RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 260 - Testo della
Trasmissione mercoledì 17 settembre 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Violenza sulle
donne, una piaga da risanare. Presentata dall’Onu a Roma una nuova strategia.
CHIESA E SOCIETA’:
Aperta la 58.ma sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
I vescovi caldei
chiedono una propria rappresentanza nel Consiglio governativo iracheno.
Chiesto dal
cardinale Agnelo Majella al governo brasiliano un piano per combattere la
corruzione.
Veto degli Stati Uniti
alla risoluzione Onu contro l’esilio di Arafat.
Anche cittadini
statunitensi e britannici nella resistenza irachena: la coalizione ne arresta
8.
In carcere il presunto
assassino del ministro svedese Anna Lindh: è un 35.enne presumibilmente legato
agli ambienti neonazisti.
IL RICORDO DEL VIAGGIO
APOSTOLICO IN SLOVACCHIA,AL CENTRO DELL’UDIENZA GENERALE DEL PAPA,
CHE HA ANCHE RIVOLTO UN INVITO AL MONDO DELLO SPORT
PERCHE’ SIA LUOGO DI FORMAZIONE AI VALORI ETICI E SPIRITUALI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
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La Slovacchia nel cuore, con la sua gente, le sue
celebrazioni “belle e suggestive”, la constatazione di una linfa evangelica che
non ha smesso di scorrere nella Chiesa locale, neanche quando la storia le ha
riservato persecuzione e martirio. E’ un affettuoso e ammirato apprezzamento
quello che Giovanni Paolo II ha riservato oggi ai fedeli e alle istituzioni
slovacche. L’udienza generale in Piazza San Pietro ha permesso al Papa di
riandare con la memoria ai giorni e agli avvenimenti del 102.mo viaggio
apostolico appena concluso, il terzo nel Paese appartenente al blocco di
nazioni che nel maggio 2004 entrerà nell’Unione Europea. Proprio questo aspetto
è stato una volta di più sottolineato dal Pontefice:
“Con piacere ho
potuto ammirare lo sviluppo economico e sociale che è stato realizzato in
questi anni (…). Grazie a Dio, (il popolo slovacco, ndr) possiede un ricco
patrimonio spirituale, che, nonostante la dura persecuzione subita nel passato,
ha saputo saldamente conservare”.
Dalla visita all’antica cattedrale di Trnava fino alla
cerimonia di beatificazione del vescovo Vasil’ Hopko e di suor Zdenka
Schelingova, domenica scorsa a Bratislava, Giovanni Paolo II ha ricordato tutti
i singoli momenti di incontro con la comunità ecclesiale slovacca. Ed ha
ribadito alcune delle affermazioni-chiave che hanno costituito la trama
spirituale del viaggio: dal “coltivare, a partire dalla famiglia, una libertà
matura” al restare “solidamente radicati” nella secolare tradizione cristiana
del Paese. Tradizione che permetterà alla Slovacchia – si è detto convinto il
Papa - di “offrire alla costruzione dell’Europa un suo valido contributo anche
sul piano dei valori”. Per questo, fondamentale resta il lavoro di formazione
proposto dalla Chiesa a partire dai suoi vescovi, sempre al centro
dell’attenzione del Pontefice:
“Li ho
incoraggiati a proseguire nella vasta opera di promozione della vita cristiana,
dopo gli anni bui dell’isolamento e della dittatura comunista”.
Sulla scorta di quel passato doloroso, ha concluso
Giovanni Paolo II, si misura la volontà espressa dai fedeli slovacchi di
“restare fedeli a Cristo e alla Chiesa”, proposito che il Papa ha affidato alla
Madonna Addolorata, principale Patrona del Paese europeo.
Tra le migliaia di persone radunate in Piazza San Pietro,
vi erano stamani anche i dirigenti della Federazione italiana giuoco calcio
insieme agli arbitri di Serie A e B. Al momento dei saluti conclusivi, Giovanni
Paolo II ha voluto indirizzare un pensiero e insieme un’esortazione ai
rappresentanti di uno sport molto amato in Italia, al centro, negli ultimi
mesi, di una serie di vicissitudini:
“Carissimi, la
vostra presenza mi offre l’occasione per auspicare ancora una volta che lo
sport sia sempre palestra di autentica formazione umana, ispirata ai valori
etici e spirituali”.
