RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 105 - Testo della trasmissione di mercoledì 14 aprile 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Cristo risorto speranza dell’umanità, minacciata dalla violenza e dalla morte: così il Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro affollata da 25 mila pellegrini

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Iraq ore di angoscia per gli ostaggi stranieri in mano ai ribelli e nuovi scontri in diverse parti del Paese. Ma il presidente Bush ribadisce: “finiremo il nostro lavoro”. Ai nostri microfoni Lorenzo Cremonesi e Guido Olimpio

 

Le sfide per la vita religiosa femminile in Europa all’attenzione delle Superiore Maggiori d’Italia, riunite a Roma: intervista con madre Ilva Fornaro

 

Mostra fotografica sulla Pietà di Michelangelo, nel “Braccio di Carlomagno” in Vaticano: con noi il cardinale Francesco Marchisano.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Iniziata oggi la visita “di solidarietà” del cardinale Ignace Moussa I Daoud in Terrasanta

 

Con un appello all’evangelizzazione sociale i vescovi sud coreani hanno esortato i fedeli a recarsi, domani 15 aprile, alle elezioni generali

Insediato in Brasile il Consiglio Nazionale per la promozione dell’uguaglianza razziale

 

I cristiani, in Indonesia, scelgono la pace. Nessuna Mobilitazione dopo le aggressioni di Pasqua

 

In Vietnam nuove violenze contro le minoranze etniche

 

24 ORE NEL MONDO:

 

Seggi aperti in Sudafrica per le terze elezioni generali a suffragio universale dalla fine dell’apartheid

 

Elezioni presidenziali in Macedonia

 

In Indonesia sembra affermarsi il partito dell’ex dittatore Suharto alle politiche della settimana scorsa.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

14 aprile 2004

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

CRISTO RISORTO SPERANZA DELL’UMANITA’, MINACCIATA DALLA VIOLENZA

E DALLA MORTE: L’INSEGNAMENTO DEL PAPA

ALL’UDIENZA GENERALE DEL MERCOLEDI’ DOPO LA PASQUA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Gesù, che ha trionfato sul male e sulla morte, è colui che dona la speranza agli uomini di oggi, che cercano serenità e sicurezza in un’epoca segnata da minacce di violenza e di morte. Gli accenti del Messaggio pasquale Urbi et Orbi sono riecheggiati questa mattina all’udienza generale di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, che ha visto riuniti nel colonnato del Bernini circa 25 mila pellegrini.

 

“Cristo mia speranza è risorto”. Il versetto della Sequenza di Pasqua ha fatto da cardine alla catechesi del Pontefice, il quale – come ha anticipato il portavoce vaticano Navarro Valls – non ha letto personalmente il testo, affidato a un sacerdote, per seguire il consiglio del medico personale ed evitare ulteriori fatiche “dopo i gravosi impegni della Settimana Santa”. La Risurrezione di Cristo e la sua vittoria sulla morte – ha ricordato Giovanni Paolo II – è “grido di gioia che in questi giorni prorompe nel cuore della Chiesa”, che da duemila anni tramanda di generazione in generazione “questo universale mistero di salvezza”. La Risurrezione chiama alla missione e perché i cristiani “possano compiere appieno questo mandato loro affidato, è indispensabile – osserva il Papa - che incontrino personalmente il Crocifisso risorto, e si lascino trasformare dalla potenza del suo amore. Quando questo avviene, la tristezza si muta in gioia, il timore cede il passo all’ardore missionario”.

 

Dal dolore della morte, Gesù ha aperto alla speranza, quando sul Calvario “la misericordia divina ha manifestato il suo volto di amore e di perdono per tutti”. Duemila anni dopo, proprio l’aspetto della speranza – afferma il Pontefice – è quello che l’umanità “ha bisogno di comprendere più profondamente”. “Segnati da incombenti minacce di violenza e di morte - ha ripetuto ancora una volta Giovanni Paolo II - gli uomini sono alla ricerca di qualcuno che dia loro serenità e sicurezza. Ma dove trovare pace se non in Cristo, l’innocente, che ha riconciliato i peccatori con il Padre?”. Il Papa ha concluso ricordando quel “Gesù confido in te!”, che divenne il motto di Santa Faustina Kowalska. Un messaggio di speranza e di abbandono nelle mani di Dio che, ha sottolineato il Pontefice, è “particolarmente adatto per il mondo di oggi”.

 

Nei suoi saluti nelle varie lingue – questi ultimi pronunciati personalmente da Giovanni Paolo II – il Papa ha rivolto, tra gli altri, un pensiero particolare ai sacerdoti di Firenze, accompagnati dal cardinale Ennio Antonelli, e ai diaconi della Compagnia di Gesù, esortandoli ad “aderire sempre più a Cristo e al suo Vangelo per esserne coraggiosi annunciatori”. E parlando poi ai giovani – in modo speciale a quelli provenienti dalle parrocchie milanesi, che quest’anno si apprestano a fare la loro “Professione di fede” – ha concluso con queste parole:

 

“Invito voi, cari giovani (…) a rinnovare la fede nel Salvatore risorto. Siate entusiasti suoi testimoni nella Chiesa e nella società”.

