RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 242 - Testo della trasmissione di domenica 29 agosto 2004

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Tuttora in alcune parti del mondo i credenti pagano la loro adesione a Cristo e alla Chiesa: lo sottolinea il Papa all’Angelus, richiamandosi al martirio di San Giovanni Battista ricordato oggi, e ribadisce che il sangue immolato per la verità e la giustizia è segno della santità della Chiesa.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

La Cecenia oggi al voto per la scelte del nuovo presidente: il commento dell’ex ambasciatore a Mosca, Sergio Romano

 

Si conclude oggi ad Atene la 28esima edizione dei Giochi Olimpici: un bilancio da mons. Carlo Mazza che ha seguito la squadra italiana

 

“Il cittadino che non c’è”: un libro-inchiesta che analizza l’informazione in tema di immigrazione, denunciando i limiti di una trattazione troppo spesso superficiale o spettacolarizzata: ce ne parla l’autrice Ribka Shibatu

 

In corso a Roma il capitolo generale delle missionarie comboniane: ai nostri microfoni suor Mariolina Cattaneo

 

Anche in questa domenica di rientro, prosegue l’apostolato di strada delle “Sentinelle del mattino”: con noi don Andrea Brugnoli

 

Una settimana teologica sui grandi temi del lavoro e delle professioni nell’era della globalizzazione: la illustrano il prof. Renato Balduzzi e il prof. Ignazio Marino. 

 

CHIESA E SOCIETA’:

Uno studio UNICEF condotto nello Swaziland, uno dei Paesi africani con la più alta percentuale di persone affette dall’Aids, ha rilevato una diminuzione del virus tra gli adolescenti

 

Sotto accusa il governo del ministro indù Modi per il massacro tra indù e musulmani in Gujarat nel 2002

 

Il chirurgo cinese, conosciuto come “il medico della Sars” non potrà recarsi nelle Filippine per ritirare un premio, perché si trova agli arresti domiciliari

 

E’ stata respinta dal Parlamento del Kashmir la proposta di legge che intendeva privare le donne locali della residenza se sposate con un uomo che ne avesse una diversa

Denuncia della moglie di Raoul Rivero, giornalista e poeta cubano, per il trattamento riservato al marito in carcere a Cuba

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq ancora scontri a Falluja, a Baghdad e a Mossul. A Parigi riunione presieduta dal premier Raffarin per coordinare l’azione del governo sulla vicenda dei giornalisti francesi rapiti

 

Almeno dieci persone sono rimaste uccise in Afghanistan per l’esplosione di una bomba in una scuola islamica nel sudest del Paese.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 agosto 2004

 

TUTTORA IN ALCUNE PARTI DEL MONDO I CREDENTI PAGANO

LA LORO ADESIONE A CRISTO E ALLA CHIESA:

LO SOTTOLINEA IL PAPA ALL’ANGELUS,

 RICHIAMANDOSI AL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA RICORDATO OGGI.

E RIBADISCE CHE IL SANGUE IMMOLATO PER LA VERITA’ E LA GIUSTIZIA

E’ SEGNO DELLA SANTITA’ DELLA CHIESA

                                      

In alcune parti del mondo, tuttora, i credenti pagano per la loro fede: lo sottolinea il Papa all’Angelus, richiamandosi al martirio di San Giovanni Battista ricordato oggi. Ribadisce che il sangue immolato è segno della santità della Chiesa, invitando tutti, anche quanti non sono chiamati all’estremo sacrificio a vivere il Vangelo senza sconti. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Il martirio rappresenta “il vertice della testimonianza alla verità morale”: lo sottolinea il Papa nel giorno dedicato al martirio di San Giovanni Battista per poi ricordare quanti, anche oggi, versano il sangue per testimoniare con coerenza il Vangelo:

 

“In alcune parti del mondo i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa”

 

Se relativamente pochi – spiega Giovani Paolo II – sono chiamati al sacrificio supremo, c’è però “una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici”.

 

E il Papa sottolinea anche quanto non sia facile anche nella vita quotidiana più comune.  “Ci vuole – ribadisce – davvero un impegno talvolta eroico per non cedere alle difficoltà e ai compromessi e per vivere il Vangelo sine glossa”. Usa un’espressione latina per raccomandare di non fare postille e dunque eccezioni.

Resta il valore tutto speciale del sangue versato:

 

“Il martirio è “un segno preclaro della santità della Chiesa”

 

E’ il Papa stesso a ricordare di averlo affermato nell’Enciclica Veritatis Splendor. Cita, invece il Vangelo di Luca per richiamare alla mente l’espressione che Gesù usa per Giovanni Battista: “il più grande fra i nati di donna”. Fu decapitato – spiega i Santo Padre – per ordine di Erode, al quale aveva osato dire che non gli era lecito tenere la moglie di suo fratello.

 

Dopo la preghiera mariana, il saluto del Papa in varie lingue. In italiano, un pensiero particolare ai missionari e le missionarie partecipanti al corso di formazione promosso dall’Università Pontificia Salesiana; i superiori e i seminaristi del Pontificio Collegio Americano; il gruppo dei Legionari di Cristo. E poi i fedeli di Angarano in Bassano del Grappa; di San Giorgio delle Pertiche; il gruppo “Amici della Fraterna Domus” di Roma e di varie province del Veneto; i partecipanti alla manifestazione “Bici di pace” provenienti da Castegnato.

