RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 103 - Testo della trasmissione di lunedì 12 aprile 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa oggi a San Pietro, nella preghiera del Regina Coeli, ha affidato a Maria, Madre di Gesù Crocifisso e Risorto, le speranze e le preoccupazioni del mondo intero

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La Pasqua è stata celebrata ieri dai cristiani di tutto il mondo per una felice coincidenza del calendario. L’arcivescovo di Belgrado, mons. Stanislav Hocevar ai nostri microfoni: “bisogna fare tutto il possibile per testimoniare insieme la Risurrezione di Cristo”

 

Anche i cristiani cinesi hanno celebrato ieri la Pasqua: intervista con padre Bernardo Cervellera

 

Vivere la Pasqua in Terra Santa:  Interviste con padre David Jaeger, padre Ibrahim Faltas e padre Frederick Mans

 

Apertura oggi ad Istanbul del primo Congresso dei democratici dei Paesi a maggioranza musulmana: ce ne parla Antonio Ferrari

 

Emergenza umanitaria in Nord Uganda: l’appello dell’Amref alla comunità internazionale: ai nostri microfoni la portavoce Marina Vitali

 

“La questione basca”: storia dell’ultimo secolo e mezzo nei Paesi Baschi. Un saggio del prof. Alfonso Botti: intervista con l’autore

 

CHIESA E SOCIETA’:

10 anni fa si apriva a Roma il Sinodo dei vescovi per l’Africa

 

Un nuovo appello per il dialogo tra il governo ugandese e le forze ribelli è stato lanciato in occasione della Pasqua dal cardinale di Kampala e dal capo della Chiesa anglicana

 

Annunciato dal governo del Paraguay un risarcimento economico per i circa 400 sopravvissuti alle violenze perpetrate dal regime di Alfredo Stroessner

 

Un morto e dieci dispersi è il bilancio delle due frane che sabato scorso hanno colpito una località peruviana nei dintorni di Machu Picchu

 

Pasqua in fabbrica per gli operai dell’Imesi, che da una settimana hanno occupato lo stabilimento chiedendo più certezze sul futuro

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq, tensione per la sorte degli stranieri presi in ostaggio, mentre è in bilico la tregua a Falluja. In una settimana di scontri 600 morti tra gli iracheni e decine di vittime tra gli americani

 

Tre palestinesi uccisi in un attacco ad una colonia ebraica; la crisi mediorientale al centro del colloquio tra Bush e Mubarak, oggi in Texas

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 aprile 2004

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           

 

IL PAPA OGGI A SAN PIETRO, NELLA PREGHIERA DEL REGINA COELI,

HA AFFIDATO A MARIA, MADRE DI GESU’ CROCIFISSO E RISORTO,

LE SPERANZE E LE PREOCCUPAZIONI DEL MONDO INTERO

- Il servizio di Sergio Centofanti -

 

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La Resurrezione di Gesù è l’evento salvifico “che ha cambiato il corso della storia”. E’ quanto ha detto stamane Giovanni Paolo II durante il Regina Coeli, la preghiera mariana che sostituisce l’Angelus nel tempo pasquale e che esprime la gioia di Maria per la Risurrezione del suo Figlio.

 

Il Pontefice, affacciato alla finestra del suo studio, è stato salutato affettuosamente da alcune migliaia di fedeli giunti in Piazza San Pietro nonostante la giornata fredda e piovosa.

 

Regina Coeli laetare: cioè: “Regina del Cielo rallegrati…Cristo è risorto come aveva promesso”. Si tratta di un canto – ha sottolineato il Papa – tanto caro alla pietà popolare. “Maria diventa … modello della comunità cristiana, che si ‘rallegra’ per la Pasqua del suo Signore, fonte di autentica gioia per tutti i credenti:

 

“E’ il Risorto, infatti, la sorgente e la ragione ultima di questo gaudio spirituale, che nessuna ombra può e deve offuscare”.

 

La Chiesa - ha proseguito - si associa a Maria, “che ha vissuto più da vicino la passione, la morte e la resurrezione di Gesù. E a Lei chiede di sostenere la propria fede: Ora pro nobis Deum - Prega per noi il Signore”. In questo Lunedì dell’Angelo, prolungamento del giorno di Pasqua – ha esortato il Pontefice - “ciascuno di noi si soffermi accanto al sepolcro vuoto per meditare sul sommo prodigio della Risurrezione di  Cristo”.

 

“La Vergine Maria, silenziosa testimone di questo mistero, ci confermi nell’adesione personale a Colui che è morto e risorto per la salvezza d’ogni essere umano. Ci sia maestra e guida nella fede; ci sostenga nei momenti del dubbio e della tentazione; ci ottenga quella serenità interiore che nessuna paura può scuotere, perché radicata nella certezza che Cristo è davvero risorto”. Quindi il Papa ha concluso il Regina Coeli con l’affidamento del mondo a Maria:

 

“Con questa consapevolezza, rinnovo a tutti i miei auguri per la Santa Pasqua, mentre affido alla Madre di Gesù crocifisso e risorto le attese e le speranze, come anche le preoccupazioni e i timori del mondo intero”.

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 aprile 2004

 

 

LA PASQUA E’ STATA FESTEGGIATA IERI DA TUTTI I CRISTIANI

 PER UNA FELICE COINCIDENZA DEI CALENDARI:

 LA PREGHIERA DEL PAPA PERCHE’ TUTTI I BATTEZZATI POSSANO VIVERE

NELLO STESSO GIORNO QUESTA SOLENNITA’.

