RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 259 - Testo della
Trasmissione martedì 16 settembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
Previsto
oggi il voto delle Nazioni Unite sulla risoluzione, voluta dai Paesi arabi,
contro la decisione israeliana di espellere il rais
L’Iraq, dove il segretario di Stato americano
Colin Powell ha terminato la propria visita, continua ad essere martoriato
dalle violenze
In Guinea Bissau è stata affidato al vescovo
della capitale del Paese africano la guida del Consiglio nazionale di
transizione.
16
settembre 2003
UDIENZA
A VESCOVI DELL’UGANDA, RINUNCIA IN USA, AUSILIARE IN MESSICO
Il Papa
ha ricevuto questa mattina nella residenza pontificia di Castel Gandolfo dieci
vescovi della Conferenza episcopale dell’Uganda, in visita “ad Limina
Apostolorum”, guidati dal cardinale Emmanuel Wamala, arcivescovo di Kampala.
Come è consuetudine per le quinquennali visite canoniche
alla Santa Sede, i 25 vescovi dell’Uganda giunti a Roma in tale occasione,
questa mattina alle ore 7.00 hanno concelebrato la Santa Messa nella Basilica
Vaticana. Nei giorni scorsi, i presuli ugandesi hanno concelebrato l’Eucaristia
nelle altre Basiliche romane di San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le
Mura e Santa Maria Maggiore.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Richmond, negli Stati Uniti d’America, presentata
dal vescovo mons. Walter Francis Sullivan, per raggiunti limiti di età.
In Messico, il Pontefice ha nominato ausiliare della
diocesi di Tehuantepec il sacerdote José Refugio Mercado Dìaz, di 61 anni,
finora vicario generale e parroco nell’arcidiocesi di Guadalajara, elevandolo
alla dignità vescovile.
SICUREZZA,
GIUSTIZIA, SVILUPPO: I GRANDI TEMI ALL’ESAME
DELL’ASSEMBLEA
GENERALE DELL’ONU, CHE IL PAPA RICHIAMA
NEL
SUO MESSAGGIO INAUGURALE DEI LAVORI
-
Servizio di Roberta Gisotti -
Oggi a
New York apertura nel Palazzo di Vetro dell'Assemblea generale dell’Onu: 58 ma
sessione del principale organo deliberativo delle Nazioni Unite, chiamato ogni
anno a dibattere le principali questioni, che interessano la comunità
internazionale.
In vista di questo importante appuntamento, cui
partecipano tutti gli Stati membri dell’Organizzazione, la missione della Santa
Sede, ha organizzato ieri un momento di preghiera nella chiesa newyorkese della
Santa Famiglia, cui hanno partecipato il segretario generale delle Nazioni
Unite, Kofi Annan, il presidente uscente dell’Assemblea, Jan Kavan e quello
entrante Julian Hunte, ministro degli Affari esteri, del Commercio
internazionale e dell’Aviazione civile di Saint Lucia. La funziona religiosa è
stata presieduta dal cardinale Edward Egan e dall’arcivescovo Celestino Migliore,
osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, che ha in questa occasione ha
auspicato che ogni partecipante all’Assemblea sia sempre consapevole del fatto
che ciò che viene dibattuto “è per il bene comune della società” e “che il
mondo che stiamo costruendo con le nostre mani e le nostre menti ha una
consistenza che ci trascende”. Mons. Migliore ha quindi letto un messaggio del
Papa, inviato tramite il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Ce ne
riferisce Roberta Gisotti.
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“Saggezza, gioia e forza”: le invoca Giovanni Paolo II per
tutti i partecipanti all’Assemblea generale dell’Onu. Nel suo messaggio il Papa
chiede a Dio di guidare i lavori delle Nazioni Unite per promuovere maggiore
comprensione, rispetto e cooperazione tra i membri della comunità
internazionale. In questo anno che segna il 40mo anniversario dell’Enciclica Pacem
in terris il Santo Padre si fa eco della profetica convinzione del suo
predecessore, Giovanni XXIII: “l’obiettivo – scrive – della pace mondiale può
infine essere realizzato, se i valori etici della solidarietà tra i popoli
della Terra, il rispetto dell’umana dignità e l’impegno per i principi morali
della verità, giustizia amore e libertà trovano incarnazione nell’ordine
giuridico a servizio del bene comune della famiglia umana.”
“Allo stesso tempo quando la necessità di approcci
multilaterali alle complesse questioni della sicurezza globale, della giustizia
internazionale e dello sviluppo umano è divenuta sempre più evidente”, Giovanni
Paolo II riafferma “la sua fiducia nell’importante missione affidata
all’organizzazione delle Nazioni Unite”. Egli incoraggia quindi “i membri della
comunità diplomatica e tutti quanti sono impegnati nel lavoro della promozione
umana di applicarsi per lavorare con generosità e disinteresse al fine di
costruire un mondo libero dal flagello di povertà, violenza e ingiustizia”. Il
Papa non dimentica che quest’anno ricorre il 10 anniversario dell’Anno
internazionale della famiglia, richiamando “ad una maggiore e necessaria attenzione
al nucleo fondamentale della vita di ogni Nazione”.
