RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 241 - Testo della trasmissione di sabato 28 agosto 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Dopo 100 anni, torna in Russia l’Icona della Madonna di Kazan. Stamani a Mosca, solenne cerimonia nella cattedrale della Dormizione, presieduta dal Patriarca ortodosso Alessio II, che ha ricevuto la sacra effigie dal cardinale Kasper, a nome del Papa: sull’evento, dichiarazione di Navarro-Valls.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

E’ ancora crisi umanitaria nella regione sudanese del Darfur. Con noi, Lucio Melandri, di Intersos

 

Ultime gare alle Olimpiadi di Atene. Ai nostri microfoni, Giovanna Trillini, medaglia d’argento nel fioretto

 

“La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini”: è il tema del Meeting di Rimini 2005, presentato a conclusione della 25.ma edizione

 

Festa e preghiera all’Aquila per la “Perdonanza celestiniana”. Intervista con mons. Giuseppe Molinari

 

La Settimana Lanteriana 2004: convegno sulla figura di padre Pio Bruno Lanteri, fondatore degli oblati di Maria Vergine. Ce ne parla padre Mauro Oliva

 

Al via la quarta edizione del Festival Pergolesi Spontini, illustrato da Vincenzo De Vivo.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Ex-bambini soldato dell’Esercito di resistenza del signore stanno per rientrare a casa nel Nord dell’Uganda

 

Il presidente della conferenza episcopale filippina, mons. Capalla, condanna la proposta di legge sul controllo della popolazione nel Paese

 

Continua il trasferimento di rifugiati congolesi dopo l’attacco al campo di Gatumba, in Burundi

 

La regione del fiume San Juan, in Colombia centrale, è scossa dallo sfollamento della popolazione e dal blocco economico

 

Rubata una tela del seicento attribuita a Leandro Da Ponte in una chiesa isolata vicino Treviso

 

Uccisi alcuni fuggitivi della Corea del Nord mentre cercavano di passare il confine con la Cina.

 

24 ORE NEL MONDO:

Regge la tregua a Najaf, mentre la Marjaiya, il gran consiglio delle autorità religiose sciite in Iraq, ha ribadito il proprio no alla lotta armata contro le truppe Usa.

 

Le indagini sembrano confermare la pista terroristica per i disastri aerei in Russia. Rafforzate Cecenia le misure di sicurezza per elezioni presidenziali di domani

 

La crisi nucleare iraniana: il presidente Khatami ha rivendicato oggi per il suo Paese il diritto a produrre uranio arricchito, per fini civili.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 agosto 2004

 

 

DOPO CENTO ANNI TORNA SUL SUOLO RUSSO L’ICONA DELLA MADONNA DI KAZAN.

STAMANE A MOSCA, SOLENNE CERIMONIA NELLA CATTEDRALE DELLA DORMIZIONE,

PRESIEDUTA DAL PATRIARCA ORTODOSSO ALESSIO II, CHE HA RICEVUTO

LA SACRA EFFIGIE DALLE MANI DEL CARDINALE WALTER KASPER,

A NOME DEL SANTO PADRE

- A cura di Roberta Gisotti -

 

Giorno storico nei rapporti ecumenici tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica: stamane a Mosca nella cattedrale della Dormizione o dell’Assunzione, nel Cremlino, è stata materialmente consegnata al Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II, l’Icona della Madre di Dio di Kazan. Un gesto fortemente desiderato da Giovanni Paolo II che, per quasi 11 anni, ha conservato l’antica effigie nel suo studio privato, nel Palazzo apostolico in Vaticano. Dopo cento anni - fu trafugata agli inizi del secolo scorso – e dopo avere attraversato diversi Paesi, giungendo poi a Fatima e provvidenzialmente infine nella casa del Papa, la sacra Immagine, oggetto di profonda venerazione nei secoli, ha fatto ritorno sul suolo russo. Al termine di una solenne cerimonia, durata oltre tre ore, è stato il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani a consegnare l’Icona della Madonna di Kazan al patriarca Alessio II, facendosi latore di un Lettera del Papa, per questo evento carico di aspettative. Servizio di Roberta Gisotti:

 

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“Malgrado la divisione che, haimé, persiste ancora tra i cristiani, questa Icona sacra appare come uno dei simboli dell’unità dei discepoli dell’unico figlio di Dio, di Colui verso il quale ella ci conduce”. Giovanni Paolo II scrive nella Lettera ad Alessio II di aver pregato davanti a questa immagine sacra “implorando che venga il giorno in cui saremo tutti uniti e in cui potremo proclamare al mondo, con una sola voce in comunione visibile, la salvezza del nostro unico Signore e la sua vittoria su tutte le forze malvagie ed empie che recano attentato alla nostra fede e alla nostra testimonianza d’unità”. “Dopo un lungo periodo di prove e di sofferenze, che nell’ultimo secolo si sono abbattute sulla Chiesa ortodossa russa e sul popolo russo – sottolinea il Papa -  il Signore della storia che dispone di tutti secondo la sua volontà, ci dona oggi di essere nella gioia e nella speranza comune, in occasione del ritorno dell’Icona della Madre di Dio di Kazan nella sua patria”. “Possa questa venerabile immagine – invoca infine Giovanni Paolo II – guidare tutti noi nel nostro cammino evangelico al seguito di Cristo e possa proteggere il Popolo verso il quale ella ritorna e l’umanità intera”.

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Un messaggio del Papa, dunque, carico di attese per i futuri rapporti tra cattolici e ortodossi russi e per l’unità di tutti i cristiani. Non è un caso – ha detto il patriarca Alessio II - “che questa icona rimanga una delle più importanti per la Russia…” e che sia “importante per la Chiesa in generale, importante anche per i cattolici, in quanto ci ricorda – ha spiegato - tempi in cui la cristianità non era divisa”. Ma per una cronaca della cerimonia di questa mattina, ascoltiamo da Mosca Giuseppe D’Amato:

 

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Canti e preghiere hanno accolto la consegna dell’Icona della Madonna di Kazan nella Cattedrale dell’Assunzione al Cremlino, dove un tempo venivano incoronati gli zar. La cerimonia è stata preceduta dalla Santa Messa officiata dal Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II, che ha sottolineato che la Russia è la ‘casa’ della Santa Vergine e che il Cremlino con le sue cattedrali è il ‘cuore’ della Russia. Il cardinale Kasper ha ricordato che la Madonna di Kazan è venerata anche dai cattolici e che la Santa Vergine riunisce nella preghiera le due parti della cristianità nonostante deplorevoli malintesi. Alessio II ha ringraziato il Papa per il dono: “Sono tornate – ha detto – tante immagini sacre scomparse durante il comunismo. C’è un periodo in cui le pietre vengono lanciate e un altro in cui vengono raccolte. Questa è la copia dell’icona di Kazan che ha avuto un percorso lungo e difficile”.