SCAMBIO DI AUGURI TRA IL PATRIARCA SERBO ORTODOSSO PAVLE

 E L’ARCIVESCOVO DI BELGRADO, STANISLAV HOCEVAR

- Con noi il presule cattolico -

 

Quest’anno la Pasqua, per una felice coincidenza dei calendari liturgici, è stata celebrata contemporaneamente da tutti i cristiani: un evento che capita raramente. Infatti, per stabilire la data della Pasqua, i cristiani d’Occidente seguono il calendario gregoriano, mentre i cristiani d’Oriente seguono il calendario giuliano, con una differenza di una o più settimane. Tuttavia, in questi primi 25 anni del Terzo Millennio, la Pasqua  coinciderà altre sette volte. Un segno di speranza per l’unità dei cristiani. E ieri Giovanni Paolo II, dopo la Benedizione Urbi et Orbi, ha  pregato  perché tutti i battezzati possano “presto giungere a rivivere ogni anno insieme nel medesimo giorno questa fondamentale festa della nostra fede”.

 

In Serbia ieri la solennità pasquale ha unito in modo particolare cattolici e ortodossi dopo i recenti avvenimenti nel Kosovo, dove alcune chiese ortodosse sono state date alle fiamme. “Per alleviare queste ferite – ha detto il Patriarca della Chiesa ortodossa serba Pavle – rimane l’unica speranza nel Cristo risorto”. Solidarietà alla Chiesa ortodossa è stata espressa dall’arcivescovo cattolico di Belgrado Stanislav Hocevar: “Cristo – ha detto il presule – ci garantisce che è possibile ottenere la pace nella verità e nella reciproca carità”. Ma ascoltiamo lo stesso mons. Hocevar intervistato da Aldo Sinkovic.

 

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R. – Siamo stati molto felici di aver potuto celebrare insieme la Santa Pasqua. Sua Beatitudine il Patriarca Pavle, ed io stesso, ci siamo scambiati un messaggio, in particolare in occasione degli ultimi avvenimenti in Kosovo, che hanno scosso la Serbia. In questo senso, abbiamo celebrato nello stesso giorno, abbiamo pregato per la pace ma abbiamo anche cercato le possibilità per aiutare in particolare i profughi, con l’impegno di cercare quanto più possibile la verità, perché soltanto la verità può liberarci dal passato negativo, dai pregiudizi.

 

D. – La Pasqua cade raramente nello stesso giorno per cattolici e ortodossi. Questa diventa quindi – in un certo senso – occasione per ‘misurare il polso’ del vero ecumenismo?

 

R. – E’ vero. Abbiamo espresso ancora il desiderio di fare tutto il possibile perché possiamo celebrare la Pasqua nella stessa data, ed io penso che veramente tutto il mondo cristiano debba fare qualcosa per raggiungere questa consonanza, perché soltanto così noi tutti cristiani del mondo possiamo essere testimoni. Questo è un grande compito che noi abbiamo.

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ANCHE I CRISTIANI CINESI HANNO CELEBRATO IERI LA PASQUA

- Intervista di Sergio Centofanti a padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews -

 

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R. – I nostri corrispondenti di AsiaNews ci hanno detto che la Pasqua è stata vissuta molto bene, soprattutto nella Chiesa ufficiale. Bisogna tener presente, però, che la Pasqua cade di domenica ed è quindi vacanza. Questo permette ai cattolici cinesi di prepararsi molto meglio, anche spiritualmente, per le funzioni e di aiutarsi nella catechesi a comprendere meglio il mistero di Cristo. Per quanto riguarda il Natale, invece, non è così, proprio perché Natale cade nei giorni feriali e quindi i cinesi vanno a lavorare. Non dimentichiamo, inoltre, che le chiese cinesi durante queste feste sono frequentate anche da tantissimi non cristiani, soprattutto giovani, che vogliono cercare di capire di più cosa sia il cristianesimo. C’è un gran fascino verso il cristianesimo. Proprio con questi giovani si sono tenuti degli incontri e, addirittura, in alcuni casi e in alcune parrocchie - abbiamo saputo - che sono stati invitati tutti al pranzo di Pasqua, durante il quale hanno cominciato a fare amicizia, dandosi anche appuntamento per il catechismo.

 

D. – In queste ultime settimane sono stati effettuati alcuni arresti da parte delle autorità governative. Ricordiamo anche l’arresto di un vescovo cattolico...

 

R. – Sì, il vescovo Giulio Jia Zhiguo è ancora agli arresti e nessuno sa dove sia e le comunità sono molto tristi per questo. Diciamo che sono anche, in un certo senso, molto abituati: tantissimi vescovi e tantissimi sacerdoti nel periodo della Settimana Santa, e alcune volte per periodi che vanno fino alla Pentecoste, vengono rapiti proprio per non far celebrare la Pasqua. Abbiamo, però, notizia di diverse comunità sotterranee che hanno potuto celebrare la Veglia Pasquale e la Messa di Pasqua senza troppi problemi.

 

D. – Quali sono le speranze per la fede cristiana in Cina?

 

R. – Le speranze per la fede cristiana in Cina sono eccezionali. Anzitutto perché ci sono molte persone che vogliono entrare nel catecumenato e, in secondo luogo, perché oltre a questo interesse da parte di giovani e di professionisti, di fatto la Chiesa in Cina ha continui contatti con il resto della Chiesa universale in un modo o nell’altro, di nascosto o in pubblico, attraverso la radio, gli scritti ed i siti internet. Molti cattolici hanno potuto seguire il messaggio del Papa Urbi et Orbi e sono rimasti molto felici che il Papa abbia rivolto gli auguri di Pasqua anche in cinese.

