RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 239 - Testo della trasmissione di giovedì 26 agosto 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Camminare verso la Santità, evitando l’idolatria delle mode e dei miti del mondo: l’invito di Giovanni Paolo II ai giovani per la prossima GMG di Colonia, in programma nell’agosto del 2005

 

Il dolore del Santo Padre per le 89 vittime dei due disastri aerei in Russia.

 

Il cordoglio del Papa per la scomparsa del cardinale Marcelo Gonzáles Martín, arcivescovo emerito di Toledo

 

Oggi, l’icona della Madre di Dio di Kazan è nella Basilica di San Pietro alla venerazione dei fedeli. Dopodomani, nella Cattedrale della Dormizione al Cremlino, sarà consegnata al patriarca ortodosso Alessio II: ai nostri microfoni mons. Brian Farrell e con mons. Michel Berger.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

In Iraq ancora violenza anche nel giorno della marcia della pace su Najaf, promossa da al Sistani, arrivato nella città santa: ai nostri microfoni Khaled Fouad Allam

 

L’incontro del premier italiano Berlusconi con il colonnello Gheddafi, ieri sera in Libia: secondo il neo commissario europeo Buttiglione, é un passaggio sulla via della riammissione della Libia “come partner a pieno titolo in un sistema di cooperazione internazionale mediterranea'': intervista con Federiga Bindi

 

Ai Giochi di Atene, cresce l’attesa per Italia-Iraq, evento tra calcio e politica: la riflessione di Massimo Gramellini. A casa con la medaglia d’oro: con noi il campione nel tiro con l’arco, Marco Galiazzo

 

Le ACLI compiono 60 anni: ci spiega le nuove sfide politiche e sociali il presidente Luigi Bobba.

       

        Si conclude questa sera alla Cittadella di Assisi il 62.mo corso internazionale di studi: ce ne parla l’ingegner Marco Marchini

 

CHIESA E SOCIETA’:

Pressante appello dei vescovi del Sudan perché il popolo “venga soccorso nel presente travaglio”. Preoccupati in particolare per la regione occidentale del Darfur i presuli invocano aiuto dall’ONU e dalla Comunità internazionale

 

Un’altra giornata ricca di spunti al Meeting per l’amicizia tra i popoli. In particolare oggi interventi di protagonisti di aree problematiche dello scenario internazionale

 

Giungerà il 10 settembre, nel Museo Mart di Rovereto, dopo San Pietroburgo, la grande mostra dedicata a Joan Miro’: oltre 100 le opere esposte del pittore e scultore catalano

 

Oltre 4 mila ettari di foresta distrutti nelle ultime 48 ore in Marocco: soccorritori internazionali sono all’opera per domare le fiamme

 

Storica sentenza ‘ambientalista’ di un tribunale in Giappone, che ha sospeso i lavori di una nuova diga nella baia di Ariake, voluta dal governo ma contestata dai locali pescatori di alghe

 

24 ORE NEL MONDO:

Attentato nel sud della Thailandia alla vigilia della visita del primo ministro: una bomba in un mercato causa un morto e almeno 19 feriti

 

Proseguono i colloqui di pace per la crisi in Darfur, mentre il Sudan ha annunciato che non terrà conto dell’ultimatum delle Nazioni Unite

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

26 agosto 2004

 

 

ADORARE COME I MAGI L’UNICO VERO DIO E CAMMINARE VERSO LA SANTITA’,

EVITANDO L’IDOLATRIA DELLE MODE E DEI MITI DEL MONDO

CHE NON RIEMPIONO IL CUORE: L’INVITO DI GIOVANNI PAOLO II

AI GIOVANI DELLA PROSSIMA GMG DI COLONIA, IN PROGRAMMA NELL’AGOSTO 2005

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

Giovani di tutto il mondo a Colonia, sulla scia della volontà espressa dai Magi, partiti alla ricerca del Bambino: “Siamo venuti per adorarlo”. Sarà questo il tema della prossima Giornata mondiale della gioventù, la ventesima, in programma a Colonia dal 16 al 21 agosto del 2005. E’ stato reso noto il testo del messaggio che Giovanni Paolo II dedica all’evento e nel quale, in particolare, mette in guardia i giovani dai mille volti dell’idolatria, che possono oscurare la limpidezza della chiamata e della testimonianza cristiana. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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C’è una stella che guida la vita di ogni uomo, come guidò i Magi a Betlemme fino a una sconosciuta grotta, per raggiungere la quale i tre sapienti si erano lanciati “con coraggio per strade ignote”, lungo la rotta di “un lungo e non facile viaggio”. Una stella che illumina la strada che porta a Dio, talvolta attraversata dalle luci artificiali e fuorvianti dei miti creati dall’uomo. Ma proprio l’esperienza dei Magi insegna a “scrutare i segni con i quali Dio ci chiama e ci guida” e a seguirli con costanza.

 

E’ fondato su un gioco di opposti il Messaggio del Papa ai 700-800 mila giovani che esattamente tra dodici mesi riempiranno Colonia per la 20.ma Gmg, tre anni dopo l’ultimo incontro di Toronto. Della storia evangelica dei Magi, che una “pia tradizione” - ricorda il Pontefice - ne fa venerare le reliquie proprio nella grande città tedesca, Giovanni Paolo II pone all’attenzione dei giovani alcuni punti, a cominciare dalla povertà del Figlio di Dio, che “si è spogliato della sua gloria” per farsi adorare “sotto le povere apparenze di un neonato” e per donare all’uomo la salvezza e la rivelazione della gloria divina.

 

Un mistero di bontà - scrive il Papa - davanti al quale si resta “estasiati” e ci si chiede in che modo “rendere grazie”. Anzitutto prostrandosi, come i Magi, in adorazione: lo “stesso Bambino che vediamo adagiato da Maria nella mangiatoia - afferma il Pontefice -  è l’Uomo-Dio che vedremo inchiodato sulla Croce”. Noi, oggi, possiamo adorarlo nell’Ostia consacrata. “Preparatevi in modo adeguato – è l’invito di Giovanni Paolo II ai giovani - e accostatevi al Sacramento dell’Altare, specialmente in quest’Anno dell’Eucaristia che ho voluto indire per tutta la Chiesa”.

 

Ma attenzione - mette subito dopo in guardia il Papa - alla “tentazione costante dell’uomo”: l’idolatria. “Purtroppo - è la sua constatazione - c’è gente che cerca la soluzione dei problemi in pratiche religiose incompatibili con la fede cristiana”; o che cede alla forte spinta dei “facili miti del successo e del potere”; che aderisce “a concezioni evanescenti del sacro che presentano Dio sotto forma di energia cosmica, o in altre maniere non consone con la dottrina cattolica”. Giovani - esclama il Papa - “non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media”. Al contrario, fate “scelte coraggiose”, se necessario “eroiche”, per seguire Cristo verso la santità, perché – conclude il Pontefice – la Chiesa ha bisogno di “testimoni dell’amore contemplato in Cristo”, che sappiano raccontarlo a chi ancora lo scambia con “surrogati insignificanti”.