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RINUNCIA E NOMINE

 

Il Santo Padre ha accettato stamane la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Vitória in Brasile,presentata da mons. Silvestre Luís Scandian, in conformità al Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Luiz Mancilha Vilela, finora arcivescovo coadiutore della medesima arcidiocesi.

 

Il Papa ha inoltre nominato sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, finora capo ufficio del medesimo dicastero.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Incontrare il Cristo Crocifisso e Risorto per essere operatori instancabili della sua misericordia e della sua pace": nel clima luminoso dell'Ottava di Pasqua, Giovanni Paolo II incontra in Piazza San Pietro migliaia di fedeli per l'udienza generale. 

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Due pagine sulle Celebrazioni della Pasqua nelle Diocesi italiane.

Una monografica - a cura di Vincenzo Bertolone - dedicata al Venerabile Principe Francesco Paolo Gravina (a 150 anni dalla morte) laico, fondatore della Congregazione delle Suore di Carità.

 

Nelle estere, in rilievo l'Iraq: il titolo ad uno degli articoli dedicati alla drammatica situazione è "Sequestri, ricatti, crudeltà di una guerra senza nome". Appello di Kofi Annan per la liberazione degli ostaggi.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Vittorino Grossi in merito al 50 anniversario di fondazione del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la vicenda del rapimento dei quattro italiani in Iraq.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

14 aprile 2004

 

 

IN IRAQ, ORE DI ANGOSCIA PER GLI OSTAGGI STRANIERI IN MANO AI RIBELLI.

IL LEADER ESTREMISTA SCIITA, AL SADR, LASCIA LA CITTA’ DI NAJAF

DOVE ERA ASSERRAGLIATO, MENTRE SI REGISTRANO NUOVI SCONTRI A FALLUJA.

IN UN DISCORSO ALLA NAZIONE, GEORGE BUSH RIBADISCE:

GLI STATI UNITI NON LASCERANNO IL PAESE ARABO PRIMA DI AVER FINITO

 IL LAVORO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Dall’Italia al Giappone, sono molti i Paesi che seguono con il fiato sospeso le sorti dei quaranta ostaggi stranieri, rapiti dai ribelli iracheni. Intanto, il leader estremista sciita Moqtada Al Sadr avrebbe lasciato al Kufa, sobborgo di Najaf dove era asserragliato, per una destinazione ignota, secondo quanto riferito poco fa dall’agenzia iraniana Irna. Poco prima, un mediatore di Al Sadr – citato dall’agenzia Reuters – aveva dichiarato che il radicale sciita era pronto a trattare con gli americani. D’altro canto, le ultime ore sono state caratterizzate da violenti scontri in diverse parti dell’Iraq: cinque iracheni sono stati uccisi a Falluja nonostante il prolungamento di 48 ore della tregua tra rivoltosi e soldati americani; quattro marine sono caduti negli ultimi due giorni ad al-Anbar, nel triangolo sunnita. A Mossul, invece, un obice di mortaio - probabilmente diretto ad un posto di Polizia - è esploso in un mercato causando quattro morti. 

 

Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri iraniano, Kharrazi, ha rivelato che vi sono stati contatti tra Washington e Teheran per cercare una soluzione alla crisi in Iraq. Ieri sera, intanto, George Bush ha parlato della situazione irachena in una conferenza stampa, trasmessa in diretta dai principali network americani. Il presidente degli Stati Uniti ha ribadito la propria fermezza, ma ha riconosciuto le difficoltà sorte con gli ultimi sviluppi sul terreno. Il nostro servizio:

 

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(WE WILL FINISH THE WORK…)

 

“Finiremo il lavoro in Iraq”: George W.Bush lo ha ribadito con forza, ma ha concesso che il Paese è pronto, “se necessario”, ad inviare altre truppe in Iraq ed ha riconosciuto che le ultime settimane sono state molto dure per la Coalizione. Non si tratta però di guerra civile, ha affermato, sottolineando che “è importante rispettare la scadenza del 30 giugno per il passaggio dei poteri”. Bush ha definito gli Usa una “potenza liberatrice”, non imperialista, ed ha dichiarato che Washington è pronta a chiedere una nuova risoluzione all’Onu. I proventi derivanti dal petrolio, ha poi voluto precisare, sono “più imponenti del previsto”. Quindi, ha assicurato che l’Iraq non sarà un nuovo Vietnam. Per il New York Times e il Washington Post, il discorso di Bush ha delineato una visione sul futuro dell’Iraq, ma non una strategia per la soluzione della crisi. Un giudizio condiviso dal senatore Kerry, candidato democratico alla Casa Bianca.