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VIVERE LA PASQUA IN TERRA SANTA

- Interviste con padre David Jaeger, padre Ibrahim Faltas e padre Frederick Mans -

 

In questi giorni di Pasqua, la Terra Santa non ha visto le migliaia e migliaia di pellegrini che vi giungevano da ogni parte del mondo per i riti della Settimana Santa prima del riacutizzarsi del conflitto arabo-israeliano. I pellegrinaggi, infatti, in questi ultimi anni hanno subìto una battuta d’arresto. Un appello al loro rilancio è stato fatto da mons. Pietro Sambi, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico a Gerusalemme e Palestina, che ha esortato i cristiani del mondo a ritornare in Terra Santa, specialmente in questo periodo pasquale. Un pellegrinaggio ai Luoghi Santi – ha detto il presule – è un dono per il popolo palestinese ed israeliano, oltre che un grande dono spirituale per gli stessi pellegrini. Su questi luoghi che sono stati testimoni della vita di Gesù, il servizio di Roberto Piermarini:

 

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(musica)

 

Chi si reca pellegrino in Terra Santa si trova a rincorrere le pietre, i monti e le acque che fecero da scenario alla vita terrena di Gesù. Luoghi spesso devastati per cancellarne la memoria, dalle ripetute invasione subìte da questa Terra “santa e tormentata”. Il viaggio diventa quindi una ricerca interiore della vita di Cristo che ogni sito evangelico, magari totalmente trasformato, continua a ricordarci. La Terra Santa diventa così “Il quinto Vangelo” come ci spiega padre David Jaeger, portavoce della Custodia francescana, l’Istituzione che già dai tempi del Poverello d’Assisi, custodisce coraggiosamente questi luoghi:

 

“Il cristianesimo vuol dire fede nella realtà degli eventi raccontati dai quattro Vangeli. La realtà di Dio che entra a farsi soggetto, pure Lui, della storia degli uomini e siccome non possiamo viaggiare nel tempo per farci veri contemporanei del Verbo incarnato che su questa terra camminava, possiamo viaggiare nella dimensione dello spazio per trovarci a camminare effettivamente negli stessi spazi, negli stessi luoghi dove Egli nacque, crebbe, lavorò, insegnò, soffrì, morì ed è risorto a vita nuova”.

 

Il viaggio in Terra Santa, per chi lo affronta con spirito “turistico”, spesso si trasforma in un’esperienza spirituale unica, come ci spiega il superiore della Basilica della Natività a Betlemme, che conserva la grotta dove è nato Gesù, il padre Ibrahim Faltas:

 

“Non si può descrivere la gioia del pellegrino che viene in Terra Santa. Tanti hanno detto che hanno girato il mondo, sono stati ovunque, ma ... la Terra Santa è una cosa speciale. Io ho fatto tanti progetti, con tanta gente che era venuta soltanto così, soltanto per una visita turistica, che però è rimasta tanto colpita, e che poi ha voluto fare qualcosa per la Terra Santa”.

 

Il pellegrinaggio ai Luoghi Santi sulle orme di Gesù inizia in Galilea. A Nazareth, dove Maria ha ricevuto l’annuncio dell’Angelo, e prosegue poi sulle sponde del lago di Tiberiade con le tappe più significative al Monte delle Beatitudini, Tabga, Cafarnao, e poi al fiume Giordano, al Tabor, al deserto di Giuda ed infine a Gerusalemme, la città santa alle tre religioni monoteiste, che ha visto la passione, la morte e la resurrezione del Signore.  La Via Crucis sulla via dolorosa ci porta alla Basilica del Santo Sepolcro che contiene il Calvario, luogo della crocifissione del Signore, ed il Sepolcro stesso che, come ci spiega il biblista padre Frederick Mans, è il cuore non solo del pellegrinaggio ma anche della nostra fede:

 

“Al Sepolcro c’è l’edicola, che si vede, dove una volta c’era la tomba: sappiamo, infatti, che la tomba è stata distrutta dai musulmani. Si vede l’edicola e si vede una piccola pietra, originale ancora: lì i cristiani possono fare memoria della risurrezione di Cristo. E ciascuno è chiamato ad uscire dalla propria tomba per rinascere a quella vita nuova che Cristo ci porta”.

 

(musica)

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APERTURA OGGI AD ISTANBUL DEL PRIMO CONGRESSO

DEI DEMOCRATICI DEI PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

''Il governo democratico nel mondo islamico''. E’ il titolo del primo Congresso dei democratici dei Paesi a maggioranza musulmana, che si svolge da oggi fino a mercoledì prossimo ad Istanbul, in Turchia. Col patrocinio del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, i rappresentanti di 14 Paesi islamici discutono per due giorni di temi quali il sistema elettorale multipartitico, l'indipendenza della magistratura, la partecipazione delle donne alla vita politica e lo sviluppo della società civile. Ai lavori partecipano, oltre al ministro degli Esteri turco Abdullah Gul, anche il presidente della Sierra Leone, Ahmad Tejan Kabbah, e il ministro degli Esteri giordano, Marwan Muasher. Ma in un momento in cui l’estremismo islamico minaccia gli equilibri mondiali, perché questo Congresso? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera:

 

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R. – Il motivo è quello che aveva già annunciato il re di Giordania e cioè che le riforme bisogna farle prima che ce le impongano: è un po’ una linea che sta prevalendo all’interno della parte moderata del mondo musulmano. E non è casuale che questo incontro si svolga in Turchia, un Paese dove – con sistemi democratici – il Partito islamico moderato della giustizia e dello sviluppo non solo ha vinto le elezioni ed ha la maggioranza assoluta in Parlamento ma si è visto confermato alle elezioni amministrative e con una maggioranza ancora più forte. Quindi l’idea qual è? In un momento di confusione e forse anche di sbandamento, dopo le notizie che arrivano da tutta la regione, dal Medio Oriente, c’è un po’ la volontà di mettere insieme, almeno coloro che condividono questo valore, le riforme, in modo da arginare questo pericolo fondamentalista.