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IL CORDOGLIO DEL PAPA PER LE VITTIME DEI DISASTRI AEREI IN RUSSIA:

IN UN TELEGRAMMA IL PONTEFICE ESPRIME LA PROPRIA VICINANZA

“PER QUANTI SOFFRONO LA GRAVE PERDITA DEI LORO CARI”

 

Giovanni Paolo II ha espresso oggi tutta la propria vicinanza spirituale per i famigliari delle 89 vittime dei disastri aerei che ieri hanno colpito la Russia. In un telegramma, indirizzato al nunzio apostolico e rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa, l’arcivescovo Antonio Mennini, a firma del segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, il Papa manifesta i propri “sentimenti di vivo cordoglio alle autorità della Federazione russa, ai familiari e congiunti delle vittime”. Il Pontefice poi “prega per i defunti”, invocando “il conforto di Dio per quanti soffrono la grave perdita dei loro cari”. Il messaggio si conclude con uno “speciale saluto benedicente, in segno di particolare vicinanza spirituale”.

 

 

 

IL CORDOGLIO DEL PAPA PER LA SCOMPARSA

 DEL CARDINALE MARCELO GONZALES MARTIN, ARCIVESCOVO EMERITO DI TOLEDO, SPENTOSI IERI ALL’ETA’DI 86 ANNI

 

Un “pastore diligente”, che si è speso per “l’applicazione del Concilio Vaticano II e il rinnovamento della Chiesa”. Sono alcune delle parole di stima e di affetto con le quali Giovanni Paolo II ha espresso l’ultimo saluto nei riguardi del cardinale Marcelo González Martín, arcivescovo emerito di Toledo, in Spagna, spentosi ieri all’età di 86 anni, a Fuentes de Nava, dove si trovava per trascorrere il periodo estivo. Nel mettere in rilievo, in un telegramma di cordoglio, le doti di abnegazione a servizio della Chiesa, il Papa ha ricordato il “lavoro di dialogo e di concordia” operato dal porporato spagnolo, i cui funerali si svolgeranno sabato mattina 28 agosto nella cattedrale di Toledo. Nativo di Villanubla, nell’arcidiocesi di Vallodolid, dove aveva studiato nella Pontificia Università Comillas, il cardinale González Martín, era stato ordinato sacerdote all’età di 23 anni. Aveva insegnato poi nel suo stesso Seminario diocesano e nell'Università statale della stessa città, promuovendo molteplici iniziative pastorali e sociali. Contemporaneamente aveva percorso tutta la Spagna dirigendo esercizi spirituali e tenendo conferenze su temi di fede e di spiritualità. E’ stato nominato nel 1960 vescovo di Astorga, dove aveva fondato la "Radio Popular de Astorga" e l'Istituto diocesano di formazione e azione pastorale. Nel 1966 era divenuto ausiliare dell'arcivescovo di Barcellona, Gregorio Modrego, succedendogli l’anno dopo. Nei cinque anni di permanenza a Barcellona, si era attivato soprattutto per riorganizzare la diocesi ed intensificare l'azione pastorale. La sua intensa attività magisteriale si era concretizzata in oltre cento documenti pastorali su diverse questioni ed in circa ottocento prediche tenute nella cattedrale ed in varie parrocchie, poi raccolte e pubblicate in quattro volumi. Promosso nel 1971 alla sede primaziale di Toledo, aveva ricoperto importanti incarichi nell'ambito della Conferenza episcopale spagnola. Nel 1973 era stato creato cardinale, divenendo arcivescovo emerito di Toledo dal 23 giugno 1995. (R.G.)

 

 

 

PER TUTTA LA GIORNATA, L’ANTICA ICONA DELLA MADRE DI DIO DI KAZAN

E’ ESPOSTA NELLA BASILICA DI SAN PIETRO ALLA VENERAZIONE DEI FEDELI.

DOPODOMANI, NELLA CATTEDRALE DELLA DORMIZIONE AL CREMLINO,

LA DELEGAZIONE VATICANA INVIATA DAL PAPA

CONSEGNERA’ L’ICONA AL PATRIARCA ORTODOSSO ALESSIO II

- Intervista con mons. Brian Farrell e con mons. Michel Berger -

 

Da questa mattina e per tutta la giornata l’antica icona della Madre di Dio di Kazan è esposta nella Basilica di San Pietro alla venerazione dei fedeli. Dopo la solenne cerimonia di ieri, con la quale Giovanni Paolo II ha consegnato l’immagine al cardinale Walter Kasper con il compito di farne omaggio al Patriarcato ortodosso di Mosca, per l’effigie sacra oggi è l’ultimo giorno di sosta in Italia. Dopodomani, nella Cattedrale della Dormizione al Cremlino, la delegazione vaticana inviata dal Papa consegnerà l’icona al Patriarca ortodosso Alessio II. Tra i membri della delegazione guidata dal cardinale Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, figura anche il segretario del dicastero vaticano, il vescovo Brian Farrell. Ascoltiamolo nell’intervista di Giovanni Peduto:

 

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R. – Prima di tutto bisogna dire che restituire l’icona è un dovere perché appartiene alla Chiesa ortodossa russa e al popolo russo. Da quando è venuta a stare in mano ai cattolici, l’idea che un giorno avrebbe fatto ritorno nella sua patria è stata sempre presente. Per quanto riguarda il gesto del Santo Padre, nei confronti della Chiesa ortodossa russa e del popolo russo, rientra in una lunga storia di quello che il Papa ha chiamato ‘lo scambio di doni tra le Chiese’. Questo è un aspetto fondamentale del cammino ecumenico. Tutte le Chiese hanno valori in comune, ma anche ogni Chiesa ha un dono particolare che vuole partecipare agli altri e, tutti questi doni, in fondo, portano a Gesù che è centro ed inizio di tutto. L’icona della Madonna di Kazan, che adesso riporteremo a Mosca, rappresenta, pertanto, un’immagine, un aspetto della spiritualità profonda e tradizionale russa che molti cattolici in Occidente, nel pellegrinare di questa icona in diverse parti dell’Occidente, hanno potuto apprezzare e hanno imparato a stimare.

 

D. – Eccellenza, il Papa ha detto di aver tante volte pregato davanti a questa icona che era conservata nella sua cappella privata. Cosa può dirci di più?

 

R. – Tutti noi sappiamo quanto preghi il Santo Padre e quanto sia vicino alla Madre di Gesù. Penso che questa icona per lui abbia un valore particolare, un significato anche personale, in quanto tocca una parte anche della storia del suo popolo. Ed è anche, sicuramente, un simbolo, nella sua mente, di quel cammino ecumenico in cui si è impegnato sempre ed in modo particolare dall’inizio del suo Pontificato.

