RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 259 - Testo della Trasmissione martedì 16 settembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il saluto e l’augurio di Giovanni Paolo II alla comunità internazionale per l’apertura della 58.ma Assemblea generale dell’Onu

 

 Un anno fa, la morte del cardinale vietnamita Nguyen Van Thuan, eroico testimone della fede. Il ricordo dell’arcivescovo Renato Martino, che ha raccolto la sua eredità alla guida del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, ospite in Romania del patriarca ortodosso Teoctist. Ecumenismo e cooperazione tra le Chiese temi centrali della visita

 

 Unitarietà, diocesanità, popolarità, i tre cardini dell’Azione Cattolica Italiana, secondo il nuovo Statuto dell’associazione.. Con noi, don Domenico Sigalini e Ilaria Vellani

 

 Dall’Estonia, un “sì” con entusiasmo all’Europa, dalla Svezia un gelido “no” all’euro. Intervista con Federiga Bindi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La famiglia missionaria dei salesiani in Papua Nuova Guinea si arricchisce della presenza di padre Clifford Morais, di origine indiana

 

Un convegno a Milano il 30 settembre per i 40 anni di attività del St. Mary’s Hospital, struttura d’avanguardia nell’Africa subsahariana.

 

Un vertice mondiale a Bangkok, per sollecitare i Paesi che non hanno ancora sottoscritto il Trattato contro le mine antiuomo.

 

E’ nata la settimana scorsa a Lomé, capitale del Togo, l’unione di tifosi africani di calcio e altri sport (Afossu), con lo scopo di unire gli appassionati delle diverse squadre sotto un’unica bandiera: quella della non violenza

 

Il volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis), l’organizzazione non governativa dei salesiani di Don Bosco, ha lanciato la sesta edizione dei corsi di formazione on–line sulla cooperazione internazionale e sviluppo

 

24 ORE NEL MONDO:

Previsto oggi il voto delle Nazioni Unite sulla risoluzione, voluta dai Paesi arabi, contro la decisione israeliana di espellere il rais

 

 L’Iraq, dove il segretario di Stato americano Colin Powell ha terminato la propria visita, continua ad essere martoriato dalle violenze

 

 In Guinea Bissau è stata affidato al vescovo della capitale del Paese africano la guida del Consiglio nazionale di transizione.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 settembre  2003

 

 

 

UDIENZA A VESCOVI DELL’UGANDA, RINUNCIA IN USA, AUSILIARE IN MESSICO

 

Il Papa ha ricevuto questa mattina nella residenza pontificia di Castel Gandolfo dieci vescovi della Conferenza episcopale dell’Uganda, in visita “ad Limina Apostolorum”, guidati dal cardinale Emmanuel Wamala, arcivescovo di Kampala.

 

Come è consuetudine per le quinquennali visite canoniche alla Santa Sede, i 25 vescovi dell’Uganda giunti a Roma in tale occasione, questa mattina alle ore 7.00 hanno concelebrato la Santa Messa nella Basilica Vaticana. Nei giorni scorsi, i presuli ugandesi hanno concelebrato l’Eucaristia nelle altre Basiliche romane di San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore.

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Richmond, negli Stati Uniti d’America, presentata dal vescovo mons. Walter Francis Sullivan, per raggiunti limiti di età.

 

In Messico, il Pontefice ha nominato ausiliare della diocesi di Tehuantepec il sacerdote José Refugio Mercado Dìaz, di 61 anni, finora vicario generale e parroco nell’arcidiocesi di Guadalajara, elevandolo alla dignità vescovile.

 

        

SICUREZZA, GIUSTIZIA, SVILUPPO: I GRANDI TEMI ALL’ESAME

DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU, CHE IL PAPA RICHIAMA

NEL SUO MESSAGGIO INAUGURALE DEI LAVORI

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

Oggi a New York apertura nel Palazzo di Vetro dell'Assemblea generale dell’Onu: 58 ma sessione del principale organo deliberativo delle Nazioni Unite, chiamato ogni anno a dibattere le principali questioni, che interessano la comunità internazionale.

 

In vista di questo importante appuntamento, cui partecipano tutti gli Stati membri dell’Organizzazione, la missione della Santa Sede, ha organizzato ieri un momento di preghiera nella chiesa newyorkese della Santa Famiglia, cui hanno partecipato il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il presidente uscente dell’Assemblea, Jan Kavan e quello entrante Julian Hunte, ministro degli Affari esteri, del Commercio internazionale e dell’Aviazione civile di Saint Lucia. La funziona religiosa è stata presieduta dal cardinale Edward Egan e dall’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, che ha in questa occasione ha auspicato che ogni partecipante all’Assemblea sia sempre consapevole del fatto che ciò che viene dibattuto “è per il bene comune della società” e “che il mondo che stiamo costruendo con le nostre mani e le nostre menti ha una consistenza che ci trascende”. Mons. Migliore ha quindi letto un messaggio del Papa, inviato tramite il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Ce ne riferisce Roberta Gisotti.