 

D. – Si parlerà di multipartitismo, di indipendenza della magistratura, di diritti civili e politici. Che spazio occupano nella realtà del mondo islamico?

 

R. – Dobbiamo fare una distinzione tra quelle che sono riforme sociali ed economiche, che sono forse le più urgenti e che possono essere il punto di partenza per poi arrivare a riforme politiche. In fondo l’idea è un po’ quella di creare le condizioni per la nascita di una democrazia musulmana. Questo non significa tradire i principi della democrazia occidentale, come noi la immaginiamo, ma, visto che questa non è esportabile, va coniugata con la realtà culturale di ogni singolo Paese.

 

D. – Forse allora il Congresso è un segnale positivo, visto che recentemente il Vertice arabo è fallito proprio sul progetto di riforme?

 

R. – Credo di sì. C’è stato lo scontro proprio sulle riforme: ci sono Paesi che sono pronti a procedere e ad andare avanti con le riforme – come la Giordania, che è uno dei Paesi in prima fila e come anche la Tunisia, il Marocco e l’Egitto; e ci sono poi Paesi che ovviamente resistono. A questo riguardo va ricordata l’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, che però non vuole sentir parlare di riforme democratiche anche in senso arabo.

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EMERGENZA UMANITARIA IN NORD UGANDA:

L’APPELLO DELL’AMREF ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

- Intervista con Marina Vitali -

 

Da diciotto anni il Nord dell’Uganda si trova al centro di una sanguinosa guerra civile. Reclutamenti forzati di bambini, massacri di villaggi inermi, violenze sessuali, saccheggi hanno creato un’emergenza umanitaria tra le più gravi del pianeta. Nella città di Gulu, l’ AMREF,  fondazione africana per la medicina e la ricerca, che opera nel continente da 50 anni, ha avviato diversi progetti. Ce ne parla, al microfono di Dorotea Gambardella, la portavoce Marina Vitali:

 

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R. – Una delle zone che continua ad essere molto bisognosa e carente di assistenza è la zona di Gulu. La maggior parte della popolazione in questo distretto vive in campi profughi, dove le condizioni sanitarie sono terribili: c’è pochissima acqua e le malattie sono all’ordine del giorno. Amref e Avis hanno iniziato lo scorso anno questo progetto di vaccinazione per le malattie più diffuse localmente: il morbillo, la tubercolosi, la poliomielite.

 

D. – Un altro vostro progetto riguarda i bambini che di notte scappano dai campi profughi per raggiungere il più vicino centro urbano…

 

R. – Lo fanno per cercare di non essere rapiti dai ribelli dell’Esercito di resistenza del signore, che è presente in questo distretto ormai da quasi 18 anni. Amref fa formazione, crea dei luoghi dove i bambini possano trascorrere la notte e attraverso il teatro o documentari vengono fornite loro delle informazioni relative ai pericoli che ci sono.

 

D. – Mi dice qualcosa di più della situazione nel nord dell’Uganda…

 

R. – Infernale, perché la presenza dei ribelli dell’Esercito di resistenza del signore è un grossissimo pericolo. Devastano intere zone, rapiscono bambini, donne, massacrano le popolazioni di interi villaggi.

 

D. – Qual è il sentimento dominante nei campi profughi?

 

R. – L’abbandono. In tutti i viaggi che ho fatto in Africa, nonostante le condizioni economiche e sociali siano molto gravi, si vede sempre la positività di un’Africa che ce la può fare, che ha tutte le energie, le forze per cambiare. In questi campi profughi non c’è nessuna speranza. Ci sono uomini e donne che da anni non possono coltivare i loro campi, vivono in una zona estremamente fertile e sono rinchiusi invece in questi campi, dove non c’è nulla, dove ci sono uno, due o tre pozzi per 10-15 mila persone. Le condizioni economiche e sociali, lo stato di  salute di quegli abitanti sono terribili.

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LA QUESTIONE BASCA:

STORIA DELL’ULTIMO SECOLO E MEZZO NEI PAESI BASCHI.

UN SAGGIO DEL PROF. ALFONSO BOTTI

- Intervista con l’autore -

 

         Con il titolo “La questione basca” è stato presentato recentemente a Roma uno studio del professor Alfonso Botti, dell’Università degli Studi di Urbino. Scopo del saggio – si legge nella premessa al volume -  “è presentare le origini storiche di un problema tuttora irrisolto e di grande attualità per l’Europa; descrivere la sua evoluzione nell’ultimo secolo e poco oltre”.  L’autore fa poi una opportuna precisazione, tenendo conto delle passioni che suscita questo argomento: “Lo scopo di questo saggio, concepito come un lavoro di ricostruzione storica e di sintesi storiografica, non è quello di aiutare chi lo legge a schierarsi e a prendere posizione, ma di spiegare quanto si è capito e aiutare a capire”. Il volume, di 250 pagine, edito da Mondadori, offre anche un’ampia documentazione nell’appendice con cronologie, bibliografia e dati statistici su diversi argomenti.

