RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
230 - Testo della trasmissione di martedì 17 agosto 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Boom delle presenze nei musei italiani a Ferragosto
Ennesima giornata di
sangue in Iraq. Per un’esplosione a Baghdad morte almeno sette persone, a Nassiriya tre carabinieri feriti dalla guerriglia. I
premier Blair e Berlusconi auspicano una soluzione politica del governo Allawi
Confermata anche dagli
osservatori internazionali la vittoria alle urne del presidente venezuelano
Chavez.
17
agosto 2004
LA SALA STAMPA VATICANA HA RESO NOTO IL PROGRAMMA
DELLA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II A LORETO, IL
PROSSIMO 5 SETTEMBRE
Loreto si appresta ad abbracciare Giovanni Paolo
II: la Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto stamani il programma della
visita del Papa al Santuario Mariano, il prossimo 5 settembre. La partenza da
Castel Gandolfo, in elicottero, è prevista per le 8.30 del mattino con arrivo
un’ora dopo a Loreto. Qui, sulla spianata di Montorso, il Santo Padre celebrerà
la messa con le beatificazioni di Pedro Tarres y Claret, Alberto Marvelli e
Pina Suriano, quindi la mattinata si concluderà con la recita dell’Angelus. Nel
pomeriggio, dopo il pranzo, il Papa riposerà nel centro giovanile “Giovanni
Paolo II”. La partenza da Loreto è prevista per le ore 17.00, con arrivo nella
residenza estiva di Castel Gandolfo per le ore 18.00.
PER LA PACE IN IRAQ, LA SANTA SEDE DISPOSTA
AD AIUTARE
LE PARTI A DIALOGARE, MA PER IL MOMENTO NON E’ PREVISTA
LA NOMINA
DI UN INVIATO SPECIALE A BAGHDAD: COSI’, AI NOSTRI MICROFONI,
IL VICE DIRETTORE DELLA SALA STAMPA VATICANA,
PADRE CIRO BENEDETTINI
- A cura di Alessandro Gisotti -
La Santa Sede è disposta a
mediare per la pace a Najaf, tuttavia, per il momento, non vi è l’intenzione di
nominare un Inviato speciale per l’Iraq. Una nota della Sala Stampa vaticana
ribadisce, oggi, le parole del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano,
che ieri in un’intervista aveva parlato della disponibilità della Santa Sede
per una sospensione dei combattimenti nella città santa sciita di Najaf.
Parole, quelle del segretario di Stato vaticano, che hanno destato una viva
attenzione da parte della comunità internazionale e che vengono ribadite dal vicedirettore
della Sala Stampa della Santa Sede, padre Ciro Benedettini, al microfono di
Alessandro Gisotti:
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R. - In effetti ha suscitato vivo interesse nella stampa la
dichiarazione del cardinale Segretario di Stato, Angelo Sodano, circa la
disponibilità della Santa Sede a porre in atto i suoi buoni uffici per giungere
ad una sospensione dei combattimenti a Najaf. Oggi la Santa Sede riconferma
questa disponibilità, dichiarandosi sempre disposta ad aiutare le parti a
parlarsi ed a dialogare, ad una condizione tuttavia, che vi sia davvero la volontà
di scegliere le vie pacifiche per la soluzione dei conflitti.
D. – Padre Benedettini, un’attenzione per l’Iraq, da parte
della Santa Sede, costante, come è costante l’attenzione per la pace, per il
dialogo in Iraq della Chiesa irachena…
R. – Certamente. E’ noto a tutti con quanto impegno e dedizione il
nunzio apostolico a Baghdad segua direttamente tutti gli sviluppi della
situazione irachena ed in particolare quella di Najaf. Inoltre la segreteria di
Stato è in stretto contatto, oltre che con il nunzio, anche con il patriarca caldeo
e l’intero episcopato iracheno.
D. – Ci sarà un inviato speciale per l’Iraq?
R. – A dire il vero non è prevista la nomina di un inviato speciale a
Baghdad, almeno per il momento. E da tutta questa dichiarazione si evince anche
che i buoni uffici della Santa Sede per risolvere i conflitti mondiali, ed in
particolare quello in Iraq, non sono una novità di oggi, ma una pratica
costante.
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L’INCORAGGIAMENTO DEL
PAPA A PROSEGUIRE NEL “MINISTERO DEL PENSIERO”
RIVOLTO AL
CAPITOLO GENERALE DEI DEFINITORI DOMENICANI,
IN CHIUSURA OGGI A CRACOVIA
- A cura di Roberta Gisotti -
Felicitazioni ed incoraggiamento ha espresso stamane il Papa ai
Definitori domenicani, in chiusura oggi del loro Capitolo generale, svoltosi,
per la prima volta nella storia dell’Ordine - a Cracovia, in Polonia, presso il
Convento della Santissima Trinità. Lì è la tomba del patrono San Giacinto,
primo domenicano polacco, “la cui vita - ha rilevato il Santo Padre - “ è stata
così legata a questa amata città”. In un telegramma, a firma dell’arcivescovo
Leonardo Sandri, inviato al Maestro dell’Ordine, Carlos Alfonso Azpiroz Costa,
Giovanni Paolo II raccomanda che prosegua nella continuità l’attività
apostolica dei Domenicani, da sempre “intimamente legata con il ‘ministero del
pensiero’, che si esprime nel profondo studio dei vari ambiti della scienza e
nel dialogo con questa nel campo della filosofia e della teologia”. Ciò
permetterà – prosegue il Papa – alle generazioni del nostro secolo di poter
“attingere pienamente alle sorgenti della vera saggezza e della vera
conoscenza” e di poter “crescere sempre di più nella libertà spirituale e di
assumere la responsabilità di combattere per la dignità della persona umana in
tutti gli aspetti della sua vita individuale e sociale”.