 

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“Saggezza, gioia e forza”: le invoca Giovanni Paolo II per tutti i partecipanti all’Assemblea generale dell’Onu. Nel suo messaggio il Papa chiede a Dio di guidare i lavori delle Nazioni Unite per promuovere maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra i membri della comunità internazionale. In questo anno che segna il 40mo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris il Santo Padre si fa eco della profetica convinzione del suo predecessore, Giovanni XXIII: “l’obiettivo – scrive – della pace mondiale può infine essere realizzato, se i valori etici della solidarietà tra i popoli della Terra, il rispetto dell’umana dignità e l’impegno per i principi morali della verità, giustizia amore e libertà trovano incarnazione nell’ordine giuridico a servizio del bene comune della famiglia umana.”

 

“Allo stesso tempo quando la necessità di approcci multilaterali alle complesse questioni della sicurezza globale, della giustizia internazionale e dello sviluppo umano è divenuta sempre più evidente”, Giovanni Paolo II riafferma “la sua fiducia nell’importante missione affidata all’organizzazione delle Nazioni Unite”. Egli incoraggia quindi “i membri della comunità diplomatica e tutti quanti sono impegnati nel lavoro della promozione umana di applicarsi per lavorare con generosità e disinteresse al fine di costruire un mondo libero dal flagello di povertà, violenza e ingiustizia”. Il Papa non dimentica che quest’anno ricorre il 10 anniversario dell’Anno internazionale della famiglia, richiamando “ad una maggiore e necessaria attenzione al nucleo fondamentale della vita di ogni Nazione”.

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UN ANNO FA LA MORTE DEL CARDINALE VIETNAMITA NGUYEN VAN THUAN, EROICO TESTIMONE DELLA FEDE: IL RICORDO DELL’ARCIVESCOVO RENATO MARTINO,

 CHE HA RACCOLTO LA SUA EREDITA’ ALLA GUIDA

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE

- Intervista con l’arcivescovo Renato Martino -

 

Un anno fa moriva a Roma il cardinale vietnamita François Xavier Nguyen  Vân Thuân, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. “Una vita spesa  nell’adesione coerente  ed eroica alla propria vocazione”, un pastore “sempre fedele alla Chiesa anche nel duro tempo della persecuzione”. Così, Giovanni Paolo II tratteggiava la figura  del cardinale Vân Thuân, spentosi il pomeriggio del 16 settembre 2002 nella clinica romana Pio XI, dopo una lunga malattia. Aveva 74 anni e una storia di persecuzione da parte del regime comunista, con 13 anni di prigionia, nove dei quali in totale isolamento. Un’esperienza dolorosa, vissuta e superata con la forza della fede, che lo ha reso un coraggioso ed esemplare testimone oltre che un simbolo della speranza. Il suo successore alla guida del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, l’arcivescovo Renato Martino, presiederà questo pomeriggio alle ore 18.00 una Liturgia Eucaristica commemorativa  nella chiesa romana di Santa Maria della Scala, sede titolare cardinalizia del porporato scomparso. Ma ecco come, al microfono di Fabio Colagrande, l’arcivescovo Martino ricorda il cardinale Vân Thuân, di cui ha assunto l’eredità spirituale.  

 

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R. – La preziosa eredità che mi ha lasciato mi rende partecipe della sua personalità umana e mi permette di coglierne i tratti distintivi: la gentilezza, la discrezione che nascevano dalla bontà e dalla delicatezza d’animo, come anche dalla prudenza legata alla volontà di cercare comunque il bene per tutti. Una grande cultura, quasi nascosta con pudore ma svelata da una profonda sapienza. Sapeva cogliere di ogni situazione gli aspetti profondi. Una fortezza, fonte di determinazione e pazienza; e in fine, ma forse è meglio dire: in sintesi, la volontà di essere un uomo donato agli altri, sempre e a qualsiasi prezzo.

 

D. – Eccellenza, nella personalità spirituale del porporato vietnamita avevano lasciato una traccia indelebile i suoi 13 anni di prigionia...

 

R. – Certo, e questo credo che abbia segnato per tutto il resto della sua vita il suo carattere e la sua personalità, il suo servizio, la sua determinazione di servire gli altri. Quella che fu per il cardinale Vân Thuân una straordinaria ed indelebile esperienza spirituale, resta per noi la più preziosa delle eredità, esempio di un autentico uomo di pace, un cristiano sereno ed un vescovo fiducioso. La consapevolezza interiore di aver combattuto una buona battaglia e di aver conservato la fede lo distinse e lo aiutò anche come presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; cardinale, si lasciava guidare con grande lucidità dal valore e dall’importanza della dottrina sociale della Chiesa per la costruzione di un nuovo mondo più giusto e più solidale.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Noi abbiamo resistito perché siamo rimasti con Pietro": nei quattro giorni del pellegrinaggio del Papa in Slovacchia, una straordinaria testimonianza di fedeltà antica e sempre nuova.

 

Nelle vaticane, nel cammino della Chiesa in America, un articolo sull'Argentina dove si è svolta in tutte le chiese la colletta indetta dai vescovi per aiutare le regioni più povere.

