RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 99 - Testo della trasmissione di giovedì 8 aprile 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il grazie del Papa a Dio per il dono del sacerdozio, questa mattina  durante la Messa crismale  in San Pietro, preludio alle solennità del Triduo pasquale

 

Giovanni Paolo II invita i sacerdoti ad essere uomini di preghiera e di fede: la riflessione dell’arcivescovo di Loreto, Angelo Comastri

 

Le Nazioni Unite impegnate affinché non si ripeta mai più una tragedia come il genocidio del Rwanda: è la convinzione dell’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Situazione sempre tesa in Iraq: a Najaf la guerriglia ha occupato le sedi governative e controlla la Citta’ Santa. Attacchi alle forze americane nell’area tra Baghdad e Falluja: l’analisi di Lucio Caracciolo

 

Partenza record ieri in Italia per la prima del film di Mel Gibson “The Passion”, visto da 250 mila persone.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Lo sport per la pace in Terra Santa: il 23 aprile si terrà – in questo spirito – la maratona Gerusalemme-Betlemme

 

Appello dell’arcivescovo ugandese di Gulu all’esercito dell’Uganda che ha minacciato di espellere il religioso comboniano padre Carlos Rodriguez Soto

 

Da uno studio promosso dall’Università “La Sapienza” e dalla Caritas di Roma emerge che i mediatori culturali sono sempre più importanti per l’integrazione degli immigrati in Italia

 

Educare al dialogo ed alla tolleranza tra cristiani e musulmani, l’obiettivo dell’Istituto cattolico pakistano “Human Development Center”

 

Centinaia di fedeli partecipano, in Bolivia, alla marcia-pellegrinaggio alla località di Copacabana, dove vive una folta comunità francescana

 

24 ORE NEL MONDO:

Nei colloqui di pace in corso a N'djamena, in Ciad, le autorità sudanesi hanno firmato oggi un cessate-il-fuoco con i ribelli del Darfour

 

Algeria alle urne per le presidenziali, tra tensioni e rischio di brogli

 

Allarme terrorismo in tutto il mondo: proseguono le indagini in Spagna sulle stragi dell11 marzo

 

Incontro a Mosca tra il presidente russo Putin ed il capo della Nato Jaap de Hoop Scheffer.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 aprile 2004

 

 

IL GRAZIE DEL PAPA E DEL CLERO A DIO PER IL DONO DEL SACERDOZIO

 E L’ESORTAZIONE AD ESSERE, PER IL POPOLO CRISTIANO, UOMINI DI PREGHIERA

 E DI FEDE: LA PREGHIERA DEL PONTEFICE LEVATA DURANTE LA MESSA CRISMALE

IN SAN PIETRO, PRELUDIO ALLE SOLENNITA’ DEL TRIDUO PASQUALE

- Servizio di Alessandro De Carolis e Giovanni Peduto -

 

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Incontrare un sacerdote sia come incontrare Cristo stesso perché, al pari di Gesù, ogni presbitero è chiamato ad essere, nelle sue parole e nei suoi atteggiamenti, un uomo di preghiera fedele a Dio. E’ il mandato che Giovanni Paolo II ha ripetuto questa mattina nella Basilica di San Pietro alla celebrazione della Messa crismale, durante la quale sono stati tradizionalmente benedetti il Sacro crisma e gli olii degli infermi e dei catecumeni.

 

(canto)

 

Suggestivo si è presentato il colpo d’occhio all’interno della Basilica vaticana, con le due grandi e distinte macchie di colore rivolte verso l’altare del Bernini: la macchia bianca dell’abito indossato dai numerosissimi sacerdoti presenti e, subito dietro, quella scura delle migliaia di fedeli, che hanno affollato della Messa Crismale. La celebrazione - preludio al Triduo pasquale che inizierà stasera con la Messa in Coena Domini - è stata presieduta da Giovanni Paolo II e concelebrata da molti cardinali e vescovi, che hanno rinnovato con il Pontefice le proprie promesse sacerdotali. Il Papa, riecheggiando la sua Lettera ai sacerdoti, ha chiarito all’inizio dell’omelia la distinzione e insieme il vincolo che caratterizza le due solennità liturgiche del Giovedì Santo: “Se la Messa in Cena Domini sottolinea il mistero dell’Eucaristia e la consegna del comandamento nuovo dell’amore, questa che stiamo celebrando, detta Messa del Crisma, sottolinea il dono del sacerdozio ministeriale”. Giovanni Paolo II ha ringraziato Dio per questo grande “dono”, ribadendo insieme ai presbiteri presenti, “il fermo proposito di essere immagine sempre più fedele di Cristo, Sommo Sacerdote”:

 

“Veramente straordinario è il ‘dono e mistero’ che abbiamo ricevuto. L’esperienza quotidiana ci insegna che esso va conservato, grazie a una indefettibile adesione a Cristo, alimentata da costante preghiera (…) Chi ci incontra deve poter sperimentare dalle nostre parole e dai nostri comportamenti l’amore fedele e misericordioso di Dio”.

 

Come non ritornare, con il pensiero carico di commozione, all'entusiasmo del primo ‘sì’, pronunciato il giorno dell’Ordinazione presbiterale?”, ha ricordato il Pontefice. “Eccomi!”. Abbiamo risposto a Colui che ci chiamava a lavorare per il suo Regno. “Eccomi!”. Dobbiamo ripetere ogni giorno, consapevoli di essere stati inviati a servire, a speciale titolo, la comunità dei salvati in persona Christi”. Giovanni Paolo II ha concluso invocando l’aiuto della Madonna perché ogni sacerdote, ha affermato, sappia “riprodurre sempre più fedelmente”, nella sua esistenza e nel suo servizio ecclesiale, “l'immagine del suo figlio Gesù”. Ed ha aggiunto un auspicio per ogni credente:

 

“Renda tutti i cristiani sempre più consapevoli della vocazione a cui ciascuno è chiamato, perché la Chiesa, nutrita dalla Parola e santificata dai sacramenti, continui a compiere appieno la sua missione nel mondo”.