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UN ANNO FA LA MORTE DEL CARDINALE VIETNAMITA
NGUYEN VAN THUAN, EROICO TESTIMONE DELLA FEDE: IL RICORDO DELL’ARCIVESCOVO
RENATO MARTINO,
CHE HA RACCOLTO LA SUA EREDITA’ ALLA GUIDA
DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE
-
Intervista con l’arcivescovo Renato Martino -
Un anno
fa moriva a Roma il cardinale vietnamita François Xavier Nguyen Vân Thuân, presidente del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace. “Una vita spesa nell’adesione coerente ed eroica alla propria vocazione”, un
pastore “sempre fedele alla Chiesa anche nel duro tempo della persecuzione”.
Così, Giovanni Paolo II tratteggiava la figura
del cardinale Vân Thuân, spentosi il pomeriggio del 16 settembre 2002
nella clinica romana Pio XI, dopo una lunga malattia. Aveva 74 anni e una storia
di persecuzione da parte del regime comunista, con 13 anni di prigionia, nove
dei quali in totale isolamento. Un’esperienza dolorosa, vissuta e superata con
la forza della fede, che lo ha reso un coraggioso ed esemplare testimone oltre
che un simbolo della speranza. Il suo successore alla guida del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace, l’arcivescovo Renato Martino, presiederà questo
pomeriggio alle ore 18.00 una Liturgia Eucaristica commemorativa nella chiesa romana di Santa Maria della
Scala, sede titolare cardinalizia del porporato scomparso. Ma ecco come, al
microfono di Fabio Colagrande, l’arcivescovo Martino ricorda il cardinale Vân
Thuân, di cui ha assunto l’eredità spirituale.
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R. – La preziosa eredità che mi ha lasciato mi rende
partecipe della sua personalità umana e mi permette di coglierne i tratti
distintivi: la gentilezza, la discrezione che nascevano dalla bontà e dalla
delicatezza d’animo, come anche dalla prudenza legata alla volontà di cercare
comunque il bene per tutti. Una grande cultura, quasi nascosta con pudore ma
svelata da una profonda sapienza. Sapeva cogliere di ogni situazione gli
aspetti profondi. Una fortezza, fonte di determinazione e pazienza; e in fine,
ma forse è meglio dire: in sintesi, la volontà di essere un uomo donato agli
altri, sempre e a qualsiasi prezzo.
D. – Eccellenza, nella personalità spirituale del
porporato vietnamita avevano lasciato una traccia indelebile i suoi 13 anni di
prigionia...
R. – Certo, e questo credo che abbia segnato per tutto il
resto della sua vita il suo carattere e la sua personalità, il suo servizio, la
sua determinazione di servire gli altri. Quella che fu per il cardinale Vân
Thuân una straordinaria ed indelebile esperienza spirituale, resta per noi la
più preziosa delle eredità, esempio di un autentico uomo di pace, un cristiano
sereno ed un vescovo fiducioso. La consapevolezza interiore di aver combattuto
una buona battaglia e di aver conservato la fede lo distinse e lo aiutò anche
come presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace;
cardinale, si lasciava guidare con grande lucidità dal valore e dall’importanza
della dottrina sociale della Chiesa per la costruzione di un nuovo mondo più
giusto e più solidale.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"Noi abbiamo resistito perché siamo rimasti con Pietro": nei quattro
giorni del pellegrinaggio del Papa in Slovacchia, una straordinaria
testimonianza di fedeltà antica e sempre nuova.
Nelle vaticane, nel cammino
della Chiesa in America, un articolo sull'Argentina dove si è svolta in
tutte le chiese la colletta indetta dai vescovi per aiutare le regioni più
povere.
Una pagina dedicata alle
Lettere pastorali dei vescovi italiani.
Nelle pagine estere, riguardo
all'Iraq, Annan afferma che le Nazioni Unite non invieranno caschi blu.
Medio Oriente: dibattito
all'Onu sull'ipotesi israeliana di uccidere o esiliare Arafat.
Nella pagina culturale, un
elzeviro di Luigi Maria Personé dal titolo "La dinastia degli
Ojetti".
Nell'"Osservatori
libri", un contributo di M. Antonietta De Angelis sul libro di Bruno
Zanardi dal titolo "Giotto e Pietro Cavallini. La questione di Assisi e il
cantiere medioevale della pittura a fresco".
Nelle pagine italiane, tra
i temi in rilievo, il rincaro dei prezzi ed il relativo sciopero
della spesa.
