RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 103 - Testo della trasmissione di lunedì 12 aprile
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Anche i cristiani cinesi hanno celebrato ieri la Pasqua:
intervista con padre Bernardo Cervellera
CHIESA E SOCIETA’:
10 anni fa si apriva a Roma il
Sinodo dei vescovi per l’Africa
In
Iraq, tensione per la sorte degli stranieri presi in ostaggio, mentre è in
bilico la tregua a Falluja. In una settimana di scontri 600 morti tra gli
iracheni e decine di vittime tra gli americani
Tre
palestinesi uccisi in un attacco ad una colonia ebraica; la crisi mediorientale
al centro del colloquio tra Bush e Mubarak, oggi in Texas
12
aprile 2004
IL
PAPA OGGI A SAN PIETRO, NELLA PREGHIERA DEL REGINA
COELI,
HA
AFFIDATO A MARIA, MADRE DI GESU’ CROCIFISSO E RISORTO,
LE
SPERANZE E LE PREOCCUPAZIONI DEL MONDO INTERO
- Il
servizio di Sergio Centofanti -
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La Resurrezione di Gesù è l’evento salvifico “che ha
cambiato il corso della storia”. E’ quanto ha detto stamane Giovanni Paolo II
durante il Regina Coeli, la preghiera mariana che sostituisce l’Angelus nel
tempo pasquale e che esprime la gioia di Maria per la Risurrezione del suo
Figlio.
Il Pontefice, affacciato alla finestra del suo studio, è
stato salutato affettuosamente da alcune migliaia di fedeli giunti in Piazza
San Pietro nonostante la giornata fredda e piovosa.
Regina Coeli laetare: cioè: “Regina del Cielo rallegrati…Cristo è
risorto come aveva promesso”. Si tratta di un canto – ha sottolineato il Papa –
tanto caro alla pietà popolare. “Maria diventa … modello della comunità
cristiana, che si ‘rallegra’ per la Pasqua del suo Signore, fonte di autentica
gioia per tutti i credenti:
“E’ il Risorto, infatti, la sorgente e la ragione ultima
di questo gaudio spirituale, che nessuna ombra può e deve offuscare”.
La Chiesa - ha proseguito - si associa a Maria, “che ha
vissuto più da vicino la passione, la morte e la resurrezione di Gesù. E a Lei
chiede di sostenere la propria fede: Ora
pro nobis Deum - Prega per noi il
Signore”. In questo Lunedì
dell’Angelo, prolungamento del giorno di Pasqua – ha esortato il Pontefice -
“ciascuno di noi si soffermi accanto al sepolcro vuoto per meditare sul sommo
prodigio della Risurrezione di Cristo”.
“La Vergine Maria, silenziosa testimone di questo mistero,
ci confermi nell’adesione personale a Colui che è morto e risorto per la
salvezza d’ogni essere umano. Ci sia maestra e guida nella fede; ci sostenga
nei momenti del dubbio e della tentazione; ci ottenga quella serenità interiore
che nessuna paura può scuotere, perché radicata nella certezza che Cristo è davvero
risorto”. Quindi il Papa ha concluso il Regina Coeli con l’affidamento del
mondo a Maria:
“Con questa consapevolezza, rinnovo a tutti i miei auguri
per la Santa Pasqua, mentre affido alla Madre di Gesù crocifisso e risorto le
attese e le speranze, come anche le preoccupazioni e i timori del mondo intero”.
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12
aprile 2004
LA
PASQUA E’ STATA FESTEGGIATA IERI DA TUTTI I CRISTIANI
PER UNA FELICE COINCIDENZA
DEI CALENDARI:
LA PREGHIERA DEL PAPA PERCHE’ TUTTI I
BATTEZZATI POSSANO VIVERE
NELLO
STESSO GIORNO QUESTA SOLENNITA’.
SCAMBIO
DI AUGURI TRA IL PATRIARCA SERBO ORTODOSSO PAVLE
E L’ARCIVESCOVO DI BELGRADO, STANISLAV
HOCEVAR
- Con
noi il presule cattolico -
Quest’anno la Pasqua, per una felice coincidenza dei
calendari liturgici, è stata celebrata contemporaneamente da tutti i cristiani:
un evento che capita raramente. Infatti, per stabilire la data della Pasqua, i
cristiani d’Occidente seguono il calendario gregoriano, mentre i cristiani
d’Oriente seguono il calendario giuliano, con una differenza di una o più settimane.
Tuttavia, in questi primi 25 anni del Terzo Millennio, la Pasqua coinciderà altre sette volte. Un segno di
speranza per l’unità dei cristiani. E ieri Giovanni Paolo II, dopo la
Benedizione Urbi et Orbi, ha pregato perché tutti i battezzati possano “presto
giungere a rivivere ogni anno insieme nel medesimo giorno questa fondamentale
festa della nostra fede”.
In Serbia ieri la solennità pasquale ha unito in modo
particolare cattolici e ortodossi dopo i recenti avvenimenti nel Kosovo, dove
alcune chiese ortodosse sono state date alle fiamme. “Per alleviare queste
ferite – ha detto il Patriarca della Chiesa ortodossa serba Pavle – rimane
l’unica speranza nel Cristo risorto”. Solidarietà alla Chiesa ortodossa è stata
espressa dall’arcivescovo cattolico di Belgrado Stanislav Hocevar: “Cristo – ha
detto il presule – ci garantisce che è possibile ottenere la pace nella verità
e nella reciproca carità”. Ma ascoltiamo lo stesso mons. Hocevar intervistato
da Aldo Sinkovic.
