RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 258 - Testo della
Trasmissione lunedì 15 settembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Nominato dal Papa il nuovo arcivescovo di Manila, in seguito alla
rinuncia del cardinale Jaime Sin.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Negli
euro-referendum di ieri due esiti opposti: mentre la Svezia ha detto no alla
moneta unica, l’Estonia ha aderito all’Unione Europea
Gli Stati Uniti condannano le dichiarazioni
israeliane nelle quali viene ritenuta un’opzione possibile l’uccisione di
Arafat
In
Guinea Bissau il colpo di Stato dei militari è avvenuto senza spargimento di
sangue.
15 settembre 2003
I GIOVANI SLOSVACCHI, “SPERANZA DEL PAPA”.
CON
QUESTO SALUTO, GIOVANNI PAOLO II SI E’ CONGEDATO DAL PAESE EUROPEO
ED HA
FATTO RITORNO IERI A CASTEL GANDOLFO
- A
cura di Alessandro De Carolis -
**********
“Rendo grazie a Dio perché hai
saputo conservare, anche in momenti difficili, la tua fedeltà a Cristo e alla
sua Chiesa. E ti esorto: non ti vergognare mai del Vangelo! Custodiscilo nel
tuo cuore come il tesoro più prezioso dal quale attingere luce e forza nel
pellegrinaggio quotidiano della vita”. Nel cuore degli slovacchi echeggia
ancora l’esortazione di Giovanni Paolo II, risuonata ieri mattina a Bratislava,
durante la cerimonia di beatificazione del vescovo Vasil’ Hopko e di suor
Zdenka Schelingová. Al Papa che ieri pomeriggio, poco dopo le 18.20, ha
concluso il suo 102.mo viaggio apostolico, il terzo in Slovacchia, per fare
ritorno in serata a Castel Gandolfo, i fedeli del Paese est europeo hanno
tributato un affettuoso saluto, radunandosi in massa all’aeroporto. E il
Pontefice, ancora una volta - elevando agli altari i due martiri del Paese –
non ha cessato di confermare e di sospingere la Chiesa slovacca, a partire
dalle nuove generazioni, verso quel rinnovamento auspicato dai suoi vescovi,
nel quadro di un’Europa comunitaria che marcia verso l’unificazione con il
proprio scacchiere orientale. Da Bratislava, la nostra inviata, Giada Aquilino:
“Siete la speranza del Papa!”. Si è conclusa con una
rassicurazione ai giovani la terza visita di Giovanni Paolo II in Slovacchia.
Dopo la cerimonia di beatificazione del vescovo greco cattolico Vasil’ Hopko e
di suor Zdenka Cecilia Schelingova - ieri alla periferia di Bratislava - e la
cerimonia di congedo all’aeroporto della capitale slovacca, alla presenza del
capo di Stato Rudolf Schuster e delle autorità politiche, civili e religiose
del Paese, Giovanni Paolo II ha consegnato ancora una volta il proprio
messaggio di fede al Paese dell’Europa centro orientale.
Alla Slovacchia, che a maggio
entrerà ufficialmente nell’Unione europea, il Papa – giungendo giovedì scorso
all’aeroporto di Bratislava – aveva raccomandato di portare “il contributo
della ricca tradizione cristiana” nella costruzione della nuova Europa,
sollecitando gli slovacchi a non accontentarsi “unicamente della ricerca di
vantaggi economici, perché una grande ricchezza può creare anche una grande
povertà”. A Roznava, nella Slovacchia orientale, Giovanni Paolo II sabato
scorso aveva ribadito il concetto, auspicando che i fedeli contribuiscano con
lo stile della loro “vita cristiana all’evangelizzazione del mondo
contemporaneo e alla costruzione di una società più giusta e fraterna”. Non a
caso, l’arcivescovo di Bratislava-Trnava, mons. Sokol, ieri a Petrzalka ha
spiegato che – dopo gli anni duri del regime comunista, in cui non c’erano né
chiese né centri pastorali – oggi in Slovacchia “il cuore della gente sembra
essere travolto da troppe suggestioni”, frutto di una globalizzazione sbagliata
e del consumismo più sfrenato.
A Giovanni Paolo II, gli
slovacchi hanno chiesto allora in questi giorni una conferma nella fede, per
trovare nel Vangelo la giusta direzione della vita e dei valori veri. Lo hanno
dimostrato proprio a Petrzalka, quando in 250mila si sono ritrovati festanti
nel quartiere popolare alla periferia di Bratislava, costruito negli anni
’60-’70 sotto il regime comunista: tra pochi mesi, forse già a Natale,
quell’agglomerato di case e palazzoni - nel tempo conosciuto come un “quertiere
senza Dio” - avrà la terza Chiesa, una costruzione circolare in via di
completamento, accanto a cui è stato eretto in questi giorni il palco papale,
per la beatificazione del vescovo greco cattolico Vasil Hopko e suor Zdenka
Schelingova.
I due martiri slovacchi, pur
arrestati e perseguitati dal regime comunista, hanno guardato “con fede
incrollabile” alla Croce, luogo “privilegiato in cui si rivela e manifesta
l’amore di Dio”, ha ricordato ieri il Pontefice. A Petrzalka, Giovanni Paolo II
ha inoltre riservato - e affidato alla voce del cardinale Tomko, come già
successo in precedenza - parole accorate per i giovani, definendoli “speranza
del Papa”. Per i ragazzi, il Pontefice aveva già avuto un pensiero particolare
a Bánska Bystrica, nella Slovacchia occidentale, quando venerdì aveva ricordato
come sia “urgente che nelle famiglie i genitori educhino alla giusta libertà i
propri figli, per prepararli a dare l’opportuna risposta alla chiamata di Dio”.
