RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
239 - Testo della trasmissione di giovedì 26 agosto 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il dolore del Santo Padre per le 89 vittime
dei due disastri aerei in Russia.
OGGI IN PRIMO PIANO
Le ACLI compiono 60 anni: ci spiega le nuove sfide
politiche e sociali il presidente Luigi Bobba.
CHIESA E SOCIETA’:
Attentato
nel sud della Thailandia alla vigilia della visita del primo ministro: una
bomba in un mercato causa un morto e almeno 19 feriti
Proseguono i colloqui di
pace per la crisi in Darfur, mentre il Sudan ha annunciato che non terrà conto
dell’ultimatum delle Nazioni Unite
26
agosto 2004
ADORARE
COME I MAGI L’UNICO VERO DIO E CAMMINARE VERSO LA SANTITA’,
EVITANDO
L’IDOLATRIA DELLE MODE E DEI MITI DEL MONDO
CHE
NON RIEMPIONO IL CUORE: L’INVITO DI GIOVANNI PAOLO II
AI
GIOVANI DELLA PROSSIMA GMG DI COLONIA, IN PROGRAMMA NELL’AGOSTO 2005
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
Giovani
di tutto il mondo a Colonia, sulla scia della volontà espressa dai Magi, partiti
alla ricerca del Bambino: “Siamo venuti per adorarlo”. Sarà questo il tema
della prossima Giornata mondiale della gioventù, la ventesima, in programma a
Colonia dal 16 al 21 agosto del 2005. E’ stato reso noto il testo del messaggio
che Giovanni Paolo II dedica all’evento e nel quale, in particolare, mette in
guardia i giovani dai mille volti dell’idolatria, che possono oscurare la
limpidezza della chiamata e della testimonianza cristiana. Il servizio di
Alessandro De Carolis.
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C’è
una stella che guida la vita di ogni uomo, come guidò i Magi a Betlemme fino a
una sconosciuta grotta, per raggiungere la quale i tre sapienti si erano
lanciati “con coraggio per strade ignote”, lungo la rotta di “un lungo e non
facile viaggio”. Una stella che illumina la strada che porta a Dio, talvolta
attraversata dalle luci artificiali e fuorvianti dei miti creati dall’uomo. Ma
proprio l’esperienza dei Magi insegna a “scrutare i segni con i quali Dio ci
chiama e ci guida” e a seguirli con costanza.
E’
fondato su un gioco di opposti il Messaggio del Papa ai 700-800 mila giovani
che esattamente tra dodici mesi riempiranno Colonia per la 20.ma Gmg, tre anni
dopo l’ultimo incontro di Toronto. Della storia evangelica dei Magi, che una
“pia tradizione” - ricorda il Pontefice - ne fa venerare le reliquie proprio
nella grande città tedesca, Giovanni Paolo II pone all’attenzione dei giovani
alcuni punti, a cominciare dalla povertà del Figlio di Dio, che “si è spogliato
della sua gloria” per farsi adorare “sotto le povere apparenze di un neonato” e
per donare all’uomo la salvezza e la rivelazione della gloria divina.
Un
mistero di bontà - scrive il Papa - davanti al quale si resta “estasiati” e ci
si chiede in che modo “rendere grazie”. Anzitutto prostrandosi, come i Magi, in
adorazione: lo “stesso Bambino che vediamo adagiato da Maria nella mangiatoia -
afferma il Pontefice - è l’Uomo-Dio che
vedremo inchiodato sulla Croce”. Noi, oggi, possiamo adorarlo nell’Ostia
consacrata. “Preparatevi in modo adeguato – è l’invito di Giovanni Paolo
II ai giovani - e accostatevi al Sacramento dell’Altare, specialmente in
quest’Anno dell’Eucaristia che ho voluto indire per tutta la Chiesa”.
Ma attenzione -
mette subito dopo in guardia il Papa - alla “tentazione costante dell’uomo”:
l’idolatria. “Purtroppo - è la sua constatazione - c’è gente che cerca la soluzione
dei problemi in pratiche religiose incompatibili con la fede cristiana”; o che
cede alla forte spinta dei “facili miti del successo e del potere”; che
aderisce “a concezioni evanescenti del sacro che presentano Dio sotto forma di
energia cosmica, o in altre maniere non consone con la dottrina cattolica”. Giovani
- esclama il Papa - “non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano
non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del
consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media”. Al
contrario, fate “scelte coraggiose”, se necessario “eroiche”, per seguire
Cristo verso la santità, perché – conclude il Pontefice – la Chiesa ha bisogno
di “testimoni dell’amore contemplato in Cristo”, che sappiano raccontarlo a chi
ancora lo scambia con “surrogati insignificanti”.
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IL CORDOGLIO DEL
PAPA PER LE VITTIME DEI DISASTRI AEREI IN RUSSIA:
IN UN TELEGRAMMA IL PONTEFICE ESPRIME LA PROPRIA
VICINANZA
“PER QUANTI SOFFRONO LA GRAVE PERDITA DEI LORO
CARI”
Giovanni Paolo II ha espresso
oggi tutta la propria vicinanza spirituale per i famigliari delle 89 vittime
dei disastri aerei che ieri hanno colpito la Russia. In un telegramma, indirizzato
al nunzio apostolico e rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa,
l’arcivescovo Antonio Mennini, a firma del segretario di Stato vaticano,
cardinale Angelo Sodano, il Papa manifesta i propri “sentimenti di vivo cordoglio
alle autorità della Federazione russa, ai familiari e congiunti delle vittime”.
Il Pontefice poi “prega per i defunti”, invocando “il conforto di Dio per
quanti soffrono la grave perdita dei loro cari”. Il messaggio si conclude con
uno “speciale saluto benedicente, in segno di particolare vicinanza
spirituale”.
IL CORDOGLIO DEL PAPA PER
LA SCOMPARSA
DEL
CARDINALE MARCELO GONZALES MARTIN, ARCIVESCOVO EMERITO DI TOLEDO, SPENTOSI IERI
ALL’ETA’DI 86 ANNI
Un “pastore diligente”, che si è speso per “l’applicazione del Concilio
Vaticano II e il rinnovamento della Chiesa”. Sono alcune delle parole di stima
e di affetto con le quali Giovanni Paolo II ha espresso l’ultimo saluto nei
riguardi del cardinale Marcelo González Martín, arcivescovo emerito di Toledo,
in Spagna, spentosi ieri all’età di 86 anni, a Fuentes de Nava, dove si trovava
per trascorrere il periodo estivo. Nel mettere in rilievo, in un telegramma di
cordoglio, le doti di abnegazione a servizio della Chiesa, il Papa ha ricordato
il “lavoro di dialogo e di concordia” operato dal porporato spagnolo, i cui
funerali si svolgeranno sabato mattina 28 agosto nella cattedrale di Toledo.