Una pagina dedicata alle Lettere pastorali dei vescovi italiani.

 

Nelle pagine estere, riguardo all'Iraq, Annan afferma che le Nazioni Unite non invieranno caschi blu.

Medio Oriente: dibattito all'Onu sull'ipotesi israeliana di uccidere o esiliare Arafat.

 

Nella pagina culturale, un elzeviro di Luigi Maria Personé dal titolo "La dinastia degli Ojetti".

Nell'"Osservatori libri", un contributo di M. Antonietta De Angelis sul libro di Bruno Zanardi dal titolo "Giotto e Pietro Cavallini. La questione di Assisi e il cantiere medioevale della pittura a fresco".

 

Nelle pagine italiane, tra i temi in rilievo, il rincaro dei prezzi ed il relativo sciopero della spesa.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 settembre 2003

 

 

 

SCAMBI, GEMELLAGGI, FORME DI COOPERAZIONE TRA PARROCCHIE,

 MONASTERI, ISTITUZIONI ECCLESIALI AIUTANO I CRISTIANI AD APRIRSI

ALLA DIMENSIONE ECUMENICA E ALLA COSCIENZA EUROPEA

LO AFFERMA IL CARDINALE TETTAMANZI ARCIVESCOVO DI MILANO

DA IERI OSPITE DEL PATRIARCATO ORTODOSSO DI ROMANIA

- Servizio di Carla Cotignoli -

 

“Ci auguriamo e preghiamo perché il cammino ecumenico, avviato in modo promettente e sancito dai suoi incontri con il santo Padre, abbia a proseguire e a dare frutti concreti anche nelle relazioni quotidiane a livello locale”. E’ con queste parole che il cardinale Dionigi Tettamanzi si è rivolto ieri al Patriarca Teoctist, al suo arrivo a Bucarest, dove è ospite del Patriarcato ortodosso romeno sino a giovedì prossimo. A conclusione della visita, il cardinale Tettamanzi incontrerà per il commiato il patriarca Teoctist e l’arcivescovo cattolico di Bucarest, mons. Ioan Robu. Il servizio di Carla Cotignoli.

 

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E’ nel segno di sant’Ambrogio, grande Padre della Chiesa dei primi secoli, patrimonio comune alle due tradizioni cattolica e ortodossa,  che si sta svolgendo la visita dell’arcivescovo di Milano in Romania. Già da tempo una parrocchia di Milano è gemellata con una parrocchia ortodossa di Bucarest, che dal 7 dicembre prossimo ogni anno celebrerà la festa patronale di sant’Ambrogio. E proprio ieri, alla presenza del cardinale Tettamanzi, nel monastero di Darvari, è stata inaugurata una cappella intitolata al grande santo, patrono di Milano. Ancora, in memoria della sua dottrina e santità, l’arcivescovo  ha fatto dono al Patriarca dell’Opera Omnia di sant’Ambrogio.

 

Milano poi contribuisce da tempo a sostenere finanziariamente un’opera sociale a favore dei bambini di strada, promossa dalla Chiesa ortodossa.  Ed ora, questa visita è l’occasione per “moltiplicare” questi “scambi, gemellaggi e forme di cooperazione tra comunità parrocchiali, monasteri, istituzioni ecclesiali delle due Chiese sorelle”. “Queste esperienze – ha detto il cardinale Tettamanzi - aiutano concretamente i nostri fedeli ad aprirsi alla dimensione ecumenica della loro fede”. “Attraverso queste stesse esperienze – ha aggiunto – i cristiani possono portare un reale e originale contributo al processo di presa di coscienza della cittadinanza europea”. Il porporato ha lanciato poi un’altra proposta: “perché non promuovere tra le nostre due Chiese qualche scambio di esperienze pastorali?”. Comune sfida che si pone oggi all’evangelizzazione.

 

Questa visita è senza dubbio un nuovo segno della crescente comunione tra le Chiese cattolica e ortodossa romena, che - ricordiamo -  ha avuto una svolta dal viaggio del Papa in quella terra, nel maggio 1999, poi ricambiato da una visita del Patriarca Teoctist a Roma nell’ottobre del 2002. Fu questa l’occasione per il capo spirituale degli ortodossi romeni di visitare anche la comunità della sua Chiesa residente nella città di Milano. E quindi di essere accolto dal cardinale Tettamanzi. Di qui l’invito ufficiale a visitare il Patriarcato e alcuni monasteri ortodossi, per approfondire l’amicizia e i rapporti di cooperazione ecumenica con l’arcidiocesi di Milano.

