RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
231 - Testo della trasmissione di mercoledì 18 agosto 2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
Ai
Giochi di Atene, in primo piano il ritiro degli atleti greci Kenteris e Thanou:
ai nostri microfoni Alberto Zichittella e Paolo Bettini
CHIESA E SOCIETA’:
Possibile svolta nella crisi di Najaf in
Iraq. Al-Sadr avrebbe accettato le richieste della Conferenza nazionale
irachena
Gli
errori commessi devono ora essere superati: così Arafat sulla corruzione
nell’autorità nazionale palestinese. Attesa nel pomeriggio la riunione del
Likud sul futuro del governo Sharon
Possibile
sabotaggio alle elezioni presidenziali del prossimo 9 ottobre in Afghanistan.
18
agosto 2004
IL
RINGRAZIAMENTO DEL PAPA A DIO PER IL SUO PELLEGRINAGGIO A LOURDES
ALL’UDIENZA
GENERALE, DEDICATA AL SALMO 109
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
Un
Salmo “regale” e profetico, legato alla dinastia del re Davide, ma immagine del
re consacrato per eccellenza, Cristo. Sta qui il significato e l’importanza del
Salmo 109, spiegato questa mattina dal Papa ai circa 3500 pellegrini presenti
all’udienza generale a Castel Gandolfo. Davanti ai fedeli che gremivano il
cortile del Palazzo apostolico, Giovanni Paolo II ha anche ricordato momenti e
sensazioni del suo pellegrinaggio a Lourdes, lo scorso fine settimana. Sentiamo
Alessandro De Carolis:
**********
I
malati in cerca di speranza e i giovani in attesa di una parola di luce per la
loro vita, l’atmosfera spirituale e il calore della gente. I piccoli flash del
suo soggiorno a Lourdes sono tornati ad illuminare questa mattina, a Castel
Gandolfo, la catechesi di Giovanni
Paolo II, dedicata al Salmo 109, uno tra i più riproposti nel ciclo vespertino
della Liturgia delle Ore.
Distinto
in due parti, in entrambe l’interpretazione dei versetti si presenta a due
livelli. La prima parte fa riferimento - ha detto il Papa - al “rito di
intronizzazione di un sovrano”. Se ricordare la “generazione” divina di un re
faceva parte, nell’antichità, del protocollo di incoronazione, nella rilettura
cristiana del Salmo – ha affermato il Pontefice – quella stessa generazione
“diventa reale e presenta Gesù Cristo come vero Figlio di Dio”. La seconda
parte ha invece un contenuto “sacerdotale” e anche in questo caso dietro
l’immagine di Melkisedek, il sovrano-sacerdote di Salem, si coglie la figura
del Messia come “modello di un sacerdote perfetto e supremo”.
Un
Salmo profetico, dunque, ha proseguito il Papa. Cristo andava presentato: la
sua venuta al mondo, la sua morte e risurrezione. Lo stesso Sant’Agostino,
citato da Giovanni Paolo II, lo spiegò in un suo insegnamento: “Tutto questo
doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere
segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non
facesse spavento, ma fosse piuttosto accettato con fede ed atteso”:
“In
questa luce il Salmo diventa un canto luminoso innalzato dalla Liturgia cristiana
al Risorto nel giorno festivo, memoria della Pasqua del Signore”.
Nei
saluti in lingua francese, il Papa è tornato con la memoria a Lourdes, ringraziando
la “benevolenza di Dio” che gli ha consentito di recarsi in pellegrinaggio alla
Grotta di Massabielle. E nell’esprimere la sua riconoscenza alle autorità
francesi, ha soggiunto:
"JE REMERCIE
LA VERGIE BÉNIE POUR LE CLIMAT…
Ringrazio la Vergine per il clima
di profondo raccoglimento e di intensa preghiera di questo incontro, ricordo
con emozione la folla numerosa dei pellegrini, con in prima fila i malati
venuti a cercare conforto e speranza. Possano inoltre tutti i giovani presenti
serbare il ricordo di questo pellegrinaggio e trovarvi la forza di diventare
uomini e donne liberi in Cristo”.
Un grazie, il Pontefice lo ha rivolto
anche ai suoi connazionali, per averlo sostenuto con la loro preghiera durante
il soggiorno nella cittadella mariana. Infine, il Papa ha avuto parole di
affetto per i futuri sacerdoti del Seminario minore di Verona e per un gruppo
di scout provenienti dalla parrocchia di Santa Caterina in Betlemme, in questi
giorni ospiti della diocesi di Montepulciano.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina si apre con l'udienza generale: nel saluto ai fedeli francesi il ricordo
dell'esperienza del Santo Padre a Lourdes, vissuta tra una moltitudine di
pellegrini, e in primo luogo, i malati.
Allegato
al giornale un inserto speciale con i discorsi del Papa in lingua originale.
Nelle
vaticane, il Messaggio di Giovanni Paolo II al Maestro Generale dei Frati
Predicatori: pregare e riflettere sull'attuale situazione dell'Ordine e sui
compiti imposti dal carisma del Fondatore nella prospettiva delle sfide contemporanee.
Nelle
estere, Iraq: Najaf ancora segnata da sanguinosi combattimenti.
Somalia:
il Consiglio di Sicurezza dell'Onu proroga di sei mesi l'embargo sulle armi.
Due
pagine dedicate al cinquantesimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi:
gli articoli sono di Danilo Veneruso e di Armando Costa.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema dell'immigrazione.