 

(canto)

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La Chiesa universale, dunque, si appresta a rivivere con il Triduo Pasquale i misteri della Passione, morte e Risurrezione di Cristo, a partire dalla Messa di questa sera, che celebra l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, ponendo in risalto il primato di Gesù fondato sul servizio, attraverso il rito della lavanda dei piedi. Sul significato della ricca simbologia del Giovedì Santo, ecco un commento dell’arcivescovo prelato di Loreto, Angelo Comastri, al microfono di Giovanni Peduto:

 

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R. – Nel Giovedì Santo, la Chiesa ritorna al Cenacolo e ritorna per rivivere lo stupore e l’emozione che provarono gli apostoli e che deve continuamente rivivere in ogni credente e in ogni comunità cristiana. Il Giovedì Santo innanzitutto è il giorno della lavanda dei piedi. Con questo gesto, con il gesto della lavanda dei piedi, Gesù ha contestato l’egoismo perché l’egoismo distrugge l’uomo. Nello stesso tempo, Gesù ha affermato che soltanto il dono di sé fa vivere, perché Dio è dono di sé e noi siamo stati creati a immagine di Dio. Siamo stati creati per donarci la vita, per dare la vita. Ogni volta che l’uomo rifiuta lo stile della lavanda dei piedi, l’uomo introduce nel mondo il germe della tristezza, il germe dell’inquietudine, il germe dell’ingiustizia. Perché siamo stati creati a immagine di Dio, che è amore. La Chiesa, riprendendo in mano il catino, il bacile, l’asciugamano, non fa altro che ridire a se stessa: questa è la strada della gioia, questa è la strada della felicità. Andiamo allora nelle strade del mondo e laviamo i piedi anche degli egoisti, perché riscoprano nel gesto della lavanda il gesto anche della loro vita. Ma il Giovedì Santo è anche il giorno del grande comandamento: il comandamento che ci fa riconoscere. Gesù ha detto: “Amatevi come io ho amato voi. Da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. La beata Madre Teresa di Calcutta, con la sua carità ha stupito il mondo e ha stupito il mondo perché tutti l’hanno riconosciuta come discepola di Gesù. Hanno visto in lei il sapore del Vangelo, hanno sentito in lei il profumo del Vangelo, il profumo del Cenacolo ... Ogni cristiano, con la carità, deve far sentire il profumo del Cenacolo, il profumo del comandamento nuovo. Ma il Giovedì Santo è anche il giorno dell’Eucaristia. Perché non è possibile lavare i piedi, non è possibile vivere il comandamento dell’amore se noi non ci nutriamo continuamente di Cristo, se noi non ci immergiamo continuamente nel gesto del suo amore, che è il sacrificio della Croce reso presente dalla celebrazione eucaristica. Per questo la Chiesa ha bisogno di Eucaristia. E il Giovedì Santo si mette di nuovo in ginocchio davanti all’Eucaristia per riempire il cuore di stupore. E i primi – si capisce – che sono meravigliati in questo giorno, i primi che si sentono coinvolti sono i sacerdoti. Noi ci accorgiamo in questo giorno che Gesù ci ha fatto un dono che è al di là di ogni merito, al di là di ogni fantasia umana, il dono del sacerdozio è la più grande avventura che possa compiere un cuore umano. Noi sacerdoti chiediamo a tutti in questo giorno una particolare preghiera perché sul nostro volto si possa rivedere il mistero folle dell’amore del Calvario. E nel cuore dei sacerdoti si possa sentire l’eco, sia pure un po’ lontana, ma io mi auguro perfettamente rassomigliante, l’eco del battito del Cuore di Gesù.

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Ricordiamo che la Radio Vaticana seguirà in radiocronaca diretta, a partire dalle 17.30, la celebrazione della Messa in Coena Domini, presieduta dal Papa, con commenti in italiano, inglese e tedesco.

 

 

NOMINE

 

In Italia, Giovanni Paolo II  ha nominato vescovi ausiliari dell'Arcivescovo di Milano mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, finora vicario generale dell'Arcidiocesi ambrosiana, e mons. Luigi Stucchi, finora vicario episcopale della zona di Varese.

 

Mons. Redaelli, 48 anni, ha conseguito la laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Per dieci anni, fino al ’93, ha svolto l'incarico di addetto all'Ufficio avvocatura dell'Arcidiocesi ed è stato nominato membro del Comitato per gli Enti e i Beni ecclesiastici della Cei. Nel 1987 è stato tra l’altro nominato promotore di Giustizia presso il Tribunale ecclesiastico regionale lombardo. Oltre ai numerosi incarichi svolti a servizio dell’arcidiocesi ambrosiana, il neo presule - vicario generale dal 2004 - è anche autore di articoli su varie riviste, oltre che membro della direzione e della redazione della Rivista "Quaderni di diritto ecclesiale" e Direttore della Rivista "Ex lege".