Al Capitolo dei Definitori, che si distingue dal Capitolo Generale e da
quello dei Provinciali per essere l’espressione della ‘base’, hanno partecipato
a Cracovia un’ottantina di religiosi: i Definitori, eletti uno per ogni entità
dell’Ordine (38 province, 2 vice-province, 9 vicariati generali); i delegati
eletti di alcuni vicariati regionali o provinciali; ed alcuni invitati del
Maestro (laici domenicani, monache domenicane, suore apostoliche domenicane,
assistenti della Curia). I lavori iniziati il 28 luglio, oltre che in plenaria,
si sono svolti in gruppi di studio che hanno affrontato varie tematiche: la
predicazione in rapporto alle nuove tecnologie e linguaggi; la vita intellettuale
e la predicazione; la vita comunitaria; la vocazione e la formazione; il
governo; l’economia.
“NON C’E’ PACE SENZA GIUSTIZIA.
NON C’E’ GIUSTIZIA SENZA PERDONO”.
CERCARE DI CAPIRE COME SIA
POSSIBILE ATTUARE NEL CONCRETO QUESTE PAROLE
DEL PAPA E’ AL CENTRO DEL TERZO
APPUNTAMENTO DELLA NOSTRA RUBRICA
DI RIFLESSIONE ESTIVA SUGLI
INSEGNAMENTI DI GIOVANNI PAOLO II
- Intervista con Lucio
Caracciolo e mons. Ignazio Sanna -
Siamo
al terzo appuntamento della nostra rubrica settimanale voluta per soffermarsi
su insegnamenti del Papa in questo periodo estivo che impone ritmi meno
pressanti e che lo stesso Giovanni
Paolo II ha invitato a dedicare alla riflessione. Rivolgendo uno sguardo
all’attuale panorama internazionale dominato dall’aggravarsi della tensione in
Iraq, dalle continue minacce terroristiche all’Occidente, dalla crisi
mediorientale, dai molteplici conflitti civili che insanguinano numerose aree
del Pianeta, pensiamo al richiamo, con forza, alla giustizia ed al perdono
quali pilastri della vera pace. Ma come pensare ad un’attuazione nel concreto
delle parole di Giovanni Paolo II? Dorotea Gambardella ha posto la domanda a
Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica, Limes:
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R. – Nella realtà, purtroppo, la
pace molto spesso risulta contraddittoria con la giustizia, o quantomeno con la
giustizia così come viene percepita da almeno una delle parti in causa. Il
problema della giustizia è che non si sa bene chi debba stabilirla, perché se
si chiede alle parti in conflitto quale sia
secondo loro la giustizia, evidentemente si otterrebbero risposte
contraddittorie. Credo molto di più, invece, nella possibilità concreta del perdono,
anche se applicare una categoria spirituale come questa alla realtà è
ovviamente un’operazione non semplice. Come perdono, intendo la capacità di
trasmettere le proprie visioni agli altri cercando di capire le ragioni altrui
e quindi trovare un compromesso che possa portare dalla guerra alla pace.
D. – Ecco, proprio soffermandoci
sul perdono: perché potrebbe essere utile ai fini sociali, perdonare?
R. –
Perdonare è la base della convivenza. Senza capacità di perdono, a meno di non
concepire la possibilità di essere assolutamente perfetti, il che non è di
questo mondo, senza concepire il perdono non è possibile vivere insieme.
Dovremmo vivere in una sorta di giungla in cui ciascuno odia l’altro, sia a
livello individuale, sia a livello sociale. Quindi penso che questa categoria,
intesa in senso ampio, sia una delle ragioni di fondamento della vita sociale.
D. – Per approfondire il
significato profondo del perdono, ascoltiamo la riflessione di mons. Ignazio
Sanna, teologo e pro-rettore della Pontificia Università Lateranense:
R. – Il Papa già dalla prima
enciclica “Redemptor Hominis” ha insistito tantissimo sul rispetto della
persona, perché in ogni persona c’è l’immagine di Dio e come tale si è proposto
come una specie di sentinella di umanità. A suo tempo, Kant aveva scritto che
tutto ciò che ha un prezzo può avere un equivalente; ciò che non ha un prezzo,
ma ha una dignità, non ha un equivalente. Ecco, il Papa ha ricordato sempre che
l’uomo è l’unica creatura che Dio ha voluto per se stesso, quindi ha una
dignità unica. A partire da questa verità, allora, è bene che tutti difendano,
rispettino questa unicità e questa dignità della persona umana. Ecco, se si
tiene conto di questo, allora si arriva a capire il senso del perdono come una
forma di rispetto nei confronti della dignità della persona e direi anche che
il perdono va visto come una forma di gratuità. Penso che quello che manca
nella società odierna è proprio il senso della gratuità, perché si pensa con la
logica dei costi e dei ricavi. Anche quando uno riceve un regalo, la prima cosa
che fa, pensa a come restituire questo regalo perché non vuole essere ‘donato’.
Ora, nella prospettiva della fede, tutto è grazia, tutto è dono e il perdono è
la forma più alta della gratuità!
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo "Da Lourdes un inno alla gioia, alla vita, alla
libertà, alla solidarietà": la preghiera, la testimonianza, il silenzio,
l'appello di Giovanni Paolo II pellegrino di Maria nel Santuario
dell'Immacolata Concezione.
Una
riflessione del nostro Direttore su questo evento ecclesiale.
Nelle
vaticane, l'esaustivo resoconto della visita pastorale del Santo Padre. Gli
articoli dell'inviato Giampaolo Mattei; la rassegna della stampa internazionale
dedicata all'evento.