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Il Papa
ha ricevuto stamani in udienza l’arcivescovo indiano mons. George Kocherry,
nunzio apostolico in Ghana.
In Brasile, il Pontefice ha
accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Aracatuba,
presentata dal vescovo mons. José Carlos Castanho de Almeida, in conformità
alla norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”.
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Un passo della catechesi
dell'odierna udienza generale è il contenuto della testatina dal titolo
"L'Europa o è cristiana o non è Europa".
Il titolo d'apertura è
"Cara Slovacchia, grazie per il tuo amore alla Chiesa e al Successore di
Pietro!": all'udienza generale, Giovanni Paolo II ricorda il recente
viaggio apostolico in una terra segnata da una lunga storia di fedeltà a Cristo
e alla Chiesa.
Nelle vaticane, l'omelia
del vescovo Crepaldi durante la celebrazione Eucaristica presieduta
dall'arcivescovo Martino in occasione del primo anniversario della morte del
cardinale Van Thuan.
Due pagine dedicate alla figura
di San Giuseppe da Copertino.
Nelle estere, riguardo al Medio
Oriente, veto degli Usa all'Onu ad una risoluzione contro la decisione di
esiliare Arafat.
Iraq: la diplomazia
internazionale al lavoro per trovare soluzioni alla crisi.
Nella pagina culturale, un
contributo di Paolo Miccoli dal titolo "L'esaltante avventura di essere
persona": il confronto tra uomo e natura nel pensiero contemporaneo.
Nelle pagine italiane, in primo piano i temi delle
riforme e della finanziaria.
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17 settembre
2003
NON ABBIATE PAURA! TORNATE IN
TERRA SANTA!
APPELLO
AI PELLEGRINI DI TUTTO IL MONDO, DA PADRE IBRAHIM FALTAS,
CUSTODE
DELLA BASILICA DELLA NATIVITA’
La drammaticità della situazione in Medio Oriente si
ripercuote sui pellegrinaggi in Terra Santa. Per la paura di attentati,
infatti, i luoghi santi ormai da tre anni sono disertati dai fedeli provenienti
da tutto il mondo. Betlemme, che si popolava di pellegrini, sembra una città
spettrale: negozi chiusi, aumento della disoccupazione ed esodo di molti
cristiani. Lo conferma padre Ibrahim Faltas, custode della Basilica della
Natività, intervistato a Betlemme da Roberto Piermarini.
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R. – I pellegrini non vengono ormai da tre anni. Il 75 per
cento della popolazione di Betlemme lavora nel settore del turismo e il turismo
è bloccato. Potete, dunque, immaginare la situazione, specialmente la
situazione economica della gente, che è veramente drammatica.
D. – Com’è la situazione sociale in questo momento?
R. – Come vedete, in questo momento, con questi attentati,
con queste reazioni di Israele, la situazione è peggiorata. Ultimamente,
purtroppo, molti cristiani sono scappati via da Betlemme. Sono andati via
almeno 2 mila cristiani dalla zona di Betlemme. Anche la disoccupazione è una
piaga, perché il marito sta sempre a casa, 24 ore su 24. Ed in questi anni
tante sono state le separazioni tra moglie e marito, proprio perché il marito
sta a casa, non lavora e non può pagare per i figli. Quindi, notiamo tante
separazioni, tanti problemi, che prima non accadevano, e che ci fanno male. Ma
quello che ci fa davvero male sono i cristiani che se ne vanno. Abbiamo paura
che nel futuro i Luoghi Santi saranno solamente musei senza cristiani locali.
D. – Cosa si può fare, padre Faltas, per questo?
R. – Come avete visto anche voi, non penso che un domani
sarà peggiore di oggi, in cui siete entrati a Betlemme e l’avete visitata. Io
voglio fare un appello ai cristiani di tutto il mondo, di tornare come
pellegrini in Terra Santa. Questo aiuta molto ed è un grande sostegno per la
gente, è un grande aiuto, è un incoraggiamento molto forte per i cristiani
locali, tenendo conto che mai è successo nulla ad un pellegrino. Allora,
vincete la paura e tornate come pellegrini in Terra Santa. Dovete pregare per
noi e visitare i vostri figli che si trovano in difficoltà e stanno male.