 

Mons. Luigi Stucchi, 63 anni, è originario dell’arcidiocesi di Milano, nella quale ha prestato per lungo tempo servizio in qualità di parroco. Nello svolgimento del suo ministero, ha dedicato particolare attenzione al sacramento della riconciliazione, alla direzione spirituale e al discernimento vocazionale, oltre ad aver prestato speciale cura all’aspetto della catechesi.

 

In Spagna, il Papa ha nominato vescovo di Calahorra y La Calzada-Logroño mond. José Omella Omella, finora vescovo di Barbastro-Monzón. Il 58.enne presule ha compiuto gli studi ecclesiastici in Spagna, Francia e Belgio ed ha svolto il ministero di parroco fino alla nomina episcopale avvenuta nel 1996. In seno alla Conferenza episcopale spagnola, mons. Omella è presidente della Commissione per la Pastorale sociale.

 

Ad Haiti, il Pontefice ha nominato vescovo di Fort-Liberté il sacerdote Chibly Langlois, del clero di Jacmel, direttore del Centro per la Pastorale della diocesi stessa.Il neopresule è nato a la Vallée 46 anni fa e ha studiato dall’1985 nel “Grand Séminaire Notre-Dame” a Port-au-Prince, dove ha seguito i corsi filosofici e teologici, ottenendo il Baccellierato in Teologia. Dal 1994 al 1996, ha perfezionato gli studi a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense dove ha conseguito la Licenza in Teologia pastorale. Ha svolto anche incarichi di docenza in Teologia pastorale al “Grand Séminaire Notre-Dame” di Port-au-Prince e all’Istituto diocesano per l’Educazione e la promozione umana di Jacmel.

 

 

L’ONU E’ IMPEGNATO A FAR SI’ CHE MAI PIU’ POSSA RIPETERSI

 UNA TRAGEDIA COME IL GENOCIDIO DEL RWANDA: COSI’, AI NOSTRI MICROFONI, L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,

OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE

PRESSO L’UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE

 

Never Again, Plus Jamais: “Mai più”. E’ questo il messaggio che campeggiava sull’unico striscione esposto ieri nello stadio della capitale rwandese Kigali, dove si è svolta la cerimonia ufficiale per commemorare il decennale del genocidio, che nel 1994 sconvolse il Rwanda. La popolazione rwandese ricorda dunque con commozione i suoi 800 mila morti, mentre la comunità internazionale si interroga sui mezzi per prevenire simili immani tragedie. Un tema, sul quale abbiamo raccolto la riflessione dell’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite, raggiunto telefonicamente a New York da Alessandro Gisotti:

 

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R. – L’Onu in tutte le sue componenti ha fatto una puntuale autocritica sulle sue mancanze in quelle tristi circostanze. Ma non si è limitata a guardare indietro a cosa non ha funzionato: ha preso, invece, delle serie misure intese a prevenire nel futuro il ripetersi di tragiche pratiche genocidarie.

 

D. – Ce le può illustrare?

 

R. – Oggi stesso, il segretario generale Kofi Annan ha messo a punto una commissione sulla prevenzione del genocidio ed ha istituito la figura di un consigliere-relatore che dovrà riferire regolarmente al Consiglio di Sicurezza su segni premonitori, latenti o in atto, suscettibili di portare un Paese alla deriva genocidaria. Queste misure segnato un passo importante nel conferire una certa efficacia alla Convenzione sulla prevenzione del genocidio del 1948.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Il dono del sacerdozio ministeriale": Giovedì Santo; la Santa Messa Crismale presieduta da Giovanni Paolo II.

 

Nelle vaticane, due pagine dedicate al Venerdì Santo.

 

Nelle estere, in rilievo l'Iraq dove si susseguono i sanguinosi combattimenti.

Per la rubrica dell' "Atlante geopolitico", un articolo di Giuseppe Maria Petrone dal titolo "Russia: altri attentati nel tormentato Caucaso". 

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Patruno dal titolo "La povertà del Golgota è la regalità".

 

Nelle pagine italiane, il dibattito, in sede politica, sulla questione irachena.

Il tema del terrorismo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 aprile 2004

 

 

SITUAZIONE SEMPRE TESA IN IRAQ: A NAJAF LA GUERRIGLIA HA OCCUPATO

LE SEDI GOVERNATIVE E CONTROLLA LA CITTA’ SANTA.

ATTACCHI ALLE FORZE AMERICANE  NELL’AREA TRA BAGHDAD E FALLUJA

- Interviste con Paola Della Casa e Lucio Caracciolo

 

Najaf è in mano ai miliziani della guerriglia: questo l’annuncio fatto poco fa del comandante delle forze della coalizione in Iraq. Resta preoccupante la situazione anche a Diwaniya, dove durante la notte si sono registrate sparatorie, anche se sembra che la polizia irachena stia recuperando il controllo della situazione. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Un gruppo di ribelli iracheni ha detto oggi di aver catturato tre giapponesi e ha minacciato di ucciderli se Tokyo non ritirerà le sue truppe. Lo riferisce la televisione del Qatar al Jazira. E’ l'agenzia sudcoreana Yohnap, invece, a confermare che otto sud coreani sono stati catturati da insorti iracheni che ne hanno poi rilasciato uno.

 

Il generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze della Coalizione, ha detto che i miliziani del leader sciita Moqtada al Sadr occupano uffici governativi nel centro di Najaf, controllando la città santa. Il contingente spagnolo, assegnato alla città, si è ritirato nella base alla periferia. E nuovi scontri sono scoppiati tra milizie sciite e soldati polacchi e bulgari a Kerbala, nel centro dell'Iraq, dove gli uomini di Moqtada al Sadr hanno lanciato un ultimatum esigendone il ritiro. Intanto, il ministro iracheno dell’interno, Nouri Badrane, ha annunciato le dimissioni dopo che l’amministratore americano in Iraq, Bremer, aveva espresso critiche all’azione del suo dipartimento.

