RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 105 - Testo della trasmissione di mercoledì 14 aprile
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Iniziata
oggi la visita “di solidarietà” del cardinale Ignace Moussa I Daoud in
Terrasanta
Insediato in Brasile il
Consiglio Nazionale per la promozione dell’uguaglianza razziale
I cristiani, in Indonesia, scelgono la pace. Nessuna Mobilitazione
dopo le aggressioni di Pasqua
In Vietnam nuove violenze
contro le minoranze etniche
Seggi
aperti in Sudafrica per le terze elezioni generali a suffragio universale dalla
fine dell’apartheid
Elezioni
presidenziali in Macedonia
In
Indonesia sembra affermarsi il partito dell’ex dittatore Suharto alle politiche
della settimana scorsa.
14
aprile 2004
CRISTO RISORTO SPERANZA DELL’UMANITA’, MINACCIATA
DALLA VIOLENZA
E
DALLA MORTE: L’INSEGNAMENTO DEL PAPA
ALL’UDIENZA
GENERALE DEL MERCOLEDI’ DOPO LA PASQUA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
**********
Gesù, che ha trionfato sul male e sulla morte, è colui che
dona la speranza agli uomini di oggi, che cercano serenità e sicurezza in
un’epoca segnata da minacce di violenza e di morte. Gli accenti del Messaggio
pasquale Urbi et Orbi sono riecheggiati questa mattina all’udienza
generale di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, che ha visto riuniti nel
colonnato del Bernini circa 25 mila pellegrini.
“Cristo
mia speranza è risorto”. Il versetto della Sequenza di Pasqua ha fatto da
cardine alla catechesi del Pontefice, il quale – come ha anticipato il
portavoce vaticano Navarro Valls – non ha letto personalmente il testo,
affidato a un sacerdote, per seguire il consiglio del medico personale ed evitare
ulteriori fatiche “dopo i gravosi impegni della Settimana Santa”. La
Risurrezione di Cristo e la sua vittoria sulla morte – ha ricordato Giovanni
Paolo II – è “grido di gioia che in questi giorni prorompe nel cuore della
Chiesa”, che da duemila anni tramanda di generazione in generazione “questo
universale mistero di salvezza”. La Risurrezione chiama alla missione e perché
i cristiani “possano compiere appieno questo mandato loro affidato, è
indispensabile – osserva il Papa - che incontrino personalmente il Crocifisso
risorto, e si lascino trasformare dalla potenza del suo amore. Quando questo
avviene, la tristezza si muta in gioia, il timore cede il passo all’ardore
missionario”.
Dal
dolore della morte, Gesù ha aperto alla speranza, quando sul Calvario “la
misericordia divina ha manifestato il suo volto di amore e di perdono per
tutti”. Duemila anni dopo, proprio l’aspetto della speranza – afferma il
Pontefice – è quello che l’umanità “ha bisogno di comprendere più profondamente”.
“Segnati da incombenti minacce di violenza e di morte - ha ripetuto ancora una
volta Giovanni Paolo II - gli uomini sono alla ricerca di qualcuno che dia loro
serenità e sicurezza. Ma dove trovare pace se non in Cristo, l’innocente, che
ha riconciliato i peccatori con il Padre?”. Il Papa ha concluso ricordando quel
“Gesù confido in te!”, che divenne il motto di Santa Faustina Kowalska. Un
messaggio di speranza e di abbandono nelle mani di Dio che, ha sottolineato il
Pontefice, è “particolarmente adatto per il mondo di oggi”.
Nei
suoi saluti nelle varie lingue – questi ultimi pronunciati personalmente da
Giovanni Paolo II – il Papa ha rivolto, tra gli altri, un pensiero particolare
ai sacerdoti di Firenze, accompagnati dal cardinale Ennio Antonelli, e ai
diaconi della Compagnia di Gesù, esortandoli ad “aderire sempre più a Cristo e
al suo Vangelo per esserne coraggiosi annunciatori”. E parlando poi ai giovani
– in modo speciale a quelli provenienti dalle parrocchie milanesi, che
quest’anno si apprestano a fare la loro “Professione di fede” – ha concluso con
queste parole:
“Invito voi, cari giovani (…) a rinnovare la fede
nel Salvatore risorto. Siate entusiasti suoi testimoni nella Chiesa e nella
società”.
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RINUNCIA
E NOMINE
Il Santo Padre ha accettato stamane la rinuncia al governo
pastorale dell’arcidiocesi di Vitória in Brasile,presentata da mons. Silvestre
Luís Scandian, in conformità al Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons.
Luiz Mancilha Vilela, finora arcivescovo coadiutore della medesima arcidiocesi.