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18
agosto 2004
NEPAL, KATMANDU ASSEDIATA DALLA
GUERRIGLIA MAOISTA:
UN MILIONE E MEZZO DI PERSONE SENZA CIBO
- Intervista con Aldo Daghetta -
Una città sotto assedio, dove presto mancheranno
anche i rifornimenti di cibo: Katmandu, capitale del Nepal, città di un milione
e mezzo di abitanti, è accerchiata dai ribelli maoisti, impegnati in
un’offensiva senza precedenti. I guerriglieri, che hanno costretto alla
chiusura numerosi alberghi ed aziende locali, minacciano di proseguire
l’attacco “a tempo indeterminato”, se il governo non accetterà di sedersi al
tavolo delle trattative. Andrea Sarubbi ne ha parlato con Aldo Daghetta,
responsabile del Nepal per Amnesty Italia:
**********
R. -
C’erano già stati altri fatti, altri grossi scioperi, altre bombe, anche nella stessa
capitale, però, diciamo che un vero e proprio assedio, come sembra quello che
c’è in questo momento, non c’era mai stato. Questa nuova escalation sicuramente porterà a nuove violenze sulla popolazione
civile.
D. – I
guerriglieri chiedono, in particolare, la chiusura di alcuni alberghi molto
famosi. Perché?
R. –
Teniamo presente che una delle fonti principali di reddito, proprio delle
classi agiate del Nepal, è il turismo. Vengono organizzati i tour per persone che vengono da tutto il
mondo per salire le montagne. E cercare di fermare questo flusso di stranieri è
una sorta di moneta di scambio che si chiede per raggiungere altri obiettivi.
Gli obiettivi sono sicuramente la liberazione di alcuni maoisti catturati: lo
scorso mese c’è stata una grossa azione, fatta nel Nepal Nord-Occidentale, in
cui l’esercito è riuscito a catturare alcuni centinaia di maoisti.
D. –
E’ un conflitto, quello in Nepal, che dura ormai da otto anni. Come si sta evolvendo
nell’ultimo periodo?
R. –
Nell’ultimo anno e mezzo la novità riguarda il fenomeno dei desaparecidos. Qui in Nepal, si sta
rivedendo quello che è accaduto in Cile e in Argentina negli anni ’70: tremila
persone scomparse, che solo in parte appartenevano ufficialmente alla
guerriglia maoista, ma che per la maggior parte erano persone civili accusate
di essere collaborazionisti. Allo stesso tempo, però, si deve parlare di
sparizioni o anche esecuzioni di massa da parte dei maoisti, nelle province che
occupano, ai danni della popolazione che viene a sua volta accusata di non dare
aiuti ai maoisti ma di sostenere, invece, il governo.
D. – E
in tutto questo la Comunità internazionale … ?
R. –
Continua a rimanere sorda e, anzi, abbiamo più volte visto interventi proprio
faziosi, nel senso che, per esempio, gli Stati Uniti hanno fornito qualcosa
come 50mila M16 all’esercito nepalese, mentre la Cina e l’India continuano ad
armare i maoisti. Diciamo che è una situazione in cui l’interesse, anche
dell’Occidente, sembra essere più che altro un interesse di potere economico
per cercare di avere un controllo, ma la popolazione civile non viene tenuta in
conto.
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AI GIOCHI DI ATENE, IN PRIMO
PIANO
IL RITIRO DEGLI ATLETI GRECI KENTERIS E THANOU.
AI NOSTRI MICROFONI, PAOLO BETTINI, MEDAGLIA D’ORO
NEL CICLISMO
RACCONTA L’EMOZIONE DEL SUO TRIONFO OLIMPICO
- A cura di Alessandro Gisotti -
Le imprese in vasca dei nuotatori australiani e statunitensi guidati da
Phelps e Thorpe hanno caratterizzato la giornata di ieri alle Olimpiadi di
Atene. Grande anche il risultato dell’italiana Federica Pellegrini, che a soli
16 anni ha ottenuto la medaglia d’argento nei 200 stile libero. Oggi invece le
competizioni sportive sono oscurate dal “caso” delle due stelle dell’atletica
ellenica. Konstantinos Kenteris e Catherina Thanou, al centro di un’intricata
vicenda relativa ai controlli antidoping mancati, si sono infatti
definitivamente ritirati dalle Olimpiadi. La decisione è stata presa dai due
atleti dopo l’incontro di questa mattina con la Commissione disciplinare del
Comitato olimpico internazionale. Dalla
capitale greca, Roberto Zichittella:
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I due
velocisti hanno dovuto chiarire come mai lo scorso 12 agosto hanno saltato un
controllo antidoping al Villaggio olimpico. I due atleti sono apparsi
davanti alla Commissione disciplinare assieme al loro allenatore, Christos Tzakos, e ad un avvocato. All’uscita Kenteris, che fu
campione olimpico a Sidney nei 200 metri di corsa, si è dichiarato del tutto
innocente. Poco dopo anche la Thanou ha annunciato il suo ritiro. La velocista,
medaglia d’argento a Sidney nei cento metri piani, ha detto che con l’affetto
del pubblico continuerà a partecipare a gare di atletica. Secondo
indiscrezioni, i due atleti si sarebbero difesi sostenendo che nessuno li aveva
avvisati del controllo anti doping previsto giovedì scorso.
Ricordiamo
che Kenteris e la Thanou, mentre venivano cercati per un controllo antidoping,
avevano lasciato il Villaggio olimpico per raggiungere il loro allenatore, poi
i due atleti erano stati ricoverati in ospedale per un misterioso incidente
motociclistico notturno. Kenteris e la Thanou hanno lasciato l’ospedale solo
ieri. Sull’intera vicenda, in particolare sulle circostanze dell’incidente
stradale, sta anche indagando la magistratura greca. Con il ritiro dai Giochi
di Kenteris e della Thanou si conclude finalmente una brutta storia che ha
gettato un’ombra sui primi giorni di queste Olimpiadi e scioccato l’opinione
pubblica greca.
