RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 99 - Testo della trasmissione di giovedì 8 aprile
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nei
colloqui di pace in corso a N'djamena, in Ciad, le autorità sudanesi hanno
firmato oggi un cessate-il-fuoco con i ribelli del Darfour
Algeria
alle urne per le presidenziali, tra tensioni e rischio di brogli
Allarme
terrorismo in tutto il mondo: proseguono le indagini in Spagna sulle stragi
dell11 marzo
Incontro
a Mosca tra il presidente russo Putin ed il capo della Nato Jaap de Hoop
Scheffer.
8 aprile 2004
IL GRAZIE DEL PAPA E DEL CLERO A DIO PER IL DONO
DEL SACERDOZIO
E L’ESORTAZIONE AD ESSERE, PER IL POPOLO
CRISTIANO, UOMINI DI PREGHIERA
E DI FEDE: LA PREGHIERA DEL PONTEFICE LEVATA
DURANTE LA MESSA CRISMALE
IN SAN
PIETRO, PRELUDIO ALLE SOLENNITA’ DEL TRIDUO PASQUALE
-
Servizio di Alessandro De Carolis e Giovanni Peduto -
**********
Incontrare un sacerdote sia come incontrare Cristo stesso perché, al pari
di Gesù, ogni presbitero è chiamato ad essere, nelle sue parole e nei suoi
atteggiamenti, un uomo di preghiera fedele a Dio. E’ il mandato che Giovanni
Paolo II ha ripetuto questa mattina nella Basilica di San Pietro alla celebrazione
della Messa crismale, durante la quale sono stati tradizionalmente benedetti il
Sacro crisma e gli olii degli infermi e dei catecumeni.
(canto)
Suggestivo si è presentato il
colpo d’occhio all’interno della Basilica vaticana, con le due grandi e
distinte macchie di colore rivolte verso l’altare del Bernini: la macchia
bianca dell’abito indossato dai numerosissimi sacerdoti presenti e, subito
dietro, quella scura delle migliaia di fedeli, che hanno affollato della Messa
Crismale. La celebrazione - preludio al Triduo pasquale che inizierà stasera
con la Messa in Coena Domini - è stata presieduta da Giovanni Paolo II e
concelebrata da molti cardinali e vescovi, che hanno rinnovato con il Pontefice
le proprie promesse sacerdotali. Il Papa, riecheggiando la sua Lettera ai
sacerdoti, ha chiarito all’inizio dell’omelia la distinzione e insieme il
vincolo che caratterizza le due solennità liturgiche del Giovedì Santo: “Se la Messa in Cena Domini sottolinea il
mistero dell’Eucaristia e la consegna del comandamento nuovo dell’amore, questa
che stiamo celebrando, detta Messa del Crisma, sottolinea il dono del
sacerdozio ministeriale”. Giovanni Paolo II ha ringraziato Dio per questo
grande “dono”, ribadendo insieme ai presbiteri presenti, “il fermo proposito di
essere immagine sempre più fedele di Cristo, Sommo Sacerdote”:
“Veramente straordinario
è il ‘dono e mistero’ che abbiamo ricevuto. L’esperienza quotidiana ci insegna
che esso va conservato, grazie a una indefettibile adesione a Cristo,
alimentata da costante preghiera (…) Chi ci incontra deve poter sperimentare
dalle nostre parole e dai nostri comportamenti l’amore fedele e misericordioso
di Dio”.
“Come non ritornare, con il pensiero carico di
commozione, all'entusiasmo del primo ‘sì’, pronunciato il giorno
dell’Ordinazione presbiterale?”, ha ricordato il Pontefice. “Eccomi!”. Abbiamo
risposto a Colui che ci chiamava a lavorare per il suo Regno. “Eccomi!”.
Dobbiamo ripetere ogni giorno, consapevoli di essere stati inviati a servire, a
speciale titolo, la comunità dei salvati in persona Christi”. Giovanni
Paolo II ha concluso invocando l’aiuto
della Madonna perché ogni sacerdote, ha affermato, sappia “riprodurre
sempre più fedelmente”, nella sua esistenza e nel suo servizio ecclesiale,
“l'immagine del suo figlio Gesù”. Ed ha aggiunto un auspicio per ogni credente:
“Renda tutti i cristiani sempre
più consapevoli della vocazione a cui ciascuno è chiamato, perché la Chiesa,
nutrita dalla Parola e santificata dai sacramenti, continui a compiere appieno
la sua missione nel mondo”.