 

A Tikrit un soldato iracheno è rimasto vittima del fuoco degli americani in risposta all’attacco a un convoglio. In mattinata una forte esplosione ha scosso Baghdad, mentre a ovest un altro convoglio americano è stato attaccato tra Baghdad e Falluja, in stato d'assedio da lunedì. Il direttore dell'ospedale di Falluja parla di 280-300 morti tra gli iracheni in seguito ai combattimenti tra le milizie sunnite e l'esercito americano di questi giorni. Da parte sua, la Casa Bianca invita al Sadr a consegnarsi alle autorità, mentre il segretario alla difesa americano, Rumsfeld, confermando un rafforzamento delle truppe statunitensi, afferma che le forze d'occupazione “hanno problemi ma controllano la situazione e non si ritireranno prima di completare la missione”.  

 

 A Nassiriya, dopo i violenti scontri di martedì tra contingente italiano e miliziani sciiti, la situazione sembra tranquilla e continua l'attività di “mediazione e dialogo” con i capi tribù e i leader religiosi locali. Ma quali possibilità ci sono che anche in altre zone dell’Iraq si riesca ad arrivare ad un cessate il fuoco? Risponde, nell’intervista di Giancarlo La Vella, Paola Della Casa, portavoce del governo provvisorio del sud Iraq, che si trova a Nassiriya:

 

R. - La situazione è molto delicata, molto tesa. Si sta cercando di trovare un livello di mediazione. Però, in realtà, anche se “sotto l’ombrello” degli sciiti, nel partito di al Sadr ci sono una serie di frange esterne e quindi, anche fra di loro, non c’è una vera unità. E’, quindi, abbastanza difficile essere convinti che facendo un accordo orizzontale, questo si possa poi mantenere sul territorio.

 

D. - A questo punto la data di giugno per il passaggio di consegne della amministrazione può essere ancora rispettata?

 

R. - Sicuramente sì, si lavora per quello. Comunque, non c’è ragione perché venga anticipata. Credo che si lavori perché questo avvenga e si sta facendo in modo che avvenga nel modo migliore. Ci sono dei passi determinati da fare da qui a giugno, perché questo passaggio di sovranità avvenga.

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Il comandante delle Forze della Coalizione ha negato oggi che l'Iraq si stia trasformando in un nuovo Vietnam per gli Stati Uniti. E’ proprio questa, infatti, l’immagine ricordata sulla stampa. E in molti usano l’espressione “guerra civile”. Certamente in Iraq è dramma. Abbiamo chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, quali aspetti mettere in luce tra quelli meno discussi:

 

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R. – Naturalmente da parte dei nemici dell’America e dell’Occidente è stato tentato di tutto per destabilizzare l’Iraq. Non si capisce, certo, la situazione irachena se non si tiene conto che i vicini, a cominciare dall’Iran, hanno svolto un’opera di infiltrazione e di sollevamento dell’Iraq proprio perché hanno un interesse alla sua destabilizzazione.

 

D. - Ha nominato l’Iran. Ci sono altre responsabilità?

 

R. – Non le chiamerei responsabilità intese in senso tecnico, le chiamerei semplicemente interessi diversi che convergono nel voler destabilizzare l’Iraq. Certamente i sauditi, ad esempio, non hanno interesse che l’Iraq diventi una grande potenza petrolifera. C’è poi la questione curda. Si parla di sunniti e sciiti arabi ma ci sono anche i curdi che nel nord del Paese stanno consolidando una propria zona di controllo, più o meno assoluto: sostanzialmente c’è un Kurdistan indipendente! Bisognerà vedere ora se, e in che misura, potrà essere ricondotto dentro un disegno unitario iracheno. Per il momento questo appare difficile. Se il Kurdistan dovesse radicare questa sua indipendenza e magari anche formalizzarla, questo provocherebbe una crisi o piuttosto una guerra con la Turchia.

 

D. – In definitiva, quindi, quali sono gli aspetti più preoccupanti in questo momento?

 

R. – Il fatto che ci siano una quantità di fronti che si sono aperti. In Iraq ci sono una serie di comunità, di gruppi e di tribù molto diversi fra loro e difficilmente riconducibili ad unità, per ragioni anche diverse, che trovano, però, nella lotta all’occupazione,  non solo americana, il momento che li unifica.

 

D. – In definitiva, quali risposte tentare?

 

R. – Anzitutto credo che sia necessario deamericanizzare l’occupazione. Non credo ad un ruolo Onu in senso stretto, nel senso che l’Onu non ha né la capacità né le strutture né, forse, la volontà di intervenire in una situazione di guerra. Certamente, però, la bandiera Onu può servire a recuperare un minimo di unità tra le grandi potenze e tra i Paesi occidentali ed i Paesi arabi per affidare questo difficile passaggio dall’occupazione ad un governo iracheno ad un vasto schieramento di Paesi. Allargare quindi il fronte dei Paesi impegnati e non solamente in termini militari ma anche in termini finanziari – servono infatti un sacco di soldi per rimettere in piedi questo Paese – ed occorre poi un dialogo politico con le diverse componenti di questo Paese. Quello che in buona misura hanno fatto, per esempio, gli inglesi; gli americani finora non ci sono riusciti.