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16
settembre 2003
SCAMBI, GEMELLAGGI,
FORME DI COOPERAZIONE TRA PARROCCHIE,
MONASTERI,
ISTITUZIONI ECCLESIALI AIUTANO I CRISTIANI AD APRIRSI
ALLA DIMENSIONE ECUMENICA E ALLA COSCIENZA EUROPEA
LO AFFERMA IL CARDINALE TETTAMANZI ARCIVESCOVO DI
MILANO
DA IERI OSPITE DEL PATRIARCATO ORTODOSSO DI
ROMANIA
- Servizio di Carla Cotignoli -
“Ci auguriamo e preghiamo perché il cammino ecumenico, avviato
in modo promettente e sancito dai suoi incontri con il santo Padre, abbia a
proseguire e a dare frutti concreti anche nelle relazioni quotidiane a livello
locale”. E’ con queste parole che il cardinale Dionigi Tettamanzi si è rivolto
ieri al Patriarca Teoctist, al suo arrivo a Bucarest, dove è ospite del
Patriarcato ortodosso romeno sino a giovedì prossimo. A conclusione della
visita, il cardinale Tettamanzi incontrerà per il commiato il patriarca
Teoctist e l’arcivescovo cattolico di Bucarest, mons. Ioan Robu. Il servizio di
Carla Cotignoli.
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E’ nel segno di sant’Ambrogio,
grande Padre della Chiesa dei primi secoli, patrimonio comune alle due
tradizioni cattolica e ortodossa, che
si sta svolgendo la visita dell’arcivescovo di Milano in Romania. Già da tempo
una parrocchia di Milano è gemellata con una parrocchia ortodossa di Bucarest,
che dal 7 dicembre prossimo ogni anno celebrerà la festa patronale di
sant’Ambrogio. E proprio ieri, alla presenza del cardinale Tettamanzi, nel
monastero di Darvari, è stata inaugurata una cappella intitolata al grande
santo, patrono di Milano. Ancora, in memoria della sua dottrina e santità,
l’arcivescovo ha fatto dono al
Patriarca dell’Opera Omnia di sant’Ambrogio.
Milano poi contribuisce da tempo
a sostenere finanziariamente un’opera sociale a favore dei bambini di strada,
promossa dalla Chiesa ortodossa. Ed
ora, questa visita è l’occasione per “moltiplicare” questi “scambi, gemellaggi
e forme di cooperazione tra comunità parrocchiali, monasteri, istituzioni ecclesiali
delle due Chiese sorelle”. “Queste esperienze – ha detto il cardinale
Tettamanzi - aiutano concretamente i nostri fedeli ad aprirsi alla dimensione
ecumenica della loro fede”. “Attraverso queste stesse esperienze – ha aggiunto
– i cristiani possono portare un reale e originale contributo al processo di
presa di coscienza della cittadinanza europea”. Il porporato ha lanciato poi
un’altra proposta: “perché non promuovere tra le nostre due Chiese qualche
scambio di esperienze pastorali?”. Comune sfida che si pone oggi
all’evangelizzazione.
Questa visita è senza dubbio un
nuovo segno della crescente comunione tra le Chiese cattolica e ortodossa romena,
che - ricordiamo - ha avuto una svolta
dal viaggio del Papa in quella terra, nel maggio 1999, poi ricambiato da una
visita del Patriarca Teoctist a Roma nell’ottobre del 2002. Fu questa
l’occasione per il capo spirituale degli ortodossi romeni di visitare anche la
comunità della sua Chiesa residente nella città di Milano. E quindi di essere
accolto dal cardinale Tettamanzi. Di qui l’invito ufficiale a visitare il
Patriarcato e alcuni monasteri ortodossi, per approfondire l’amicizia e i
rapporti di cooperazione ecumenica con l’arcidiocesi di Milano.
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UNITARIETA’, DIOCESANITA’ E POPOLARITA’: SONO LE PAROLE CHIAVE
DEL NUOVO STATUTO DI AZIONE CATTOLICA, APPROVATO
DURANTE LA PRIMA ASSEMBLEA STRAORDINARIA DI AC
- Intervista con don Domenico Sigalini e Ilaria Vellani -
“La Chiesa non può fare a meno di Azione Cattolica, perché non smette di guardare al mondo con lo sguardo di Dio, scrutando questo nostro tempo per cogliere in esso i segni dello Spirito”. Sono parole di affetto e di stima quelle contenute nel messaggio di Giovanni Paolo II per i partecipanti alla prima Assemblea Straordinaria di Azione Cattolica, svoltasi a Roma tra il 12 e il 14 settembre. “Vi esorto a mettere tutte le vostre energie a servizio della comunione, in stretta unità con il vescovo - ha insistito il Papa - aiutando la vostra parrocchia a riscoprire la passione per l’annuncio del Vangelo”. Nel corso dell’incontro, a cui hanno partecipato 800 delegati, è stato approvato il nuovo Statuto, che incarna gli obiettivi di unitarietà, diocesanità e popolarità. Invariati i primi 10 articoli, che contengono i principi fondamentali di Azione Cattolica fissati nel 1969, l’Assemblea ha votato gli articoli 11-40 nella nuova formulazione, elaborata dal Consiglio nazionale dopo un lungo percorso che ha coinvolto le associazioni diocesane e le delegazioni regionali. Sull’approvazione della nuova carta statutaria, Barbara Castelli ha raccolto il commento di don Domenico Sigalini, vice-assistente generale di Azione Cattolica.