Nelle
estere, un comunicato della Santa Sede sulla situazione a Najaf.
Burundi:
segnate da forte tensione le esequie dei Tutsi massacrati nel campo profughi di
Gatumba; il telegramma di cordoglio del Santo Padre.
Venezuela:
il referendum conferma Hugo Chavez nella carica di Presidente; le opposizioni
denunciano brogli.
Nella
pagina culturale, un articolo di M. Antonietta De Angelis sul pittore toscano
Filippino Lippi, cui la città di Prato ha dedicato una mostra in occasione
del quinto centenario della morte.
Nelle
pagine italiane, in rilievo il tema dell'immigrazione.
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17
agosto 2004
LA STRAGE DI GATUMBA INNESCA LA MICCIA:
BURUNDI,
RWANDA E REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
MINACCIANO
UNA NUOVA GUERRA NEI GRANDI LAGHI
-
Intervista con un missionario in Burundi -
La strage di venerdì scorso nel
campo profughi di Gatumba, nel Burundi occidentale, minaccia di destabilizzare
la già incerta regione dei Grandi Laghi. L’esercito di Bujumbura non esclude
un’offensiva contro l’ex Zaire, che ospita i ribelli accusati di avere
massacrato 160 tutsi congolesi. Le Forze nazionali di liberazione, ostili agli
accordi di pace con il governo burundese, hanno rivendicato l’attacco,
spiegando però che l’intenzione era quella di colpire i militari. Ma le indagini
proseguono, come ci riferisce dal Burundi un missionario che lasciamo anonimo,
per motivi di sicurezza. L’intervista è di Andrea Sarubbi:
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R. - L’unica cosa certa è che sono state avviate delle Commissioni
d’inchiesta per fare luce sulle responsabilità. Dalle testimonianze raccolte
finora, appare sempre più evidente che gli assalitori parlavano diverse lingue:
swahili, kirundi e kinyarwanda. Al di là di questo, però, si brancola ancora
nel buio per cercare delle spiegazioni.
D. –
Il fatto che parlassero più lingue ha fatto pensare all’intervento del Congo.
Stanno peggiorando i rapporti tra Bujumbura e Kinshasa?
R. –
Penso di sì. Già due giorni dopo il massacro, il presidente burundese ha incolpato
i Maï-Maï, che oggi fanno parte del governo congolese.
D. –
Annan ha chiesto il raddoppio dei caschi blu nell’ex Zaire, perché ha paura che
contro il Congo intervenga anche il Rwanda…
R. – È
un timore legittimo: il Rwanda potrebbe attaccare per cercare di mettere a
tacere i ribelli hutu ancora presenti in territorio congolese. Lo ha già fatto
negli scorsi anni, ma allora non c’erano i caschi blu dell’Onu, né in Congo né
in Burundi. Oggi, probabilmente, un’azione del genere potrebbe portare dei
rischi, per il Rwanda, molto superiori di quelli affrontati in passato.
D. –
Il massacro di Gatumba mette a nudo anche una scelta sbagliata dell’Onu: non si
può mettere un campo profughi a ridosso della frontiera con il Paese da cui queste
persone sono in fuga…
R. –
Il fatto che questo campo sia stato aperto alla fine del mese di giugno, e che
fosse lì ormai da due mesi, non è molto spiegabile. Fin dall’inizio, è stato
detto che i rifugiati non volevano andare altrove, ma l’esperienza insegna che
i rifugiati, se accettano di essere coordinati e alloggiati, possono anche
accettare di trasferirsi da un’altra parte. No, non era logico che un campo
restasse lì per tanto tempo, a soli 5 chilometri dal confine.
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IL
PRESIDENTE AMERICANO BUSH HA ANNUNCIATO UNO DEI PIÙ IMPORTANTI RIALLINEAMENTI
DELLE TRUPPE AMERICANE DALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA:
TRA I 60 E I 70 MILA SOLDATI SARANNO SPOSTATI
DALLE BASI IN EUROPA
E IN ASIA PER RIENTRARE NEGLI STATI UNITI
- Intervista con Empedocle Maffia e Luigi Bonanate -
Il
presidente americano Bush ha annunciato uno dei più importanti riallineamenti
delle truppe americane dalla fine della Guerra Fredda: tra i 60 e i 70 mila
soldati saranno spostati dalle basi in Europa e in Asia per rientrare negli
Stati Uniti. In un discorso a Cincinnati nell’Ohio, Bush ha sottolineato che
l’iniziativa punta a dare maggiore “flessibilità ed agilità” alle forze
statunitensi destinate ad intervenire nei “punti caldi” del pianeta nella lotta
al terrorismo. Gli spostamenti non saranno immediati: il riallineamento delle
truppe sarà, infatti, completato nel corso di un decennio. L’iniziativa militare
non riguarda, comunque, le truppe americane al momento dislocate in Iraq ed in
Afghanistan. Sulla decisione presa dalla Casa Bianca, la nota di Empedocle
Maffia:
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Bush
ha giustificato questo cambio di strategia con la grande affidabilità
tecnologica dell’esercito americano: meno uomini, ma con armi esatte come mai
prima nella storia. E poiché ritiene che oggi la minaccia venga da quel
soggetto senza terra e senza Stato che chiama terrorismo, è necessario avere
uomini in armi in grado di muoversi con grande flessibilità. Insomma, una forza
ferma a casa, ma pronta in tempi brevissimi ad andare ovunque la nuova minaccia
terroristica la chiami. Questa nuova strategia è la traduzione in termini
militari di una scelta politica ormai consolidata nell’amministrazione Bush:
quella dell’America non vincolata da alleanze storiche, ma pronta a stabilire
intese con altri Paesi di volta in volta, sulla base della loro funzionalità,
rispetto a specifiche circostanze. Così la super potenza unica non ha altri
vincoli che la propria volontà di agire, lontana da lacci diplomatici o da
costrizioni geopolitiche. Per un Paese che fa della lotta al terrorismo il suo
unico obiettivo strategico, questo mettersi al di fuori di un sistema di
alleanze consolidate, delle quali le basi militari erano il supporto operativo,
non sembra la più promettente delle scelte.
