ovest del Paese, dove si parla di circa 30 mila persone uccise e 900 mila persone costrette dai loro villaggi ad andare a cercare altrove un minimo di protezione. Davanti a questa situazione drammatica, causata da motivi razziali e politici, si è presa la decisione di nominare un esperto indipendente che possa dare una relazione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla violazione del diritto umanitario in questa situazione. Certo, mentre si commemora il 10.mo anniversario del genocidio in Rwanda, guardare a questa situazione disperata nel Sudan fa pensare che la comunità internazionale sia un po’ lenta nel muoversi e nel prendere decisioni appropriate, sperando che fra 10 anni non si debba commemorare un’altra specie di genocidio.

 

D. – Tra i punti di insoddisfazione, invece?

 

R. – Tra i punti di insoddisfazione c’è stata la mancanza di presa di posizione più forte non solo sul Sudan, ma anche sull’Iraq, perché non è stata presentata alcuna risoluzione su questo Paese. Penso che alcuni Stati siano concordi a non tirare in campo, in questo momento, la situazione dei diritti umani o dei problemi dei diritti umanitari che possano esistere in Iraq, mentre si è parlato della necessità di salvaguardare sempre i diritti delle persone nella lotta giusta contro il terrorismo.

 

D. – Qual è il messaggio che lei ha portato da parte della Santa Sede a Ginevra?

 

R. – Anzitutto, tenendo conto delle conseguenze che il momento politico porta per alcune comunità cristiane che sono in minoranza in vari Paesi del mondo, dove sono viste un po’ come associate ai Paesi occidentali e per questo vengono anche attaccate - ci sono stati centinaia di morti - ci siamo preoccupati di fare in modo che quando si parla di intolleranza religiosa si includano anche i cristiani, cioè non solo antisemitismo, islamofobia, ma anche pregiudizio o discriminazione contro i cristiani, e questa preoccupazione è stata accolta in varie risoluzioni. Poi abbiamo sottolineato la necessità della protezione per le donne e i bambini nel traffico di persone: un fenomeno crescente, da vari miliardi di dollari ogni anno, divenuto una delle piaghe direi più obbrobriose. Altri temi sono stati il razzismo e i migranti in genere, specialmente i migranti in posizione più debole: senza documenti appropriati e soprattutto in difesa della vita.

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IL RUOLO CENTRALE DEGLI ATENEI CATTOLICI NELLA CRESCITA CULTURALE DEL PAESE: IN ITALIA, LE CELEBRAZIONI PER L’80.MO DELL’UNIVERSITA’ CATTOLICA,

CON UNO SGUARDO AL TEMA DELLA CONVIVENZA NEL MONDO

- Intervista con il prof. Lorenzo Ornaghi -

 

“Giovani ed Università protagonisti del mondo nuovo. La formazione dei giovani per la convivenza tra i popoli”. Recita così il titolo dell’odierna Giornata dell’Università cattolica, giunta alla sua 80.ma edizione. Nata nel 1924 per volere di Papa Pio XI, che volle fosse celebrata in tutte le parrocchie italiane, la Giornata è un’occasione per ribadire lo stretto legame fra la Chiesa italiana e l’Università cattolica e per sostenere e far conoscere le sue finalità ed i suoi obiettivi. Il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università cattolica, ci spiega, al microfono di Fabio Brenna, cosa significhi fare del giovane un protagonista:

 

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R. - Significa fornirgli tutti quegli strumenti - accademici, culturali - ma soprattutto dargli una formazione in modo tale che entri nel futuro consapevole di se stesso e delle sue capacità. Di che tipo deve essere la formazione, oggi? Deve saper comporre gli elementi della specialità e della specializzazione con una visione integrale di cosa sia un giovane e di come saprà affrontare le grandi questioni che incombono sul futuro.

 

D. – Per l’Università, è ancora tempo di cambiamento. Vogliamo fare il punto della situazione della riforma?

 

R. – Ci sono stati grandi mutamenti accolti con maggiore o minore consapevolezza. Siamo al punto in cui i cambiamenti già avvenuti, i cambiamenti che si profilano, devono essere usati per far sì che ogni ateneo davvero possa competere con quelli degli altri Paesi, e possa soprattutto realizzare la propria identità. Per quanto riguarda la Cattolica, questo significa poter esercitare il più possibile la propria autonomia storica.