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R. –
Abbiamo cambiato lo statuto in un momento in cui la Chiesa è carica di grosse
difficoltà, soprattutto per quanto riguarda l’annuncio del Vangelo. Non era
così nel ’69: appena dopo il Concilio c’era fermento, voglia di riprendere, di
cambiare, di ridare concretamente in ogni parrocchia il volto che il Concilio aveva
delineato della Chiesa. Oggi, invece, sentiamo il peso di questa nuova
evangelizzazione. Un’associazione non può cambiare solo sull’onda di un entusiasmo,
ma deve studiare quali sono le necessità assolute: nella Chiesa di oggi devono
essere inseriti nuovi fermenti evangelizzatori.
D. – Durante questa tre giorni di studio avete evidenziato
i cambiamenti che stanno caratterizzando il mondo. Può illustrarne alcuni?
R. – Per esempio, la complessità delle culture che si
stanno confrontando. In un mondo che vede nella porta accanto una persona di
altra etnia, di altra religione, di altra cultura, è chiaro che occorre
qualcuno che sappia dire le parole della fede al di là delle formule del
catechismo, ma dentro la vita quotidiana concreta, dentro i problemi, dentro le
tensioni. La gioia di aver scoperto una risposta in Gesù deve essere riscritta
dentro questi nuovi modelli culturali.
D. – Come si inserisce l’impegno di Azione Cattolica in
relazione all’impegno di altri movimenti. Quali sono i rapporti tra di voi?
R. – Credo che anche questa Assemblea abbia dato una bella
indicazione anche sotto questo profilo. All’inizio dell’Assemblea è venuta a
parlare Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, ed è
intervenuto anche Andrea Riccardi, che è colui che porta avanti la Comunità di
Sant’Egidio. E’ chiara la voglia di intervenire in comunicazione, ciascuno con
la sua identità, ciascuno con i suoi valori, con i suoi punti di vista, con i
suoi modelli anche formativi, ma dentro un cammino unico della Chiesa. C’è
bisogno di creare comunione. All’Azione Cattolica è riconosciuto da questi
nuovi movimenti questo ruolo di associazione di base, che permette a tutti di
esprimersi e a ciascuno di dare il suo contributo.
Diversi sono stati i temi e le sfide scandagliati nel corso dell’Assemblea straordinaria di Azione Cattolica: la laicità ed il rapporto con la gerarchia; la cura della famiglia, sempre più fragile e poco tutelata, e non da ultima l’attenzione ai giovani. A questo proposito abbiamo raccolto il commento di Ilaria Vellani, vicepresidente per il settore giovani di Azione Cattolica.
R. – I
giovani costituiscono, e questo è emerso nel corso dell’Assemblea, il volto
dell’Azione Cattolica dei prossimi anni. Penso che investire sui giovani significhi
oggi investire in particolare sulla formazione. Questo cammino di formazione
noi vorremmo farlo non da soli, ma in compagnia degli adulti, per poter
intrecciare quel dialogo che è una caratteristica dell’Azione Cattolica, una
delle esperienze più belle che l’Azione Cattolica ci ha permesso di vivere in
questi anni.
D. – In concreto quali sono le iniziative che proponete ai
giovani, quali orizzonti indicate loro?
R. – C’è il ripensamento del progetto formativo e a
gennaio ci sarà un convegno, un forum, proprio sul tema della formazione, con
gli adulti. Poi ci sono diverse iniziative incentrate sui temi della pace,
della costruzione della civiltà dell’amore, così come il Papa a Toronto ci ha
invitato a fare. Quindi, in collaborazione anche con l’istituto Bachelet
dell’Azione Cattolica proveremo a creare dei seminari di studio su queste
tematiche, che poi possano trovare forma più aderente al territorio nella vita
delle diocesi.