(canto)
**********
La
Chiesa universale, dunque, si appresta a rivivere con il Triduo Pasquale i misteri
della Passione, morte e Risurrezione di Cristo, a partire dalla Messa di questa
sera, che celebra l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, ponendo in
risalto il primato di Gesù fondato sul servizio, attraverso il rito della
lavanda dei piedi. Sul significato della ricca simbologia del Giovedì Santo,
ecco un commento dell’arcivescovo prelato di Loreto, Angelo Comastri, al
microfono di Giovanni Peduto:
**********
R. – Nel Giovedì Santo, la Chiesa ritorna al Cenacolo e
ritorna per rivivere lo stupore e l’emozione che provarono gli apostoli e che
deve continuamente rivivere in ogni credente e in ogni comunità cristiana. Il
Giovedì Santo innanzitutto è il giorno della lavanda dei piedi. Con questo
gesto, con il gesto della lavanda dei piedi, Gesù ha contestato l’egoismo
perché l’egoismo distrugge l’uomo. Nello stesso tempo, Gesù ha affermato che
soltanto il dono di sé fa vivere, perché Dio è dono di sé e noi siamo stati
creati a immagine di Dio. Siamo stati creati per donarci la vita, per dare la
vita. Ogni volta che l’uomo rifiuta lo stile della lavanda dei piedi, l’uomo
introduce nel mondo il germe della tristezza, il germe dell’inquietudine, il
germe dell’ingiustizia. Perché siamo stati creati a immagine di Dio, che è
amore. La Chiesa, riprendendo in mano il catino, il bacile, l’asciugamano, non
fa altro che ridire a se stessa: questa è la strada della gioia, questa è la
strada della felicità. Andiamo allora nelle strade del mondo e laviamo i piedi
anche degli egoisti, perché riscoprano nel gesto della lavanda il gesto anche
della loro vita. Ma il Giovedì Santo è anche il giorno del grande comandamento:
il comandamento che ci fa riconoscere. Gesù ha detto: “Amatevi come io ho amato
voi. Da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se avrete amore gli uni
per gli altri”. La beata Madre Teresa di Calcutta, con la sua carità ha stupito
il mondo e ha stupito il mondo perché tutti l’hanno riconosciuta come discepola
di Gesù. Hanno visto in lei il sapore del Vangelo, hanno sentito in lei il
profumo del Vangelo, il profumo del Cenacolo ... Ogni cristiano, con la carità,
deve far sentire il profumo del Cenacolo, il profumo del comandamento nuovo. Ma
il Giovedì Santo è anche il giorno dell’Eucaristia. Perché non è possibile
lavare i piedi, non è possibile vivere il comandamento dell’amore se noi non ci
nutriamo continuamente di Cristo, se noi non ci immergiamo continuamente nel
gesto del suo amore, che è il sacrificio della Croce reso presente dalla
celebrazione eucaristica. Per questo la Chiesa ha bisogno di Eucaristia. E il
Giovedì Santo si mette di nuovo in ginocchio davanti all’Eucaristia per
riempire il cuore di stupore. E i primi – si capisce – che sono meravigliati in
questo giorno, i primi che si sentono coinvolti sono i sacerdoti. Noi ci
accorgiamo in questo giorno che Gesù ci ha fatto un dono che è al di là di ogni
merito, al di là di ogni fantasia umana, il dono del sacerdozio è la più grande
avventura che possa compiere un cuore umano. Noi sacerdoti chiediamo a tutti in
questo giorno una particolare preghiera perché sul nostro volto si possa
rivedere il mistero folle dell’amore del Calvario. E nel cuore dei sacerdoti si
possa sentire l’eco, sia pure un po’ lontana, ma io mi auguro perfettamente
rassomigliante, l’eco del battito del Cuore di Gesù.
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Ricordiamo che la Radio Vaticana seguirà in radiocronaca
diretta, a partire dalle 17.30, la celebrazione della Messa in Coena Domini,
presieduta dal Papa, con commenti in italiano, inglese e tedesco.
NOMINE
In Italia, Giovanni Paolo II ha nominato vescovi ausiliari dell'Arcivescovo di Milano mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, finora vicario
generale dell'Arcidiocesi ambrosiana, e mons. Luigi Stucchi, finora vicario
episcopale della zona di Varese.
Mons. Redaelli, 48 anni, ha conseguito la laurea in
Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Per dieci anni,
fino al ’93, ha svolto l'incarico di addetto all'Ufficio avvocatura
dell'Arcidiocesi ed è stato nominato membro del Comitato per gli Enti e i Beni
ecclesiastici della Cei. Nel 1987 è stato tra l’altro nominato promotore di
Giustizia presso il Tribunale ecclesiastico regionale lombardo. Oltre ai
numerosi incarichi svolti a servizio dell’arcidiocesi ambrosiana, il neo
presule - vicario generale dal 2004 - è anche autore di articoli su varie
riviste, oltre che membro della direzione e della redazione della Rivista
"Quaderni di diritto ecclesiale" e Direttore della Rivista "Ex
lege".
Mons. Luigi Stucchi, 63 anni, è originario
dell’arcidiocesi di Milano, nella quale ha prestato per lungo tempo servizio in
qualità di parroco. Nello svolgimento del suo ministero, ha dedicato
particolare attenzione al sacramento della riconciliazione, alla direzione
spirituale e al discernimento vocazionale, oltre ad aver prestato speciale cura
all’aspetto della catechesi.
In Spagna, il Papa ha nominato vescovo di Calahorra y La
Calzada-Logroño mond. José Omella Omella, finora vescovo di Barbastro-Monzón.
Il 58.enne presule ha compiuto gli studi ecclesiastici in Spagna,
Francia e Belgio ed ha svolto il ministero di parroco fino alla nomina
episcopale avvenuta nel 1996. In seno alla Conferenza episcopale spagnola,
mons. Omella è presidente della Commissione per la Pastorale sociale.
Ad Haiti, il Pontefice
ha nominato vescovo di Fort-Liberté il sacerdote Chibly Langlois, del clero di
Jacmel, direttore del Centro per la Pastorale della diocesi stessa.Il
neopresule è nato a
la Vallée 46 anni fa e ha studiato dall’1985 nel “Grand Séminaire Notre-Dame” a
Port-au-Prince, dove ha seguito i corsi filosofici e teologici, ottenendo il
Baccellierato in Teologia. Dal 1994 al 1996, ha perfezionato gli studi a Roma,
presso la Pontificia Università Lateranense dove ha conseguito la Licenza in
Teologia pastorale. Ha svolto anche incarichi di docenza in Teologia pastorale
al “Grand Séminaire Notre-Dame” di Port-au-Prince e all’Istituto diocesano per
l’Educazione e la promozione umana di Jacmel.