 

Dalla cattedrale dell’Assunzione al Cremlino, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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E lo stesso Giuseppe D’Amato ha avvicinato stamane il portavoce vaticano, Joaquín Navarro Valls, al seguito della delegazione della Santa Sede inviata a Mosca. Sentiamo le sue dichiarazioni:

 

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Tutti, mi pare, da parte ortodossa e da parte cattolica, tutti pensiamo che siano un momento ed una dimensione storici. Forse tra secoli si parlerà della giornata di oggi, quando il Papa per una sua decisione, ha reso possibile che la Madonna di Kazan ritornasse “alla sua terra orientale”. Con questa giornata si ravviva la coscienza che si apra una ragionevole nuova speranza, per superare insieme le difficoltà anche storiche che sono sorte in dieci secoli di difficoltà. Quindi, c’è un nuovo inizio: di questo non c’è dubbio.

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Che la consegna dell’icona di Kazan rappresenti un’occasione importante per il dialogo ecumenico è testimoniato anche dai colloqui in corso fra la delegazione vaticana ed i rappresentanti ortodossi. Padre Lawrence Dominik, nostro inviato a Mosca, ci riferisce degli incontri di ieri:

 

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Durante il primo incontro, proprio all’aeroporto di Sheremetevo, sono stati scambiati ringraziamenti ed auguri. Il Patriarcato ha espresso la propria preoccupazione per certe difficoltà che continuano ad esistere tra la comunità cattolica e quella ortodossa qui, in Russia. Poi, nel pomeriggio, coloro che sono impegnati nel campo della comunicazione in Vaticano, hanno potuto incontrare i responsabili del Patriarcato di Mosca, che operano nello stesso ambito. Hanno spiegato che oggigiorno, la grande sfida che affronta la Chiesa è quella di come predicare la salvezza. Hanno poi espresso il desiderio di continuare nello scambio di rapporti tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica, proprio nella teologia delle comunicazioni.

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UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto, stamani, in udienza al Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, mons. Giacinto Berloco, nunzio apostolico in El Salvador; mons. Richard Joseph Malone, vescovo di Portland (Stati Uniti d'America), in visita “ad Limina” con il Vescovo emerito, mons. Joseph John Gerry e, ancora, mons. William Edward Lori, vescovo di Bridgeport (Stati Uniti d'America), in visita “ad Limina”.

 

Il Pontefice ha accettato la rinuncia presentata dal cardinale Francesco Marchisano dall’ufficio di presidenza della pontificia commissione di Archeologia Sacra e, allo stesso tempo, ha nominato presidente della stessa pontificia commissione mons. Mauro Piacenza, vescovo titolare di Vittoriana, presidente della pontificia commissione per i Beni Culturali della Chiesa. Il Santo Padre ha nominato membro del comitato di presidenza del pontificio consiglio per la Famiglia mons. Josef Clemens, segretario del pontificio consiglio per i Laici.

 

Giovanni Paolo II ha nominato membri del pontificio consiglio per la Famiglia il dott. Alberto e Anna Friso, vice responsabili centrali di “Famiglie Nuove”, Movimento dei Focolari (Grottaferrata - Italia); Avv. Simão Cirineu dos Santos e Ana Maria Duarte dos Santos (Brasile); Avv. Guillermo Aduriz Salgado e Graciela Berro Quartino (Argentina); Ing. Enrique Gomez Serrano e Marta Olavarrieta (Messico); André Belzile e Guylaine Morin (Canada); Bienvenu Pitta e Nelly Mayimbi (Rep. Dem. del Congo); Dott. Stefano Stampacchia e prof.ssa Oriana Maria Bianchi Stampacchia (Italia); Richard e Patricia Lahood (Stati Uniti d'America).

 

Il Papa ha, inoltre, nominato consultori del pontificio consiglio per la Famiglia: il sig. Jerry Coniker, sig. José Luis Mendoza Pérez (Spagna), il rev.do Santiago Martin (Spagna), il sig. John Michael Klink (Stati Uniti d'America), Andrzej Póltawski e Wanda Póltawska.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con la Lettera di Giovanni Paolo II al Patriarca Alessio II in occasione della consegna dell'Icona della Madre di Dio di Kazan'

 

Nelle vaticane, le parole rivolte dal cardinale Kasper al Patriarca Alessio II durante la solenne cerimonia - a Mosca - della consegna dell'Icona. La cronaca dell'inviato Gianfranco Grieco.

 

Nelle estere, in evidenza l'Iraq: le forze statunitensi hanno tolto l'assedio a Najaf. Uccisi due ostaggi turchi.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Pietro Addante in occasione del centenario della nascita di Maria Zambrano, esponente del pensiero storico, politico e filosofico spagnolo.

 

Nelle pagine italiane, sempre in primo piano la tragica vicenda del giornalista italiano brutalmente ucciso in Iraq.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 agosto 2004

 

 

MANCANO DUE GIORNI ALLA SCADENZA DELL’ULTIMATUM DELL’ONU,

POI AL VIA LE SANZIONI AL SUDAN.

MA LA CRISI IN DARFUR NON VEDE MIGLIORAMENTI

- Intervista con Lucio Melandri -

 

 

Nonostante l’arrivo dei primi soldati dell’Unione africana, nel Darfur le violenze proseguono senza sosta: ieri i ribelli hanno rapito 12 bambini in un villaggio presso Nyala. Critica la situazione degli sfollati e delle popolazioni colpite dalla furia delle milizie arabe: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nella regione si sarebbero triplicati i casi di epatite E. L’ONU definisce quella in atto nel Sudan occidentale “la più grave catastrofe umanitaria nel mondo“. Ascoltiamo la testimonianza di Lucio Melandri, responsabile delle operazioni di emergenza per Intersos, appena rientrato dal Darfur, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

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R. – Gli elementi per definirla la più grande catastrofe umanitaria ci sono tutti. Dal punto di vista numerico, e i numeri parlano chiaro, parliamo di oltre un milione e mezzo di persone colpite da questo conflitto ed oltre 200 mila rifugiati fuggiti nel vicino Ciad, per scappare dagli attacchi delle milizie arabe. E non solo i numeri parlano chiaro, ma sono palesi ed evidenti anche le conseguenze in termini di mortalità, le conseguenze in termini di traumi vissuti da questa popolazione.

 

D. – Le persone che come lei sono tornate dal Darfur sono rimaste colpite da un aspetto: i Janjaweed, le milizie arabe, hanno fatto praticamente terra bruciata attorno a loro. Questo significa che ci vorranno parecchi anni prima di ricominciare a vivere normalmente?