Una libertà che la Slovacchia ha ritrovato quattordici anni fa, dopo oltre
quarant’anni di regime comunista. Una libertà che oggi – tra il Danubio e i
monti Tatra - si legge nella Chiesa di questo Paese e nei volti della gente, rassicurati
dalla presenza del Papa, testimone di una speranza che lo ha sorretto anche in
questo suo 102.mo viaggio apostolico, nel venticinquesimo di pontificato.
Da Bratislava, Giada Aquilino,
Radio Vaticana.
L’Europa e
le sue radici cristiane: il soggiorno in Slovacchia appena concluso è stata
un’ideale prosecuzione degli interventi e dei richiami che hanno cadenzato su
questo tema l’estate di Giovanni Paolo II. Anche il presidente della Repubblica
italiana, Carlo Azeglio Ciampi, al Papa che nel telegramma di saluto al rientro
in Roma auspicava per il Paese di mantenersi saldo “nella concordia e nella
fraterna convivenza fra tutti i suoi abitanti”, il capo dello Stato ha mostrato
un rinnovato apprezzamento per l’attenzione mostrata dal Pontefice per l’ingresso
della Slovacchia nelle strutture comunitarie: attenzione, scrive Ciampi, che
“conferma l’impegno di Sua Santità a favore di un’Europa unita capace di far
valere nel mondo i valori spirituali e culturali che costituiscono il
patrimonio di civiltà”. Una lettura analoga dell’ultimo viaggio papale giunge
anche dal cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, presente a
Bratislava:
R. - E’ un gesto molto significativo che il Santo Padre
abbia fatto questi ultimi viaggio in Europa centrale: in Croazia il 100.mo, in
Bosnia il 101.mo ed ora in Slovacchia il 1002. Penso che il centro dell’Europa,
così ferito dalle ideologie del ventesimo secolo - quelle nazionaliste, il
comunismo, il nazismo - stia ora entrando in una nuova realtà che è l’Europa unita.
Ci chiediamo chi darà vita a questa nuova realtà. Siamo convinti che sarà la
fede a dare coesione, forza interiore, pazienza, sostegno a questa realtà. Non
c’è uomo più convinto di questa necessità come lo è il Santo Padre. Egli ne è
il testimone e la sua è una testimonianza che porta -per così dire - nella sua
carne: per la sua origine, per la sua storia e ora come Vicario di Cristo. Io
vedo questo nel senso di una grande chiamata all’Europa: nel non dimenticare da
dove veniamo e nel non perdere l’anima, in questa Europa. Sia per la Slovacchia
- che sta ora vivendo la propria libertà, indipendenza, autonomia - ma per ciò
che riguarda tutte le sfide attuali. La visita del Santo Padre che ha dedicato
così tanto tempo al Paese nonostante la sua debolezza, è un segno forte, che
vedo con tanta ammirazione.
Un Papa
anziano e sofferente, che però non risparmia alle debolezze che lo fiaccano gli
impegni della propria missione di Pastore universale. E’ questa immagine, forse
più che in altre occasioni, ad aver sollecitato nei giorni scorsi l’attenzione
dei media, i loro commenti, la loro preoccupazione. Ascoltiamo in proposito, il
pensiero del nostro direttore dei Programmi, padre Federico Lombardi,
nell’intervista rilasciata a Giovanni Peduto:
D. -
Milioni di telespettatori hanno visto il Papa affaticato, in questi quattro
giorni, sobbarcarsi di quest’ennesimo viaggio. La gente della strada si
chiedeva il perché di questo viaggio in
un piccolo Paese dell’Europa centro-orientale. Si fosse trattato di un viaggio
storico tipo Mosca, la Russia, Pechino, la Cina… Ma questo viaggio in un Paese
dove, in fondo, lui è già stato due volte, per fare una beatificazione che
poteva essere fatta anche in Piazza San Pietro… Padre Lombardi, lei ha seguito
questo viaggio in questi quattro giorni, quale motivazione di fondo il Papa ha
voluto dare a questo viaggio?
R. – Per comprenderla, bisogna soffermarsi proprio
sull’impostazione pastorale di questo Pontificato: sul desiderio del Papa di
rispondere agli inviti che gli vengono dalla Chiesa e dall’umanità in tutte le
parti del mondo, senza avere preferenze per chi può apparire più importante o
meno importante. C’è una completezza anche nelle risposte del Papa. Il Papa era
stato in Slovacchia un’altra volta, però aveva ricevuto un nuovo un invito per
fermarsi in altre diocesi che non aveva visitato. E bisogna pensare che la
Slovacchia è un Paese, sì piccolo, ma particolarmente vicino al cuore del Papa.
E’ un Paese che gli è vicino culturalmente e linguisticamente. Credo non ci sia
una lingua più simile al polacco dello slovacco. Ed è un Paese che ha sofferto
molto: la Chiesa è stata perseguitata per decenni, in Slovacchia. La diocesi di
Cracovia confina con questo Paese ed il Papa è stato, da vescovo, vicinissimo
alla sofferenza di questa Chiesa, l’ha sostenuta moralmente ed anche
concretamente. Quindi, c’è una grande solidarietà. Io avevo avuto già
l’impressione nello scorso viaggio in Slovacchia, già molto bello, che il Papa
si sentisse a casa in questo Paese forse più che in ogni altra nazione, tranne
la Polonia. C’erano dei motivi importanti per ritornare in Slovacchia: il fatto
di sostenere una Chiesa che si trova ora nel passaggio tra il tempo della
persecuzione e le possibilità di ricostruzione, e le nuove sfide, date dalla condizione
attuale di libertà, che però non è affatto priva di nuovi problemi.