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R. – Siamo stati molto felici di aver potuto celebrare
insieme la Santa Pasqua. Sua Beatitudine il Patriarca Pavle, ed io stesso, ci
siamo scambiati un messaggio, in particolare in occasione degli ultimi
avvenimenti in Kosovo, che hanno scosso la Serbia. In questo senso, abbiamo
celebrato nello stesso giorno, abbiamo pregato per la pace ma abbiamo anche
cercato le possibilità per aiutare in particolare i profughi, con l’impegno di
cercare quanto più possibile la verità, perché soltanto la verità può liberarci
dal passato negativo, dai pregiudizi.
D. – La Pasqua cade raramente nello stesso giorno per
cattolici e ortodossi. Questa diventa quindi – in un certo senso – occasione
per ‘misurare il polso’ del vero ecumenismo?
R. – E’ vero. Abbiamo espresso ancora il desiderio di fare
tutto il possibile perché possiamo celebrare la Pasqua nella stessa data, ed io
penso che veramente tutto il mondo cristiano debba fare qualcosa per
raggiungere questa consonanza, perché soltanto così noi tutti cristiani del
mondo possiamo essere testimoni. Questo è un grande compito che noi abbiamo.
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- Intervista di Sergio Centofanti a padre Bernardo
Cervellera, direttore di AsiaNews -
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R. –
I nostri corrispondenti di AsiaNews ci hanno detto che la Pasqua è stata vissuta
molto bene, soprattutto nella Chiesa ufficiale. Bisogna tener presente, però,
che la Pasqua cade di domenica ed è quindi vacanza. Questo permette ai
cattolici cinesi di prepararsi molto meglio, anche spiritualmente, per le
funzioni e di aiutarsi nella catechesi a comprendere meglio il mistero di
Cristo. Per quanto riguarda il Natale, invece, non è così, proprio perché
Natale cade nei giorni feriali e quindi i cinesi vanno a lavorare. Non dimentichiamo,
inoltre, che le chiese cinesi durante queste feste sono frequentate anche da
tantissimi non cristiani, soprattutto giovani, che vogliono cercare di capire
di più cosa sia il cristianesimo. C’è un gran fascino verso il cristianesimo.
Proprio con questi giovani si sono tenuti degli incontri e, addirittura, in
alcuni casi e in alcune parrocchie - abbiamo saputo - che sono stati invitati
tutti al pranzo di Pasqua, durante il quale hanno cominciato a fare amicizia,
dandosi anche appuntamento per il catechismo.
D. – In queste ultime settimane sono stati effettuati
alcuni arresti da parte delle autorità governative. Ricordiamo anche l’arresto
di un vescovo cattolico...
R. – Sì, il vescovo Giulio Jia Zhiguo
è ancora agli arresti e nessuno sa dove sia e le comunità sono molto tristi per
questo. Diciamo che sono anche, in un certo senso, molto abituati: tantissimi
vescovi e tantissimi sacerdoti nel periodo della Settimana Santa, e alcune
volte per periodi che vanno fino alla Pentecoste, vengono rapiti proprio per
non far celebrare la Pasqua. Abbiamo, però, notizia di diverse comunità
sotterranee che hanno potuto celebrare la Veglia Pasquale e la Messa di Pasqua
senza troppi problemi.
D. – Quali sono le speranze per la fede cristiana in Cina?
R. – Le speranze per la fede cristiana in Cina sono
eccezionali. Anzitutto perché ci sono molte persone che vogliono entrare nel
catecumenato e, in secondo luogo, perché oltre a questo interesse da parte di
giovani e di professionisti, di fatto la Chiesa in Cina ha continui contatti
con il resto della Chiesa universale in un modo o nell’altro, di nascosto o in
pubblico, attraverso la radio, gli scritti ed i siti internet. Molti cattolici
hanno potuto seguire il messaggio del Papa Urbi et Orbi e sono rimasti molto
felici che il Papa abbia rivolto gli auguri di Pasqua anche in cinese.
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VIVERE
LA PASQUA IN TERRA SANTA
-
Interviste con padre David Jaeger, padre Ibrahim Faltas e padre Frederick Mans
-
In questi giorni di Pasqua, la
Terra Santa non ha visto le migliaia e migliaia di pellegrini che vi giungevano
da ogni parte del mondo per i riti della Settimana Santa prima del riacutizzarsi
del conflitto arabo-israeliano. I pellegrinaggi, infatti, in questi ultimi anni
hanno subìto una battuta d’arresto. Un appello al loro rilancio è
stato fatto da mons. Pietro Sambi, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico
a Gerusalemme e Palestina, che ha esortato i cristiani del mondo a ritornare in
Terra Santa, specialmente in questo periodo pasquale. Un pellegrinaggio ai Luoghi
Santi – ha detto il presule – è un dono per il popolo palestinese ed israeliano,
oltre che un grande dono spirituale per gli stessi pellegrini. Su questi luoghi
che sono stati testimoni della vita di Gesù, il servizio di Roberto Piermarini:
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(musica)
Chi si reca pellegrino in Terra Santa si trova a
rincorrere le pietre, i monti e le acque che fecero da scenario alla vita
terrena di Gesù. Luoghi spesso devastati per cancellarne la memoria, dalle
ripetute invasione subìte da questa Terra “santa e tormentata”. Il viaggio
diventa quindi una ricerca interiore della vita di Cristo che ogni sito
evangelico, magari totalmente trasformato, continua a ricordarci. La Terra
Santa diventa così “Il quinto Vangelo” come ci spiega padre David Jaeger, portavoce
della Custodia francescana, l’Istituzione che già dai tempi del Poverello
d’Assisi, custodisce coraggiosamente questi luoghi:
“Il cristianesimo vuol dire fede nella realtà degli eventi
raccontati dai quattro Vangeli. La realtà di Dio che entra a farsi soggetto,
pure Lui, della storia degli uomini e siccome non possiamo viaggiare nel tempo
per farci veri contemporanei del Verbo incarnato che su questa terra camminava,
possiamo viaggiare nella dimensione dello spazio per trovarci a camminare
effettivamente negli stessi spazi, negli stessi luoghi dove Egli nacque, crebbe,
lavorò, insegnò, soffrì, morì ed è risorto a vita nuova”.