Qui in
Grecia i due atleti sono popolarissimi e tutto il Paese si aspettava da loro grandi
risultati. In loro assenza i greci si stanno consolando con le medaglie d’oro
vinte nei tuffi sincronizzati e nel judo. Due vittorie già festeggiate con dei
francobolli celebrativi che ritraggono i volti dei vincitori.
Roberto
Zichittella da Atene, per la Radio Vaticana.
**********
La medaglia d’oro olimpica al collo e subito ad
allenarsi per un nuovo appuntamento da non perdere. E’ la storia del livornese
Paolo Bettini, che ad Atene ha conquistato l’alloro nella prova su strada di
ciclismo, ma che già guarda a Verona dove il 3 ottobre prossimo si disputerà il
Mondiale. Tanti sacrifici, dunque, ma anche emozioni e soddisfazioni nel
cercare di fare sempre meglio. Al microfono di Alessandro Gisotti, la medaglia
d’oro Paolo Bettini racconta come ci si sente a tornare a casa da campione
olimpico:
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R. –
Un grande piacere, una grande emozione e mi sto rendendo conto sempre di più
che una medaglia d’oro olimpica è qualcosa di più rispetto agli altri successi,
comunque, che avevo già ottenuto in carriera. La medaglia olimpica ti porta
fuori da quello che è il mondo abituale dello sport. Me ne sto accorgendo, appunto,
in questi giorni, rientrato a casa.
D. –
Paolo, il tuo successo è stato anche una vittoria di squadra per il supporto
dei tuoi compagni. Insomma, si può ancora credere nel motto ‘tutti per uno, uno
per tutti’?
R. –
Guarda, ieri sono andato forte io, ma se ho vinto è perché ho avuto, prima
ancora dei compagni di squadra, quattro amici che mi hanno permesso di stare
tranquillo tutto il giorno durante tutta la gara. Quel motto è ancora molto
valido, perché se un gruppo di atleti, un gruppo di amici, un gruppo di persone
vuole una cosa, è normale che, se si riuniscono le forze, si fa lo stesso
fatica, ma la fatica viene ripartita fra tutti e c’è alla fine anche più gusto
ad accogliere il successo. Non dico che viene più facile, ma con più armonia,
sì.
D. –
Vincere una medaglia d’oro e non potersi riposare neanche un po’ perché il
mondiale è alle porte. Come sopporti questa tensione psicologica oltre che
atletica?
R. –
La stagione del ciclismo è sempre molto intensa. Quest’anno lo è di più, perché
fra tutti gli impegni che abbiamo c’era questa Gara olimpica, però ci sono
altri obiettivi che già mi ero prefissato all’inizio di questa stagione. Domenica
ci sarà la prova estiva della Coppa del mondo a Zurigo. Ieri, è venuta una
medaglia olimpica molto molto importante, però sarebbe anche un peccato non
provare a lottare domenica, vista la mia condizione attuale. E diciamo che per
una settimana si può riuscire a rimanere concentrati anche dopo un risultato
così importante.
D. –
Il ciclismo ha vissuto momenti difficili negli ultimi tempi, però resta uno
sport coinvolgente come ai tempi in cui l’Italia si divideva in due per Bartali
o Coppi e le immagini erano in bianco e nero. Perché, secondo te?
R. –
Il ciclismo ha pagato sicuramente più di altri sport, forse perché è l’unico
sport dove veramente si applicano i controlli. E’ normale che dove si controlla
di più è anche più facile trovare qualcuno che cerca di fare il furbo. Il
ciclismo, comunque, rimane nel cuore della gente, perché ha una storia profonda
nel nostro Paese, un Paese di pedalatori, di ciclisti, bene o male, sia
agonistici che per passione. Forse proprio dai tempi di Bartali e Coppi, che
praticamente hanno infiammato i cuori di milioni di italiani, di persone, c’è
questa tradizione, e io penso proprio che non morirà mai.
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NON È SOLTANTO L’ITALIA A DOVER AFFRONTARE LE
DIFFICOLTÀ
LEGATE AI FLUSSI
MIGRATORI CHE ATTRAVERSANO IL MEDITERRANEO.
GUARDIAMO A MALTA,
NEO-MEMBRO DELL’UE E AL SUO IMPEGNO
PER LE EMERGENZE DEGLI
SBARCHI DI MASSA E LA GESTIONE DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA
In
questi giorni d’estate torna spesso la notizia di sbarchi di clandestini su
imbarcazioni di fortuna sulle coste italiane e, purtroppo, a volte con tragici
risvolti. Ma non è soltanto l’Italia a dover affrontare le difficoltà legate ai
flussi migratori che attraversano il Mediterraneo. Malta, neo-membro dell’UE,
spende l’equivalente di 2,3 milioni di euro l’anno per provvedere alla gestione
dei centri di accoglienza e far fronte alle emergenze degli sbarchi di massa.
E’ solo un dato per cercare di fotografare la situazione dell’isola. Ascoltiamo
Omar Grech, ricercatore presso l’Accademia maltese di studi diplomatici,
intervistato da Stefano Leszczynski:
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R. -
Attualmente la situazione si avvicina un po’ all’emergenza: praticamente ogni
giorno giornali, telegiornali parlano di nuovi sbarchi di immigrati e clandestini.
La verità è che questi centri di accoglienza sono pieni e adesso c’è un
problema, perché alcuni clandestini vengono accolti in centri di detenzione,
con i limiti che poi vengono fuori.
D. –
Ecco, problema molto simile a quello che affronta l’Italia e anche le
direttrici seguite da questi flussi di immigrati sono le stesse …
R. – I
Paesi di provenienza sono più che altro il Sudan, l’Eritrea e la Somalia, però
il punto da cui partono con le loro barche è sempre la Tunisia e la Libia.