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Per
ragionare sulle implicazioni geopolitiche di questo riallineamento militare,
Fausta Speranza ha intervistato il prof. Luigi Bonanate, docente di relazioni
internazionali all’Università di Torino:
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R. – Non è un riallineamento dovuto alla fine della
guerra fredda, è una modificazione della strategia complessiva degli Stati
Uniti nei confronti del mondo. E‘ la preoccupazione degli Stati Uniti di
mettersi in grado di intervenire in quelle parti che a loro giudizio
rappresentano le aree sensibili e pericolose del mondo futuro. Non giochiamo
con le parole, i riallineamenti militari sono delle pure e semplici operazioni
tecniche. Le truppe si spostano di qua, vanno di là, ma il problema è politico
e non tecnico-militare.
D. – In questo mondo così cambiato va detto che
prima le truppe rispondevano a logiche di guerra e di eserciti contrapposti,
seppure in “guerra fredda”, mentre oggi la logica del terrorismo ci pone di
fronte un interlocutore non visibile, quindi non un esercito scoperto. Che
senso ha parlare ancora di truppe?
R. – Difatti, questo è proprio uno dei grandi
problemi. L’espressione “guerra globale al terrorismo” definisce tecnicamente
la soluzione americana al terrorismo. Ora questa è una soluzione paradossale,
perché guerra e terrorismo si muovono su terreni, su dimensioni, su logiche, su
strategie totalmente indipendenti. Non potremo mai sconfiggere il terrorismo
con la guerra. Così come, va aggiunto, il terrorismo non potrà mai vincere una
guerra contro di noi o contro qualsiasi nemico, perché si tratta di logiche, di
strategie che non hanno nessun punto di contatto tra di loro. Il terrorismo non
si combatte con gli eserciti, si combatte con la politica. Se non capiamo
questo, le armi continueranno a stare al primo posto e saremo costretti addirittura
a rimpiangere l’età della guerra fredda. Che paradosso! Durante la guerra
fredda abbiamo sempre pensato che il mondo fosse sì stabile, però ingiusto.
Quando è caduto il muro di Berlino abbiamo detto: che bello, il mondo è
migliorato. Adesso invece sembra che il mondo sia ancora peggiore di quello di
prima. Forse stiamo perdendo l’equilibrio. Mi sembra una forma di vertigine,
alla quale dobbiamo sfuggire. Le armi non possono guidare la politica.
D. – Professor Bonanate, un’altra riflessione.
Questo riallineamento si gioca comunque su dieci anni, ma in questo momento
l’accelerazione che si imprime alla realtà del mondo globale non è tale da
rendere difficile la valutazione di qualcosa su dieci anni?
R. – Certo, questo è verissimo. Ma proprio la
condizione della globalizzazione e quindi della velocizzazione del tutto, dei
rapporti umani, dei rapporti economici, del funzionamento delle borse e così
via, fa sì che dieci anni diventino uno spazio temporale estremamente lungo.
Visto che stiamo parlando di riposizionamento della logica di un esercito, non
dobbiamo dimenticare che la globalizzazione incide fortissimamente e può farlo
molto in 10 anni. L’esercito americano, le forze armate americane stanno
subendo una trasformazione radicale importantissima, dovuta proprio alla nuova
logica strategica, ovvero faccio riferimento alla dimensione della
privatizzazione della guerra, cioè al ritorno al mercenariato, all’affidamento
di una serie di funzioni storicamente e tradizionalmente militari, quindi del
pubblico, dello Stato, che sono passati invece ad imprese private. Hanno creato
un mercato che è diventato oggi un business immenso, nel quale le compagnie
private multinazionali forniscono servizi agli eserciti delle grandi potenze. E
questo vale essenzialmente per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna. Anche
questo è un aspetto del quale noi dobbiamo tener conto oggi. Non possiamo
pensare che la violenza, la gestione della violenza, possa passare a dei
privati. Questo è un pericolo immenso. Vorrebbe dire tornare indietro di
cinque, sei secoli nella storia dello Stato moderno. Facciamo attenzione anche
a questo aspetto.