Nativo di Villanubla, nell’arcidiocesi di Vallodolid, dove aveva studiato nella
Pontificia Università Comillas, il cardinale González Martín, era stato
ordinato sacerdote all’età di 23 anni. Aveva insegnato poi nel suo stesso
Seminario diocesano e nell'Università statale della stessa città, promuovendo
molteplici iniziative pastorali e sociali. Contemporaneamente aveva percorso
tutta la Spagna dirigendo esercizi spirituali e tenendo conferenze su temi di
fede e di spiritualità. E’ stato nominato nel 1960 vescovo di Astorga, dove
aveva fondato la "Radio Popular de Astorga" e l'Istituto diocesano di
formazione e azione pastorale. Nel 1966 era divenuto ausiliare dell'arcivescovo
di Barcellona, Gregorio Modrego, succedendogli l’anno dopo. Nei cinque anni di
permanenza a Barcellona, si era attivato soprattutto per riorganizzare la
diocesi ed intensificare l'azione pastorale. La sua intensa attività
magisteriale si era concretizzata in oltre cento documenti pastorali su diverse
questioni ed in circa ottocento prediche tenute nella cattedrale ed in varie
parrocchie, poi raccolte e pubblicate in quattro volumi. Promosso nel 1971 alla
sede primaziale di Toledo, aveva ricoperto importanti incarichi nell'ambito
della Conferenza episcopale spagnola. Nel 1973 era stato creato cardinale,
divenendo arcivescovo emerito di Toledo dal 23 giugno 1995. (R.G.)
PER TUTTA LA GIORNATA, L’ANTICA ICONA DELLA MADRE
DI DIO DI KAZAN
E’ ESPOSTA NELLA BASILICA DI SAN PIETRO
ALLA VENERAZIONE DEI FEDELI.
DOPODOMANI, NELLA CATTEDRALE DELLA DORMIZIONE AL
CREMLINO,
LA DELEGAZIONE VATICANA INVIATA DAL PAPA
CONSEGNERA’ L’ICONA AL PATRIARCA ORTODOSSO ALESSIO
II
- Intervista con mons. Brian Farrell e con mons.
Michel Berger -
Da
questa mattina e per tutta la giornata l’antica icona della Madre di Dio di
Kazan è esposta nella Basilica di San Pietro alla venerazione dei fedeli. Dopo
la solenne cerimonia di ieri, con la quale Giovanni Paolo II ha consegnato
l’immagine al cardinale Walter Kasper con il compito di farne omaggio al
Patriarcato ortodosso di Mosca, per l’effigie sacra oggi è l’ultimo giorno di
sosta in Italia. Dopodomani, nella Cattedrale della Dormizione al Cremlino, la
delegazione vaticana inviata dal Papa consegnerà l’icona al Patriarca ortodosso
Alessio II. Tra i membri della delegazione guidata dal cardinale Kasper, presidente
del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, figura anche il segretario
del dicastero vaticano, il vescovo Brian Farrell. Ascoltiamolo nell’intervista
di Giovanni Peduto:
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R. – Prima di tutto bisogna dire
che restituire l’icona è un dovere perché appartiene alla Chiesa ortodossa
russa e al popolo russo. Da quando è venuta a stare in mano ai cattolici,
l’idea che un giorno avrebbe fatto ritorno nella sua patria è stata sempre
presente. Per quanto riguarda il gesto del Santo Padre, nei confronti della
Chiesa ortodossa russa e del popolo russo, rientra in una lunga storia di
quello che il Papa ha chiamato ‘lo scambio di doni tra le Chiese’. Questo è un
aspetto fondamentale del cammino ecumenico. Tutte le Chiese hanno valori in
comune, ma anche ogni Chiesa ha un dono particolare che vuole partecipare agli
altri e, tutti questi doni, in fondo, portano a Gesù che è centro ed inizio di
tutto. L’icona della Madonna di Kazan, che adesso riporteremo a Mosca,
rappresenta, pertanto, un’immagine, un aspetto della spiritualità profonda e
tradizionale russa che molti cattolici in Occidente, nel pellegrinare di questa
icona in diverse parti dell’Occidente, hanno potuto apprezzare e hanno imparato
a stimare.
D. – Eccellenza, il Papa ha
detto di aver tante volte pregato davanti a questa icona che era conservata
nella sua cappella privata. Cosa può dirci di più?
R. – Tutti noi sappiamo quanto
preghi il Santo Padre e quanto sia vicino alla Madre di Gesù. Penso che questa
icona per lui abbia un valore particolare, un significato anche personale, in
quanto tocca una parte anche della storia del suo popolo. Ed è anche, sicuramente,
un simbolo, nella sua mente, di quel cammino ecumenico in cui si è impegnato
sempre ed in modo particolare dall’inizio del suo Pontificato.
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L’icona
è per antonomasia una creazione dell’arte sacra bizantina, anche se in Occidente,
da tempo, è in atto una riscoperta del valore di questo tipo di raffigurazioni.
Alle icone più antiche è spesso legato un episodio cruciale della storia del
Paese, che venera in quella particolare immagine il segno della provvidenza
divina. E’ quanto accade per l’icona della Madre di Dio di Kazan, alla quale si
attribuisce uno speciale intervento di protezione verso il popolo russo,
all’epoca dell’invasione napoleonica. E’ quanto conferma, nell’intervista di
Fabio Colagrande, mons. Michel Berger, sottosegretario della Commissione per i
Beni Culturali della Chiesa ed esperto di arte bizantina:
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R. – Oltre alla sua origine
miracolosa c’è il fatto che questa Madonna in quel periodo e soprattutto nel
Seicento, Settecento ed Ottocento, periodo in cui la Russia moderna ha vissuto
dei periodi molto difficili, la devozione nei confronti di questa Madonna si è
rinforzata. Ci sono poi precisi avvenimenti storici, come la vittoria
sull’invasione napoleonica: lo stesso generale Kustovof aveva preso con sé la
Madonna, che era conservata nella Cattedrale di Kazan per proteggerla dalle
eventuali furie dell’invasione napoleonica. La Madonna di Kazan è così
diventata Colei che ha protetto e difeso la Russia da questi attacchi. Questo
ha fatto sì che è diventata molto popolare. Non c’è infatti una sola casa dove
non ci sia un’icona della Madonna di Kazan, che veniva offerta in regalo ai
figli quando si sposavano.
D. – L’immagine, però, che viene
donata alla Chiesa di Mosca dal Papa non è l’originale di questa icona ma una
copia. Questa copia che valore artistico e di culto ha?
R. – Il valore cultuale è
immenso. Anche se artisticamente la tavola in sé non è un granché dal punto di
vista strettamente artistico, l’originale ha storicamente avuto un ruolo
immenso nella storia e nella devozione del popolo russo. Tutto questo è dimostrato
anche dalla preziosità dei gioielli degli ex-voto. Rappresenta una devozione
non alla tavola di legno di tiglio, ma alla Madre di Dio, che si è manifestata
nella città di Kazan e nella storia stessa della Russia in questi ultimi
secoli.
D. – L’importanza ecumenica di
questo gesto, di questa donazione ed anche i frutti che, secondo lei, possono
nascere da questo gesto?