D. –
Qual è la posizione di Malta nei confronti dei Paesi di partenza di questi immigrati?
R. –
E’ da tempo che Malta sta negoziando con l’Egitto, la Tunisia e con la Libia,
trattati di rimpatrio, però l’unico trattato, finora in vigore, è quello con
l’Italia.
D. –
Qual era uno dei punti fermi del processo euro-mediterraneo per cercare di
arrestare l’immigrazione clandestina?
R. –
L’idea era di sviluppare economicamente e socialmente la sponda Sud, per
assicurarsi che dalla sponda Sud non venissero questi flussi così ingenti. Ma
la verità è che le ingenti spese dell’Unione Europea per aiutare lo sviluppo non hanno dato i risultati richiesti.
Inoltre, i flussi di clandestini non sono alimentati proprio da tunisini o libici, ma più da somali ed eritrei, che
vengono tramite questi Paesi.
D. –
L’ingresso di Malta nell’Unione Europea ha aggravato la situazione degli immigrati
clandestini?
R. –
Dal 2000 fino ad ora la situazione ha avuto degli alti e bassi. Non credo che
l’adesione di Malta abbia fatto una grossa differenza per quanto riguarda i
flussi.
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100 GIOVANI
ITALIANI IN PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA
PER FARSI TESTIMONI DI SOLIDARIETA’ CON LA COMUNITA’
CRISTIANA LOCALE:
DA OGGI FINO AL 28 AGOSTO CON LO SLOGAN:
“I NOSTRI PASSI SULLA VIA DELLA PACE”
- Servizio di Concita De
Simone -
Cento giovani italiani sono in partenza oggi per la Terra Santa dove resteranno
fino al 28 agosto. “I nostri passi sulla via della pace” è lo slogan scelto per
questo pellegrinaggio voluto dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile
della CEI e da altri organismi per testimoniare la solidarietà dei giovani
italiani alla comunità cristiana locale. Il servizio è di Concita De Simone:
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Il
pellegrinaggio percorrerà quasi nell’esatta sequenza la via di Gesù, secondo il
racconto dell’evangelista Luca: il discorso programmatico di Gesù a Nazareth,
la predicazione in Galilea, il cammino nel deserto, la salita a Gerusalemme, la
passione, morte e resurrezione. Gli incontri che scandiscono il viaggio avranno
l’obiettivo di cercare di il messaggio evangelico, vivendo la situazione della
regione, segnata dal conflitto palestinese, con uno sguardo particolare alla
condizione della Chiesa in quella regione. Una situazione che può essere considerata
rappresentativa delle grandi tensioni economiche, politiche e religiose che
attraversano il mondo, secondo le intuizioni e la memoria di Giorgio La Pira.
A
Nazareth i giovani incontreranno mons. Giacinto Marcuzzo, vescovo della città.
Seguirà un’esperienza di spiritualità sul Monte Tabor e una di condivisione presso
le famiglie di Haifa. A Gerusalemme la delegazione sarà ricevuta da mons.
Michel Sabbah, Patriarca latino di Gerusalemme. Ci sarà anche l’incontro con i
giovani studenti dell’Università di Betlemme che hanno organizzato una tavola
rotonda con padre Ibrahim Faltas, parroco della medesima cittadina giudaica. Il
viaggio si chiuderà con la visita ai luoghi dell’ebraismo nel Memoriale della
Shoa e con la veglia di preghiera al Getsemani. Il pellegrinaggio sarà, dunque,
l’occasione per saperne di più della realtà del conflitto israelo-palestinese e
per elaborare occasioni di contatto e di confronto tra quanti, israeliani e
palestinesi, non vogliono rassegnarsi alla logica della violenza e
dell’incomunicabilità, ma che vogliono individuare e favorire progetti per il
dialogo interreligioso e per la pace, da attuare al ritorno a casa nelle
proprie comunità.
Per la
Radio Vaticana, Concita De Simone.
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“DE GASPERI E
ADENAUER - PADRI FONDATORI DELL’EUROPA”:
UNA MOSTRA A BERLINO HA APERTO LUNEDI’ SCORSO LE
CELEBRAZIONI
IN OCCASIONE DEL 50.MO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI
ALCIDE DE GASPERI,
IL 19 AGOSTO DEL 1954. DOMANI LA COMMEMORAZIONE
UFFICIALE
“De Gasperi e Adenauer – padri fondatori
dell’Europa”: una mostra a Berlino ha aperto lunedì scorso le celebrazioni in
occasione del 50.mo anniversario della morte di Alcide De Gasperi, 19 agosto
del 1954. Circa 600 documenti, decine di filmati d’archivio e fotografie
tracciano il profilo dei due statisti che insieme con il francese Schuman
vengono considerati i precursori dell’Europa moderna. In Italia De Gasperi
contribuì alla ricostruzione politica ed economica che faceva seguito alla
seconda guerra mondiale e fondò il partito “Democrazia Cristiana”, che ereditava
le idee e l’esperienza del Partito Popolare di don Sturzo. Massimiliano Menichetti
ha chiesto allo storico Pietro Scoppola un profilo dello statista italiano per
il quale si svolgerà domani la cerimonia di commemorazione ufficiale:
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R. –
De Gasperi era un uomo formato per metà della sua vita sotto l’Impero austro-ungarico
e aveva capito che si poteva benissimo distinguere fra appartenenza nazionale
etnica e appartenenza ad uno Stato, uno Stato multietnico. La premessa
culturale del suo europeismo è tutta qui. Noi non facciamo l’Europa se non
accettiamo questa distinzione, che ci possa essere una realtà giuridica,
interetnica, internazionale in cui diverse realtà nazionali convivono.