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AD ATENE 2004 OCCHI PUNTATI SUI DUE ATLETI GRECI
CHE
NON SI SONO PRESENTATI AL CONTROLLO ANTIDOPING
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Ad
Atene 2004 si avvia a conclusione il probabile caso doping che ha coinvolto le
due stelle dell’atletica greca, Costas Kenteris e Katerina Thanou. Per
entrambi, indagati per aver evitato un test e appena dimessi dall’ospedale dopo
un incidente automobilistico, è stata spostata a domani l’audizione presso le
autorità sportive. Nelle prime dichiarazioni rilasciate alla stampa i due
rivendicano con forza la propria innocenza, ma sarà praticamente impossibile
una riammissione alle gare dopo la sospensione decretata dal Comitato olimpico
greco. Intanto, ai Giochi, l’agonismo si interseca sempre più con le vicende
politiche internazionali. Sentiamo in merito Antonio Ferrari, inviato speciale
ed analista del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente ad Atene da Giancarlo
La Vella:
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R. - E’ inevitabile. Le Olimpiadi non sono qualcosa
fuori dal mondo, ma sono all’interno del mondo e delle sue contraddizioni. Prendiamo,
per esempio, una cosa positiva: la straordinaria avanzata dell’Iraq nel Torneo
di calcio. Insomma, vedere che l’Iraq riesce ad umiliare, addirittura, il
Portogallo e a battere il Costa Rica, e a procedere verso il turno successivo,
è abbastanza sorprendente. E’ chiaro che questo dà all’Iraq un successo di
immagine forte, in un momento particolarmente delicato della vita del Paese,
anche perché abbiamo ben visto che, nonostante tutte le promesse di tregua
olimpica, di tregua, proprio lì, non se ne vede. Poi abbiamo avuto l’atleta
iraniano, che è uno che sicuramente può andare verso una medaglia, magari anche
quella d’oro, in un Torneo importante come quello del judo, che viene spinto a
rinunciare ad incontrare un israeliano …
D. – Ecco, sembra quasi che a certi livelli la
tregua olimpica non possa far molto per questioni con cui la Comunità
internazionale è alle prese da decenni …
R. – Evidentemente, credo che la volontà di
sostenere questa tregua olimpica fosse autentica, però, in fondo, c’era la
convinzione dello stesso Comitato promotorio della tregua olimpica, di non
farsi illusioni e, in fondo, di dire: “L’importante è: continuiamo a parlare di
questa tregua olimpica, continuiamo a raccogliere i segnali positivi, come
quello che è tornata a ripetere la Corea che si è presentata unita alla
cerimonia inaugurale e, così creando passo dopo passo questa cultura del
dialogo e della fratellanza, chissà che domani non arrivino anche dei
risultati!”.
D. – Un ultimo aspetto, Antonio: tu ti trovi ad
Atene. Abbiamo parlato tempo fa di questa città e delle difficoltà che c’erano
nel preparare questa grande manifestazione. Ora, come si sta comportando la
capitale greca?
R. – Direi che sta andando tutto molto bene. Certo
su tutto aleggia l’ombra del doping, l’ombra delle pressioni degli
sponsor, questa è l’unica nota negativa di una Olimpiade che forse passerà alla
storia come la prima Olimpiade dove veramente la lotta al doping è
diventata seria e dura, e questo non potrà essere alla fine che un bene ed è
bene che sia accaduto nella patria dove sono nati i giochi, perché anche gli
sponsor si dovranno rendere conto che vincere e fare dei record è importante,
ma poi cadere in questo modo può essere veramente esiziale. Pensate soltanto al
danno che hanno subito proprio gli sponsor dei due atleti greci che sono fuori,
praticamente, da questa Olimpiade ...
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LA CULTURA, LA TRADIZIONE E LA STORIA SARANNO LE PRINCIPALI PROPOSTE DEL
PADIGLIONE ITALIANO ALL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL 2005 AD AICHI, IN GIAPPONE.
LA FIERA OSPITA 125 PAESI IN UN’OCCASIONE DI SCAMBIO E CONFRONTO
- Intervista con Umberto
Donati -
Saranno
la cultura, la tradizione e la storia, le principali proposte del padiglione
italiano all’Esposizione Universale del 2005 ad Aichi, in Giappone. La Fiera
che ospiterà 125 Paesi e 8 organizzazioni internazionali, vuole rappresentare
un momento di scambio e confronto tra le realtà del pianeta. Impegnativa la
preparazione dell’iniziativa che si terrà dal 25 marzo al 25 settembre del
prossimo anno. Massimiliano Menichetti ha intervistato Umberto Donati,
commissario generale per la partecipazione italiana all’Esposizione:
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(musica)
R. – Presenteremo il ‘sistema Italia’ in tutte le
sue articolazioni, in un padiglione che fa riferimento al Mediterraneo, ai
prodotti del nostro Paese.
D. –
Un padiglione che sarà allestito con la combinazione di luce, vetro e tanti
prodotti tipici. Qual è il punto centrale del cammino espositivo?
R. – Arriveremo ad una grande perla nella quale è
contenuto il punto di richiamo del padiglione che è il “Satiro danzante” di
Mazzara del Vallo.
D. –
Perché proprio il Satiro?
R. –
Perché abbiamo ritenuto che questa opera d’arte, che è stata per 2.500 anni
sepolta nel Mare Mediterraneo, sia la rappresentante più consona del tema che
noi vogliamo illustrare, che è l’arte del vivere.
D. –
Saranno presenti anche rappresentanti di dieci regioni italiane ...
R. –
Proprio per mettere in luce la
unitarietà del nostro Paese e le differenze tra le nostre varie regioni. Ci
sarà un Caffè come luogo d’incontro, nel quale poi illustreremo anche
l’appuntamento delle Olimpiadi sulla neve che ci saranno in Piemonte.
D. –
Qual è la sfida che il padiglione si propone?
R. –
Quella di incrementare i flussi economici e anche turistici, e per questo ci
sarà una serie di eventi incentrati sul turismo: convegni, seminari eccetera.
Però, sarà prima di tutto un’occasione di confronto.