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La situazione esplosiva in Iraq sta avendo ripercussioni rilevanti sul piano politico: il governo delle Filippine sta valutando se ritirare i propri soldati, mentre il Cremlino ha confermato che è pronto un piano per evacuare – entro fine settimana – gli oltre 800 russi presenti in Iraq. Dal canto suo, il presidente della commissione europea, Prodi, ha detto che bisognerà fare tutto il possibile per la liberazione degli ostaggi. In Italia, il ministro degli Esteri, Frattini, riferirà in Parlamento, alle ore 15, sulla situazione dei quattro connazionali rapiti. E la delicata vicenda è affrontata anche dal Consiglio supremo di Difesa, convocato al Quirinale dal presidente della Repubblica, Ciampi. Domenica scorsa, l’inviato da Baghdad del “Corriere della Sera”, Lorenzo Cremonesi, ha intervistato Salvatore Stefio, uno degli ostaggi italiani accusati di spionaggio dai ribelli. Ecco la testimonianza di Cremonesi, raggiunto telefonicamente da Paolo Ondarza:

 

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R. – Loro dovevano fare la scorta, e invece si trovavano ad essere addirittura più obiettivi che non le stesse persone di cui dovevano difendere la vita. D’altro canto, per uno come lui che voleva far crescere la sua organizzazione in Iraq - era chiaramente una gallina dalle uova d’oro - sarebbe tornato in Italia proprio per portare giù altro personale. Lui fa solo un tipo di appello, e cioè che loro non sono dei vigilantes, non sono dei cowboy, ma sono quelli che chiama “operatori di sicurezza”. Loro si sentivano pienamente legittimati per un mestiere che secondo loro, in Italia, è molto poco rispettato.

 

D. – C’è un reale rischio di fuga delle imprese straniere dal Paese?

 

R. – Certo e questa è una vittoria del terrorismo. La logica della guerriglia degli ultimi mesi è stata di impedire la normalizzazione, come bloccare le Compagnie straniere che operano in Iraq per la ricostruzione del Paese.

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Sulla natura di questi gruppi estremisti che utilizzano i rapimenti come mezzo per dettare condizioni ai governi della coalizione, Giada Aquilino ha intervistato Guido Olimpio, esperto di terrorismo del “Corriere della Sera”:

 

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R. – Si tratta di due “ceppi”. Il primo riguarda ex membri del regime, e quindi Feddayn di Saddam, guardie della sicurezza, soldati, a cui si sono uniti o possono unirsi elementi radicali islamici provenienti dall’estero o anche iracheni. L’altro gruppo sono gli Sciiti che si ispirano in qualche modo a Moqtada Al Sadr, ma possono essere anche delle bande indipendenti.

 

D. – Gli ostaggi nelle mani della guerriglia sono una quarantina. Perché ora questa strategia dei rapimenti?

 

R. – Ritengo che all’inizio sia nata quasi per caso, nel senso che hanno preso qualche ostaggio per una forma di pressione, per un ricatto. Dopo di che c’è stato uno spirito d’emulazione. Alcuni gruppi vedono che altri hanno preso degli ostaggi e lo fanno anche loro. Quaranta ostaggi sono tanti da gestire. Certamente in qualche modo ciò ricorda quanto fece Saddam nella Prima Guerra del Golfo, quando “creò” gli scudi umani. Quindi, si vede una duplice strategia: quella irachena di Saddam e un’altra più “iraniana”. Negli anni ’80 i Servizi segreti iraniani e gli Hezbollah in Libano, catturavano occidentali per ricattarne i governi.

 

D. – E allora cosa cambierà nella strategia dei Paesi della coalizione?

 

R. – Le pressioni delle opinioni pubbliche cresceranno e i contrasti politici lo stesso. Quindi, da una parte bisognerà non cedere a quello che è un ricatto terroristico. Dall’altra, però, c’è la vita delle persone in gioco, e forse si dovrebbe cercare una via di mezzo, qualche concessione più tattica. Bisogna vedere se i terroristi si accontenteranno. Per il momento non mi sembra.

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LE SFIDE PER LA VITA RELIGIOSA FEMMINILE OGGI

 ALL’ESAME DELL’ASSEMBLEA DELL’UNIONE DELLE SUPERIORE MAGGIORI D’ITALIA

- Intervista con madre Ilva Fornaro -

 

         Si tiene in questi giorni a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana, la 51.ma assemblea nazionale dell’USMI, l’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia, sul tema “Rendere visibile la speranza in un mondo che cambia: le religiose tra interscambio generazionale e mobilità etnica”. A Ilva Fornaro, consigliera dell’Usmi e Superiora provinciale per l’Europa delle Suore Canossiane, Giovanni Peduto ha chiesto quali sono le sfide della società secolarizzata per la vita religiosa femminile:

 