 

D. – Non ha nominato gli italiani a Nassiriya?

 

R. – No, non li ho nominati perché l’Italia non fa parte della Coalizione formalmente. Siamo un Paese non belligerante e quindi non possiamo essere equiparati agli inglesi o ai polacchi. Siamo in una situazione ambigua e questo implica la necessità di ridefinire il senso di questa missione.

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PARTENZA RECORD IERI IN ITALIA

PER LA PRIMA DEL FILM DI MEL GIBSON “LA PASSIONE DI CRISTO”,

VISTO DA 250 MILA PERSONE

 

Ha registrato un grande successo nei cinema di tantissimi Paesi del mondo, suscitando le più diverse reazioni. Stiamo parlando del film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson che ieri è arrivato in quasi 700 sale italiane con un record di spettatori per il mercoledì: lo hanno visto in 250.000. Il servizio di Debora Donnini.

 

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(musica)

 

“I WANTED PEOPLE WOULD UNDERSTAND …

Vorrei che le persone capissero la realtà della storia, desidero vengano portate dentro un’esperienza, che la sentano…”.

 

Le parole di Mel Gibson sembrano far percepire il senso di questo film. Un film che certamente interroga e scuote. A Jan Michelini, aiuto regista nel film, abbiamo chiesto come Mel Gibson è arrivato a girare questa pellicola…

 

“Posso dire quello che lui ha dichiarato in altre interviste, cioè che addirittura lui è arrivato ad un momento in cui non voleva più andare avanti a vivere, era un po’ perso nell’ambiente di Hollywood. Io immagino, non lo so. Ha condotto uno stile di vita che in qualche modo escludeva Cristo. Poi, una decina di anni fa, 12 anni fa, è tornato indietro sui suoi passi, ha cominciato a leggere il Vangelo e la Passione. E dice che leggendo di quelle ferite, le sue venivano risanate”.

 

(Voci dal film)

 

Girato in aramaico e latino, le lingue effettivamente parlate allora, rispettivamente da ebrei e romani, il film è la cronaca delle ultime 12 ore della vita di Gesù. Forte dunque la ricerca di realismo.

 

(musica)

 

Significativa l’esperienza di questo film anche per Francesco De Vito che interpreta Pietro. Sentiamolo…

 

“Questo film mi ha dato la possibilità di farmi tantissime domande, di capire la natura del mio cuore, della mia anima. E’ un film che ci permette non solo di vedere la Passione, il dolore, il sacrificio di Gesù, ma ci permette di viverlo, perché la Passione e la sua sofferenza è un avvenimento presente ancora adesso, dopo 2 mila anni.

           

Ma sentiamo cosa ha dato personalmente a Jan Michelini questo film.

 

“Vengo da una famiglia cattolica. Sono sempre andato a messa la domenica con tutta la famiglia, con gli amici. Mi sono accorto ad un certo punto, girando questo film, che ero un cattolico tiepido. L’obiettivo di Mel Gibson nel fare questo film è quello di dire: “Ragazzi, attenzione che quando durante la Messa si alza quel calice, si eleva l’ostia, non è altro che il Corpo e il Sangue di Cristo. Stiamo parlando di quel sacrificio del Figlio di Dio, che da una parte è divino, ma dall’altra parte è anche umano, e ha fatto per noi la più grande storia d’amore di tutti i tempi”.

 

(musica)

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Ma ascoltiamo i commenti di alcune persone all’uscita dal cinema. Le interviste sono di Benedetta Rinaldi:

 

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“Bello, un bel film. Molto forte…”

 

“Io penso che Mel Gibson abbia voluto far vedere come senza Dio non si possa vivere”.

 

“Questo film ti colpisce. Racconta quello che è successo, quello che ha patito Gesù”.

 

“Alcuni hanno parlato di un film che aveva risvolti antisemiti: ma tra gli ebrei e i romani ho visto una grande violenza nei soldati romani”.

 

“Se vogliamo parlare della Passione dobbiamo avere un’idea di quello che ha patito Cristo per tutti, non solo per noi cristiani, cattolici, ma per tutti. Questo è importante, ed è importante che l’abbiano fatto vedere”.

 

“Mi conferma che in un momento storico come quello attuale fa molto bene cercare di amarci, come ha detto Gesù: “Cercate di amare il vostro nemico”. Quindi credo che sia un film che faccia riflettere. Ed è il momento giusto, secondo me”.

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CHIESA E SOCIETA’

8 aprile 2004

 

LO SPORT PER LA PACE IN TERRA SANTA: CON QUESTO SPIRITO, IL 23 APRILE,

SI TERRA’ LA MARATONA GERUSALEMME-BETLEMME, PROMOSSA DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA INSIEME AL COMITATO OLIMPICO NAZIONALE

 

