RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 258 - Testo della Trasmissione lunedì 15 settembre 2003

 

Sommario                                                          

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

 

Con un saluto ai giovani, “speranza del Papa”, si è conclusa ieri sera la visita di Giovanni Paolo II in Slovacchia. Un bilancio dell’evento, con il cardinale Christoph Schoenborn a padre Federico Lombardi

 

 Nominato dal Papa il nuovo arcivescovo di Manila, in seguito alla rinuncia del cardinale Jaime Sin.

Nonostante il fallimento del vertice di Cancun, resta valido l’appello della Santa Sede per un commercio che rispetti la dignità di tutti i popoli della famiglia umana.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 

Dieci anni fa, il parroco di Brancaccio don Pino Puglisi veniva ucciso dalla mafia a Palermo. Con noi, il suo successore, don Mario Golesano.

 

CHIESA E SOCIETA’:

 

Si chiama “Epidemio” il nuovo progetto dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a favore della lotta contro i focolai epidemici dell’ebola e della malaria

 

Si aprirà il 22 settembre a Pomezia, vicino a Roma, la quinta Conferenza mondiale sulla prevenzione dall’uso di droghe

 

Per rilanciare l’impegno missionario della Chiesa spagnola, si aprirà il 18 settembre a Burgos, il ‘Congresso nazionale delle missioni’

 

Per la prima volta dalla guerra intercoreana del 1950-53, una linea di voli charter torna a collegare la Corea del Nord e del Sud.

 

Il tifone ‘Maemi’ ha attraversato le regioni meridionali della Corea del Sud, causando finora 91 morti e 26 feriti.

 

24 ORE NEL MONDO:

Negli euro-referendum di ieri due esiti opposti: mentre la Svezia ha detto no alla moneta unica, l’Estonia ha aderito all’Unione Europea

 

 Gli Stati Uniti condannano le dichiarazioni israeliane nelle quali viene ritenuta un’opzione possibile l’uccisione di Arafat

 

In Guinea Bissau il colpo di Stato dei militari è avvenuto senza spargimento di sangue.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

15 settembre  2003

 

 

I GIOVANI SLOSVACCHI, “SPERANZA DEL PAPA”.

CON QUESTO SALUTO, GIOVANNI PAOLO II SI E’ CONGEDATO DAL PAESE EUROPEO

ED HA FATTO RITORNO IERI A CASTEL GANDOLFO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

 

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“Rendo grazie a Dio perché hai saputo conservare, anche in momenti difficili, la tua fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. E ti esorto: non ti vergognare mai del Vangelo! Custodiscilo nel tuo cuore come il tesoro più prezioso dal quale attingere luce e forza nel pellegrinaggio quotidiano della vita”. Nel cuore degli slovacchi echeggia ancora l’esortazione di Giovanni Paolo II, risuonata ieri mattina a Bratislava, durante la cerimonia di beatificazione del vescovo Vasil’ Hopko e di suor Zdenka Schelingová. Al Papa che ieri pomeriggio, poco dopo le 18.20, ha concluso il suo 102.mo viaggio apostolico, il terzo in Slovacchia, per fare ritorno in serata a Castel Gandolfo, i fedeli del Paese est europeo hanno tributato un affettuoso saluto, radunandosi in massa all’aeroporto. E il Pontefice, ancora una volta - elevando agli altari i due martiri del Paese – non ha cessato di confermare e di sospingere la Chiesa slovacca, a partire dalle nuove generazioni, verso quel rinnovamento auspicato dai suoi vescovi, nel quadro di un’Europa comunitaria che marcia verso l’unificazione con il proprio scacchiere orientale. Da Bratislava, la nostra inviata, Giada Aquilino:

 

 “Siete la speranza del Papa!”. Si è conclusa con una rassicurazione ai giovani la terza visita di Giovanni Paolo II in Slovacchia. Dopo la cerimonia di beatificazione del vescovo greco cattolico Vasil’ Hopko e di suor Zdenka Cecilia Schelingova - ieri alla periferia di Bratislava - e la cerimonia di congedo all’aeroporto della capitale slovacca, alla presenza del capo di Stato Rudolf Schuster e delle autorità politiche, civili e religiose del Paese, Giovanni Paolo II ha consegnato ancora una volta il proprio messaggio di fede al Paese dell’Europa centro orientale.

 

Alla Slovacchia, che a maggio entrerà ufficialmente nell’Unione europea, il Papa – giungendo giovedì scorso all’aeroporto di Bratislava – aveva raccomandato di portare “il contributo della ricca tradizione cristiana” nella costruzione della nuova Europa, sollecitando gli slovacchi a non accontentarsi “unicamente della ricerca di vantaggi economici, perché una grande ricchezza può creare anche una grande povertà”. A Roznava, nella Slovacchia orientale, Giovanni Paolo II sabato scorso aveva ribadito il concetto, auspicando che i fedeli contribuiscano con lo stile della loro “vita cristiana all’evangelizzazione del mondo contemporaneo e alla costruzione di una società più giusta e fraterna”. Non a caso, l’arcivescovo di Bratislava-Trnava, mons. Sokol, ieri a Petrzalka ha spiegato che – dopo gli anni duri del regime comunista, in cui non c’erano né chiese né centri pastorali – oggi in Slovacchia “il cuore della gente sembra essere travolto da troppe suggestioni”, frutto di una globalizzazione sbagliata e del consumismo più sfrenato.