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R. – Come è sottolineato anche dal titolo del Convegno stesso, anzitutto il dialogo intergenerazionale perché effettivamente c’è un invecchiamento tra le nostre presenze in Italia. Un’altra prospettiva è quella della speranza, anche perché abbiamo un mondo attorno a noi che parla poco e crea poca pace. C’è tanta guerra, tanta incomprensione, tanta divisione. Vorremo riscoprire la nostra missione nell’essere noi segno di speranza, cioè dare la certezza a noi e alla gente che incontriamo che la pace ancora è possibile, che volersi bene è ancora possibile, che solo nella pace c’è futuro nella Chiesa e anche nelle altre Chiese, non solo in quella cattolica. Ecco, questa prospettiva di speranza, pace, dialogo, interscambio. Siamo tutti una famiglia, la famiglia di Dio. Dobbiamo dialogare, dobbiamo capirci, dobbiamo aiutarci. Come? Prima di tutto noi stesse dobbiamo allenarci a questo dialogo intergenerazionale, non solo, ma anche interculturale, perché ora non si può più parlare di religiose solo italiane in Italia. Abbiamo tante presenze degli altri mondi, che sono una ricchezza e solo dialogando noi possiamo aiutarci a camminare verso la pace non solo tra noi, ma anche con tutti i fratelli attorno a noi, possibilmente con tutto il mondo.

 

D. – Quali sono oggi i problemi che vivono gli Istituti religiosi femminili al loro interno?

 

R. – Al loro interno la realtà dell’invecchiamento. Abbiamo tante opere affidate a noi, servizi che portiamo avanti con amore, però mancano le forze. Questo ci spinge a dialogare di più tra di noi, vedere come ci si può aiutare per risolvere il problema. Cioè ciò che non può fare un Istituto può farlo assieme ad un altro. Ancora dialogo, interscambio di energie, sinergia per servire la Chiesa, per continuare a servire la Chiesa. Effettivamente questo invecchiamento è sentito pesantemente da tutti. Si vorrebbero avere energie nuove, che ci sono. Ma sono poche, sono sproporzionati i numeri tra le sorelle che entrano e le sorelle che ci lasciano per l’eternità.

 

D. – Gli obiettivi di questa Assemblea concretamente quali sono?

 

R. – Quelli proprio di farci memoria che siccome la salvezza viene offerta da Dio e non da noi, dovremmo aprirci di più alla presenza del Signore nella nostra vita e con speranza donare tutta la nostra energia che abbiamo, condividere questa energia con il mondo con il quale noi viviamo, perciò continuare i servizi che possiamo fare ma con l’intensità che lo Spirito ci suggerisce. Quindi non tanto quello che facciamo, quanto come lo facciamo, come ci proponiamo, come camminiamo con la gente, come fa Dio. Dio cammina con noi, più che fare le cose per noi.

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MOSTRA FOTOGRAFICA SULLA PIETA’ DI MICHELANGELO,

NEL “BRACCIO DI CARLOMAGNO” IN VATICANO

- Intervista con il cardinale Francesco Marchisano -

 

La magnifica sala del “Braccio di Carlomagno” del Bernini, in Piazza San Pietro a Roma, ospita fino al 23 luglio la mostra dal titolo “La Pietà del Michelangelo: una rivelazione”. La rassegna consta di 180 fotografie in bianco e nero raffiguranti tutte le sfaccettature del capolavoro michelangiolesco, scattate dal fotografo austriaco, Robert Hupka, scomparso nel 2001. Ma qual è, da un punto di vista religioso, il valore della Pietà? Dorotea Gambardella lo ha chiesto a Sua Eminenza il cardinale Francesco Marchisano, presidente della Fabbrica di San Pietro. 

 

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R. – E’ la testimonianza concreta del sacrificio di Gesù e della partecipazione di Maria, come narra esattamente il Vangelo, quando la Madonna ha assistito Gesù, che stava morendo, e poi dalla Croce lo ha preso nelle sue braccia. Quindi è una riproduzione particolarmente incisiva nell’animo di chi la osserva, sia credente che non credente.

 

D. – Questa mostra ha girato per 10 anni l’Europa, riscuotendo dovunque un grande successo, secondo lei perché?

 

R. – Questa statua è stata sempre oggetto di grande, infinita venerazione. Purtroppo, però, nel maggio del 1972 fu sfregiata a martellate da un folle e da allora è sempre nella medesima cappella, ma separata, difesa da una grande vetrata, per cui la si vede da una certa distanza. Le fotografie che ha fatto questo fotografo possono dare a chi le contempla una visione molto immediata di quello che Michelangelo ha fatto. Si sa che Michelangelo non ha mai firmato una sua statua. Questa l’ha firmata perché la gente quando ha cominciato a vederla diceva: “Ma … è un certo Michelangelo. Chi lo sa chi sia”. E Michelangelo una notte, sulla striscia che aveva fatto sull’abito della Madonna ha scritto il suo nome. Quindi, è una statua tra l’altro di primissima importanza, perché è l’unica firmata da Michelangelo.