R. – L’importanza forse sta nel
fatto che la consegna di questa icona si è fatta, tutto sommato, in modo molto
discreto. Può darsi che questa dimensione ascetica e senza trionfalismi porterà
frutti abbondanti e soprattutto questa riconciliazione, questa ricompresione
che noi speriamo avvenga tra Oriente ed Occidente cristiano.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina si apre con il messaggio di Giovanni Paolo II per la XX Giornata
mondiale della Gioventù.
Due telegrammi
di cordoglio del Papa: per le vittime delle sciagure aeree avvenute in Russia;
per la morte del cardinale Marcelo González Martín.
Nelle
vaticane, il Canto delle Lodi mattutine in onore della Beata Vergine Maria
presieduto nella Basilica Vaticana dall'arcivescovo Leonardo Sandri: l'Icona
della Madre di Dio di Kazan' continua a brillare nel cielo della storia.
Nelle
estere, in evidenza l'Iraq, insanguinato da una nuova strage; proiettili di
mortaio colpiscono la moschea di Kufa, provocando 25 morti.
Nella
pagina culturale, un articolo di Franco Patruno dal titolo "C'è ancora spazio
in Tv per il volontariato?": in margine al pellegrinaggio del Papa a Lourdes.
Nelle
italiane, in primo piano la vicenda del giornalista rapito in Iraq: vibrante
appello dei figli trasmesso in Tv.
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26
agosto 2004
IN IRAQ ANCORA VIOLENZA ANCHE NEL GIORNO
DELLA MARCIA DELLA PACE SU NAJAF, PROMOSSA DA AL SISTANI, CHE E’ ARRIVATO NELLA
CITTA’ SANTA
- Intervista con Khaled Fouad Allam -
In Iraq, il dramma della violenza continua a devastare il
Paese anche nel giorno della marcia della pace su Najaf, promossa dal grande
ayatollah Al Sistani, da poco arrivato nella città santa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
**********
Un’ennesima
strage ha colpito l’Iraq: almeno 25 persone sono rimaste uccise ed oltre 60
ferite in seguito a violente esplosioni che hanno sconvolto la moschea di Kufa.
Nel
tempio si erano radunati centinaia di sostenitori del
leader radicale sciita, Moqtada al Sadr, che si stavano preparando a
raggiungere la vicina Najaf, città dove sono asserragliati proprio i miliziani
dell’esercito del Mahdi. Altre 20 persone sono morte stamani, sempre a Kufa,
quando colpi di arma da fuoco hanno preso di mira un corteo organizzato per
salutare Al Sistani, la massima autorità spirituale
sciita che ha invitato tutti gli iracheni a marciare sulla città
santa. L’emittente televisiva al Arabiya ha riferito che l’ayatollah,
accompagnato da migliaia di seguaci, è da poco
arrivato a Najaf. E per consentire al religioso di avviare una
mediazione con Al Sadr che ponga fine ai combattimenti tra truppe americane e
forze regolari irachene contro i guerriglieri dell’esercito del Mahdi, il governatore
della città santa ha deciso di decretare un cessate-il-fuoco di 24 ore. Il
premier iracheno, Iyad Allawi, ha dichiarato, inoltre, che sarà offerta una
tregua a Moqtada al Sadr e ai suoi miliziani se accetteranno di deporre le armi
e di abbandonare il mausoleo dell’imam Ali. Un commando di estremisti
islamici ha annunciato, infine, il rapimento di due parenti del ministro della
Difesa, Hazim al Shalaan, chiedendo in cambio della sua liberazione il ritiro
delle forze americane da Najaf.
**********
Ma l’arrivo a Najaf dell’ayatollah al Sistani riuscirà a
convincere i miliziani sciiti ad accettare un compromesso? Fabio Colagrande lo
ha chiesto a Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano
nelle Università di Urbino e Trieste:
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R. – Di
per sé la presenza dell’Ayatollah Al Sistani è molto importante. L’autorità è indiscutibile
dal punto di vista della comunità sciita. Il problema è la gestione del
conflitto all’interno del mausoleo. Il tentativo di al Sadr in realtà è quello
di far entrare gli americani nel mausoleo, pensando che questo potrebbe far
scatenare ovviamente una ribellione da parte della popolazione. Però, credo che
sia un tentativo che non funzionerà.
D. –
Possiamo dire che quella di al Sadr in qualche modo sia una battaglia sbagliata
in partenza?
R. – E’
importante mettere in evidenza il fatto che al Sadr non sia Ayatollah e dunque
non disponga di un’autorità religiosa. E’ presente questo importante blocco
sociale fatto dalle sue milizie, che funzionano fino ad un certo punto perché
il concetto di autorità religiosa è molto importante per gli sciiti. Penso che
comunque sia una battaglia persa.
D. –
Come spiega questa divisione in seno alla comunità sciita in Iraq?
R. –
Queste divisioni sono sempre esistite. La storia delle dinastie dei militari
sciiti definisce anche i posizionamenti di tipo ideologico e religioso. Al
Sistani è un moderato che pensa sia possibile dividere il potere politico dal
potere religioso, mentre al Sadr fa parte di questa linea estremamente
importante e ricca della gerarchia sciita, che ha definito anni fa un rapporto
stretto con la politica e che, dunque, ha radicalizzato lo scisma.
D. – Al
Sadr ha un seguito anche per motivi legati alla povertà da parte delle fasce
delle popolazioni che hanno più problemi sociali ed economici?
R. – Sì,
il sottosviluppo sociale è estremamente legato a quello che è il sottoproletariato
urbano della città di Najaf, dei quartieri sciiti e poveri di Baghdad. E là
ovviamente trova il suo mezzo di reclutamento e costruisce il suo apparato sociale
che funziona a metà, perchè manca questo forte rapporto con l’autorità religiosa.
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L’INCONTRO DEL
PREMIER ITALIANO BERLUSCONI CON IL COLONNELLO GHEDDAFI,
IERI SERA IN LIBIA: SECONDO IL NEO COMMISSARIO
EUROPEO BUTTIGLIONE,
E’ UN PASSAGGIO DECISIVO SULLA VIA DELLA
RIAMMISSIONE DELLA LIBIA
“COME PARTNER A PIENO TITOLO IN UN SISTEMA
DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MEDITERRANEA''.