Il viaggio in Terra Santa, per chi lo affronta con spirito
“turistico”, spesso si trasforma in un’esperienza spirituale unica, come ci
spiega il superiore della Basilica della Natività a Betlemme, che conserva la
grotta dove è nato Gesù, il padre Ibrahim Faltas:
“Non si può descrivere la gioia del pellegrino che viene in Terra Santa.
Tanti hanno detto che hanno girato il mondo, sono stati ovunque, ma ... la
Terra Santa è una cosa speciale. Io ho fatto tanti progetti, con tanta gente
che era venuta soltanto così, soltanto per una visita turistica, che però è
rimasta tanto colpita, e che poi ha voluto fare qualcosa per la Terra Santa”.
Il pellegrinaggio ai Luoghi
Santi sulle orme di Gesù inizia in Galilea. A Nazareth, dove Maria ha ricevuto
l’annuncio dell’Angelo, e prosegue poi sulle sponde del lago di Tiberiade con
le tappe più significative al Monte delle Beatitudini, Tabga, Cafarnao, e poi
al fiume Giordano, al Tabor, al deserto di Giuda ed infine a Gerusalemme, la
città santa alle tre
religioni monoteiste, che ha visto la passione, la morte e la resurrezione del
Signore. La Via Crucis sulla via
dolorosa ci porta alla Basilica del Santo Sepolcro che contiene il Calvario,
luogo della crocifissione del Signore, ed il Sepolcro stesso che, come ci
spiega il biblista padre Frederick Mans, è il cuore non solo del pellegrinaggio
ma anche della nostra fede:
“Al Sepolcro c’è l’edicola, che si
vede, dove una volta c’era la tomba: sappiamo, infatti, che la tomba è stata
distrutta dai musulmani. Si vede l’edicola e si vede una piccola pietra,
originale ancora: lì i cristiani possono fare memoria della risurrezione di
Cristo. E ciascuno è chiamato ad uscire dalla propria tomba per rinascere a
quella vita nuova che Cristo ci porta”.
(musica)
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APERTURA
OGGI AD ISTANBUL DEL PRIMO CONGRESSO
DEI
DEMOCRATICI DEI PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA
-
Intervista con Antonio Ferrari -
''Il governo democratico nel
mondo islamico''. E’ il titolo del primo Congresso dei democratici dei Paesi a
maggioranza musulmana, che si svolge da oggi fino a mercoledì prossimo ad
Istanbul, in Turchia. Col patrocinio del programma delle Nazioni Unite per lo
sviluppo, i rappresentanti di 14 Paesi islamici discutono per due giorni di
temi quali il sistema elettorale multipartitico, l'indipendenza della
magistratura, la partecipazione delle donne alla vita politica e lo sviluppo
della società civile. Ai lavori partecipano, oltre al ministro degli Esteri
turco Abdullah Gul, anche il presidente della Sierra Leone, Ahmad Tejan Kabbah,
e il ministro degli Esteri giordano, Marwan Muasher. Ma in un momento in cui
l’estremismo islamico minaccia gli equilibri mondiali, perché questo Congresso?
Giada Aquilino lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere
della Sera:
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R. – Il motivo è quello che aveva già annunciato il re di
Giordania e cioè che le riforme bisogna farle prima che ce le impongano: è un
po’ una linea che sta prevalendo all’interno della parte moderata del mondo
musulmano. E non è casuale che questo incontro si svolga in Turchia, un Paese
dove – con sistemi democratici – il Partito islamico moderato della giustizia e
dello sviluppo non solo ha vinto le elezioni ed ha la maggioranza assoluta in
Parlamento ma si è visto confermato alle elezioni amministrative e con una maggioranza
ancora più forte. Quindi l’idea qual è? In un momento di confusione e forse
anche di sbandamento, dopo le notizie che arrivano da tutta la regione, dal
Medio Oriente, c’è un po’ la volontà di mettere insieme, almeno coloro che
condividono questo valore, le riforme, in modo da arginare questo pericolo fondamentalista.
D. – Si parlerà di multipartitismo, di indipendenza della
magistratura, di diritti civili e politici. Che spazio occupano nella realtà
del mondo islamico?
R. – Dobbiamo fare una distinzione tra quelle che sono
riforme sociali ed economiche, che sono forse le più urgenti e che possono
essere il punto di partenza per poi arrivare a riforme politiche. In fondo
l’idea è un po’ quella di creare le condizioni per la nascita di una democrazia
musulmana. Questo non significa tradire i principi della democrazia occidentale,
come noi la immaginiamo, ma, visto che questa non è esportabile, va coniugata
con la realtà culturale di ogni singolo Paese.