Il Papa ha inoltre nominato sotto-segretario del
Pontificio Consiglio della Cultura mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda,
finora capo ufficio del medesimo dicastero.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"Incontrare il Cristo Crocifisso e Risorto per essere operatori
instancabili della sua misericordia e della sua pace": nel clima luminoso
dell'Ottava di Pasqua, Giovanni Paolo II incontra in Piazza San Pietro migliaia
di fedeli per l'udienza generale.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Due pagine sulle Celebrazioni
della Pasqua nelle Diocesi italiane.
Una monografica - a cura di
Vincenzo Bertolone - dedicata al Venerabile Principe Francesco Paolo Gravina (a
150 anni dalla morte) laico, fondatore della Congregazione delle Suore di
Carità.
Nelle estere, in
rilievo l'Iraq: il titolo ad uno degli articoli dedicati alla drammatica
situazione è "Sequestri, ricatti, crudeltà di una guerra senza nome".
Appello di Kofi Annan per la liberazione degli ostaggi.
Nella pagina culturale, un
articolo di Vittorino Grossi in merito al 50 anniversario di fondazione del
Pontificio Comitato di Scienze Storiche.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la vicenda del rapimento dei quattro italiani in Iraq.
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14
aprile 2004
IN
IRAQ, ORE DI ANGOSCIA PER GLI OSTAGGI STRANIERI IN MANO AI RIBELLI.
IL
LEADER ESTREMISTA SCIITA, AL SADR, LASCIA LA CITTA’ DI NAJAF
DOVE
ERA ASSERRAGLIATO, MENTRE SI REGISTRANO NUOVI SCONTRI A FALLUJA.
IN UN
DISCORSO ALLA NAZIONE, GEORGE BUSH RIBADISCE:
GLI
STATI UNITI NON LASCERANNO IL PAESE ARABO PRIMA DI AVER FINITO
IL LAVORO
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Dall’Italia al
Giappone, sono molti i Paesi che seguono con il fiato sospeso le sorti dei
quaranta ostaggi stranieri, rapiti dai ribelli iracheni. Intanto, il leader
estremista sciita Moqtada Al Sadr avrebbe lasciato al Kufa, sobborgo di Najaf
dove era asserragliato, per una destinazione ignota, secondo quanto riferito
poco fa dall’agenzia iraniana Irna. Poco prima, un mediatore di Al Sadr
– citato dall’agenzia Reuters – aveva dichiarato che il radicale sciita
era pronto a trattare con gli americani. D’altro canto, le ultime ore sono
state caratterizzate da violenti scontri in diverse parti dell’Iraq: cinque
iracheni sono stati uccisi a Falluja nonostante il prolungamento di 48 ore
della tregua tra rivoltosi e soldati americani; quattro marine sono caduti
negli ultimi due giorni ad al-Anbar, nel triangolo sunnita. A Mossul, invece,
un obice di mortaio - probabilmente diretto ad un posto di Polizia - è esploso
in un mercato causando quattro morti.
Sul piano
diplomatico, il ministro degli Esteri iraniano, Kharrazi, ha rivelato che vi
sono stati contatti tra Washington e Teheran per cercare una soluzione alla
crisi in Iraq. Ieri sera, intanto, George Bush ha parlato della situazione
irachena in una conferenza stampa, trasmessa in diretta dai principali network
americani. Il presidente degli Stati Uniti ha ribadito la propria fermezza, ma
ha riconosciuto le difficoltà sorte con gli ultimi sviluppi sul terreno. Il
nostro servizio:
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(WE WILL FINISH THE WORK…)
“Finiremo il lavoro in Iraq”: George W.Bush lo ha ribadito
con forza, ma ha concesso che il Paese è pronto, “se necessario”, ad inviare
altre truppe in Iraq ed ha riconosciuto che le ultime settimane sono state
molto dure per la Coalizione. Non si tratta però di guerra civile, ha
affermato, sottolineando che “è importante rispettare la scadenza del 30 giugno
per il passaggio dei poteri”. Bush ha definito gli Usa una “potenza
liberatrice”, non imperialista, ed ha dichiarato che Washington è pronta a
chiedere una nuova risoluzione all’Onu. I proventi derivanti dal petrolio, ha
poi voluto precisare, sono “più imponenti del previsto”. Quindi, ha assicurato
che l’Iraq non sarà un nuovo Vietnam. Per il New York Times e il Washington
Post, il discorso di Bush ha delineato una visione sul futuro dell’Iraq, ma
non una strategia per la soluzione della crisi. Un giudizio condiviso dal senatore
Kerry, candidato democratico alla Casa Bianca.