 

A Giovanni Paolo II, gli slovacchi hanno chiesto allora in questi giorni una conferma nella fede, per trovare nel Vangelo la giusta direzione della vita e dei valori veri. Lo hanno dimostrato proprio a Petrzalka, quando in 250mila si sono ritrovati festanti nel quartiere popolare alla periferia di Bratislava, costruito negli anni ’60-’70 sotto il regime comunista: tra pochi mesi, forse già a Natale, quell’agglomerato di case e palazzoni - nel tempo conosciuto come un “quertiere senza Dio” - avrà la terza Chiesa, una costruzione circolare in via di completamento, accanto a cui è stato eretto in questi giorni il palco papale, per la beatificazione del vescovo greco cattolico Vasil Hopko e suor Zdenka Schelingova.

 

I due martiri slovacchi, pur arrestati e perseguitati dal regime comunista, hanno guardato “con fede incrollabile” alla Croce, luogo “privilegiato in cui si rivela e manifesta l’amore di Dio”, ha ricordato ieri il Pontefice. A Petrzalka, Giovanni Paolo II ha inoltre riservato - e affidato alla voce del cardinale Tomko, come già successo in precedenza - parole accorate per i giovani, definendoli “speranza del Papa”. Per i ragazzi, il Pontefice aveva già avuto un pensiero particolare a Bánska Bystrica, nella Slovacchia occidentale, quando venerdì aveva ricordato come sia “urgente che nelle famiglie i genitori educhino alla giusta libertà i propri figli, per prepararli a dare l’opportuna risposta alla chiamata di Dio”. Una libertà che la Slovacchia ha ritrovato quattordici anni fa, dopo oltre quarant’anni di regime comunista. Una libertà che oggi – tra il Danubio e i monti Tatra - si legge nella Chiesa di questo Paese e nei volti della gente, rassicurati dalla presenza del Papa, testimone di una speranza che lo ha sorretto anche in questo suo 102.mo viaggio apostolico, nel venticinquesimo di pontificato.

 

Da Bratislava, Giada Aquilino, Radio Vaticana.

 

         L’Europa e le sue radici cristiane: il soggiorno in Slovacchia appena concluso è stata un’ideale prosecuzione degli interventi e dei richiami che hanno cadenzato su questo tema l’estate di Giovanni Paolo II. Anche il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, al Papa che nel telegramma di saluto al rientro in Roma auspicava per il Paese di mantenersi saldo “nella concordia e nella fraterna convivenza fra tutti i suoi abitanti”, il capo dello Stato ha mostrato un rinnovato apprezzamento per l’attenzione mostrata dal Pontefice per l’ingresso della Slovacchia nelle strutture comunitarie: attenzione, scrive Ciampi, che “conferma l’impegno di Sua Santità a favore di un’Europa unita capace di far valere nel mondo i valori spirituali e culturali che costituiscono il patrimonio di civiltà”. Una lettura analoga dell’ultimo viaggio papale giunge anche dal cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, presente a Bratislava:

 

R. - E’ un gesto molto significativo che il Santo Padre abbia fatto questi ultimi viaggio in Europa centrale: in Croazia il 100.mo, in Bosnia il 101.mo ed ora in Slovacchia il 1002. Penso che il centro dell’Europa, così ferito dalle ideologie del ventesimo secolo - quelle nazionaliste, il comunismo, il nazismo - stia ora entrando in una nuova realtà che è l’Europa unita. Ci chiediamo chi darà vita a questa nuova realtà. Siamo convinti che sarà la fede a dare coesione, forza interiore, pazienza, sostegno a questa realtà. Non c’è uomo più convinto di questa necessità come lo è il Santo Padre. Egli ne è il testimone e la sua è una testimonianza che porta -per così dire - nella sua carne: per la sua origine, per la sua storia e ora come Vicario di Cristo. Io vedo questo nel senso di una grande chiamata all’Europa: nel non dimenticare da dove veniamo e nel non perdere l’anima, in questa Europa. Sia per la Slovacchia - che sta ora vivendo la propria libertà, indipendenza, autonomia - ma per ciò che riguarda tutte le sfide attuali. La visita del Santo Padre che ha dedicato così tanto tempo al Paese nonostante la sua debolezza, è un segno forte, che vedo con tanta ammirazione.

        

Un Papa anziano e sofferente, che però non risparmia alle debolezze che lo fiaccano gli impegni della propria missione di Pastore universale. E’ questa immagine, forse più che in altre occasioni, ad aver sollecitato nei giorni scorsi l’attenzione dei media, i loro commenti, la loro preoccupazione. Ascoltiamo in proposito, il pensiero del nostro direttore dei Programmi, padre Federico Lombardi, nell’intervista rilasciata a Giovanni Peduto:

 

D. - Milioni di telespettatori hanno visto il Papa affaticato, in questi quattro giorni, sobbarcarsi di quest’ennesimo viaggio. La gente della strada si chiedeva il perché  di questo viaggio in un piccolo Paese dell’Europa centro-orientale. Si fosse trattato di un viaggio storico tipo Mosca, la Russia, Pechino, la Cina… Ma questo viaggio in un Paese dove, in fondo, lui è già stato due volte, per fare una beatificazione che poteva essere fatta anche in Piazza San Pietro… Padre Lombardi, lei ha seguito questo viaggio in questi quattro giorni, quale motivazione di fondo il Papa ha voluto dare a questo viaggio?