 

R. – Sicuramente quello che è avvenuto avrà un impatto e delle conseguenze che si protrarranno negli anni. I villaggi sono stati distrutti e sebbene si tratti di piccoli villaggi, di capanne costruite in mezzo alle zone semidesertiche, con loro sono state distrutte anche le risorse idriche, gli ambulatori, le scuole e con tutto ciò è andato perso anche il raccolto, che è la principale fonte di sostentamento delle popolazioni che vivono o di pastorizia o di agricoltura. La dipendenza alimentare di questa popolazione si protrarrà per diversi mesi. Sicuramente l’intervento internazionale dovrà riuscire a pianificare una serie di aiuti che vadano avanti nel corso del tempo.

 

D. – A poche ore dalla scadenza dell’ultimatum, il governo sudanese non sembra disposto ad accettare le condizioni dell’ONU, quindi rischia di andare incontro a sanzioni. È davvero tutta colpa di Khartoum?

 

R. – Il governo sudanese, per nostra esperienza diretta, comunque ha già elevato di molto i livelli di accessibilità. Per diversi mesi è stato impossibile entrare nel Darfur. Il tutto, è chiaro, si gioca sempre sul filo del rasoio. Sono state paventate anche misure eccezionali, quali l’invio di forze armate nei Paesi occidentali. Ed è proprio sulla base di questi atti di forza, per altro non molto condivisibili, che il governo di Karthoum sta cercando in qualche maniera, e con questo non lo giustifico, di proteggere i propri interessi. Comunque, gradualmente si arriverà, perché non ci sono alternative, ad una formula nell’interesse sia del governo sudanese e della sua sovranità, sia della comunità internazionale. Interessi che troppo frequentemente purtroppo non sono solo di natura umanitaria, ma spesso trovano origine ed hanno radice in interessi di carattere finanziario, economico, per non dire petrolifero.

 

D. – In ogni caso, non sembra una guerra di religione. I Janjaweed sono musulmani, ma anche le popolazioni attaccate sono musulmane…

 

R. – In questi giorni con i miei colleghi ho avuto la possibilità di visitare diversi campi profughi dove noi interveniamo cercando di prevenire il dilagare di epidemie, perché alcune come quella di epatite E sono già iniziate, e poi cerchiamo di evitare il grosso rischio del colera. E ho avuto modo di incontrare la gente: dalle persone più semplici, come gli agricoltori che sono scappati, ai rappresentanti delle moschee. Loro stessi riconoscono che non c’è alcuna radice, alcuna origine di carattere religioso. Dare una spiegazione è particolarmente complesso. Tutti sappiamo che il processo di pace che sta coinvolgendo il sud Sudan, dove l’interpretazione che si è data in questi 20 anni è stata quella di una guerra tra il sud animista e cristiano contro il nord musulmano, ha sicuramente avuto un’interferenza forte nell’origine di questo conflitto nel Darfur, nel quale, però, si combattono molto frequentemente persone della stessa religione, o anche dello stesso gruppo etnico. L’origine più plausibile forse può essere quella di un problema legato all’utilizzo delle risorse del territorio, ad interessi politici e militari, di cui pagano come sempre le conseguenze gli ultimi. Non dimentichiamoci che circa l’80 per cento della popolazione sfollata, che ha dovuto abbandonare le capanne e le case, sono donne e bambini.

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ULTIME GARE ALLE OLIMPIADI DI ATENE, DOMANI LA CERIMONIA DI CHIUSURA.

AI NOSTRI MICROFONI OGGI, EMOZIONI E MOMENTI DEI GIOCHI OLIMPICI

 RACCONTATI DA GIOVANNA TRILLINI, MEDAGLIA D’ARGENTO NEL FIORETTO

- Intervista con Giovanna Trillini -

 

 

Sta per calare il sipario sulle Olimpiadi di Atene. Evento sportivo per antonomasia, su cui inevitabilmente si sono riflessi gli avvenimenti dell’attualità internazionale. Ieri, gli atleti italiani impegnati nelle gare a squadra hanno giocato con il lutto al braccio in memoria di Enzo Baldoni, ucciso in Iraq. Oggi, invece, il segretario di Stato americano, Powell, ha annunciato che non prenderà parte alla cerimonia di chiusura di domani sera. Una visita che si annunciava come particolarmente contestata. Ad un giorno dalla fine dei Giochi olimpici, è serratissima la sfida tra Cina e Stati Uniti per conquistare il primo posto nel medagliere. Intanto, cresce l’attesa per le finali di basket maschile, Italia-Argentina, stasera, e di pallavolo, Italia-Brasile, domani pomeriggio. Ritornate laddove sono nate quasi tremila anni fa, le Olimpiadi di Atene sono state ricche di momenti emozionanti. Un’edizione da ricordare, dunque, come ci racconta chi l’ha vissuta in prima persona e da protagonista: l’intramontabile Giovanna Trillini, medaglia d’argento nel fioretto, intervistata da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Il ricordo più forte sicuramente è la premiazione, il podio, perché lì si è avverata quella che era la speranza di 4 anni di allenamento: poter aggiungere una medaglia, quella d’argento, che è sempre una medaglia bellissima.

 

D. – Giovanna, tu sei una veterana delle Olimpiadi, ne hai disputate con successo ben quattro. Che cosa ti ha colpito in particolare di questi giochi di Atene 2004?

 

R. – Mi ha colpito l’organizzazione: fino a marzo ed aprile si parlava di un cantiere aperto. In quel periodo sono stata in Grecia per una gara di coppa del mondo ed effettivamente era tutto un cantiere. Siamo arrivati invece ad agosto ed era tutto pronto. Mi ha colpito come i greci siano riusciti a recuperare in pieno il tempo perso. E poi anche l’atmosfera vissuta all’interno del villaggio.

 

D. – C’è un atleta, un momento sportivo, al di là dei tuoi successi personali e dello sport che a te è più caro, la scherma, che ti ha particolarmente emozionato?

 

R. – Sicuramente mi ha colpito molto Yuri Chechi: il fatto che lui sia rimasto fuori per diverso tempo e sia poi voluto rientrare per combattere la sfortuna che gli aveva negato la partecipazione alle precedenti Olimpiadi di Sidney. Mi ha colpito tantissimo la sua voglia di voler dimostrare che era ancora ad alto livello.

 

D. – Yuri Chechi, 34 anni come te, un altro atleta inossidabile. In fondo, se vogliamo, Trillini e Yuri Chechi sono un bel binomio…

 

R. – Sì, siamo un bel binomio. Lui è stato, secondo me, molto più sfortunato, perché ha avuto degli infortuni che gli hanno impedito di partecipare alle Olimpiadi in passato. Io, nonostante gli infortuni, sono sempre riuscita a partecipare alle Olimpiadi e a portare a casa le medaglie.