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DALL’ESTONIA UN “SI’” CON ENTUSIASMO ALL’EUROPA,
DALLA SVEZIA UN GELIDO “NO” ALL’EURO
- Intervista con Federiga Bindi -
Europa sì, euro no. Queste le sentenze decretate dai due
referendum in Estonia e Svezia. Mentre per il Paese baltico ci si attendeva
l’entusiastico assenso all’ingresso nell’Unione, l’esito negativo del voto
svedese ha destato più d’una perplessità nell’area comunitaria. In molti
pensavano che l’effetto emozione per l’omicidio del ministro Lindh, fautore
dell’adesione all’Europa, avrebbe fatto pendere la bilancia per i “sì”. Così
non è stato, e la Svezia entrerà nell’euro, come previsto, solo nel 2013. Sull’esito
di questi due referendum, Giancarlo La Vella ha intervistato Federiga Bindi, docente
di organizzazione internazionale all’Università di Firenze:
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R. – In Estonia il voto era ampiamente atteso; devo dire
che tra tutti i referendum nei nove Paesi che l’hanno fatto, era quello – tra
virgolette – più facile, cioè, è il Paese che più velocemente è tornato ad
essere ricco, il Paese che più velocemente si sta sviluppando, il Paese che
veramente non vedeva l’ora di rientrare nell’Unione Europea. Per quanto
riguarda la Svezia, ci si aspettavano più “sì”, anche se il timore del “no”
c’era. Bisogna dire una cosa: gli scandinavi hanno una digestione molto lenta:
è stato così nel 1995 con la Norvegia... Probabilmente, sarebbe stato più
saggio rimandare il referendum di un paio di mesi. Credo che sia stato
percepito un po’ come una forzatura, questa cosa di dover tenere il referendum
a tutti i costi e per questo credo che abbia prevalso un sentimento di paura e
il risentimento rispetto a questo referendum mandato avanti a tutti i costi
rispetto al calcolo nazionale che alla Svezia conviene entrare nell’euro.
D. – In Svezia non ha funzionato, come molti si
attendevano, l’effetto emozionale per l’omicidio del ministro Lindh; ci sono
comunque però altri motivi per lo scetticismo nei confronti dell’Europa?
R. – I motivi sono sempre i soliti, cioè la paura di
perdere il benessere che hanno, la paura di essere trascinati in un continente
più insicuro, il timore del poco conosciuto o comunque del diverso...
D. – Dopo il voto svedese, il presidente della Commissione
europea Prodi ha affermato che Stoccolma non può pretendere, a questo punto, di
contare nell’Unione quanto vorrebbe. Quali saranno gli effetti del “no” della Svezia all’euro?
R. – Ma, mi sembra un’espressione veramente poco felice.
Cosa c’entra? Non faranno parte di Euro-Dodici, cioè non faranno parte del
Consiglio economico e finanziario che regola l’Euro.
D. – Torniamo invece all’Estonia. Una situazione economica
abbastanza florida, quasi in controtendenza rispetto agli altri Paesi dell’Est
europeo...
R. – L’Estonia è un Paese piccolo, molto aiutato dai Paesi
scandinavi, anche economicamente, quindi è stato molto più facile per l’Estonia
riqualificarsi; hanno puntato su un settore, quello dell’high tech, nel
quale sono all’assoluta avanguardia, in Europa. Quindi, diciamo, molto più
facile rimodernizzare rispetto ad un Paese largo ed essenzialmente agricolo
come per esempio la Polonia.
D. – Ma ci sono ancora conseguenze sull’Estonia del lungo
periodo trascorso sotto il regime sovietico?
R. – Gli estoni sono stati tra i primi a ri-adottare i
propri usi e costumi, le proprie tradizioni: per loro è una liberazione, per
loro è chiudere un conto con il passato di cui vogliono ricordarsi il meno possibile.
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16
settembre 2003
LA FAMIGLIA MISSIONARIA DEI SALESIANI IN PAPUA
NUOVA GUINEA SI ARRICCHISCE DELLA PRESENZA DI PADRE CLIFFORD MORAIS, DI ORIGINE
INDIANA.
HA
RICEVUTO IL MANDATO CON UNA SOLENNE CERIMONIA A BOMBAY
PORT
MORESBY. = Prende avvio l’impegno in Papua Nuova Guinea di padre Clifford Morais,
salesiano di origine indiana che ha
ricevuto il mandato missionario il 13 settembre, con una solenne
cerimonia nel Santuario della Madonna di Don Bosco a Bombay. Lavorerà nella Don
Bosco Technical School a Port Moresby e seguirà la pastorale giovanile nella
missione salesiana di Boroko sorta nel 1998. I salesiani, in realtà, sono
presenti in Papua Nuova Guinea dal 1980, con un’attenzione particolare al
settore dell’educazione. E proprio l’impegno con le nuove generazioni, che
caratterizza la Congregazione salesiana fondata da Don Bosco, ha colpito padre
Clifford all’età di 31 anni, portandolo a scegliere la via del noviziato quando
era un affermato manager di una grande
azienda navale indiana. A Boroko troverà una casa per giovani che aspirano ad entrare
nella Congregazione e un istituto scolastico di formazione professionale che ha
sei corsi ed è frequentato da oltre 300 studenti provenienti da tutte le province
della Papua Nuova Guinea. (F.Sp.)