ROMA.= Lo sport strumento di pace e dialogo tra i popoli: quindici campioni italiani del passato recente, un atleta palestinese e uno israeliano saranno i protagonisti della maratona-pellegrinaggio che si svolgerà il prossimo 23 aprile da Gerusalemme a Betlemme. L’ex campione del mondo di ciclismo Moreno Argentin, la medaglia di bronzo nei 110 ostacoli alle olimpiadi di Città del Messico Eddy Ottoz, l’olimpionico del canottaggio Davide Tizzano e il campione di atletica Alessandro Lambruschini, sono alcuni degli atleti che porteranno la fiaccola che verrà accesa dal Papa nel corso dell'udienza generale di mercoledì 14 aprile. A dare il via alla maratona saranno il cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei e Gianni Petrucci, presidente del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano, insieme ad alcuni dei maggiori rappresentanti dello sport israeliano. Gli atleti dopo aver percorso le mura della città vecchia di Gerusalemme e aver costeggiato la zona in cui dovrebbe sorgere la tanto discussa “barriera” di difesa, giungeranno in territorio palestinese, dove la locale comunità cristiana si è già mobilitata per la riuscita dell'evento. In totale saranno una decina i chilometri da percorrere, di cui due terzi in territorio israeliano e la restante parte in quello palestinese. La maratona-pellegrinaggio, organizzata in sinergia con il Centro sportivo italiano e l’Opera romana pellegrinaggi, si concluderà a Betlemme, davanti la Basilica della Natività dove il cardinale Ruini celebrerà una messa a conclusione dell'evento sportivo. Questo appuntamento rientra nel più ampio programma del pellegrinaggio: “Gli sportivi italiani in Terra Santa. Ambasciatori di pace” (21-25 aprile 2004) che toccherà i luoghi più significativi della tradizione biblico-cristiana. (A.G.)

 

 

“LASCIATE TRANQUILLO PADRE CARLOS RODRIGUEZ SOTO”: E’ L’APPELLO RIVOLTO DALL’ARCIVESCOVO UGANDESE DI GULU, JOHN BAPTIST ODAMA, ALL’ESERCITO DELL’UGANDA, CHE HA MINACCIATO DI ESPELLERE IL RELIGIOSO COMBONIANO

DA SEMPRE IMPEGNATO PER LA PACE NEL PAESE AFRICANO

 

GULU.= Appello in difesa di un uomo di pace: mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, la principale città dell’Uganda settentrionale, ha difeso pubblicamente padre Carlos Rodriguez Soto, il missionario comboniano di origini spagnole, recentemente minacciato di espulsione dall’esercito ugandese. Nella cattedrale di Gulu, in conclusione di un servizio funebre per un religioso locale scomparso per una malattia, l’arcivescovo Odama ha espresso la volontà di fare una “dichiarazione importante indirizzata in maniera particolare all’esercito e alla stampa”. Il presule ha, dunque, detto che i militari “devono lasciare padre Carlos tranquillo. Lui è un uomo di pace e lavora solo con questo fine”. Il discorso è stato riferito all’agenzia Misna da una fonte locale presente, tra molti altri fedeli, alla celebrazione religiosa. “Padre Carlos – ha continuato l’arcivescovo – fa parte dell’ ‘Acholi religious leaders peace initiative’ (il cartello interreligioso che riunisce cattolici, protestanti, ortodossi e musulmani del nord Uganda,) e ciò che fa non è a titolo personale ma a nome di tutti noi che partecipiamo a questo gruppo. Chi attacca padre Carlos in realtà attacca anche noi”, ha concluso monsignor Odama. La dichiarazione dell’arcivescovo giunge pochi giorni dopo che il portavoce dell’esercito ugandese, maggiore Shaban Bantariza, ha nuovamente intimato a padre Soto di lasciare il Paese o quantomeno di trasferirsi dai distretti settentrionali. Le prime minacce di espulsione erano state rivolte a padre Soto alla fine del mese di febbraio: in quell’occasione l’esercito accusò il religioso di diffondere “false informazioni che pregiudicano la sicurezza nazionale” riferendosi a dichiarazioni del missionario che, secondo i militari, aveva accusato i soldati di violenze a danno dei civili. Padre Carlos Rodriguez Soto, che dal 1991 è impegnato nel raggiungimento di una soluzione pacifica del quasi ventennale conflitto nel nord Uganda, ha precisato in passato di aver incontrato alcune volte i ribelli nell’ambito dei negoziati, sempre previa autorizzazione delle autorità locali, ottenendo spesso che alcuni ribelli abbandonassero la lotta armata. (A.G.)

 

 

I MEDIATORI CULTURALI SONO SEMPRE PIU’ IMPORTANTI PER

L’INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA: E’ QUANTO EMERSO

 DA UNO STUDIO, PROMOSSO DALL’ATENEO ROMANO “LA SAPIENZA”

 E DALLA CARITAS DI ROMA

 

ROMA.= E’ la scuola il settore che ha più bisogno della professionalità dei “mediatori culturali”, ovvero di stranieri che agiscano da tramite tra le culture. E’ quanto risulta da un’indagine del Master in “Immigrati e rifugiati” dell’Università “La Sapienza”. promosso in collaborazione con il “Forum per l’intercultura” della Caritas di Roma. L’iniziativa è stata presentata ieri a Roma nel corso di un convegno organizzato nel principale ateneo romano. Dalle risposte degli studenti del Master emerge un bisogno di mediazione culturale principalmente nella scuola (41%), nella sanità (30%), nel lavoro e nell’integrazione sociale (22% in entrambi i casi). Tuttavia, quando gli studenti ipotizzano il proprio inserimento nel futuro, si privilegia l’attività da svolgere presso l’università (26%) e l’attività sociale (48%) presso le Ong, le associazioni, i centri di accoglienza o all’interno di attività rivolte alla comunicazione e all’integrazione. Il 44% degli intervistati vorrebbe prestare servizio presso le strutture pubbliche, diviso a metà tra la scuola e gli altri uffici pubblici. Roma viene considerata una città sufficientemente interculturale nel 44% delle risposte e ad alto livello di sensibilità interculturale da un altro 37%. I più attivi nel settore interculturale sembrano essere i filippini, gli albanesi e gli africani, e ancora i romeni, i bengalesi i senegalesi e i sudamericani. Tra le strutture pubbliche e private, che si fanno maggiormente carico della sensibilizzazione interculturale viene segnalata in primo luogo la Caritas di Roma (56% degli intervistati), quindi il Comune (44%). I problemi principali messi in luce nel convegno sono quelli legati alla formazione professionale, al riconoscimento del titolo, alla posizione fiscale, al rapporto tra mediatori culturali italiani e immigrati, infine, al livello qualitativo e alla durata dei progetti. (A.G.)