 

D. – Per certi versi, sembra che l’Università debba porsi a servizio dell’impresa con i suoi bisogni: in realtà, come si pone l’Università anche di fronte a queste richieste?

 

R. – Vuole esercitare il proprio ruolo - ruolo di libertà, di autonomia - ed è il ruolo in cui, anche rispetto al mondo economico, rispetto all’impresa, dice di fare attenzione perché la persona è l’aspetto più importante di ogni processo produttivo: la persona deve essere formata, ma essa deve però avere una capacità culturale che sappia guidare il cambiamento, e quindi sappia andare oltre qualsiasi contingenza di mercato. Credo che questa sia la sfida per tutti i Paesi oggi e per tutto il sistema globale.

 

D. – In questo contesto, l’Università si presenta con il suo aggettivo “cattolica”. Quanto è importante e come si declina oggi?

 

R. – E’ decisivo. Si declina coniugando la nostra storia, la nostra tradizione, alla capacità di entrare nel mondo che ci attende con la voglia di orientare i cambiamenti e non soltanto di subirli, sapendo anche che i prossimi tempi avranno bisogno di un ruolo culturale in senso proprio sempre più alto.

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CHIESA E SOCIETA’

25 aprile 2004

 

 

IN DARFOUR NON E’ IN CORSO UN GENOCIDIO.

LO HA DICHIARATO IL MINISTRO DEGLI ESTERI SUDANESE, MOUSTAFA ISMAIL,

SMENTENDO LE ACCUSE DELLE NAZIONI UNITE

 

KHARTOUM. = “In Darfour vi sono violazioni dei diritti umani, ma non si può in nessun modo parlare di pulizia etnica o di sterminio collettivo”. Con queste parole, il ministro degli Esteri sudanese, Moustafa Ismail, ha smentito ieri con fermezza, nel corso di una conferenza stampa, le accuse di genocidio ai danni della popolazione del Darfour, mosse nelle scorse settimane al governo islamico di Khartoum dalle Nazioni Unite. Ismail ha anche ringraziato i Paesi africani e arabi per il testo approvato venerdì dalla Commissione dei diritti umani dell’Onu, nel quale si invita Khartoum a disarmare i combattenti. Nel documento, si evita qualsiasi riferimento ai presunti legami tra il governo e le milizie di predoni arabi, noti col nome di Janjaweed, che seminano morte e terrore nel Darfour. Proprio per porre un freno alle loro violenze, ma anche per protestare contro lo stato di abbandono in cui versa la regione sudanese al confine col Ciad, due movimenti di autodifesa locali, nel febbraio del 2003, hanno scatenato un aspro conflitto. Si tratta di una guerra che in 14 mesi ha già causato un milione di sfollati interni, 130 mila profughi e 10 mila morti, anche se, secondo fonti statunitensi, il bilancio delle vittime si aggirerebbe intorno alle 30 mila. Il capo della diplomazia sudanese ha infine reso noto che ieri è arrivata in Darfour la delegazione delle Nazioni Unite, incaricata di verificare le agghiaccianti testimonianze di migliaia di profughi sudanesi, raccolte nelle scorse settimane in Ciad. (D.G.)

 

 

A CUBA, INCONTRI DI PREGHIERA ALL’AVANA PER LA LIBERAZIONE DEI PRIGIONIERI

 POLITICI. L’INIZIATIVA AVVIATA DAI DISSIDENTI DEL REGIME DI FIDEL CASTRO

 

L’AVANA. = Diversi incontri di preghiera per la liberazione dei prigionieri politici si stanno svolgendo, in questi giorni, nella capitale di Cuba, L’Avana, per iniziativa di decine di dissidenti del regime castrista. L’iniziativa è stata voluta in particolare da Yolanda Triana Estopiñan, moglie di Orlando Fundora Alvarez, uno dei 75 oppositori catturati lo scorso anno e condannati in seguito a un processo sommario. A Fundora Alvarez è stata comminata una pena di 18 anni e, attualmente, è rinchiuso nel penitenziario di Combinado del Este, a L’Avana. Agli incontri di preghiera hanno partecipato i familiari di altri detenuti ed esponenti di organizzazioni giudicate illegali dal regime. Yolanda Triana, che nel frattempo ha assunto l’incarico di presidente dell’Associazione dei prigionieri politici “Pedro Luis Boitel”, ha reso noto che il marito è in sciopero della fame dal 15 aprile scorso. La situazione dell’uomo è molto preoccupante a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute. La signora Estopiñan ha deciso di inviare una lettera sulle condizioni del marito alla Direzione generale dei penitenziari. (D.G.)