Incoraggiare la Chiesa in questo passaggio, non solo per la Slovacchia, ma
anche per tutti gli altri Paesi che si trovano in situazioni analoghe nel
centro-est dell’Europa, è un compito che il Papa ha molto presente. E poi il
ricordo, la memoria viva dei martiri, come messaggio importante, non solo in
Slovacchia ma in tutta la Chiesa, è un tema fondamentale di questo Pontificato.
Lo abbiamo visto in occasione del Giubileo. La beatificazione di questi due
martiri si inserisce in questo filone. E ciò senza perdere la memoria di quello
che il secolo scorso ha rappresentato come persecuzione della Chiesa, ma anche
come bellezza di testimonianza da parte di essa: proprio perché questa testimonianza
rimanga un seme vivo e fecondo di fronte alle sfide del futuro.
D. – Vogliamo offrire ai nostri ascoltatori una sintesi
del messaggio, della parola che il Papa ha rivolto non solo al popolo slovacco,
ai popoli dell’Europa orientale, ma all’Europa intera?
R. – Io credo che questo viaggio si sia caratterizzato per
un messaggio che è stato non tanto di parole quanto di esempio. Lo abbiamo
visto, lo abbiamo sentito, i discorsi sono stati più brevi ed il Papa ne ha
pronunciato delle parti, non li ha pronunciati completamente. Quindi, non è
tanto il contenuto articolato dei discorsi, credo, a rappresentare il messaggio
di questo viaggio, quanto la presenza stessa del Papa, la sua testimonianza di
impegno fino alla fine, con tutte le sue forze, per il servizio della Chiesa.
Questo, gli slovacchi lo hanno compreso benissimo e l’importante era che lo
capissero loro, perché il Papa andava per loro. Gli slovacchi sono anche un
popolo abituato a soffrire per i problemi dei decenni passati, ma anche un poco
per la loro storia. Mi dicevano delle persone, che conoscono bene la
sensibilità dell’animo slovacco, che i valori del sacrificio, dell’impegno,
della fatica nel compiere il proprio dovere, del lavoro, del saper soffrire per
i propri ideali, sono qualcosa che il loro popolo comprende bene e
profondamente. Certamente, gli slovacchi hanno visto nella persona del Papa una
grande testimonianza di tutto ciò. E’ il senso della fedeltà, quindi: il tema
del viaggio era “fedeltà a Dio, fedeltà alla Chiesa”. Ecco: fedeltà a Dio,
fedeltà alla Chiesa con tutte le proprie forze, fino in fondo, è stato il
messaggio dato dal Papa con la sua presenza, con il suo comportamento, ancor
più che con le sue parole.
D. – Più il Papa è debilitato fisicamente, ed anche nella
voce – lo abbiamo visto – e più le folle si stringono attorno a lui. Ma cosa
cerca la gente in questo Papa, di cosa ha bisogno?
R. – Ha bisogno di conforto nella fede. Il compito del
ministero di Pietro è proprio quello di confermare i suoi fratelli nella fede.
La gente cerca questo. Se vede il successore di Pietro che viene in mezzo a
loro, se lo invita, se lo chiama, è per sentire la roccia su cui appoggiare la
propria testimonianza cristiana. Forse, paradossalmente, proprio man mano che
le forze fisiche umane diminuiscono risalta ancora di più la solidità della
fede come centro, come motivo, come essenza del servizio del Santo Padre.
Questo la gente, soprattutto la gente semplice, lo capisce benissimo.
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DI FRONTE AL FALLIMENTO DELLA CONFERENZA DI
CANCUN, ASSUME PARTICOLARE RILIEVO L’APPELLO DEL DELEGATO DELLA SANTA
SEDE PER UN COMMERCIO CHE RISPETTI LA
DIGNITA’ DI TUTTI I POPOLI DELLA FAMIGLIA UMANA
- Servizio di Fausta Speranza -
Al di là della delusione per il fallimento, a Cancun in
Messico, della quinta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio (World Trade Organization), determinato da un gruppo di Paesi poveri,
rimangono quanto mai validi i principi richiamati nel suo intervento dal
delegato della Santa Sede. Nella terza delle cinque giornate di colloqui,
conclusesi ieri, il prelato statunitense, mons. Frank J. Dewane,
sottosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha ribadito che i
temi dell’economia hanno “natura politica e sociale con profonde e durevoli
conseguenze nella vita dell’umanità”.
Il servizio di Fausta Speranza.
“Ogni persona e ogni popolo è investito della straordinaria dignità di ogni essere umano,
perciò nessuno può essere ridotto a vivere senza i benefici del
commercio”. Questo il messaggio
lasciato da mons. Dewane a tutti i partecipanti all’incontro di Cancun. Difficile individuare ora tutte le
conseguenze del fallito accordo, ma
resta valida e urgente più che mai la raccomandazione di Giovanni Paolo
II, ricordata dal delegato della Santa Sede: “rimanere fedeli alle promesse
fatte ai Paesi poveri nel precedente incontro di Doha”. Promesse che “devono
essere considerate più vincolanti” perché fatte a quanti le considerano
‘vitali”.