L’ONU
E’ IMPEGNATO A FAR SI’ CHE MAI PIU’ POSSA RIPETERSI
UNA TRAGEDIA COME IL GENOCIDIO DEL RWANDA:
COSI’, AI NOSTRI MICROFONI, L’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,
OSSERVATORE
PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO
L’UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE
Never Again, Plus Jamais: “Mai più”. E’ questo il messaggio che
campeggiava sull’unico striscione esposto ieri nello stadio della capitale
rwandese Kigali, dove si è svolta la cerimonia ufficiale per commemorare il
decennale del genocidio, che nel 1994 sconvolse il Rwanda. La popolazione rwandese
ricorda dunque con commozione i suoi 800 mila morti, mentre la comunità
internazionale si interroga sui mezzi per prevenire simili immani tragedie. Un
tema, sul quale abbiamo raccolto la riflessione dell’arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente
della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite, raggiunto telefonicamente
a New York da Alessandro Gisotti:
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R. – L’Onu in tutte le sue componenti ha fatto una
puntuale autocritica sulle sue mancanze in quelle tristi circostanze. Ma non si
è limitata a guardare indietro a cosa non ha funzionato: ha preso, invece,
delle serie misure intese a prevenire nel futuro il ripetersi di tragiche
pratiche genocidarie.
D. – Ce le può illustrare?
R. – Oggi stesso, il segretario generale Kofi Annan ha
messo a punto una commissione sulla prevenzione del genocidio ed ha istituito
la figura di un consigliere-relatore che dovrà riferire regolarmente al
Consiglio di Sicurezza su segni premonitori, latenti o in atto, suscettibili di
portare un Paese alla deriva genocidaria. Queste misure segnato un passo
importante nel conferire una certa efficacia alla Convenzione sulla prevenzione
del genocidio del 1948.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"Il dono del sacerdozio ministeriale": Giovedì Santo; la Santa Messa
Crismale presieduta da Giovanni Paolo II.
Nelle vaticane, due pagine
dedicate al Venerdì Santo.
Nelle estere, in rilievo l'Iraq
dove si susseguono i sanguinosi combattimenti.
Per la rubrica dell'
"Atlante geopolitico", un articolo di Giuseppe Maria Petrone dal
titolo "Russia: altri attentati nel tormentato Caucaso".
Nella pagina culturale, un
articolo di Franco Patruno dal titolo "La povertà del Golgota è la
regalità".
Nelle pagine italiane, il
dibattito, in sede politica, sulla questione irachena.
Il tema del terrorismo.
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8 aprile 2004
SITUAZIONE SEMPRE TESA IN
IRAQ: A NAJAF LA GUERRIGLIA HA OCCUPATO
LE SEDI GOVERNATIVE E CONTROLLA LA CITTA’ SANTA.
ATTACCHI ALLE FORZE AMERICANE NELL’AREA TRA BAGHDAD E FALLUJA
- Interviste con Paola Della Casa e Lucio
Caracciolo
Najaf è in mano ai miliziani
della guerriglia: questo l’annuncio fatto poco fa del comandante delle forze
della coalizione in Iraq. Resta preoccupante la situazione anche a Diwaniya,
dove durante la notte si sono registrate sparatorie, anche se sembra che la polizia
irachena stia recuperando il controllo della situazione. Il servizio di Fausta
Speranza:
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Un gruppo di ribelli iracheni ha
detto oggi di aver catturato tre giapponesi e ha minacciato di ucciderli se
Tokyo non ritirerà le sue truppe. Lo riferisce la televisione del Qatar al
Jazira. E’ l'agenzia sudcoreana Yohnap, invece, a confermare che otto sud coreani
sono stati catturati da insorti iracheni che ne hanno poi rilasciato uno.
Il generale Ricardo Sanchez,
comandante delle forze della Coalizione, ha detto che i miliziani del leader
sciita Moqtada al Sadr occupano uffici governativi nel centro di Najaf,
controllando la città santa. Il contingente spagnolo, assegnato alla città, si
è ritirato nella base alla periferia. E nuovi scontri sono scoppiati tra milizie
sciite e soldati polacchi e bulgari a Kerbala, nel centro dell'Iraq, dove gli uomini
di Moqtada al Sadr hanno lanciato un ultimatum esigendone il ritiro. Intanto,
il ministro iracheno dell’interno, Nouri Badrane, ha annunciato le dimissioni
dopo che l’amministratore americano in Iraq, Bremer, aveva espresso critiche
all’azione del suo dipartimento.
A Tikrit un soldato iracheno è
rimasto vittima del fuoco degli americani in risposta all’attacco a un
convoglio. In mattinata una forte esplosione ha scosso Baghdad, mentre a ovest
un altro convoglio americano è stato attaccato tra Baghdad e Falluja, in stato
d'assedio da lunedì. Il direttore dell'ospedale di Falluja parla di 280-300
morti tra gli iracheni in seguito ai combattimenti tra le milizie sunnite e
l'esercito americano di questi giorni. Da parte sua, la Casa Bianca invita al
Sadr a consegnarsi alle autorità, mentre il segretario alla difesa americano,
Rumsfeld, confermando un rafforzamento delle truppe statunitensi, afferma che
le forze d'occupazione “hanno problemi ma controllano la situazione e non si
ritireranno prima di completare la missione”.