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         L’icona è per antonomasia una creazione dell’arte sacra bizantina, anche se in Occidente, da tempo, è in atto una riscoperta del valore di questo tipo di raffigurazioni. Alle icone più antiche è spesso legato un episodio cruciale della storia del Paese, che venera in quella particolare immagine il segno della provvidenza divina. E’ quanto accade per l’icona della Madre di Dio di Kazan, alla quale si attribuisce uno speciale intervento di protezione verso il popolo russo, all’epoca dell’invasione napoleonica. E’ quanto conferma, nell’intervista di Fabio Colagrande, mons. Michel Berger, sottosegretario della Commissione per i Beni Culturali della Chiesa ed esperto di arte bizantina:

 

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R. – Oltre alla sua origine miracolosa c’è il fatto che questa Madonna in quel periodo e soprattutto nel Seicento, Settecento ed Ottocento, periodo in cui la Russia moderna ha vissuto dei periodi molto difficili, la devozione nei confronti di questa Madonna si è rinforzata. Ci sono poi precisi avvenimenti storici, come la vittoria sull’invasione napoleonica: lo stesso generale Kustovof aveva preso con sé la Madonna, che era conservata nella Cattedrale di Kazan per proteggerla dalle eventuali furie dell’invasione napoleonica. La Madonna di Kazan è così diventata Colei che ha protetto e difeso la Russia da questi attacchi. Questo ha fatto sì che è diventata molto popolare. Non c’è infatti una sola casa dove non ci sia un’icona della Madonna di Kazan, che veniva offerta in regalo ai figli quando si sposavano.

 

D. – L’immagine, però, che viene donata alla Chiesa di Mosca dal Papa non è l’originale di questa icona ma una copia. Questa copia che valore artistico e di culto ha?

 

R. – Il valore cultuale è immenso. Anche se artisticamente la tavola in sé non è un granché dal punto di vista strettamente artistico, l’originale ha storicamente avuto un ruolo immenso nella storia e nella devozione del popolo russo. Tutto questo è dimostrato anche dalla preziosità dei gioielli degli ex-voto. Rappresenta una devozione non alla tavola di legno di tiglio, ma alla Madre di Dio, che si è manifestata nella città di Kazan e nella storia stessa della Russia in questi ultimi secoli.

 

D. – L’importanza ecumenica di questo gesto, di questa donazione ed anche i frutti che, secondo lei, possono nascere da questo gesto?

 

R. – L’importanza forse sta nel fatto che la consegna di questa icona si è fatta, tutto sommato, in modo molto discreto. Può darsi che questa dimensione ascetica e senza trionfalismi porterà frutti abbondanti e soprattutto questa riconciliazione, questa ricompresione che noi speriamo avvenga tra Oriente ed Occidente cristiano.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

La prima pagina si apre con il messaggio di Giovanni Paolo II per la XX Giornata mondiale della Gioventù. 

Due telegrammi di cordoglio del Papa: per le vittime delle sciagure aeree avvenute in Russia; per la morte del cardinale Marcelo González Martín. 

 

Nelle vaticane, il Canto delle Lodi mattutine in onore della Beata Vergine Maria presieduto nella Basilica Vaticana dall'arcivescovo Leonardo Sandri: l'Icona della Madre di Dio di Kazan' continua a brillare nel cielo della storia.

 

Nelle estere, in evidenza l'Iraq, insanguinato da una nuova strage; proiettili di mortaio colpiscono la moschea di Kufa, provocando 25 morti.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Patruno dal titolo "C'è ancora spazio in Tv per il volontariato?": in margine al pellegrinaggio del Papa a Lourdes.

 

Nelle italiane, in primo piano la vicenda del giornalista rapito in Iraq: vibrante appello dei figli trasmesso in Tv.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

26 agosto 2004

 

 

IN IRAQ ANCORA VIOLENZA ANCHE NEL GIORNO DELLA MARCIA DELLA PACE SU NAJAF, PROMOSSA DA AL SISTANI, CHE E’ ARRIVATO NELLA CITTA’ SANTA

- Intervista con Khaled Fouad Allam -

 

In Iraq, il dramma della violenza continua a devastare il Paese anche nel giorno della marcia della pace su Najaf, promossa dal grande ayatollah Al Sistani, da poco arrivato nella città santa.  Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Un’ennesima strage ha colpito l’Iraq: almeno 25 persone sono rimaste uccise ed oltre 60 ferite in seguito a violente esplosioni che hanno sconvolto la moschea di Kufa. Nel tempio si erano radunati centinaia di sostenitori del leader radicale sciita, Moqtada al Sadr, che si stavano preparando a raggiungere la vicina Najaf, città dove sono asserragliati proprio i miliziani dell’esercito del Mahdi. Altre 20 persone sono morte stamani, sempre a Kufa, quando colpi di arma da fuoco hanno preso di mira un corteo organizzato per salutare Al Sistani, la massima autorità spirituale sciita che ha invitato tutti gli iracheni a marciare sulla città santa. L’emittente televisiva al Arabiya ha riferito che l’ayatollah, accompagnato da migliaia di seguaci, è da poco arrivato a Najaf. E per consentire al religioso di avviare una mediazione con Al Sadr che ponga fine ai combattimenti tra truppe americane e forze regolari irachene contro i guerriglieri dell’esercito del Mahdi, il governatore della città santa ha deciso di decretare un cessate-il-fuoco di 24 ore. Il premier iracheno, Iyad Allawi, ha dichiarato, inoltre, che sarà offerta una tregua a Moqtada al Sadr e ai suoi miliziani se accetteranno di deporre le armi e di abbandonare il mausoleo dell’imam Ali. Un commando di estremisti islamici ha annunciato, infine, il rapimento di due parenti del ministro della Difesa, Hazim al Shalaan, chiedendo in cambio della sua liberazione il ritiro delle forze americane da Najaf.

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Ma l’arrivo a Najaf dell’ayatollah al Sistani riuscirà a convincere i miliziani sciiti ad accettare un compromesso? Fabio Colagrande lo ha chiesto a Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano nelle Università di Urbino e Trieste:

 

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R. – Di per sé la presenza dell’Ayatollah Al Sistani è molto importante. L’autorità è indiscutibile dal punto di vista della comunità sciita. Il problema è la gestione del conflitto all’interno del mausoleo. Il tentativo di al Sadr in realtà è quello di far entrare gli americani nel mausoleo, pensando che questo potrebbe far scatenare ovviamente una ribellione da parte della popolazione. Però, credo che sia un tentativo che non funzionerà.

 

D. – Possiamo dire che quella di al Sadr in qualche modo sia una battaglia sbagliata in partenza?

 

R. – E’ importante mettere in evidenza il fatto che al Sadr non sia Ayatollah e dunque non disponga di un’autorità religiosa. E’ presente questo importante blocco sociale fatto dalle sue milizie, che funzionano fino ad un certo punto perché il concetto di autorità religiosa è molto importante per gli sciiti. Penso che comunque sia una battaglia persa.

 

D. – Come spiega questa divisione in seno alla comunità sciita in Iraq?

 

R. – Queste divisioni sono sempre esistite. La storia delle dinastie dei militari sciiti definisce anche i posizionamenti di tipo ideologico e religioso. Al Sistani è un moderato che pensa sia possibile dividere il potere politico dal potere religioso, mentre al Sadr fa parte di questa linea estremamente importante e ricca della gerarchia sciita, che ha definito anni fa un rapporto stretto con la politica e che, dunque, ha radicalizzato lo scisma.

 

D. – Al Sadr ha un seguito anche per motivi legati alla povertà da parte delle fasce delle popolazioni che hanno più problemi sociali ed economici?

 

R. – Sì, il sottosviluppo sociale è estremamente legato a quello che è il sottoproletariato urbano della città di Najaf, dei quartieri sciiti e poveri di Baghdad. E là ovviamente trova il suo mezzo di reclutamento e costruisce il suo apparato sociale che funziona a metà, perchè manca questo forte rapporto con l’autorità religiosa.