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La situazione esplosiva in Iraq sta avendo ripercussioni
rilevanti sul piano politico: il governo delle Filippine sta valutando se
ritirare i propri soldati, mentre il Cremlino ha confermato che è pronto un piano
per evacuare – entro fine settimana – gli oltre 800 russi presenti in Iraq. Dal
canto suo, il presidente della commissione europea, Prodi, ha detto che
bisognerà fare tutto il possibile per la liberazione degli ostaggi. In Italia,
il ministro degli Esteri, Frattini, riferirà in Parlamento, alle ore 15, sulla
situazione dei quattro connazionali rapiti. E la delicata vicenda è affrontata
anche dal Consiglio supremo di Difesa, convocato al Quirinale dal presidente
della Repubblica, Ciampi. Domenica scorsa, l’inviato da Baghdad del “Corriere
della Sera”, Lorenzo Cremonesi, ha intervistato Salvatore Stefio, uno degli
ostaggi italiani accusati di spionaggio dai ribelli. Ecco la testimonianza di
Cremonesi, raggiunto telefonicamente da Paolo Ondarza:
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R. – Loro dovevano fare la scorta, e invece si trovavano
ad essere addirittura più obiettivi che non le stesse persone di cui dovevano
difendere la vita. D’altro canto, per uno come lui che voleva far crescere la
sua organizzazione in Iraq - era chiaramente una gallina dalle uova d’oro - sarebbe
tornato in Italia proprio per portare giù altro personale. Lui fa solo un tipo
di appello, e cioè che loro non sono dei vigilantes, non sono dei cowboy, ma
sono quelli che chiama “operatori di sicurezza”. Loro si sentivano pienamente
legittimati per un mestiere che secondo loro, in Italia, è molto poco
rispettato.
D. – C’è un reale rischio di fuga delle imprese straniere
dal Paese?
R. – Certo e questa è una vittoria del terrorismo. La
logica della guerriglia degli ultimi mesi è stata di impedire la
normalizzazione, come bloccare le Compagnie straniere che operano in Iraq per
la ricostruzione del Paese.
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Sulla
natura di questi gruppi estremisti che utilizzano i rapimenti come mezzo per
dettare condizioni ai governi della coalizione, Giada Aquilino ha intervistato
Guido Olimpio, esperto di terrorismo del “Corriere della Sera”:
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R. – Si tratta di due “ceppi”. Il primo riguarda ex membri
del regime, e quindi Feddayn di Saddam, guardie della sicurezza, soldati, a cui
si sono uniti o possono unirsi elementi radicali islamici provenienti
dall’estero o anche iracheni. L’altro gruppo sono gli Sciiti che si ispirano in
qualche modo a Moqtada Al Sadr, ma possono essere anche delle bande
indipendenti.
D. – Gli ostaggi nelle mani della guerriglia sono una
quarantina. Perché ora questa strategia dei rapimenti?
R. – Ritengo che all’inizio sia nata quasi per caso, nel
senso che hanno preso qualche ostaggio per una forma di pressione, per un
ricatto. Dopo di che c’è stato uno spirito d’emulazione. Alcuni gruppi vedono
che altri hanno preso degli ostaggi e lo fanno anche loro. Quaranta ostaggi
sono tanti da gestire. Certamente in qualche modo ciò ricorda quanto fece
Saddam nella Prima Guerra del Golfo, quando “creò” gli scudi umani. Quindi, si
vede una duplice strategia: quella irachena di Saddam e un’altra più
“iraniana”. Negli anni ’80 i Servizi segreti iraniani e gli Hezbollah in
Libano, catturavano occidentali per ricattarne i governi.
D. – E allora cosa cambierà nella strategia dei Paesi
della coalizione?
R. – Le pressioni delle opinioni pubbliche cresceranno e i
contrasti politici lo stesso. Quindi, da una parte bisognerà non cedere a
quello che è un ricatto terroristico. Dall’altra, però, c’è la vita delle
persone in gioco, e forse si dovrebbe cercare una via di mezzo, qualche
concessione più tattica. Bisogna vedere se i terroristi si accontenteranno. Per
il momento non mi sembra.
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LE
SFIDE PER LA VITA RELIGIOSA FEMMINILE OGGI
ALL’ESAME DELL’ASSEMBLEA DELL’UNIONE DELLE
SUPERIORE MAGGIORI D’ITALIA
-
Intervista con madre Ilva Fornaro -
Si tiene in questi giorni a Roma,
presso la Pontificia Università Urbaniana, la 51.ma assemblea nazionale
dell’USMI, l’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia, sul tema “Rendere
visibile la speranza in un mondo che cambia: le religiose tra interscambio
generazionale e mobilità etnica”. A Ilva Fornaro, consigliera dell’Usmi e
Superiora provinciale per l’Europa delle Suore Canossiane, Giovanni Peduto ha
chiesto quali sono le sfide della società secolarizzata per la vita religiosa
femminile:
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R. – Come è sottolineato anche dal titolo del Convegno
stesso, anzitutto il dialogo intergenerazionale perché effettivamente c’è un
invecchiamento tra le nostre presenze in Italia. Un’altra prospettiva è quella
della speranza, anche perché abbiamo un mondo attorno a noi che parla poco e
crea poca pace. C’è tanta guerra, tanta incomprensione, tanta divisione.