 

Un saluto speciale il Santo Padre lo rivolge all’arcivescovo di Genova, il cardinale Tarcisio Bertone, e ai fedeli raccolti attorno a lui nel Santuario della Madonna della Guardia, la cui effigie – ricorda il Papa - fu posta nei Giardini Vaticani da Benedetto XV. E a Maria Giovanni Paolo II torna a chiedere pace per l’intera umanità.

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 agosto 2004

 

 

LA CECENIA OGGI AL VOTO PER LA SCELTA DEL PRESIDENTE:

FAVORITO IL CANDIDATO FILORUSSO

- Intervista con Sergio Romano -

 

Un uomo ha fatto esplodere una bomba che stava cercando di introdurre in un seggio elettorale di Grozny, in Cecenia, rimanendo ucciso. E’ un episodio che conferma il clima di forte tensione che ha accompagnato questa mattina l’apertura dei seggi. In ogni caso 600 mila elettori hanno cominciato a votare per trovare il successore del presidente filorusso, Akhmad Kadyrov, ucciso in un attentato avvenuto nel maggio scorso a Grozny. E sulle presidenziali cecene si è allungata già alla vigilia l'ombra del terrorismo kamikaze che sarebbe all'origine del doppio schianto di martedì di due Tupolev. Tra i rottami dei due aerei caduti in Russia sono state trovate, infatti, tracce di esplosivo e i sospetti si sono indirizzati su due giovani passeggere cecene. Nelle due stragi sono morte 90 persone. Tra i sette candidati il favorito è quello sostenuto dal Cremlino, Alu Alkhanov, attualmente ministro dell'Interno. Ma chi potrà avere la meglio nella corsa ad una presidenza assai difficile da gestire? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Sergio Romano, ex ambasciatore italiano a Mosca:

 

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R. – Credo che il successore del presidente Kadyrov sarà ancora una volta un uomo gradito al Cremlino. Questo è il disegno dei russi: creare una Repubblica autonoma, sì, ma strettamente collegata alla Russia, rispettosa dei suoi interessi nella regione ... Il problema grosso, naturalmente, è che Putin si sta scontrando con forti resistenze da parte di gruppi della popolazione che non esitano a ricorrere alla lotta armata o addirittura ad abbracciare la causa del terrorismo clamoroso.

 

D. – La Cecenia rimane uno dei punti fondamentali della politica di Putin che, comunque, guarda al mondo occidentale e all’Europa in primis. Proprio per questo, non sarebbe opportuno cambiare atteggiamento nei confronti della situazione nella Repubblica caucasica?

 

R. – Certo che sarebbe opportuno! Putin ha commesso alcuni errori, in Cecenia. Non c’è dubbio che il nazionalismo ceceno si è colorato di un forte radicalismo religioso. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che dopo la prima guerra cecena, nel 1996, fu deciso sostanzialmente di dare l’indipendenza a quella Repubblica. Purtroppo, i ceceni hanno fatto un pessimo uso di quella indipendenza. Se la Russia è intervenuta nel 1999, lo si deve anche allo stato di grande disordine in cui il Paese era precipitato negli anni in cui avrebbe dovuto, invece, dimostrare la sua capacità di gestire bene la propria sovranità.

 

D. – La Cecenia è uno dei punti caldi dell’intera area caucasica, che comunque vive una situazione di tensione. C’è il rischio che i vari gruppi indipendentisti possano trovare un accordo e quindi rendere ancora più difficile il rapporto con Mosca?

 

R. – Per la verità, questo è già accaduto nella seconda metà degli anni Novanta, quando una parte importante della dirigenza cecena, quella che fa capo a Shamil Basayev, aveva deciso, per così dire, di allargare l’orizzonte politico, cercando di coinvolgere le regioni islamiche a nord del Caucaso. Quindi, il rischio esiste. Non dimentichiamo che a sud del Caucaso c’è un problema insoluto, che è quello dei rapporti tra osseti e georgiani, da un lato, e osseti e daghestani, dall’altro.

 

D. – C’è la sensazione che la comunità internazionale abbia ormai rinunciato a dare consigli a Mosca su come gestire l’affare-Cecenia ...

 

R. – La Russia è stata certamente criticata da larghi settori della società europea e americana per la durezza della sua politica cecena. Dopo l’11 settembre, poi, naturalmente, Putin poté sostenere: ‘Ecco, vedete, ho un nemico che non è purtroppo diverso dal vostro, quindi avete l’obbligo e il dovere, di garantirmi il consenso’. Non credo che l’Europa o l’America possano fare molto. E’ una questione interna e la Russia, alla fine, la risolverà secondo i suoi criteri, secondo i suoi principi, secondo quelle che ritiene essere le proprie esigenze. L’America lo sa e non credo che farà grandi pressioni sulla Russia perché cambi politica!