 

D. – Quale tra queste foto ritiene particolarmente suggestiva?

 

R. – Il volto della Madonna che sta guardando Gesù. Questo volto giovane di una grande rassegnazione che dà un senso di pace. Perché la Madonna sapeva cos’era capitato e perché era capitata questa terribile cosa a Gesù, di essere messo in croce. La stessa cosa la si vede nel volto di Gesù. Anche questo è un volto rassegnato nella sofferenza, ma una sofferenza che tocca anche chi la vede. Credo che questo panorama così altamente spirituale possa essere motivo di grande riflessione per chi visita l’esposizione.

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CHIESA E SOCIETA’

14 aprile 2004

 

INIZIATA OGGI LA VISITA “DI SOLIDARIETÀ” DEL CARDINALE

IGNACE MOUSSA I DAOUD IN TERRASANTA. NUMEROSI GLI INCONTRI

IN AGENDA CON I RAPPRESENTANTI DELLE ALTRE CHIESE CRISTIANE

 

GERUSALEMME. = È cominciata stamattina la visita ufficiale del cardinale Ignace Moussa I Daoud, Patriarca emerito di Antiochia dei Siri cattolici e prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. “In un momento così difficile per le Ciese cattoliche qui in Terrasanta, la visita di un personaggio della Santa Sede ci fa molto piacere: è segno di cura e di sollecitudine”, hanno commentato fonti ecclesiastiche locali. La visita del cardinale Moussa I Daoud, che si protrarrà fino al 19 aprile, avviene secondo uno stretto protocollo prescritto dal regime giuridico dello “status quo”, in atto fin dai tempi ottomani. Alle 9 il porporato ha iniziato il suo viaggio da Gerusalemme a Betlemme per l’ingresso solenne nella Basilica della Natività, dove è stato accolto ed accompagnato dai Frati francescani della Custodia di Terra Santa, ai quali è affidata la cura del Santuario da parte della Chiesa Cattolica. Quindi il saluto dei dignitari civili palestinesi e dei rappresentanti delle altre confessioni cristiane, la Greca ortodossa e l'Armena ortodossa, presenti all'interno del complesso della Natività. Alle ore 18, seguendo un analogo protocollo, il Patriarca farà invece il suo ingresso solenne nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, sempre accolto ed accompagnato dai Frati francescani, ai quali è affidata dal 1342 la cura e l'ufficiatura di questo eccezionale Santuario della cristianità. Durante il suo soggiorno in Terra Santa, il cardinale Daoud incontrerà il Patriarca latino di Gerusalemme, il Custode francescano di Terra Santa, e i prelati delle Chiese Cattoliche orientali. Sono previste inoltre visite di cortesia ai Patriarchi greco ortodosso e armeno ortodosso. (G.L.)

 

 

CON UN APPELLO ALL’EVANGELIZZAZIONE SOCIALE I VESCOVI SUD COREANI

HANNO ESORTATO I FEDELI A RECARSI, DOMANI 15 APRILE,

ALLE ELEZIONI GENERALI. SI TRATTA DI UNA OCCASIONE

 PER METTERE IN PRATICA IL PROPRIO MODELLO DI VITA

- A cura di Davide Martini -

 

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SEUL. = In vista delle elezioni generali che si terranno domani i vescovi coreani hanno invitato i fedeli all’evangelizzazione sociale. “Ciò di cui abbiamo ora bisogno è coesistenza, riconciliazione e unità”, ha detto mons. Nicholas Cheong Jin-suk, arcivescovo di Seoul, chiedendo ai fedeli di esercitare il loro sacro diritto di voto in un momento importante per il destino della nazione, mentre l’arcivescovo di Taegu, Paul Ri Moun-hi, ha affermato che partecipare alle elezioni generali è un modo per i sudcoreani di mettere in pratica il loro modello di vita. “Noi cristiani abbiamo un punto di riferimento davvero unico, Cristo, e la verità della sua dottrina”, ha sottolineato ancora mons. Andreas Choi Chang-mou, arcivescovo di Kwangju. I vescovi cattolici hanno esortato i fedeli a “partecipare attivamente” al voto anche attraverso una lettera pastorale intitolata “Elezioni generali del 15 Aprile e bene comune”, dove si richiede ai fedeli di tener presente se i partiti politici e i candidati si consacrano alla norma del benessere comune sociale, se le loro scelte politiche coincidono con gli insegnamenti della Chiesa”.

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INSEDIATO IN BRASILE IL CONSIGLIO NAZIONALE PER LA PROMOZIONE DELL’UGUAGLIANZA RAZZIALE. TRA I MEMBRI

ANCHE LA CONFEDERAZIONE DEI VESCOVI BRASILIANI.