Vorremo riscoprire la nostra missione nell’essere noi segno di speranza, cioè dare
la certezza a noi e alla gente che incontriamo che la pace ancora è possibile,
che volersi bene è ancora possibile, che solo nella pace c’è futuro nella
Chiesa e anche nelle altre Chiese, non solo in quella cattolica. Ecco, questa
prospettiva di speranza, pace, dialogo, interscambio. Siamo tutti una famiglia,
la famiglia di Dio. Dobbiamo dialogare, dobbiamo capirci, dobbiamo aiutarci.
Come? Prima di tutto noi stesse dobbiamo allenarci a questo dialogo
intergenerazionale, non solo, ma anche interculturale, perché ora non si può
più parlare di religiose solo italiane in Italia. Abbiamo tante presenze degli
altri mondi, che sono una ricchezza e solo dialogando noi possiamo aiutarci a
camminare verso la pace non solo tra noi, ma anche con tutti i fratelli attorno
a noi, possibilmente con tutto il mondo.
D. – Quali sono oggi i problemi che vivono gli Istituti
religiosi femminili al loro interno?
R. – Al loro interno la realtà dell’invecchiamento.
Abbiamo tante opere affidate a noi, servizi che portiamo avanti con amore, però
mancano le forze. Questo ci spinge a dialogare di più tra di noi, vedere come
ci si può aiutare per risolvere il problema. Cioè ciò che non può fare un
Istituto può farlo assieme ad un altro. Ancora dialogo, interscambio di
energie, sinergia per servire la Chiesa, per continuare a servire la Chiesa.
Effettivamente questo invecchiamento è sentito pesantemente da tutti. Si
vorrebbero avere energie nuove, che ci sono. Ma sono poche, sono sproporzionati
i numeri tra le sorelle che entrano e le sorelle che ci lasciano per
l’eternità.
D. – Gli obiettivi di questa Assemblea concretamente quali
sono?
R. – Quelli proprio di farci memoria che siccome la
salvezza viene offerta da Dio e non da noi, dovremmo aprirci di più alla
presenza del Signore nella nostra vita e con speranza donare tutta la nostra
energia che abbiamo, condividere questa energia con il mondo con il quale noi
viviamo, perciò continuare i servizi che possiamo fare ma con l’intensità che
lo Spirito ci suggerisce. Quindi non tanto quello che facciamo, quanto come lo
facciamo, come ci proponiamo, come camminiamo con la gente, come fa Dio. Dio
cammina con noi, più che fare le cose per noi.
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MOSTRA FOTOGRAFICA SULLA
PIETA’ DI MICHELANGELO,
NEL “BRACCIO DI CARLOMAGNO” IN VATICANO
- Intervista con il cardinale Francesco Marchisano
-
La
magnifica sala del “Braccio di Carlomagno” del Bernini, in Piazza San Pietro a
Roma, ospita fino al 23 luglio la mostra dal titolo “La Pietà del Michelangelo:
una rivelazione”. La rassegna consta di 180 fotografie in bianco e nero
raffiguranti tutte le sfaccettature del capolavoro michelangiolesco, scattate
dal fotografo austriaco, Robert Hupka, scomparso nel 2001. Ma qual è, da un
punto di vista religioso, il valore della Pietà? Dorotea Gambardella lo ha
chiesto a Sua Eminenza il cardinale Francesco Marchisano, presidente della
Fabbrica di San Pietro.
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R. – E’
la testimonianza concreta del sacrificio di Gesù e della partecipazione di
Maria, come narra esattamente il Vangelo, quando la Madonna ha assistito Gesù,
che stava morendo, e poi dalla Croce lo ha preso nelle sue braccia. Quindi è
una riproduzione particolarmente incisiva nell’animo di chi la osserva, sia
credente che non credente.
D. –
Questa mostra ha girato per 10 anni l’Europa, riscuotendo dovunque un grande successo,
secondo lei perché?
R. –
Questa statua è stata sempre oggetto di grande, infinita venerazione.
Purtroppo, però, nel maggio del 1972 fu sfregiata a martellate da un folle e da
allora è sempre nella medesima cappella, ma separata, difesa da una grande
vetrata, per cui la si vede da una certa distanza. Le fotografie che ha fatto
questo fotografo possono dare a chi le contempla una visione molto immediata di
quello che Michelangelo ha fatto. Si sa che Michelangelo non ha mai firmato una
sua statua. Questa l’ha firmata perché la gente quando ha cominciato a vederla
diceva: “Ma … è un certo Michelangelo. Chi lo sa chi sia”. E Michelangelo una
notte, sulla striscia che aveva fatto sull’abito della Madonna ha scritto il
suo nome. Quindi, è una statua tra l’altro di primissima importanza, perché è
l’unica firmata da Michelangelo.
D. –
Quale tra queste foto ritiene particolarmente suggestiva?