Quando il fratello sta male si va a visitarlo. Questo chiedo a tutti i
cristiani del mondo, di tornare come pellegrini in Terra Santa, specialmente in
questo momento, in questa situazione drammatica. E dico di non aver paura,
perché mai succederà nulla ad un pellegrino.
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CALMA IN GUINEA BISSAU DOPO IL GOLPE,
IL
POPOLO GUARDA ALLA CHIESA
-
Intervista con il vicario diocesano mons. Domingos Ca -
La situazione sembra tranquilla in Guinea Bissau dopo il
colpo di Stato militare di domenica scorsa: il presidente Kumba Yalla è tuttora
agli arresti domiciliari. Ieri è stata affidata al vescovo della capitale,
mons. José Câmnate na Bissign, la guida di una commissione incaricata di
preparare la formazione di un governo transitorio. Nuove elezioni democratiche
dovrebbero essere indette al più presto. Su quanto sta accadendo in questo
piccolo Stato dell’Africa occidentale, ascoltiamo mons. Domingos Ca, vicario
generale della diocesi di Bissau, intervistato da Sergio Centofanti:
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R. – La situazione è tranquilla, è tornata la normalità.
E’ stato un colpo di Stato durato soltanto poche ore, senza versamento di
sangue. Tutto è tornato alla normalità.
D. – Perché hanno scelto il vescovo di Bissau?
R. – Penso che sia per la fiducia che hanno nella Chiesa,
penso che sia da parte loro un riconoscimento per quello che la Chiesa sta
facendo ed ha fatto nel passato.
D. – Perché c’è stato questo ‘golpe’?
R. – Perché la situazione era tale per cui forse non c’era
altra soluzione.
D. – Il presidente Kumba Yalla non rispettava la
democrazia?
R. – Esattamente, proprio così. Lui stesso rappresentava
l’ostacolo alla democrazia; si è messo in contrasto con tutte le istituzioni
democratiche. L’unico potere che funzionava era lui ...
D. – La popolazione appoggia i militari in questo momento?
R. – Sì. Li appoggia al cento per cento.
D. – Qual è la situazione sociale ed economica della
Guinea Bissau?
R. – Proprio caotica. Si parla di 11 mesi senza salario,
la scuola, la salute, niente funziona ...
D. – C’è molta povertà?
R. – Molta, molta povertà! Quelli che riescono a mangiare
qualcosa, mangiano una volta al giorno.
D. – E la Chiesa che cosa fa, in questo Paese?
R. – Per il popolo, l’unica speranza è proprio la Chiesa.
Se c’è qualche scuola che funziona, un ospedale, un centro di salute che
funziona, è proprio della Chiesa. Il popolo lo sa, e indipendentemente dalla
religione e dalla razza, tutti sanno che la Chiesa può contribuire a cambiare
la situazione nel Paese. E la Chiesa sta facendo quanto è nelle sue
possibilità.
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VIOLENZA SULLE DONNE, UNA PIAGA ANCORA LONTANA
DALL’ESSERE SANATA.
L’ONU LANCIA UNA NUOVA STRATEGIA:
STAMANE
A ROMA LA PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
- Servizio
di Roberta Gisotti -
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Le
cifre sono drammatiche: 1 donna su 3 nel mondo avrebbe subito abusi sessuali,
oltre un milione sarebbe vittima ogni anno del traffico di esseri umani, ben
130 milioni avrebbero subito mutilazioni genitali. Usiamo il condizionale perché
sono stime, stime su una realtà che - a detta dell’Onu - tocca ogni Paese, ogni
cultura, ogni classe sociale. Uno spaccato di questo sconcertante scenario sta
emergendo nel Seminario organizzato in questi giorni dal Fondo delle Nazioni
Unite per la popolazione (Unfpa), in collaborazione con l’Associazione donne italiane
per lo sviluppo (Aidos), che ha riunito a Roma 40 donne esperte internazionali
sul tema della violenza.