 

R. – Per comprenderla, bisogna soffermarsi proprio sull’impostazione pastorale di questo Pontificato: sul desiderio del Papa di rispondere agli inviti che gli vengono dalla Chiesa e dall’umanità in tutte le parti del mondo, senza avere preferenze per chi può apparire più importante o meno importante. C’è una completezza anche nelle risposte del Papa. Il Papa era stato in Slovacchia un’altra volta, però aveva ricevuto un nuovo un invito per fermarsi in altre diocesi che non aveva visitato. E bisogna pensare che la Slovacchia è un Paese, sì piccolo, ma particolarmente vicino al cuore del Papa. E’ un Paese che gli è vicino culturalmente e linguisticamente. Credo non ci sia una lingua più simile al polacco dello slovacco. Ed è un Paese che ha sofferto molto: la Chiesa è stata perseguitata per decenni, in Slovacchia. La diocesi di Cracovia confina con questo Paese ed il Papa è stato, da vescovo, vicinissimo alla sofferenza di questa Chiesa, l’ha sostenuta moralmente ed anche concretamente. Quindi, c’è una grande solidarietà. Io avevo avuto già l’impressione nello scorso viaggio in Slovacchia, già molto bello, che il Papa si sentisse a casa in questo Paese forse più che in ogni altra nazione, tranne la Polonia. C’erano dei motivi importanti per ritornare in Slovacchia: il fatto di sostenere una Chiesa che si trova ora nel passaggio tra il tempo della persecuzione e le possibilità di ricostruzione, e le nuove sfide, date dalla condizione attuale di libertà, che però non è affatto priva di nuovi problemi. Incoraggiare la Chiesa in questo passaggio, non solo per la Slovacchia, ma anche per tutti gli altri Paesi che si trovano in situazioni analoghe nel centro-est dell’Europa, è un compito che il Papa ha molto presente. E poi il ricordo, la memoria viva dei martiri, come messaggio importante, non solo in Slovacchia ma in tutta la Chiesa, è un tema fondamentale di questo Pontificato. Lo abbiamo visto in occasione del Giubileo. La beatificazione di questi due martiri si inserisce in questo filone. E ciò senza perdere la memoria di quello che il secolo scorso ha rappresentato come persecuzione della Chiesa, ma anche come bellezza di testimonianza da parte di essa: proprio perché questa testimonianza rimanga un seme vivo e fecondo di fronte alle sfide del futuro.

 

D. – Vogliamo offrire ai nostri ascoltatori una sintesi del messaggio, della parola che il Papa ha rivolto non solo al popolo slovacco, ai popoli dell’Europa orientale, ma all’Europa intera?

 

R. – Io credo che questo viaggio si sia caratterizzato per un messaggio che è stato non tanto di parole quanto di esempio. Lo abbiamo visto, lo abbiamo sentito, i discorsi sono stati più brevi ed il Papa ne ha pronunciato delle parti, non li ha pronunciati completamente. Quindi, non è tanto il contenuto articolato dei discorsi, credo, a rappresentare il messaggio di questo viaggio, quanto la presenza stessa del Papa, la sua testimonianza di impegno fino alla fine, con tutte le sue forze, per il servizio della Chiesa. Questo, gli slovacchi lo hanno compreso benissimo e l’importante era che lo capissero loro, perché il Papa andava per loro. Gli slovacchi sono anche un popolo abituato a soffrire per i problemi dei decenni passati, ma anche un poco per la loro storia. Mi dicevano delle persone, che conoscono bene la sensibilità dell’animo slovacco, che i valori del sacrificio, dell’impegno, della fatica nel compiere il proprio dovere, del lavoro, del saper soffrire per i propri ideali, sono qualcosa che il loro popolo comprende bene e profondamente. Certamente, gli slovacchi hanno visto nella persona del Papa una grande testimonianza di tutto ciò. E’ il senso della fedeltà, quindi: il tema del viaggio era “fedeltà a Dio, fedeltà alla Chiesa”. Ecco: fedeltà a Dio, fedeltà alla Chiesa con tutte le proprie forze, fino in fondo, è stato il messaggio dato dal Papa con la sua presenza, con il suo comportamento, ancor più che con le sue parole.

 

D. – Più il Papa è debilitato fisicamente, ed anche nella voce – lo abbiamo visto – e più le folle si stringono attorno a lui. Ma cosa cerca la gente in questo Papa, di cosa ha bisogno?

 

R. – Ha bisogno di conforto nella fede. Il compito del ministero di Pietro è proprio quello di confermare i suoi fratelli nella fede. La gente cerca questo. Se vede il successore di Pietro che viene in mezzo a loro, se lo invita, se lo chiama, è per sentire la roccia su cui appoggiare la propria testimonianza cristiana. Forse, paradossalmente, proprio man mano che le forze fisiche umane diminuiscono risalta ancora di più la solidità della fede come centro, come motivo, come essenza del servizio del Santo Padre. Questo la gente, soprattutto la gente semplice, lo capisce benissimo.

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DI FRONTE AL FALLIMENTO DELLA CONFERENZA DI CANCUN,  ASSUME PARTICOLARE  RILIEVO L’APPELLO DEL DELEGATO DELLA SANTA SEDE PER  UN COMMERCIO CHE RISPETTI LA DIGNITA’ DI TUTTI I POPOLI DELLA FAMIGLIA UMANA

- Servizio di Fausta Speranza -

 

Al di là della delusione per il fallimento, a Cancun in Messico, della quinta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization), determinato da un gruppo di Paesi poveri, rimangono quanto mai validi i principi richiamati nel suo intervento dal delegato della Santa Sede. Nella terza delle cinque giornate di colloqui, conclusesi ieri, il prelato statunitense, mons. Frank J. Dewane, sottosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha ribadito che i temi dell’economia hanno “natura politica e sociale con profonde e durevoli conseguenze nella vita dell’umanità”.  Il servizio di Fausta Speranza.