A Nassiriya, dopo i violenti scontri di martedì tra contingente
italiano e miliziani sciiti, la situazione sembra tranquilla e continua l'attività
di “mediazione e dialogo” con i capi tribù e i leader religiosi locali. Ma
quali possibilità ci sono che anche in altre zone dell’Iraq si riesca ad
arrivare ad un cessate il fuoco? Risponde, nell’intervista di Giancarlo La
Vella, Paola Della Casa, portavoce del governo provvisorio del sud Iraq, che si
trova a Nassiriya:
R. - La situazione è molto
delicata, molto tesa. Si sta cercando di trovare un livello di mediazione.
Però, in realtà, anche se “sotto l’ombrello” degli sciiti, nel partito di al Sadr
ci sono una serie di frange esterne e quindi, anche fra di loro, non c’è una vera
unità. E’, quindi, abbastanza difficile essere convinti che facendo un accordo
orizzontale, questo si possa poi mantenere sul territorio.
D. - A questo punto la data di giugno per il passaggio di
consegne della amministrazione può essere ancora rispettata?
R. - Sicuramente sì, si lavora
per quello. Comunque, non c’è ragione perché venga anticipata. Credo che si
lavori perché questo avvenga e si sta facendo in modo che avvenga nel modo
migliore. Ci sono dei passi determinati da fare da qui a giugno, perché questo
passaggio di sovranità avvenga.
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Il comandante delle Forze della Coalizione
ha negato oggi che l'Iraq si stia trasformando in un nuovo Vietnam per gli
Stati Uniti. E’ proprio questa, infatti, l’immagine ricordata sulla stampa. E
in molti usano l’espressione “guerra civile”. Certamente in Iraq è dramma.
Abbiamo chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes,
quali aspetti mettere in luce tra quelli meno discussi:
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R. – Naturalmente da parte dei
nemici dell’America e dell’Occidente è stato tentato di tutto per
destabilizzare l’Iraq. Non si capisce, certo, la situazione irachena se non si
tiene conto che i vicini, a cominciare dall’Iran, hanno svolto un’opera di
infiltrazione e di sollevamento dell’Iraq proprio perché hanno un interesse
alla sua destabilizzazione.
D. - Ha nominato l’Iran. Ci sono
altre responsabilità?
R. – Non le chiamerei
responsabilità intese in senso tecnico, le chiamerei semplicemente interessi
diversi che convergono nel voler destabilizzare l’Iraq. Certamente i sauditi,
ad esempio, non hanno interesse che l’Iraq diventi una grande potenza
petrolifera. C’è poi la questione curda. Si parla di sunniti e sciiti arabi ma
ci sono anche i curdi che nel nord del Paese stanno consolidando una propria
zona di controllo, più o meno assoluto: sostanzialmente c’è un Kurdistan indipendente!
Bisognerà vedere ora se, e in che misura, potrà essere ricondotto dentro un
disegno unitario iracheno. Per il momento questo appare difficile. Se il
Kurdistan dovesse radicare questa sua indipendenza e magari anche formalizzarla,
questo provocherebbe una crisi o piuttosto una guerra con la Turchia.
D. – In definitiva, quindi,
quali sono gli aspetti più preoccupanti in questo momento?
R. – Il fatto che ci siano una
quantità di fronti che si sono aperti. In Iraq ci sono una serie di comunità,
di gruppi e di tribù molto diversi fra loro e difficilmente riconducibili ad unità,
per ragioni anche diverse, che trovano, però, nella lotta all’occupazione, non solo americana, il momento che li
unifica.
D. – In definitiva, quali
risposte tentare?
R. – Anzitutto credo che sia necessario deamericanizzare
l’occupazione. Non credo ad un ruolo Onu in senso stretto, nel senso che l’Onu
non ha né la capacità né le strutture né, forse, la volontà di intervenire in
una situazione di guerra. Certamente, però, la bandiera Onu può servire a
recuperare un minimo di unità tra le grandi potenze e tra i Paesi occidentali
ed i Paesi arabi per affidare questo difficile passaggio dall’occupazione ad un
governo iracheno ad un vasto schieramento di Paesi. Allargare quindi il fronte
dei Paesi impegnati e non solamente in termini militari ma anche in termini finanziari
– servono infatti un sacco di soldi per rimettere in piedi questo Paese – ed
occorre poi un dialogo politico con le diverse componenti di questo Paese.
Quello che in buona misura hanno fatto, per esempio, gli inglesi; gli americani
finora non ci sono riusciti.
D. – Non ha nominato gli italiani a Nassiriya?
R. – No, non li ho nominati perché l’Italia non fa parte
della Coalizione formalmente. Siamo un Paese non belligerante e quindi non
possiamo essere equiparati agli inglesi o ai polacchi. Siamo in una situazione
ambigua e questo implica la necessità di ridefinire il senso di questa
missione.
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PARTENZA RECORD IERI IN ITALIA
PER LA
PRIMA DEL FILM DI MEL GIBSON “LA PASSIONE DI CRISTO”,
VISTO
DA 250 MILA PERSONE
Ha
registrato un grande successo nei cinema di tantissimi Paesi del mondo, suscitando
le più diverse reazioni. Stiamo parlando del film “La Passione di Cristo” di
Mel Gibson che ieri è arrivato in quasi 700 sale italiane con un record di
spettatori per il mercoledì: lo hanno visto in 250.000. Il servizio di Debora
Donnini.