D. – Forse allora il Congresso è un segnale positivo,
visto che recentemente il Vertice arabo è fallito proprio sul progetto di
riforme?
R. – Credo di sì. C’è stato lo scontro proprio sulle
riforme: ci sono Paesi che sono pronti a procedere e ad andare avanti con le
riforme – come la Giordania, che è uno dei Paesi in prima fila e come anche la
Tunisia, il Marocco e l’Egitto; e ci sono poi Paesi che ovviamente resistono. A
questo riguardo va ricordata l’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, che
però non vuole sentir parlare di riforme democratiche anche in senso arabo.
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EMERGENZA UMANITARIA IN NORD
UGANDA:
L’APPELLO
DELL’AMREF ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
-
Intervista con Marina Vitali -
Da
diciotto anni il Nord dell’Uganda si trova al centro di una sanguinosa guerra
civile. Reclutamenti forzati di bambini, massacri di villaggi inermi, violenze
sessuali, saccheggi hanno creato un’emergenza umanitaria tra le più gravi del
pianeta. Nella città di Gulu, l’ AMREF, fondazione africana per la
medicina e la ricerca, che opera nel continente da 50
anni, ha avviato diversi progetti. Ce ne parla, al microfono di Dorotea
Gambardella, la portavoce Marina Vitali:
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R. – Una
delle zone che continua ad essere molto bisognosa e carente di assistenza è la
zona di Gulu. La maggior parte della popolazione in questo distretto vive in
campi profughi, dove le condizioni sanitarie sono terribili: c’è pochissima acqua
e le malattie sono all’ordine del giorno. Amref e Avis hanno iniziato lo scorso
anno questo progetto di vaccinazione per le malattie più diffuse localmente: il
morbillo, la tubercolosi, la poliomielite.
D. – Un
altro vostro progetto riguarda i bambini che di notte scappano dai campi
profughi per raggiungere il più vicino centro urbano…
R. – Lo
fanno per cercare di non essere rapiti dai ribelli dell’Esercito di resistenza
del signore, che è presente in questo distretto ormai da quasi 18 anni. Amref
fa formazione, crea dei luoghi dove i bambini possano trascorrere la notte e
attraverso il teatro o documentari vengono fornite loro delle informazioni relative
ai pericoli che ci sono.
D. – Mi
dice qualcosa di più della situazione nel nord dell’Uganda…
R. –
Infernale, perché la presenza dei ribelli dell’Esercito di resistenza del signore
è un grossissimo pericolo. Devastano intere zone, rapiscono bambini, donne,
massacrano le popolazioni di interi villaggi.
D. – Qual
è il sentimento dominante nei campi profughi?
R. –
L’abbandono. In tutti i viaggi che ho fatto in Africa, nonostante le condizioni
economiche e sociali siano molto gravi, si vede sempre la positività di
un’Africa che ce la può fare, che ha tutte le energie, le forze per cambiare.
In questi campi profughi non c’è nessuna speranza. Ci sono uomini e donne che
da anni non possono coltivare i loro campi, vivono in una zona estremamente
fertile e sono rinchiusi invece in questi campi, dove non c’è nulla, dove ci
sono uno, due o tre pozzi per 10-15 mila persone. Le condizioni economiche e
sociali, lo stato di salute di quegli
abitanti sono terribili.
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STORIA
DELL’ULTIMO SECOLO E MEZZO NEI PAESI BASCHI.
UN
SAGGIO DEL PROF. ALFONSO BOTTI
-
Intervista con l’autore -
Con il titolo “La questione basca” è stato
presentato recentemente a Roma uno studio del professor Alfonso Botti,
dell’Università degli Studi di Urbino. Scopo del saggio – si legge nella
premessa al volume - “è presentare le
origini storiche di un problema tuttora irrisolto e di grande attualità per
l’Europa; descrivere la sua evoluzione nell’ultimo secolo e poco oltre”. L’autore fa poi una opportuna precisazione,
tenendo conto delle passioni che suscita questo argomento: “Lo scopo di questo
saggio, concepito come un lavoro di ricostruzione storica e di sintesi
storiografica, non è quello di aiutare chi lo legge a schierarsi e a prendere
posizione, ma di spiegare quanto si è capito e aiutare a capire”. Il volume, di
250 pagine, edito da Mondadori, offre anche un’ampia documentazione
nell’appendice con cronologie, bibliografia e dati statistici su diversi
argomenti.
Alla tavola rotonda, in occasione della presentazione del
libro a Roma, hanno partecipato anche i professori Pietro Grilli da Cortona, Renato
Moro, Giuliana di Febo (dell’Università degli Studi di Roma Tre), e Manuel
Espada Burgos (della Scuola spagnola di storia e archeologia a Roma). Al prof. Alfonso Botti, padre Ignacio Arregui
ha chiesto perché la questione basca sia così complessa:
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R. – Perchè non si è risolta, nonostante oltre un quarto
di secolo di democrazia. Si pensava durante il franchismo che sarebbe bastata
la fine della dittatura per risolvere anche la questione basca ed invece ci si
è accorti, 25 anni dopo, che non solo la questione basca, ma forse la questione
nazionale nel suo complesso, nella Spagna democratica non si è risolta.
D. – Dopo questo saggio che lei ha fatto - una vera
sintesi storica del naziona-lismo, non di tutta la storia dei Paesi baschi -
come vede la soluzione del problema della questione basca?