Il delegato della Santa Sede a Cancun ha invitato a
pensare che “il commercio deve portare beneficio ai popoli e non solo ai
mercati e alle singole economie”. E qui è significativo il chiarimento: non
basta perseguire il giusto equilibrio all’interno di una ristretta economia, ma
qualsiasi sistema di regole per “essere
giusto deve essere conforme alle esigenze della giustizia sociale e dello
sviluppo dell’umanità”. Gli interessi dell’essere umano, dunque, devono andare
al di là della mera logica di mercato. E non mancano gli esempi concreti:
ricordando “il cruciale e importante accordo” raggiunto a Doha su brevetti
intellettuali e sanità, il delegato
della Santa Sede ha ribadito che la proprietà privata, compresa quella di
ambito intellettuale, va rispettata, aggiungendo, però, che “ogni proprietà ha
un’ipoteca sociale”. Dunque, proprio la difesa, comprensibile e giusta,
dell’impegno creativo e innovativo, non può non essere anche “tutela del bene
comune della famiglia umana”.
Dopo il fallimento dei colloqui a Cancun, assume un
rilievo in più la raccomandazione del delegato della Santa Sede sulla necessità
di “un ulteriore slancio” per quanto riguarda i punti in discussione in tema di
agricoltura. La complicata questione della riduzione delle tariffe – ha
ricordato mons. Dewane - deve tener presente la dipendenza degli agricoltori
poveri dai prodotti della terra. E anche per questo punto, come per gli altri
del discorso di mons. Dewane, c’è da augurarsi che sopravviva e non si perda
nel bilancio fallimentare decretato in Messico. La Santa Sede auspicava “un
meccanismo bilanciato di produzione e vendita per permettere una maggiore
produttività accompagnata dalla crescita dell’occupazione nelle aree rurali”.
Un vero e proprio meccanismo di salvaguardia, anche con interventi temporanei,
per sostenere i piccoli agricoltori la cui sopravvivenza è minacciata da altri
meccanismi di scambio.
Le stesse logiche poi, di bene comune, dovrebbero essere
estese al commercio dei servizi, con una puntualizzazione precisa: settori come
quelli di acqua, scuola, salute, tradizionalmente gestiti dallo Stato, possono
coinvolgere privati ma in base ad “un chiaro schema legislativo con l’obiettivo
di servire il pubblico interesse”.
C’è poi il campo dei prodotti non agricoli, come tessile e
vestiario. Da qui la discussione molto tecnica su picchi tariffari, crescita
delle tariffe o barriere non
tariffarie. Questioni tecniche, tra cui lo spinoso nodo dei sussidi che si era
annunciato come il più difficile da sciogliere, mentre altri a sorpresa hanno
mandato a monte l’incontro a Cancun. Resta la parola di mons. Dewane che ha
ricordato che si discute “in particolare per i prodotti per i quali i Paesi
poveri potrebbero essere competitivi”. Torna la raccomandazione per “una
doverosa considerazione delle economie più deboli”. L’appello a non dimenticare
i bisogni dei Paesi africani non meraviglia nel contesto della “famiglia di
nazioni” auspicata.
Ma per capire perché viene dichiarata fallita la quinta
Conferenza ministeriale del Wto, ascoltiamo il servizio di Elena Molinari che ha
seguito i dibattiti a Cancun.
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Il fallimento è arrivato ancora di più a sorpresa, perché
è avvenuto non sui temi roventi dei sussidi dei Paesi ricchi all’agricoltura,
ma sui cosiddetti temi di Singapore, dall’addio soprattutto alle regole per gli
investimenti nei Paesi stranieri. A dire un ‘no’ fermo persino all’inserimento
del capitolo finanziario nel documento finale è stato un piccolo gruppo di
Paesi africani fra i più poveri, guidati dal Botswana, e di fronte al loro muro
la presidenza messicana, secondo qualcuno affrettatamente, ha dichiarato chiuso
il negoziato. Dice però che gli Stati Uniti non abbiano fatto molto per salvare
il salvabile. Gli Usa, infatti, hanno già dichiarato di avere in programma di
continuare gli accordi di liberalizzazione del commercio in modo bilaterale da
Washington e senza bisogno del Wto.
Lo
scontro sull’agricoltura, però, non è stato del tutto estraneo al fallimento.
All’interno del blocco del “no” ci sono infatti molti dei Paesi che avevano
chiesto l’abolizione degli aiuti ai produttori di cotone americani ed europei,
aiuti che hanno fatto crollare il prezzo della materia prima a livello
mondiale. E nonostante non abbiano di fatto guadagnato nulla a Cancun, alcuni
Paesi in via di sviluppo hanno festeggiato il fallimento. Per la prima volta –
hanno detto – hanno conquistato un ruolo al tavolo della globalizzazione, una
magra consolazione, ma a loro dire è
sempre meglio di un cattivo accordo.
Da Cancun, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.
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RINUNCIA E NOMINA A MANILA
Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi
di Manila, nelle Filippine, presentata dal cardinale Jaime L. Sin, per
raggiunti limiti di età. Il porporato ha infatti compiuto 75 anni lo scorso 31
agosto. Il Santo Padre ha quindi nominato arcivescovo di Manila il presule
mons. Gaudencio B. Rosales, di 71 anni, finora arcivescovo di Lipa.
In
Spagna, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della
diocesi di Calahorra y La Calzada-Logroño, presentata dal vescovo mons. Ramòn
Bùa Otero, in conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o altra
grave causa”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Il
titolo della prima pagina è "Il commosso abbraccio di un popolo
all'impavido contemplativo itinerante", seguito dall'esortazione
"Popolo slovacco, non ti vergognare mai del Vangelo". Giovanni Paolo
II ha concluso il pellegrinaggio in Slovacchia, lasciando il dono di due nuovi
Beati, eroici martiri dalla fede incrollabile, esempi di fedeltà in tempi di
dura e spietata persecuzione religiosa.