 

“Ogni persona e ogni popolo è investito della  straordinaria dignità di ogni essere umano, perciò nessuno può essere ridotto a vivere senza i benefici del commercio”.  Questo il messaggio lasciato da mons. Dewane a tutti i partecipanti all’incontro di Cancun.  Difficile individuare ora tutte le conseguenze del fallito accordo, ma  resta valida e urgente più che mai la raccomandazione di Giovanni Paolo II, ricordata dal delegato della Santa Sede: “rimanere fedeli alle promesse fatte ai Paesi poveri nel precedente incontro di Doha”. Promesse che “devono essere considerate più vincolanti” perché fatte a quanti le considerano ‘vitali”. 

  

Il delegato della Santa Sede a Cancun ha invitato a pensare che “il commercio deve portare beneficio ai popoli e non solo ai mercati e alle singole economie”. E qui è significativo il chiarimento: non basta perseguire il giusto equilibrio all’interno di una ristretta economia, ma qualsiasi  sistema di regole per “essere giusto deve essere conforme alle esigenze della giustizia sociale e dello sviluppo dell’umanità”. Gli interessi dell’essere umano, dunque, devono andare al di là della mera logica di mercato. E non mancano gli esempi concreti: ricordando “il cruciale e importante accordo” raggiunto a Doha su brevetti intellettuali e  sanità, il delegato della Santa Sede ha ribadito che la proprietà privata, compresa quella di ambito intellettuale, va rispettata, aggiungendo, però, che “ogni proprietà ha un’ipoteca sociale”. Dunque, proprio la difesa, comprensibile e giusta, dell’impegno creativo e innovativo, non può non essere anche “tutela del bene comune della famiglia umana”.

 

Dopo il fallimento dei colloqui a Cancun, assume un rilievo in più la raccomandazione del delegato della Santa Sede sulla necessità di “un ulteriore slancio” per quanto riguarda i punti in discussione in tema di agricoltura. La complicata questione della riduzione delle tariffe – ha ricordato mons. Dewane - deve tener presente la dipendenza degli agricoltori poveri dai prodotti della terra. E anche per questo punto, come per gli altri del discorso di mons. Dewane, c’è da augurarsi che sopravviva e non si perda nel bilancio fallimentare decretato in Messico. La Santa Sede auspicava “un meccanismo bilanciato di produzione e vendita per permettere una maggiore produttività accompagnata dalla crescita dell’occupazione nelle aree rurali”. Un vero e proprio meccanismo di salvaguardia, anche con interventi temporanei, per sostenere i piccoli agricoltori la cui sopravvivenza è minacciata da altri meccanismi di scambio. 

 

Le stesse logiche poi, di bene comune, dovrebbero essere estese al commercio dei servizi, con una puntualizzazione precisa: settori come quelli di acqua, scuola, salute, tradizionalmente gestiti dallo Stato, possono coinvolgere privati ma in base ad “un chiaro schema legislativo con l’obiettivo di servire il pubblico interesse”.

 

C’è poi il campo dei prodotti non agricoli, come tessile e vestiario. Da qui la discussione molto tecnica su picchi tariffari, crescita delle tariffe o barriere  non tariffarie. Questioni tecniche, tra cui lo spinoso nodo dei sussidi che si era annunciato come il più difficile da sciogliere, mentre altri a sorpresa hanno mandato a monte l’incontro a Cancun. Resta la parola di mons. Dewane che ha ricordato che si discute “in particolare per i prodotti per i quali i Paesi poveri potrebbero essere competitivi”. Torna la raccomandazione per “una doverosa considerazione delle economie più deboli”. L’appello a non dimenticare i bisogni dei Paesi africani non meraviglia nel contesto della “famiglia di nazioni” auspicata.

 

Ma per capire perché viene dichiarata fallita la quinta Conferenza ministeriale del Wto, ascoltiamo il servizio di Elena Molinari che ha seguito i dibattiti a Cancun.

 

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Il fallimento è arrivato ancora di più a sorpresa, perché è avvenuto non sui temi roventi dei sussidi dei Paesi ricchi all’agricoltura, ma sui cosiddetti temi di Singapore, dall’addio soprattutto alle regole per gli investimenti nei Paesi stranieri. A dire un ‘no’ fermo persino all’inserimento del capitolo finanziario nel documento finale è stato un piccolo gruppo di Paesi africani fra i più poveri, guidati dal Botswana, e di fronte al loro muro la presidenza messicana, secondo qualcuno affrettatamente, ha dichiarato chiuso il negoziato. Dice però che gli Stati Uniti non abbiano fatto molto per salvare il salvabile. Gli Usa, infatti, hanno già dichiarato di avere in programma di continuare gli accordi di liberalizzazione del commercio in modo bilaterale da Washington e senza bisogno del Wto.

 

Lo scontro sull’agricoltura, però, non è stato del tutto estraneo al fallimento. All’interno del blocco del “no” ci sono infatti molti dei Paesi che avevano chiesto l’abolizione degli aiuti ai produttori di cotone americani ed europei, aiuti che hanno fatto crollare il prezzo della materia prima a livello mondiale. E nonostante non abbiano di fatto guadagnato nulla a Cancun, alcuni Paesi in via di sviluppo hanno festeggiato il fallimento. Per la prima volta – hanno detto – hanno conquistato un ruolo al tavolo della globalizzazione, una magra consolazione, ma a  loro dire è sempre meglio di un cattivo accordo.

 

Da Cancun, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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RINUNCIA E NOMINA A MANILA

 

Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Manila, nelle Filippine, presentata dal cardinale Jaime L. Sin, per raggiunti limiti di età. Il porporato ha infatti compiuto 75 anni lo scorso 31 agosto. Il Santo Padre ha quindi nominato arcivescovo di Manila il presule mons. Gaudencio B. Rosales, di 71 anni, finora arcivescovo di Lipa.