EDUCARE AL DIALOGO ED ALLA TOLLERANZA: E’ L’OBIETTIVO DELL’ISTITUTO

CATTOLICO PAKISTANO “HUMAN DEVELOPMENT CENTER”, CHE DA DUE ANNI

 PROMUOVE CORSI PER INSEGNANTI CRISTIANI E MUSULMANI

 

FAISALABAD.= In Pakistan l’educazione al dialogo ed alla tolleranza religiosa comincia a scuola. Partendo da questo assunto, a Toba Tek Singh, un centro cattolico di formazione all’insegnamento, l’Human Development Center (HDC), organizza da quasi due anni, speciali corsi per insegnanti finalizzati, oltre che all’aggiornamento dei metodi didattici, alla promozione del dialogo interreligioso. I corsi sono aperti a docenti cristiani e musulmani di scuole pubbliche e private. L’iniziativa culturale ha preso il via nell’agosto del 2002 ed ha organizzato finora, una decina di corsi per 260 partecipanti, l’ultimo dei quali si è svolto a marzo per 22 insegnanti. Un’esperienza giudicata molto positiva dai docenti, che hanno apprezzato la possibilità di conoscere persone di fedi diverse. (G.L.)

 

 

IN VISTA DELLA PASQUA, IN BOLIVIA, CENTINAIA DI FEDELI PARTECIPANO

 ALLA MARCIA-PELLEGRINAGGIO VERSO LA LOCALITA’ DI COPACABANA,

 DOVE VIVE UNA FOLTA COMUNITA’ FRANCESCANA  

 

LA PAZ.= Sono centinaia i fedeli attesi a cominciare dalle prime ore di oggi a Copacabana, località in cui vive una folta comunità francescana, distante 139 chilometri dalla capitale La Paz. Ogni anno, in vista della Pasqua, sono molti i boliviani che, partendo da ogni punto cardinale del Paese, decidono di affrontare questa marcia, per dimostrare la saldezza e la forza della loro fede. Tra oggi e sabato tutti i boliviani che hanno deciso di intraprendere questo cammino dovrebbero giungere a Copacabana, dove saranno officiate messe e allestite processioni e rappresentazioni della morte e della Passione di Cristo, il tutto ad opera della comunità giovanile locale e di 15 novizi francescani, che già hanno organizzato una Via Cucis completa di tutte e 14 le stazioni. L’impegno principale dei religiosi di Copacabana, in queste ore precedenti le celebrazione per la Pasqua, consiste nel tributare la giusta accoglienza ai pellegrini stanchi. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

8 aprile 2004

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

Speranze di pace per il Darfour, la regione del Sudan occidentale dov’è in corso un'insurrezione sanguinosamente repressa dal governo di Khartoum. Nei colloqui di pace in corso a N'djamena, in Ciad, le autorità sudanesi hanno firmato oggi un cessate-il-fuoco con i ribelli del Darfour che accusano Khartoum di armare milizie arabe per depredare e incendiare villaggi della regione. Ma quali conseguenze ha provocato il protrarsi dell’emergenza in Darfour? Giada Aquilino lo ha chiesto a Riccardo Noury, direttore delle comunicazioni della sezione italiana di Amnesty International:

 

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R. – Questa guerra prolungata ha causato un esodo di centinaia di migliaia di persone e, in particolare dall’inizio di marzo, l’offensiva militare è diventata ancora più cruenta: ha provocato centinaia di esecuzioni extragiudiziali, nuovi esodi e soprattutto l’impossibilità per gli organismi umanitari di soccorrere la popolazione civile.

 

D. – Cosa ha scatenato questi scontri?

 

R. – Si tratta di scontri di natura etnica. E’ una regione, quella del Darfour, storicamente in lotta per il riconoscimento dei diritti culturali. La popolazione locale è rimasta sostanzialmente ai margini degli accordi dello scorso anno con lo Spla, la principale formazione armata del Sudan. Accordi, questi, che avevano certamente un obiettivo di pacificazione ma anche di suddivisione delle rendite derivanti dalle nuove scoperte di giacimenti petroliferi.

 

D. – L’Onu aveva ventilato l’ipotesi di pulizia etnica tra le milizie arabe sostenute da Khartoum e la popolazione del Darfour. E’ così?

 

R. – E’ singolare che si ricorra a questo termine proprio quando si commemorano le vittime del genocidio in Rwanda di 10 anni fa. All’epoca, le Nazioni Unite e la comunità internazionale erano reticenti nell’usare espressioni di questo tipo. E’ bene che si inizi a definire questi fenomeni come tali.

 

D. – In queste condizioni reggerà il cessate-il-fuoco?

 

R. – Ce lo auguriamo. E’ la condizione minima essenziale perché la popolazione civile di questa regione martoriata, nell’ovest del Sudan, abbia una qualche speranza di vita. L’auspicio di Amnesty International, quindi, è che l’intesa regga e che possa consentire l’ingresso di aiuti umanitari e di missioni di ricerca delle Nazioni Unite e della nostra organizzazione. E questo perché, oltre che la pace, c’è da fare anche giustizia.