 

 

SI CELEBRA OGGI LA “GIORNATA MONDIALE DELLA MALARIA IN AFRICA”,

INDETTA DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’.

SCARSEGGIANO I FARMACI PER DEBELLARE LA MALATTIA,

PRINCIPALE CAUSA DI MORTALITA’ INFANTILE NEL CONTINENTE

 

GINEVRA. = Si celebra oggi la “Giornata mondiale della malaria in Africa”, indetta dall’Organizzazione mondiale della sanità. Per sconfiggere la malattia, che miete moltissime vittime tra i bambini africani, si profila all’orizzonte l’uso estensivo di una nuova terapia a base di derivati dell’artemisinina, denominata Act (artemisinin combination therapy). Ma una terapia che secondo Msf, l’Organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere, “potrà essere messa a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno soltanto se si avvierà subito un’azione per finanziare l’aumento di produzione dei farmaci”. Il pericolo è che le riserve di artemisinina finiscano rapidamente, vista la forte richiesta del protocollo Act. Secondo Jean-Marie Kindermans, uno dei principali esperti di malaria di Msf, “donatori e produttori devono agire per scongiurare una tragica crisi nelle forniture di artemisinina”. Per farlo, è necessario che gli agricoltori sappiano prima possibile quante piante, dalle quali si estrae l’ingrediente principale delle combinazioni, debbano essere coltivate per l’anno prossimo. In Asia, ricorda Msf, la terapia combinata a base di derivati dell’artemisinina è utilizzata da anni. Per l’Africa, invece, è una novità, sebbene già 14 Paesi siano ufficialmente passati al protocollo Act, e cinque – vale a dire Sudafrica, Burundi, Comore, Zambia e Tanzania - lo stiano utilizzando nelle loro strutture sanitarie pubbliche. L’Oms calcola che nel 2005 sarà necessario effettuare 132 milioni di cicli di terapie, di cui ben 92 milioni in Africa. (D.G.)

 

 

IN ITALIA SI COMMEMORA OGGI IL 59.MO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE.

NUMEROSE LE MANIFESTAZIONI IN CORSO IN TUTTO IL PAESE. A ROMA,

CERIMONIA SOLENNE AL QUIRINALE CON IL PRESIDENTE CIAMPI

 

ROMA. =  Festa nazionale oggi in Italia, che celebra il 59.mo anniversario della Liberazione. Il 25 aprile 1945, Milano insorse contro le ultime forze del fascismo e molte formazioni partigiane presero successivamente il controllo di molte città del nord. Numerose le manifestazioni in programma in tutt’Italia per commemorare l’evento. A Roma, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dopo aver deposto la tradizionale corona di fiori all’Altare della patria, nel corso di una cerimonia solenne ha consegnato la medaglia d’oro al valor militare al gonfalone del Comune di Barletta e le medaglie d’oro al merito civile ai gonfaloni dei Comuni di Assisi, di Nettuno e della Provincia di Cuneo. Presenti al Quirinale anche i ministri dell’Interno, Giuseppe Pisanu, e della Difesa, Antonio Martino. La manifestazione nazionale avrà luogo nel pomeriggio a Milano dove, nella centrale Piazza Duomo, prenderanno la parola diversi esponenti politici, tra i quali l’ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Nell’ambito delle iniziative per il 25 aprile, da registrare l’inaugurazione avvenuta ieri, a Pomigliano D’Arco, in provincia di Napoli, del Museo della Memoria, che si avvale di una biblioteca con libri e film sulla Resistenza e di un’aula multimediale per cineforum, incontri e seminari. Le piazze italiane si sono colorate, per l’occasione, con le bandiere dei partiti, ma anche con quelle arcobaleno della pace. (D.G.)