 

In Spagna, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Calahorra y La Calzada-Logroño, presentata dal vescovo mons. Ramòn Bùa Otero, in conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Il titolo della prima pagina è "Il commosso abbraccio di un popolo all'impavido contemplativo itinerante", seguito dall'esortazione "Popolo slovacco, non ti vergognare mai del Vangelo". Giovanni Paolo II ha concluso il pellegrinaggio in Slovacchia, lasciando il dono di due nuovi Beati, eroici martiri dalla fede incrollabile, esempi di fedeltà in tempi di dura e spietata persecuzione religiosa.

 

Nelle vaticane, il dettagliato resoconto dei diversi momenti del viaggio. Gli articoli dell'inviato Giampaolo Mattei. La Lettera indirizzata dall'arcivescovo Renato Raffaele Martino a mons. Joseph Branson, presidente della Commissione internazionale della Pastorale cattolica delle Prigioni. Una pagina dedicata alla testimonianza di Serafino da Montegranaro, uno dei primi santi dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.

 

Nelle estere, intervento della Santa Sede alla V Conferenza Ministeriale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio: "Le regole commerciali devono conformarsi alle esigenze della giustizia sociale e promuovere lo sviluppo umano". Corea del Sud: centinaia tra morti, dispersi e feriti, nonché ingenti danni materiali a causa del tifone "Maemi"; il telegramma di cordoglio del Papa. Medio Oriente: Israele ipotizza anche l'uccisione di Arafat.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Franco Lanza su una raccolta di saggi Marco Testi.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema della finanziaria. Un articolo di Gaetano Vallini sulle conclusioni dell'Assemblea nazionale straordinaria dell'Azione Cattolica; approvato lo Statuto, "atto di amore alla Chiesa".

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

15 settembre 2003

 

 

DIECI ANNI FA DON PINO PUGLISI VENIVA UCCISO DALLA MAFIA

 

- Intervista con il suo successore come parroco di Brancaccio, don Mario Golesano -

 

10 anni fa, il 15 settembre del 1993, un killer della mafia uccideva a Palermo don Giuseppe Puglisi, parroco nel difficile quartiere di Brancaccio. Un sacerdote impegnato a educare i giovani al rispetto della persona e della legalità in un periodo in cui era viva la politica stragista di Cosa Nostra. Per il riconoscimento del suo martirio è in corso il processo di beatificazione che ha concluso la sua fase diocesana. Varie le celebrazioni per ricordare don Pino: ieri sera una fiaccolata silenziosa per le strade di Brancaccio, oggi alle 18,00 una Messa solenne presieduta in cattedrale  dal cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo. Ma chi era don Giuseppe Puglisi? Sergio Centofanti lo ha chiesto a don Mario Golesano, suo successore come parroco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio.

 

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R. – La cosa che mi sconvolge, in senso positivo, è che don Puglisi era un prete e basta; un uomo che stava davanti al Signore a pregare, un uomo che credeva fortissimamente nell’Eucaristia, un uomo che aveva vivissimo il senso dell’appartenenza alla Chiesa; e aveva trasformato questa ricchezza in una ricerca di nuove forme di solidarietà. Quindi, padre Puglisi è stato un bellissimo prete, con quella semplicità, con quell’umiltà, con quella povertà, che l’ha distinto mentre era con noi. 

 

D. – Perché è stato ucciso don Pino?

 

R. – Io penso che il motivo vero, ultimo, della condanna a morte da parte della mafia di Pino Puglisi, sia stato nella lettura negativa che ha fatto la mafia di quella che era l’attività di Puglisi: questo suo stare dalla parte dei poveri,  la sua difesa dei diritti dei poveri. Lui ha creato a Brancaccio un movimento e di persone e di pensiero, che la mafia non poteva assolutamente accettare, perché la mafia non vuole che si modifichi lo stato di vita negli ambienti dove è presente. Parliamoci chiaro, i mafiosi attingono a piene mani nelle famiglie della povera gente. Perché laddove non c’è lavoro, non c’è speranza di vita, non c’è futuro, questi si presentano ai poveri come dei messia, come dei salvatori.

 

D. – Brancaccio 10 anni dopo, com’è la situazione?

 

R. – Per nostra fortuna a Brancaccio esiste un terzo delle famiglie che attorno al centro, alla parrocchia, alle associazioni vivono e sono presenti nel quartiere. C’è un altro terzo di indifferenti che non si è buttato da nessuna parte. E poi c’è un altro terzo che è costituito da famiglie più o meno collegate tra di loro, che hanno altri criteri, altre visioni di vita. Ma questo zoccolo positivo che si sta formando a Brancaccio è una delle ragioni di speranza per me. Sì, il Signore ha toccato il cuore di tante persone a Brancaccio. C’è tanta gente che sta uscendo dall’anonimato.

 

D. – Vi sentite soli?

 

R. – Le periferie sono state sempre sole, da tutti i punti di vista.

 

D. – L’assassino di don Puglisi collabora con la giustizia: ma oggi che persona è?

 

R. – E’ una persona che si è messa in cammino, anche lei; e sta pagando a caro prezzo questo cammino di conversione che dice di voler fare nel nome di Pino Puglisi.