R. – Il
volto della Madonna che sta guardando Gesù. Questo volto giovane di una grande
rassegnazione che dà un senso di pace. Perché la Madonna sapeva cos’era
capitato e perché era capitata questa terribile cosa a Gesù, di essere messo in
croce. La stessa cosa la si vede nel volto di Gesù. Anche questo è un volto
rassegnato nella sofferenza, ma una sofferenza che tocca anche chi la vede.
Credo che questo panorama così altamente spirituale possa essere motivo di
grande riflessione per chi visita l’esposizione.
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14
aprile 2004
INIZIATA OGGI LA VISITA “DI
SOLIDARIETÀ” DEL CARDINALE
IGNACE MOUSSA I DAOUD IN TERRASANTA. NUMEROSI GLI
INCONTRI
IN AGENDA CON I RAPPRESENTANTI DELLE ALTRE CHIESE
CRISTIANE
GERUSALEMME. = È cominciata stamattina la visita ufficiale del
cardinale Ignace Moussa I Daoud, Patriarca emerito di Antiochia dei Siri
cattolici e prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. “In un
momento così difficile per le Ciese cattoliche qui in Terrasanta, la visita di
un personaggio della Santa Sede ci fa molto piacere: è segno di cura e di
sollecitudine”, hanno commentato fonti ecclesiastiche locali. La visita del
cardinale Moussa I Daoud, che si protrarrà fino al 19 aprile, avviene secondo
uno stretto protocollo prescritto dal regime giuridico dello “status quo”, in
atto fin dai tempi ottomani. Alle 9 il porporato ha iniziato il suo viaggio da
Gerusalemme a Betlemme per l’ingresso solenne nella Basilica della Natività,
dove è stato accolto ed accompagnato dai Frati francescani della Custodia di
Terra Santa, ai quali è affidata la cura del Santuario da parte della Chiesa
Cattolica. Quindi il saluto dei dignitari civili palestinesi e dei
rappresentanti delle altre confessioni cristiane, la Greca ortodossa e l'Armena
ortodossa, presenti all'interno del complesso della Natività. Alle ore 18,
seguendo un analogo protocollo, il Patriarca farà invece il suo ingresso
solenne nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, sempre accolto ed
accompagnato dai Frati francescani, ai quali è affidata dal 1342 la cura e
l'ufficiatura di questo eccezionale Santuario della cristianità. Durante il suo
soggiorno in Terra Santa, il cardinale Daoud incontrerà il Patriarca latino di
Gerusalemme, il Custode francescano di Terra Santa, e i prelati delle Chiese
Cattoliche orientali. Sono previste inoltre visite di cortesia ai Patriarchi
greco ortodosso e armeno ortodosso. (G.L.)
CON UN
APPELLO ALL’EVANGELIZZAZIONE SOCIALE I VESCOVI SUD COREANI
HANNO
ESORTATO I FEDELI A RECARSI, DOMANI 15 APRILE,
ALLE
ELEZIONI GENERALI. SI TRATTA DI UNA OCCASIONE
PER METTERE IN PRATICA IL PROPRIO MODELLO DI
VITA
- A
cura di Davide Martini -
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SEUL. = In vista delle elezioni generali che si terranno
domani i vescovi coreani hanno invitato i fedeli all’evangelizzazione sociale. “Ciò
di cui abbiamo ora bisogno è coesistenza, riconciliazione e unità”, ha detto
mons. Nicholas Cheong Jin-suk, arcivescovo di Seoul, chiedendo ai fedeli di
esercitare il loro sacro diritto di voto in un momento importante per il
destino della nazione, mentre l’arcivescovo di Taegu, Paul Ri Moun-hi, ha
affermato che partecipare alle elezioni generali è un modo per i sudcoreani di
mettere in pratica il loro modello di vita. “Noi cristiani abbiamo un punto di
riferimento davvero unico, Cristo, e la verità della sua dottrina”, ha
sottolineato ancora mons. Andreas Choi Chang-mou,
arcivescovo di Kwangju. I
vescovi cattolici hanno esortato i fedeli a “partecipare attivamente” al voto
anche attraverso una lettera pastorale intitolata “Elezioni generali del 15
Aprile e bene comune”, dove si richiede ai fedeli di tener presente se i
partiti politici e i candidati si consacrano alla norma del benessere comune
sociale, se le loro scelte politiche coincidono con gli insegnamenti della
Chiesa”.
*********
INSEDIATO IN BRASILE IL CONSIGLIO
NAZIONALE PER LA PROMOZIONE DELL’UGUAGLIANZA RAZZIALE. TRA I MEMBRI
ANCHE LA CONFEDERAZIONE DEI
VESCOVI BRASILIANI.
BRASILIA.