D. –
Si ricorda in questi giorni la figura di Adenauer vicino a quella di De Gasperi
…
R. –
L’accostamento è corretto perché avevano in comune gli ideali democratici
cristiani e perché hanno contribuito alla ricostruzione di due Paesi, l’Italia
e la Germania, devastati dalle due dittature e dalla guerra persa. Ma erano due
personaggi molto diversi, basti ricordare che dal punto di vista di Adenauer la
realtà comunista stava in un altro Stato. De Gasperi ha dovuto cercare gli
spazi di un centro tra l’eredità del fascismo, pesante e presente da un lato,
e la presenza comunista e degli alleati
comunisti, legati a Mosca nel momento della ‘guerra fredda’, dall’altro. Sono
condizioni diversissime quelle in cui hanno agito i due uomini.
D. –
Schuman nel ’50 espone un piano a Parigi che sarà realizzato di fatto un anno
dopo quando nasce la Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. De
Gasperi tre anni dopo ne sarà presidente. Secondo lei, oggi abbiamo l’Europa
voluta da questi tre statisti?
R. –
Questi uomini hanno lavorato per un’Europa quale poteva essere dopo le due
Guerre Mondiali. Il problema era quello di garantirsi contro il pericolo,
l’ipotesi di un terzo conflitto mondiale. Questo era l’obiettivo da cui nasceva
l’impegno europeistico. Oggi il problema dell’Europa è tutto diverso. Oggi
siamo in una situazione in cui la globalizzazione impone sul piano economico un
processo di unificazione. Oggi il rischio è quello di un imperialismo americano.
L’Europa può rappresentare un elemento di riequilibrio internazionale.
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18
agosto 2004
DOPO IL
MASSACRO NEL CAMPO PROFUGHI DI GATUMBA, IN BURUNDI,
COSTATO LA VITA VENERDI’ SCORSO A
147 RIFUGIATI CONGOLESI,
IL GOVERNO DI BUJUMBURA HA
AUTORIZZATO L’ONU AD INSTALLARE
UN NUOVO CAMPO DI ACCOGLIENZA IN
UNA LOCALITA’ PIU’ SICURA,
RISPETTO ALLA ZONA DI CONFINE CON
LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
BUJUMBURA.
= Il governo del Burundi ha autorizzato l'installazione di un campo per
accogliere i rifugiati congolesi. La località proposta per il campo è Ghiaro,
nella provincia meridionale di Rutana, a circa 120 chilometri da Bujumbura, capitale
del Burundi. I lavori di preparazione per il campo avranno inizio a breve e
l'Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (UNHCR), “auspica di trasferire”
in questo campo i profughi, “non appena saranno funzionanti i servizi di
base''. Il direttore della sezione africana dell'agenzia dell'Onu, Zobida Hassim-Ashagrie,
è giunto ieri a Bujumbura per discutere con i funzionari del governo burundese le
modalità per l'immediato trasferimento nel nuovo campo e le misure di sicurezza
per tutti coloro ancora accampati lungo la frontiera. Nel pomeriggio di lunedì
si sono, intanto, svolti i funerali delle 147 vittime del massacro di Gatumba
(in maggior parte donne e bambini), a 15 chilometri da Bujumbura, non lontana
dalla città di confine di Uvira, nella Repubblica Democratica del Congo. I
circa 500 sopravvissuti al massacro si trovano in un edificio scolastico non
lontano, mentre altri 100 hanno raggiunto da soli Bujumbura. I congolesi
ospitati a Gatumba prima del massacro erano 860. Si tratta di uno dei tre campi
vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo, che ospitano 20 mila
congolesi fuggiti dopo gli scontri avvenuti nella provincia meridionale di Kivu
a giugno. Fin dal momento del loro arrivo, l'UNHCR ha richiesto al governo del
Burundi di predisporre un campo sicuro e ben lontano dalla regione di confine
Burundi-Repubblica Democratica del Congo, essendo ad alto rischio, classificata
come ''zona quattro'' nell'ambito dei cinque livelli di sicurezza delle Nazioni
Unite. Secondo l'UNHCR, ''appare chiaro'' che i colpevoli degli attacchi siano
''elementi armati locali e provenienti anche dalla Repubblica Democratica del
Congo''. Le misure di sicurezza sono state intanto incrementate negli altri due
centri di transito a Karurama e Rugombo, nella regione nordoccidentale.
(R.G.)
DAL 12 AL 16 OTTOBRE CONVEGNO
INTERNAZIONALE A CASALE MONFERRATO E
A MONCALVO, IN PIEMONTE,
SUL TEMA “RELIGIONI E SACRI MONTI”
TORINO.
= Aspetti religiosi, storici e artistici dei monti sacri e dei complessi devozionali
in dialogo con le grandi religioni europee ed asiatiche. Saranno questi i temi
che verranno affrontati in un Convegno internazionale dal titolo
"Religioni e sacri monti", che si terrà dal 12 al 16 ottobre prossimi
nelle località di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, ed a
Moncalvo, in provincia di Asti. Organizzatori del convegno, la Regione
Piemonte, l'Università di Torino ed il Centro di documentazione dei sacri
monti, calvari e complessi devozionali europei. Durante le giornate del
Convegno saranno effettuate anche visite ai sacri monti di Varallo, Oropa e
Varese. (R.G.)
ALLARME DELL’ORGANIZZAZIONE
MONDIALE DELLA SANITA’
PER L’AUMENTO DEI CASI DI “EPATITE E” NELLA REGIONE
SUDANESE DEL DARFUR,
GIA’ FLAGELLATA DALLA GUERRA CIVILE
GINEVRA.