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UNITARIETA’, DIOCESANITA’ E POPOLARITA’: SONO LE PAROLE CHIAVE
 DEL NUOVO STATUTO DI AZIONE CATTOLICA, APPROVATO
DURANTE LA PRIMA ASSEMBLEA STRAORDINARIA DI AC
- Intervista con don Domenico Sigalini e Ilaria Vellani -
 
“La Chiesa non può fare a meno di Azione Cattolica, perché non smette di guardare al mondo con lo sguardo di Dio, scrutando questo nostro tempo per cogliere in esso i segni dello Spirito”. Sono parole di affetto e di stima quelle contenute nel messaggio di Giovanni Paolo II per i partecipanti alla prima Assemblea Straordinaria di Azione Cattolica, svoltasi a Roma tra il 12 e il 14 settembre. “Vi esorto a mettere tutte le vostre energie a servizio della comunione, in stretta unità con il vescovo - ha insistito il Papa - aiutando la vostra parrocchia a riscoprire la passione per l’annuncio del Vangelo”. Nel corso dell’incontro, a cui hanno partecipato 800 delegati, è stato approvato il nuovo Statuto, che incarna gli obiettivi di unitarietà, diocesanità e popolarità. Invariati i primi 10 articoli, che contengono i principi fondamentali di Azione Cattolica fissati nel 1969, l’Assemblea ha votato gli articoli 11-40 nella nuova formulazione, elaborata dal Consiglio nazionale dopo un lungo percorso che ha coinvolto le associazioni diocesane e le delegazioni regionali. Sull’approvazione della nuova carta statutaria, Barbara Castelli ha raccolto il commento di don Domenico Sigalini, vice-assistente generale di Azione Cattolica.
 

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R. – Abbiamo cambiato lo statuto in un momento in cui la Chiesa è carica di grosse difficoltà, soprattutto per quanto riguarda l’annuncio del Vangelo. Non era così nel ’69: appena dopo il Concilio c’era fermento, voglia di riprendere, di cambiare, di ridare concretamente in ogni parrocchia il volto che il Concilio aveva delineato della Chiesa. Oggi, invece, sentiamo il peso di questa nuova evangelizzazione. Un’associazione non può cambiare solo sull’onda di un entusiasmo, ma deve studiare quali sono le necessità assolute: nella Chiesa di oggi devono essere inseriti nuovi fermenti evangelizzatori.

 

D. – Durante questa tre giorni di studio avete evidenziato i cambiamenti che stanno caratterizzando il mondo. Può illustrarne alcuni?

 

R. – Per esempio, la complessità delle culture che si stanno confrontando. In un mondo che vede nella porta accanto una persona di altra etnia, di altra religione, di altra cultura, è chiaro che occorre qualcuno che sappia dire le parole della fede al di là delle formule del catechismo, ma dentro la vita quotidiana concreta, dentro i problemi, dentro le tensioni. La gioia di aver scoperto una risposta in Gesù deve essere riscritta dentro questi nuovi modelli culturali.

 

D. – Come si inserisce l’impegno di Azione Cattolica in relazione all’impegno di altri movimenti. Quali sono i rapporti tra di voi?

 

R. – Credo che anche questa Assemblea abbia dato una bella indicazione anche sotto questo profilo. All’inizio dell’Assemblea è venuta a parlare Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, ed è intervenuto anche Andrea Riccardi, che è colui che porta avanti la Comunità di Sant’Egidio. E’ chiara la voglia di intervenire in comunicazione, ciascuno con la sua identità, ciascuno con i suoi valori, con i suoi punti di vista, con i suoi modelli anche formativi, ma dentro un cammino unico della Chiesa. C’è bisogno di creare comunione. All’Azione Cattolica è riconosciuto da questi nuovi movimenti questo ruolo di associazione di base, che permette a tutti di esprimersi e a ciascuno di dare il suo contributo.

 

Diversi sono stati i temi e le sfide scandagliati nel corso dell’Assemblea straordinaria di Azione Cattolica: la laicità ed il rapporto con la gerarchia; la cura della famiglia, sempre più fragile e poco tutelata, e non da ultima l’attenzione ai giovani. A questo proposito abbiamo raccolto il commento di Ilaria Vellani, vicepresidente per il settore giovani di Azione Cattolica. 
 

R. – I giovani costituiscono, e questo è emerso nel corso dell’Assemblea, il volto dell’Azione Cattolica dei prossimi anni. Penso che investire sui giovani significhi oggi investire in particolare sulla formazione. Questo cammino di formazione noi vorremmo farlo non da soli, ma in compagnia degli adulti, per poter intrecciare quel dialogo che è una caratteristica dell’Azione Cattolica, una delle esperienze più belle che l’Azione Cattolica ci ha permesso di vivere in questi anni.

 

D. – In concreto quali sono le iniziative che proponete ai giovani, quali orizzonti indicate loro?

 

R. – C’è il ripensamento del progetto formativo e a gennaio ci sarà un convegno, un forum, proprio sul tema della formazione, con gli adulti. Poi ci sono diverse iniziative incentrate sui temi della pace, della costruzione della civiltà dell’amore, così come il Papa a Toronto ci ha invitato a fare. Quindi, in collaborazione anche con l’istituto Bachelet dell’Azione Cattolica proveremo a creare dei seminari di studio su queste tematiche, che poi possano trovare forma più aderente al territorio nella vita delle diocesi.