R. – Come dico nelle ultime pagine del libro, non spetta
agli storici individuare le soluzioni, indicare delle prospettive. Gli storici
studiano il passato, lo devono fare con la maggiore lealtà possibile, ma non
rientra nei compiti “istituzionali” degli storici quello di indicare
prospettive future. Quello che posso dire, visto che lei me lo chiede, è che
sono arrivato alla conclusione, per quanto parziale e provvisoria, che la
questione basca non si identifica con il problema del terrorismo, e quindi
anche risolto il problema del terrorismo, che credo sia auspicabile ed
auspicato da parte di tutti, il problema basco resta intero. Quindi, è un
problema che va risolto politicamente.
D. – Pensa che in questi ultimi 20 anni di storia si
poteva evitare l’attuale radicalismo?
R. – Questa è la più difficile di tutte le domande, perché
significa ricostruire il processo storico alla luce di ipotesi che non si sono
verificate. Quello che posso dire è che negli ultimi anni la politica seguita
dal governo di Madrid non ha contribuito ed aiutato a risolvere i problemi
delle identità nazionali nel contesto spagnolo. Questo sia per quello che riguarda
il problema basco, ma anche per quello che riguarda la questione catalana. I risultati
delle ultime elezioni nelle due comunità autonome lo stanno a dimostrare.
D. – Prof. Botti perché interessa, non solo in Spagna ma
anche in Italia e, a quanto pare, in tutta l’Europa, la questione basca?
R. – Credo per due motivi: uno europeo ed uno
specificatamente italiano. Quello europeo è che nel momento in cui si sta
costruendo un’identità europea attraverso dei processi di integrazione, l’idea
che si aveva è che i localismi e i particolarismi sarebbero stati superati. Ci
si è accorti invece che questo non è successo e quindi, sia dal punto di vista
storico, sia dal punto di vista dei politici, c’è la necessità di capire perché
le cose non sono andate come tutti o molti immaginavano. Dal punto di vista
italiano l’interesse è molto strumentale ed ambiguo a mio modo di vedere,
perché anche in Italia si è discusso negli ultimi anni di una riorganizzazione
territoriale dello Stato e si sta discutendo di una organizzazione di tipo di
federale. Molte volte la Spagna entra nel dibattito italiano come un miraggio,
ma molte volte se ne parla con poca cognizione di causa. Per cui si parla di un
modello spagnolo, di un modello catalano, ma in realtà sono pochi quelli che ne
parlano con cognizione di causa.
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12
aprile 2004
10
ANNI FA, DAL 10 APRILE ALL’8 MAGGIO 1994, SI CELEBRAVA A ROMA IL SINODO DEI
VESCOVI PER L’AFRICA. MOMENTO STORICO DI INCONTRO E DI
RIFLESSIONE CHE GIUNGEVA A CORONAMENTO DI UN LUNGO PERCORSO DI PREPARAZIONE
DELLE CHIESE LOCALI ED APRIVA NUOVE PROSPETTIVE PER LA CRISTIANITA’ AFRICANA
- A
cura di padre Giulio Albanese -
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ROMA.=
Accompagnato da grandi entusiasmi e da aspettative, il Sinodo fu vissuto come
occasione di grazia per la Chiesa africana e per tutta la Chiesa universale,
chiamata ad interrogarsi sulla sua missione evangelizzatrice verso l’anno
Duemila”. Il tema che ho assegnato all’Assemblea speciale – scrisse Giovanni Paolo
II nella prefazione dell’Esortazione post-sinodale, “Ecclesia in Africa”
– mostra il mio desiderio che questa Chiesa viva il tempo che conduce verso il
Grande Giubileo come un nuovo avvento, un tempo di attesa e di preparazione”.
Tra gli argomenti più dibattuti in aula e nei gruppi di lavoro,
l’inculturazione fu quello che monopolizzò maggiormente l’attenzione dei padri
sinodali. Su un totale di 211 relazioni individuali, presentate durante la
prima fase dei lavori, ben 35 affrontarono questo complesso problema. Oggi,
alle soglie del Terzo Millennio e a dieci anni da questo evento provvidenziale,
le Chiese d’Africa tentano i primi bilanci. Bilanci di un cammino, talvolta,
appena abbozzato. Da allora le Chiese africane hanno sperimentato un decennio
caratterizzato da profondi sconvolgimenti geopolitici, che hanno messo a soqquadro
il continente a partire dalla Regione dei Grandi Laghi. In questo contesto, le
comunità cristiane sono state chiamate, in più circostanze, a testimoniare nei
fatti la formula sinodale: “Chiesa, famiglia di Dio”. Una Chiesa, quella
africana, che ha certamente difeso il Vangelo della Pace su vari fronti: in
terra congolese, nell’Uganda settentrionale, in Sierra Leone, in Angola…
Certamente la strada da percorrere è ancora lunga. E’ importante sottolineare
il ruolo di molte comunità ecclesiali, soprattutto a livello di società civile,
le quali si sforzano di “dare voce ai senza voce” nelle periferie africane.