Nelle
vaticane, il dettagliato resoconto dei diversi momenti del viaggio. Gli
articoli dell'inviato Giampaolo Mattei. La Lettera indirizzata dall'arcivescovo
Renato Raffaele Martino a mons. Joseph Branson, presidente della Commissione
internazionale della Pastorale cattolica delle Prigioni. Una pagina dedicata
alla testimonianza di Serafino da Montegranaro, uno dei primi santi dell'Ordine
dei Frati Minori Cappuccini.
Nelle
estere, intervento della Santa Sede alla V Conferenza Ministeriale
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio: "Le regole commerciali devono
conformarsi alle esigenze della giustizia sociale e promuovere lo sviluppo
umano". Corea del Sud: centinaia tra morti, dispersi e feriti, nonché
ingenti danni materiali a causa del tifone "Maemi"; il telegramma di
cordoglio del Papa. Medio Oriente: Israele ipotizza anche l'uccisione di
Arafat.
Nella
pagina culturale, un contributo di Franco Lanza su una raccolta di saggi Marco
Testi.
Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della
finanziaria. Un articolo di Gaetano Vallini sulle conclusioni dell'Assemblea
nazionale straordinaria dell'Azione Cattolica; approvato lo Statuto, "atto
di amore alla Chiesa".
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15 settembre 2003
DIECI
ANNI FA DON PINO PUGLISI VENIVA UCCISO DALLA MAFIA
-
Intervista con il suo successore come parroco di Brancaccio, don Mario Golesano
-
10 anni
fa, il 15 settembre del 1993, un killer della mafia uccideva a Palermo don Giuseppe
Puglisi, parroco nel difficile quartiere di Brancaccio. Un sacerdote impegnato
a educare i giovani al rispetto della persona e della legalità in un periodo in
cui era viva la politica stragista di Cosa Nostra. Per il riconoscimento del
suo martirio è in corso il processo di beatificazione che ha concluso la sua
fase diocesana. Varie le celebrazioni per ricordare don Pino: ieri sera una
fiaccolata silenziosa per le strade di Brancaccio, oggi alle 18,00 una Messa
solenne presieduta in cattedrale dal
cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo. Ma chi era don Giuseppe
Puglisi? Sergio Centofanti lo ha chiesto a don Mario Golesano, suo successore
come parroco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio.
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R. – La
cosa che mi sconvolge, in senso positivo, è che don Puglisi era un prete e
basta; un uomo che stava davanti al Signore a pregare, un uomo che credeva
fortissimamente nell’Eucaristia, un uomo che aveva vivissimo il senso
dell’appartenenza alla Chiesa; e aveva trasformato questa ricchezza in una
ricerca di nuove forme di solidarietà. Quindi, padre Puglisi è stato un bellissimo
prete, con quella semplicità, con quell’umiltà, con quella povertà, che l’ha
distinto mentre era con noi.
D. – Perché è stato ucciso don Pino?
R. – Io penso che il motivo vero, ultimo, della condanna a
morte da parte della mafia di Pino Puglisi, sia stato nella lettura negativa
che ha fatto la mafia di quella che era l’attività di Puglisi: questo suo stare
dalla parte dei poveri, la sua difesa
dei diritti dei poveri. Lui ha creato a Brancaccio un movimento e di persone e
di pensiero, che la mafia non poteva assolutamente accettare, perché la mafia
non vuole che si modifichi lo stato di vita negli ambienti dove è presente.
Parliamoci chiaro, i mafiosi attingono a piene mani nelle famiglie della povera
gente. Perché laddove non c’è lavoro, non c’è speranza di vita, non c’è futuro,
questi si presentano ai poveri come dei messia, come dei salvatori.
D. – Brancaccio 10 anni dopo, com’è la situazione?
R. – Per nostra fortuna a Brancaccio esiste un terzo delle
famiglie che attorno al centro, alla parrocchia, alle associazioni vivono e
sono presenti nel quartiere. C’è un altro terzo di indifferenti che non si è
buttato da nessuna parte. E poi c’è un altro terzo che è costituito da famiglie
più o meno collegate tra di loro, che hanno altri criteri, altre visioni di
vita. Ma questo zoccolo positivo che si sta formando a Brancaccio è una delle
ragioni di speranza per me. Sì, il Signore ha toccato il cuore di tante persone
a Brancaccio. C’è tanta gente che sta uscendo dall’anonimato.
D. – Vi sentite soli?
R. – Le periferie sono state sempre sole, da tutti i punti
di vista.
D. – L’assassino di don Puglisi collabora con la
giustizia: ma oggi che persona è?
R. – E’ una persona che si è messa in cammino, anche lei;
e sta pagando a caro prezzo questo cammino di conversione che dice di voler
fare nel nome di Pino Puglisi.
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15 settembre 2003
PER
RILANCIARE L’IMPEGNO MISSIONARIO DELLA CHIESA SPAGNOLA,
SI APRIRA’ IL 18 SETTEMBRE A BURGOS, IL ‘CONGRESSO NAZIONALE
DELLE
MISSIONI’ . SONO TUTTORA 20.000 I MISSIONARI,
SACERDOTI,
RELIGIOSI E LAICI DI NAZIONALITA’ SPAGNOLA,
IN
AMERICA LATINA, ASIA, AFRICA E OCEANIA
BURGOS
(SPAGNA). = “È l’ora della missione”, il titolo dell’atteso “Congresso nazionale
delle missioni”, che si aprirà il 18 settembre a Burgos, Spagna, organizzato
dalla Commissione episcopale competente. L’incontro, molto importante per la penisola iberica, si rivolge a tutti
gli operatori del settore missionario: sacerdoti, laici, religiosi e quanti
collaborano con le delegazioni diocesane del settore. Il Congresso
proporrà ai partecipanti una
riflessione pastorale e teologica sullo status attuale della missionarietà in
Spagna. Questo incontro vuole rilanciare la pastorale vocazionale missionaria,
far conoscere alla società l’apporto
che i missionari continuano a dare alle popolazioni del Sud del mondo.