Oggi l’incontro con la stampa per presentare una nuova
strategia d’intervento per lottare contro questo scandaloso fenomeno; fenomeno
che trova terreno fertile nelle mancata parità - ancora cosi diffusa - tra
uomini e donne e che ha radici sociali, culturali, etniche ed anche religiose,
che vanno estirpate, quando ledono i diritti inalienabili delle persone. La
novità dell’iniziativa riguarda il coinvolgimento del personale e delle
strutture sanitarie poste in contatto quando esistono in loco con i Centri
antiviolenza. Il progetto pilota è già partito da un paio di anni in 10 Paesi,
in America latina, in Ecuador e Guatemala, in Asia, in Nepal e Sri Lanka, in
Medio Oriente, in Libano, in Africa, a Capo Verde e in Mozambico, ed anche
nell’Europa dell’Est, in Romania, Lituania e Russia. I Servizi sanitari quindi
valorizzati nel ruolo di cura ma anche prevenzione: per questo sono stati
avviati corsi di formazione del personale medico e paramedico per affrontare
questa delicata questione non solo somministrando le necessarie terapie mediche
ma anche operando assistenza alle donne sul piano psicologico, sociale e
culturale.
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OCCHI PUNTATI SUL PRIX
ITALIA,
CONCORSO
INTERNAZIONALE PER UNA RADIO E UNA TV DI QUALITA’
-
Intervista con Carlo Sartori -
Si svolge fino al 20 settembre tra Catania e Siracusa il
Prix Italia, il più antico e prestigioso concorso internazionale per programmi
radio, tv e web. La rassegna, che vede quest’anno la partecipazione di 75 enti
radiotelevisivi pubblici e privati, in rappresentanza di oltre 48 Paesi dei
cinque continenti, premierà programmi, documentari, film e iniziative di
elevata qualità culturale. Antonella Palermo ha intervistato Carlo Sartori,
segretario generale della manifestazione, giunta quest’anno alla 55.ma
edizione:
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R. – I premi servono solo – ormai – se riescono ad
inserirsi positivamente nelle strutture produttive di mercato della radio e
delle televisione. E allora noi, al Prix Italia, abbiamo quest’anno creato per
la prima volta sperimentalmente il ‘mercato della televisione e della radio di
qualità’, che può vantarsi di avere il marchio ‘doc’ del Prix Italia che ha una
storia di oltre 50 anni di perseguimento – appunto – dei criteri di qualità.
D. – Oggi, la qualità della televisione italiana dov’è?
R. – La qualità della televisione italiana è molto mista.
Oggi è sempre più difficile imporre didatticamente, didascalicamente la
qualità. La qualità deve nascere dal fatto che il pubblico è molto maturato.
Poi, ovviamente, devono esserci delle regole che devono attraversare
trasversalmente tutti i generi dei programmi e ci vuole poi il rispetto delle
regole, come la protezione dei minori, la protezione della dignità umana ...
Poi, però, dev’essere il pubblico che sceglie. E qui subentra il punto forse
più importante, che è quello della qualità dei sistemi. Noi dobbiamo dare a
tutti gli interessi socialmente rilevanti pari dignità.
D. – Non dimentichiamo che il Prix Italia si occupa anche
di internet: quali novità, a proposito?
R. – Prix Italia è stato fondato nel 1948 e c’era solo la
radio; nel ’57 si è aperta la televisione e nel 2000 si è aperto al web.
Ovviamente si è aperto al web non in senso generale. Noi premiamo i programmi
di convergenza tra radio, televisione e web che sono presentati dai broadcast.
Devo dire che quest’anno il livello di tecnologismo e al tempo stesso di
amichevole uso dei siti presentati dai broadcaster è cresciuto enormemente.
Ormai, veramente, il web, la web-tv e la web-radio si propongono come i mezzi
di contaminazione più vicini ad un uso sempre più quotidiano ed interattivo del
pubblico.
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17 settembre
2003
DOPO UN ANNO CRITICO
AVVIATA IERI A NEW YORK LA 58.MA SESSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI
UNITE.