 

D. – Un atleta è muscoli, cervello, ma anche cuore. Quanto conta anche secondo la tua esperienza personale, la famiglia, l’affetto delle persone più care, nel successo sportivo?

 

R. – Per me ha contato tantissimo e continua a contare ancora molto. Sono quelle persone nascoste che soffrono di più quando non ci sei e sei lontana… Per gli allenamenti li lasci soli, lavorano dietro le quinte e non vengono molto considerati magari nel momento giusto.    

 

D. – A 34 anni, con un medagliere eccezionale. Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro in pedana e non?

 

R. – Sono sposata da diversi anni e naturalmente a me e mio marito piacerebbe allargare il nostro nucleo familiare. Poi se avrò la fortuna di poter vincere questa medaglia d’oro, che sarà un bambino, valuterò se rientrare o meno. Sarà una cosa che valuterò con il tempo.

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“LA LIBERTA’ E’ IL BENE PIU’ GRANDE CHE I CIELI ABBIANO DONATO AGLI UOMINI”:

E’ IL TEMA DEL PROSSIMO MEETING DI RIMINI PRESENTATO

A CONCLUSIONE DELLA 25.MA EDIZIONE

 

 

 “La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini”: è questo il tema scelto per la prossima edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli, presentato questa mattina a conclusione degli incontri di questi giorni. Dell’edizione 2004 che è stata anche la 25esima, ascoltiamo quanto riferisce da Rimini Stefano Andrini:

 

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         Il XXV Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si chiude oggi, è stato splendido e difficile allo stesso tempo. Splendido, anzitutto, per il messaggio del Santo Padre e per il suo saluto in diretta nella giornata inaugurale, che ha consentito a Giovanni Paolo II di affacciarsi idealmente ai padiglioni fieristici di Rimini e a chi ci lavora e li visita di sentire la sua vicinanza. Splendido per la profondità dei temi trattati, per le proposte che hanno coinvolto generazione e sensibilità diverse, per gli incontri che hanno avuto come protagonisti persone e storie provenienti da tutto il mondo, come quella presentata in mattinata dal prete cattolico, don Edoardo Canetta, che insegna all’Università islamica del Kazakhistan: il racconto di un popolo nomade in cui le tre grandi religioni convivono in pace. Ancora splendido per l’opportunità concessa ai ministri degli Esteri israeliano e palestinese di riprendere un dialogo interrotto dalla violenza del terrorismo e dalla costruzione dei muri, nella persuasione che, se anche ci vorrà tempo, una soluzione è possibile, perché molti uomini la cercano. Ma il Meeting è stato anche molto difficile, perché il giornalista italiano Enzo Baldoni è stato trucidato in Iraq proprio nelle ore in cui era più intenso il tentativo di dare una fisionomia al discorso su una convivenza pacifica fra i popoli e le religioni.

 

Che il tema del Meeting 2004 rappresenti uno snodo per il nostro tempo lo ha confermato ieri nella sua relazione il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia. L’uomo europeo e il cristiano prima di tutto devono prendere atto di una battuta d’arresto, che sembra ridurre il cammino ad una marcia sul posto. Una situazione, questa, originata da una riduzione ideologica dell’idea giudaico-cristiana di progresso e che si è concretizzata, prima, in un ottimismo illuministico e, poi, nell’illusione che la meta fosse prodotto del progresso stesso. L’accessibilità della meta – ha concluso il Patriarca – è invece resa possibile solo dall’evento gratuito del Crocifisso Risorto.

 

Da Rimini, per la Radio Vaticana, Stefano Andrini.

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FESTA E PREGHIERA ALL’AQUILA, IN ABRUZZO, PER LA “PERDONANZA CELESTINIANA”

- Intervista con mons. Giuseppe Molinari -

 

 

Festa e preghiera all’Aquila, in Abruzzo, dove dall’inizio della settimana un articolato programma di iniziative liturgiche e culturali ricorda la celebrazione della “Perdonanza Celestiniana”, che ricorre oggi e che commemora un evento storico-religioso che si perpetua da 710 anni. La ricorrenza prende il nome da Papa Celestino V, che concesse il dono di una grande indulgenza. Oggi l’apertura della Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio. Il servizio è di Massimiliano Menichetti:

 

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Cercare le radici storiche della “Perdonanza Celestiniana” significa risalire al 1294, anno in cui sale al Soglio pontificio il 79.enne Pietro Angeleri, ovvero Celestino V. Fu proprio il Papa che, dopo l’Incoronazione, concesse l’indulgenza plenaria a tutti. L’avvenimento fu di grande valore, poiché fino ad allora soltanto particolari ceti potevano beneficiare di un simile privilegio. Da quel momento, dunque, chiunque avrebbe goduto di pari dignità, potendo ottenere l’indulgenza recandosi, dopo il pentimento e la confessione, nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio.

 

Il rito della “Perdonanza” è rimasto praticamente invariato nei secoli. Oggi la processione di un corteo storico attraversa la città, portando la Bolla del Perdono, documento originario, conservato nella torre civica della residenza municipale, fino alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove la Porta Santa viene aperta dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione dei Santi.

 

L’Aquila, dunque, è l’unica città al mondo, inclusa Roma, ad avere il privilegio di aprire la Porta Santa ogni anno. Mons. Giuseppe Molinari, arcivescovo metropolita de L’Aquila, che domani presiederà la Messa per la chiusura della Porta Santa:

 

“Mentre si chiude questa porta, rimane sempre aperto il cuore di Dio, sempre aperto a ricevere ogni uomo che si penta, che desideri cambiar vita, che desideri convertirsi. Mai come oggi sentiamo come il perdono predicato da Gesù sia proprio necessario, altrimenti non troviamo più via d’uscita a tutte le violenze, a tutti i conflitti, a tutte le situazioni difficili che vediamo attorno a noi”.

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LA SETTIMANA LANTERIANA 2004, CONVEGNO DI STUDIO SULLA FIGURA DI

PADRE PIO BRUNO LANTERI, FONDATORE DEGLI OBLATI DI MARIA VERGINE

- Intervista con padre Mauro Oliva -

 

 

Apostolo del Vangelo tra i poveri del Piemonte, tra la Rivoluzione francese e i primi decenni dell’Ottocento, con nel cuore un’accesa devozione per la Vergine. Padre Pio Bruno Lanteri, nato a Cuneo nel 1759 e morto a Pinerolo nel 1830, fondò per la sua opera pastorale l’Istituto degli Oblati di Maria Vergine, che ogni anno dedica al suo capostipite un convegno di studio, la cosiddetta Settimana Lanteriana. Il tema di quest’anno è: “Il Dio della storia secondo il venerabile Lanteri”, in programma presso il Centro “Mondo Migliore” di Rocca di Papa, da oggi al 31 agosto prossimi.