= Si è insediato, in Brasile, Consiglio nazionale per la promozione
dell’uguaglianza razziale (Cnpir). L’organo ha lo scopo di proporre, in ambito
nazionale, politiche di promozione in materia di eguaglianza razziale con
particolare riguardo alla popolazione nera e alle altre minoranze etniche che
vivono in Brasile. Oltre che combattere il razzismo, obiettivo del Consiglio è
superare le disuguaglianze che ostacolano l’integrazione, tanto dal punto di
vista sociale che da quello politico e culturale. Il Cnpir è composto da 20
rappresentanti della società civile, oltre che da altrettanti supplenti, e da
un numero identico di ministri e vice-ministri in rappresentanza del governo
federale. Tra le organizzazioni non governative che esprimeranno un
rappresentante vi è anche la Confederazione nazionale dei vescovi del Brasile
(Cnbb). Il Consiglio è stato insediato dalla Segreteria speciale per la
promozione dell’uguaglianza razziale (Seppir), organo della presidenza della
Repubblica presieduto dal ministro Matilde Ribeiro. Creata il 21 marzo 2003, in
occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione
razziale”, la Seppir ha come missione la promozione dell’uguaglianza e della
protezione dei diritti degli individui e dei gruppi etnici colpiti dalla
discriminazione e da altre forme d’intolleranza, con particolare enfasi sulle
problematiche della popolazione afro-brasiliana. (D.M.)
I CRISTIANI, IN INDONESIA,
SCELGONO LA PACE. NESSUNA
MOBILITAZIONE DOPO LE AGGRESSIONI
DI PASQUA
GIAKARTA.
= I cristiani di Poso, nella regione indonesiana di Tentenna, hanno deciso di
non rispondere con la forza all’attacco armato che, sabato scorso aveva
provocato 7 feriti tra i partecipanti alla veglia di Pasqua nella chiesa del
Tabernacolo. Nonostante l’aggressione, migliaia di cristiani hanno affollato le
chiese di questa cittadina lacustre per la Messa di Pasqua. All’attacco era già
seguita una dimostrazione pacifica per spingere le autorità ad incrementare le
misure di sicurezza per prevenire ulteriori episodi di violenza, che hanno già
creato non pochi problemi nell’area nelle settimane scorse. Tre sparatorie,
avvenute nell’ultimo mese, sono infatti costate la vita a tre cristiani e il
ferimento di un altro. Queste aggressioni anonime hanno avuto di mira la
popolazione cristiana dell’area di Poso anche dopo l’accordo di pace deciso dal
governo nel 2001 per porre fine a due anni di scontri che sono costati la vita
a 2.000 persone. Nel peggiore bagno di sangue avvenuto lo scorso ottobre, una
banda armata ha ucciso 10 persone nel corso di diverse aggressioni a villaggi
per lo più cristiani. Fino ad oggi i cristiani non hanno mai vendicato gli
attacchi di violenza subiti. (D.M.)
IN
VIETNAM NUOVE VIOLENZE CONTRO MINORANZE ETNICHE HUMAN RIGHTS WATCH
ED IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
PRODI AMMONISCONO
LO STATO ASIATICO, VICINO AD UNO STORICO
TRAGUARDO,
IL POSSIBILE INGRESSO NELL’ORGANIZZAZIONE
MONDIALE DEL COMMERCIO.
HANOI. = La repressione delle minoranze
etniche nel Vietnam, dove alcuni scontri si sono verificati nello scorso fine
settimana con le Forze dell’ordine, minaccia di avvelenare le relazioni tra
Hanoi e i suoi partner occidentali. All’origine delle violenze è la protesta
delle popolazioni degli altipiani centrali del Vietnam, denominati
“Montagnard”, che sono scesi sabato per le strade di Buon Ma Thout, capitale
della provincia di Dak Lak, rivendicando il rispetto dei loro diritti, compresa
la libertà religiosa. Le autorità vietnamite negano le repressioni, pure
riconoscendo il fermo e l’arresto di decine di manifestanti. Ma
l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw) sostiene che molte migliaia di
manifestanti “sono stati accolti a colpi di gas lacrimogeni, manganelli
elettrici e cannoni d’acqua”, e ricorda “le dozzine se non le centinaia di
dispersi” dopo sabato, fermati o in fuga per paura delle rappresaglie. Human
Rights Watch domanda inoltre alla Cambogia di lasciar portare, all’Alto
Commissariato dell’Onu per i rifugiati, “la sua protezione a coloro che temono
le persecuzioni in Vietnam, piuttosto di chiudere le frontiere”. Nel febbraio
2001, ventimila persone avevano manifestato nella stessa regione per reclamare
la libertà religiosa e protestare contro la confisca delle loro terre ancestrali.
Un migliaio erano fuggiti nella vicina Cambogia. “Hanoi deve rispettare le
regole della comunità internazionale e dei diritti umani”, ha ammonito domenica
scorsa anche Romano Prodi, presidente della Commissione europea, che ha aggiunto
“Qui non è in gioco solamente la cooperazione e l’aiuto dell’Unione europea al
Vietnam, ma anche il fatto che il Paese è ad un passo da un possibile ingresso
nell’Organizzazione mondiale del commercio”. (G.L.)