- Intervista con Federiga Bindi -
Faccia a faccia ieri sera, a Tripoli, tra il colonnello
libico Muhammar Gheddafi ed il premier italiano, Silvio Berlusconi, accompagnato
dal ministro dell’Interno, Pisanu. Nonostante il carattere ''informale'', è
mancato infatti il protocollo ufficiale degli incontri bilaterali, la visita di
Berlusconi e Pisanu al colonnello segna una tappa importante nei rapporti tra
l'Italia e la Libia. Il tutto mentre l'emergenza sbarchi è al centro delle
preoccupazioni italiane ma anche di quelle dell’Europa. La Libia è un Paese di
transito per parecchi flussi migratori. E viene sempre ribadito che la ricetta
per far sì che si riescano a governare le entrate dei regolari ed il contrasto
all'ingresso dei clandestini passa attraverso aiuti allo sviluppo dei Paesi
d'origine, ma anche di quelli di transito. Ma sulla cena di ieri sera Sirte,
ascoltiamo Giampiero Guadagni:
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“D’ora
in poi il popolo italiano e quello libico saranno amici per aiutare il proprio
benessere e la propria libertà”. E’ la convinzione espressa dal premier
Berlusconi che ieri sera ha incontrato a Tripoli il colonnello Gheddafi. Al
centro dei colloqui i rapporti bilaterali tra i due Paesi, che negli ultimi
tempi hanno avuto una evoluzione positiva e soprattutto dopo le aperture della
Libia agli Stati Uniti anche nella lotta al terrorismo internazionale. Facendo
seguito all’accordo dello scorso anno, Roma e Tripoli hanno in questa occasione
ribadito il comune impegno contro l’immigrazione clandestina. Due i cardini
dell’intesa, che sarà perfezionata a settembre: pattugliamenti congiunti – navali,
terrestri ed aerei – dell’area libica, duemila chilometri di coste e quattromila
di frontiere interne; l’istituzione di uno sportello a Tripoli per registrare
gli immigrati pronti a partire per l’Italia. La collaborazione comprende anche
l’aiuto allo sviluppo dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori.
Il problema – hanno concordato Berlusconi e Gheddafi – non è solo italiano e
libico ma europeo ed africano.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Da parte sua,
il neocommissario UE agli Affari interni e alla Giustizia, Rocco Bottiglione,
ha dichiarato che la cena di ieri sera è un passaggio decisivo sulla via della
riammissione della Libia “come partner a pieno titolo dentro un sistema di
cooperazione internazionale mediterranea''. Che significa coinvolgere la Libia
dentro il sistema di accordi mediterranei? Cioè in che cosa consistono le cosiddette
politiche Euromed? Fausta Speranza lo ha chiesto a Federiga Bindi, docente di
Organizzazione politiche europee all’Università di Firenze:
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D. – Che
significa coinvolgere la Libia dentro il sistema degli accordi mediterranei? In
che cosa consistono oggi le cosiddette politiche Euromed?
R. – Le
politiche Euromed sono una delle ultime realtà delle relazioni esterne
dell’Unione Europea e al tempo stesso una delle più grosse sfide che noi abbiamo,
visto il problema dell’immigrazione illegale e tutti i problemi che ci vengono
dal Nord Africa. Il processo di Barcellona è formalmente nato nel 1995 sotto la
presidenza spagnola, anche se la prima proposta di una cosa simile, cioè di una
CSCM, come fu chiamata, fu proposta da De Michelis quando era ministro degli
Esteri durante la presidenza italiana del ’91, rifacendosi a quella che era la
CSCE, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. De Michelis
appunto lanciò una CSCM alla Conferenza per la Sicurezza nel Mediterraneo. Al
tempo nessuno gli diede grosso peso, mentre poi qualche anno dopo la presidenza
spagnola riprese questa proposta, lanciata dal processo di Barcellona. Il
processo di Barcellona ha tre scopi, tre goals fondamentali: creare una
comunità mediterranea basata sulla pace e sul rispetto della democrazia e dei
diritti umani; creare una zona di libero scambio entro il 2010; e promuovere la
cooperazione e la comprensione reciproca tra le culture e i popoli del
Mediterraneo. In questo la Libia è l’unico Paese della sponda sud del
Mediterraneo a non essere parte integrante del processo.
D. –
Questo fino ad oggi, ma qualcosa potrà cambiare proprio con gli ultimi sviluppi?
R. – Non
sono esattamente gli ultimi sviluppi. Gli ultimi sviluppi – e mi riferisco
all’inizio di agosto – hanno rotto l’ultimo muro. Le cose cominciano a cambiare
in realtà già nell’’99, quando la Commissione comincia a fare i primi passi per
riallacciare i rapporti con la Libia. Questa decisione del presidente Prodi fu
al tempo anche abbastanza contestata. Poi però sulla base di questo, a
Stoccarda, alla fine del ’99, i ministri degli Esteri decisero che qualora la
Libia avesse voluto e avesse rispettato i principi che loro si erano dati avrebbe
potuto diventare nel tempo un membro del processo di Barcellona. Dopo di che
nel novembre del 2002 i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno deciso
che fosse essenziale una cooperazione con la Libia e quindi hanno dato il
mandato alla Commissione, responsabile per questo tipo di azioni, di condurre
una vera e propria missione esplorativa nel maggio del 2003. Legata a questo
c’è stata poi la decisione di affiliare la Libia come membro osservatore
passivo al processo di Barcellona. Ci trovavamo così all’inizio di agosto. Cosa
è successo ad agosto? Importante è che la Libia, le autorità libiche hanno
deciso di riconoscere pienamente la responsabilità degli eventi di Berlino,
quindi di rifondere i danni subiti. In questo modo, dunque si apre la
possibilità di avere una vera e propria membership come per gli altri Paesi.
D. – In
questo processo ricordiamo la visita di Gheddafi a Bruxelles. Al di là delle
foto di circostanza, che ha significato quella tenda del colonnello piantata
nel cuore istituzionale dell’Unione?
R. –
Sicuramente ha rappresentato un riconoscimento nei confronti di Gheddafi.
Gheddafi, prima, dopo e durante le sanzioni, quando sono state sospese, veniva
comunque considerato persona non gradita. E quando il presidente Prodi cominciò
le relazioni con la Libia fu molto criticato. Quindi, il ricevere Gheddafi a Bruxelles
è cosa ben più significativa che mandare una missione della Commissione in
Libia. E’ come dargli un riconoscimento formale e dirgli “noi siamo pronti da
parte nostra, se voi volete fare la vostra parte per entrare”. Quindi,
probabilmente è lì che poi è scattata la decisione di riconoscere i fatti di
Berlino, che erano la conditio sine qua non di fatto, anche se non de
iure, per entrare nel dialogo di Barcellona.
D. –
Ricordiamo un momento questi fatti di Berlino?
R. – Nel
1986 scoppiò una bomba in una discoteca chiamata “La Belle”. I libici
all’inizio negarono qualunque coinvolgimento. Mentre ora ai primi di agosto
hanno fatto questa dichiarazione, nella quale riconoscono il loro coinvolgimento
e quindi il fatto di voler risarcire le famiglie delle vittime.
**********
ANCORA CASI DI DOPING ALLE
OLIMPIADI DI ATENE, MENTRE CRESCE
L’ATTESA PER ITALIA-IRAQ, EVENTO TRA CALCIO E
POLITICA: LA RIFLESSIONE
DEL
GIORNALISTA MASSIMO GRAMELLINI. INTANTO C’E’ CHI
TORNA A CASA CON LA MEDAGLIA D’ORO: AI NOSTRI
MICROFONI,
IL
CAMPIONE NEL TIRO CON L’ARCO, MARCO GALIAZZO
- Interviste con Massimo Gramellini e Marco
Galiazzo -
Ultimi giorni di gare ad Atene e purtroppo, si registrano
nuovi casi di doping ai Giochi: l'Ucraina ha perso la medaglia di bronzo
conquistata nel “quattro donne” di canottaggio. Squalificato anche il pesista
ungherese Zoltan Kovacs che si è rifiutato di sottoporsi al test antidoping.