 

Scopo del convegno – al quale prendono parte, tra gli altri, il vescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense e l’arcivescovo di Pisa, Alessandro Plotti, vice-presidente della Conferenza episcopale italiana - è quello di mettere in evidenza ciò che il ricchissimo carisma del venerabile Lanteri offre ai cristiani del terzo millennio, per quanto riguarda il servizio alla Chiesa e agli uomini di buona volontà. Sulla figura e il carisma di padre Pio Bruno Lanteri, parla il rettore provinciale degli Oblati di Maria Vergine, padre Mauro Oliva, intervistato da Giovanni Peduto:

 

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R. – Il Lanteri ha svolto un apostolato molto aderente alle vicende sociali, politiche e religiose del suo tempo, facendo diventare “luogo” e “tempo” di salvezza la storia travagliata del Piemonte nel periodo post-rivoluzione francese. Noi, raccogliendo la freschezza dell’eredità che ci ha lasciato, cerchiamo di cogliere i suggerimenti presenti nella sua spiritualità, nel suo pensiero e nella sua opera, per un moderno impegno apostolico nell’oggi.

 

D. – Chi è stato Pio Bruno Lanteri?

 

R. – Padre Lanteri era un sacerdote piemontese che ha operato in Piemonte un ministero molto intelligente, formando ad un apostolato appassionato i laici ed i sacerdoti. L’opera apostolica del Lanteri, personalità davvero entusiasmante, era rivolta a tutte le categorie dei fedeli e mirava a farli diventare non solo oggetto di cura pastorale, ma soggetti di apostolato presso gli altri fedeli.

 

D. – Quali erano i modi attraverso i quali il Lanteri incideva religiosamente tra i suoi contemporanei?

 

R. – Della sua fervente azione apostolica voglio ricordare qui in particolare il ministero della direzione spirituale, per il quale era ricercatissimo, il ministero della riconciliazione, la divulgazione della Dottrina della Chiesa attraverso la diffusione e la pubblicazione di libri, la formazione laicale e sacerdotale, con la partecipazione rispettivamente all’“Amicizia Cristiana” e all’“Amicizia Sacerdotale”, che egli guidava. Poi, la guida degli Esercizi spirituali ignaziani, del quale era un autentico maestro e che considerava un mezzo insuperabile “per diventare santi, presto santi, grandi santi”, la promozione della lettura della Bibbia, il sostegno alle missioni.

 

D. – Quali sono i tratti essenziali della sua spiritualità?

 

R. – La spiritualità del Lanteri era stata plasmata soprattutto dal suo rapporto personale, profondo con Cristo Gesù, incontrato nella contemplazione dei misteri evangelici. Sicuramente la sua spiritualità, pervasa da un’incrollabile fiducia e confidenza nella bontà e nella misericordia di Dio, è caratterizzata da un forte cristocentrismo, appreso alla scuola di Maria Vergine, della quale si rese “schiavo” con una consacrazione personale all’età di 22 anni, nel 1781 - quando ancora non era conosciuta la consacrazione del Montfort - e da una profonda comprensione della Chiesa come “mistero della presenza salvifica di Dio”, che lo portava, in un tempo storico molto antipapale, a riconoscere la “sinfonia” di tutte le componenti ecclesiali, aventi però nella comunione guidata dal Successore di Pietro il percorso certo di salvezza per il cristiano.

 

D. – In che modo è rimasto vivo il suo carisma nella Chiesa?

 

R. – Soprattutto attraverso la Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, che egli ha fondato nel 1826, e che attualmente è presente nei quattro grandi continenti. In Italia, siamo dediti alla predicazione, alla guida di esercizi spirituali, alle missioni popolari, al ministero parrocchiale, alla formazione del clero, alla formazione dei giovani universitari e sentiamo che il nostro carisma trova un posto privilegiato nell’appello alla nuova evangelizzazione così come è indicata dalla Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II, che mette al centro della pastorale del nuovo millennio la spiritualità, che è l’anima del nostro carisma.

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ALL’INSEGNA DEI RAPPORTI MUSICALI TRA NAPOLI E PARIGI

SI APRE LA QUARTA EDIZIONE DEL FESTIVAL PERGOLESI SPONTINI,

IN PROGRAMMA DAL 4 AL 12 SETTEMBRE A JESI ED IN ALTRI TEATRI

DELL’ENTROTERRA MARCHIGIANO

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

 

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(musica)

 

Fu una delle “querelle” artistiche più famose, quella dei cosiddetti “bouffons”. Era un segno dinamico che un’epoca stava cambiando e che anche nella musica i generi erano in piena evoluzione. A Napoli l’esuberanza trovava nella forma del “buffo” una delle più compiute e stabili forme di teatro musicale settecentesco, intriso di sorriso e malinconia. A Parigi il grande Rameau doveva fronteggiare le accuse dei vetero-lullysti che, appoggiandosi ai nomi di Pergolesi con la sua brillante “Serva Padrona” e di Rousseau con “Le Devin du Village”, lo accusavano di inutile elaborazione, di complicazioni gratuite e di abbandono della purezza stilistica. Questa “querelle” è ora al centro del programma della IV edizione del Festival Pergolesi Spontini, dal titolo “Filosofi e Buffoni. Il genio musicale che incendiò Parigi”. Il perché di questa scelta e di alcuni titoli della rassegna, ci viene descritto da Vincenzo De Vivo, direttore artistico della manifestazione:

 

R. – L’idea è sempre stata quella di fare un Festival monografico che potesse, di volta in volta, illuminare un aspetto di uno dei due compositori. Riuscire allora a mettere insieme la vita musicale napoletana e l’effetto dirompente che la musica napoletana ebbe sull’ambiente parigino ci ha permesso di fare un cocktail che, non solo geograficamente unisce queste due capitali europee della musica, ma ci permette di fare anche un viaggio a ritroso, che dalla prima metà del Settecento ci porta fino ai giorni nostri. E’ un viaggio, quindi, che attraverso “Serva Padrona”, di cui Degrada ha approntato una nuova revisione critica, “Le Devin du Villane”, l’intermezzo che Rousseau ha scritto come autore del testo e come autore della musica sulla fascinazione di “Serva Padrona”, è un momento di riflessione sulla vita musicale parigina. L’altra faccia della medaglia: il “Flaminio”, la vera opera buffa, l’ultimo lavoro di Pergolesi, che è rappresentato in un luogo molto particolare, che è il Teatro-Studio della Chiesa di San Floriano, in cui il rapporto tra pubblico e cantanti sarà un rapporto immediato. Nell’abside ci sarà l’Orchestra, l’Accademia Bizantina diretta da Dantone, e i cantanti agiranno praticamente a pochi centimetri dal pubblico, in un rapporto che ricorda molto i piccoli teatri del Settecento.