TRA I TEMI PIÙ URGENTI LA RIFORMA DELL’ORGANISMO,
CHE CERCA UN RUOLO PIÙ DECISIVO
NEI GRANDI AVVENIMENTI DEL NOSTRO TEMPO
- Servizio di Elena Molinari -
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NEW YORK. = E’ stato un anno di dolore e discordia
quello che simbolicamente si è chiuso ieri con l’avvio della 58.ma sessione
dell’Assemblea generale dell’Onu. I lavori al Palazzo di Vetro si sono aperti
con un momento di memorie dedicate all’attacco dello scorso agosto a Baghdad
contro la sede delle Nazioni Unite, attacco costato la vita a oltre 20 persone
tra cui l’inviato speciale Sergio Vieira De Mello. Quindi, è stato presentato
l’ordine del giorno che è molto fitto. Sono ben 49 i temi da affrontare e molti
hanno a che fare con la gestione della presenza Onu nelle aree più calde del
mondo, dal Medio Oriente all’Iraq, all’Afghanistan. Presenti in agenda,
inoltre, la gestione dei tribunali internazionali sui crimini nella ex
Jugoslavia e in Rwanda. Una delle discussioni più difficili sarà proprio quella
sulla riforma dell’Onu stessa per far sì che l’Organismo internazionale possa
avere un ruolo più decisivo e non venga più accusato, come in passato, di
irrilevanza. La presidenza della sessione dell’Assemblea è andata ad un
rappresentante di Santa Lucia, piccolo stato caraibico. Il compito di guidare
l’assise ruota infatti ogni anno fra gli Stati che rappresentano 5 aree
geografiche nelle quali sono divisi 191 Paesi che compongono l’Assemblea. Il
dibattito vero e proprio prenderà il via, invece, il 23 di settembre alla
presenza di capi di Stato e di governo dei Paesi membri.
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I VESCOVI
CALDEI IRACHENI CHIEDONO CHE VENGA INSERITO UN RAPPRESENTANTE CALDEO
NEL CONSIGLIO GOVERNATIVO DEL PAESE E SOTTOLINEANO
L’IMPORTANZA DELL’ETNIA NEL PROCESSO DI RICOSTRUZIONE
DELL’IRAQ
BAGHDAD. = Un rappresentante caldeo nel Consiglio
governativo iracheno è la richiesta fatta da 19 vescovi caldei
all’amministratore civile in Iraq, Paul Bremer. Nel documento, diffuso lunedì,
c’è la richiesta del riconoscimento dell’importante contributo della comunità
caldea nella costruzione del nuovo Iraq: i cristiani sono antichi abitanti
della Mesopotamia dove hanno un patrimonio di monasteri, villaggi e città. I vescovi
ricordano anche che molti caldei hanno subito persecuzioni e sono stati
costretti a fuggire dalle loro terre in seguito al tentativo di sopprimere la
loro cultura. La popolazione caldea, l’80 per cento dei cristiani iracheni, rappresenta
il terzo gruppo etnico nel Paese: una presenza importante anche in campo
professionale, sociale e amministrativo. Per questo i vescovi chiedono che
venga riconosciuta l’importanza del ruolo che questi cristiani ricoprono nel processo
di ricostruzione dell’Iraq. (M.R.)
UN PIANO PER
COMBATTERE LA CORRUZIONE E LO SPERPERO DI DENARO PUBBLICO:
QUESTA LA RICHIESTA DEL CARDINALE AGNELO MAJELLA AL
GOVERNO DEL BRASILE
NEL CORSO DI UN INCONTRO CON IL CAPOGRUPPO DEL
PARTITO DI MAGGIORANZA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
SALVADOR. = Il presidente della Conferenza dei
vescovi cattolici brasiliani, il cardinale Geraldo Agnelo Majella, ha invitato
il presidente Luiz Inacio “Lula” da Silva a predisporre un piano per combattere
la corruzione che, secondo il porporato, sta minando seriamente le istituzioni.
Durante un incontro svoltosi lunedì a Salvador con il capogruppo del Partito
dei Lavoratori alla Camera dei Deputati, Nelson Pellegrino, il cardinale Agnelo
Majella si è detto stupefatto dagli articoli della stampa sui casi di mal
utilizzo da parte dei funzionari statali dei fondi destinati a programmi
sociali. “La situazione - ha detto il cardinale - è sempre più preoccupante. E’
necessario fermare la corruzione che sta penalizzando soprattutto i poveri”. Il
porporato, che è anche arcivescovo di Sao Salvador do Bahia, ha inoltre
confidato a Pellegrino le sue speranze affinché il governo federale promuova
l’educazione primaria e si impegni nel contrastare la violenza urbana e rurale
e la cattiva influenza esercitata nei giovani da alcuni programmi di cattiva
qualità. Per raggiungere questi obiettivi il presidente dell’episcopato
brasiliano, ha proposto di rafforzare la collaborazione della Chiesa cattolica,
già presente nell’ambito di programmi sanitari, educativi e di lotta alla
povertà e alla fame. (M.A.)