 

 

BRASILIA. = Si è insediato, in Brasile, Consiglio nazionale per la promozione dell’uguaglianza razziale (Cnpir). L’organo ha lo scopo di proporre, in ambito nazionale, politiche di promozione in materia di eguaglianza razziale con particolare riguardo alla popolazione nera e alle altre minoranze etniche che vivono in Brasile. Oltre che combattere il razzismo, obiettivo del Consiglio è superare le disuguaglianze che ostacolano l’integrazione, tanto dal punto di vista sociale che da quello politico e culturale. Il Cnpir è composto da 20 rappresentanti della società civile, oltre che da altrettanti supplenti, e da un numero identico di ministri e vice-ministri in rappresentanza del governo federale. Tra le organizzazioni non governative che esprimeranno un rappresentante vi è anche la Confederazione nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Il Consiglio è stato insediato dalla Segreteria speciale per la promozione dell’uguaglianza razziale (Seppir), organo della presidenza della Repubblica presieduto dal ministro Matilde Ribeiro. Creata il 21 marzo 2003, in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”, la Seppir ha come missione la promozione dell’uguaglianza e della protezione dei diritti degli individui e dei gruppi etnici colpiti dalla discriminazione e da altre forme d’intolleranza, con particolare enfasi sulle problematiche della popolazione afro-brasiliana. (D.M.)

 

 

 

I CRISTIANI, IN INDONESIA, SCELGONO LA PACE. NESSUNA

MOBILITAZIONE DOPO LE AGGRESSIONI DI PASQUA

 

GIAKARTA. = I cristiani di Poso, nella regione indonesiana di Tentenna, hanno deciso di non rispondere con la forza all’attacco armato che, sabato scorso aveva provocato 7 feriti tra i partecipanti alla veglia di Pasqua nella chiesa del Tabernacolo. Nonostante l’aggressione, migliaia di cristiani hanno affollato le chiese di questa cittadina lacustre per la Messa di Pasqua. All’attacco era già seguita una dimostrazione pacifica per spingere le autorità ad incrementare le misure di sicurezza per prevenire ulteriori episodi di violenza, che hanno già creato non pochi problemi nell’area nelle settimane scorse. Tre sparatorie, avvenute nell’ultimo mese, sono infatti costate la vita a tre cristiani e il ferimento di un altro. Queste aggressioni anonime hanno avuto di mira la popolazione cristiana dell’area di Poso anche dopo l’accordo di pace deciso dal governo nel 2001 per porre fine a due anni di scontri che sono costati la vita a 2.000 persone. Nel peggiore bagno di sangue avvenuto lo scorso ottobre, una banda armata ha ucciso 10 persone nel corso di diverse aggressioni a villaggi per lo più cristiani. Fino ad oggi i cristiani non hanno mai vendicato gli attacchi di violenza subiti. (D.M.)

 

 

IN VIETNAM NUOVE VIOLENZE CONTRO MINORANZE ETNICHE  HUMAN RIGHTS WATCH

 ED IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA PRODI AMMONISCONO

 LO STATO ASIATICO, VICINO AD UNO STORICO TRAGUARDO,

 IL POSSIBILE INGRESSO NELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO.

 

HANOI. = La repressione delle minoranze etniche nel Vietnam, dove alcuni scontri si sono verificati nello scorso fine settimana con le Forze dell’ordine, minaccia di avvelenare le relazioni tra Hanoi e i suoi partner occidentali. All’origine delle violenze è la protesta delle popolazioni degli altipiani centrali del Vietnam, denominati “Montagnard”, che sono scesi sabato per le strade di Buon Ma Thout, capitale della provincia di Dak Lak, rivendicando il rispetto dei loro diritti, compresa la libertà religiosa. Le autorità vietnamite negano le repressioni, pure riconoscendo il fermo e l’arresto di decine di manifestanti. Ma l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw) sostiene che molte migliaia di manifestanti “sono stati accolti a colpi di gas lacrimogeni, manganelli elettrici e cannoni d’acqua”, e ricorda “le dozzine se non le centinaia di dispersi” dopo sabato, fermati o in fuga per paura delle rappresaglie. Human Rights Watch domanda inoltre alla Cambogia di lasciar portare, all’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, “la sua protezione a coloro che temono le persecuzioni in Vietnam, piuttosto di chiudere le frontiere”. Nel febbraio 2001, ventimila persone avevano manifestato nella stessa regione per reclamare la libertà religiosa e protestare contro la confisca delle loro terre ancestrali. Un migliaio erano fuggiti nella vicina Cambogia. “Hanoi deve rispettare le regole della comunità internazionale e dei diritti umani”, ha ammonito domenica scorsa anche Romano Prodi, presidente della Commissione europea, che ha aggiunto “Qui non è in gioco solamente la cooperazione e l’aiuto dell’Unione europea al Vietnam, ma anche il fatto che il Paese è ad un passo da un possibile ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio”. (G.L.)