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14
aprile 2004
- A cura di Fausta Speranza -
Un ragazzo palestinese di 12
anni è stato ferito, vicino al villaggio di Biddu, nel corso di scontri con un
gruppo di manifestanti che protestavano contro la costruzione della barriera di
separazione in Cisgiordania. Soldati si sono inoltre scontrati con un gruppo di
coloni che cercavano di ricostruire un avamposto illegale di insediamento
demolito nei giorni scorsi, vicino a Hebron. Due coloni sono stati
arrestati.
Intanto, un severo avvertimento
agli Stati Uniti a non incoraggiare la colonizzazione dei territori palestinesi
o la costruzione del muro in Cisgiordania è stato
lanciato dal premier palestinese, Abu Ala, all'apertura a Ramallah dell'esecutivo
palestinese. Abu Ala ha chiesto che non si facciano promesse a Israele che
potrebbero colpire i diritti nazionali dei palestinesi e la road map, cioè
l'itinerario di pace proposto dal Quartetto, Usa, Ue, Russia e Onu. Si è
trattato di una seduta di emergenza dell’esecutivo palestinese, riunito per
discutere dei possibili risultati del vertice tra il premier israeliano Ariel
Sharon e il presidente George W. Bush, nelle prossime ore a Washington.
Seggi
aperti oggi in Sudafrica per le terze elezioni generali a suffragio universale
dalla fine del regime dell’apartheid. Più di venti milioni di persone sono
chiamati a rinnovare i 400 deputati e le assemblee di 9 province. E la consultazione
rappresenta un importante banco di prova per il presidente Thabo Mbeki. La sua
rielezione, infatti, sarà decisa dal nuovo parlamento. Votando a Johannesburg,
l’ex capo di Stato, Nelson Mandela, ha auspicato che il mondo abbandoni quanto
prima la via della violenza per percorrere, invece, quella della pace. Ma per
un’analisi, Celine Hoveau ha intervistato Georges Lory, direttore della sezione
esteri di Radio France Internazionale e autore di studi sul Sudafrica:
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R. – LES ENJEUX SONT LA
CONFIRMATION DE LA LIGNE DEMOCRATIQUE ...
E’ in gioco la conferma della
linea democratica adottata dal Paese da dieci anni a questa parte. Mi colpisce
molto la grande apertura della stampa sudafricana e della società. Colpisce
sempre in Sudafrica vedere gli elettori recarsi a votare con un atteggiamento
quasi religioso, facendo la fila molto compostamente. Non c’è neppure ombra di
lassismo da parte della popolazione di colore, per molto tempo privata del
diritto di voto, la quale, invece, manifesta una specie di fervore nel compiere
il proprio dovere elettorale. Ci sono poi altri traguardi importanti quali la
continuazione della politica adottata nel campo delle infrastrutture a favore
della popolazione più sfavorita.
Penso all’energia elettrica da
portare in alcune aree, agli acquedotti, alla costruzione di case popolari.
D. – A dieci anni dalla fine
dell’apartheid, le disuguaglianze sociali continuano a persistere…
R. – OUI. JE SUIS TRES FRAPPE DE
VOIR ...
Mi colpisce molto l’emergere di
tutta una classe media nera. Per farvi parte,
è necessario essere diplomati, quindi si tratta di quei giovani che
hanno frequentato la scuola fino alla fine, che hanno trovato un posto di
lavoro nell’amministrazione o nell’ambito degli affari. Si nota una sorta di
‘giubilo’ nel prendere in mano le redini del Paese da parte di una determinata
categoria di neri urbanizzati. Ci sono poi gli ‘emarginati’, persone che
nessuno vuole, ma ciò è dovuto in parte all’eredità del passato. Thabo Mbeki e
la sua équipe sono molto attenti a non staccarsi dalla ‘base’ e stanno quindi
facendo di tutto affinché la povertà possa essere sconfitta là dove è
possibile, soprattutto nelle zone rurali. Vorrei aggiungere un elemento
importante: la Commissione “Verità e Riconciliazione” ha assunto, in Sudafrica,
proporzioni uniche al mondo. Le vittime hanno potuto denunciare apertamente i
torti subiti. I ‘cattivi’ sono venuti a confessare le loro colpe. E, inoltre,
le vittime ed i loro familiari hanno percepito dei risarcimenti che è vero che
sono bassi, ma quello che conta sostanzialmente è che le vittime siano
riconosciute come tali dalla società. E da questo punto di vista la società
sudafricana è da portare ad esempio nel mondo. Si tratta sì di una società
profondamente divisa, devastata, ma dove ci sono le basi per farne un Paese
dinamico.
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Alle
urne oggi anche in Macedonia. Un milione e 700 mila elettori si stanno recando
alle urne per il voto presidenziale, indetto dopo la morte del capo di Stato,
Traykovski, deceduto il 26 febbraio scorso in un incidente aereo in Bosnia.