Intanto, mentre continua la sfida tra Cina e Stati Uniti per la conquista del
maggior numero di medaglie, cresce l’attesa per Italia-Iraq, finale di calcio
per il terzo posto, che si disputerà domani pomeriggio. Partita che, per la
situazione internazionale, sembra rivestirsi di un significato superiore all’evento
sportivo. D’altro canto, proprio la nazionale irachena è stata la più
applaudita nella cerimonia d’apertura. Sulla partita e i suoi risvolti,
Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di Massimo Gramellini, editorialista
del quotidiano La Stampa:
**********
R. –
Come giornalista sono naturalmente propenso a non vedere in una semplice
partita di calcio qualcosa di più attribuendogli un peso che, secondo me, forse
non merita. Lo sport non può essere caricato di questi pesi. Mettere insieme
calcio e politica crea spesso dei corti circuiti assurdi. E’ una partita di
calcio! E’ bellissimo che l’Iraq giochi queste Olimpiadi ed io sinceramente,
pur essendo assolutamente solidale per il dramma del popolo iracheno, tiferò
per la squadra italiana.
D. –
Vedremo, comunque, una differenza sostanziale tra i calciatori miliardari italiani
e dei giocatori che riconquistano la dignità di poter giocare nelle Olimpiadi...
R. – Il
primo effetto che, forse, vediamo dell’occidentalizzazione dell’Iraq viene
proprio da questa nazionale. Leggevo un’intervista ad un loro calciatore che
alla domanda: “Cos’è cambiato dai tempi di Saddam?”, ha risposto, molto
sinceramente: “Lo stipendio”. Nel senso che ora guadagnano alcune centinaia di
dollari al mese, cosa che ovviamente con Saddam non avveniva.
D. – E’
solo calcio, è solo sport ma bisogna dire che proprio in questi giorni il
Comitato Olimpico ha criticato la decisione del presidente americano Bush che
in un suo spot elettorale fa capire che se Iraq ed Afghanistan possono competere
alle Olimpiadi da Paesi liberi è merito della Casa Bianca...
R. –
L’iniziativa di Bush l’ho trovata veramente di scarsissimo gusto. Nel senso che
se qualcuno pensa queste cose è liberissimo di farlo, ma che proprio lui sia a
dirlo, questo mi sembra veramente di pessimo gusto. E’ una gara di sport e credo
che sia necessario battersi per far sì che lo sport resti quello che è!
D. –
L’allenatore della nazionale di calcio irachena ha lanciato un appello per la
liberazione di Enzo Baldoni. Parole, queste, che forse rimarranno inascoltate,
però il gesto è significativo?
R. – Il gesto è stato bellissimo. Se posso lanciare un
messaggio, credo che sarebbe bello che sotto la maglietta dei giocatori
italiani ci fosse un invito a liberare il nostro connazionale. In queste cose,
effettivamente, lo sport parla un linguaggio universale, che non ha bisogno di
parole e di commenti.
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Intanto, c’è chi
si gode il meritato riposo dopo aver conquistato il gradino più alto del podio.
E’ Marco Galiazzo, il 21enne padovano medaglia d’oro ad Atene nel tiro con
l’arco. Alessandro Gisotti gli ha chiesto se è cambiata la sua vita dopo il
trionfo olimpico e soprattutto come è nata la passione per uno sport così poco
diffuso:
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R. – E’
nata per caso. Quando ho cominciato a tirare, mi piaceva e allora ho continuato
a farlo.
D. –
Marco, il tiro con l’arco, come molti altri sport, vengono considerati purtroppo
minori, però, sono poi quelli che portano le medaglie d’oro. Come ci sente ad
essere sotto i riflettori soltanto in un appuntamento importante come le Olimpiadi?
R. –
Questo è brutto, perché non si ha considerazione degli sport minori finché non
arriva una medaglia alle Olimpiadi. A me dispiace.
D. –
Qual è la difficoltà per un atleta alle prese con il tiro con l’arco?
R. –
Fare il movimento, il gesto atletico sempre uguale. Bisogna anche tener conto
di come tira il vento, perché tirando a lunga distanza e non avendo la freccia
la stessa velocità di un proiettile, è necessario fare un po’ di calcoli e non
è facile.
D. –
Cosa resta di questo trionfo ad Atene?
R. – La
festa che mi hanno fatto e poi la soddisfazione ad essere l’unico ad aver preso
la medaglia d’oro nel tiro con l’arco ed anche il più giovane.
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OGGI A
ROMA UN CONVEGNO SULLE NUOVE SFIDE
PER I
CRISTIANI IMPEGNATI NEL SOCIALE
- Ai nostri microfoni Luigi Bobba
-
''Il partito unico dei cattolici? Irreale e velleitario'':
così Luigi Bobba, presidente delle ACLI, che celebrano proprio oggi il 60° anniversario
della loro fondazione, giudica l'idea di dar vita ad un nuovo partito cattolico
che raccolga l'eredita' della DC. A Roma, stamani, in un convegno sono stati
ricordati i passi che portarono alla creazione nel 1944 delle Associazioni
Cristiane Lavoratori Italiane. Alessandro Guarasci:
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Guardare
al passato per costruire il futuro. Le ACLI compiono 60 anni e, forti della
loro storia, progettano le sfide politiche e sociali degli anni che verranno.
Nel Convegno di oggi, a Roma, per l’occasione, il presidente Luigi Bobba ha
ribadito il suo ‘no’ a qualsiasi progetto di formazione di rinnovo di partito
unico dei cattolici, ma allo stesso tempo ha rivendicato l’autonomia culturale
e sociale dei cristiani che – ha detto- rappresenta una ricchezza per
l’autonomia dell’Italia intera. “Comunque, questo non vuol dire che le ACLI si
limiteranno a fare da portatori d’acqua a questo o a quel partito” ha ribadito
il presidente, aggiungendo come le ACLI intendono impegnarsi:
“Creando
percorsi comuni, pensieri comuni, azioni comuni. C’è una stagione nuova di
fronte a noi. Non ci sentiamo orfani del partito unitario dei cattolici, come è
stato nella stagione passata. Possiamo, vogliamo e dobbiamo costruire percorsi
insieme che esprimano una comune identità culturale. Credo che riattingere
all’entusiasmo di chi aveva pensato le ACLI come una possibilità di far
crescere la coscienza civile degli italiani, in particolare delle persone che
lavorano, sia ancora un compito attualissimo”.
Bobba ha
poi salutato con favore l’abbraccio al Meeting di Rimini tra CL ed Azione
Cattolica, ma ha fatto notare che non si tratta di un caso isolato, visto che
da tempo le Associazioni cristiane dialogano e collaborano su vari piani. Ma su
quali aspetti vogliono le ACLI operare per gli anni che verranno? E’ stato
spiegato che serve, innanzitutto, governare i cambiamenti del mercato del
lavoro caratterizzato da contratti sempre più flessibili, poi fare attenzione
al mondo dell’immigrazione rivedendo la legge Bossi-Fini, ed infine, potenziare
all’estero l’azione delle ACLI, già presenti in 40 Paesi.