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SI CONCLUDE OGGI AD ATENE LA XXVIII EDIZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI

- Intervista con mons Carlo Mazza -

 

Questa sera, alle 21.15 di Atene, inizierà la cerimonia di chiusura della 28.ma Olimpiade. Il programma prevede la sfilata a ranghi misti delle varie delegazioni e la consegna della bandiera olimpica al sindaco di Pechino, città sede della prossima edizione del 2008. Successivamente, il presidente del Cio, Jacques Rogge, dichiarerà chiusi i Giochi di Atene. Per un bilancio di questa Olimpiade, Giancarlo La Vella ha raggiunto ad Atene mons. Carlo Mazza, responsabile dell’Ufficio Cei Sport e tempo libero, assistente spirituale della squadra italiana:

 

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R. – Questa Olimpiade era un po’ da tutti attesa e forse anche temuta per tanti aspetti. Comunque il risultato è senz’altro positivo. Io ho visto un’organizzazione quasi perfetta, un popolo completamente dedicato a questa causa. Ha significato grande efficienza, buona volontà, grande amicizia. Anche i momenti un po’ rischiosi, un po’ più ‘bellicosi’, sono stati evidentemente subito sedati e rimessi in fila. Per cui, alla fine devo dire che è stata una grande Olimpiade. Per altri profili, di ordine spirituale e morale che mi appartengono di più, grazie a Dio in questa Olimpiade ho lavorato moltissimo, il che vuol dire che, in qualche modo, Dio si è servito anche di un prete per poter fare un’opera di Evangelizzazione, di catechesi, dono dei Sacramenti. Penso sia stata una presenza molto bella, molto amicale. Ho notato, ed ho avuto modo di sperimentarlo con gioia, che il bisogno, l’esigenza, la domanda di Dio è profonda e richiesta anche se non manifestata apertamente.

 

D. – Alla luce di tutto questo, come è stata vissuta la vittoria e, per i tanti, la sconfitta?

 

R. – Ho notato la difficoltà ad elaborare la sconfitta pensandola non come fallimento, ma come momento di ripresa che diventa forza, potenza in futuro. La sconfitta è sempre una grande lezione di vita come anche, peraltro, la vittoria se vissuta bene, non in termini esaltanti o magici, ma in termini corretti e belli.

 

D. – Mons. Mazza, proprio dal suo punto di vista ha avuto modo di osservare questi ragazzi di Atene 2004 nel profondo. Qualche storia emblematica che lei porterà con sé da questa esperienza?

 

R. – Beh, non mi piace fare nomi, perché dovrei citarli tutti, ma un pugile, per esempio, un giorno prima di avere il combattimento è venuto e mi ha detto: “Io voglio essere puro nel mio combattimento davanti a Dio e davanti al mio avversario”. Ha voluto confessarsi, ha voluto così colloquiare un po’ profondamente con me. Questo ragazzo, lungo il cammino, nel villaggio ha rimesso a posto la sua coscienza, per così dire …

 

D. – Ci diamo, quindi, appuntamento a Pechino 2008. Se ne è parlato in qualche modo, già, ad Atene?

 

R. – Ma, per quanto mi riguarda, credo di aver finito, nel senso che io, ormai, concludo il mio servizio che facevo, con questa Olimpiade ...

 

D. – Ricordiamo quante sono state?

 

R. – Sono state cinque. Sono stato estremamente privilegiato da parte di Dio, devo dirlo, per avere avuto la possibilità di fare questa esperienza così lunga, così complessa. Ho avuto modo di sperimentare il mio essere prete con grande gioia, anche con grande difficoltà. Ho avuto modo di incontrare tante coscienze, degli adulti e soprattutto degli atleti, alcuni disponibili, altri un po’ di meno, con luci ed ombre, insomma, come sempre in tutte le cose umane. Devo ringraziare anche il CONI, perché il CONI ha sempre voluto che ci fosse un prete presente nelle Olimpiadi. Ha sostenuto la mia presenza, mi ha sempre coadiuvato affinché tutto andasse per il meglio.

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“IL CITTADINO CHE NON C’È”: UN LIBRO-INCHIESTA ANALIZZA L’INFORMAZIONE

 IN TEMA DI IMMIGRAZIONE, DENUNCIANDO I LIMITI DI UNA TRATTAZIONE

TROPPO SPESSO SUPERFICIALE, SPETTACOLARIZZATA O STRUMENTALIZZATA

- Intervista con l’autrice Ribka Shibatu -

 

Presente nelle cronache giornalistiche, nella maggior parte dei casi con gli accenti della drammaticità: parliamo del fenomeno dell’immigrazione, sempre in primo piano in questo periodo estivo per gli sbarchi clandestini, spesso dai risvolti tragici. Nell’informazione di oggi, c’è che questa mattina duecentoquarantuno extracomunitari sono approdati nel porto di Lampedusa. Sono tutti uomini e maggiorenni, che hanno dichiarato di provenire da Palestina e Bangladesh e che sembrano in buone condizioni di salute. Proprio agli articoli ed ai reportage delle principali testate giornalistiche radiotelevisive italiane è dedicato “Il cittadino che non c’è”, libro recentemente pubblicato dalla Edup, la Case editrice dell’Università popolare. Un libro-inchiesta che attraverso un’ampia documentazione denuncia l’omologazione, la strumentalizzazione politica ed i pregiudizi con cui spesso sono trattati i temi dell’immigrazione nei media italiani. Stefano Leszczynski ha intervistato l’autrice, Ribka Shibatu:

 

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R. – Il primo problema dei media, che io personalmente ho notato, è che non fanno parlare i diretti interessati. C’è sempre un delegato, c’è sempre qualcuno che li interpreta. Questo è sbagliato.