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L’INCONTRO DEL PREMIER ITALIANO BERLUSCONI CON IL COLONNELLO GHEDDAFI,

IERI SERA IN LIBIA: SECONDO IL NEO COMMISSARIO EUROPEO BUTTIGLIONE,

E’ UN PASSAGGIO DECISIVO SULLA VIA DELLA RIAMMISSIONE DELLA LIBIA

“COME PARTNER A PIENO TITOLO IN UN SISTEMA

DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MEDITERRANEA''.

- Intervista con Federiga Bindi -

    

Faccia a faccia ieri sera, a Tripoli, tra il colonnello libico Muhammar Gheddafi ed il premier italiano, Silvio Berlusconi, accompagnato dal ministro dell’Interno, Pisanu. Nonostante il carattere ''informale'', è mancato infatti il protocollo ufficiale degli incontri bilaterali, la visita di Berlusconi e Pisanu al colonnello segna una tappa importante nei rapporti tra l'Italia e la Libia. Il tutto mentre l'emergenza sbarchi è al centro delle preoccupazioni italiane ma anche di quelle dell’Europa. La Libia è un Paese di transito per parecchi flussi migratori. E viene sempre ribadito che la ricetta per far sì che si riescano a governare le entrate dei regolari ed il contrasto all'ingresso dei clandestini passa attraverso aiuti allo sviluppo dei Paesi d'origine, ma anche di quelli di transito. Ma sulla cena di ieri sera Sirte, ascoltiamo Giampiero Guadagni:

 

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“D’ora in poi il popolo italiano e quello libico saranno amici per aiutare il proprio benessere e la propria libertà”. E’ la convinzione espressa dal premier Berlusconi che ieri sera ha incontrato a Tripoli il colonnello Gheddafi. Al centro dei colloqui i rapporti bilaterali tra i due Paesi, che negli ultimi tempi hanno avuto una evoluzione positiva e soprattutto dopo le aperture della Libia agli Stati Uniti anche nella lotta al terrorismo internazionale. Facendo seguito all’accordo dello scorso anno, Roma e Tripoli hanno in questa occasione ribadito il comune impegno contro l’immigrazione clandestina. Due i cardini dell’intesa, che sarà perfezionata a settembre: pattugliamenti congiunti – navali, terrestri ed aerei – dell’area libica, duemila chilometri di coste e quattromila di frontiere interne; l’istituzione di uno sportello a Tripoli per registrare gli immigrati pronti a partire per l’Italia. La collaborazione comprende anche l’aiuto allo sviluppo dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori. Il problema – hanno concordato Berlusconi e Gheddafi – non è solo italiano e libico ma europeo ed africano.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Da parte sua, il neocommissario UE agli Affari interni e alla Giustizia, Rocco Bottiglione, ha dichiarato che la cena di ieri sera è un passaggio decisivo sulla via della riammissione della Libia “come partner a pieno titolo dentro un sistema di cooperazione internazionale mediterranea''. Che significa coinvolgere la Libia dentro il sistema di accordi mediterranei? Cioè in che cosa consistono le cosiddette politiche Euromed? Fausta Speranza lo ha chiesto a Federiga Bindi, docente di Organizzazione politiche europee all’Università di Firenze:

 

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D. – Che significa coinvolgere la Libia dentro il sistema degli accordi mediterranei? In che cosa consistono oggi le cosiddette politiche Euromed?

 

R. – Le politiche Euromed sono una delle ultime realtà delle relazioni esterne dell’Unione Europea e al tempo stesso una delle più grosse sfide che noi abbiamo, visto il problema dell’immigrazione illegale e tutti i problemi che ci vengono dal Nord Africa. Il processo di Barcellona è formalmente nato nel 1995 sotto la presidenza spagnola, anche se la prima proposta di una cosa simile, cioè di una CSCM, come fu chiamata, fu proposta da De Michelis quando era ministro degli Esteri durante la presidenza italiana del ’91, rifacendosi a quella che era la CSCE, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. De Michelis appunto lanciò una CSCM alla Conferenza per la Sicurezza nel Mediterraneo. Al tempo nessuno gli diede grosso peso, mentre poi qualche anno dopo la presidenza spagnola riprese questa proposta, lanciata dal processo di Barcellona. Il processo di Barcellona ha tre scopi, tre goals fondamentali: creare una comunità mediterranea basata sulla pace e sul rispetto della democrazia e dei diritti umani; creare una zona di libero scambio entro il 2010; e promuovere la cooperazione e la comprensione reciproca tra le culture e i popoli del Mediterraneo. In questo la Libia è l’unico Paese della sponda sud del Mediterraneo a non essere parte integrante del processo.

 

D. – Questo fino ad oggi, ma qualcosa potrà cambiare proprio con gli ultimi sviluppi?

 

R. – Non sono esattamente gli ultimi sviluppi. Gli ultimi sviluppi – e mi riferisco all’inizio di agosto – hanno rotto l’ultimo muro. Le cose cominciano a cambiare in realtà già nell’’99, quando la Commissione comincia a fare i primi passi per riallacciare i rapporti con la Libia. Questa decisione del presidente Prodi fu al tempo anche abbastanza contestata. Poi però sulla base di questo, a Stoccarda, alla fine del ’99, i ministri degli Esteri decisero che qualora la Libia avesse voluto e avesse rispettato i principi che loro si erano dati avrebbe potuto diventare nel tempo un membro del processo di Barcellona. Dopo di che nel novembre del 2002 i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno deciso che fosse essenziale una cooperazione con la Libia e quindi hanno dato il mandato alla Commissione, responsabile per questo tipo di azioni, di condurre una vera e propria missione esplorativa nel maggio del 2003. Legata a questo c’è stata poi la decisione di affiliare la Libia come membro osservatore passivo al processo di Barcellona. Ci trovavamo così all’inizio di agosto. Cosa è successo ad agosto? Importante è che la Libia, le autorità libiche hanno deciso di riconoscere pienamente la responsabilità degli eventi di Berlino, quindi di rifondere i danni subiti. In questo modo, dunque si apre la possibilità di avere una vera e propria membership come per gli altri Paesi.

 

D. – In questo processo ricordiamo la visita di Gheddafi a Bruxelles. Al di là delle foto di circostanza, che ha significato quella tenda del colonnello piantata nel cuore istituzionale dell’Unione?

 

R. – Sicuramente ha rappresentato un riconoscimento nei confronti di Gheddafi. Gheddafi, prima, dopo e durante le sanzioni, quando sono state sospese, veniva comunque considerato persona non gradita. E quando il presidente Prodi cominciò le relazioni con la Libia fu molto criticato. Quindi, il ricevere Gheddafi a Bruxelles è cosa ben più significativa che mandare una missione della Commissione in Libia. E’ come dargli un riconoscimento formale e dirgli “noi siamo pronti da parte nostra, se voi volete fare la vostra parte per entrare”. Quindi, probabilmente è lì che poi è scattata la decisione di riconoscere i fatti di Berlino, che erano la conditio sine qua non di fatto, anche se non de iure, per entrare nel dialogo di Barcellona.