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DALL’ESTONIA UN “SI’” CON ENTUSIASMO ALL’EUROPA,

DALLA SVEZIA UN GELIDO “NO” ALL’EURO

- Intervista con Federiga Bindi -

 

Europa sì, euro no. Queste le sentenze decretate dai due referendum in Estonia e Svezia. Mentre per il Paese baltico ci si attendeva l’entusiastico assenso all’ingresso nell’Unione, l’esito negativo del voto svedese ha destato più d’una perplessità nell’area comunitaria. In molti pensavano che l’effetto emozione per l’omicidio del ministro Lindh, fautore dell’adesione all’Europa, avrebbe fatto pendere la bilancia per i “sì”. Così non è stato, e la Svezia entrerà nell’euro, come previsto, solo nel 2013. Sull’esito di questi due referendum, Giancarlo La Vella ha intervistato Federiga Bindi, docente di organizzazione internazionale all’Università di Firenze:

 

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R. – In Estonia il voto era ampiamente atteso; devo dire che tra tutti i referendum nei nove Paesi che l’hanno fatto, era quello – tra virgolette – più facile, cioè, è il Paese che più velocemente è tornato ad essere ricco, il Paese che più velocemente si sta sviluppando, il Paese che veramente non vedeva l’ora di rientrare nell’Unione Europea. Per quanto riguarda la Svezia, ci si aspettavano più “sì”, anche se il timore del “no” c’era. Bisogna dire una cosa: gli scandinavi hanno una digestione molto lenta: è stato così nel 1995 con la Norvegia... Probabilmente, sarebbe stato più saggio rimandare il referendum di un paio di mesi. Credo che sia stato percepito un po’ come una forzatura, questa cosa di dover tenere il referendum a tutti i costi e per questo credo che abbia prevalso un sentimento di paura e il risentimento rispetto a questo referendum mandato avanti a tutti i costi rispetto al calcolo nazionale che alla Svezia conviene entrare nell’euro.

 

D. – In Svezia non ha funzionato, come molti si attendevano, l’effetto emozionale per l’omicidio del ministro Lindh; ci sono comunque però altri motivi per lo scetticismo nei confronti dell’Europa?

 

R. – I motivi sono sempre i soliti, cioè la paura di perdere il benessere che hanno, la paura di essere trascinati in un continente più insicuro, il timore del poco conosciuto o comunque del diverso...

 

D. – Dopo il voto svedese, il presidente della Commissione europea Prodi ha affermato che Stoccolma non può pretendere, a questo punto, di contare nell’Unione quanto vorrebbe. Quali saranno gli effetti del  “no” della Svezia all’euro?

 

R. – Ma, mi sembra un’espressione veramente poco felice. Cosa c’entra? Non faranno parte di Euro-Dodici, cioè non faranno parte del Consiglio economico e finanziario che regola l’Euro.

 

D. – Torniamo invece all’Estonia. Una situazione economica abbastanza florida, quasi in controtendenza rispetto agli altri Paesi dell’Est europeo...

 

R. – L’Estonia è un Paese piccolo, molto aiutato dai Paesi scandinavi, anche economicamente, quindi è stato molto più facile per l’Estonia riqualificarsi; hanno puntato su un settore, quello dell’high tech, nel quale sono all’assoluta avanguardia, in Europa. Quindi, diciamo, molto più facile rimodernizzare rispetto ad un Paese largo ed essenzialmente agricolo come per esempio la Polonia.

 

D. – Ma ci sono ancora conseguenze sull’Estonia del lungo periodo trascorso sotto il regime sovietico?

 

R. – Gli estoni sono stati tra i primi a ri-adottare i propri usi e costumi, le proprie tradizioni: per loro è una liberazione, per loro è chiudere un conto con il passato di cui vogliono ricordarsi il meno possibile.

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CHIESA E SOCIETA’

16 settembre 2003

 

 

LA FAMIGLIA MISSIONARIA DEI SALESIANI IN PAPUA NUOVA GUINEA SI ARRICCHISCE DELLA PRESENZA DI PADRE CLIFFORD MORAIS, DI ORIGINE INDIANA.

HA RICEVUTO IL MANDATO CON UNA SOLENNE CERIMONIA A BOMBAY

 

PORT MORESBY. = Prende avvio l’impegno in Papua Nuova Guinea di padre Clifford Morais, salesiano di origine indiana che ha  ricevuto il mandato missionario il 13 settembre, con una solenne cerimonia nel Santuario della Madonna di Don Bosco a Bombay. Lavorerà nella Don Bosco Technical School a Port Moresby e seguirà la pastorale giovanile nella missione salesiana di Boroko sorta nel 1998. I salesiani, in realtà, sono presenti in Papua Nuova Guinea dal 1980, con un’attenzione particolare al settore dell’educazione. E proprio l’impegno con le nuove generazioni, che caratterizza la Congregazione salesiana fondata da Don Bosco, ha colpito padre Clifford all’età di 31 anni, portandolo a scegliere la via del noviziato quando era  un affermato manager di una grande azienda navale indiana. A Boroko troverà una casa per giovani che aspirano ad entrare nella Congregazione e un istituto scolastico di formazione professionale che ha sei corsi ed è frequentato da oltre 300 studenti provenienti da tutte le province della Papua Nuova Guinea. (F.Sp.)