 

D. – Questo è, forse, uno dei motivi della scelta del titolo “Il cittadino che non c’è”?

 

R. – Sì, perché si parla di lui e lo si fa spesso in termini negativi ed evidenziando i problemi che lo riguardano. Anche chi opera con passione, impegnandosi veramente anima e corpo, a favore dell’immigrato, aggiunge sempre la parola “problema”. Questo è sbagliato. L’immigrazione di per sé non è un problema, ma è una ricchezza. Può diventare un problema se l’integrazione non avanza.

 

D. – Qual è la differenza che ha rivelato nel modo di trattare la questione immigrazione tra la carta stampa e il mezzo radiotelevisivo?

 

R. – La carta stampa spesso, nelle pagine culturali, approfondisce anche certi aspetti migliori della realtà dell’immigrazione. Conosciamo bene, però, l’impatto forte che hanno radio e televisione. A maggior ragione la televisione e la radio dovrebbero fare più attenzione proprio perché riescono ad avere un maggior effetto sul pubblico, rispetto alla carta stampata. La televisione non è soltanto superficiale, ma anche pericolosa in questo senso.

 

D. – Questo soprattutto quando si trattano casi di cronaca?

 

R. – La cronaca nera è sicuramente più presente dello stesso fenomeno migratorio visto nel suo insieme. Si capisce cosa vuole dire, che immagine passa a chi non conosce la realtà migratoria. Per fortuna il popolo italiano, fra quelli che ho conosciuto, è un popolo che ha una mente aperta e l’immigrazione e l’intercultura potrebbero qui in Italia trovare un’oasi, se solo si trovasse una risposta anche in ambito politico.

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IL CAPITOLO GENERALE DELLE MISSIONARIE COMBONIANE, IN CORSO A ROMA, RIUNISCE SUORE DELLE DIVERSE AREE DEL MONDO:

AI NOSTRI MICROFONI UNA TESTIMONIANZA DALL’ETIOPIA

- Intervista con suor Mariolina Cattaneo -

 

Le missionarie comboniane stanno tenendo a Roma il loro Capitolo generale. Si trovano riunite, dunque, anche quante sono impegnate nelle diverse aree del mondo. Nell’intervista di Giovanni Peduto, suor Mariolina Cattaneo, che lavora in Etiopia, racconta la difficile situazione del Paese e l’impegno delle comboniane:

 

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R. – L’Etiopia sta vivendo una realtà di relativa calma già da diversi anni, perché è dal ’91 che c’è il nuovo governo. C’è stato però un periodo di guerra al confine con l’Eritrea dal ’98 al 2000. Il Paese si sta preoccupando dello sviluppo, perché ancora tre quarti della popolazione vivono a livelli di povertà enormi. Noi ci inseriamo soprattutto nel discorso sociale, nei progetti di sviluppo, oltre a tentare di lavorare con la comunità locale, con la Chiesa locale, per portare l’annuncio di un Vangelo di riconciliazione a quelle popolazioni che non sono state ancora raggiunte dal Vangelo.

 

D. – Più in generale cosa può fare la Chiesa per contribuire a risolvere i problemi del Paese?

 

R. – La Chiesa etiopica è già molto considerata, anche a livello nazionale, per i progetti di sviluppo che porta avanti. Probabilmente quello che ancora potremmo fare è impegnarci di più nel campo della riconciliazione e del dialogo interreligioso con l’islam, con le religioni tradizionali e nel dialogo ecumenico con la nostra Chiesa sorella.

 

D. – Si dice sempre che l’Africa è il continente dimenticato. Lei è d’accordo con questa affermazione? Cosa si può fare per rimediare? Cosa possono fare, in particolare, i media?

 

R. – Io credo che dipenda molto da quale punto di vista lo guardiamo. Se guardiamo dal punto di vista del mercato internazionale, l’Africa non ha nessuna incidenza nel consumo. Sicuramente è il centro di alcuni traffici, quale il traffico delle armi, dei diamanti e di altre materie prime. Quindi, non direi che sia completamente dimenticato. Vogliono più che altro farcelo dimenticare. Aggiungerei però che, dal punto di vista di Dio, sicuramente l’Africa sta vivendo un momento di grande gioia, perché la presenza di Dio in Africa è sentita da tutti. Aggiungerei, quindi, che è sempre una questione molto relativa.

 

D. – Parliamo del lavoro missionario. Va bene come è svolto adesso o pensa che debba cambiare?

 

R. – L’attività missionaria è sempre in ricerca, perché non possiamo dire di aver raggiunto il nostro massimo e nemmeno di aver raggiunto in maniera profonda la gente e le popolazioni. Credo che siamo alla ricerca di trovare metodi nuovi. In questo momento la cosa principale è quella di accorgersi che Dio è presente, Dio sta facendo la sua storia con l’Africa e noi siamo gli ascoltatori. Siamo coloro che contemplano la presenza di Dio in Africa.