 

D. – Ricordiamo un momento questi fatti di Berlino?

 

R. – Nel 1986 scoppiò una bomba in una discoteca chiamata “La Belle”. I libici all’inizio negarono qualunque coinvolgimento. Mentre ora ai primi di agosto hanno fatto questa dichiarazione, nella quale riconoscono il loro coinvolgimento e quindi il fatto di voler risarcire le famiglie delle vittime.

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ANCORA CASI DI DOPING ALLE OLIMPIADI DI ATENE, MENTRE CRESCE

L’ATTESA PER ITALIA-IRAQ, EVENTO TRA CALCIO E POLITICA: LA RIFLESSIONE

 DEL GIORNALISTA MASSIMO GRAMELLINI. INTANTO C’E’ CHI

TORNA A CASA CON LA MEDAGLIA D’ORO: AI NOSTRI MICROFONI,

 IL CAMPIONE NEL TIRO CON L’ARCO, MARCO GALIAZZO

- Interviste con Massimo Gramellini e Marco Galiazzo -

 

Ultimi giorni di gare ad Atene e purtroppo, si registrano nuovi casi di doping ai Giochi: l'Ucraina ha perso la medaglia di bronzo conquistata nel “quattro donne” di canottaggio. Squalificato anche il pesista ungherese Zoltan Kovacs che si è rifiutato di sottoporsi al test antidoping. Intanto, mentre continua la sfida tra Cina e Stati Uniti per la conquista del maggior numero di medaglie, cresce l’attesa per Italia-Iraq, finale di calcio per il terzo posto, che si disputerà domani pomeriggio. Partita che, per la situazione internazionale, sembra rivestirsi di un significato superiore all’evento sportivo. D’altro canto, proprio la nazionale irachena è stata la più applaudita nella cerimonia d’apertura. Sulla partita e i suoi risvolti, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di Massimo Gramellini, editorialista del quotidiano La Stampa:

 

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R. – Come giornalista sono naturalmente propenso a non vedere in una semplice partita di calcio qualcosa di più attribuendogli un peso che, secondo me, forse non merita. Lo sport non può essere caricato di questi pesi. Mettere insieme calcio e politica crea spesso dei corti circuiti assurdi. E’ una partita di calcio! E’ bellissimo che l’Iraq giochi queste Olimpiadi ed io sinceramente, pur essendo assolutamente solidale per il dramma del popolo iracheno, tiferò per la squadra italiana.

 

D. – Vedremo, comunque, una differenza sostanziale tra i calciatori miliardari italiani e dei giocatori che riconquistano la dignità di poter giocare nelle Olimpiadi...

 

R. – Il primo effetto che, forse, vediamo dell’occidentalizzazione dell’Iraq viene proprio da questa nazionale. Leggevo un’intervista ad un loro calciatore che alla domanda: “Cos’è cambiato dai tempi di Saddam?”, ha risposto, molto sinceramente: “Lo stipendio”. Nel senso che ora guadagnano alcune centinaia di dollari al mese, cosa che ovviamente con Saddam non avveniva.

 

D. – E’ solo calcio, è solo sport ma bisogna dire che proprio in questi giorni il Comitato Olimpico ha criticato la decisione del presidente americano Bush che in un suo spot elettorale fa capire che se Iraq ed Afghanistan possono competere alle Olimpiadi da Paesi liberi è merito della Casa Bianca...

 

R. – L’iniziativa di Bush l’ho trovata veramente di scarsissimo gusto. Nel senso che se qualcuno pensa queste cose è liberissimo di farlo, ma che proprio lui sia a dirlo, questo mi sembra veramente di pessimo gusto. E’ una gara di sport e credo che sia necessario battersi per far sì che lo sport resti quello che è!

 

D. – L’allenatore della nazionale di calcio irachena ha lanciato un appello per la liberazione di Enzo Baldoni. Parole, queste, che forse rimarranno inascoltate, però il gesto è significativo?

 

R. – Il gesto è stato bellissimo. Se posso lanciare un messaggio, credo che sarebbe bello che sotto la maglietta dei giocatori italiani ci fosse un invito a liberare il nostro connazionale. In queste cose, effettivamente, lo sport parla un linguaggio universale, che non ha bisogno di parole e di commenti.

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 Intanto, c’è chi si gode il meritato riposo dopo aver conquistato il gradino più alto del podio. E’ Marco Galiazzo, il 21enne padovano medaglia d’oro ad Atene nel tiro con l’arco. Alessandro Gisotti gli ha chiesto se è cambiata la sua vita dopo il trionfo olimpico e soprattutto come è nata la passione per uno sport così poco diffuso:

 

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R. – E’ nata per caso. Quando ho cominciato a tirare, mi piaceva e allora ho continuato a farlo.

 

D. – Marco, il tiro con l’arco, come molti altri sport, vengono considerati purtroppo minori, però, sono poi quelli che portano le medaglie d’oro. Come ci sente ad essere sotto i riflettori soltanto in un appuntamento importante come le Olimpiadi?

 

R. – Questo è brutto, perché non si ha considerazione degli sport minori finché non arriva una medaglia alle Olimpiadi. A me dispiace.

 

D. – Qual è la difficoltà per un atleta alle prese con il tiro con l’arco?

 

R. – Fare il movimento, il gesto atletico sempre uguale. Bisogna anche tener conto di come tira il vento, perché tirando a lunga distanza e non avendo la freccia la stessa velocità di un proiettile, è necessario fare un po’ di calcoli e non è facile.

 

D. – Cosa resta di questo trionfo ad Atene?

 

R. – La festa che mi hanno fatto e poi la soddisfazione ad essere l’unico ad aver preso la medaglia d’oro nel tiro con l’arco ed anche il più giovane.

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60 ANNI FA NASCEVANO LE ACLI.

OGGI A ROMA UN CONVEGNO SULLE NUOVE SFIDE

PER I CRISTIANI IMPEGNATI NEL SOCIALE

- Ai nostri microfoni Luigi Bobba -

 

''Il partito unico dei cattolici? Irreale e velleitario'': così Luigi Bobba, presidente delle ACLI, che celebrano proprio oggi il 60° anniversario della loro fondazione, giudica l'idea di dar vita ad un nuovo partito cattolico che raccolga l'eredita' della DC. A Roma, stamani, in un convegno sono stati ricordati i passi che portarono alla creazione nel 1944 delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane. Alessandro Guarasci:

 

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Guardare al passato per costruire il futuro. Le ACLI compiono 60 anni e, forti della loro storia, progettano le sfide politiche e sociali degli anni che verranno. Nel Convegno di oggi, a Roma, per l’occasione, il presidente Luigi Bobba ha ribadito il suo ‘no’ a qualsiasi progetto di formazione di rinnovo di partito unico dei cattolici, ma allo stesso tempo ha rivendicato l’autonomia culturale e sociale dei cristiani che – ha detto- rappresenta una ricchezza per l’autonomia dell’Italia intera. “Comunque, questo non vuol dire che le ACLI si limiteranno a fare da portatori d’acqua a questo o a quel partito” ha ribadito il presidente, aggiungendo come le ACLI intendono impegnarsi:

 

“Creando percorsi comuni, pensieri comuni, azioni comuni. C’è una stagione nuova di fronte a noi. Non ci sentiamo orfani del partito unitario dei cattolici, come è stato nella stagione passata. Possiamo, vogliamo e dobbiamo costruire percorsi insieme che esprimano una comune identità culturale. Credo che riattingere all’entusiasmo di chi aveva pensato le ACLI come una possibilità di far crescere la coscienza civile degli italiani, in particolare delle persone che lavorano, sia ancora un compito attualissimo”.