 

 

UNA GIORNATA DI CONVEGNO A MILANO, IL PROSSIMO 30 SETTEMBRE,

PER RICORDARE I QUARANT’ANNI DI ATTIVITA’ DEL ST. MARY’S HOSPITAL,

 LA STRUTTURA ALL’AVANGUARDIA DELL’AFRICA SUBSAHARIANA

 

MILANO.= I risultati di quarant’anni di attività del St. Mary’s Hospital di Lacor, nel Nord dell’Uganda, saranno presentati il 30 settembre presso il Centro Congressi Cardinale Schuster, a Milano. Alla struttura ospedaliera più all’avanguardia dell’Africa Subsahariana si sono dedicati senza risparmiarsi i coniugi Piero e Lucille Corti. Lei è morta nel 1996 dopo aver contratto l’Aids proprio durante la sua attività di chirurgo nell’ospedale e lui è venuto meno circa 5 mesi fa lasciando però attiva la Fondazione Piero e Lucille Onlus, guidata dalla figlia Dominique. L’ospedale, presente in Uganda dal 1961, è stato al centro dell’attenzione mondiale nel 2000 per aver dato l’allarme e aver fronteggiato la violenta epidemia del virus Ebola e, inoltre, si distingue per la lotta all’Aids. Gestisce una scuola di formazione per medici e infermieri e costituisce un centro di prevenzione e educazione sanitaria. I risultati medico-scientifici e sociali ottenuti fino ad oggi, insieme con  i programmi futuri della fondazione saranno presentati all’incontro a Milano con le testimonianze di alcuni protagonisti diretti del lavoro svolto in Uganda e le relazioni  di autorevoli esponenti del mondo scientifico. (F.Sp.)

 

 

SVEGLIARE L’ATTENZIONE DEI PAESI CHE ANCORA NON HANNO SOTTOSCRITTO

IL TRATTATO CONTRO LE MINE ANTIUOMO È LO SCOPO

DEL QUINTO VERTICE MONDIALE IN CORSO A BANGKOK

 

BANGKOK. = Prenderà in esame il lavoro svolto finora dagli Stati aderenti contro le mine antiuomo il quinto vertice mondiale che si è aperto ieri in Thailandia. All’incontro partecipano gli Stati che fanno parte della Convenzione sul divieto dell’impiego, del deposito, della fabbricazione e della fornitura delle mine antiuomo e sulla loro distruzione, siglata nel 1997 e conosciuta come il “Trattato di Ottawa”. Il documento prevedeva la distruzione di tutti gli arsenali presenti sul pianeta entro 4 anni dalla sua entrata in vigore, avvenuta nel 1999. E lo scopo dei 148 Paesi partecipanti all’incontro di Bangkok è proprio monitorare il lavoro di quelli che onorano gli impegni presi con il trattato e, soprattutto, svegliare l’attenzione degli Stati che ancora non hanno sottoscritto il documento. Dei 46 Paesi che ancora devono aderire al trattato, più della metà si trovano in Asia, reticente nell’affrontare il problema nonostante i sei mila morti per l’esplosione delle mine secondo i calcoli fatti solo nel maggio 2002. I 136 paesi che, invece, hanno ratificato il trattato e i 13 che lo hanno solo firmato si sono impegnati a bonificare le zone minate nei loro confini, sostenendo economicamente chi smina il territorio e, soprattutto, le persone colpite dagli ordigni. (M.R.)

 

 

SINGOLARE INIZIATIVA PER PORTARE UN CLIMA NUOVO NEGLI STADI

 LANCIATA LA SETTIMANA SCORSA IN AFRICA.

 “L’UNIONE DI TIFOSI AFRICANI DI CALCIO E ALTRI SPORT”

HA PER OBIETTIVO LA LOTTA AL FENOMENO DELLA VIOLENZA

 NEGLI IMPIANTI SPORTIVI CHE AFFLIGGE ANCHE MOLTI PAESI EUROPEI

 

LOMÉ. = È nata la settimana scorsa a Lomé, capitale del Togo, l’Unione di tifosi africani di calcio e altri sport (Afossu), con lo scopo di unire gli appassionati delle diverse squadre sotto un’unica bandiera: quella della non violenza. L’Unione è stata creata nell’incontro tra i responsabili delle associazioni del Consiglio superiore dello sport in Africa che riunisce i delegati di Benin, Burkina Faso, Niger, Nigeria Costa d’Avorio e Sierra Leone. Nei due giorni di incontri si è parlato anche dell’etica sportiva come fondamento per l’educazione morale dei giovani che si dedicano allo sport. Come presidente dell’Unione è stato eletto Rafiu Oladipo, personaggio di rilievo del calcio nigeriano che per 4 anni dirigerà l’organismo. L’ Unione prenderà il via dopo il 15 e 16 ottobre, giorni nei quali si riunirà una commissione speciale per redigere il testo base. Nelle intenzioni dei promotori l’iniziativa non deve rimanere nel continente africano ma deve essere messa a disposizione delle organizzazioni sportive internazionali, afflitte dal problema della violenza negli stadi. (M.R.)