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SI CONCLUDE
QUESTA SERA ALLA CITTADELLA DI ASSISI
IL 62.MO CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI. TEMA
SCELTO QUEST’ANNO:
‘APRIRE UN VARCO ALLA SPERANZA’
- Intervista con l’ingegnere Marco Marchini -
Una
trentina di oratori, un folto pubblico da tutta Italia e dall’estero, una fitta
tematica inerente alla speranza nel nostro mondo con tanti scenari di guerra,
hanno caratterizzato ad Assisi il 62.mo Corso internazionale di Studi cristiani,
proposto dalla Cittadella in collaborazione con la Comunità di Bose, con Pax
Christi e l’editrice Queriniana. Ma che cosa rappresenta la Cittadella di
Assisi, fondata da Don Giovanni Rossi? Lo spiega l’ingegner Marco Marchini,
nell’intervista di Giovanni Peduto:
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R. – La
Cittadella cristiana di Assisi ha voluto essere nella mente del nostro fondatore
come una moderna abbazia. Come nel Medioevo c’erano le antiche abbazie, che
erano luogo di incontro e di dialogo di diverse culture e religioni, così la
Cittadella vuole essere un luogo di incontro e di dialogo con persone di
diverse culture, diverse appartenenze religiose.
D. –Chi
era Don Giovanni Rossi?
R. – Don
Giovanni Rossi era un prete milanese, che è stato per 12 anni segretario del
cardinal Ferrari, che lui chiamava “il mio santo cardinale”, che poi è stato
beatificato. Proprio al fianco del cardinal Ferrari ha assorbito questa
capacità di dialogo, soprattutto con il mondo culturale, che ha poi conservato
qui in Assisi.
D. – Cosa
resta oggi dello spirito di don Giovanni Rossi?
R. –
Credo che lo spirito più significativo sia quello della capacità di accoglienza
delle persone, di rispetto per tutti, e la capacità di dialogare con qualsiasi
persona. La caratteristica che ha scandito il tempo nella Cittadella è stato
proprio il dialogo con i liberal massoni in un primo tempo, poi con il mondo
marxista e adesso con le grandi religioni.
D. –
Quali sono le finalità di questi corsi, che ogni anno organizzate a fine agosto?
R. –
Quella di affrontare le tematiche più cocenti del mondo di oggi, tipo la ‘speranza’,
che sembra proprio una sfida. Di fronte ad un mondo che è disperante e
disperato, può suonare infatti come una parola di sfida. La finalità è, dunque,
quella di dare la capacità soprattutto al credente e al cristiano di cogliere
dove stia andando la storia per capire come essere operatori di speranza, di
fede e di carità, dentro alle pieghe della storia del mondo di oggi.
D. –
Quali contenuti sono emersi dal corso appena concluso?
R. – I
contenuti emersi sono quelli di una rilettura del discorso della speranza, a
livello cristiano perché Cristo è la nostra speranza, ma anche come virtù eversiva,
cioè in grado di provocare un cambiamento dentro la cultura dell’uomo
contemporaneo. Se si ha fede nel Cristo, si può vivere la speranza. E se si
vive la speranza, bisogna andare alle fondamenta e alle radici che sono nella
fede.
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26
agosto 2004
PRESSANTE APPELLO DEI VESCOVI
DEL SUDAN
PERCHE’ IL
POPOLO “VENGA SOCCORSO NEL PRESENTE TRAVAGLIO”.
PREOCCUPATI IN PARTICOLARE PER LA REGIONE OCCIDENTALE
DEL DARFUR,
I PRESULI
INVOCANO DALL’ONU E DALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
UN RISOLUTO INTERVENTO
JINIA.=
Preoccupati per la “tragica situazione in Darfur”, i vescovi cattolici del
Sudan, riuniti a Jinja in Uganda, località facilmente accessibile per tutti
loro, hanno rivolto un appello pressante e urgente all’ONU, alla comunità
internazionale, al governo sudanese, ai due movimenti dei ribelli sudanesi
Liberation Movement- Army (Slm-a) e Justice and Equality Movement (JEM). In un
comunicato, diffuso stamane
dall’agenzia Misna, i presuli chiedono che
“il popolo del Sudan venga soccorso nel suo presente travaglio”,
invitando “ tutti coloro che anelano alla giustizia e alla pace ad offrire
preghiere ed assistenza per il popolo sofferente del Darfur”. “Già nell’ultimo
anno e mezzo - scrivono i presuli - circa 35mila persone hanno perso la vita e
si prevede che questo numero possa aumentare nei prossimi giorni a causa
dell’ostruzionismo incontrato dagli enti di soccorso”. I vescovi si rivolgono
prima di tutto all’ONU e alla comunità internazionale “affinché esercitino pressioni
sul governo del Sudan non solo perché smetta di armare i Janjaweed ma anche perché
li disarmi e porti i responsabili di fronte alla giustizia”. Rivolgendosi al
governo di Khartoum, i vescovi chiedono che “spalanchi le porte” agli enti
umanitari, “rispetti la dignità dei suoi cittadini, negozi una soluzione giusta
e pacifica del conflitto”. Ai due movimenti ribelli i vescovi ricordano che
“non è la guerra il modo migliore di affrontare le loro rivendicazioni…perché
guerra e uccisioni non risolvono i problemi”. Alla comunità internazionale si
chiede un’azione che salvi gente innocente”. Nel comunicato si aggiunge che il
caso del Darfur non dovrebbe mettere in stallo i colloqui di pace di Naivasha
(Kenya) per il sud Sudan. “Vogliamo qui sottolineare – afferma il comunicato
dei vescovi sudanesi – che è contraddittorio negoziare la pace con alcuni
mentre altri vengono totalmente eliminati…ribadiamo che qualsiasi pace senza
giustizia non è pace”. (R.G.)
E’ UN’ALTRA GIORNATA RICCA DI SPUNTI AL MEETING
PER L’AMICIZIA TRA I POPOLI
ATTESA PER GLI INTERVENTI DI PROTAGONISTI DI AREE CALDE
DELLO
SCENARIO INTERNAZIONALE, TRA CUI IL SUDAN
- Il servizio da Rimini del nostro inviato Luca
Collodi -
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RIMINI.