PRIME
DICHIARAZIONI ALLA STAMPA DEL NUOVO ARCIVESCOVO DI MANILA, MONS. ROSALES.
TRA I CARDINI DELLA SUA AZIONE PASTORALE PREVISTO
UN IMPULSO ALL’EVANGELIZZAZIONE E L’ATTENZIONE AI
BISOGNI DELLE PERSONE POVERE
MANILA. = Nella sua prima
intervista dopo la nomina lunedì scorso di nuovo arcivescovo di Manila, mons.
Gaudencio B. Rosales ha confidato all’agenzia Fides speranze e programmi del
suo servizio pastorale. “Sono piuttosto inquieto – ha detto l’arcivescovo – e
mi sento come San Giuseppe quando ebbe in sogno la visione dell’Angelo che gli
diceva di non preoccuparsi, mentre Maria era in attesa di Gesù”. Come Maria
rimase turbata, ma fiduciosa, all’annunzio di Gabriele, anche l’arcivescovo afferma
di essere in un momento cruciale della sua vita. Il presule ha detto di essere
onorato che il Santo Padre lo abbia scelto per un servizio così delicato, del
quale sta già definendo le linee d’azione fondamentali. L’evangelizzazione, la
diffusione della buona notizia della Risurrezione di Cristo, sarà il centro del
suo operare, ma anche l’impulso al dialogo tra le varie componenti della Chiesa
diocesana e le opere di carità nei confronti delle persone povere saranno
sicuramente inseriti tra le sue priorità. Mons. Rosales, ha ricordato inoltre
il suo predecessore, il cardinale Jaime Sin, che era in carica dal 1974, dimessosi
per limiti di età e motivi di salute. “Ringrazio il cardinale Sin – ha detto il
nuovo arcivescovo - per tutto quello che ha dato alla Chiesa filippina e al
Paese negli ultimi 30 anni. La sua eredità e il suo carisma non andranno
dispersi. Durante il mio ministero lavorerò nel segno della continuità con la
sua impostazione pastorale”. Mons. Rosales ha poi espresso un commento sulla
situazione generale del Paese. “Attraversiamo un momento difficile – ha rilevato
– e l’episcopato ha emesso di recente un comunicato che invitava politici,
esercito e cittadini a lottare contro la corruzione e lavorare per l’unità e il
benessere del Paese. Questo impegno resta fondamentale per la Chiesa: dobbiamo
far sì che valori del vangelo siano incarnati nella società”. (M.A.)
“LE
INIZIATIVE TELEVISIVE DEI CATTOLICI NEI PAESI EUROPEI:
REALTÀ E PROSPETTIVE” È L’IDEA GUIDA DEL SEMINARIO
DI STUDIO
PROMOSSO DALLE COMMISSIONI E DAI CONSIGLI EPISCOPALI
EUROPEI CHE SI APRIRÀ DOMANI A ROMA
ROMA. = Analizzare la presenza delle iniziative
televisive dei cattolici nei Paesi europei è il proposito del simposio promosso
dalle Commissioni e dai Consigli episcopali europei in collaborazione con la
Fondazione comunicazione e cultura e la Commissione per le comunicazioni
sociali della Conferenza episcopale italiana (Cei). Le esperienze nazionali dei
programmi cattolici sono molto variegate: in alcuni Paesi esistono emittenti
private cattoliche, in altri la Chiesa ha accesso alle televisioni pubbliche,
in altri ancora non si hanno programmi di questo genere. Durante il seminario
si incontreranno i responsabili dei programmi religiosi delle televisioni
pubbliche di circa venti Paesi per verificare le esperienze e per ipotizzare
una coproduzione internazionale per accedere ai finanziamenti dell’Unione Europea.
Mons. Francesco Cerotti, presidente della Fondazione comunicazione e cultura
della Cei aprirà i lavori, Francesco Casetti docente dell’Università cattolica
di Milano guiderà i momenti di confronto mentre Jim McDonnell del Gruppo Mass
Media della Commissione degli episcopati europea presenterà le norme in materia
televisiva della Comunità Europea. (M.R.)