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(musica)
“I WANTED PEOPLE WOULD
UNDERSTAND …
Vorrei che le persone capissero la realtà della
storia, desidero vengano portate dentro un’esperienza, che la sentano…”.
Le
parole di Mel Gibson sembrano far percepire il senso di questo film. Un film
che certamente interroga e scuote. A Jan Michelini, aiuto regista nel film, abbiamo
chiesto come Mel Gibson è arrivato a girare questa pellicola…
“Posso dire quello che lui ha dichiarato in altre
interviste, cioè che addirittura lui è arrivato ad un momento in cui non voleva
più andare avanti a vivere, era un po’ perso nell’ambiente di Hollywood. Io
immagino, non lo so. Ha condotto uno stile di vita che in qualche modo
escludeva Cristo. Poi, una decina di anni fa, 12 anni fa, è tornato indietro
sui suoi passi, ha cominciato a leggere il Vangelo e la Passione. E dice che leggendo
di quelle ferite, le sue venivano risanate”.
(Voci dal film)
Girato
in aramaico e latino, le lingue effettivamente parlate allora, rispettivamente
da ebrei e romani, il film è la cronaca delle ultime 12 ore della vita di Gesù.
Forte dunque la ricerca di realismo.
(musica)
Significativa
l’esperienza di questo film anche per Francesco De Vito che interpreta Pietro.
Sentiamolo…
“Questo film mi ha dato la possibilità di farmi
tantissime domande, di capire la natura del mio cuore, della mia anima. E’ un
film che ci permette non solo di vedere la Passione, il dolore, il sacrificio
di Gesù, ma ci permette di viverlo, perché la Passione e la sua sofferenza è un
avvenimento presente ancora adesso, dopo 2 mila anni.
Ma
sentiamo cosa ha dato personalmente a Jan Michelini questo film.
“Vengo da una famiglia cattolica. Sono sempre andato
a messa la domenica con tutta la famiglia, con gli amici. Mi sono accorto ad un
certo punto, girando questo film, che ero un cattolico tiepido. L’obiettivo di
Mel Gibson nel fare questo film è quello di dire: “Ragazzi, attenzione che
quando durante la Messa si alza quel calice, si eleva l’ostia, non è altro che
il Corpo e il Sangue di Cristo. Stiamo parlando di quel sacrificio del Figlio
di Dio, che da una parte è divino, ma dall’altra parte è anche umano, e ha
fatto per noi la più grande storia d’amore di tutti i tempi”.
(musica)
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Ma
ascoltiamo i commenti di alcune persone all’uscita dal cinema. Le interviste sono
di Benedetta Rinaldi:
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“Bello, un bel film. Molto forte…”
“Io penso che Mel Gibson abbia voluto far vedere come
senza Dio non si possa vivere”.
“Questo film ti colpisce. Racconta quello che è successo,
quello che ha patito Gesù”.
“Alcuni hanno parlato di un film che aveva risvolti
antisemiti: ma tra gli ebrei e i romani ho visto una grande violenza nei
soldati romani”.
“Se vogliamo parlare della Passione dobbiamo avere un’idea
di quello che ha patito Cristo per tutti, non solo per noi cristiani,
cattolici, ma per tutti. Questo è importante, ed è importante che l’abbiano
fatto vedere”.
“Mi conferma che in un momento storico come quello attuale
fa molto bene cercare di amarci, come ha detto Gesù: “Cercate di amare il
vostro nemico”. Quindi credo che sia un film che faccia riflettere. Ed è il
momento giusto, secondo me”.
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8 aprile 2004
LO
SPORT PER LA PACE IN TERRA SANTA: CON QUESTO SPIRITO, IL 23 APRILE,
SI
TERRA’ LA MARATONA GERUSALEMME-BETLEMME, PROMOSSA DALLA CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA INSIEME AL COMITATO OLIMPICO NAZIONALE
ROMA.=
Lo sport strumento di pace e dialogo tra i popoli: quindici campioni italiani
del passato recente, un atleta palestinese e uno israeliano saranno i protagonisti
della maratona-pellegrinaggio che si svolgerà il prossimo 23 aprile da Gerusalemme
a Betlemme. L’ex campione del mondo di ciclismo Moreno Argentin, la medaglia di
bronzo nei 110 ostacoli alle olimpiadi di Città del Messico Eddy Ottoz,
l’olimpionico del canottaggio Davide Tizzano e il campione di atletica Alessandro
Lambruschini, sono alcuni degli atleti che porteranno la fiaccola che verrà
accesa dal Papa nel corso dell'udienza generale di mercoledì 14 aprile. A dare
il via alla maratona saranno il cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei e
Gianni Petrucci, presidente del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano,
insieme ad alcuni dei maggiori rappresentanti dello sport israeliano. Gli
atleti dopo aver percorso le mura della città vecchia di Gerusalemme e aver
costeggiato la zona in cui dovrebbe sorgere la tanto discussa “barriera” di
difesa, giungeranno in territorio palestinese, dove la locale comunità
cristiana si è già mobilitata per la riuscita dell'evento. In totale saranno
una decina i chilometri da percorrere, di cui due terzi in territorio
israeliano e la restante parte in quello palestinese. La maratona-pellegrinaggio,
organizzata in sinergia con il Centro sportivo italiano e l’Opera romana
pellegrinaggi, si concluderà a Betlemme, davanti la Basilica della Natività
dove il cardinale Ruini celebrerà una messa a conclusione dell'evento sportivo.