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ANCHE IN QUESTA DOMENICA DI RIENTRO,

PROSEGUE L’APOSTOLATO DI STRADA DELLE “SENTINELLE DEL MATTINO”.

I LUOGHI SCELTI: SPIAGGE, PUB, DISCOTECHE E ANCHE ALCUNI AUTOGRILL

                                   - Intervista con don Andrea Brugnoli -

 

         Siamo in giorni che chiudono il periodo delle vacanze e sulle strade si segnalano code e purtroppo incidenti. Anche in questa domenica di rientro, proseguono le iniziative dell’Apostolato di strada. Una presenza nelle località italiane di svago di volontari che hanno cercato nuovi linguaggi e nuovi modi di incontrare giovani e meno giovani per dare loro testimonianza del Vangelo. I luoghi scelti: spiagge, pub o discoteche e oggi anche alcuni autogrill. Il progetto si chiama “Sentinelle del mattino”. Nell’intervista di Francesco Vitale, ascoltiamo il coordinatore, don Andrea Brugnoli:

 

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R. – Siamo chiamate “Sentinelle del mattino” perché così ci ha chiamato il Papa a Tor Vergata, quando ci ha invitato a diventare apostoli tra i giovani. Quattro anni fa siamo andati nel centro di Verona ed abbiamo provato, due a due, ad avvicinare i giovani laddove sono, cioè nei pub, davanti alle discoteche. Abbiamo fatto loro una proposta: “Venite. Se volete c’è una chiesa aperta di notte, vi portiamo davanti al Signore e voi potere rivolgere a Lui una preghiera”. Questa proposta così strana, fatta nel cuore della notte, ha incuriosito molti giovani. Noi crediamo che un giovane possa diventare santo anche lì dove si sta divertendo. Non abbiamo paura di entrare, come ci ha invitato a fare Gesù, anche in luoghi non soliti come possono essere alcune discoteche ed alcuni pub. Spesso si tratta di giovani “feriti” e di notte però, come Nicodemo, sono pronti ad aprire il cuore ad un confronto. Quello che vediamo in loro è una grande solitudine. Questo rappresenta sicuramente il male di questo secolo.

 

D. – L’evangelizzazione si sposta in autostrada o per meglio dire in autogrill?

 

R. – Cerchiamo di raggiungere i viaggiatori dove sono. In questa domenica siamo presenti alla Cantagallo, vicino Bologna, sulla A1 per Firenze, dove c’è una piccola cappella. Ci siamo poi a Firenze, alla Chiesa dell’Autostrada, che si trova appena fuori; a Montepulciano e a Fiano Romano.

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UNA SETTIMANA TEOLOGICA SUI GRANDI TEMI DEL LAVORO E DELLE PROFESSIONI

NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE: E’ L’INIZIATIVA DEL MEIC CHE,

NEI PRESSI DI TRENTO, HA RIUNITO TEOLOGI E PROFESSIONISTI DI DIVERSI SETTORI

- Interviste con il prof. Renato Balduzzi e con il prof. Ignazio Marino -   

 

Una settimana teologica interamente dedicata alla riflessione sui grandi temi del lavoro e delle professioni nell’era della globalizzazione. E’ questa l’iniziativa promossa nei giorni scorsi nei pressi di Trento dal MEIC, il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, che ha coinvolto teologi e professionisti di diversi settori. Il servizio di Rosa Praticò:

 

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Una tavola rotonda a più voci per parlare di teologia delle professioni, per pensare il delicato rapporto tra esperienza lavorativa ed etica. Sullo sfondo, sempre presente, l’idea della professione come chiamata e risposta. In una parola, come vocazione. Il tutto nella consapevolezza del filo che lega indissolubilmente fede, cultura e mondo che cambia. Ma ascoltiamo lo stesso presidente del MEIC, il prof. Renato Balduzzi:

 

“Professione nel villaggio globale significa competenza specifica ma capacità di superare la stessa competenza specifica nel rapporto con le altre. Quello che oggi emerge, forse meglio rispetto a ieri, è che la realizzazione di sé passa necessariamente attraverso l’altro. C’è, quindi, una responsabilità verso l’altro e gli altri. La professione è, al tempo stesso, l’esercizio massimo della libertà e il luogo della responsabilità. Una responsabilità sempre maggiore perché nel villaggio globale sono maggiori le interconnessioni e perché le professioni tendono a perdere gli aspetti di routine e di ripetizione mettendo sempre più in evidenza il fattore umano”.

 

Dello stesso tono la testimonianza di chi ogni giorno vive la professione come impegno civile e contributo al vivere sociale. Al nostro microfono il prof. Ignazio Marino, chirurgo e direttore della divisione trapianti del Jefferson University Hospital di Philadelphia:

 

“La professione – almeno per come la vedo io – va inquadrata nella logica di vita, nel rapportarsi al mondo professionale ed alle generazioni future per le quali dobbiamo essere un esempio e costituire una strada da seguire. Direi, inoltre, che questa è sicuramente un’alternativa a quella visione per la quale la professione deve essere semplicemente produttività, efficienza e risultati soprattutto e purtroppo monetari. La professione deve essere una realizzazione di se stessi all’interno della società e al servizio della società. Il che significa realizzare progetti che servano agli altri e che non siano semplicemente finalizzati all’arricchimento individuale, come purtroppo spesso accade nella società occidentale”.