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17 settembre
2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio Oriente il seme dell’odio continua, purtroppo, ad
insanguinare i Territori. Un militante della Brigata dei martiri di al Aqsa è
stato infatti ucciso da soldati israeliani in uno scontro armato avvenuto, la
scorsa notte, nella casbah di Nablus, in Cisgiordania. Sul versante politico, è
stata bloccata dal veto americano la risoluzione voluta dai Paesi arabi e
presentata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere ad
Israele di non espellere dai Territori il presidente palestinese, Yasser
Arafat. La bozza, ha spiegato il vice ambasciatore degli Stati
Uniti all’Onu, James Cunningham, non ha soddisfatto Washington perché contiene
solo la condanna di Israele e non un più ampio riferimento al terrorismo, come
invece aveva chiesto l’amministrazione statunitense. Il servizio di Graziano Motta:
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Vani
sono stati i tentativi di compromesso tra la Siria, che patrocinava le
richieste palestinesi contro Israele, e gli Stati Uniti che insistevano
sull’inserimento nel testo della risoluzione di una condanna dei gruppi palestinesi
estremisti, responsabili dei recenti attentati suicidi. Così il documento, che
chiedeva allo Stato ebraico di astenersi da ogni proposito di espulsione di
Arafat e di cessare ogni minaccia alla sicurezza del presidente eletto
dell’autorità palestinese, dinanzi al voto favorevole di 11 membri del
Consiglio, è stato bloccato dal veto americano e ha pure incontrato
l’astensione di Gran Bretagna, Germania e Bulgaria. Si è pure vanificata la
proposta palestinese di una tregua generalizzata per il rifiuto israeliano di
legittimare, con una formale trattativa, i gruppi estremisti impegnati nella
rivolta, dei quali esige il disarmo. Jibril Rajoub che aveva proposto il cessate-il-fuoco
ha così sostenuto che Israele preferisce l’impiego della forza ad un dialogo
che possa ridurre la violenza.
Per
Radio Vaticana, Graziano Motta.
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In Giordania è stata annullata la decisione di congelare i
conti di Hamas per bloccare le operazioni bancarie di sei capi del movimento
estremista, tra i quali lo sceicco Ahmed Yassin, e di cinque associazioni
palestinesi legate all’organizzazione integralista. Il provvedimento, ha
spiegato il ministro giordano dell’Informazione, Nabil al Sharif, è stato
revocato perché la decisione di congelare i fondi del gruppo fondamentalista è
stata presa dal governatore della Banca Centrale, Umayya Touqan, senza
consultare il governo.
Dall’Iraq giunge una notizia inattesa: anche alcuni
cittadini statunitensi e britannici fanno parte della resistenza contro la
coalizione angloamericana. Otto di loro – 6 statunitensi e 2 inglesi – sono
stati arrestati, ieri, dalle forze della coalizione con l’accusa di aver
partecipato ad azioni della guerriglia. Su questi casi, che ricordano quello
del talebano americano, John Walker Lindh, arrestato durante la guerra in
Afghanistan, ci riferisce da New York Paolo Mastrolilli:
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Il coinvolgimento di cittadini di passaporto occidentale
complicherebbe ancora di più l’analisi della resistenza, a cui secondo
Washington contribuiscono già diversi terroristi stranieri arrivati dai Paesi
arabi vicini. Il sottosegretario degli Esteri, John Bolton, ha accusato la
Siria di favorire il passaggio di questi guerriglieri e di cercare di ottenere
armi proibite, dando così credito anche ai sospetti secondo cui Damasco avrebbe
nascosto parte dei materiali e degli ordigni vietati iracheni, che non sono mai
stati ritrovati. Ieri però l’ex capo degli ispettori Onu, Hans Blix, ha detto
di ritenere ormai che Baghdad abbia davvero distrutto tutte le armi dopo la prima
guerra del ’91. Sempre ieri, poi, il capo del Pentagono, Rumsfeld, ha detto di
non avere conferme sul coinvolgimento di Saddam negli attentati dell’11
settembre. Sono notizie che complicano la posizione degli Stati Uniti, mentre
chiedono all’Onu di approvare una nuova risoluzione per autorizzare una forza
multinazionale. Sabato a Berlino si riuniranno i leader di Germania, Francia e
Gran Bretagna proprio per discutere la via d’uscita dalla crisi.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Per cercare di ricomporre le
divergenze emerse in Europa prima della guerra in Iraq e per definire una
posizione comune sul futuro del Paese arabo si terrà sabato prossimo, a
Berlino, un Vertice a cui parteciperanno leader politici di primissimo piano.