 

Alla tavola rotonda, in occasione della presentazione del libro a Roma, hanno partecipato anche i professori Pietro Grilli da Cortona, Renato Moro, Giuliana di Febo (dell’Università degli Studi di Roma Tre), e Manuel Espada Burgos (della Scuola spagnola di storia e archeologia a Roma). Al  prof. Alfonso Botti, padre Ignacio Arregui ha chiesto perché la questione basca sia così complessa:

 

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R. – Perchè non si è risolta, nonostante oltre un quarto di secolo di democrazia. Si pensava durante il franchismo che sarebbe bastata la fine della dittatura per risolvere anche la questione basca ed invece ci si è accorti, 25 anni dopo, che non solo la questione basca, ma forse la questione nazionale nel suo complesso, nella Spagna democratica non si è risolta.

 

D. – Dopo questo saggio che lei ha fatto - una vera sintesi storica del naziona-lismo, non di tutta la storia dei Paesi baschi - come vede la soluzione del problema della questione basca?

 

R. – Come dico nelle ultime pagine del libro, non spetta agli storici individuare le soluzioni, indicare delle prospettive. Gli storici studiano il passato, lo devono fare con la maggiore lealtà possibile, ma non rientra nei compiti “istituzionali” degli storici quello di indicare prospettive future. Quello che posso dire, visto che lei me lo chiede, è che sono arrivato alla conclusione, per quanto parziale e provvisoria, che la questione basca non si identifica con il problema del terrorismo, e quindi anche risolto il problema del terrorismo, che credo sia auspicabile ed auspicato da parte di tutti, il problema basco resta intero. Quindi, è un problema che va risolto politicamente.

 

D. – Pensa che in questi ultimi 20 anni di storia si poteva evitare l’attuale radicalismo?

 

R. – Questa è la più difficile di tutte le domande, perché significa ricostruire il processo storico alla luce di ipotesi che non si sono verificate. Quello che posso dire è che negli ultimi anni la politica seguita dal governo di Madrid non ha contribuito ed aiutato a risolvere i problemi delle identità nazionali nel contesto spagnolo. Questo sia per quello che riguarda il problema basco, ma anche per quello che riguarda la questione catalana. I risultati delle ultime elezioni nelle due comunità autonome lo stanno a dimostrare.

 

D. – Prof. Botti perché interessa, non solo in Spagna ma anche in Italia e, a quanto pare, in tutta l’Europa, la questione basca?

 

R. – Credo per due motivi: uno europeo ed uno specificatamente italiano. Quello europeo è che nel momento in cui si sta costruendo un’identità europea attraverso dei processi di integrazione, l’idea che si aveva è che i localismi e i particolarismi sarebbero stati superati. Ci si è accorti invece che questo non è successo e quindi, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista dei politici, c’è la necessità di capire perché le cose non sono andate come tutti o molti immaginavano. Dal punto di vista italiano l’interesse è molto strumentale ed ambiguo a mio modo di vedere, perché anche in Italia si è discusso negli ultimi anni di una riorganizzazione territoriale dello Stato e si sta discutendo di una organizzazione di tipo di federale. Molte volte la Spagna entra nel dibattito italiano come un miraggio, ma molte volte se ne parla con poca cognizione di causa. Per cui si parla di un modello spagnolo, di un modello catalano, ma in realtà sono pochi quelli che ne parlano con cognizione di causa.

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CHIESA E SOCIETA’

12 aprile 2004

 

 

10 ANNI FA, DAL 10 APRILE ALL’8 MAGGIO 1994, SI CELEBRAVA A ROMA IL SINODO DEI VESCOVI PER L’AFRICA. MOMENTO STORICO DI INCONTRO E DI RIFLESSIONE CHE GIUNGEVA A CORONAMENTO DI UN LUNGO PERCORSO DI PREPARAZIONE DELLE CHIESE LOCALI ED APRIVA NUOVE PROSPETTIVE PER LA CRISTIANITA’ AFRICANA

- A cura di padre Giulio Albanese -

 

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ROMA.= Accompagnato da grandi entusiasmi e da aspettative, il Sinodo fu vissuto come occasione di grazia per la Chiesa africana e per tutta la Chiesa universale, chiamata ad interrogarsi sulla sua missione evangelizzatrice verso l’anno Duemila”. Il tema che ho assegnato all’Assemblea speciale – scrisse Giovanni Paolo II nella prefazione dell’Esortazione post-sinodale, “Ecclesia in Africa” – mostra il mio desiderio che questa Chiesa viva il tempo che conduce verso il Grande Giubileo come un nuovo avvento, un tempo di attesa e di preparazione”. Tra gli argomenti più dibattuti in aula e nei gruppi di lavoro, l’inculturazione fu quello che monopolizzò maggiormente l’attenzione dei padri sinodali. Su un totale di 211 relazioni individuali, presentate durante la prima fase dei lavori, ben 35 affrontarono questo complesso problema. Oggi, alle soglie del Terzo Millennio e a dieci anni da questo evento provvidenziale, le Chiese d’Africa tentano i primi bilanci. Bilanci di un cammino, talvolta, appena abbozzato. Da allora le Chiese africane hanno sperimentato un decennio caratterizzato da profondi sconvolgimenti geopolitici, che hanno messo a soqquadro il continente a partire dalla Regione dei Grandi Laghi. In questo contesto, le comunità cristiane sono state chiamate, in più circostanze, a testimoniare nei fatti la formula sinodale: “Chiesa, famiglia di Dio”. Una Chiesa, quella africana, che ha certamente difeso il Vangelo della Pace su vari fronti: in terra congolese, nell’Uganda settentrionale, in Sierra Leone, in Angola… Certamente la strada da percorrere è ancora lunga. E’ importante sottolineare il ruolo di molte comunità ecclesiali, soprattutto a livello di società civile, le quali si sforzano di “dare voce ai senza voce” nelle periferie africane.