Questo appuntamento rientra nel più ampio programma del pellegrinaggio: “Gli
sportivi italiani in Terra Santa. Ambasciatori di pace” (21-25 aprile 2004) che
toccherà i luoghi più significativi della tradizione biblico-cristiana. (A.G.)
“LASCIATE TRANQUILLO PADRE CARLOS
RODRIGUEZ SOTO”: E’ L’APPELLO RIVOLTO DALL’ARCIVESCOVO UGANDESE DI GULU, JOHN
BAPTIST ODAMA, ALL’ESERCITO DELL’UGANDA, CHE HA MINACCIATO DI ESPELLERE IL
RELIGIOSO COMBONIANO
DA SEMPRE IMPEGNATO PER LA PACE
NEL PAESE AFRICANO
GULU.= Appello in difesa di un
uomo di pace: mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, la principale
città dell’Uganda settentrionale, ha difeso pubblicamente padre Carlos
Rodriguez Soto, il missionario comboniano di origini spagnole, recentemente
minacciato di espulsione dall’esercito ugandese. Nella cattedrale di Gulu, in
conclusione di un servizio funebre per un religioso locale scomparso per una
malattia, l’arcivescovo Odama ha espresso la volontà di fare una “dichiarazione
importante indirizzata in maniera particolare all’esercito e alla stampa”. Il
presule ha, dunque, detto che i militari “devono lasciare padre Carlos
tranquillo. Lui è un uomo di pace e lavora solo con questo fine”. Il discorso è
stato riferito all’agenzia Misna da una fonte locale presente, tra molti altri
fedeli, alla celebrazione religiosa. “Padre Carlos – ha continuato
l’arcivescovo – fa parte dell’ ‘Acholi religious leaders peace initiative’ (il
cartello interreligioso che riunisce cattolici, protestanti, ortodossi e
musulmani del nord Uganda,) e ciò che fa non è a titolo personale ma a nome di
tutti noi che partecipiamo a questo gruppo. Chi attacca padre Carlos in realtà
attacca anche noi”, ha concluso monsignor Odama. La dichiarazione
dell’arcivescovo giunge pochi giorni dopo che il portavoce dell’esercito ugandese,
maggiore Shaban Bantariza, ha nuovamente intimato a padre Soto di lasciare il
Paese o quantomeno di trasferirsi dai distretti settentrionali. Le prime
minacce di espulsione erano state rivolte a padre Soto alla fine del mese di
febbraio: in quell’occasione l’esercito accusò il religioso di diffondere “false
informazioni che pregiudicano la sicurezza nazionale” riferendosi a dichiarazioni
del missionario che, secondo i militari, aveva accusato i soldati di violenze a
danno dei civili. Padre Carlos Rodriguez Soto, che dal 1991 è impegnato nel
raggiungimento di una soluzione pacifica del quasi ventennale conflitto nel
nord Uganda, ha precisato in passato di aver incontrato alcune volte i ribelli
nell’ambito dei negoziati, sempre previa autorizzazione delle autorità locali,
ottenendo spesso che alcuni ribelli abbandonassero la lotta armata. (A.G.)
I
MEDIATORI CULTURALI SONO SEMPRE PIU’ IMPORTANTI PER
L’INTEGRAZIONE
DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA: E’ QUANTO EMERSO
DA UNO STUDIO, PROMOSSO DALL’ATENEO ROMANO
“LA SAPIENZA”
E DALLA CARITAS DI ROMA
ROMA.=
E’ la scuola il settore che ha più bisogno della professionalità dei “mediatori
culturali”, ovvero di stranieri che agiscano da tramite tra le culture. E’
quanto risulta da un’indagine del Master in “Immigrati e rifugiati”
dell’Università “La Sapienza”. promosso in collaborazione con il “Forum per
l’intercultura” della Caritas di Roma. L’iniziativa è stata presentata ieri a
Roma nel corso di un convegno organizzato nel principale ateneo romano. Dalle
risposte degli studenti del Master emerge un bisogno di mediazione culturale
principalmente nella scuola (41%), nella sanità (30%), nel lavoro e
nell’integrazione sociale (22% in entrambi i casi). Tuttavia, quando gli
studenti ipotizzano il proprio inserimento nel futuro, si privilegia l’attività
da svolgere presso l’università (26%) e l’attività sociale (48%) presso le Ong,
le associazioni, i centri di accoglienza o all’interno di attività rivolte alla
comunicazione e all’integrazione. Il 44% degli intervistati vorrebbe prestare
servizio presso le strutture pubbliche, diviso a metà tra la scuola e gli altri
uffici pubblici. Roma viene considerata una città sufficientemente interculturale
nel 44% delle risposte e ad alto livello di sensibilità interculturale da un
altro 37%. I più attivi nel settore interculturale sembrano essere i filippini,
gli albanesi e gli africani, e ancora i romeni, i bengalesi i senegalesi e i
sudamericani. Tra le strutture pubbliche e private, che si fanno maggiormente
carico della sensibilizzazione interculturale viene segnalata in primo luogo la
Caritas di Roma (56% degli intervistati), quindi il Comune (44%). I problemi
principali messi in luce nel convegno sono quelli legati alla formazione
professionale, al riconoscimento del titolo, alla posizione fiscale, al
rapporto tra mediatori culturali italiani e immigrati, infine, al livello
qualitativo e alla durata dei progetti. (A.G.)