Il cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder, incontrerà il presidente francese,
Jacques Chirac, ed il premier britannico Tony Blair, che a sua volta ha
invitato per domenica prossima il primo ministro spagnolo, José Maria Aznar. A
Berlino non ci sarà invece il premier italiano, Silvio Berlusconi, presidente
di turno dell'Unione europea, alleato di Washington e Londra nel sostenere la
necessità di ricorrere alle armi contro Saddam Hussein.
Nell’agenda politica di questo mese è fissato un altro
importante appuntamento. Il presidente americano, George Bush, e quello russo,
Vladimir Putin, si incontreranno infatti il 26 ed il 27 settembre a Camp David.
Al centro dei colloqui ci saranno sia questioni bilaterali che il complesso
tema della guerra al terrorismo. Il summit avverrà in occasione del viaggio di
Putin negli Stati Uniti per partecipare, la prossima settimana, all’Assemblea
generale delle Nazioni Unite.
Evacuazioni, finestre sprangate,
scorte di generi di prima necessità: gli Stati Uniti si blindano aspettando
‘Isabel’, l’uragano che domani dovrebbe colpire la costa orientale del Paese.
“Sarà uno dei più violenti degli ultimi decenni”, ha annunciato alla Cnn il
vice direttore del Centro nazionale per la previsione degli uragani (Nhc), Ed
Rappaport. Se le previsioni saranno rispettate la perturbazione colpirà prima
le Outer Banks, isole al largo della North Carolina, per poi puntare
all’interno, verso la regione dei Grandi Laghi, coinvolgendo Washington ed
altre grandi città.
Ed un altro ciclone, quello che ha sconvolto la Svezia in
seguito alla morte del ministro degli esteri, Anna Lindh, accoltellata la
scorsa settimana da uno sconosciuto, comincia ad assumere contorni più chiari.
La polizia svedese ha infatti annunciato, ieri sera, di aver arrestato il
presunto responsabile dell’omicidio del politico scandinavo i cui funerali si
svolgeranno venerdì prossimo, a Stoccolma, alla presenza del segretario di
Stato americano, Colin Powell. Su questa decisiva svolta nelle indagini ci
riferisce, da Stoccolma, Vincenzo Lanza:
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La polizia svedese è riuscita ad individuare ed
intervenire con tempestività, arrestando ieri sera nel ristorante East End
Company, di fianco allo stadio Rasunda
di Stoccolma, il 35.enne svedese presunto assassino di Anna Lindh.
L’individuo, frequentatore di ambienti filo-nazisti svedesi stava guardando
alla tv il derby fra le due squadre di calcio più famose di Stoccolma. Non era
armato e non ha fatto resistenza al blitz degli agenti in borghese. E’ stato
messo in cella di isolamento nel carcere centrale di Stoccolma e dopo la visita
legale di due medici, che hanno attestato le sue buone condizioni di salute, è
stato interrogato per diverse ore nel corso della nottata. Gli agenti hanno
inoltre trasferito alla centrale di polizia la 24.enne convivente del presunto
assassino di Anna Lindh.
Per la Radio Vaticana, da Stoccolma, Vincenzo Lanza.
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Sarà firmato entro due giorni il piano di pace per l’area
meridionale del Sudan. Lo ha annunciato ieri il ministro degli esteri sudanese,
Mustafa Osmane Ismaïl, che poi ha chiesto al Senegal di “impegnarsi nel
consolidamento della pace”.
Restiamo in Africa. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sta
per dare il suo assenso alla richiesta del segretario generale, Kofi Annan, di
inviare in Liberia un contingente di 15 mila caschi blu. Il Paese, dove è già
schierata la forza d’interposizione dell’Ecowas, la comunità degli Stati
dell’Africa occidentale, vive ancora una situazione di estrema tensione.
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