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UN NUOVO APPELLO PER IL DIALOGO TRA IL GOVERNO UGANDESE E LE FORZE RIBELLI

E’ STATO LANCIATO IERI, IN OCCASIONE DELLA PASQUA,

DAL CARDINALE EMMANUEL WARMALA, ARCIVESCOVO DI KAMPALA,

E DAL CAPO DELLA CHIESA ANGLICANA, L’ARCIVESCOVO HENRY OROMBI

 

LUBAGA.= Un appello affinché s’instauri il dialogo tra il governo e i ribelli dell’Esercito di resistenza del signore attivi nel nord dell’Uganda, è stato lanciato ieri, in occasione della Pasqua, dalle autorità religiose del Paese africano. “Da oltre venti anni chiediamo che il conflitto si risolva attraverso mezzi pacifici - ha dichiarato il cardinale Emmanuel Wamala, arcivescovo di Kampala, durante l’omelia nella cattedrale di Lubaga, alla periferia ovest della capitale –. Sfortunatamente, fino ad oggi, nessuno ha tenuto in considerazione i nostri appelli. Speriamo che le festività pasquali possano determinare un cambiamento”. Rivolgendo il proprio pensiero al genocidio del Rwanda, dinanzi al quale “la comunità internazionale è rimasta impotente”, il porporato si è chiesto “se occorra aspettare che anche nel nord dell’Uganda, dove le atrocità che si stanno perpetrando hanno già fortemente intaccato all’estero l’immagine del Paese, si consumi un massacro”. E un appello ai ribelli ugandesi affinché mettano fine alle violenze e si adoperino per una soluzione pacifica del conflitto, è stato rivolto anche dal capo della chiesa anglicana, l’arcivescovo, Henry Orombi. “Quando il sangue smetterà di scorrere in Uganda?”, si è interrogato il presule sottolineando che “Gesù ha subito il martirio affinché l’umanità possa vivere in pace”. L’Esercito di resistenza del signore (Lra), costituitasi nel 1988, mira a sostituire il governo del presidente Yoweri Museveni con un regime teoricamente fondato sui dieci comandamenti della Bibbia. In realtà compie una serie di inaudite violenze ai danni dei civili, soprattutto dei bambini, oggetto di violenze sessuali o arruolati come soldati. Secondo l’agenzia missionaria Misna, il numero delle vittime dei guerriglieri ammonta a centomila morti e ad oltre ventimila minori rapiti (D.G.)

 

 

ANNUNCIATO NEI GIORNI SCORSI DAL GOVERNO DEL PARAGUAY

UN RISARCIMENTO ECONOMICO PER CIRCA 400 SOPRAVVISSUTI

ALLE VIOLENZE PERPETRATE DAL REGIME DI ALFREDO STROESSNER

 

ASUNCION.= Un risarcimento economico a quanti hanno subito violenze durante il regime di Alfredo Stroessner, dal 1954 al 1989, è stato annunciato, nei giorni scorsi, da Miguel Angel Aquino, uno dei supervisori della “Commissione verità e giustizia”. L’organismo è incaricato di far luce sulle sparizioni forzate, le esecuzioni sommarie, le torture, le lesioni gravi e altre violazioni dei diritti umani perpetrate contro i dissidenti. Il governo del presidente Nicanor Duarte ha stanziato complessivamente 3 milioni di dollari per “compensare” circa 400 sopravvissuti agli orrori del regime di Stroessner. “Più che un beneficio economico – ha dichiarato Aquino – si tratta di un importante segnale morale e politico della responsabilità che si assume il Paese nei confronti di queste vittime”. Ma per Sandino Gill Oporto, dirigente del “Movimento popolare Colorado”, che ha trascorso 24 anni di esilio forzato in Argentina, il provvedimento del governo “non è sufficiente”. Per Gill “più che una compensazione simbolica, è necessario che la popolazione recuperi la memoria” su quanto avvenne sotto Stroessner: l’ex-gerarca, 91 anni, riparato in Brasile il 3 febbraio del 1989, lo stesso giorno in cui veniva deposto dopo 35 anni al potere, è accusato di innumerevoli crimini e violazioni dei diritti umani. (D.G.)

 

 

UN MORTO E DIECI DISPERSI E’ IL BILANCIO DELLE DUE FRANE

CHE SABATO SCORSO HANNO COLPITO UNA LOCALITA’ PERUVIANA

NEI DINTORNI DEL SITO ARCHEOLOGICO INCA MACHU PICCHU

 