 

 

DIFFONDERE LA CULTURA DELLA COOPERAZIONE E DELLA SOLIDARIETÀ A FAVORE

 DEI PAESI DEL SUD DEL MONDO È L’OBIETTIVO PRINCIPALE DEI CORSI DI FORMAZIONE ON–LINE DEL VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO,

L’ORGANIZZAZIONE NON GOVERANTIVA DEI SALESIANI

 

ROMA. = Il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (Vis), l’organizzazione non governativa dei Salesiani di Don Bosco, ha lanciato la sesta edizione dei corsi di formazione on-line sulla cooperazione internazionale e sviluppo. Gli obiettivi che questa Ong vuole centrare sono principalmente due: diffondere una professionalità all’interno della cooperazione allo sviluppo e fornire uno strumento valido per cogliere al meglio i risvolti di tipo economico, antropologico, politico legati agli interventi nei paesi in via di sviluppo. Il centro di formazione on-line fa parte del progetto Volint, il programma del Vis nato per utilizzare in campo sociale le nuove tecnologie educative al servizio di studenti, insegnanti, laureati, professionisti. Tutti i corsi di specializzazione adottano la metodologia della formazione via internet grazie all’accesso alla rete. Gli ambiti di studio sono sei: cooperazione allo sviluppo; economia della sviluppo; educazione alla interculturalità; diritti umani e sviluppo; orientamento al volontariato internazionale. Ogni corso sarà tenuto, altre che dal personale qualificato del Vis, da alcuni docenti dell’Università di Pavia. (M.R.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 settembre 2003

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Medio Oriente proseguono le incursioni di Israele nei Territori. Un militante di Hamas, Majdi Abu Jud, è stato ucciso, stamani, da soldati israeliani durante un conflitto a fuoco avvenuto nel villaggio di Dura, presso Hebron. Secondo fonti militari dello Stato ebraico, l’uomo aveva organizzato due sanguinose infiltrazioni in una colonia e in un collegio rabbinico nella zona di Hebron. Sul versante politico, la figura del presidente palestinese, Yasser Arafat, continua a dividere lo scenario internazionale. Nell’acceso dibattito svoltosi al Consiglio di sicurezza dell’Onu i Paesi arabi hanno chiesto ad Israele di non espellere il rais presentando una risoluzione la cui votazione è prevista oggi. Sulla proposta dei Paesi arabi, nella quale si delinea l’astensione degli Stati Uniti, ci riferisce Graziano Motta:

 

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Il rappresentante dell’Olp ha sostenuto che ogni intervento israeliano contro il rais rappresenterebbe l’esautoramento dell’autorità palestinese e la fine del processo di pace. Il delegato israeliano ha ribadito invece che Arafat guida le imprese terroristiche contro civili innocenti e sostiene la preparazione di mega-attentati che porterebbero la regione mediorientale alla catastrofe. La posizione di tutti i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza è unanime nel considerare intoccabile la figura istituzionale di Arafat e d’altra parte Israele – assicura il suo ministro degli esteri Shalom – esclude un’azione immediata contro di lui. Ma gli Stati Uniti esprimono forti riserve sul testo di risoluzione esigendo pure la condanna delle organizzazioni terroristiche palestinesi, lo smantellamento dei loro quadri e infrastrutture. Per evitare l’assenza di queste responsabilità Arafat, tramite il suo responsabile per la sicurezza, Jibril Rajoub, chiede di negoziare con Israele un cessate-il-fuoco che viene da questo però rifiutato perché significherebbe riconoscere la legittimità dei gruppi terroristici.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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La proposta di tregua avanzata da Jibril Rajoub, respinta questa mattina da Tel Aviv, prevedeva la cessazione degli attacchi contro Israele e la fine, da parte dello Stato ebraico, delle operazioni mirate contro i militanti palestinesi. Jibril Rajoub, che è stato recentemente nominato consigliere per la sicurezza nazionale da Arafat, ha inoltre chiesto ad Israele il blocco della costruzione del muro al confine con la Cisgiordania ed il congelamento delle costruzioni negli insediamenti.

 

In Arabia Saudita, un drammatico incendio ha devastato, ieri, il più grande carcere del Paese, nei pressi della capitale Riad, causando la morte di almeno 67 persone ed il ferimento di altre 20. Lo ha rivelato l’agenzia saudita, Spa, ma per l’opposizione il bilancio è ancora più pesante e le vittime sarebbero più di 180. Al momento non si conoscono le cause di questo tragico episodio. Secondo il capo del Movimento islamico per la riforma in Arabia (Mira), Saad al Faqih, l’incendio potrebbe essere stato o deliberatamente provocato da un gruppo di detenuti che protestavano contro le condizioni carcerarie oppure scatenato da un corto circuito.