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UN
NUOVO APPELLO PER IL DIALOGO TRA IL GOVERNO UGANDESE E LE FORZE RIBELLI
E’
STATO LANCIATO IERI, IN OCCASIONE DELLA PASQUA,
DAL
CARDINALE EMMANUEL WARMALA, ARCIVESCOVO DI KAMPALA,
E DAL
CAPO DELLA CHIESA ANGLICANA, L’ARCIVESCOVO HENRY OROMBI
LUBAGA.= Un appello affinché s’instauri il dialogo
tra il governo e i ribelli dell’Esercito di resistenza del signore attivi nel
nord dell’Uganda, è stato lanciato ieri, in occasione della Pasqua, dalle
autorità religiose del Paese africano. “Da oltre venti anni chiediamo che il
conflitto si risolva attraverso mezzi pacifici - ha dichiarato il cardinale
Emmanuel Wamala, arcivescovo di Kampala, durante l’omelia nella cattedrale di
Lubaga, alla periferia ovest della capitale –. Sfortunatamente, fino ad oggi,
nessuno ha tenuto in considerazione i nostri appelli. Speriamo che le festività
pasquali possano determinare un cambiamento”. Rivolgendo il proprio pensiero al
genocidio del Rwanda, dinanzi al quale “la comunità internazionale è rimasta
impotente”, il porporato si è chiesto “se occorra aspettare che anche nel nord
dell’Uganda, dove le atrocità che si stanno perpetrando hanno già fortemente
intaccato all’estero l’immagine del Paese, si consumi un massacro”. E un
appello ai ribelli ugandesi affinché mettano fine alle violenze e si adoperino
per una soluzione pacifica del conflitto, è stato rivolto anche dal capo della
chiesa anglicana, l’arcivescovo, Henry Orombi. “Quando il sangue smetterà di
scorrere in Uganda?”, si è interrogato il presule sottolineando che “Gesù ha
subito il martirio affinché l’umanità possa vivere in pace”. L’Esercito di
resistenza del signore (Lra), costituitasi nel 1988, mira a sostituire il
governo del presidente Yoweri Museveni con un regime teoricamente fondato sui
dieci comandamenti della Bibbia. In realtà compie una serie di inaudite
violenze ai danni dei civili, soprattutto dei bambini, oggetto di violenze
sessuali o arruolati come soldati. Secondo l’agenzia missionaria Misna, il
numero delle vittime dei guerriglieri ammonta a centomila morti e ad oltre ventimila
minori rapiti (D.G.)
ANNUNCIATO NEI GIORNI SCORSI DAL GOVERNO DEL PARAGUAY
UN RISARCIMENTO ECONOMICO PER CIRCA 400 SOPRAVVISSUTI
ALLE VIOLENZE PERPETRATE DAL REGIME DI ALFREDO
STROESSNER
ASUNCION.= Un risarcimento
economico a quanti hanno subito violenze durante il regime di Alfredo
Stroessner, dal 1954 al 1989, è stato annunciato, nei giorni scorsi, da Miguel
Angel Aquino, uno dei supervisori della “Commissione verità e giustizia”.
L’organismo è incaricato di far luce sulle sparizioni forzate, le esecuzioni
sommarie, le torture, le lesioni gravi e altre violazioni dei diritti umani perpetrate
contro i dissidenti. Il governo del presidente Nicanor Duarte ha stanziato
complessivamente 3 milioni di dollari per “compensare” circa 400 sopravvissuti
agli orrori del regime di Stroessner. “Più che un beneficio economico – ha
dichiarato Aquino – si tratta di un importante segnale morale e politico della
responsabilità che si assume il Paese nei confronti di queste vittime”. Ma per
Sandino Gill Oporto, dirigente del “Movimento popolare Colorado”, che ha
trascorso 24 anni di esilio forzato in Argentina, il provvedimento del governo
“non è sufficiente”. Per Gill “più che una compensazione simbolica, è
necessario che la popolazione recuperi la memoria” su quanto avvenne sotto
Stroessner: l’ex-gerarca, 91 anni, riparato in Brasile il 3 febbraio del 1989,
lo stesso giorno in cui veniva deposto dopo 35 anni al potere, è accusato di
innumerevoli crimini e violazioni dei diritti umani. (D.G.)
UN
MORTO E DIECI DISPERSI E’ IL BILANCIO DELLE DUE FRANE
CHE
SABATO SCORSO HANNO COLPITO UNA LOCALITA’ PERUVIANA
NEI DINTORNI
DEL SITO ARCHEOLOGICO INCA MACHU PICCHU
AGUAS CALIENTES. = Una persona
ha perso la vita e altre dieci sono disperse in Perù dopo che due frane hanno
colpito, sabato, una località nei pressi del famoso sito archeologico inca del
Machu Picchu, nelle Ande. Inizialmente si era parlato di otto morti, ma ieri il
bilancio è stato corretto da un funzionario del Comune locale, il quale ha
precisato che l’unica vittima è un abitante di Aguas Calientes, mentre tra i
dieci dispersi, non vi sono né turisti né stranieri. Inoltre, 400 dei 1.500
turisti bloccati al Machu Picchu, che non erano riusciti a mettersi in salvo,
sono stati soccorsi da elicotteri delle forze armate. La frana aveva provocato
l’interruzione della linea ferroviaria, di cui un tratto è stato distrutto
dalla massa di sassi e fango. Da quando fu scoperto il 24 luglio del 1911, dal
nordamericano Hiram Bingham, il sito di Machu Picchu è stato considerato per la
sua stupefacente magnificenza e
armoniosa costruzione, uno dei monumenti architettonici e archeologici più
importanti del mondo. Posta a 2400 metri sul livello del mare, nella provincia
di Urubamba, la cittadella di Machu Picchu, che in spagnolo significa vetta
antica, è circondata dal mistero perché, fino ad oggi, gli
archeologi non sono riusciti a decifrarne la storia e la funzione. Si tratta di
una città di pietra di quasi un chilometro d’estensione. Secondo alcuni esperti
fu un posto di avanguardia nel progetto di espansione territoriale del popolo
incaico; altri credono che fu un monastero dove si formavano le fanciulle che avrebbero
servito il Willac Uno, ossia il sommo sacerdote. Ciò si presume dal fatto che,
dai 135 cadaveri ritrovati nel corso delle ricerche, 109 sono donne. (D.G.)