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CHIESA E SOCIETA’

15 settembre 2003

 

 

PER RILANCIARE L’IMPEGNO MISSIONARIO DELLA CHIESA SPAGNOLA, 

SI APRIRA’  IL 18 SETTEMBRE A BURGOS,  IL ‘CONGRESSO NAZIONALE

DELLE MISSIONI’ . SONO TUTTORA 20.000 I MISSIONARI,

SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI DI NAZIONALITA’ SPAGNOLA, 

IN AMERICA LATINA, ASIA, AFRICA E OCEANIA

 

BURGOS (SPAGNA). = “È l’ora della missione”, il titolo dell’atteso “Congresso nazionale delle missioni”, che si aprirà il 18 settembre a Burgos, Spagna, organizzato dalla Commissione episcopale competente. L’incontro, molto importante  per la penisola iberica, si rivolge a tutti gli operatori del settore missionario: sacerdoti, laici, religiosi e quanti collaborano con le delegazioni diocesane del settore. Il Congresso proporrà  ai partecipanti una riflessione pastorale e teologica sullo status attuale della missionarietà in Spagna. Questo incontro vuole rilanciare la pastorale vocazionale missionaria, far conoscere alla  società l’apporto che i missionari continuano a dare alle popolazioni del Sud del mondo. Infatti  in America Latina, Asia, Africa e Oceania sono presenti circa 20 mila missionari - sacerdoti, religiosi e laici di nazionalità spagnola – che prestano il loro servizio a favore dei poveri. Al convegno parteciperanno anche mons. Carlos Amigo Vallejo, arcivescovo di Siviglia e presidente della Commissione episcopale organizzatrice dell’evento e mons. Robert Sarah, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Concluderà i lavori, il 21 settembre, una celebrazione  presieduta dal cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela. (M.R.)

 

 

CON IL PROGETTO ‘EPIDEMIO’ L’AGENZIA SPAZIALE EUROPEA UTILIZZA I SATELLITI

PER MONITORARE I FOCOLAI DI EBOLA E MALARIA, VIRUS LETALI

PER  MIGLIAIA DI PERSONE SPECIALMENTE NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

 

ROMA. = Si chiama “Epidemio” il nuovo progetto dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a favore della lotta contro i focolai epidemici dell’ebola e della malaria. La febbre emorragica ebola miete molte vittime ogni anno, soprattutto nell’Africa centrale. Fin’ora non si conosce l’organismo ospite del virus che vive nella giungla. Per questo, dall’anno prossimo, verranno elaborate delle mappe dettagliate sulla vegetazione del Gabon e del Congo con immagini satellitari per identificare le caratteristiche ambientali in cui si annida il virus. Lo scopo dell’Esa è quello di identificare delle specifiche caratteristiche ambientali dell’ambiente in cui si sviluppa il virus e confrontarle con i dati delle zone colpite dalla febbre. L’uso di questi satelliti servirà anche per combattere la malaria, altro virus capace di mietere fino a 1,5 milioni di vittime l’anno, in tutto il mondo. L’alto tasso di umidità, le precipitazioni abbondanti sono spesso indice della presenza di un focolaio di malaria, in quanto habitat favorevoli ad una schiusa delle uova e, di conseguenza, ad un aumento delle zanzare. La mappatura satellitare consentirà la previsione delle epidemie di malaria con l’istallazione di tutte le principali misure di tutela per evitare il propagarsi dell’insetto. Tutte le immagini saranno messe a disposizione del programma Public health mapping, la mappatura della salute pubblica predisposta dall’Organizzazione mondiale della sanità. (M.R.) 

 

 

SENSIBILIZZARE I GOVERNI DEL MONDO SUL POTERE DISTRUTTIVO

DELLA PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DELLA DROGA, COORDINARE PROGETTI

PER LA PREVENZIONE DELL’USO DI SOSTANZE STUPEFACENTI: QUESTI GLI OBIETTIVI DELLA QUINTA CONFERENZA MONDIALE SULLA PREVENZIONE DALL’USO DI DROGHE

CHE SI APRIRA’ IL 22 SETTEMBRE A POMEZIA, VICINO ROMA

 

POMEZIA (ROMA). = “Contro la droga, due ali per volare alto”: con questo slogan si aprirà la quinta conferenza mondiale sulla prevenzione all’uso di droghe, promossa dal Global Drug Prevention Network e organizzata dall’associazione “Casa Rosetta”. Lo scopo di questo incontro è sottolineare l’importanza di un approccio globale al problema, che coinvolga anche i principi etici, morali e spirituali, la base dei programmi di prevenzione contro questo fenomeno dilagante. Si prenderanno in esame gli ostacoli e le soluzioni per diminuire effettivamente la domanda di queste sostanze, inclusa la legalizzazione delle pratiche che ne rendono possibile il commercio. Riaffermare la superiorità dell’amore, preparare dei percorsi educativi alla prevenzione per far decollare la nostra società dal punto di vista sociale, politico, culturale e spirituale.  Questo è un altro degli obiettivi che questa conferenza si pone, insieme a quello di convincere le Nazioni del mondo a mettere in pratica le Convenzioni delle Nazioni Unite sulle droghe illegali. Alla conferenza, che si concluderà il 26 settembre, parteciperà anche Mons. Javier Lozano Barragàn, Presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari che interverrà sui “Dati dell’ufficio per il controllo della droga e le azioni criminali delle Nazioni Unite e la posizione della Santa Sede sulla droga”. Interverranno alla cerimonia di apertura il presidente dell’Associazione “Casa di Rosetta”, don Vincenzo Sorce, l’on. Pierferdinando Casini e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Mel Sembler. (M.R.)