Infatti in America Latina, Asia, Africa
e Oceania sono presenti circa 20 mila missionari - sacerdoti, religiosi e laici
di nazionalità spagnola – che prestano il loro servizio a favore dei poveri. Al
convegno parteciperanno anche mons. Carlos Amigo Vallejo, arcivescovo di
Siviglia e presidente della Commissione episcopale organizzatrice dell’evento e
mons. Robert Sarah, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei
popoli. Concluderà i lavori, il 21 settembre, una celebrazione presieduta dal cardinale arcivescovo di
Madrid, Antonio Maria Rouco Varela. (M.R.)
CON IL
PROGETTO ‘EPIDEMIO’ L’AGENZIA SPAZIALE EUROPEA UTILIZZA I SATELLITI
PER
MONITORARE I FOCOLAI DI EBOLA E MALARIA, VIRUS LETALI
PER MIGLIAIA DI PERSONE SPECIALMENTE NEI PAESI
IN VIA DI SVILUPPO
ROMA. = Si chiama “Epidemio” il nuovo progetto
dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a favore della lotta contro i focolai
epidemici dell’ebola e della malaria. La febbre emorragica ebola miete molte
vittime ogni anno, soprattutto nell’Africa centrale. Fin’ora non si conosce
l’organismo ospite del virus che vive nella giungla. Per questo, dall’anno
prossimo, verranno elaborate delle mappe dettagliate sulla vegetazione del
Gabon e del Congo con immagini satellitari per identificare le caratteristiche
ambientali in cui si annida il virus. Lo scopo dell’Esa è quello di
identificare delle specifiche caratteristiche ambientali dell’ambiente in cui
si sviluppa il virus e confrontarle con i dati delle zone colpite dalla febbre.
L’uso di questi satelliti servirà anche per combattere la malaria, altro virus
capace di mietere fino a 1,5 milioni di vittime l’anno, in tutto il mondo.
L’alto tasso di umidità, le precipitazioni abbondanti sono spesso indice della
presenza di un focolaio di malaria, in quanto habitat favorevoli ad una schiusa
delle uova e, di conseguenza, ad un aumento delle zanzare. La mappatura
satellitare consentirà la previsione delle epidemie di malaria con
l’istallazione di tutte le principali misure di tutela per evitare il
propagarsi dell’insetto. Tutte le immagini saranno messe a disposizione del
programma Public health mapping, la mappatura della salute pubblica
predisposta dall’Organizzazione mondiale della sanità. (M.R.)
SENSIBILIZZARE
I GOVERNI DEL MONDO SUL POTERE DISTRUTTIVO
DELLA
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DELLA DROGA, COORDINARE PROGETTI
PER LA
PREVENZIONE DELL’USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI: QUESTI GLI OBIETTIVI DELLA
QUINTA CONFERENZA MONDIALE SULLA PREVENZIONE DALL’USO DI DROGHE
CHE SI
APRIRA’ IL 22 SETTEMBRE A POMEZIA, VICINO ROMA
POMEZIA
(ROMA). = “Contro la droga, due ali per volare alto”: con questo slogan si
aprirà la quinta conferenza mondiale sulla prevenzione all’uso di droghe, promossa
dal Global Drug Prevention Network e organizzata dall’associazione “Casa
Rosetta”. Lo scopo di questo incontro è sottolineare l’importanza di un
approccio globale al problema, che coinvolga anche i principi etici, morali e
spirituali, la base dei programmi di prevenzione contro questo fenomeno
dilagante. Si prenderanno in esame gli ostacoli e le soluzioni per diminuire
effettivamente la domanda di queste sostanze, inclusa la legalizzazione delle
pratiche che ne rendono possibile il commercio. Riaffermare la superiorità
dell’amore, preparare dei percorsi educativi alla prevenzione per far decollare
la nostra società dal punto di vista sociale, politico, culturale e
spirituale. Questo è un altro degli
obiettivi che questa conferenza si pone, insieme a quello di convincere le
Nazioni del mondo a mettere in pratica le Convenzioni delle Nazioni Unite sulle
droghe illegali. Alla conferenza, che si concluderà il 26 settembre,
parteciperà anche Mons. Javier Lozano Barragàn, Presidente del Pontificio
Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari che interverrà sui “Dati
dell’ufficio per il controllo della droga e le azioni criminali delle Nazioni
Unite e la posizione della Santa Sede sulla droga”. Interverranno alla
cerimonia di apertura il presidente dell’Associazione “Casa di Rosetta”, don
Vincenzo Sorce, l’on. Pierferdinando Casini e l’ambasciatore degli Stati Uniti
in Italia Mel Sembler. (M.R.)
UNA LINEA DI VOLI CHARTER DA OGGI
TORNA A COLLEGARE LA COREA DEL NORD
E DEL SUD. E’ LA PRIMA VOLTA DALLA
GUERRA INTERCOREANA CONCLUSASI NEL 1953. L’ACCESSO AI VOLI E’ APERTO SOLO AI
CITTADINI DELLA COREA DEL NORD,
MENTRE E’ IMPEDITO AGLI ABITANTI DELLA
COREA DEL SUD.