(musica)
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17 agosto 2004
ALL’INSEGNA DELLA PACE E DELLA SOLIDARIETA’,
INIZIA DOMANI IL PELLEGRINAGGIO
DEI GIOVANI IN TERRA SANTA, PROMOSSO DALLA CEI E
DALLA CARITAS ITALIANA
ROMA. = I giovani italiani per
la pace in Terra Santa: inizia domani il Pellegrinaggio, promosso dal Servizio nazionale della CEI per la pastorale
giovanile, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per la Cooperazione
missionaria tra le Chiese e la Caritas Italiana. Un’iniziativa caratterizzata
dall’attenzione per la comunità cristiana locale (parrocchie, scuole e
religiosi). Nel corso della prima tappa, a Nazareth, i giovani visiteranno
l’Istituto Mar Elias di Ibilline e incontreranno mons. Giacinto Marcuzzo,
ausiliare di Gerusalemme dei Latini. Dopo le visite al Monte Tabor e al Monte
Carmelo, i pellegrini raggiungeranno Gerusalemme, dove è previsto un colloquio
con il Patriarca Latino S.B. Michel Sabbah. Avranno anche modo di conoscere comunità,
luoghi e iniziative delle tre religioni abramitiche e di partecipare ad una
Liturgia Eucaristica nella Chiesa del Santo Sepolcro. Particolarmente intensa è
anche la tappa di Betlemme, con visite all’asilo e alla clinica pediatrica di
Sr. Sophie Boueri, incontri con gli studenti dell’Università locale e una
tavola rotonda con il custode della Basilica della Natività, padre Ibrahim Faltas.
Di nuovo a Gerusalemme, i giovani visiteranno il Monte degli Olivi e il Cenacolo,
concludendo la loro esperienza in Terra Santa con una veglia di preghiera al
Getsemani. (A.G.)
APPELLO
DELLA FAO ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE PER CONTRASTARE L’INVASIONE DI
CAVALLETTE CHE DA OLTRE OTTO MESI
STA
TORMENTANDO I PAESI DELL’AFRICA DEL NORD ED ORA MINACCIA
QUELLI
DEL SAHEL: SERVONO TRA I 58 E GLI 83 MILIONI
DI
DOLLARI PER AFFRONTARE L’EMERGENZA
ROMA. = Allarme internazionale
per l’invasione di cavallette che, ormai da oltre otto mesi, sta tormentando
l'Africa: prima al nord ha colpito Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Mauritania,
poi ora sta minacciando i Paesi del Sahel Senegal, Gambia, Mali, Niger e Ciad,
Sudan occidentale e nord del Burkina Faso. Cavallette che viaggiano in schiere
fameliche, mediamente 50 milioni di insetti, alla velocità di oltre 100 chilometri
al giorno, percorrendo fino a 3.500 chilometri al mese. Un solo sciame può
coprire centinaia di chilometri quadrati di terreno, divorando tutto quello che
c'è: in un giorno l'equivalente di 375 grandi camion carichi di vegetazione,
tanto cibo quanto ne consumano 2.500 persone, 10 elefanti, 25 cammelli. Un
disastro per Paesi che hanno nell'agricoltura la loro risorsa principale e
paradossalmente sono state quest’anno le piogge abbondanti in Paesi che
soffrono di carenza d'acqua a consentire alle locuste di moltiplicarsi come non
accadeva da oltre 10 anni. Secondo la Fao la situazione permane critica ed i
fondi a disposizione sono del tutto insufficienti ad affrontare un'emergenza di
tale portata. Per portare avanti la campagna di disinfestazione fino a ottobre
prossimo, quando finirà il periodo riproduttivo delle locuste, nella migliore
delle ipotesi serviranno altri 58 milioni di dollari. Se invece si dovesse
verificare lo scenario più cupo per arginare l'emergenza potrebbero rendersi
necessari anche 83 milioni di dollari. Una previsione comunque ‘al ribasso’ se
si pensa che la precedente infestazione era costata circa 300 milioni di
dollari. (R.G.)
UNA RADIO PER LA PACE: E’ L’INIZIATIVA LANCIATA
DALLE NAZIONI UNITE
IN COSTA D’AVORIO, PAESE MARTORIATO DALLA GUERRA
CIVILE
ABIDJAN.=
Al via ufficialmente le trasmissioni della nuova emittente radiofonica dell’Onu
in Costa d'Avorio, “Onuci – Fm”, dall'acronimo francese della missione di pace
nel Paese africano. Da ieri, i “caschi blu” delle Nazioni Unite hanno lanciato
la propria voce via etere per facilitare il dialogo e il rafforzamento della
pace, come ha dichiarato Fred Eckhard, portavoce del segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan. Ogni opinione - ha spiegato - sarà accolta, ma non
ci sarà spazio per insulti o dichiarazioni violente. La realizzazione di una
radio risponde al mandato previsto dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, che nel
febbraio 2004 aveva istituito la missione, della quale, a pieno regime,
dovrebbero far parte poco più di seimila persone. Dopo quasi 2 anni di crisi,
la Costa d'Avorio è ancora divisa in due: il centro-nord sotto il controllo
degli ex-ribelli, che a settembre 2002 cercarono di rovesciare il presidente
Laurent Gbagbo e che ora siedono nel governo; il sud in mano ai governativi. I
recenti colloqui di pace di Accra, in Ghana, hanno portato alla firma di un
documento che sembrerebbe aver riavviato il percorso di riconciliazione
politica. Non è la prima volta che l’Onu dà vita ad una radio nell’ambito di
un’operazione di pace: l'esperimento più riuscito è quello della Repubblica
democratica del Congo, dove la missione 'Monuc' delle Nazioni Unite ha dato
vita a “Radio Okapi”, prezioso strumento di informazione in un Paese devastato
dalla guerra. (A.G.)