AGUAS CALIENTES. = Una persona ha perso la vita e altre dieci sono disperse in Perù dopo che due frane hanno colpito, sabato, una località nei pressi del famoso sito archeologico inca del Machu Picchu, nelle Ande. Inizialmente si era parlato di otto morti, ma ieri il bilancio è stato corretto da un funzionario del Comune locale, il quale ha precisato che l’unica vittima è un abitante di Aguas Calientes, mentre tra i dieci dispersi, non vi sono né turisti né stranieri. Inoltre, 400 dei 1.500 turisti bloccati al Machu Picchu, che non erano riusciti a mettersi in salvo, sono stati soccorsi da elicotteri delle forze armate. La frana aveva provocato l’interruzione della linea ferroviaria, di cui un tratto è stato distrutto dalla massa di sassi e fango. Da quando fu scoperto il 24 luglio del 1911, dal nordamericano Hiram Bingham, il sito di Machu Picchu è stato considerato per la sua stupefacente magnificenza e armoniosa costruzione, uno dei monumenti architettonici e archeologici più importanti del mondo. Posta a 2400 metri sul livello del mare, nella provincia di Urubamba, la cittadella di Machu Picchu, che in spagnolo significa vetta antica, è circondata dal mistero perché, fino ad oggi, gli archeologi non sono riusciti a decifrarne la storia e la funzione. Si tratta di una città di pietra di quasi un chilometro d’estensione. Secondo alcuni esperti fu un posto di avanguardia nel progetto di espansione territoriale del popolo incaico; altri credono che fu un monastero dove si formavano le fanciulle che avrebbero servito il Willac Uno, ossia il sommo sacerdote. Ciò si presume dal fatto che, dai 135 cadaveri ritrovati nel corso delle ricerche, 109 sono donne. (D.G.)

 

 

A PALERMO, PASQUA IN FABBRICA PER GLI OPERAI DELL’IMESI.

LO STABILIMENTO DEL GRUPPO ANSALDO BREDA DA UNA SETTIMANA E’ OCCUPATO

 DA 163 LAVORATORI CHE CHIEDONO PIU’ CERTEZZE SUL FUTURO DELL’AZIENDA,

 IN PROCINTO DI ESSERE VENDUTA

 

PALERMO.= Pasqua in fabbrica insieme alle famiglie e all’arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, per i 163 operai dell’Imesi, la fabbrica produttrice di materiale rotabile del gruppo Ansaldo Breda. I lavoratori dalla settimana scorsa occupano l’impianto di Carini, a venti chilometri da Palermo, per chiedere certezze sul futuro dell’azienda. Precaria la situazione: da un lato, è stato, infatti, avviato un riassetto degli organici, dall’altro, la Ansaldo Breda ha deciso di cedere parti dello stabilimento all’imprenditore toscano Piero Mancini, il quale già due anni fa ha rilevato a Palermo un’altra impresa di carrozze ferroviarie, la Keller, senza però mai attivarla. Contro la vendita si sono schierati i sindacati e la Regione Sicilia. “E’ una questione che si trascina da tempo e che oggi è diventata stringente – ha dichiarato mons. Naro - Per questo anche nel giorno di Pasqua si è sentita la necessità di un momento di preghiera. E ha aggiunto: “Credo che la stessa vicinanza del vescovo dia forza alla richiesta degli operai di conservare il loro lavoro. Una richiesta giusta, che risponde a una necessità di serenità delle famiglie degli interessati, ma anche dell’ambiente circostante, delle comunità tutte”. (D.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 aprile 2004

 

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

 

In Iraq, è appesa ad un filo la tregua a Falluja, mentre la crisi degli ostaggi continua a tenere alta la tensione. Stamani, il governo di Pechino ha confermato che sette cittadini cinesi sono stati rapiti vicino Falluja. Cresce anche la preoccupazione per il destino degli ostaggi giapponesi. Si è risolta invece positivamente l’odissea dell’ostaggio britannico, liberato ieri a Nassiriya grazie all’intervento dei militari italiani. Intanto, si stilano i primi tragici bilanci degli scontri dell’ultima settimana: 600 iracheni sarebbero morti nei combattimenti a Falluja, mentre le truppe americane contano 70 morti dal primo aprile. Il nostro servizio:

 

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Giappone con il fiato sospeso tra timori ed incertezze: non si sblocca, infatti, la crisi dei tre ostaggi nipponici nelle mani, da giovedì scorso, di un sedicente gruppo armato iracheno nei pressi di Falluja. L’esecutivo giapponese, che ha ammesso vi sia una trattativa in corso, sembra però aver scelto la linea della fermezza. Il primo ministro Koizumi ha confermato poche ore fa - in un colloquio a Tokyo con il vice presidente americano Cheney - che non ritirerà il contingente militare dall’Iraq, come chiesto dai rapitori quale condizione per liberare gli ostaggi. Dal canto suo, il numero due della Casa Bianca ha confermato la “massima cooperazione” di Washington per la soluzione della crisi. Momenti di tensione si vivono a Falluja dove la tregua è ormai in bilico: di fatto, poco fa, è scaduto l’ultimatum lanciato dalla guerriglia irachena che chiedeva l’immediato ritiro dei tiratori scelti americani, pena la ripresa dell’offensiva. Peraltro, la tregua non aveva impedito gli scontri nella zona. Ed è gravissimo il bilancio della settimana di combattimenti a Falluja: i morti tra gli iracheni sarebbero 600, ha riferito il direttore del principale ospedale cittadino. Sette giorni durissimi, dunque, come lo stesso Bush ha dovuto ammettere, parlando ieri alla base militare di Fort Hood. E nelle ultime ore, sono proseguiti aspri scontri in diverse zone dell’Iraq: tre marine sono caduti in combattimenti nella zona occidentale di Baghdad, mentre due poliziotti iracheni sono stati uccisi a Baqubah ed uno ad Hilla nella zona sciita a sud della capitale. La polizia irachena ha ripreso il completo controllo della città di Najaf, nell’Iraq centro-meridionale, in seguito ad un accordo fra le forze della  coalizione e il movimento sciita ribelle guidato da Moqtada al-Sadr. E dall’Iran, arriva la notizia che gli americani starebbero trattando con il leader radicale sciita attraverso la mediazione dello Sciri, il Supremo consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq. Sul fronte politico, il Cremlino è tornato a chiedere un’iniziativa politica sotto l’egida delle Nazioni Unite, per uscire dalla crisi irachena. Dal canto suo, Ahmed Chalabi, esponente del governo provvisorio iracheno, vicino agli Stati Uniti, ha affermato che è tempo di porre fine all’occupazione americana in Iraq.