          

        

          

 

 

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24 ORE NEL MONDO

14 aprile 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Un ragazzo palestinese di 12 anni è stato ferito, vicino al villaggio di Biddu, nel corso di scontri con un gruppo di manifestanti che protestavano contro la costruzione della barriera di separazione in Cisgiordania. Soldati si sono inoltre scontrati con un gruppo di coloni che cercavano di ricostruire un avamposto illegale di insediamento demolito nei giorni scorsi, vicino a Hebron. Due coloni sono stati arrestati. 

 

 Intanto, un severo avvertimento agli Stati Uniti a non incoraggiare la colonizzazione dei territori palestinesi o la costruzione del muro in Cisgiordania è stato lanciato dal premier palestinese, Abu Ala, all'apertura a Ramallah dell'esecutivo palestinese. Abu Ala ha chiesto che non si facciano promesse a Israele che potrebbero colpire i diritti nazionali dei palestinesi e la road map, cioè l'itinerario di pace proposto dal Quartetto, Usa, Ue, Russia e Onu. Si è trattato di una seduta di emergenza dell’esecutivo palestinese, riunito per discutere dei possibili risultati del vertice tra il premier israeliano Ariel Sharon e il presidente George W. Bush, nelle prossime ore a Washington.

 

 Seggi aperti oggi in Sudafrica per le terze elezioni generali a suffragio universale dalla fine del regime dell’apartheid. Più di venti milioni di persone sono chiamati a rinnovare i 400 deputati e le assemblee di 9 province. E la consultazione rappresenta un importante banco di prova per il presidente Thabo Mbeki. La sua rielezione, infatti, sarà decisa dal nuovo parlamento. Votando a Johannesburg, l’ex capo di Stato, Nelson Mandela, ha auspicato che il mondo abbandoni quanto prima la via della violenza per percorrere, invece, quella della pace. Ma per un’analisi, Celine Hoveau ha intervistato Georges Lory, direttore della sezione esteri di Radio France Internazionale e autore di studi sul Sudafrica:

 

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R. – LES ENJEUX SONT LA CONFIRMATION DE LA LIGNE DEMOCRATIQUE ...

E’ in gioco la conferma della linea democratica adottata dal Paese da dieci anni a questa parte. Mi colpisce molto la grande apertura della stampa sudafricana e della società. Colpisce sempre in Sudafrica vedere gli elettori recarsi a votare con un atteggiamento quasi religioso, facendo la fila molto compostamente. Non c’è neppure ombra di lassismo da parte della popolazione di colore, per molto tempo privata del diritto di voto, la quale, invece, manifesta una specie di fervore nel compiere il proprio dovere elettorale. Ci sono poi altri traguardi importanti quali la continuazione della politica adottata nel campo delle infrastrutture a favore della popolazione più sfavorita.

 

Penso all’energia elettrica da portare in alcune aree, agli acquedotti, alla costruzione di case popolari.

 

D. – A dieci anni dalla fine dell’apartheid, le disuguaglianze sociali continuano a  persistere…

 

R. – OUI. JE SUIS TRES FRAPPE DE VOIR ...

Mi colpisce molto l’emergere di tutta una classe media nera. Per farvi parte,  è necessario essere diplomati, quindi si tratta di quei giovani che hanno frequentato la scuola fino alla fine, che hanno trovato un posto di lavoro nell’amministrazione o nell’ambito degli affari. Si nota una sorta di ‘giubilo’ nel prendere in mano le redini del Paese da parte di una determinata categoria di neri urbanizzati. Ci sono poi gli ‘emarginati’, persone che nessuno vuole, ma ciò è dovuto in parte all’eredità del passato. Thabo Mbeki e la sua équipe sono molto attenti a non staccarsi dalla ‘base’ e stanno quindi facendo di tutto affinché la povertà possa essere sconfitta là dove è possibile, soprattutto nelle zone rurali. Vorrei aggiungere un elemento importante: la Commissione “Verità e Riconciliazione” ha assunto, in Sudafrica, proporzioni uniche al mondo. Le vittime hanno potuto denunciare apertamente i torti subiti. I ‘cattivi’ sono venuti a confessare le loro colpe. E, inoltre, le vittime ed i loro familiari hanno percepito dei risarcimenti che è vero che sono bassi, ma quello che conta sostanzialmente è che le vittime siano riconosciute come tali dalla società. E da questo punto di vista la società sudafricana è da portare ad esempio nel mondo. Si tratta sì di una società profondamente divisa, devastata, ma dove ci sono le basi per farne un Paese dinamico.

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 Alle urne oggi anche in Macedonia. Un milione e 700 mila elettori si stanno recando alle urne per il voto presidenziale, indetto dopo la morte del capo di Stato, Traykovski, deceduto il 26 febbraio scorso in un incidente aereo in Bosnia. Nella tornata elettorale risulta favorito il premier socialdemocratico Crvenkovski. Tra gli altri candidati spicca il leader dell’opposizione Kedev, del Movimento rivoluzionario di Macedonia.