= E' salito a 1007, di cui 27 mortali, il numero di persone risultate positive
al test per l'epatite E nel Darfur. A lanciare l'allarme è
l'Organizzazione mondiale per la
sanità (OMS), che ha sottolineato come, solo una settimana fa, i contagi erano
623, con 22 decessi. La portavoce dell'OMS, Fadela Chaib, ha detto in un
incontro con i giornalisti che l'organizzazione è al lavoro per adottare misure in grado di fermare l'epidemia: tra
queste, il controllo quotidiano dei casi di contagio e dei decessi nei campi
profughi, allestiti per accogliere le migliaia di persone costrette a lasciare
le proprie abitazioni per le violenze scoppiate tra le milizie arabe Janjaweed
e le forze ribelli, e campagne per l'igiene, soprattutto per donne e bambini, più esposti al rischio
contagio. Oltre al virus dell'epatite E, si sono registrati anche 18.770 casi
di malaria. (R.G.)
NUOVI
ARRESTI IN CINA DI SACERDOTI E SEMINARISTI CATTOLICI
NELLA REGIONE DI HEBEI:
DIECI LE PERSONE TUTTORA DETENUTE
NEGLI UFFICI DI SICUREZZA
DI BAODING
- A cura di Bernardo
Cervellera -
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PECHINO.
= Nuova ondata di arresti contro la Chiesa non ufficiale di Baoding. Il 6 agosto scorso, 8 sacerdoti e 2 seminaristi,
radunati per un ritiro spirituale, sono stati bloccati dalla Polizia. L’arresto
è avvenuto alle 6.00 del pomeriggio nel villaggio di Sujiazhuang, nella Contea di Quyang ad
Hebei, a circa 200 chilometri a Sud-Ovest di Pechino. Venti camionette della
Polizia ed un gran numero di guardie di Pubblica sicurezza hanno circondato il
villaggio e lanciato una ricerca casa per casa per arrestare preti e
seminaristi. L’intera operazione è stata così veloce, che la gente del
villaggio non se ne è resa conto. Tutti sono ora rinchiusi nell’Ufficio della
sicurezza di Baoding. L’Hebei è la provincia attorno
a Pechino con la massima concentrazione di cattolici, almeno un milione e
mezzo. La diocesi di Baoding è da tempo sede di una forte
comunità non ufficiale e i suoi vescovi, mons. Giacomo Su Zhimin e l’ausiliare, Francesco An Shuxin, sono da circa sette anni nelle mani della polizia
senza possibilità di comunicare con l’esterno. Il loro predecessore, mons.
Giuseppe Fan Xueyan, venne ucciso in prigione sotto
le torture. In Cina, il governo permette la libertà di culto solo in luoghi
registrati all’Ufficio statale per gli Affari religiosi. Dal ’97, il governo ha
lanciato una campagna per eliminare le comunità sotterranee, imprigionando i
sacerdoti e i fedeli che si rifiutano di aderire all’Associazione patriottica.
Il direttore dell’Amministrazione statale per gli Affari religiosi in Cina, Ye Xiaowen, ha detto in questi giorni che nel suo Paese non vi
è persecuzione religiosa.
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IN FLORIDA SI CERCANO
ANCORA SOTTO LE MACERIE POSSIBILI VITTIME
DELL’URAGANO CHARLIE CHE VENERDI’ SCORSO HA
DEVASTATO LO STATO AMERICANO,
CAUSANDO 19 MORTI E DECINE DI MIGLIAIA DI
SENZATETTO.
E’ INIZIATA INTANTO LA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI
ECONOMICI
PER LA RICOSTRUZIONE
WASHINGTON.
= Proseguono in Florida, negli Stati Uniti, le operazioni di ricerca delle
vittime sotto le macerie per il passaggio venerdì scorso dell'uragano Charley.
E’ salito a 19 l’ultimo bilancio dei morti. Intanto Punta Gorda e le altre comunità
più colpite hanno cominciato a rimettersi in piedi. Oltre 700 mila persone sono
ancora senza energia elettrica e in molti casi senza acqua potabile, ma il
ministro per la Sicurezza interna, Ridge, in visita ieri nella zona insieme al
ministro per la Sanità Thompson, ha garantito il massimo impegno del governo
per accelerare la ripresa di tutti i servizi essenziali. La FEMA, l'agenzia per
la protezione civile, ha cominciato a distribuire i primi soldi agli abitanti
della zona, per le spese di emergenza. Due milioni di dollari sono già stati
consegnati a migliaia di persone senza casa, ma saranno necessari tra 11 e 15
miliardi di dollari, secondo le prime stime, per far fronte non solo alle
perdite delle abitazioni, ma anche ai pesanti danni alla coltivazione locale di
agrumi. Oltre 23 mila persone - ha detto il direttore della FEMA, Brown - hanno
già presentato domanda di rimborsi federali e la protezione civile sta organizzando
sistemazioni provvisorie per circa 10 mila senzatetto. (R.G.)
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18
agosto 2004
- A cura
di Barbara Castelli -
Possibile svolta nella crisi di Najaf, in Iraq, teatro da
giorni di violenti scontri tra le truppe statunitensi e i ribelli fedeli al
leader radicale sciita Moqtada Al-Sadr. Secondo quanto dichiarato dal portavoce,
Shaibani, ad Al Jazeera, Al-Sadr avrebbe accettato tutte le richieste avanzate
dalla delegazione della Conferenza nazionale irachena. Nel resto del Paese,
comunque, persiste la tensione. Il servizio di Roberta Moretti:
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La notizia è giunta nella tarda
mattinata. Al-Sadr avrebbe accettato le condizioni poste ieri dalla Conferenza
nazionale, ovvero, il ritiro dell’esercito del Medhi dal mausoleo di Ali, la
deposizione delle armi e la trasformazione delle milizie ribelli in partito
politico. Il tutto, all’indomani del rifiuto del leader radicale di incontrare
la delegazione della Conferenza, giunta a Najaf per porre fine alla rivolta
sciita ma costretta a tornare indietro. Stamani il ministro della Difesa
iracheno, Al Shaalan, aveva annunciato l'imminente ''battaglia finale'' da
parte delle forze irachene contro i miliziani sciiti, intimando loro di arrendersi entro poche ore e consegnare le armi.