A
PALERMO, PASQUA IN FABBRICA PER GLI OPERAI DELL’IMESI.
LO
STABILIMENTO DEL GRUPPO ANSALDO BREDA DA UNA SETTIMANA E’
OCCUPATO
DA 163 LAVORATORI CHE CHIEDONO PIU’ CERTEZZE
SUL FUTURO DELL’AZIENDA,
IN PROCINTO DI ESSERE VENDUTA
PALERMO.= Pasqua in fabbrica insieme alle famiglie
e all’arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, per i 163 operai dell’Imesi, la
fabbrica produttrice di materiale rotabile del gruppo Ansaldo Breda. I
lavoratori dalla settimana scorsa occupano l’impianto di Carini, a venti
chilometri da Palermo, per chiedere certezze sul futuro dell’azienda. Precaria
la situazione: da un lato, è stato, infatti, avviato un riassetto degli
organici, dall’altro, la Ansaldo Breda ha deciso di cedere parti dello
stabilimento all’imprenditore toscano Piero Mancini, il quale già due anni fa
ha rilevato a Palermo un’altra impresa di carrozze ferroviarie, la Keller,
senza però mai attivarla. Contro la vendita si sono schierati i sindacati e la
Regione Sicilia. “E’ una questione che si trascina da tempo e che oggi è
diventata stringente – ha dichiarato mons. Naro - Per questo anche nel giorno
di Pasqua si è sentita la necessità di un momento di preghiera. E ha aggiunto:
“Credo che la stessa vicinanza del vescovo dia forza alla richiesta degli
operai di conservare il loro lavoro. Una richiesta giusta, che risponde a una
necessità di serenità delle famiglie degli interessati, ma anche dell’ambiente
circostante, delle comunità tutte”. (D.G.)
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12
aprile 2004
- A cura di Alessandro Gisotti -
In Iraq, è appesa ad un filo la tregua a Falluja, mentre
la crisi degli ostaggi continua a tenere alta la tensione. Stamani, il governo
di Pechino ha confermato che sette cittadini cinesi sono stati rapiti vicino
Falluja. Cresce anche la preoccupazione per il destino degli ostaggi giapponesi.
Si è risolta invece positivamente l’odissea dell’ostaggio britannico, liberato
ieri a Nassiriya grazie all’intervento dei militari italiani. Intanto, si
stilano i primi tragici bilanci degli scontri dell’ultima settimana: 600
iracheni sarebbero morti nei combattimenti a Falluja, mentre le truppe
americane contano 70 morti dal primo aprile. Il nostro servizio:
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Giappone con il
fiato sospeso tra timori ed incertezze: non si sblocca, infatti, la crisi dei
tre ostaggi nipponici nelle mani, da giovedì scorso, di un sedicente gruppo
armato iracheno nei pressi di Falluja. L’esecutivo giapponese, che ha ammesso
vi sia una trattativa in corso, sembra però aver scelto la linea della
fermezza. Il primo ministro Koizumi ha confermato poche ore fa - in un
colloquio a Tokyo con il vice presidente americano Cheney - che non ritirerà il
contingente militare dall’Iraq, come chiesto dai rapitori quale condizione per
liberare gli ostaggi. Dal canto suo, il numero due della Casa Bianca ha
confermato la “massima cooperazione” di Washington per la soluzione della
crisi. Momenti di tensione si vivono a Falluja dove la tregua è ormai in
bilico: di fatto, poco fa, è scaduto l’ultimatum lanciato dalla guerriglia
irachena che chiedeva l’immediato ritiro dei tiratori scelti americani, pena la
ripresa dell’offensiva. Peraltro, la tregua non aveva impedito gli scontri
nella zona. Ed è gravissimo il bilancio della settimana di combattimenti a Falluja:
i morti tra gli iracheni sarebbero 600, ha riferito il direttore del principale
ospedale cittadino. Sette giorni durissimi, dunque, come lo stesso Bush ha
dovuto ammettere, parlando ieri alla base militare di Fort Hood. E nelle ultime
ore, sono proseguiti aspri scontri in diverse zone dell’Iraq: tre marine sono
caduti in combattimenti nella zona occidentale di Baghdad, mentre due
poliziotti iracheni sono stati uccisi a Baqubah ed uno ad Hilla nella zona
sciita a sud della capitale. La polizia irachena ha ripreso il completo
controllo della città di Najaf, nell’Iraq centro-meridionale, in seguito ad un
accordo fra le forze della coalizione e
il movimento sciita ribelle guidato da Moqtada al-Sadr. E dall’Iran, arriva la
notizia che gli americani starebbero trattando con il leader radicale sciita
attraverso la mediazione dello Sciri, il Supremo consiglio per la rivoluzione
islamica in Iraq. Sul fronte politico, il Cremlino è tornato a chiedere
un’iniziativa politica sotto l’egida delle Nazioni Unite, per uscire dalla crisi
irachena. Dal canto suo, Ahmed Chalabi, esponente del governo provvisorio
iracheno, vicino agli Stati Uniti, ha affermato che è tempo di porre fine
all’occupazione americana in Iraq.