UNA GIORNATA DI CONVEGNO A MILANO, IL PROSSIMO 30
SETTEMBRE,
PER
RICORDARE I QUARANT’ANNI DI ATTIVITA’ DEL ST. MARY’S HOSPITAL,
LA STRUTTURA ALL’AVANGUARDIA DELL’AFRICA
SUBSAHARIANA
MILANO.=
I risultati di quarant’anni di attività del St. Mary’s Hospital di Lacor, nel
Nord dell’Uganda, saranno presentati il 30 settembre presso il Centro Congressi
Cardinale Schuster, a Milano. Alla struttura ospedaliera più all’avanguardia
dell’Africa Subsahariana si sono dedicati senza risparmiarsi i coniugi Piero e
Lucille Corti. Lei è morta nel 1996 dopo aver contratto l’Aids proprio durante
la sua attività di chirurgo nell’ospedale e lui è venuto meno circa 5 mesi fa
lasciando però attiva la Fondazione Piero e Lucille Onlus, guidata dalla figlia
Dominique. L’ospedale, presente in Uganda dal 1961, è stato al centro
dell’attenzione mondiale nel 2000 per aver dato l’allarme e aver fronteggiato
la violenta epidemia del virus Ebola e, inoltre, si distingue per la lotta
all’Aids. Gestisce una scuola di formazione per medici e infermieri e
costituisce un centro di prevenzione e educazione sanitaria. I risultati
medico-scientifici e sociali ottenuti fino ad oggi, insieme con i programmi futuri della fondazione saranno
presentati all’incontro a Milano con le testimonianze di alcuni protagonisti
diretti del lavoro svolto in Uganda e le relazioni di autorevoli esponenti del mondo scientifico. (F.Sp.)
SVEGLIARE
L’ATTENZIONE DEI PAESI CHE ANCORA NON HANNO SOTTOSCRITTO
IL TRATTATO
CONTRO LE MINE ANTIUOMO È LO SCOPO
DEL
QUINTO VERTICE MONDIALE IN CORSO A BANGKOK
BANGKOK.
= Prenderà in esame il lavoro svolto finora dagli Stati aderenti contro le mine
antiuomo il quinto vertice mondiale che si è aperto ieri in Thailandia.
All’incontro partecipano gli Stati che fanno parte della Convenzione sul
divieto dell’impiego, del deposito, della fabbricazione e della fornitura delle
mine antiuomo e sulla loro distruzione, siglata nel 1997 e conosciuta come il
“Trattato di Ottawa”. Il documento prevedeva la distruzione di tutti gli
arsenali presenti sul pianeta entro 4 anni dalla sua entrata in vigore,
avvenuta nel 1999. E lo scopo dei 148 Paesi partecipanti all’incontro di
Bangkok è proprio monitorare il lavoro di quelli che onorano gli impegni presi
con il trattato e, soprattutto, svegliare l’attenzione degli Stati che ancora
non hanno sottoscritto il documento. Dei 46 Paesi che ancora devono aderire al
trattato, più della metà si trovano in Asia, reticente nell’affrontare il
problema nonostante i sei mila morti per l’esplosione delle mine secondo i
calcoli fatti solo nel maggio 2002. I 136 paesi che, invece, hanno ratificato
il trattato e i 13 che lo hanno solo firmato si sono impegnati a bonificare le
zone minate nei loro confini, sostenendo economicamente chi smina il territorio
e, soprattutto, le persone colpite dagli ordigni. (M.R.)
SINGOLARE INIZIATIVA PER PORTARE UN CLIMA NUOVO
NEGLI STADI
LANCIATA LA SETTIMANA SCORSA IN AFRICA.
“L’UNIONE DI TIFOSI AFRICANI DI CALCIO E
ALTRI SPORT”
HA PER
OBIETTIVO LA LOTTA AL FENOMENO DELLA VIOLENZA
NEGLI IMPIANTI SPORTIVI CHE AFFLIGGE ANCHE MOLTI
PAESI EUROPEI
LOMÉ. =
È nata la settimana scorsa a Lomé, capitale del Togo, l’Unione di tifosi africani
di calcio e altri sport (Afossu), con lo scopo di unire gli appassionati delle
diverse squadre sotto un’unica bandiera: quella della non violenza. L’Unione è
stata creata nell’incontro tra i responsabili delle associazioni del Consiglio
superiore dello sport in Africa che riunisce i delegati di Benin, Burkina Faso,
Niger, Nigeria Costa d’Avorio e Sierra Leone. Nei due giorni di incontri si è
parlato anche dell’etica sportiva come fondamento per l’educazione morale dei
giovani che si dedicano allo sport. Come presidente dell’Unione è stato eletto
Rafiu Oladipo, personaggio di rilievo del calcio nigeriano che per 4 anni
dirigerà l’organismo. L’ Unione prenderà il via dopo il 15 e 16 ottobre, giorni
nei quali si riunirà una commissione speciale per redigere il testo base. Nelle
intenzioni dei promotori l’iniziativa non deve rimanere nel continente africano
ma deve essere messa a disposizione delle organizzazioni sportive
internazionali, afflitte dal problema della violenza negli stadi. (M.R.)