 

Dialogo e apertura all’esterno, quindi, sono le parole chiave di un raccordo sempre più necessario tra le professioni e delle professioni con la realtà circostante. Aiutare gli addetti ai lavori a maturare questa idea è uno degli obiettivi principali del MEIC.

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CHIESA E SOCIETA’

29 agosto 2004

 

 

UNO STUDIO UNICEF CONDOTTO NELLO SWAZILAND, UNO DEI PAESI AFRICANI

CON LA PIU’ ALTA PERCENTUALE DI PERSONE AFFETTE DALL’AIDS,

 HA RILEVATO UNA DIMINUZIONE DEL VIRUS TRA LE ADOLESCENTI

- A cura Francesca Smacchia -

 

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MBABANE. = Un numero di giovani malate decisamente inferiore alle aspettative, è il risultato riscontrato dalle ultime indagini condotte dall’UNICEF nello Swaziland, uno dei Paesi africani con la più alta percentuale di persone affette dal virus dell’HIV. Lo rivela un rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. Da un controllo a campione effettuato in due aree rurali, su 1000 ragazze d’età compresa tra i 15 e i 19 anni, il 6% è affetto dall’Aids, un risultato significativo se si pensa che all’inizio del 2004 il regno dello Swaziland ha ottenuto il primato di Stato con il più alto tasso d’infezioni da HIV al mondo (38,6%) su circa un milione di abitanti. “I dati ottenuti dall’UNICEF sono differenti da qualsiasi altro rilevato in precedenza”: ha precisato il dottor Alan Brody, rappresentante dell’UNICEF per lo Swaziland. Nel 2002 le stime precedenti relative al tasso d’incidenza del virus sulla popolazione femminile in età giovanile indicavano che ben il 32,5% delle giovani tra i 15 e i 19 anni erano positive all’HIV. “La questione è che tutti i dati sulla siero-sorveglianza provengono da controlli effettuati su donne ventenni incinte e, in questo caso, il 40% del campione è affetto dal virus. Questi nuovi dati invece – ha concluso il dott. Brody – suggeriscono un cambiamento di comportamento da parte delle adolescenti dello Swaziland”. (F.S.)

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SOTTO ACCUSA IL GOVERNO DEL MINISTRO INDU’ MODI

PER IL MASSACRO TRA INDU’ E MUSULMANI NEL 2002 IN GUJARAT,

 STATO DELLA COSTA OCCIDENTALE DELL’INDIA

 

AHMEDABAD. = Una commissione d’inchiesta sugli scontri del 2002 tra indù e musulmani nel Gujarat, Stato occidentale indiano, ha chiamato in causa responsabilità di autorità politiche e forze dell’ordine sospettate di aver incoraggiato le violenze. Una serie di interrogazioni ha fatto emergere che i nazionalisti indù del ministro Narendra Modi, al potere in quello Stato nel 2002, hanno chiuso gli occhi di fronte alla strage che provocò nel febbraio di due anni fa la morte di 59 indù a Godhra e nel mese successivo il massacro di almeno 2 mila musulmani in diverse città del Gujarat. Nelle ultime settimane, alcuni testimoni interrogati dalla commissione hanno detto ai giudici di non ricordare i particolari degli scontri. “Il comando generale aveva dato ordine a tutti di non usare radio per riferire informazioni sulle rivolte. Le direttive erano di non mandare messaggi alla centrale in città tramite apparecchi senza fili perché si temevano intercettazioni”, ha dichiarato K K Mysorewala, ispettore di polizia, che dopo giorni di risposte vaghe ha infine spiegato perché la polizia non reagì immediatamente agli scontri e non prese provvedimenti se non molte ore dopo. Inoltre, un politico ha rivelato ai giudici che il giorno del massacro di Godhra, il ministro Modi decise di far portare i corpi delle vittime indù nella città di Ahmedabad, già teatro di violenze interreligiose. La commissione ora vuole interrogare Modi per sapere il motivo del trasferimento dei corpi in una zona così calda e il motivo per cui non ordinò subito l’intervento dell’esercito. (F.S.)

 

 

IL CHIRURGO CINESE CONOSCIUTO COME “IL MEDICO DELLA SARS”

NON POTRA’ RECARSI NELLE FILIPPINE PER RITIRARE UN PREMIO,

L’EQUIVALENTE ASIATICO DEL NOBEL, PERCHE’ AGLI ARRESTI DOMICILIARI

 