= La sfida della pace interroga l’Africa. Il vice-presidente del Sudan, Osman Taha,
oggi al Meeting, ricorda come in 48 anni di indipendenza il Paese abbia vissuto
almeno 38 anni di guerra civile. Oggi gli accordi con l’Esercito di liberazione
del Sudan, che prevedono l’autogoverno del Sud del Paese, garantiscono un
futuro di progresso. Sul Darfur, Osman Taha ha voluto chiarire come i disordini
non siano di origine né etnica, né religiosa, ma legati a situazioni politiche
locali. Per l’Uganda, l’arcivescovo di Gulu, mons. Odama ha ringraziato il Papa
per gli sforzi compiuti per la pace. Una situazione però poco conosciuta a
livello internazionale. “L’Uganda - ha spiegato mons. Odama – è martoriato
dalla guerra a Nord e falcidiato da gravi emergenze sanitarie al Sud”. A nome
del governo italiano, il sottosegretario all’interno Mantica si è detto
disponibile ad ospitare in Italia incontri tra Uganda e Sudan, con tutte le
parti interessate, per riportare la pace nella regione. Al Meeting c’è spazio
anche per la dimensione religiosa e spirituale del miracolo. Il prefetto della
Congregazione per le cause dei santi, il cardinale Saraiva Martins ha ribadito
come i medici non abbiano il compito di dichiarare miracolo un fatto, ruolo che
spetta alla Congregazione dopo aver chiesto pareri scientifici anche a medici
non credenti. Il cardinale Saraiva Martins spiega perché Giovanni Paolo II ha creato
più santi rispetto a altri Papi: la risposta è da cercare nel Concilio Vaticano
II, nella ‘vocazione universale alla santità’. “Ma il Papa – ha continuato
–riconosce nella santità anche la strada più efficace per l’ecumenismo”. Nel
pomeriggio l’incontro sul Medio Oriente tra i ministri degli esteri
dell’Autorità nazionale palestinese ed Israele, attesi alla Fiera di Rimini tra
severe misure di sicurezza.
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GIUNGERA’
IL 10 SETTEMBRE, NEL MUSEO MART DI ROVERETO,
DOPO
AVER FATTO TAPPA A SAN PIETROBURGO,
LA
GRANDE MOSTRA DEDICATA A JOAN MIRO’:
OLTRE 100 LE OPERE ESPOSTE DEL PITTORE E
SCULTORE CATALANO
TRENTO.
= Frutto di una collaborazione internazionale tra il Mart di Rovereto, la Fondazione
Maeght di Saint-Paul de Vence in Francia e lo State Russian Museum di San Pietroburgo, l'esposizione “Joan Mirò
pittore e scultore” dal prossimo 10 settembre presenterà nella nuovissima
struttura museale trentina oltre 100 opere, di cui 60 sculture, 5 dipinti e
oltre 30 tra disegni, acquerelli e arazzi realizzati dall'artista catalano. La
mostra di Rovereto seguirà la prestigiosa tappa allo State Russian Museum di
San Pietroburgo, che segna la prima volta in assoluto per una mostra su Mirò in
Russia. La tappa italiana sarà arricchita da alcuni importanti lavori,
eccezionalmente prestati solo al Mart, tra cui una grande scultura da giardino, intitolata
“Personaggio”, un bronzo del 1970. La
selezione presenterà lavori tutti realizzati tra il 1960 e il 1977, quando ormai
il maestro, spentosi nel 1983, era pienamente affermato a livello internazionale.
Mirò scultore dunque, capace di reinventare e di reinterpretare la realtà,
anche la più banale e quotidiana, con la sua vulcanica fantasia, il suo amore
per la vita, il suo senso profondo della materia, sia essa bronzo, pietra o
ceramica. E c’è poi Mirò pittore, pronto ad immettere nel ventesimo secolo la
libertà delle emozioni e dell'invisibile, il prodigio della ‘mitologia’ che è
nella natura e nelle cose, attraverso i segni e i colori dei suoi dipinti, dei
disegni a carboncino o delle gouaches (R.G.)
OLTRE 4 MILA ETTARI DI FORESTA SONO ANDATI DISTRUTTI
NELLE ULTIME 48 ORE IN MAROCCO, NELLA LOCALITA’ DI
IZARAN
IN PROVINCIA DI SIDI KACEM:
SOCCORRITORI INTERNAZIONALI TUTTORA ALL’OPERA PER
DOMARE LE FIAMME
RABAT. = Sono oltre 4.000 gli
ettari di foresta distrutti nelle ultime 48 ore dal grande incendio divampato, lunedì notte scorso, nella
foresta di Izaran, provincia di Sidi Kacem, nel nord del Marocco. Lo
riferiscono fonti locali, precisando che in 24 ore le fiamme hanno raddoppiato
il numero di ettari distrutti e si sono estese con grande rapidità grazie soprattutto
ai venti che spirano nella zona, al gran caldo e al tipo di vegetazione
presente sul territorio che, secondo le autorità marocchine, avrebbe complicato
non poco le operazioni di spegnimento. Le fiamme sono divampate, per cause
ancora ignote, lunedì sera nei pressi del comune di Beni Kella, per poi
estendersi nel resto della regione del Ouazzane. Nonostante sin dalle prime ore
la gendarmeria reale marocchina sia stata messa in allerta e i 2 'Canadair'
(gli aerei speciali in grado di caricare grandi quantità di acqua)
disponibili si siano messi
in volo subito, le fiamme hanno continuato a
estendersi. Rispondendo
all'appello lanciato dal Re del Marocco, Mohammed VI, Spagna, Portogallo e
Francia hanno inviato uomini e mezzi per dare una mano a fronteggiare l'estendersi
del rogo. (R.G.)
STORICA SENTENZA ‘AMBIENTALISTA’ DI UN
TRIBUNALE IN GIAPPONE, CHE HA SOSPESO OGGI I LAVORI DI UNA NUOVA DIGA NELLA
BAIA DI ARIAKE, VOLUTA DAL GOVERNO
MA CONTESTATA DAI LOCALI PESCATORI DI ALGHE, PER TUTELARE
L’HABITAT MARINO
TOKYO. = Con una sentenza
storica, senza precedenti in Giappone, un tribunale ha bloccato oggi i lavori
di costruzione di una diga nella baia di Ariake voluta dal ministero dell'agricoltura e della pesca, riconoscendola
dannosa per l'ambiente e per il lavoro
dei pescatori della zona. La decisione del Tribunale distrettuale di Saga,
nell'isola meridionale di Kyushu, è stata accolta con le lacrime agli occhi e
grida di 'banzai' (evviva) da 106 pescatori di alghe. Sono in lotta da due anni
contro i piani del governo di allargare gli sbarramenti di cemento nella baia
di Ariake per ricavare più terreni coltivabili sottraendoli al mare. ''Al
momento, è riconoscibile un chiaro rapporto di causa-effetto tra i lavori di costruzione
della diga e il peggioramento della
situazione ambientale nel mare. La costruzione va fermata'', ha sentenziato il
giudice. Il ministero dell'Agricoltura si è rifiutato di fare commenti, ma il portavoce ufficiale del
governo del primo ministro Junichiro Koizumi, Hiroyuki Sonoda, ha indicato che
ci sarà un immediato ricorso contro la sentenza. Il mare di Ariake, un ex
paradiso ecologico giapponese, forniva da sempre la qualità più pregiata di
'nori', un'alga nera essiccata e ridotta in fogli sottilissimi, di largo uso
nella cucina giapponese e immancabile, come 'norimaki', nei piatti di sushi. Ma
a partire dal 2002, la pregiata alga nera si
è trasformata in un'alga gialla e dal gusto pessimo, con danni gravi per
i pescatori della zona. La causa - avevano sempre sostenuto i pescatori e gli
enti locali – era il complesso di dighe cominciato a costruire a partire dal
1997 per trasformare un vasto tratto di
mare in terreni coltivabili. Ma il governo ha sempre negato la possibilità di
una relazione tra la diga e il peggioramento della qualità delle alghe pescate
in quel mare. (R.G.)