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In una
drammatica ressa per impossessarsi di un sari, il tradizionale abito femminile
indiano, 21 persone sono morte a Luknow, nel nord dell'India. In vista delle
prossime elezioni politiche, un candidato del partito nazionalista al potere,
il Bjp, ha distribuito gratuitamente, a margine di un suo comizio, alcuni abiti
femminili. Intorno al palco si è rapidamente formato un caotico assembramento,
che ha determinato la tragedia.
Il presidente
della Commissione europea, Prodi, e il ministro degli Esteri italiano, Frattini,
hanno assicurato che Roma e Bruxelles chiederanno al governo del Vietnam di consentire
agli organismi dell’Onu di visitare la regione degli altipiani centrali. In
questi giorni, il Paese del sud est asiatico è stato teatro di manifestazioni
soprattutto nella provincia di Dak Lak, organizzate per protestare contro la
mancanza di libertà religiosa e per chiedere l’intervento della comunità internazionale
a difesa dei diritti delle etnie della zona, tra cui quella Montagnard. Il governo
di Hanoi vieta in questo momento a qualsiasi straniero di accedere nella
regione.
La superpotenza
regionale africana, il Sudafrica, si accinge al voto, il terzo democratico a 10
anni dalla fine dell’apartheid. Le elezioni - presidenziali e politiche - si terranno mercoledì 14 aprile.
Superfavorito è l’African National Congress, il partito della stragrande
maggioranza dei neri, che lega il suo nome a quello di Nelson Mandela. Secondo
gli ultimi sondaggi, alla presidenza sarà confermato in maniera plebiscitaria
Thabo Mbeki. La priorità da affrontare per il nuovo governo sarà ancora l’Aids,
vera pandemia per il popolo sudafricano. Su 45 milioni di abitanti, infatti, 5
milioni sono sieropositivi; ogni giorno 600 persone muoiono in Sudafrica a
causa del terribile virus.
In Medio
Oriente, violenze e sforzi diplomatici si alternano in questa ore. Tre palestinesi,
che si erano infiltrati nell’area dell’insediamento di Nezarim, nella Striscia
di Gaza, sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco con truppe israeliane.
L’attacco è stato rivendicato da Hamas, Jihad e dalle Brigate dei martiri di
al-Aqsa. Nella notte, invece, l’esercito ebraico ha compiuto una doppia
incursione a Jenin e Tulkarem. Intanto, ferve l’attività diplomatica
internazionale alla ricerca di una soluzione politica alla crisi
israelo-palestinese. Nostro servizio:
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E’ stata
fissata al 29 aprile la data della consultazione della base del Likud, il partito
di governo israeliano, sul progetto annunciato da Sharon per il “disimpegno”
unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza. Sul fronte diplomatico, il presidente
egiziano Mubarak incontra oggi il George Bush, nel suo ranch texano di
Crawford. Al centro dei colloqui, il progetto statunitense per un “Grande Medio
Oriente”, che non ha riscosso il favore di Mubarak. D’altro canto, il
presidente egiziano teme che l’occupazione israeliana si protragga sine die,
mentre Washington e Tel Aviv contano proprio sull’Egitto per mantenere la
sicurezza nella Striscia di Gaza dopo il ritiro israeliano. Dopo Mubarak, sarà
quindi la volta del premier Sharon, che nelle prossime ore partirà per gli
Stati Uniti e mercoledì parlerà con il presidente americano del programma di
disimpegno dai territori palestinesi. Infine, il 21 aprile, Bush discuterà
della situazione in Medio Oriente con il re di Giordania, Abdullah II.
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Tre marocchini
sono stati arrestati in Spagna nell’ambito dell'inchiesta sugli attentati a
Madrid dell'11 marzo, che ha provocato quasi 200 morti. Lo hanno riferito oggi
fonti della magistratura spagnola.
E’ salito a 44
morti il bilancio dell’incidente nella miniera di carbone in Siberia, dove è sabato
scorso si e' verificata una esplosione dovuta al gas metano a 500 metri di
profondità. Nel crollo, 53 minatori sono rimasti intrappolati. Solo sei sono
finora riusciti a salvarsi.
In Nepal, più
di 200 persone sono state arrestate ieri nella capitale Kathmandu, dopo che i
manifestanti di un corteo organizzato contro la monarchia si erano scontrati
con la polizia, lanciando sassi e danneggiando un automezzo delle forze
dell'ordine.
Un gruppo di
ribelli tamil che si erano opposti armi in pugno al movimento delle Tigri tamil (Ltte) in Sri Lanka, ha
deciso oggi di desistere e porre fine alla sanguinosa lotta intestina.
In Afghanistan,
le forze americane stanno facendo piovere migliaia di volantini per indurre la
popolazione locale a collaborare. Migliaia di fogli con le fotografie di
guerriglieri che impugnano lanciarazzi ammoniscono in lingua pashtun che “gli
attacchi contro le forze alleate sono un ostacolo per la distribuzione di aiuti
umanitari”.
In Algeria, il
Consiglio costituzionale ha convalidato ufficialmente i risultati delle
elezioni presidenziali di giovedì scorso, confermando la schiacciante vittoria
del presidente in carica Bouteflika, che ha trionfato con l’84,99 per cento di
consensi.
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