DIFFONDERE
LA CULTURA DELLA COOPERAZIONE E DELLA SOLIDARIETÀ A FAVORE
DEI PAESI DEL SUD DEL MONDO È L’OBIETTIVO
PRINCIPALE DEI CORSI DI FORMAZIONE ON–LINE DEL VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER
LO SVILUPPO,
L’ORGANIZZAZIONE
NON GOVERANTIVA DEI SALESIANI
ROMA. =
Il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (Vis), l’organizzazione non governativa
dei Salesiani di Don Bosco, ha lanciato la sesta edizione dei corsi di formazione
on-line sulla cooperazione internazionale e sviluppo. Gli obiettivi che questa
Ong vuole centrare sono principalmente due: diffondere una professionalità
all’interno della cooperazione allo sviluppo e fornire uno strumento valido per
cogliere al meglio i risvolti di tipo economico, antropologico, politico legati
agli interventi nei paesi in via di sviluppo. Il centro di formazione on-line
fa parte del progetto Volint, il programma del Vis nato per utilizzare in campo
sociale le nuove tecnologie educative al servizio di studenti, insegnanti,
laureati, professionisti. Tutti i corsi di specializzazione adottano la
metodologia della formazione via internet grazie all’accesso alla rete. Gli
ambiti di studio sono sei: cooperazione allo sviluppo; economia della sviluppo;
educazione alla interculturalità; diritti umani e sviluppo; orientamento al
volontariato internazionale. Ogni corso sarà tenuto, altre che dal personale
qualificato del Vis, da alcuni docenti dell’Università di Pavia. (M.R.)
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16
settembre 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio
Oriente proseguono le incursioni di Israele nei Territori. Un militante di
Hamas, Majdi Abu Jud, è stato ucciso, stamani, da soldati israeliani durante un
conflitto a fuoco avvenuto nel villaggio di Dura, presso Hebron. Secondo fonti
militari dello Stato ebraico, l’uomo aveva organizzato due sanguinose infiltrazioni
in una colonia e in un collegio rabbinico nella zona di Hebron. Sul versante
politico, la
figura del presidente palestinese, Yasser Arafat, continua a dividere lo
scenario internazionale. Nell’acceso dibattito svoltosi al Consiglio di
sicurezza dell’Onu i Paesi arabi hanno chiesto ad Israele di non espellere il
rais presentando una risoluzione la cui votazione è prevista oggi. Sulla
proposta dei Paesi arabi, nella quale si delinea l’astensione degli Stati
Uniti, ci riferisce Graziano Motta:
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Il rappresentante dell’Olp ha sostenuto che ogni
intervento israeliano contro il rais rappresenterebbe l’esautoramento
dell’autorità palestinese e la fine del processo di pace. Il delegato
israeliano ha ribadito invece che Arafat guida le imprese terroristiche contro
civili innocenti e sostiene la preparazione di mega-attentati che porterebbero
la regione mediorientale alla catastrofe. La posizione di tutti i Paesi membri
del Consiglio di Sicurezza è unanime nel considerare intoccabile la figura
istituzionale di Arafat e d’altra parte Israele – assicura il suo ministro
degli esteri Shalom – esclude un’azione immediata contro di lui. Ma gli Stati Uniti
esprimono forti riserve sul testo di risoluzione esigendo pure la condanna
delle organizzazioni terroristiche palestinesi, lo smantellamento dei loro
quadri e infrastrutture. Per evitare l’assenza di queste responsabilità Arafat,
tramite il suo responsabile per la sicurezza, Jibril Rajoub, chiede di
negoziare con Israele un cessate-il-fuoco che viene da questo però rifiutato
perché significherebbe riconoscere la legittimità dei gruppi terroristici.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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La proposta di tregua avanzata da Jibril Rajoub, respinta
questa mattina da Tel Aviv, prevedeva la cessazione degli attacchi contro
Israele e la fine, da parte dello Stato ebraico, delle operazioni mirate contro
i militanti palestinesi. Jibril Rajoub, che è stato recentemente nominato
consigliere per la sicurezza nazionale da Arafat, ha inoltre chiesto ad Israele
il blocco della costruzione del muro al confine con la Cisgiordania ed il
congelamento delle costruzioni negli insediamenti.
In Arabia Saudita, un drammatico incendio ha devastato,
ieri, il più grande carcere del Paese, nei pressi della capitale Riad, causando
la morte di almeno 67 persone ed il ferimento di altre 20. Lo ha rivelato
l’agenzia saudita, Spa, ma per l’opposizione il bilancio è ancora più pesante e
le vittime sarebbero più di 180. Al momento non si conoscono le cause di questo
tragico episodio. Secondo il capo del Movimento islamico per la riforma in
Arabia (Mira), Saad al Faqih, l’incendio potrebbe essere stato o deliberatamente
provocato da un gruppo di detenuti che protestavano contro le condizioni
carcerarie oppure scatenato da un corto circuito.