 

Bobba ha poi salutato con favore l’abbraccio al Meeting di Rimini tra CL ed Azione Cattolica, ma ha fatto notare che non si tratta di un caso isolato, visto che da tempo le Associazioni cristiane dialogano e collaborano su vari piani. Ma su quali aspetti vogliono le ACLI operare per gli anni che verranno? E’ stato spiegato che serve, innanzitutto, governare i cambiamenti del mercato del lavoro caratterizzato da contratti sempre più flessibili, poi fare attenzione al mondo dell’immigrazione rivedendo la legge Bossi-Fini, ed infine, potenziare all’estero l’azione delle ACLI, già presenti in 40 Paesi.

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SI CONCLUDE QUESTA SERA ALLA CITTADELLA DI ASSISI

IL 62.MO CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI. TEMA SCELTO QUEST’ANNO:

‘APRIRE UN VARCO ALLA SPERANZA’

- Intervista con l’ingegnere Marco Marchini -

 

Una trentina di oratori, un folto pubblico da tutta Italia e dall’estero, una fitta tematica inerente alla speranza nel nostro mondo con tanti scenari di guerra, hanno caratterizzato ad Assisi il 62.mo Corso internazionale di Studi cristiani, proposto dalla Cittadella in collaborazione con la Comunità di Bose, con Pax Christi e l’editrice Queriniana. Ma che cosa rappresenta la Cittadella di Assisi, fondata da Don Giovanni Rossi? Lo spiega l’ingegner Marco Marchini, nell’intervista di Giovanni Peduto:

 

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R. – La Cittadella cristiana di Assisi ha voluto essere nella mente del nostro fondatore come una moderna abbazia. Come nel Medioevo c’erano le antiche abbazie, che erano luogo di incontro e di dialogo di diverse culture e religioni, così la Cittadella vuole essere un luogo di incontro e di dialogo con persone di diverse culture, diverse appartenenze religiose.

 

D. –Chi era Don Giovanni Rossi?

 

R. – Don Giovanni Rossi era un prete milanese, che è stato per 12 anni segretario del cardinal Ferrari, che lui chiamava “il mio santo cardinale”, che poi è stato beatificato. Proprio al fianco del cardinal Ferrari ha assorbito questa capacità di dialogo, soprattutto con il mondo culturale, che ha poi conservato qui in Assisi.

 

D. – Cosa resta oggi dello spirito di don Giovanni Rossi?

 

R. – Credo che lo spirito più significativo sia quello della capacità di accoglienza delle persone, di rispetto per tutti, e la capacità di dialogare con qualsiasi persona. La caratteristica che ha scandito il tempo nella Cittadella è stato proprio il dialogo con i liberal massoni in un primo tempo, poi con il mondo marxista e adesso con le grandi religioni.

 

D. – Quali sono le finalità di questi corsi, che ogni anno organizzate a fine agosto?

 

R. – Quella di affrontare le tematiche più cocenti del mondo di oggi, tipo la ‘speranza’, che sembra proprio una sfida. Di fronte ad un mondo che è disperante e disperato, può suonare infatti come una parola di sfida. La finalità è, dunque, quella di dare la capacità soprattutto al credente e al cristiano di cogliere dove stia andando la storia per capire come essere operatori di speranza, di fede e di carità, dentro alle pieghe della storia del mondo di oggi.  

 

D. – Quali contenuti sono emersi dal corso appena concluso?

 

R. – I contenuti emersi sono quelli di una rilettura del discorso della speranza, a livello cristiano perché Cristo è la nostra speranza, ma anche come virtù eversiva, cioè in grado di provocare un cambiamento dentro la cultura dell’uomo contemporaneo. Se si ha fede nel Cristo, si può vivere la speranza. E se si vive la speranza, bisogna andare alle fondamenta e alle radici che sono nella fede.

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CHIESA E SOCIETA’

26 agosto 2004

 

 

PRESSANTE APPELLO DEI VESCOVI DEL SUDAN

 PERCHE’ IL POPOLO “VENGA SOCCORSO NEL PRESENTE TRAVAGLIO”.

PREOCCUPATI IN PARTICOLARE PER LA REGIONE OCCIDENTALE DEL DARFUR,

 I PRESULI INVOCANO DALL’ONU E DALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

UN RISOLUTO INTERVENTO

 

JINIA.= Preoccupati per la “tragica situazione in Darfur”, i vescovi cattolici del Sudan, riuniti a Jinja in Uganda, località facilmente accessibile per tutti loro, hanno rivolto un appello pressante e urgente all’ONU, alla comunità internazionale, al governo sudanese, ai due movimenti dei ribelli sudanesi Liberation Movement- Army (Slm-a) e Justice and Equality Movement (JEM). In un comunicato,  diffuso stamane dall’agenzia Misna, i presuli chiedono che  “il popolo del Sudan venga soccorso nel suo presente travaglio”, invitando “ tutti coloro che anelano alla giustizia e alla pace ad offrire preghiere ed assistenza per il popolo sofferente del Darfur”. “Già nell’ultimo anno e mezzo - scrivono i presuli - circa 35mila persone hanno perso la vita e si prevede che questo numero possa aumentare nei prossimi giorni a causa dell’ostruzionismo incontrato dagli enti di soccorso”. I vescovi si rivolgono prima di tutto all’ONU e alla comunità internazionale “affinché esercitino pressioni sul governo del Sudan non solo perché smetta di armare i Janjaweed ma anche perché li disarmi e porti i responsabili di fronte alla giustizia”. Rivolgendosi al governo di Khartoum, i vescovi chiedono che “spalanchi le porte” agli enti umanitari, “rispetti la dignità dei suoi cittadini, negozi una soluzione giusta e pacifica del conflitto”. Ai due movimenti ribelli i vescovi ricordano che “non è la guerra il modo migliore di affrontare le loro rivendicazioni…perché guerra e uccisioni non risolvono i problemi”. Alla comunità internazionale si chiede un’azione che salvi gente innocente”. Nel comunicato si aggiunge che il caso del Darfur non dovrebbe mettere in stallo i colloqui di pace di Naivasha (Kenya) per il sud Sudan. “Vogliamo qui sottolineare – afferma il comunicato dei vescovi sudanesi – che è contraddittorio negoziare la pace con alcuni mentre altri vengono totalmente eliminati…ribadiamo che qualsiasi pace senza giustizia non è pace”. (R.G.)