 

 

ASSEGNATO VENERDI’ SCORSO IL “PREMIO CITTA’ DI MELFI”. IL RICONOSCIMENTO

PER LA SAGGISTICA E’ ANDATO A “IL MONDO CAPOVOLTO” DI PADRE GIULIO ALBANESE, DIRETTORE DELL’AGENZIA MISSIONARIA MISNA

 

POTENZA. = Una giuria presieduta dallo scrittore Alberto Bevilacqua ha assegnato venerdì sera il “Premio Città di Melfi”, giunto alla sua seconda edizione. “Il mondo capovolto” di padre Giulio Albanese, edito da Einaudi, è stato premiato per la saggistica, in base al responso di una giuria composta da studenti delle scuole superiori, che hanno letto e recensito l’opera. “Sacro cuore” di Aurelio Picca, pubblicato dalla Rizzoli, “La recita del Prater” di Elio Bartolini, della casa editrice Aragno, e “Domenica ti vengo a trovare” di Vito Bruno, edito dalla Marsilio, hanno ottenuto il riconoscimento per la narrativa. L’agenzia Misna, di cui padre Albanese è il direttore responsabile, ha reso nota la motivazione del premio assegnato a “Il mondo capovolto”: “Con riferimenti di carattere antropologico e parole di tipo narrativo, il libro racconta in modo testimoniale l’avvento del verbo comunicativo nel mentre si fa informazione all’interno del villaggio globale; globalizzazione e Internet messi a confronto con un messaggio da sempre inquietante come è quello cristiano.” Padre Albanese ha dedicato il riconoscimento ai missionari “il cui lavoro, sacrificio e talvolta martirio – ha sottolineato - raramente ottiene attenzione dalla grande stampa”. (D.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 aprile 2004

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Una interminabile e drammatica sequenza di odio e violenze sta devastando l’Iraq, duramente colpito, nelle ultime 24 ore, da continui attacchi ai soldati della coalizione, da sanguinosi scontri che hanno causato la morte di combattenti iracheni, e da tragiche operazioni suicide condotte dalla guerriglia contro un mercato, un ospedale e un autobus.

 

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Nell’inferno iracheno - dove ieri almeno 72 persone hanno perso la vita per le esplosioni di una bomba in un mercato di Baghdad, per la deflagrazione di un ordigno al passaggio di un autobus nei pressi di Haswa, per gli attacchi alle truppe delle coalizione e i drammatici scontri tra guerriglieri e soldati americani avvenuti in diverse città del Paese - quattro bambini iracheni sono stati uccisi stamani a Baghdad in seguito ad un ennesimo agguato dinamitardo contro le truppe statunitensi. In questo drammatico scenario, segnato anche oggi da altri attacchi che hanno causato a Mossul la morte di almeno quattro persone per il lancio di razzi contro un ospedale, una stazione radiotelevisiva e il parcheggio di un albergo, si deve comunque registrare a Falluja, assediata dalle truppe statunitensi dallo scorso 5 aprile, un nuovo accordo tra la autorità locali e le forze americane per estendere la tregua a tempo indeterminato. Nella città del triangolo sunnita, dove sono stati momentaneamente sospesi gli aiuti della Croce Rossa italiana alla popolazione locale, l’accordo tra le parti prevede un impegno congiunto delle forze della coalizione e di quelle della difesa civile irachena per assicurare un’adeguata cornice di sicurezza. E nel Paese arabo, il primo ministro australiano, John Howard, ha intanto compiuto una visita a sorpresa alle truppe di Canberra, cogliendo l’occasione offerta dalla ricorrenza del cosiddetto Anzac Day, il giorno in cui si commemorano i soldati di Australia e Nuova Zelanda caduti in guerra. In Italia, dove è previsto il rimpatrio di due soldati italiani feriti non in modo grave la scorsa notte a Nassiriya, dopo un attacco contro la sede dell’Autorità provvisoria di coalizione, non si interrompe l’alternanza di angoscia e speranza per la sorte dei tre ostaggi ancora in mano alla guerriglia: dopo circa due settimane di assoluto silenzio oggi qualcuno ha risposto al cellulare di Umberto Cupertino, uno dei tre italiani sequestrati in Iraq. Una voce maschile ha salutato e quindi ha subito riattaccato.

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Sventato un attentato contro il presidente afgano, Hamid Karzai. Nella provincia dell’Afghanistan meridionale di Kandahar, dove il presidente si trova in visita ufficiale, la polizia ha arrestato un sospetto kamikaze. “L’uomo fermato – hanno rivelato fonti locali – è stato trovato in possesso di una pistola ed una granata mentre stava aspettando l’arrivo del capo di Stato afghano”.