 

 

UNA LINEA DI VOLI CHARTER DA OGGI TORNA A COLLEGARE LA COREA DEL NORD

E DEL SUD. E’ LA PRIMA VOLTA DALLA GUERRA INTERCOREANA CONCLUSASI NEL 1953. L’ACCESSO AI VOLI E’ APERTO SOLO AI CITTADINI DELLA COREA DEL NORD,

MENTRE E’ IMPEDITO AGLI ABITANTI DELLA COREA DEL SUD.

IL BIGLIETTO DELL’AEREO AMMONTA A QUASI 2 MILA DOLLARI

 

SEUL. = Per la prima volta dalla guerra intercoreana del 1950-53, una linea di voli charter torna a collegare la Corea del Nord e del Sud. Questa mattina un velivolo della compagnia nordcoreana Koryo Airline, partito da  Pyongyang con a bordo 114 turisti, è atterrato all’aeroporto internazionale di Seul (Corea del Sud),  per ripartire poi alla volta della capitale nordcoreana. Questa linea consentirà ai sudcoreani di visitare il Nord, mentre i voli non sono consentiti ai cittadini della Corea del Sud.  Il biglietto dell’aereo  – come informa la Misna – ha un costo di quasi duemila dollari. Gli aerei che collegheranno le due Coree voleranno sul Mar Giallo, evitando così di sorvolare la frontiera terrestre tra i due Stati,  essendo  una zona fortemente militarizzata.  Fatta eccezione per le visite ufficiali dei capi di Stato dei due Paesi, i collegamenti aerei tra le due Coree si erano interrotte con lo scoppio del conflitto inter-coreano al termine del quale non è mai stato firmato un trattato ufficiale di pace, per cui sono tuttora formalmente ancora in guerra. (C.C.)

 

 

UNO DEI TIFONI PIÙ VIOLENTI DELLA STORIA DEL PAESE

SI È ABBATTUTTO NEI GIORNI SCORSI SULLA COREA DEL SUD PROVOCANDO

VITTIME E DANNI MATERIALI PER MOLTI MILIONI DI DOLLARI

 

SEUL. = Il tifone ‘Maemi’ ha attraversato le regioni meridionali della Corea del Sud, causando finora 91 morti e 26 feriti. Il tifone, il più violento dal 1904, quando questi fenomeni iniziavano ad essere rilevati scientificamente, ha trascinato dietro di sé costruzioni di ogni genere con piogge torrenziali e raffiche di vento che arrivano fino a 216 chilometri orari. Dai primi accertamenti si calcola che i danni dovrebbero aggirarsi intorno ai 700 milioni di dollari. L’area più colpita è stata la provincia di Kyeongasang Sud, dove almeno 15 persone sono annegate e molte strade risultano ancora impraticabili. Nel porto di Ulsan una piattaforma petrolifera in fase di allestimento è stata spazzata contro i cantieri navali ‘Hyundai Mipo’. Il vento ha travolto il porto di Busan, rovesciando sette gru da mille tonnellate ciascuna, mentre nella provincia di Chungchong il tifone ha provocato il deragliamento di un treno causando il ferimento di 28 persone. Attualmente ‘Maemi’ si sta dirigendo verso il Mare Cinese orientale. La settimana scorsa il tifone si era già abbattuto sulla piccola isola di Miyakoshima, a sud ovest nell’arcipelago del Giappone, causando il ferimento di 63 persone senza, però, provocare vittime. (M.R.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

15 settembre 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Un tragico episodio di violenza ha sconvolto, questa mattina, l’Inguscezia, la Repubblica caucasica confinante con la Cecenia. Un camion bomba è stato lanciato, nel pieno centro della città di Magas, contro l’ufficio dei servizi segreti russi (Fsb), a poca distanza dal palazzo presidenziale. La deflagrazione, ha provocato secondo un bilancio non ancora definitivo, almeno 5 morti ed oltre 20 feriti.

 

Nel referendum sull’adesione della Svezia alla moneta unica europea, gli elettori scandinavi hanno detto “no” all’euro. Questo risultato dimostra, secondo il premier Goran Person, come il popolo svedese sia “profondamente scettico verso il progetto europeo”. Lo sgomento per la morte del ministro degli Esteri Anna Lind, accoltellata mercoledì scorso da uno sconosciuto, ha determinato una grande affluenza alle urne ma non ha intaccato la titubanza degli svedesi verso il passaggio all’euro, comunque gia fissato per il 2013. Per gli euroscettici l’abbandono della moneta nazionale porterebbe ad un generalizzato aumento dei prezzi, ad una diminuzione delle spese sociali ed alla perdita di controllo sulle scelte monetarie. Sull’esito del referendum ci riferisce, da Stoccolma, Vincenzo Lanza:

 

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I risultati del referendum svedese rappresentano un vero collasso per la coalizione favorevole ad “Eurolandia”. Mentre un anno fa il 75 per cento di tutti i parlamentari, da destra a sinistra, si dichiaravano favorevoli all’euro, l’elettorato svedese mette in luce con il voto referendario di non condividere l’opinione dei propri rappresentanti con un chiarissimo 56 per cento di ‘no’, solo un 42 per cento di ‘sì’ e il 2 per cento di schede bianche. Viene così bocciata l’intenzione di aderire alla moneta unica europea, almeno fino al 2013. Person ed i suoi alleati, liberali e conservatori, non sono stati sufficientemente chiari nello spiegare quali potessero risultare gli eventuali vantaggi concreti, creando confusione e timore nelle due fasce di elettori che maggiormente hanno contribuito a respingere l’adesione svedese all’euro: i giovani e le donne.

 

Per la Radio Vaticana, da Stoccolma, Vincenzo Lanza.