 

 

E’ UN’ALTRA GIORNATA RICCA DI SPUNTI AL MEETING PER L’AMICIZIA TRA I POPOLI

ATTESA PER GLI INTERVENTI DI PROTAGONISTI DI AREE CALDE

 DELLO SCENARIO INTERNAZIONALE, TRA CUI IL SUDAN

- Il servizio da Rimini del nostro inviato Luca Collodi -

 

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RIMINI. = La sfida della pace interroga l’Africa. Il vice-presidente del Sudan, Osman Taha, oggi al Meeting, ricorda come in 48 anni di indipendenza il Paese abbia vissuto almeno 38 anni di guerra civile. Oggi gli accordi con l’Esercito di liberazione del Sudan, che prevedono l’autogoverno del Sud del Paese, garantiscono un futuro di progresso. Sul Darfur, Osman Taha ha voluto chiarire come i disordini non siano di origine né etnica, né religiosa, ma legati a situazioni politiche locali. Per l’Uganda, l’arcivescovo di Gulu, mons. Odama ha ringraziato il Papa per gli sforzi compiuti per la pace. Una situazione però poco conosciuta a livello internazionale. “L’Uganda - ha spiegato mons. Odama – è martoriato dalla guerra a Nord e falcidiato da gravi emergenze sanitarie al Sud”. A nome del governo italiano, il sottosegretario all’interno Mantica si è detto disponibile ad ospitare in Italia incontri tra Uganda e Sudan, con tutte le parti interessate, per riportare la pace nella regione. Al Meeting c’è spazio anche per la dimensione religiosa e spirituale del miracolo. Il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, il cardinale Saraiva Martins ha ribadito come i medici non abbiano il compito di dichiarare miracolo un fatto, ruolo che spetta alla Congregazione dopo aver chiesto pareri scientifici anche a medici non credenti. Il cardinale Saraiva Martins spiega perché Giovanni Paolo II ha creato più santi rispetto a altri Papi: la risposta è da cercare nel Concilio Vaticano II, nella ‘vocazione universale alla santità’. “Ma il Papa – ha continuato –riconosce nella santità anche la strada più efficace per l’ecumenismo”. Nel pomeriggio l’incontro sul Medio Oriente tra i ministri degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese ed Israele, attesi alla Fiera di Rimini tra severe misure di sicurezza.

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GIUNGERA’ IL 10 SETTEMBRE, NEL MUSEO MART DI ROVERETO,

DOPO AVER FATTO TAPPA A SAN PIETROBURGO,

LA GRANDE MOSTRA DEDICATA A JOAN MIRO’:

 OLTRE 100 LE OPERE ESPOSTE DEL PITTORE E SCULTORE CATALANO

 

TRENTO. = Frutto di una collaborazione internazionale tra il Mart di Rovereto, la Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence in Francia e lo State Russian Museum di San  Pietroburgo, l'esposizione “Joan Mirò pittore e scultore” dal prossimo 10 settembre presenterà nella nuovissima struttura museale trentina oltre 100 opere, di cui 60 sculture, 5 dipinti e oltre 30 tra disegni, acquerelli e arazzi realizzati dall'artista catalano. La mostra di Rovereto seguirà la prestigiosa tappa allo State Russian Museum di San Pietroburgo, che segna la prima volta in assoluto per una mostra su Mirò in Russia. La tappa italiana sarà arricchita da alcuni importanti lavori, eccezionalmente prestati solo al Mart, tra cui una grande   scultura da giardino, intitolata “Personaggio”, un bronzo del 1970.  La selezione presenterà lavori tutti realizzati tra il 1960 e il 1977, quando ormai il maestro, spentosi nel 1983, era pienamente affermato a livello internazionale. Mirò scultore dunque, capace di reinventare e di reinterpretare la realtà, anche la più banale e quotidiana, con la sua vulcanica fantasia, il suo amore per la vita, il suo senso profondo della materia, sia essa bronzo, pietra o ceramica. E c’è poi Mirò pittore, pronto ad immettere nel ventesimo secolo la libertà delle emozioni e dell'invisibile, il prodigio della ‘mitologia’ che è nella natura e nelle cose, attraverso i segni e i colori dei suoi dipinti, dei disegni a carboncino o delle gouaches (R.G.)

 

 

 

OLTRE 4 MILA ETTARI DI FORESTA SONO ANDATI DISTRUTTI

NELLE ULTIME 48 ORE IN MAROCCO, NELLA LOCALITA’ DI IZARAN

IN PROVINCIA DI SIDI KACEM:

SOCCORRITORI INTERNAZIONALI TUTTORA ALL’OPERA PER DOMARE LE FIAMME

 

RABAT. = Sono oltre 4.000 gli ettari di foresta distrutti nelle ultime 48 ore          dal grande incendio divampato, lunedì notte scorso, nella foresta di Izaran, provincia di Sidi Kacem, nel nord del Marocco. Lo riferiscono fonti locali, precisando che in 24 ore le fiamme hanno raddoppiato il numero di ettari distrutti e si sono estese con grande rapidità grazie soprattutto ai venti che spirano nella zona, al gran caldo e al tipo di vegetazione presente sul territorio che, secondo le autorità marocchine, avrebbe complicato non poco le operazioni di spegnimento. Le fiamme sono divampate, per cause ancora ignote, lunedì sera nei pressi del comune di Beni Kella, per poi estendersi nel resto della regione del Ouazzane. Nonostante sin dalle prime ore la gendarmeria reale marocchina sia stata messa in allerta e i 2 'Canadair' (gli aerei speciali in grado di caricare grandi quantità di acqua) disponibili  si  siano messi  in  volo subito, le fiamme  hanno continuato a

estendersi. Rispondendo all'appello lanciato dal Re del Marocco, Mohammed VI, Spagna, Portogallo e Francia hanno inviato uomini e mezzi per dare una mano a fronteggiare l'estendersi del rogo. (R.G.)

 

 

STORICA SENTENZA ‘AMBIENTALISTA’ DI UN TRIBUNALE IN GIAPPONE, CHE HA SOSPESO OGGI I LAVORI DI UNA NUOVA DIGA NELLA BAIA DI ARIAKE, VOLUTA DAL GOVERNO

MA CONTESTATA DAI LOCALI PESCATORI DI ALGHE, PER TUTELARE L’HABITAT MARINO

 

TOKYO. = Con una sentenza storica, senza precedenti in Giappone, un tribunale ha bloccato oggi i lavori di costruzione di una diga nella baia di Ariake voluta dal   ministero dell'agricoltura e della pesca, riconoscendola dannosa  per l'ambiente e per il lavoro dei pescatori della zona. La decisione del Tribunale distrettuale di Saga, nell'isola meridionale di Kyushu, è stata accolta con le lacrime agli occhi e grida di 'banzai' (evviva) da 106 pescatori di alghe. Sono in lotta da due anni contro i piani del governo di allargare gli sbarramenti di cemento nella baia di Ariake per ricavare più terreni coltivabili sottraendoli al mare. ''Al momento, è riconoscibile un chiaro rapporto di causa-effetto tra i lavori di costruzione della diga e il   peggioramento della situazione ambientale nel mare. La costruzione va fermata'', ha sentenziato il giudice. Il ministero dell'Agricoltura si è rifiutato di fare   commenti, ma il portavoce ufficiale del governo del primo ministro Junichiro Koizumi, Hiroyuki Sonoda, ha indicato che ci sarà un immediato ricorso contro la sentenza. Il mare di Ariake, un ex paradiso ecologico giapponese, forniva da sempre la qualità più pregiata di 'nori', un'alga nera essiccata e ridotta in fogli sottilissimi, di largo uso nella cucina giapponese e immancabile, come 'norimaki', nei piatti di sushi. Ma a partire dal 2002, la pregiata alga nera si  è trasformata in un'alga gialla e dal gusto pessimo, con danni gravi per i pescatori della zona. La causa - avevano sempre sostenuto i pescatori e gli enti locali – era il complesso di dighe cominciato a costruire a partire dal 1997 per trasformare un  vasto tratto di mare in terreni coltivabili. Ma il governo ha sempre negato la possibilità di una relazione tra la diga e il peggioramento della qualità delle alghe pescate in quel mare. (R.G.)       