IL BIGLIETTO DELL’AEREO AMMONTA A
QUASI 2 MILA DOLLARI
SEUL. = Per la prima volta dalla guerra intercoreana del 1950-53,
una linea di voli charter torna a collegare la Corea del Nord e del Sud. Questa
mattina un velivolo della compagnia nordcoreana Koryo Airline, partito da Pyongyang con a bordo 114 turisti, è
atterrato all’aeroporto internazionale di Seul (Corea del Sud), per ripartire poi alla volta della capitale
nordcoreana. Questa linea consentirà ai sudcoreani di visitare il Nord, mentre
i voli non sono consentiti ai cittadini della Corea del Sud. Il biglietto dell’aereo – come informa la Misna – ha un costo di
quasi duemila dollari. Gli aerei che collegheranno le due Coree voleranno sul
Mar Giallo, evitando così di sorvolare la frontiera terrestre tra i due
Stati, essendo una zona fortemente militarizzata. Fatta eccezione per le visite ufficiali dei capi
di Stato dei due Paesi, i collegamenti aerei tra le due Coree si erano
interrotte con lo scoppio del conflitto inter-coreano al termine del quale non
è mai stato firmato un trattato ufficiale di pace, per cui sono tuttora
formalmente ancora in guerra. (C.C.)
UNO
DEI TIFONI PIÙ VIOLENTI DELLA STORIA DEL PAESE
SI È
ABBATTUTTO NEI GIORNI SCORSI SULLA COREA DEL SUD PROVOCANDO
VITTIME
E DANNI MATERIALI PER MOLTI MILIONI DI DOLLARI
SEUL. = Il tifone ‘Maemi’ ha attraversato le regioni
meridionali della Corea del Sud, causando finora 91 morti e 26 feriti. Il
tifone, il più violento dal 1904, quando questi fenomeni iniziavano ad essere
rilevati scientificamente, ha trascinato dietro di sé costruzioni di ogni
genere con piogge torrenziali e raffiche di vento che arrivano fino a 216
chilometri orari. Dai primi accertamenti si calcola che i danni dovrebbero
aggirarsi intorno ai 700 milioni di dollari. L’area più colpita è stata la
provincia di Kyeongasang Sud, dove almeno 15 persone sono annegate e molte
strade risultano ancora impraticabili. Nel porto di Ulsan una piattaforma
petrolifera in fase di allestimento è stata spazzata contro i cantieri navali
‘Hyundai Mipo’. Il vento ha travolto il porto di Busan, rovesciando sette gru
da mille tonnellate ciascuna, mentre nella provincia di Chungchong il tifone ha
provocato il deragliamento di un treno causando il ferimento di 28 persone.
Attualmente ‘Maemi’ si sta dirigendo verso il Mare Cinese orientale. La
settimana scorsa il tifone si era già abbattuto sulla piccola isola di
Miyakoshima, a sud ovest nell’arcipelago del Giappone, causando il ferimento di
63 persone senza, però, provocare vittime. (M.R.)
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15 settembre 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Un tragico episodio di violenza ha sconvolto, questa
mattina, l’Inguscezia, la Repubblica caucasica confinante con la Cecenia. Un
camion bomba è stato lanciato, nel pieno centro della città di Magas, contro
l’ufficio dei servizi segreti russi (Fsb), a poca distanza dal palazzo
presidenziale. La deflagrazione, ha provocato secondo un bilancio non ancora
definitivo, almeno 5 morti ed oltre 20 feriti.
Nel referendum sull’adesione della Svezia alla moneta
unica europea, gli elettori scandinavi hanno detto “no” all’euro. Questo
risultato dimostra, secondo il premier Goran Person, come il
popolo svedese sia “profondamente scettico verso il progetto europeo”. Lo
sgomento per la morte del ministro degli Esteri Anna Lind, accoltellata
mercoledì scorso da uno sconosciuto, ha determinato una grande
affluenza alle urne ma non ha intaccato la titubanza
degli svedesi verso il passaggio all’euro, comunque
gia fissato per il 2013. Per gli euroscettici l’abbandono della moneta nazionale porterebbe ad un generalizzato aumento dei
prezzi, ad una diminuzione delle spese sociali ed alla perdita di
controllo sulle scelte monetarie. Sull’esito del referendum ci riferisce, da
Stoccolma, Vincenzo Lanza:
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I risultati del referendum svedese rappresentano un vero
collasso per la coalizione favorevole ad “Eurolandia”. Mentre un anno fa il 75
per cento di tutti i parlamentari, da destra a sinistra, si dichiaravano
favorevoli all’euro, l’elettorato svedese mette in luce con il voto
referendario di non condividere l’opinione dei propri rappresentanti con un
chiarissimo 56 per cento di ‘no’, solo un 42 per cento di ‘sì’ e il 2 per cento
di schede bianche. Viene così bocciata l’intenzione di aderire alla moneta
unica europea, almeno fino al 2013. Person ed i suoi alleati, liberali e
conservatori, non sono stati sufficientemente chiari nello spiegare quali
potessero risultare gli eventuali vantaggi concreti, creando confusione e
timore nelle due fasce di elettori che maggiormente hanno contribuito a
respingere l’adesione svedese all’euro: i giovani e le donne.
Per la Radio Vaticana, da Stoccolma, Vincenzo Lanza.
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Nonostante la preoccupazione, i
commenti al “no” della Svezia non sono troppo pessimisti. “Siamo fiduciosi che
il governo di Stoccolma sceglierà la strada che porterà a realizzare il
progetto dell’euro”, ha detto il commissario europeo per gli Affari economici e
monetari, Pedro Solbes. Più duro il presidente della Commissione, Romano Prodi,
secondo il quale la Svezia perderà di influenza nell’Unione dopo la vittoria
del “no”.