EDUCARE AL DIALOGO ED ALLA TOLLERANZA: E’
L’OBIETTIVO DELL’ISTITUTO
CATTOLICO
PAKISTANO “HUMAN DEVELOPMENT CENTER”, CHE DA DUE ANNI
PROMUOVE CORSI PER INSEGNANTI CRISTIANI E
MUSULMANI
FAISALABAD.= In Pakistan
l’educazione al dialogo ed alla tolleranza religiosa comincia a scuola.
Partendo da questo assunto, a Toba Tek Singh, un centro cattolico di formazione
all’insegnamento, l’Human Development Center (HDC), organizza da quasi
due anni, speciali corsi per insegnanti finalizzati, oltre che
all’aggiornamento dei metodi didattici, alla promozione del dialogo
interreligioso. I corsi sono aperti a docenti cristiani e musulmani di scuole
pubbliche e private. L’iniziativa culturale ha preso il via nell’agosto del
2002 ed ha organizzato finora, una decina di corsi per 260 partecipanti,
l’ultimo dei quali si è svolto a marzo per 22 insegnanti. Un’esperienza
giudicata molto positiva dai docenti, che hanno apprezzato la possibilità di
conoscere persone di fedi diverse. (G.L.)
IN
VISTA DELLA PASQUA, IN BOLIVIA, CENTINAIA DI FEDELI PARTECIPANO
ALLA MARCIA-PELLEGRINAGGIO VERSO LA LOCALITA’
DI COPACABANA,
DOVE VIVE UNA FOLTA COMUNITA’ FRANCESCANA
LA PAZ.= Sono centinaia i
fedeli attesi a cominciare dalle prime ore di oggi a Copacabana, località in
cui vive una folta comunità francescana, distante 139 chilometri dalla capitale
La Paz. Ogni anno, in vista della Pasqua, sono molti i boliviani che, partendo
da ogni punto cardinale del Paese, decidono di affrontare questa marcia, per
dimostrare la saldezza e la forza della loro fede. Tra oggi e sabato tutti i
boliviani che hanno deciso di intraprendere questo cammino dovrebbero giungere
a Copacabana, dove saranno officiate messe e allestite processioni e
rappresentazioni della morte e della Passione di Cristo, il tutto ad opera
della comunità giovanile locale e di 15 novizi francescani, che già hanno organizzato
una Via Cucis completa di tutte e 14 le stazioni. L’impegno principale dei religiosi
di Copacabana, in queste ore precedenti le celebrazione per la Pasqua, consiste
nel tributare la giusta accoglienza ai pellegrini stanchi. (A.G.)
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8
aprile 2004
- A cura di Salvatore Sabatino -
Speranze di pace per il Darfour, la regione del Sudan
occidentale dov’è in corso un'insurrezione sanguinosamente repressa dal governo
di Khartoum. Nei colloqui di pace in corso a N'djamena, in Ciad, le autorità
sudanesi hanno firmato oggi un cessate-il-fuoco con i ribelli del Darfour che
accusano Khartoum di armare milizie arabe per depredare e incendiare villaggi
della regione. Ma quali conseguenze ha provocato il protrarsi dell’emergenza in
Darfour? Giada Aquilino lo ha chiesto a Riccardo Noury, direttore delle
comunicazioni della sezione italiana di Amnesty International:
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R. – Questa guerra prolungata ha
causato un esodo di centinaia di migliaia di persone e, in particolare
dall’inizio di marzo, l’offensiva militare è diventata ancora più cruenta: ha
provocato centinaia di esecuzioni extragiudiziali, nuovi esodi e soprattutto
l’impossibilità per gli organismi umanitari di soccorrere la popolazione
civile.
D. – Cosa ha scatenato questi
scontri?
R. – Si tratta di scontri di
natura etnica. E’ una regione, quella del Darfour, storicamente in lotta per il
riconoscimento dei diritti culturali. La popolazione locale è rimasta sostanzialmente
ai margini degli accordi dello scorso anno con lo Spla, la principale
formazione armata del Sudan. Accordi, questi, che avevano certamente un
obiettivo di pacificazione ma anche di suddivisione delle rendite derivanti
dalle nuove scoperte di giacimenti petroliferi.
D. – L’Onu aveva ventilato
l’ipotesi di pulizia etnica tra le milizie arabe sostenute da Khartoum e la
popolazione del Darfour. E’ così?
R. – E’ singolare che si ricorra a
questo termine proprio quando si commemorano le vittime del genocidio in Rwanda
di 10 anni fa. All’epoca, le Nazioni Unite e la comunità internazionale erano
reticenti nell’usare espressioni di questo tipo. E’ bene che si inizi a definire
questi fenomeni come tali.
D. – In queste condizioni reggerà
il cessate-il-fuoco?
R. – Ce lo auguriamo. E’ la
condizione minima essenziale perché la popolazione civile di questa regione
martoriata, nell’ovest del Sudan, abbia una qualche speranza di vita.
L’auspicio di Amnesty International, quindi, è che l’intesa regga e che possa
consentire l’ingresso di aiuti umanitari e di missioni di ricerca delle Nazioni
Unite e della nostra organizzazione. E questo perché, oltre che la pace, c’è da
fare anche giustizia.
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Diciotto milioni di algerini si
recano oggi alle urne per eleggere l’ottavo capo di Stato da quando il Paese
maghrebino ha raggiunto l’indipendenza dalla Francia, nel 1962. Sei i candidati
in lizza, tra cui il presidente uscente Abdelaziz Bouteflika, eletto nel ’99.