MANILA. = “Non posso andare a Manila. Lavoro ancora per l’esercito anche se sono in pensione. Devo rispettare regole che non mi permettono di recarmi all’estero”: con queste parole Jiang Yanyong, il chirurgo cinese conosciuto come “il medico della Sars”, ha spiegato che non potrà recarsi nelle Filippine per ritirare il Premio della Ramon Magsaysay Foundation, l’equivalente asiatico del Nobel. Un funzionario della Fondazione ha poi confermato che il dottore si trova agli arresti domiciliari. Sarà quindi il fratello a ritirare il Premio il prossimo 1 settembre a Manila. Fu Jiang che nell’aprile del 2003 informò i media cinesi sul pericolo della Sars in Cina, svelando i nomi dei funzionari governativi coinvolti nella vicenda della diffusione del virus. La sua denuncia permise l’attuazione delle misure sanitarie contro la malattia. Il governo cinese aveva impedito a tutti i funzionari pubblici di parlare del virus e della sua diffusione nel Paese. Inoltre il medico è stato arrestato nel giugno scorso in coincidenza con il 15° anniversario delle proteste di Tiananmen perché in una lettera al partito comunista chiedeva la revisione del giudizio sugli eventi del 1989 definendo le proteste studentesche “un movimento patriottico”. Il Premio è per “il suo coraggio di manifestare la verità in Cina”, come spiega la motivazione della Magsaysay Foundation. ( F.S.)

 

 

E’ STATA RESPINTA DAL PARLAMENTO DEL KASHMIR

 LA PROPOSTA DI LEGGE CHE INTENDEVA PRIVARE LE DONNE LOCALI

 DELLA RESIDENZA SE SPOSATE CON UN UOMO CHE NE AVESSE UNA DIVERSA

 

JAMMU. =Sottoposto a votazione è stato bocciato il testo di legge che intendeva privare le donne del Kashmir, Stato indiano settentrionale travagliato da una decennale guerriglia separatista, della residenza se avessero sposato un uomo che ne avesse una diversa. Se fosse stato approvato, sarebbe stato un duro colpo per la popolazione femminile perché perché la legislazione kashmira prevede che solo i cittadini di questo Stato abbiano il diritto di voto, possano accedere a posti nell’amministrazione pubblica e acquistare proprietà. Gli osservatori spiegano che la questione della residenza permanente è di fondamentale importanza per la popolazione del Kashmir, sempre preoccupata di conservare la propria identità e timorosa che i non appartenenti allo Stato possano acquistare terreni privando di risorse i locali. La proposta invece è stata respinta grazie all’opposizione del Partito del Congresso, al potere a New Delhi dal maggio scorso. (F.S.)

 

LA MOGLIE DI RAUL RIVERO, GIORNALISTA E POETA CUBANO,

 DENUNCIA UN “CAMBIAMENTO”

NEL TRATTAMENTO RISERVATO AL MARITO IN CARCERE A CUBA

 

L’HAVANA. = Blanca Reyes, moglie di Raul Rivero, giornalista e poeta cubano, raggiunta al telefono da Reporters sans frontières, l’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa e dei giornalisti prigionieri, ha denunciato un “cambiamento preoccupante” nel trattamento riservato a suo marito dalle autorità carcerarie cubane. Rivero è stato arrestato il 20 marzo scorso e condannato a 20 anni di carcere per i suoi scritti. Da quel giorno, si trova rinchiuso nella prigione di Canaleta, vicino a Ciego de Avila, 430 chilometri da L’Havana. “Stanno tentando di umiliarlo per distruggerlo. Attraverso delle vessazioni le autorità vogliono annientare chi, unico torto, la pensa in maniera diversa”: è quanto ha spiegato la moglie a Reporters sans frontières che reclama la liberazione immediata degli intellettuali. Con 26 giornalisti incarcerati, Cuba è la seconda prigione al mondo dopo la Cina (27) per pene inflitte ai reporter. Tra questi, 25 sono stati arrestati durante la “primavera nera” cubana in cui sono stati incarcerati circa un’ottantina di dissidenti con pene che vanno dai 14 ai 27 anni di carcere. (F.S.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 agosto 2004

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq sedici persone sono rimaste uccise, questa notte, nel corso di un raid aereo statunitense su Falluja e durante furiosi scontri scoppiati a Baghdad tra forze americane e miliziani dell’esercito del Mahdi. Una dura battaglia tra ribelli e truppe statunitensi è avvenuta anche nel nord del Paese, nei pressi di Mossul, dove sono morti due guerriglieri. A Bassora è stato sabotato un altro oleodotto. Cresce, intanto, l’angoscia per la sorte dei giornalisti francesi presi in ostaggio. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Le autorità di Parigi hanno chiesto la liberazione dei due giornalisti francesi di ‘Radio France’ e del quotidiano ‘Le Figaro’ rapiti dalla guerriglia. Il premier francese, Jean Pierre Raffarin, ha convocato stamani una riunione con i ministri di Esteri, Interni e Comunicazione per “coordinare l’azione del governo” sulla vicenda, dopo il video trasmesso ieri dall’emittente araba Al Jazeera. Nel filmato, il sedicente gruppo Esercito islamico dell’Iraq ha annunciato di aver preso in ostaggio i due reporter, scomparsi lo scorso 20 agosto mentre erano in viaggio tra Baghdad e Najaf. I rapitori, gli stessi responsabili del sequestro e dell’uccisione del giornalista italiano Enzo Baldoni, hanno lanciato un ultimatum di 48 ore pretendendo l’abolizione della legge francese che proibisce di mostrare simboli religiosi, tra i quali il velo islamico, nelle scuole pubbliche. Ma in Francia tutte le forze politiche e le organizzazioni musulmane più rappresentative hanno ribadito il loro ‘no’ al ricatto dei rapitori. Nel drammatico capitolo relativo ai sequestri si deve anche registrare che un sito internet islamico ha diffuso un video nel quale dodici ostaggi nepalesi dichiarano di essere stati ingannati dalle “menzogne degli americani”. Sul versante politico, il ministro degli Esteri olandese Ben Bot, presidente di turno dell’Unione Europea, è giunto stamani a Baghdad alla testa di “una missione esplorativa”. Sono previsti incontri con diverse autorità irachene, tra le quali il premier, Iyad Allawi, ed il ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari. Il primo ministro iracheno ha annunciato, intanto, che è stata avviata un’inchiesta sulla morte delle 25 persone, i cui cadaveri sono stati trovati venerdì scorso a Najaf nell’edificio dove il leader sciita, Moqtada al Sadr, aveva istituito il proprio “tribunale”.