Nella tornata elettorale risulta favorito il premier socialdemocratico Crvenkovski.
Tra gli altri candidati spicca il leader dell’opposizione Kedev, del Movimento
rivoluzionario di Macedonia.
Ancora del tutto
incerto l’esito del tentativo di riunificazione tra Repubblica di Cipro,
greco-cipriota, e parte del nord occupata dalla Turchia nel 1974. Dopo il
fallimento della fase del negoziato tra leader, la parola spetterebbe ora ad un
referendum da tenere all’interno di ciascuna comunità il 24 aprile. Si parla
ora però di un possibile rinvio. Questa mattina la Grecia ha fatto sapere che
appoggerà l’ipotesi di un posticipo se tutte le parti si dichiareranno
favorevoli. Ieri lo stesso segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, che ha
gestito la mediazione e scritto il piano per un accordo, si era detto
disponibile a considerare lo slittamento se questa fosse stata la volontà dei
greco-ciprioti e dei turco-ciprioti, nonchè di Ankara ed Atene. Oggi più di
15.000 turco-ciprioti hanno manifestato nella zona nord di Nicosia, agitando
cartelli pro riunificazione e sventolando quella che potrebbe essere la futura
bandiera dell'Isola riunita. Il 'no' al referendum di una sola delle due
comunità farebbe fallire il piano per la riunificazione che è stata pensata in
vista dell’ingresso della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea il prossimo 1
maggio. Ingresso che avverrà con o senza la parte del Nord.
In
Indonesia, a sei anni dalla deposizione di Suharto, il Golkar, Partito dell’ex
dittatore, sembra destinato a vincere le elezioni politiche del 5 aprile scorso.
Dopo due terzi delle schede scrutinate, la formazione è accreditata del 21%
circa dei consensi, contro il 19% del Partito della presidente Sukarnoputri. Il
servizio di Maurizio Pascucci:
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Il “Golkar” è in testa, seppure
sotto i livelli delle elezioni del ’99, quando raccolse il 22,5 per cento dei
consensi. Crollo, invece, per il Partito della presidente in carica che dal 34
per cento ha perso quasi 15 punti percentuali. Ma la vera sorpresa è il 7,5 per
cento fatto registrare, almeno per ora, dal nuovo Partito democratico dell’ex
ministro della sicurezza, Susilo Bambang Yudhoyono, dimessosi prima delle
elezioni. Yudhoyono ha raccolto la maggioranza dei consensi persi dal Partito
della Sukarnoputri, facendo leva sul voto di protesta di un elettorato deluso
dalla politica della presidente. Il monito lanciato a Megawati Sukarnoputri è
reso ancora più severo dal fatto che a luglio si terranno le elezioni presidenziali
in Indonesia, per la prima volta con il voto diretto. Yudhoyono potrà ora
candidarsi grazie al risultato ottenuto dal suo Partito nelle legislative. Presumibilmente,
sarà in grado di strappare voti preziosi alla Sukarnoputri per il rinnovo del
mandato.
Maurizio Pascucci per la Radio
Vaticana.
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In Afghanistan, una bomba è
esplosa questa mattina a Kandahar, nel sud, vicino a una base militare
americana, ferendo un funzionario della polizia locale e due sue guardie del
corpo. Il generale Abdul Wasay, portavoce militare della provincia, e lo stesso
funzionario ferito hanno attribuito l'azione agli irriducibili seguaci dei
Taleban, che ancora si trovano nella zona, e ''ai loro complici di al Qaida''. Ed è stato reso noto oggi che lunedì
scorso un gruppo di uomini armati, presumibilmente sempre combattenti Taleban,
hanno ucciso nel sudest dell'Afghanistan, al confine con il Pakistan, sette
civili afgani: una donna, un bambino e cinque funzionari del governo di Ahmid
Karzai.
Il vicepresidente americano Dick
Cheney, da ieri in visita in Cina, ha detto oggi che è necessario ''muoversi in
modo aggressivo'' per risolvere la crisi legata al programma nucleare
nordcoreano. Il vicepresidente ha espresso apprezzamento per il ruolo giocato
dalla Cina nel portare la Corea del Nord al tavolo delle trattative ma ha aggiunto che nella crisi
''il tempo non è dalla nostra parte''. Cheney ha incontrato il presidente Hu
Jintao, il suo predecessore Jiang Zemin e il primo ministro Web Jiabao. La
crisi legata al programma nucleare nordcoreano è esplosa nell'ottobre del 2002,
quando gli Usa hanno accusato Pyongyang di non aver rinunciato a sviluppare
armi atomiche in violazione dei trattati internazionali. La Corea del Nord ha
risposto denunciando le minacce degli Usa ma non ha smentito che un programma
nucleare militare sia in corso. In seguito si sono tenute a Pechino due tornate
di trattative a sei - Usa, Corea del Nord, Cina, Corea del Sud, Giappone e
Russia - che si sono concluse senza risultati di rilievo.
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