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Nonostante la preoccupazione, i commenti al “no” della Svezia non sono troppo pessimisti. “Siamo fiduciosi che il governo di Stoccolma sceglierà la strada che porterà a realizzare il progetto dell’euro”, ha detto il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Pedro Solbes. Più duro il presidente della Commissione, Romano Prodi, secondo il quale la Svezia perderà di influenza nell’Unione dopo la vittoria del “no”.

 

Ieri in Estonia, nell’altro referendum di adesione all’Unione Europea si è invece registrata una schiacciante vittoria del “si”: il 67 per cento degli elettori ha infatti votato per il passaggio dalla moneta nazionale all’euro. Grande soddisfazione è stata espressa dal governo del Paese Baltico, tra i primi a riconquistare la propria indipendenza dopo la caduta dell’Unione Sovietica. In un comunicato la Commissione europea ha inoltre rimarcato come il risultato del referendum “abbia chiaramente sancito il ritorno dell’Estonia nel suo legittimo posto in Europa”.

 

Non accenna a diminuire la tensione in Medio Oriente. Un ragazzo palestinese di 12 anni è morto vicino a Gerusalemme, mentre altri dieci adolescenti sono stati feriti a Gaza. Intanto nella comunità internazionale cresce la critica nei confronti di Israele dopo che il vice primo ministro Olmert ha detto che lo Stato ebraico non esclude l’opzione di uccidere il presidente palestinese, Yasser Arafat. Sull’immediata risposta degli Stati Uniti ci riferisce Graziano Motta:

 

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Powell ha motivato la sua contrarietà, sostenendo che qualsiasi iniziativa israeliana scatenerebbe reazioni nel mondo arabo, islamico e in molti Paesi. In effetti, la Lega araba si riunirà domani a Il Cairo per esaminare i pericoli che incombono su Arafat, a cui intanto il segretario generale dell’organizzazione ha manifestato piena solidarietà. E tuttavia la situazione resta bloccata. Da un canto il primo ministro, Abu Ala, ha sospeso la presentazione del suo governo davanti al Consiglio legislativo palestinese, in attesa di ottenere delle garanzie sulla sorte di Arafat. Dall’altro, il ministro degli Esteri israeliano, Mofaz, ha chiesto alla comunità internazionale indicazioni su come eliminare l’ostacolo rappresentato da Arafat al processo di pace.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Spostiamoci in Iraq, dove anche oggi non si è interrotta la drammatica scia di violenze contro le truppe americane. Un soldato statunitense è rimasto ucciso questa mattina, a Baghdad, in seguito ad un attacco perpetrato dalla resistenza irachena. Siria ed Iraq hanno intanto raggiunto un  importante accordo per riattivare il servizio ferroviario tra i due Paesi entro la fine del mese.

 

Un golpe in guanti bianchi. Così gli osservatori internazionali hanno definito il colpo di Stato in Guinea Bissau, dove ieri l’esercito ha rovesciato il governo del presidente Kumba Yala. Dura la condanna del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Ma nel Paese, per fortuna, non si sono verificate violenze. Il servizio di  Giulio Albanese:

 

 

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La giunta militare, che ha deposto ieri a sorpresa il governo di Bissau, sembrerebbe aperta al dialogo. E il primo segnale di distinzione è arrivato nel pomeriggio di ieri, quando il comitato militare per il ristabilimento dell’ordine costituzionale e democratico - così si chiama la giunta militare – ha fatto sapere che il presidente deposto potrà liberamente decidere se andare all’estero o rimanere in patria. Lo ha dichiarato il neo presidente ad interim, Verissimo Seabra Correia. Intanto fonti ben informate a Bissau riferiscono che il comitato militare sta tentando in queste ore di rassicurare la comunità internazionale, in particolare l’Unione Europea e l’Unione Africana, per evitare che vengano imposte sanzioni ad un Paese sul bilico della bancarotta. Lo stesso presidente mozambicano, Joaquim Chissano, presidente di turno dell’Unione Africana, ha dichiarato che la soluzione non passa necessariamente per il ritorno al potere del deposto capo di Stato.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Si è votato ieri a Buenos Aires per la scelta del nuovo sindaco della capitale argentina. Nel secondo turno di ballottaggio, gli elettori hanno riconfermato il primo cittadino uscente, Anibal Ibarra, candidato di Centrosinistra appoggiato dal presidente Néstor  Kirchner. Sconfitto il candidato del Centrodestra, Mauricio Macrí, sostenuto dai maggiori imprenditori del Paese. Ce ne parla Maurizio Salvi:

 

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L’incertezza per conoscere il vincitore del ballottaggio è durata veramente poco, perché è stato lo stesso imprenditore di centro destra, Macri, a dichiarare che “tutti i campioni di voto a nostra disposizione mostrano che, come tre settimane fa avevo nettamente vinto, oggi altrettanto nettamente ho perso”. Dopo aver ascoltato con attenzione l’invito ad un dibattito leale nel Parlamento della capitale formulatogli da Macri, il riconfermato Ibarra si è mostrato ai giornalisti raggiante per il chiaro risultato ottenuto. “Con questo voto - ha detto, non nascondendo una certa emozione – si consolida un orizzonte politico comune per la città di Buenos Aires, ma anche per l’Argentina intera”. Queste parole avevano un senso molto preciso, perchè attimi prima il presidente della Repubblica, Nestor Kirchner, che lo aveva decisamente appoggiato in campagna elettorale, gli aveva telefonato per felicitarsi di persona per la vittoria.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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In Colombia otto turisti stranieri sono stati sequestrati ad opera, probabilmente, di guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). I sequestrati, secondo fonti locali, sarebbero quattro israeliani, due britannici, uno spagnolo ed un tedesco. 

 

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