Ieri in Estonia, nell’altro
referendum di adesione all’Unione Europea si è invece registrata una
schiacciante vittoria del “si”: il 67 per cento degli elettori ha infatti
votato per il passaggio dalla moneta nazionale all’euro. Grande soddisfazione è
stata espressa dal governo del Paese Baltico, tra i primi a riconquistare la
propria indipendenza dopo la caduta dell’Unione Sovietica. In un comunicato la
Commissione europea ha inoltre rimarcato come il risultato del referendum “abbia
chiaramente sancito il ritorno dell’Estonia nel suo legittimo posto in Europa”.
Non accenna a diminuire la tensione in Medio Oriente. Un
ragazzo palestinese di 12 anni è morto vicino a Gerusalemme, mentre altri dieci
adolescenti sono stati feriti a Gaza. Intanto nella comunità internazionale
cresce la critica nei confronti di Israele dopo che il vice primo ministro
Olmert ha detto che lo Stato ebraico non esclude l’opzione di uccidere il
presidente palestinese, Yasser Arafat. Sull’immediata risposta degli Stati
Uniti ci riferisce Graziano Motta:
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Powell ha motivato la sua contrarietà, sostenendo che
qualsiasi iniziativa israeliana scatenerebbe reazioni nel mondo arabo, islamico
e in molti Paesi. In effetti, la Lega araba si riunirà domani a Il Cairo per
esaminare i pericoli che incombono su Arafat, a cui intanto il segretario
generale dell’organizzazione ha manifestato piena solidarietà. E tuttavia la
situazione resta bloccata. Da un canto il primo ministro, Abu Ala, ha sospeso
la presentazione del suo governo davanti al Consiglio legislativo palestinese,
in attesa di ottenere delle garanzie sulla sorte di Arafat. Dall’altro, il ministro
degli Esteri israeliano, Mofaz, ha chiesto alla comunità internazionale
indicazioni su come eliminare l’ostacolo rappresentato da Arafat al processo di
pace.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Spostiamoci in Iraq, dove anche oggi non si è interrotta
la drammatica scia di violenze contro le truppe americane. Un soldato
statunitense è rimasto ucciso questa mattina, a Baghdad, in seguito ad un
attacco perpetrato dalla resistenza irachena. Siria ed Iraq hanno intanto
raggiunto un importante accordo per
riattivare il servizio ferroviario tra i due Paesi entro la fine del mese.
Un golpe in guanti bianchi. Così gli osservatori
internazionali hanno definito il colpo di Stato in Guinea Bissau, dove ieri
l’esercito ha rovesciato il governo del presidente Kumba Yala. Dura la condanna
del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Ma nel Paese, per fortuna, non si
sono verificate violenze. Il servizio di
Giulio Albanese:
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La giunta militare, che ha deposto ieri a sorpresa il
governo di Bissau, sembrerebbe aperta al dialogo. E il primo segnale di
distinzione è arrivato nel pomeriggio di ieri, quando il comitato militare per
il ristabilimento dell’ordine costituzionale e democratico - così si chiama la
giunta militare – ha fatto sapere che il presidente deposto potrà liberamente
decidere se andare all’estero o rimanere in patria. Lo ha dichiarato il neo
presidente ad interim, Verissimo Seabra Correia. Intanto fonti ben informate a
Bissau riferiscono che il comitato militare sta tentando in queste ore di
rassicurare la comunità internazionale, in particolare l’Unione Europea e
l’Unione Africana, per evitare che vengano imposte sanzioni ad un Paese sul
bilico della bancarotta. Lo stesso presidente mozambicano, Joaquim
Chissano, presidente
di turno dell’Unione Africana, ha dichiarato che la soluzione non passa necessariamente
per il ritorno al potere del deposto capo di Stato.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Si è votato ieri a Buenos Aires
per la scelta del nuovo sindaco della capitale argentina. Nel secondo turno di
ballottaggio, gli elettori hanno riconfermato il primo cittadino uscente,
Anibal Ibarra, candidato di Centrosinistra appoggiato dal presidente Néstor Kirchner.
Sconfitto il candidato del Centrodestra, Mauricio Macrí, sostenuto dai maggiori
imprenditori del Paese. Ce ne parla Maurizio Salvi:
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L’incertezza per conoscere il vincitore del ballottaggio è
durata veramente poco, perché è stato lo stesso imprenditore di centro destra,
Macri, a dichiarare che “tutti i campioni di voto a nostra disposizione mostrano
che, come tre settimane fa avevo nettamente vinto, oggi altrettanto nettamente
ho perso”. Dopo aver ascoltato con attenzione l’invito ad un dibattito leale
nel Parlamento della capitale formulatogli da Macri, il riconfermato Ibarra si
è mostrato ai giornalisti raggiante per il chiaro risultato ottenuto. “Con
questo voto - ha detto, non nascondendo una certa emozione – si consolida un
orizzonte politico comune per la città di Buenos Aires, ma anche per l’Argentina
intera”. Queste parole avevano un senso molto preciso, perchè attimi prima il
presidente della Repubblica, Nestor Kirchner, che lo aveva decisamente
appoggiato in campagna elettorale, gli aveva telefonato per felicitarsi di
persona per la vittoria.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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In Colombia otto turisti stranieri
sono stati sequestrati ad opera, probabilmente, di guerriglieri delle Forze
armate rivoluzionarie colombiane (Farc). I sequestrati, secondo fonti locali,
sarebbero quattro israeliani, due britannici, uno spagnolo ed un tedesco.
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