 

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24 ORE NEL MONDO

26 agosto 2004

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

Sono ormai al termine le operazioni di recupero delle 89 vittime dei due terribili incidenti aerei avvenuti ieri in Russia: uno nella regione di Tula, l’altro nei pressi di Rostov sul Don. Mentre il Paese sta vivendo una giornata di lutto per le due sciagure, l’inchiesta prosegue. Il ministro dei Trasporti, Igor Levitin, ha ammesso che “nessuna ipotesi è da escludere”. Giuseppe D’Amato:

 

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Ufficialmente non vi sono commenti e si attendono i risultati dell’analisi delle scatole nere. Il presidente Putin ha interrotto le ferie ed è tornato a Mosca. Ulteriori misure di sicurezza sono state attuate in tutti gli aeroporti, in particolare nella capitale. Con le elezioni presidenziali cecene, programmate per il prossimo week-end, aleggia l’incubo terrorista. La compagnia aerea Sibir afferma che il pilota del Tupolev 154 diretto a Soci ha azionato l’allarme dirottamento, mentre l’ex KGB parla solo di un semplice Sos. Gli esperti della scientifica hanno analizzato con estrema cura le carlinghe dei due Tupolev, in cerca di tracce di esplosivo, ma tra le piste considerate vi è anche quella della scarsa qualità del carburante fatto all’aeroporto Domodiedovo.

 

Da Mosca, per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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Il detenuto David Hick, catturato nel 2002 in Afghanistan mentre combatteva per i Talebani, è stato incriminato ieri dal Tribunale militare speciale creato dagli Stati Uniti a Guantanamo, per crimini di guerra, tentato omicidio e aiuto al nemico. L’australiano ha lo status di “combattente nemico”, come gli altri 585 detenuti di Guantanamo.

 

“Se sei sfuggito questa volta ai nostri gladi, non sfuggirai una seconda volta”. E’ la minaccia lanciata dai talebani afghani al segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld. Sul loro sito Internet, i guerriglieri hanno, inoltre, assicurato di voler proseguire la ‘jihad’ contro gli americani. Lo scorso 12 agosto, due razzi erano stati lanciati su una zona settentrionale di Kabul e su un villaggio vicino, qualche ora dopo la visita di Rumsfeld al presidente afghano, Hamid Karzai.

 

Un morto e almeno 19 feriti: è il bilancio dell’esplosione di una bomba oggi in un mercato distrettuale della provincia thailandese di Narathiwat. L’episodio di violenza si registra alla vigilia della visita del primo ministro, Thaksin Shinawatra, nel sud della Thailandia, a maggioranza musulmana.

 

Attentato nel nord-est dell’India. La deflagrazione di una bomba su un autobus ha causato oggi la morte di due persone e il ferimento di altre 33. Si tratta del terzo attentato in un mese nello Stato dell’Assam. Nessuno ha finora rivendicato l’azione terroristica, ma la polizia sospetta militanti fuorilegge del Fronte di liberazione unito dell’Assam.

 

Cinque palestinesi, ricercati da Israele, sono stati arrestati la scorsa notte dall’esercito in diverse località della Cisgiordania. Tra gli arrestati figura anche una palestinese appartenente alle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Secondo i servizi di sicurezza, la donna catturata a Nablus intendeva compiere un attentato suicida in Israele.

 

Ferenc Gyurcsany, un carismatico miliardario che ha proclamato di voler aiutare i poveri, sarà il prossimo primo ministro ungherese. Lo ha deciso ieri il Partito Socialista, in maggioranza al parlamento di Budapest. Il 43.enne succede a Peter Medgyessy, che ieri ha annunciato le proprie dimissioni dall’incarico di capo del governo. Gyurcsany ha ricevuto 466 voti, contro i 166 di Peter Kiss.

 

Veniamo alla crisi nella regione sudanese del Darfur, per la quale proseguono in Nigeria i colloqui di pace. Khartoum ha reso noto oggi che non terrà conto dello scadere dell’ultimatum lanciato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, previsto per la fine di agosto, per privilegiare le trattative con i rappresentanti dell’Unione Africana. Il Sudan ha accettato, inoltre, un incremento della presenza del contingente dell’Ua nella regione. Altri 150 soldati nigeriani dovrebbero giungere lunedì nel Darfur per vigilare sul cessate-il-fuoco. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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“Per proteggersi dall’attacco dei ribelli che hanno insanguinato la regione, gli abitanti del Darfur potrebbero avere bisogno di ulteriori soldati africani, oltre a quelli che già vigilano sulla sicurezza degli osservatori dell’Unione Africana, e il nostro governo è d’accordo”. Ha detto così il ministro dell’Agricoltura sudanese, Majzoub Al-Khalifa, a margine della terza giornata di colloqui di pace, in corso ad Abuja, in Nigeria, tra governo sudanese e ribelli del Darfur. Il ministro, capo negoziatore per il Sudan, ha assicurato che il suo governo si assumerà la responsabilità della protezione dei civili. Intanto, la Commissione Europea ha deciso ieri di destinare 20 milioni di euro in aiuti umanitari alle vittime della crisi nella regione del Darfur. I finanziamenti forniranno cibo, accesso ad acqua potabile, riparo e servizio sanitario alla popolazione.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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La guerra nel nord Uganda continua a provocare vittime. L’esercito di Kampala ha annunciato questa mattina di avere ucciso 14 guerriglieri dell’Esercito di resistenza del signore in uno scontro a Parajok, nella parte sudanese del confine. Altri 18 ribelli sarebbero stati catturati. E’ arrivata, intanto, nel Paese africano una delegazione della Corte penale internazionale, con il compito di accertare i crimini di guerra compiuti dalla guerriglia.

 

Trasferiamoci nello Zimbabwe. Il principale partito di opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), ha annunciato ieri di non aver intenzione di partecipare alle prossime elezioni. L’Mdc accusa il presidente, Robert Mugabe, di non aver ancora attuato una “vera” riforma elettorale.

 

Il Burundi ha riaperto oggi la frontiera con la Repubblica Democratica del Congo. Il confine era stato chiuso, dopo il 15 agosto scorso, in seguito al massacro nel campo profughi di Gatumba, dove sono stati uccisi 159 tutsi congolesi. L’azione è stata rivendicata dalle Forze nazionali di liberazione, ribelli hutu.

 

Il tifone Aere, che ha già causato la morte di oltre trenta persone in Giappone e a Taiwan, con venti che soffiano a 110 km l’ora, si appresta a colpire lo Zhejiang, la regione cinese in cui il tifone Raninim ha ucciso oltre 160 persone, poco più di una settimana fa. Le autorità cinesi hanno evacuato oltre mezzo milione di persone.

 

 

 

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