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E molti lati oscuri continuano ad avvolgere anche la morte di Enzo Baldoni. Sulla drammatica vicenda c’è stato ieri un chiarimento tra Maurizio Scelli, commissario straordinario della Croce rossa italiana ed Enrico Deaglio, direttore della rivista Diario per la quale collaborava il reporter italiano, ma sulla barbara uccisione di Enzo Baldoni permangono ancora molti dubbi. Ascoltiamo il presidente dell’Unione cattolica della stampa italiana, Massimo Milone, intervistato da Massimiliano Menichetti:

 

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R. – Al di là delle notizie ufficiali noi non sappiamo esattamente cosa sia realmente accaduto. Ovviamente, come giornalisti, dobbiamo chiedere alle fonti ufficiali un criterio di verità assoluta rispetto a questa morte e al rischio che tutti i colleghi stanno correndo.

 

D. – Proprio per un discorso di tutela nei confronti dei liberi professionisti state pensando a degli aiuti, ad un fondo?

 

R. – E’ necessario un fondo internazionale di solidarietà per tutti i giornalisti, in particolare quelli non garantiti, come appunto Baldoni. Si recano in un contesto difficile senza un contratto, una strumentazione ed una copertura editoriale alle spalle.

 

D. – Per Baldoni si è puntato sul fatto che fosse un giornalista indipendente. Ma c’è davvero un criterio che può salvare dal terrorismo?

 

R. – Il dramma del terrorismo coinvolge tutti, giornalisti e professionisti che sono nel Paese a vario titolo. Coinvolge anche i lavoratori, i cittadini occidentali e non occidentali. La guerra è un fatto tremendamente serio.

 

D. – In Italia si riaccende la polemica sul ritiro o meno delle truppe dall’Iraq...

 

R. – Facciamo parte di un contesto internazionale di alleanze. La nostra presenza in Iraq è garantita da un esercito di pace e di solidarietà. Ovviamente non possiamo non rimanere. Il problema serio sta nel dialogo, nel portare anche logiche di sviluppo per poter permettere a popoli che stanno soffrendo di crescere nella pace.

 

D. – Ora si cercherà di accertare come sia morto Baldoni attraverso le informazioni in possesso della Croce Rossa o del governo. Ma che giorno è oggi?

 

R. – Certamente il giorno della preghiera. Unendoci al dolore dei figli e della moglie di Baldoni ci inchiniamo di fronte ad un giornalismo che parla di libertà, di solidarietà internazionale, di pluralismo e di lotta alla tirannide.

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In Afghanistan, una bomba esplosa in una scuola islamica nella provincia di Paktia, ha provocato la morte di 10 persone, tra le quali quattro bambini. Le cause della deflagrazione restano al momento sconosciute. Ribelli taleban stanno sferrando, in queste ore, duri attacchi contro l’esercito regolare afghano e le truppe americane nella provincia di Paktia ed in quelle confinanti con il Pakistan. Dall’inizio dell’anno, negli scontri avvenuti nelle regioni del sudest dell’Afghanistan sono rimaste uccise più di 540 persone.

 

In Medio Oriente, le brigate dei Martiri di al-Aqsa hanno ucciso un palestinese, Hasan Sobahi, accusato di collaborare con i servizi segreti israeliani. Fonti palestinesi precisano che l’uomo è stato prelevato dal villaggio di Beit Sira, ad ovest di Ramallah, e portato nel campo profughi di Al Amari, dove è stato ucciso in strada con colpi di arma da fuoco, davanti ai passanti.

 

In Libano, un ufficiale del movimento palestinese ‘Al Fatah’ è morto e sette persone sono rimaste ferite in seguito a colpi di arma da fuoco sparati da uomini non identificati nel campo profughi di Ain Helue. L’episodio di violenza si è verificato durante una manifestazione organizzata da Yasser Arafat in favore dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane che da giorni stanno attuando uno sciopero della  fame.

 

Cinque persone sono state uccise in due attentati compiuti dalla guerriglia maoista in Nepal, dove i ribelli stanno attuando da oltre una settimana un blocco intorno alla capitale, Katmandu, isolata dal resto del Paese. Gli attacchi compiuti dai guerriglieri maoisti hanno provocato, dal 1996 ad oggi, la morte di diecimila persone.

 

 

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