Tensione per la tornata elettorale, sulla quale incombe lo spettro di brogli e
il rischio di disordini di piazza. Il servizio di Luciano Ardesi:
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La competizione si limita di fatto
a due soli candidati: il presidente Bouteflika e il suo ex primo ministro Ali
Benflis. Ma il confronto è ancora aperto. Il presidente uscente è, però,
nettamente favorito e la campagna elettorale molto vivace; bastano questi due
elementi per fare di queste elezioni le prime presidenziali pluraliste della
storia del Paese. Buteflika era stato infatti eletto cinque anni fa, dopo che
tutti i candidati si erano ritirati per protesta contro un voto definito
truccato e con l’esercito schierato a suo favore. In questa occasione invece, i
militari hanno manifestato pubblicamente la loro neutralità. La trasparenza del
voto sarà assicurata nei seggi dai rappresentanti dei candidati e dagli osservatori
internazionali. La vera incertezza riguarda, invece, la possibilità che il
presidente non raggiunga il 50 per cento dei voti al primo turno e questo lo
obbligherebbe ad un ballottaggio tra 15 giorni, certamente più ricco di
incognite.
Luciano Ardesi, per la Radio Vaticana.
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C’è grande attesa negli Stati
Uniti per l’audizione del consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza
Rice, davanti alla commissione d’inchiesta bipartisan che indaga sull’attacco
terroristico dell’11 settembre 2001. La commissione ha avanzato una richiesta
dell’ultimo minuto per ottenere il testo di un discorso che la Rice doveva
pronunciare il giorno delle stragi, ma per ora ha ottenuto un rifiuto.
Sul fronte del terrorismo
internazionale, invece, continua ad essere alto l’allarme in tutto il mondo.
Vanno avanti le indagini sugli attentati dell’11 marzo a Madrid, mentre in Italia
sono aumentati gli “obiettivi sensibili” controllati dalle forze dell’Ordine.
Per gli Stati Uniti, invece, arriva una nuova minaccia di Al Quaeda. Il nostro
servizio:
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L’allerta attentati riguarda soprattutto la Spagna, dove
proseguono le indagini sulle stragi dell’11 marzo. Ieri sono stati decisi 2
nuovi fermi. Sale così a 17 il numero delle persone detenute per presunte
responsabilità nelle stragi di Madrid. Intanto da fonti di polizia si è saputo
che il commando terrorista fattosi esplodere sabato scorso a Leganès, a sud
della capitale spagnola, voleva compiere una nuova strage durante la Settimana
Santa, attaccando un centro commerciale poco distante dall’abitazione distrutta.
Ma la minaccia terroristica cresce anche in Italia, e con essa anche il numero
degli obiettivi sensibili. Da poco più di 8.000, i luoghi “sottoposti a
speciale vigilanza” sono passati a
13.421, secondo quanto ha comunicato ieri alla Camera il ministro
dell'Interno, Giuseppe Pisanu. Inoltre, in vista di Pasqua, una circolare
inviata dal Viminale alle questure ha invitato a potenziare i controlli nelle
chiese e nei luoghi “ad elevata concentrazione di persone”.
Intanto è tornata a farsi viva anche Al Qaeda, con un
nuovo minaccioso proclama. In un video diffuso da un sito Internet arabo, un
uomo mascherato identificato come il presunto capo della cellula saudita
dell'organizzazione terroristica, Abdulaziz al-Muqrin, ha chiesto ai mujahidin
di “combattere gli americani dappertutto con tutta la loro forza e tutte le
loro capacità. Terrorizzate loro - ha aggiunto - come loro hanno terrorizzato i
vostri fratelli”.
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La lotta internazionale al
terrorismo sarà uno degli argomenti principali che affronteranno oggi a Mosca
il presidente russo Vladimir Putin ed il nuovo segretario generale della Nato,
Jaap de Hoop Scheffer. Il faccia a faccia giunge dopo l'ultima tornata dell'allargamento
a est dell'Alleanza, visto con perplessità dal Cremlino. Il segretario
dell’Alleanza Atlantica, giunto ieri sera nella capitale russa, ha riferito di
attendere con impazienza l’incontro con il capo del Cremino, sperando che la
sua visita serva a “consolidare le basi dei nostri rapporti”, poiché “la Russia
ha bisogno della Nato e l'Alleanza ha bisogno della Russia per far fronte alle
nuove minacce” della scena internazionale, “a cominciare dal terrorismo”
Una terrorista cecena di 24 anni è
stata condannata oggi a 20 anni di reclusione da un tribunale di Mosca per
essere stata trovata con una bomba nella borsa. La donna, riconosciuta
colpevole da una giuria popolare, ha definito ''ingiusta'' la corte, affermando
che avrebbe potuto premere il pulsante
per far esplodere l'ordigno e se stessa, ma non lo fece.
Trasferiamoci in Medio Oriente. I
movimenti islamici Hamas e Jihad Islamica, insieme con altre forze
dell’opposizione palestinese e Al Fatah, hanno preparato la bozza di un “Piano
Nazionale” che riconosce all’Autorità nazionale palestinese un ruolo centrale e
impegna tutte le parti a un cessate il fuoco.
Dura
risposta della Francia alle accuse lanciate ieri dal presidente ruandese Kagame,
che durante la cerimonia a ricordo
delle vittime del genocidio, 10 anni dopo l'inizio dei massacri, aveva puntato
il dito contro Parigi, accusata di avere delle “grandi responsabilità” nelle
violenze del ’94. Il ministro degli esteri transalpino Barnier ha detto di
voler “andare a fondo nella questione”.
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