PRIMA RIUNIONE, VENERDI’ PROSSIMO 20 AGOSTO A
BRUXELLES, PER LA NUOVA
COMMISSIONE EUROPEA, CHE SI INSEDIERA’
UFFICIALMENTE IL PRIMO NOVEMBRE
BRUXELLES. = I 25 membri della
nuova Commissione europea presieduta da José Manuel Durao Barroso, che si
insedierà il primo novembre prossimo, si riuniranno per la prima volta venerdì
prossimo, 20 agosto, a Bruxelles. “Si tratterà di una prima riunione, una sorta
di brain storming”, ha dichiarato Ewa Hedlund, portavoce dell'esecutivo
dell’Unione europea. Il presidente Barroso ha annunciato giovedì scorso a
Bruxelles la composizione della sua squadra e la ripartizione dei portafogli.
(R.G.)
le meraviglie storiche e culturali dell’Italia
incantano i turisti:
nel solo
giorno di ferragosto, il circuito archeologico del Colosseo
e del Palatino A Roma è stato meta di oltre 10 mila
visitatori
ROMA. =
Ferragosto impegnativo per i musei italiani. Circa 300 siti archeologici e
museali statali sono stati meta di un gran numero di visitatori stranieri e
non, registrando un incremento rispetto al 2003. Lo rende noto in un comunicato
diffuso stamani il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Secondo il
titolare del ministero, Giuliano Urbani, “anche quest’estate si è confermato il
grande interesse per le meraviglie storiche e artistiche dell’Italia. Si tratta
di un aspetto significativo se si considera il calo generale del turismo
estero”. Nella sola giornata del 15 agosto, infatti, il circuito archeologico
del Colosseo e del Palatino di Roma ha registrato 10233 visitatori, seguito
dagli scavi di Pompei dove si è avuto il 33 per cento di presenze in più
rispetto allo scorso anno, mentre nella città di Firenze la Galleria degli
Uffizi, il Corridoio Vasariano, il Giardino di Boboli, le Cappelle Medicee e la
Galleria Palatina hanno registrato più di 14300 visitatori. (R.P.)
E’ SALITO A 164 MORTI IL BILANCIO DELLE VITTIME
DEL TIFONE “RANANIM”,
CHE HA INVESTITO LA CINA LA SCORSA SETTIMANA
PECHINO. = E' salito a 164 morti
il bilancio delle vittime del tifone “Rananim”, che ha colpito le coste orientali
della Cina la scorsa settimana. Lo afferma oggi l'agenzia d'informazione “Nuova
Cina”, aggiungendo che altre 24 persone sono date per disperse. Nella provincia dello Zhejiang, direttamente investita
dal ciclone, i danni sono pari ad oltre 2 miliardi di dollari. L'Ufficio
meteorologico cinese ha affermato che Rananim è stato il tifone più violento
che abbia colpito la Cina dal 1956. (R.G.)
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17 agosto 2004
- A cura di Barbara Castelli -
Nuove pagine di
violenza hanno scosso stamani l’Iraq, mentre la diplomazia internazionale è
all’opera per ricondurre le parti al dialogo. Sette persone hanno perso la vita
a Baghdad, nell’esplosione innescata da diversi colpi di mortaio e la tensione
continua ad attraversare la città santa sciita di Najaf. Il nostro servizio:
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Ha preso il via la
missione della delegazione di politici e religiosi della Conferenza nazionale
irachena, che da Baghdad si stanno recando nella città santa sciita di Najaf,
dove proseguono gli scontri tra le forze armate e i ribelli fedeli al leader
radicale Moqtada Al-Sadr. Carri armati e veicoli blindati sono stati visti
prendere posizione questa mattina attorno alla città vecchia, dove centinaia di
miliziani dell’Esercito Mehdi sono asserragliati da giorni, non lontano dalla
moschea dell’imam Ali.
La fine degli
scontri nella città santa sciita è stata invocata anche dal presidente
iracheno, Ghazi al-Yawar, che ha invitato i rivoltosi a deporre le armi. Sulla
recrudescenza della tensione nel Paese del Golfo sono intervenuti anche i
premier italiano e britannico, Silvio Berlusconi e Tony Blair, che hanno
auspicato una soluzione politica da parte del governo di Iyad Allawi, che
“dovrà fare ogni sforzo possibile” per trovare una soluzione alle attuali tensioni.
Proiettili di mortaio
questa mattina hanno innescato nel centro di Baghdad una violenta esplosione
nei pressi del commissariato di polizia irachena, causando la morte di almeno
sette persone, fra cui due bambini, e il ferimento di altre 24. La violenza
serpeggia nuovamente anche a Nassiriya, dove nella notte tre carabinieri sono
finiti nel mirino della guerriglia. Due hanno riportato ferite lievi, mentre il
terzo, in prognosi riservata ma non in pericolo di vita, è stato trasferito
all’ospedale di Kuwait City.
Gli attacchi contro
“i nostri militari di pace che si trovano in Iraq – ha commentato il presidente
del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi – sono particolarmente ingiusti e
ingenerosi”. A Samarra è stato il comandante della guarnigione della Guardia
Nazionale irachena a perdere la vita, insieme con uno dei suoi ufficiali e a
quattro guardie del corpo per mano dei miliziani della resistenza sunnita. La
guerriglia poi prosegue con la tattica dei sequestri: stamani ha rimesso in
libertà l’ostaggio giordano, ma ha rapito un camionista libanese. Per fermare
questo insensato spargimento di sangue in queste ore è frenetica l’opera della
diplomazia internazionale. Invocato nuovamente dall’Iran l’intervento delle Nazioni
Unite.
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Il terrorismo ha nuovamente colpito il
Pakistan. Una potente esplosione ha seriamente danneggiato un gasdotto nell’est
del Paese, interrompendo le forniture in diverse aree. La polizia ha escluso
che vi siano stati feriti e avviato le indagini. Secondo un dirigente della
compagnia statale del gas, “alcuni terroristi sconosciuti hanno usato una bomba
a tempo per distruggere il gasdotto”.