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26
agosto 2004
- A cura di Barbara Castelli -
Sono
ormai al termine le operazioni di recupero delle 89 vittime dei due terribili
incidenti aerei avvenuti ieri in Russia: uno nella regione di Tula, l’altro nei
pressi di Rostov sul Don. Mentre il Paese sta vivendo una giornata di lutto per
le due sciagure, l’inchiesta prosegue. Il ministro dei Trasporti, Igor Levitin,
ha ammesso che “nessuna ipotesi è da escludere”. Giuseppe D’Amato:
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Ufficialmente non vi sono
commenti e si attendono i risultati dell’analisi delle scatole nere. Il
presidente Putin ha interrotto le ferie ed è tornato a Mosca. Ulteriori misure
di sicurezza sono state attuate in tutti gli aeroporti, in particolare nella
capitale. Con le elezioni presidenziali cecene, programmate per il prossimo
week-end, aleggia l’incubo terrorista. La compagnia aerea Sibir afferma che il
pilota del Tupolev 154 diretto a Soci ha azionato l’allarme dirottamento,
mentre l’ex KGB parla solo di un semplice Sos. Gli esperti della scientifica
hanno analizzato con estrema cura le carlinghe dei due Tupolev, in cerca di
tracce di esplosivo, ma tra le piste considerate vi è anche quella della scarsa
qualità del carburante fatto all’aeroporto Domodiedovo.
Da Mosca, per la Radio Vaticana,
Giuseppe D’Amato.
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Il detenuto David Hick,
catturato nel 2002 in Afghanistan mentre combatteva per i Talebani, è stato
incriminato ieri dal Tribunale militare speciale creato dagli Stati Uniti a
Guantanamo, per crimini di guerra, tentato omicidio e aiuto al nemico. L’australiano ha lo status di “combattente nemico”, come gli
altri 585 detenuti di Guantanamo.
“Se sei sfuggito questa volta ai nostri gladi, non sfuggirai una
seconda volta”. E’ la minaccia lanciata dai talebani afghani al segretario alla
Difesa americano, Donald Rumsfeld. Sul loro sito Internet, i guerriglieri
hanno, inoltre, assicurato di voler proseguire la ‘jihad’ contro gli americani.
Lo scorso 12 agosto, due razzi erano stati lanciati su una zona settentrionale
di Kabul e su un villaggio vicino, qualche ora dopo la visita di Rumsfeld al presidente
afghano, Hamid Karzai.
Un morto e almeno 19 feriti: è il bilancio dell’esplosione di una
bomba oggi in un mercato distrettuale della provincia thailandese di
Narathiwat. L’episodio di violenza si registra alla vigilia della visita del primo
ministro, Thaksin Shinawatra, nel sud della Thailandia, a maggioranza
musulmana.
Attentato nel nord-est dell’India. La
deflagrazione di una bomba su un autobus ha causato oggi la morte di due
persone e il ferimento di altre 33. Si tratta del terzo attentato in un mese
nello Stato dell’Assam. Nessuno ha finora rivendicato l’azione terroristica, ma
la polizia sospetta militanti fuorilegge del Fronte di liberazione unito
dell’Assam.
Cinque palestinesi, ricercati da Israele, sono stati arrestati la
scorsa notte dall’esercito in diverse località della Cisgiordania. Tra gli
arrestati figura anche una palestinese appartenente alle Brigate dei Martiri di
Al Aqsa. Secondo i servizi di sicurezza, la donna catturata a Nablus intendeva
compiere un attentato suicida in Israele.
Ferenc Gyurcsany, un carismatico miliardario che ha proclamato di
voler aiutare i poveri, sarà il prossimo primo ministro ungherese. Lo ha deciso
ieri il Partito Socialista, in maggioranza al parlamento di Budapest. Il
43.enne succede a Peter Medgyessy, che ieri ha annunciato le proprie dimissioni
dall’incarico di capo del governo. Gyurcsany ha ricevuto 466 voti, contro i 166
di Peter Kiss.
Veniamo alla crisi nella regione sudanese del Darfur, per
la quale proseguono in Nigeria i colloqui di pace. Khartoum ha reso noto oggi
che non terrà conto dello scadere dell’ultimatum lanciato dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, previsto per la fine di agosto, per privilegiare
le trattative con i rappresentanti dell’Unione Africana. Il Sudan ha accettato,
inoltre, un incremento della presenza del contingente dell’Ua nella regione.
Altri 150 soldati nigeriani dovrebbero giungere lunedì nel Darfur per vigilare
sul cessate-il-fuoco. Il servizio di Giulio Albanese:
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“Per proteggersi dall’attacco
dei ribelli che hanno insanguinato la regione, gli abitanti del Darfur
potrebbero avere bisogno di ulteriori soldati africani, oltre a quelli che già
vigilano sulla sicurezza degli osservatori dell’Unione Africana, e il nostro
governo è d’accordo”. Ha detto così il ministro dell’Agricoltura sudanese, Majzoub Al-Khalifa, a margine della terza
giornata di colloqui di pace, in corso ad Abuja, in Nigeria, tra governo sudanese
e ribelli del Darfur. Il ministro, capo negoziatore per il Sudan, ha assicurato
che il suo governo si assumerà la responsabilità della protezione dei civili.
Intanto, la Commissione Europea ha deciso ieri di destinare 20 milioni di euro
in aiuti umanitari alle vittime della crisi nella regione del Darfur. I
finanziamenti forniranno cibo, accesso ad acqua potabile, riparo e servizio
sanitario alla popolazione.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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La guerra nel nord Uganda
continua a provocare vittime. L’esercito di Kampala ha annunciato questa
mattina di avere ucciso 14 guerriglieri dell’Esercito di resistenza del signore
in uno scontro a Parajok, nella parte sudanese del confine. Altri 18 ribelli
sarebbero stati catturati. E’ arrivata, intanto, nel Paese africano una
delegazione della Corte penale internazionale, con il compito di accertare i
crimini di guerra compiuti dalla guerriglia.
Trasferiamoci nello Zimbabwe. Il principale partito di
opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), ha annunciato
ieri di non aver intenzione di partecipare alle prossime elezioni. L’Mdc accusa
il presidente, Robert Mugabe, di non aver ancora attuato una “vera” riforma
elettorale.
Il Burundi ha riaperto oggi la frontiera con la Repubblica
Democratica del Congo. Il confine era stato chiuso, dopo il 15 agosto scorso,
in seguito al massacro nel campo profughi di Gatumba, dove sono stati uccisi
159 tutsi congolesi. L’azione è stata rivendicata dalle Forze nazionali di liberazione,
ribelli hutu.
Il tifone Aere, che ha già causato la morte di oltre trenta
persone in Giappone e a Taiwan, con venti che soffiano a 110 km l’ora, si
appresta a colpire lo Zhejiang, la regione cinese in cui il tifone Raninim ha
ucciso oltre 160 persone, poco più di una settimana fa. Le autorità cinesi
hanno evacuato oltre
mezzo milione di persone.
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