 

In Medio Oriente, non si placano le polemiche scatenate dalle dichiarazioni del premier israeliano, Ariel Sharon, sulla possibilità di uccidere il leader palestinese, Yasser Arafat. Oggi il vicepremier dello Stato ebraico, Ehud Olmert, è intervenuto per cercare di ‘ridimensionare’ le dichiarazioni del capo del governo precisando che Sharon non ha in programma un’azione mirata contro Arafat. Ed il leader della opposizione laburista, Shimon Peres, ha affermato - parlando a Radio Gerusalemme - che un eventuale confinamento del presidente palestinese a Gaza “sarebbe una buona idea”. Il presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha inoltre inviato un “messaggio urgente” al presidente americano, George Bush, per sottolineare la gravità delle minacce, condannate anche dall’esecutivo cinese, formulate dallo Stato ebraico contro l’amministrazione palestinese. Nello Stato ebraico, sono intanto state predisposte straordinarie misure di sicurezza in occasione dell’odierna Giornata annuale dei caduti in battaglia, che commemora 16 mila soldati e cinquemila civili rimasti uccisi nelle guerre con i Paesi arabi.

 

Delusione della comunità internazionale per l’esito negativo del referendum sulla riunificazione di Cipro, svoltosi ieri. Secondo i risultati definitivi, quasi il 76% della popolazione greca ha votato contro. Inutile la maggioranza di pareri favorevoli espressi da circa il 65% della comunità turca. Questo risultato blocca di fatto il processo di riunificazione che, per essere approvato, prevedeva il raggiungimento della maggioranza in entrambe le comunità dell’isola. Il primo maggio aderirà, quindi, all’Europa solo la parte greco-cipriota. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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I greco-ciprioti hanno perso “un’opportunità unica e storica” rifiutando il piano per la riunificazione di Cipro, proposto dalle Nazioni Unite. Lo ha affermato il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, commentando il trionfo dei “no” al referendum svoltosi ieri nell’isola, a causa del quale - ha osservato Annan - Cipro rimarrà divisa e militarizzata. A confermare queste parole, è il ministro degli Esteri di Ankara, Abdullah Gul, il quale ha precisato che con il “no” al referendum si riferisce anche al ritiro delle truppe turche dall’isola. Atene, dal canto suo, ha assicurato che continuerà ad impegnarsi per una soluzione al problema di Cipro, sottolineando che il “no” si riferisce non alla riunificazione, ma al piano di Kofi Annan. Delusione, per l’esito della consultazione, è stata manifestata anche da Stati Uniti e Germania, che parlano di “occasione sprecata per risolvere una questione annosa”, e da Bruxelles. In particolare, il commissario europeo all’allargamento, Guenter Verheugen, ha parlato di “grande danno politico”, preannunciando che d’ora in poi “sull’adesione di Cipro all’Unione Europea grava un’ombra”. D’altro canto, Bruxelles plaude al sì dei turco-ciprioti definendolo “una scelta coraggiosa”. Ora, l’auspicio di Ankara è che l’Unione Europea metta fine all’embargo commerciale e all’isolamento della Repubblica turca di Cipro Nord, in vigore dal 1967.

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In Indonesia, almeno sei persone sono state uccise ad Ambon, capoluogo dell’arcipelago delle Molucche, durante una nuova esplosione di violenza tra musulmani e cristiani. Alcuni edifici, tra cui quelli dell’Onu, sono stati incendiati ed altre 60 persone - ha riferito un esponente musulmano - sono rimaste ferite, in quello che è stato il peggior episodio di violenza dopo l’accordo di pace del 2002.

 

La Cina ha annunciato cinque nuovi casi sospetti di Sars e la chiusura del laboratorio ritenuto all’origine della recrudescenza della malattia.

 

Arrestato oggi in Zimbabwe, con l’accusa di corruzione, il ministro delle finanze, Chris Kuruneri. Il fermo del ministro, al quale viene contestata la sottrazione indebita di circa un milione e mezzo di euro, è il primo arresto eccellente eseguito da gennaio, quando ha ufficialmente preso il via la campagna anti-corruzione voluta e lanciata dal presidente del Paese africano, Robert Gabriel Mugabe.

 

 

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