 

(musica)

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani, 22.ma Domenica del Tempo ordinario, il brano della liturgia ci presenta Gesù che un sabato entra in casa di uno dei capi dei Farisei per pranzare e la gente sta a guardarlo. Gesù osserva come gli invitati scelgono i primi posti e si rivolge loro con una parabola:

 

“Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto perché, venendo colui che ti ha invitato, ti dica: ‘Amico, passa più avanti’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali”.

 

Sul significato di questo brano evangelico, ascoltiamo il commento del teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:

 

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Gesù si trova alla mensa di un pranzo importante ed è osservato, evidentemente, non con l’atteggiamento giusto, ma, come in tante altre circostanze del Vangelo, con l’intento di coglierlo in errore. Lui, però, rovescia la situazione facendo notare che, benché così attenti alle regole, vengono ingannati dalla brama di essere i primi riconosciuti ed apprezzati, ma non sanno fare il calcolo di dove sedersi per essere, poi, veramente considerati.

 

L’atteggiamento giusto è l’umiltà, dimensione costante dell’amore, anzi, ciò che rende l’amore vera virtù. Solo l’amore che non cerca l’interesse per sé è l’amore di Dio e caratterizza l’uomo salvato. Il banchetto di zoppi, ciechi, poveri e storpi è l’immagine del banchetto della Parabola di Cristo, con la quale fa vedere che gli invitati possono anche perdere il loro posto, proprio perché troppo sicuri di loro stessi. E’ bene avere l’umiltà che fa gioire per il dono ricevuto, e ricordarsi che il banchetto sarà per gli ultimi. Agli umili Dio si rivela, ai superbi resiste.

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CHIESA E SOCIETA’

28 agosto 2004

 

 

EX-BAMBINI SOLDATO DELL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE

STANNO PER FARE RITORNO A CASA NEL NORD DELL’UGANDA

 

GULU. = Un gruppo di 45 bambini, rapiti dai ribelli dell’Esercito di resistenza del signore e portati in Sudan, stanno tornando a casa nel nord Uganda. A renderlo noto, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) che si sta occupando del trasferimento dei ragazzi da Juba, città nel Sudan meridionale, a Gulu, città nel nord Uganda. L’IOM precisa che alcuni bambini sono stati liberati durante le recenti operazioni dell’esercito ugandese contro i campi di addestramento del LRA nel sud del Sudan, mentre altri ragazzini sono riusciti a fuggire da soli raggiungendo la città di Juba. Rientrati a Gulu, saranno affidati a organizzazioni non governative che si occuperanno del loro reinserimento in società. Dal 1986 la guerriglia del LRA semina morte e distruzione nelle zone settentrionali dell’Uganda. Sono oltre 100 mila le vittime di questo conflitto registrate fino ad ora, 25 mila i minori sequestrati e oltre un milione gli sfollati. I bambini che vengono prelevati dalle loro case e dalle scuole con la violenza sono costretti ad imbracciare le armi e poi vengono impiegati nei combattimenti e le bambine obbligate a fare da concubine ai capi guerriglieri. (F.S.)

 

 

IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE FILIPPINA,

MONS. FERNANDO R. CAPALLA, CONDANNA LA PROPOSTA DI LEGGE

SUL CONTROLLO DELLA POPOLAZIONE

 

MANILA. = La Chiesa filippina condanna senza appello la proposta di legge sul controllo della popolazione. “La legge sui 2 figli è un velato sistema coercitivo che distrugge la libertà di coscienza e il diritto naturale delle coppie a scegliere il numero dei figli”: è quanto afferma mons. Fernando R. Capalla, presidente della Conferenza Episcopale filippina e arcivescovo di Davao in un comunicato ufficiale, esprimendo la sua ferma opposizione a questa legge “dannosa e non praticabile”. Nelle scorse settimane, il deputato Edcel Lagman ha presentato in Parlamento la “Legge sulla salute riproduttiva” che intende promuovere il controllo delle nascite incentivando le famiglie a non avere più di 2 figli. La proposta, nota come “Legge sui 2 figli”, prevede vantaggi economici per le coppie che aderiscono e l’esen-zione fiscale per le aziende produttrici di contraccettivi. Secondo mons. Capalla, le ragioni della povertà della società filippina non sono legate solo alla crescita della popolazione, ma alla diffusa corruzione governativa, alla scarsa qualità dei servizi educativi e sanitari di base, a un’ingiusta e squilibrata distribuzione delle terre e delle risorse naturali, all’elevata disoccupazione e al peso oneroso del debito estero. Ciò che la Chiesa chiede al governo è di applicarsi nella propria sfera di responsabilità prima di attaccare la santità di ogni famiglia filippina. (F.S.)

 

 

CONTINUA IL TRASFERIMENTO DI RIFUGIATI CONGOLESI

DOPO L’ATTACCO AL CAMPO DI GATUMBA, IN BURUNDI,

CHE GIORNI FA HA PROVOCATO 160 MORTI

 

BUJUMBURA. = Un gruppo di 48 rifugiati congolesi sono stati trasferiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati dalla pericolosa zona di confine fra la Repubblica Democratica del Congo e il Burundi al campo di Gasorwe, nella parte nordorientale del Paese, dove ci sono già circa 8 mila esuli congolesi. Delle 48 persone trasferite, 47 provenivano dai due centri di transito di Rugombo e Karurama, nella provincia di Cibitoke, mentre una persona proveniva da Gatumba, il centro di transito che è stato scenario il 13 agosto scorso di un sanguinoso attacco, in cui sono state assassinate 160 persone e ne sono rimaste ferite altre 100. Sono 19429 i rifugiati recentemente giunti in Burundi secondo un censimento dell’ ACNUR, di questi 17622 presenti a Cibitoke, 10780 a Rugombo e 6882 a Kararuma. Intanto L’ACNUR in collaborazione con altri operatori, sta organizzando l’accoglienza, con alloggio, cibo, acqua e altri servizi, per i 20 mila rifugiati che si trovano nella zona di confine. E’ anche partita una campagna informativa sul trasferimento dei rifugiati, che si mostrano riluttanti e vogliono rientrare nella Repubblica Democratica del Congo appena la situazione sarà più tranquilla. Questa resistenza è espressa soprattutto da coloro che erano stati accolti nel centro di transito di Gatumba, ancora traumatizzati dagli effetti dell’attacco sanguinoso dei giorni scorsi. Inoltre molte famiglie preferiscono rimanere presso i loro cari ricoverati negli ospedali. (F.S.)