Anche
gli osservatori internazionali inviati in Venezuela hanno confermato il
responso delle urne: il vincitore del referendum di domenica è il presidente
Hugo Chavez, che resterà alla guida del Paese fino a dicembre 2006. Ma la
tensione resta alta: ieri una persona è morta e sei sono rimaste ferite in
scontri di piazza. Il servizio da Caracas di Maurizio Salvi:
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Il formale appoggio del Centro
Carter e dell’Organizzazione degli Stati Americani alla correttezza del
processo elettorale venezuelano ha contribuito a consolidare la vittoria del
presidente Hugo Chavez, rafforzandone posizione e immagine. L’ampio margine di
vantaggio – si parla di un milione e mezzo di voti – rende fra l’altro più
difficile la posizione del coordinamento democratico di opposizione, che
continua a parlare di una gigantesca frode, ma che non ha ancora trovato la
chiave per dare corpo alla sua denuncia. Un tentativo poi di chiamare in piazza
ieri pomeriggio la gente per condannare il processo elettorale favorevole a
Chavez si è chiuso con un episodio, l’ennesimo di violenza, sulla piazza
Altamira. Per quanto riguarda i suoi progetti energetici, Chavez ha confermato
che il Venezuela continuerà a garantire ai clienti le forniture di petrolio,
annunciando che la produzione di greggio passerà in cinque anni da tre a cinque
milioni di barili al giorno.
Da Caracas, Maurizio Salvi, per
la Radio Vaticana.
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Il governo del Costa Rica ha revocato ieri l’asilo territoriale
accordato a uno dei capi dell’opposizione venezuelana, Carlos Ortega.
Quest’ultimo, infatti, infrangendo gli obblighi che gli erano stati imposti, ha
effettuato un viaggio in Venezuela lo scorso 30 luglio. Ortega, presidente
della Centrale dei lavoratori del Venezuela (CTV), uno dei principali
oppositori del presidente Hugo Chavez insieme con Carlos Fernandez, beneficiava
dell’asilo territoriale in Costa Rica dal 17 marzo 2003.
La tensione in Medio Oriente resta alta. Due
palestinesi, che in apparenza si apprestavano a compiere un attentato, sono
stati uccisi da militari israeliani la scorsa notte nella striscia di Gaza, nei
pressi dell’insediamento di Atzmona. Il primo ministro israeliano, Arien
Sharon, intanto, ha sbloccato i progetti edilizi in insediamenti ebraici e ha
dato il via libera alle gare d’appalto. I progetti riguardano nuove costruzioni
di alloggi in sette insediamenti della Cisgiordania.
Si fa sempre più critica la situazione in
Nepal dove alberghi e società commerciali hanno chiuso i battenti, all’indomani
dell’attentato maoista contro un hotel di lusso a Katmandu, il Soaltee Crowne
Plaza. La quattro bombe fortunatamente non hanno causato vittime. E’ stato
ucciso, invece, un giornalista di una radio di Katmandou, accusato di sostenere
il governo. La guerra scatenata otto anni fa dai guerriglieri maoisti, che
vogliono rovesciare la monarchia e instaurare un regime comunista, ha causato
10 mila morti.
Nuovi scontri nella regione
separatista dell’Ossezia del Sud, dove nella notte due soldati delle forze
d’interposizione georgiani sono rimasti uccisi ed altri due feriti in un
conflitto a fuoco con i ribelli. Il ministro dell’Interno di Tbilisi, Irakly
Okruashvili, ha dichiarato, inoltre, che durante la sparatoria sono morti anche
15 ribelli, ma la portavoce dell’amministrazione della regione separatista,
Irina Gagloyeva, ha smentito la notizia.
Si riaccende la tensione tra Cina e Taiwan.
Pechino ha effettuato nei giorni scorsi lanci sperimentali di un nuovo missile
di precisione. Secondo i mezzi d’informazione locali l’esperimento è stato
condotto con successo. Le autorità cinesi negli ultimi mesi hanno ripreso la
retorica belligerante contro Taiwan, che Pechino considera una provincia
ribelle.
Proseguono
le violenze nella regione sudanese del Darfur. Tre civili sono stati uccisi stamani
a Jamet da un gruppo di ribelli. Lo ha annunciato il governatore Osmane Youssef
Kibir, specificando che si tratta della settantaseiesima violazione del cessate
il fuoco. Per vigilare sugli accordi siglati tra le milizie arabe Janjaweed,
accusate di pulizia etnica, e le forze ribelli è atteso per il prossimo 25
agosto un secondo contingente dell’Unione Africana, composto da soldati nigeriani.
Da oggi la Serbia ha un inno, uno stemma e una
bandiera, che resteranno in vigore fino alla redazione della nuova costituzione
del Paese. A favore dei simboli transitori hanno votato tutti i partiti del
Parlamento, tranne quello socialista, a suo tempo fondato da Slobodan
Milosevic, che ha preferito l’astensione. L’inno e lo stemma sono quelli del
regno serbo della fine dell’800, la bandiera è rossa, blu e bianca come quella
di Serbia e Montenegro, ma con sfumature diverse. Resta, invece, in alto mare
l’adozione di un inno per l’unione, rimandata al prossimo settembre.
Il Vietnam ha reso noto che due
bambini della provincia nel nord di Ha Tay, morti all’inizio di agosto a causa
della cosiddetta influenza dei polli, sono risultati positivi al test del virus
H5N1. Sale così a tre il numero delle persone decedute in Vietnam negli ultimi
mesi, dopo che il 30 marzo scorso fonti di Hanoi avevano dichiarato debellata
la malattia. Anche una 19.enne ricoverata in ospedale è risultata positiva al
test.
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