Ed è di almeno 29 tra morti e feriti il bilancio dell’ennesima
battaglia nel centro storico di Najaf tra truppe americane e miliziani sciiti.
A Baghdad, intanto, la
Conferenza nazionale è riunita da domenica scorsa anche per scegliere i
componenti del nuovo Parlamento provvisorio. Questa mattina i lavori sono stati
funestati dall’esplosione di un colpo di mortaio a poca distanza dalla sede. A
Kut, nell’Iraq centro-orientale, cinque studenti iracheni sono stati uccisi e
altri cinque feriti, in un attacco a un convoglio Usa, mentre a Mosul sono
rimaste uccise 5 persone e 20 ferite per l’esplosione di una granata nel
mercato. Inoltre, la principale base militare polacca, a Babilonia, è stata
raggiunta da numerosi proiettili di mortaio, ma non si sa se ci siano state
vittime. Infine, sul fenomeno dell’esodo dei cristiani dall’Iraq, si è
pronunciato il nunzio apostolico, mons. Fernando Filoni, giudicando
preoccupante l'esodo, ma spiegando di non essere in grado di fornire stime
precise né di confermare o smentire la cifra di 40 mila persone, riferita da un
ministro del governo provvisorio iracheno.
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Terrorismo in Gran Bretagna.
Scotland Yard ha accusato ieri otto britannici di origine asiatica, arrestati
il 4 agosto scorso, di aver cospirato per compiere stragi con esplosivi ed armi
chimiche e radioattive. Due di loro sono, inoltre, accusati di avere a
disposizione i piani di ricognizione di possibili obiettivi negli Stati Uniti.
Gli uomini compariranno oggi davanti ad un giudice distrettuale nella corte di
Belmarsh, a Londra.
Cresce la tensione in
Afghanistan. I candidati alle elezioni presidenziali del prossimo 9 ottobre
hanno minacciato di sabotare la tornata elettorale se l’attuale capo di Stato,
Hamid Karzaï, non presenterà le dimissioni. L’inviato statunitense a Kabul,
Zalmay Khalilzad, intanto, ha annunciato ieri il raggiunto cessate il fuoco
nell’ovest del Paese fra il leader ribelle pashtun, Amanullah Khan, e il governatore della città di Herat,
Ismail Khan. Negli ultimi giorni la regione è stata scossa da violenti combattimenti,
che hanno causato la morte di almeno 21 persone.
Al via la prossima settimana le
udienze preliminari nella base di Guantanamo Bay, per un primo gruppo di
detenuti che saranno processati per presunti legami con Al Qaeda o i Talebani.
Ai detenuti verranno assegnati avvocati militari, ma ciascuno degli imputati
avrà il diritto di avere anche un legale privato. Le udienze saranno aperte ai
media.
Resta
alta la tensione in Medio Oriente. E’ salito a cinque il numero dei palestinesi
rimasti uccisi nell’attacco missilistico israeliano contro l’abitazione nella
città di Gaza di Ahmed al-Shabari, un importante comandante delle Brigate di
Izz ed-Din al-Qassam, braccio armato di Hamas. Finito in manette a Qalqilya, il
capo locale delle Brigate di al-Aqsa. Si svolgerà, intanto, questo pomeriggio a
Tel Aviv il congresso del Likud, per decidere se dare o meno al premier Ariel
Sharon carta bianca nei suoi tentativi di allargare la coalizione di governo,
includendovi il partito laburista di Shimon Peres e altre formazioni. Questa
mattina a Ramallah, in Cisgiordania, invece, si è tenuto l’atteso discorso del
presidente dell’Autorità nazionale palestinese Arafat davanti al Consiglio
legislativo, per fare il punto su lotta alla corruzione e riforme dei sistemi
di sicurezza. “Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che sono stati commessi
degli sbagli”, ha detto il leader dell’ANP, promettendo di correggerli. Ma
quali allora gli errori della dirigenza palestinese guidata da Arafat? Giada
Aquilino lo ha chiesto a Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni dei
Paesi del Mediterraneo all’Università di Bologna:
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R. – La prima cosa è il
controllo unico che Arafat ha dei 12 corpi di sicurezza che dovrebbero
mantenere la pace all’interno dell’Autorità nazionale palestinese e perseguire
il terrorismo. Ed è questo che poi permette agli israeliani di accusare Arafat
di collusione con il terrorismo. L’altro grosso errore è quello di avere in
mano tutta la gestione degli affari dell’ANP. Quindi viene imputato allo stesso
leader palestinese l’enorme giro di corruzione che in questi anni ha avvelenato
l’Autonomia palestinese.
D. – Arafat ha chiesto la fine
delle operazioni israeliane e l’apertura di negoziati di pace. E’ possibile?
R. – Il problema è che Sharon
porrà la pregiudiziale di non volere Arafat come interlocutore di pace. Però a
questo punto è molto difficile individuare, in ambito palestinese, un possibile
negoziatore. Anche il premier Abu Ala è stato sufficientemente bruciato in
tutte queste vicende. Quindi, il problema è scegliere tra una leadership
ancora legata alla linea di Arafat e una più nuova, interna ai Territori
medesimi.
D. – Perché il voto del
Congresso israeliano sull’allargamento della coalizione è considerato come un
pronunciamento sul piano di disimpegno da Gaza?