 

 

LA REGIONE DEL FIUME SAN JUAN, IN COLOMBIA CENTRALE, TEATRO DI SCONTRI

TRA LA GUERRIGLIA DI SINISTRA E I PARAMILITARI DELLA DESTRA, E’ SCOSSA

DALLO SFOLLAMENTO DELLA POPOLAZIONE E DAL BLOCCO ECONOMICO

 

BOGOTA’.  = Giunta a destinazione la prima missione umanitaria inviata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari e dalle autorità del governo colombiano, nella regione fluviale di San Juan, in seguito ai recenti scontri tra la guerriglia di sinistra e i paramilitari di destra, che hanno costretto almeno 1200 persone ad abbandonare le loro abitazioni in una delle zone più isolate e più povere della Colombia. La missione è stata organizzata al fine di monitorare la situazione, censire la popolazione sfollata e valutarne i bisogni. Sono state visitate 15 comunità afrocolombiane ed indigene, che si trovano lungo il fiume San Juan ed alcuni dei suoi affluenti. Sono 606 le persone sfollate non ancora registrate che non hanno ricevuto assistenza dalle autorità locali a causa del blocco economico. I combattimenti hanno provocato un ulteriore peggioramento della crisi umanitaria che potrebbe coinvolgere 6 mila persone. Oltre agli sfollati, infatti, altre migliaia di persone stanno accusando gli effetti del blocco economico imposto da gruppi armati che trattengono i beni di prima necessità così da privarne i loro nemici. La missione ha potuto verificare gli effetti di questo blocco economico imposto dall’inizio di luglio dalle truppe di irregolari armati. Il fiume San Juan, con i suoi tributari, rappresenta l’unica via di comunicazione in questa regione e il blocco ha limitato non solo gli spostamenti ma impedisce anche il trasporto di merci quali cibo, medicinali, carburante, zucchero e sale, con una ricaduta negativa sul territorio per ciò che riguarda la sicurezza, la salute e l’istruzione delle comunità che vivono lungo il fiume. Sono in aumento malattie come la malaria, la tubercolosi e le infezioni virali. L’ACNUR ha ribadito a tutte le parti del conflitto in Colombia la necessità di rispettare il carattere civile della popolazione e ha chiesto di astenersi da azioni che possano mettere a repentaglio la libertà di movimento e l’accesso a beni e servizi di prima necessità. (F.S.)

 

 

UCCISI ALCUNI FUGGITIVI DELLA COREA DEL NORD

MENTRE CERCAVANO DI PASSARE IL CONFINE CON LA CINA

 

SEOUL. = Diversi fuggitivi sono stati uccisi dalle guardie di frontiera nordcoreane mentre tentavano di passare il confine con la Cina. Secondo vari testimoni, il governo di Pyongyang ha lanciato una campagna contro i tentativi di fuga in risposta al recente esodo di 450 persone. “E’ stato posizionato il filo spinato con l’elettricità e sulla frontiera ci sono molte più guardie. Si è registrato un aumento degli agenti segreti nordcoreani in Cina”: è quanto sottolinea Joanna Hosaniak di Human Right South Corea. Negli ultimi anni infatti è aumentato il numero dei nordcoreani che entrano clandestinamente in Cina per acquistare cibo da vendere in patria. Alla fine degli anni 90 i controlli erano meno rigidi e le guardie erano facilmente corruttibili con sigarette, soldi e cibo. La Cina ha poi firmato un trattato con la Corea del Nord per rimandare indietro i fuggitivi, molti dei quali sono stati puniti con il carcere e i lavori forzati. (F.S.)

 

 

RUBATA TELA DEL SEICENTO ATTRIBUITA A LEANDRO DA PONTE

IN UNA CHIESA ISOLATA VICINO TREVISO

 

PADERNO DEL GRAPPA. = E’ stata rubata una tela seicentesca attribuita a Leandro Da Ponte, uno dei figli del più noto Jacopo detto “Il Bassano”. E’ accaduto in una chiesa isolata in località Fietta di Paderno del Grappa, vicino Treviso, la scorsa notte, ad opera di ignoti. Il furto sarebbe su commissione e forse destinato al mercato estero, secondo quanto scrive il Gazzettino e ipotizzato dai carabinieri che si stanno occupando delle indagini. Il dipinto, alto poco meno di due metri e largo uno, rappresenta Sant’Andrea con San Rocco e sullo sfondo la sagoma del Monte Grappa. Gli episodi di furti di opere d’arte sono piuttosto frequenti nella zona e l’ultimo risale a due mesi fa, sempre ai danni di una chiesa isolata. Per accedere al tempietto, aperto al pubblico solo una volta a settimana, questa volta i malviventi hanno dovuto soltanto forzare una porta, non essendo installato alcun dispositivo di sicurezza nella chiesetta. (F.S.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

28 agosto 2004

- A cura di Barbara Castelli -

 

Resta avvolta nel giallo la barbara uccisione in Iraq del giornalista italiano, Enzo Baldoni. A poche ore dal tragico epilogo del rapimento da parte della guerriglia, non si riesce ancora a capire perché sia stato annullato ogni spazio alle trattative, mentre i contatti erano ancora aperti. Smentita poi l’esistenza di un video sugli ultimi attimi di vita del reporter. Nel Paese del Golfo, intanto, la situazione resta tesa, anche se sembra reggere la tregua a Najaf. Il servizio di Barbara Castelli:

 

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Sventato a Najaf il temuto bagno di sangue. Le forze americane e la guardia nazionale irachena hanno tolto ieri l’assedio alla città santa sciita, mentre i ribelli del leader radicale Moqtada Al-Sadr, asserragliati da tre settimane nella sacra moschea dalla cupola d’oro, hanno consegnato il mausoleo dell’Imam Alì e deposto la maggior parte delle armi. La fine dell’incubo è stato possibile grazie alla mediazione dell’ultima ora dell’anziano ayatollah Ali Sistani, che ha messo a punto il piano di pace. La Marjaiya, intanto, la direzione religiosa sciita riunitasi oggi a Najaf nell’abitazione dell’ayatollah Sistani, ha ribadito di essere contraria alla lotta armata contro l’occupazione americana. Nel resto del Paese, tuttavia, la violenza è ancora in primo piano. Nella capitale Baghdad colpi di mortaio esplosi dalla guerriglia hanno causato la morte di due civili e il ferimento di altri sei. A Mossul, nel nord dell’Iraq, una docente universitaria è stata assassinata questa mattina. La donna, 36.enne, responsabile del servizio traduzioni nell’ateneo locale, è stata freddata mentre si stava recando in facoltà a bordo della propria vettura. Un egiziano è stato ucciso e un altro rapito nella città di Baiji, la stessa dove ieri sono stati rinvenuti i corpi di due lavoratori turchi sequestrati da un gruppo islamico. E proprio poco dopo il ritrovamento dei cadaveri, un messaggio via Internet, con la firma “Gruppo Islamico Tawhid”, ha lanciato un monito ad Ankara perché interrompa la propria attività di assistenza alle “forze di invasione” in Iraq. Sempre nella giornata di ieri aerei americani hanno bombardato posizioni dei ribelli iracheni a Falluja, bastione sunnita a 50 km ad ovest di Baghdad, dopo essere stati attaccati dal suolo, causando almeno cinque morti e 32 feriti, compresi donne e bambini.