 

 Ancora del tutto incerto l’esito del tentativo di riunificazione tra Repubblica di Cipro, greco-cipriota, e parte del nord occupata dalla Turchia nel 1974. Dopo il fallimento della fase del negoziato tra leader, la parola spetterebbe ora ad un referendum da tenere all’interno di ciascuna comunità il 24 aprile. Si parla ora però di un possibile rinvio. Questa mattina la Grecia ha fatto sapere che appoggerà l’ipotesi di un posticipo se tutte le parti si dichiareranno favorevoli. Ieri lo stesso segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, che ha gestito la mediazione e scritto il piano per un accordo, si era detto disponibile a considerare lo slittamento se questa fosse stata la volontà dei greco-ciprioti e dei turco-ciprioti, nonchè di Ankara ed Atene. Oggi più di 15.000 turco-ciprioti hanno manifestato nella zona nord di Nicosia, agitando cartelli pro riunificazione e sventolando quella che potrebbe essere la futura bandiera dell'Isola riunita. Il 'no' al referendum di una sola delle due comunità farebbe fallire il piano per la riunificazione che è stata pensata in vista dell’ingresso della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea il prossimo 1 maggio. Ingresso che avverrà con o senza la parte del Nord. 

 

 In Indonesia, a sei anni dalla deposizione di Suharto, il Golkar, Partito dell’ex dittatore, sembra destinato a vincere le elezioni politiche del 5 aprile scorso. Dopo due terzi delle schede scrutinate, la formazione è accreditata del 21% circa dei consensi, contro il 19% del Partito della presidente Sukarnoputri. Il servizio di Maurizio Pascucci:

 

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Il “Golkar” è in testa, seppure sotto i livelli delle elezioni del ’99, quando raccolse il 22,5 per cento dei consensi. Crollo, invece, per il Partito della presidente in carica che dal 34 per cento ha perso quasi 15 punti percentuali. Ma la vera sorpresa è il 7,5 per cento fatto registrare, almeno per ora, dal nuovo Partito democratico dell’ex ministro della sicurezza, Susilo Bambang Yudhoyono, dimessosi prima delle elezioni. Yudhoyono ha raccolto la maggioranza dei consensi persi dal Partito della Sukarnoputri, facendo leva sul voto di protesta di un elettorato deluso dalla politica della presidente. Il monito lanciato a Megawati Sukarnoputri è reso ancora più severo dal fatto che a luglio si terranno le elezioni presidenziali in Indonesia, per la prima volta con il voto diretto. Yudhoyono potrà ora candidarsi grazie al risultato ottenuto dal suo Partito nelle legislative. Presumibilmente, sarà in grado di strappare voti preziosi alla Sukarnoputri per il rinnovo del mandato.

 

Maurizio Pascucci per la Radio Vaticana.

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 In Afghanistan, una bomba è esplosa questa mattina a Kandahar, nel sud, vicino a una base militare americana, ferendo un funzionario della polizia locale e due sue guardie del corpo. Il generale Abdul Wasay, portavoce militare della provincia, e lo stesso funzionario ferito hanno attribuito l'azione agli irriducibili seguaci dei Taleban, che ancora si trovano nella zona, e ''ai  loro complici di al Qaida''. Ed è stato reso noto oggi che lunedì scorso un gruppo di uomini armati, presumibilmente sempre combattenti Taleban, hanno ucciso nel sudest dell'Afghanistan, al confine con il Pakistan, sette civili afgani: una donna, un bambino e cinque funzionari del governo di Ahmid Karzai.

 

 Il vicepresidente americano Dick Cheney, da ieri in visita in Cina, ha detto oggi che è necessario ''muoversi in modo aggressivo'' per risolvere la crisi legata al programma nucleare nordcoreano. Il vicepresidente ha espresso apprezzamento per il ruolo giocato dalla Cina nel portare la Corea del Nord al tavolo delle  trattative ma ha aggiunto che nella crisi ''il tempo non è dalla nostra parte''. Cheney ha incontrato il presidente Hu Jintao, il suo predecessore Jiang Zemin e il primo ministro Web Jiabao. La crisi legata al programma nucleare nordcoreano è esplosa nell'ottobre del 2002, quando gli Usa hanno accusato Pyongyang di non aver rinunciato a sviluppare armi atomiche in violazione dei trattati internazionali. La Corea del Nord ha risposto denunciando le minacce degli Usa ma non ha smentito che un programma nucleare militare sia in corso. In seguito si sono tenute a Pechino due tornate di trattative a sei - Usa, Corea del Nord, Cina, Corea del Sud, Giappone e Russia - che si sono concluse senza risultati di rilievo.

 

 

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