In
Iraq si è conclusa la visita del segretario di Stato americano, Colin Powell,
che ieri si è recato ad Halabja, città
dove il 16 marzo 1988 circa 5 mila curdi furono uccisi dalle armi chimiche del
regime iracheno. Nel corso della sua visita in Iraq, Powell ha sottolineato i
progressi realizzati dalla fine della guerra ma l’interminabile spirale di odio
non si è interrotta neanche ieri. Una granata è stata lanciata contro un
contingente di soldati albanesi di stanza
nel nord del Paese arabo, ferendo almeno
13 iracheni. Un militare statunitense, inoltre, è rimasto vittima di un
altro grave episodio di violenza. Ce lo conferma, da New York, Paolo
Mastrolilli:
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Ieri mattina un soldato americano ha perso la vita a
Baghdad, quando la sua unità è stata attaccata con i lanciarazzi a spalla: è la
sesta vittima nell’ultima settimana ed il secondo militare ucciso in
altrettanti giorni di visita di Powell. Ma la guerriglia ha diretto i suoi
attacchi anche contro gli iracheni accusati di collaborare con le forze di
occupazione. A Falluja, una città nel triangolo sunnita, tre uomini mascherati
hanno ucciso il capo della polizia locale insediato dagli americani. La
possibilità di diminuire le violenze potrebbe dipendere dalla nuova risoluzione
che l’Onu continuerà a discutere questa settimana durante l’apertura
dell’assemblea generale. Ieri, il segretario Kofi Annan ha detto che le
divergenze tra i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza sono state esagerate
ed esiste la possibilità di trovare un accordo. Infatti, Washington ha
intenzione di presentare una versione riveduta del suo documento in settimana.
La Abc, intanto, ha rivelato che il rapporto preparato dagli investigatori
americani incaricati di cercare le armi di distruzione di massa non conterrebbe
prove della loro esistenza.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Anche l’Afghanistan continua ad essere martoriato dal
dramma delle violenze. Quindici talebani sono rimasti uccisi, ieri, nel corso
di uno scontro con le forze americane avvenuto nella provincia di Kandahar. Lo
hanno riferito fonti militari statunitensi precisando che nessun soldato delle
forze della coalizione è rimasto ferito.
Il governo di Teheran ha dichiarato che intende proseguire
i colloqui con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e che non
ha alcuna intenzione di ritirarsi dal trattato di non proliferazione nucleare.
Il presidente iraniano, Mohammad Khatami, ha inoltre affermato che l’Iran non
abbandonerà la propria politica per lo sviluppo dell’energia nucleare. “Ma non
costruiremo bombe atomiche – ha detto Khatami – perché non ne abbiamo bisogno”.
Sugli aspetti ed i rischi del programma nucleare della
Corea del Nord si terrà il 29 e il 30 settembre, a Tokyo, un summit tra alti
responsabili di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. L’incontro sarà il primo
ad alto livello, dopo quello svoltosi a Pechino alla fine di agosto, con la
partecipazione di Nord e Sud Corea, Usa, Russia, Cina e Giappone.
In
Guinea Bissau, dopo il colpo di Stato di domenica scorsa, è stata affidata al
vescovo della capitale del Paese africano, mons. Josè Camnate na Bissign, la guida
del Consiglio nazionale di transizione, l’organismo incaricato di preparare la
formazione di un governo provvisorio in attesa di nuove elezioni.
Restiamo in Africa e andiamo in Tanzania dove sono
purtroppo falliti i negoziati tra il governo ed i ribelli. E’ infatti saltato,
ieri, il previsto incontro a Dar es-Salaam tra il presidente del Burundi,
Domitien Ndayizeye, ed il leader del Fronte di difesa della democrazia, Pierre
Nkurunziza. Il servizio di Giulio Albanese:
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Le trattative, come era prevedibile, si sono arenate sulla
delicata questione di quella che tecnicamente viene definita “la condivisione
del potere”. Tra le principali richieste dei ribelli, l’assegnazione della
presidenza dell’Assemblea nazionale, la vice presidenza del Paese accanto a
quella di riferimento hutu-tutsi, e la leadership dello stato maggiore
dell’esercito. E il governo di Bujumbura – diviso al suo interno tra falchi e
colombe – ha fatto intendere a chiare lettere che è davvero troppo per un
movimento armato. Malgrado ciò, i colloqui informali di ieri con i presidenti
di Uganda, Tanzania, Mozambico e Sudafrica sono stati comunque l’occasione per
presentare in sedute distinte a governo e ribelli il protocollo realizzato dai
mediatori internazionali: un documento tutto da perfezionare con tanti paragrafi
ancora da scrivere nel contesto generale di una trattativa, come al solito,
tutta in salita.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Serve una forte riorganizzazione dell’Organizzazione
mondiale del commercio (Wto). Sono unanimi i pareri dopo il fallimento del
Vertice di Cancun, in cui 21 Paesi in via di sviluppo si sono opposti alla
liberalizzazione degli investimenti ed all’apertura alle multinazionali nel Sud
del mondo. Secondo Sergio Marelli, presidente della Focsiv – la federazione
delle ong di ispirazione cristiana – “quando uomini e governi dialogano e non
si mettono d’accordo è sempre una sconfitta per tutti”.
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