 

In Iraq si è conclusa la visita del segretario di Stato americano, Colin Powell, che ieri  si è recato ad Halabja, città dove il 16 marzo 1988 circa 5 mila curdi furono uccisi dalle armi chimiche del regime iracheno. Nel corso della sua visita in Iraq, Powell ha sottolineato i progressi realizzati dalla fine della guerra ma l’interminabile spirale di odio non si è interrotta neanche ieri. Una granata è stata lanciata contro un contingente di soldati  albanesi di stanza nel nord del Paese arabo, ferendo almeno   13 iracheni. Un militare statunitense, inoltre, è rimasto vittima di un altro grave episodio di violenza. Ce lo conferma, da New York, Paolo Mastrolilli:

 

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Ieri mattina un soldato americano ha perso la vita a Baghdad, quando la sua unità è stata attaccata con i lanciarazzi a spalla: è la sesta vittima nell’ultima settimana ed il secondo militare ucciso in altrettanti giorni di visita di Powell. Ma la guerriglia ha diretto i suoi attacchi anche contro gli iracheni accusati di collaborare con le forze di occupazione. A Falluja, una città nel triangolo sunnita, tre uomini mascherati hanno ucciso il capo della polizia locale insediato dagli americani. La possibilità di diminuire le violenze potrebbe dipendere dalla nuova risoluzione che l’Onu continuerà a discutere questa settimana durante l’apertura dell’assemblea generale. Ieri, il segretario Kofi Annan ha detto che le divergenze tra i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza sono state esagerate ed esiste la possibilità di trovare un accordo. Infatti, Washington ha intenzione di presentare una versione riveduta del suo documento in settimana. La Abc, intanto, ha rivelato che il rapporto preparato dagli investigatori americani incaricati di cercare le armi di distruzione di massa non conterrebbe prove della loro esistenza.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Anche l’Afghanistan continua ad essere martoriato dal dramma delle violenze. Quindici talebani sono rimasti uccisi, ieri, nel corso di uno scontro con le forze americane avvenuto nella provincia di Kandahar. Lo hanno riferito fonti militari statunitensi precisando che nessun soldato delle forze della coalizione è rimasto ferito. 

 

Il governo di Teheran ha dichiarato che intende proseguire i colloqui con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e che non ha alcuna intenzione di ritirarsi dal trattato di non proliferazione nucleare. Il presidente iraniano, Mohammad Khatami, ha inoltre affermato che l’Iran non abbandonerà la propria politica per lo sviluppo dell’energia nucleare. “Ma non costruiremo bombe atomiche – ha detto Khatami – perché non ne abbiamo bisogno”.

 

Sugli aspetti ed i rischi del programma nucleare della Corea del Nord si terrà il 29 e il 30 settembre, a Tokyo, un summit tra alti responsabili di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. L’incontro sarà il primo ad alto livello, dopo quello svoltosi a Pechino alla fine di agosto, con la partecipazione di Nord e Sud Corea, Usa, Russia, Cina e Giappone.

 

In Guinea Bissau, dopo il colpo di Stato di domenica scorsa, è stata affidata al vescovo della capitale del Paese africano, mons. Josè Camnate na Bissign, la guida del Consiglio nazionale di transizione, l’organismo incaricato di preparare la formazione di un governo provvisorio in attesa di nuove elezioni. 

 

Restiamo in Africa e andiamo in Tanzania dove sono purtroppo falliti i negoziati tra il governo ed i ribelli. E’ infatti saltato, ieri, il previsto incontro a Dar es-Salaam tra il presidente del Burundi, Domitien Ndayizeye, ed il leader del Fronte di difesa della democrazia, Pierre Nkurunziza. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Le trattative, come era prevedibile, si sono arenate sulla delicata questione di quella che tecnicamente viene definita “la condivisione del potere”. Tra le principali richieste dei ribelli, l’assegnazione della presidenza dell’Assemblea nazionale, la vice presidenza del Paese accanto a quella di riferimento hutu-tutsi, e la leadership dello stato maggiore dell’esercito. E il governo di Bujumbura – diviso al suo interno tra falchi e colombe – ha fatto intendere a chiare lettere che è davvero troppo per un movimento armato. Malgrado ciò, i colloqui informali di ieri con i presidenti di Uganda, Tanzania, Mozambico e Sudafrica sono stati comunque l’occasione per presentare in sedute distinte a governo e ribelli il protocollo realizzato dai mediatori internazionali: un documento tutto da perfezionare con tanti paragrafi ancora da scrivere nel contesto generale di una trattativa, come al solito, tutta in salita.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Serve una forte riorganizzazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Sono unanimi i pareri dopo il fallimento del Vertice di Cancun, in cui 21 Paesi in via di sviluppo si sono opposti alla liberalizzazione degli investimenti ed all’apertura alle multinazionali nel Sud del mondo. Secondo Sergio Marelli, presidente della Focsiv – la federazione delle ong di ispirazione cristiana – “quando uomini e governi dialogano e non si mettono d’accordo è sempre una sconfitta per tutti”.

 

 

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