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“Il nostro 11 settembre”. Così i giornali russi avevano titolato mercoledì, a poche ore delle due sciagure aeree costate la vita ad 89 persone. Supposizioni confermate dalle indagini: tracce di esplosivo sono state ritrovate nei resti di entrambi gli aerei, che sarebbero stati dirottati da terroristi islamici. I resti umani di una cittadina di Grozny, probabilmente un’attentatrice suicida, saranno analizzati a Mosca. Proprio un gruppo integralista, intanto, denominato Brigate Islambuli, ha rivendicato gli attacchi, compiuti in nome della causa cecena.

 

Misure di sicurezza ulteriormente rafforzate oggi in Cecenia, alla vigilia delle contrastate elezioni promosse dal Cremlino per dare un successore ad Akhmad Kadyrov, il presidente unionista ucciso il 9 maggio scorso dalla guerriglia islamico-indipendentista. In lizza per succedere a Kadyrov ci sono sette candidati, ma secondo tutti gli analisti appare scontata la vittoria di Alù Alkhanov, generale di polizia e ministro dell’Interno uscente del governo locale ceceno. Il 47.enne è sostenuto dal presidente russo Vladimir Putin e, almeno ufficialmente, anche dall’entourage del defunto Kadyrov.

 

Ennesima fiammata di violenza in India. Almeno 18 persone sono rimaste ferite ieri in due esplosioni, in altrettante moschee, nello Stato di Maharashtra. Non è ancora chiaro se le deflagrazioni siano avvenute all’esterno o all’interno dei due luoghi di culto. Rafforzate le misure di sicurezza.

 

L’ex ministro delle Finanze, Shaukat Aziz, è il nuovo premier pakistano. Lo ha deciso ieri l’Assemblea nazionale, con 191 voti a favore su 342. L’opposizione aveva presentato la candidatura di Javed Hashmi, che sconta da aprile una pena di 23 anni per “tradimento”. Aziz, 55 anni, è considerato il pupillo del presidente Pervez Musharraf, davanti al quale ha prestato giuramento questa mattina.

 

È iniziato stamani in Bangladesh il secondo sciopero generale in una settimana indetto dal maggiore partito di opposizione, la Lega Awami (Al), per protesta contro l’attentato dello scorso 21 agosto, durante un comizio della presidente dell’Al, Sheikh Hasina Wajed, con un bilancio di almeno 19 morti e oltre 300 feriti. Nella capitale Dhaka sono stati dispiegati circa 8.000 poliziotti per evitare eventuali disordini.

 

La questione nucleare fa nuovamente salire la tensione tra l’Iran e la comunità internazionale. Il presidente della Repubblica islamica, Mohammed Khatami, ha rivendicato oggi per il suo Paese il diritto a produrre uranio arricchito, per fini civili. Tra due settimane, a Vienna, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dovrebbe riaprire il dossier iraniano.

 

Un ordigno di ridotta potenza è esploso questa mattina a Santiago de Compostela, in Galizia, senza causare fortunatamente feriti, mentre la polizia ha fatto esplodere un altro ordigno a La  Coruña. La deflagrazione è stata preceduta da una telefonata al quotidiano basco “Gara” che avvisava, a nome dell’Eta, secondo il tradizionale copione, del collocamento delle bombe. 

 

Il governo libanese, riunito in sessione straordinaria, ha approvato questa mattina un progetto di legge per un emendamento costituzionale che permetta il prolungamento di tre anni del mandato presidenziale ad Emile Lahoud. L’emendamento, che deve ora essere approvato dal parlamento, sarebbe il terzo del genere alla Costituzione approvata nel 1991.

 

Settantotto eritrei espulsi dalla Libia hanno dirottato ieri a Khartoum, in Sudan, un aereo che li riportava nel loro Paese. A diffondere la notizia la tv del Qatar Al Jazira. Al loro arrivo si sono arresi alla polizia, che aveva circondato il velivolo e hanno chiesto asilo. Le autorità di Khartum hanno informato l’Onu della vicenda e il caso è ora seguito dall’Alto Commissariato per i rifugiati. Tripoli aveva rifiutato loro la concessione dello status di rifugiati e li aveva caricati su un aereo speciale partito dalla città di Khufrah.

 

L’Fbi, la polizia federale degli Stati Uniti, sospetta la presenza di una spia d’Israele al Pentagono, in una posizione potenzialmente influente, vicina - si dice - al segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld, o a suoi stretti collaboratori. La spia, sulla cui identità non vi sono indicazioni, avrebbe avuto accesso a una bozza di documento sull’Iran e lo avrebbe trasmesso alle autorità israeliane, mettendole così in condizione di cercare d’influenzare le scelte degli Stati Uniti verso Teheran.

 

Circa 800 palestinesi detenuti nel carcere israeliano di Ashkélon hanno sospeso ieri e fino a lunedì lo sciopero della fame che avevano iniziato 13 giorni prima. La sospensione è stata indetta in seguito alla decisione presa dalla direzione della struttura penitenziaria di accettare alcune rivendicazioni presentare dai detenuti. Intanto ieri circa duemila persone - fra cui il premier palestinese Abu Ala e il nipote del 'Mahatma' Gandhi, Arun Gandhi - si sono raccolte ad Abu Dis, alla immediata periferia di Gerusalemme, per protestare contro il Muro di separazione che Israele sta costruendo in Cisgiordania.

 

Uno yemenita è stato condannato oggi a morte, e 14 altri a pene detentive fino a 10 anni, da un tribunale di Sanaa per atti terroristici. Tra questi figura anche l’attentato contro la petroliera francese Limburg, esplosa nel 2002.

 

Tragico incidente stradale nel nord dell’Etiopia: un autobus è caduto in un burrone nei pressi di Adet, 250 chilometri a nord di Addis Abeba. Pesante il bilancio: 27 morti e 30 feriti gravi. La sciagura sarebbe avvenuta giovedì, ma solo oggi se ne è avuta notizia.

 

 

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