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In una drammatica ressa per impossessarsi di un sari, il tradizionale abito femminile indiano, 21 persone sono morte a Luknow, nel nord dell'India. In vista delle prossime elezioni politiche, un candidato del partito nazionalista al potere, il Bjp, ha distribuito gratuitamente, a margine di un suo comizio, alcuni abiti femminili. Intorno al palco si è rapidamente formato un caotico assembramento, che ha determinato la tragedia.

 

Il presidente della Commissione europea, Prodi, e il ministro degli Esteri italiano, Frattini, hanno assicurato che Roma e Bruxelles chiederanno al governo del Vietnam di consentire agli organismi dell’Onu di visitare la regione degli altipiani centrali. In questi giorni, il Paese del sud est asiatico è stato teatro di manifestazioni soprattutto nella provincia di Dak Lak, organizzate per protestare contro la mancanza di libertà religiosa e per chiedere l’intervento della comunità internazionale a difesa dei diritti delle etnie della zona, tra cui quella Montagnard. Il governo di Hanoi vieta in questo momento a qualsiasi straniero di accedere nella regione.

 

La superpotenza regionale africana, il Sudafrica, si accinge al voto, il terzo democratico a 10 anni dalla fine dell’apartheid. Le elezioni - presidenziali e  politiche - si terranno mercoledì 14 aprile. Superfavorito è l’African National Congress, il partito della stragrande maggioranza dei neri, che lega il suo nome a quello di Nelson Mandela. Secondo gli ultimi sondaggi, alla presidenza sarà confermato in maniera plebiscitaria Thabo Mbeki. La priorità da affrontare per il nuovo governo sarà ancora l’Aids, vera pandemia per il popolo sudafricano. Su 45 milioni di abitanti, infatti, 5 milioni sono sieropositivi; ogni giorno 600 persone muoiono in Sudafrica a causa del terribile virus.

 

In Medio Oriente, violenze e sforzi diplomatici si alternano in questa ore. Tre palestinesi, che si erano infiltrati nell’area dell’insediamento di Nezarim, nella Striscia di Gaza, sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco con truppe israeliane. L’attacco è stato rivendicato da Hamas, Jihad e dalle Brigate dei martiri di al-Aqsa. Nella notte, invece, l’esercito ebraico ha compiuto una doppia incursione a Jenin e Tulkarem. Intanto, ferve l’attività diplomatica internazionale alla ricerca di una soluzione politica alla crisi israelo-palestinese. Nostro servizio:

 

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E’ stata fissata al 29 aprile la data della consultazione della base del Likud, il partito di governo israeliano, sul progetto annunciato da Sharon per il “disimpegno” unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza. Sul fronte diplomatico, il presidente egiziano Mubarak incontra oggi il George Bush, nel suo ranch texano di Crawford. Al centro dei colloqui, il progetto statunitense per un “Grande Medio Oriente”, che non ha riscosso il favore di Mubarak. D’altro canto, il presidente egiziano teme che l’occupazione israeliana si protragga sine die, mentre Washington e Tel Aviv contano proprio sull’Egitto per mantenere la sicurezza nella Striscia di Gaza dopo il ritiro israeliano. Dopo Mubarak, sarà quindi la volta del premier Sharon, che nelle prossime ore partirà per gli Stati Uniti e mercoledì parlerà con il presidente americano del programma di disimpegno dai territori palestinesi. Infine, il 21 aprile, Bush discuterà della situazione in Medio Oriente con il re di Giordania, Abdullah II.

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Tre marocchini sono stati arrestati in Spagna nell’ambito dell'inchiesta sugli attentati a Madrid dell'11 marzo, che ha provocato quasi 200 morti. Lo hanno riferito oggi fonti della magistratura spagnola.

 

E’ salito a 44 morti il bilancio dell’incidente nella miniera di carbone in Siberia, dove è sabato scorso si e' verificata una esplosione dovuta al gas metano a 500 metri di profondità. Nel crollo, 53 minatori sono rimasti intrappolati. Solo sei sono finora riusciti a salvarsi.

 

In Nepal, più di 200 persone sono state arrestate ieri nella capitale Kathmandu, dopo che i manifestanti di un corteo organizzato contro la monarchia si erano scontrati con la polizia, lanciando sassi e danneggiando un automezzo delle forze dell'ordine.

 

Un gruppo di ribelli tamil che si erano opposti armi in pugno al movimento  delle Tigri tamil (Ltte) in Sri Lanka, ha deciso oggi di desistere e porre fine alla sanguinosa lotta intestina.

 

In Afghanistan, le forze americane stanno facendo piovere migliaia di volantini per indurre la popolazione locale a collaborare. Migliaia di fogli con le fotografie di guerriglieri che impugnano lanciarazzi ammoniscono in lingua pashtun che “gli attacchi contro le forze alleate sono un ostacolo per la distribuzione di aiuti umanitari”.

 

In Algeria, il Consiglio costituzionale ha convalidato ufficialmente i risultati delle elezioni presidenziali di giovedì scorso, confermando la schiacciante vittoria del presidente in carica Bouteflika, che ha trionfato con l’84,99 per cento di consensi.

 

 

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