R. – Sharon cerca di mettere in
piedi un governo di unità nazionale con lo scopo di poter avere i numeri in
Parlamento per andare al disimpegno da Gaza. Abbiamo già visto come, nel
referendum interno, il Likud si sia pronunciato contro tale disimpegno. Quindi,
l’apertura ai laburisti ha quasi esclusivamente questo fine.
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Con il passare delle ore, in
Venezuela si affievoliscono le polemiche sull’esito del referendum di domenica,
vinto dal presidente Hugo Chávez. I risultati, definiti da 9 capi di Stato
latinoamericani, riuniti a Santo Domingo, “una vittoria della democrazia”, sono
stati riconosciuti anche dalla Casa Bianca, inizialmente scettica. Proprio un
ex presidente americano, Jimmy Carter, sta cercando di mediare tra Chávez e
l’opposizione, come ci riferisce da Caracas Maurizio Salvi:
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L’ex presidente Jimmy Carter ha
annunciato che il Consiglio nazionale elettorale ha accettato di realizzare un
secondo controllo dei risultati del voto. Per fugare definitivamente i sospetti
dell’esistenza della clamorosa frode denunciata dall’opposizione, il Consiglio
elettorale verificherà un campione di 150 seggi. L’iniziativa di Carter è un
estremo tentativo per cercare di calmare le tensioni e le polemiche e giunge
nello stesso giorno in cui il governo, per bocca del vice-presidente José
Vicente Rangel, ha teso nuovamente la mano per un dialogo con l’opposizione e
con la società nel suo complesso. I primi risultati di questa offerta sono
stati scarsi, se si eccettua un documento firmato dalle organizzazioni
imprenditoriali venezuelane, in cui si assicura che il Paese non può continuare
a vivere in questo modo e che il governo ha l’obbligo di creare un clima
propizio al dialogo.
Da Caracas, Maurizio Salvi, per
la Radio Vaticana.
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Il ministro degli esteri russo,
Serghiei Lavrov, ha ribadito stamani che Mosca non vede la necessità di un
forum internazionale allargato per affrontare la crisi nella regione
secessionista georgiana dell’Ossezia del Sud. Sul terreno, intanto, proseguono
gli scontri tra le forze di Tbilisi e i ribelli, malgrado gli accordi di tregua
sottoscritti a più riprese dalle parti con la mediazione della Russia. Morti nella
notte tre soldati georgiani.
Il Burundi ha spiccato ieri
mandati di cattura internazionali contro due dirigenti dei ribelli che hanno
rivendicato il massacro di Gatumba. Le Forze nazionali di liberazione, ribelli
hutu, si sono attribuite la paternità della carneficina, venerdì, di circa 160
persone in un campo di profughi congolesi tutsi, nel Burundi occidentale, a
quattro chilometri dalla Repubblica democratica del Congo. Secondo le autorità
del Burundi e del Rwanda, tuttavia, nella strage sarebbero coinvolti anche
congolesi ed estremisti hutu rwandesi.
Disastro ferroviario in India.
Almeno 38 persone sono morte nella collisione fra due treni nei pressi di
Calcutta. Lo hanno riferito fonti ufficiali delle ferrovie indiane, senza
specificare le cause del disastro.
Mancherebbe di credibilità il
piano di democratizzazione messo a punto dalla giunta militare del Myanmar. A
rivelarlo è il segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Nel Paese, intanto,
il tribunale di Rangoon ha respinto per un vizio di forma la richiesta di
sospensione degli arresti domiciliari per Aung san Suu Kyi, leader
dell’opposizione. Il premio Nobel per la Pace è stata arrestata nel maggio
2003, dopo violenti scontri tra suoi sostenitori e manifestanti filo-giunta
militare. In seguito è stata relegata per la terza volta agli arresti domiciliari.
Fiumi in piena hanno inondato
lunedì diversi quartieri di Istanbul, in Turchia, in seguito alle piogge
torrenziali che hanno investito il Paese nelle ultime settimane, causando gravi
danni ma fortunatamente nessuna vittima. Due persone, tuttavia, un uomo di 80
anni e suo figlio, risultano disperse a Zonguldak, nella Turchia settentrionale.
Il maltempo ha investito anche
la Gran Bretagna. Boscastle, fino a ieri un caratteristico villaggio turistico
sul mare della Cornovaglia, è adesso un cumulo di macerie e fango, nel quale
squadre di soccorritori scavano alla ricerca di quindici possibili dispersi. A
provocare il disastro è stato un violento temporale, che ha fatto straripare in
meno di due ore il fiume Valancy, che attraversa la località.
Dubbi sulla rivendicazione dei Nuclei Proletari Combattenti
per l’ordigno inesploso rinvenuto nel centro di Porto Rotondo, in Sardegna,
dove il premier italiano Berlusconi ha ospitato fino a ieri il collega
britannico Blair e la moglie. Nella telefonata di rivendicazione alla redazione
di Oristano dell’Unione Sarda, l’autore potrebbe aver firmato l’azione anche
con la sigla “Nuclei armati proletari”.
In Sicilia ancora in primo piano gli sbarchi di immigrati.
Un gruppo di 70 clandestini, tutti palestinesi ad eccezione di un egiziano e di
un iracheno, è approdato nella notte sulle coste di Lampedusa. Poco prima della
mezzanotte, altri 60 palestinesi sono stati soccorsi al largo dell’isola dalle
motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza e da una nave
della Marina Militare.
Quotazione record per il petrolio. A New York il greggio ha
fatto segnare 47 dollari al barile. A Londra, invece, il brent è quotato a
43,05 dollari al barile. A pesare, oltre alla vicenda irachena, sono la crisi
del colosso petrolifero russo Yukos e la preoccupazione sulla tenuta delle
scorte mondiali.
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