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Diciotto milioni di algerini si recano oggi alle urne per eleggere l’ottavo capo di Stato da quando il Paese maghrebino ha raggiunto l’indipendenza dalla Francia, nel 1962. Sei i candidati in lizza, tra cui il presidente uscente Abdelaziz Bouteflika, eletto nel ’99. Tensione per la tornata elettorale, sulla quale incombe lo spettro di brogli e il rischio di disordini di piazza. Il servizio di Luciano Ardesi:

 

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La competizione si limita di fatto a due soli candidati: il presidente Bouteflika e il suo ex primo ministro Ali Benflis. Ma il confronto è ancora aperto. Il presidente uscente è, però, nettamente favorito e la campagna elettorale molto vivace; bastano questi due elementi per fare di queste elezioni le prime presidenziali pluraliste della storia del Paese. Buteflika era stato infatti eletto cinque anni fa, dopo che tutti i candidati si erano ritirati per protesta contro un voto definito truccato e con l’esercito schierato a suo favore. In questa occasione invece, i militari hanno manifestato pubblicamente la loro neutralità. La trasparenza del voto sarà assicurata nei seggi dai rappresentanti dei candidati e dagli osservatori internazionali. La vera incertezza riguarda, invece, la possibilità che il presidente non raggiunga il 50 per cento dei voti al primo turno e questo lo obbligherebbe ad un ballottaggio tra 15 giorni, certamente più ricco di incognite.

 

Luciano Ardesi, per la Radio Vaticana.

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C’è grande attesa negli Stati Uniti per l’audizione del consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, davanti alla commissione d’inchiesta bipartisan che indaga sull’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. La commissione ha avanzato una richiesta dell’ultimo minuto per ottenere il testo di un discorso che la Rice doveva pronunciare il giorno delle stragi, ma per ora ha ottenuto un rifiuto.

 

Sul fronte del terrorismo internazionale, invece, continua ad essere alto l’allarme in tutto il mondo. Vanno avanti le indagini sugli attentati dell’11 marzo a Madrid, mentre in Italia sono aumentati gli “obiettivi sensibili” controllati dalle forze dell’Ordine. Per gli Stati Uniti, invece, arriva una nuova minaccia di Al Quaeda. Il nostro servizio:

 

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L’allerta attentati riguarda soprattutto la Spagna, dove proseguono le indagini sulle stragi dell’11 marzo. Ieri sono stati decisi 2 nuovi fermi. Sale così a 17 il numero delle persone detenute per presunte responsabilità nelle stragi di Madrid. Intanto da fonti di polizia si è saputo che il commando terrorista fattosi esplodere sabato scorso a Leganès, a sud della capitale spagnola, voleva compiere una nuova strage durante la Settimana Santa, attaccando un centro commerciale poco distante dall’abitazione distrutta. Ma la minaccia terroristica cresce anche in Italia, e con essa anche il numero degli obiettivi sensibili. Da poco più di 8.000, i luoghi “sottoposti a speciale vigilanza” sono passati a  13.421, secondo quanto ha comunicato ieri alla Camera il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu. Inoltre, in vista di Pasqua, una circolare inviata dal Viminale alle questure ha invitato a potenziare i controlli nelle chiese e nei luoghi “ad elevata concentrazione di persone”.

 

Intanto è tornata a farsi viva anche Al Qaeda, con un nuovo minaccioso proclama. In un video diffuso da un sito Internet arabo, un uomo mascherato identificato come il presunto capo della cellula saudita dell'organizzazione terroristica, Abdulaziz al-Muqrin, ha chiesto ai mujahidin di “combattere gli americani dappertutto con tutta la loro forza e tutte le loro capacità. Terrorizzate loro - ha aggiunto - come loro hanno terrorizzato i vostri fratelli”.

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La lotta internazionale al terrorismo sarà uno degli argomenti principali che affronteranno oggi a Mosca il presidente russo Vladimir Putin ed il nuovo segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. Il faccia a faccia giunge dopo l'ultima tornata dell'allargamento a est dell'Alleanza, visto con perplessità dal Cremlino. Il segretario dell’Alleanza Atlantica, giunto ieri sera nella capitale russa, ha riferito di attendere con impazienza l’incontro con il capo del Cremino, sperando che la sua visita serva a “consolidare le basi dei nostri rapporti”, poiché “la Russia ha bisogno della Nato e l'Alleanza ha bisogno della Russia per far fronte alle nuove minacce” della scena internazionale, “a cominciare dal terrorismo”

 

Una terrorista cecena di 24 anni è stata condannata oggi a 20 anni di reclusione da un tribunale di Mosca per essere stata trovata con una bomba nella borsa. La donna, riconosciuta colpevole da una giuria popolare, ha definito ''ingiusta'' la corte, affermando che avrebbe potuto premere  il pulsante per far esplodere l'ordigno e se stessa, ma non lo fece.

 

Trasferiamoci in Medio Oriente. I movimenti islamici Hamas e Jihad Islamica, insieme con altre forze dell’opposizione palestinese e Al Fatah, hanno preparato la bozza di un “Piano Nazionale” che riconosce all’Autorità nazionale palestinese un ruolo centrale e impegna tutte le parti a un cessate il fuoco.

 

Dura risposta della Francia alle accuse lanciate ieri dal presidente ruandese Kagame, che durante la cerimonia a  ricordo delle vittime del genocidio, 10 anni dopo l'inizio dei massacri, aveva puntato il dito contro Parigi, accusata di avere delle “grandi responsabilità” nelle violenze del ’94. Il ministro degli esteri transalpino Barnier ha detto di voler “andare a fondo nella questione”.

 

 

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