RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 253 - Testo della
Trasmissione mercoledì 10 settembre 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In preparazione a Taiwan il Congresso
intercontinentale dei religiosi di Asia e Oceania.
Ancora violenze in Medio Oriente: due sanguinosi
attentati hanno colpito ieri Israele che oggi ha risposto con un’incursione
militare nei Territori.
Quattro operatori umanitari sono rimasti uccisi in
Afghanistan, nella regione di Ghazni.
L’esplosione di un’autobomba ad Erbil, in Iraq, ha
causato la morte dell’attentatore e di un bambino di quattro anni.
UN CANTICO COLMO DI SPERANZA E DI SALVEZZA, QUELLO AL
CENTRO DELL’ODIERNA UDIENZA GENERALE DEL PAPA IN PIAZZA SAN PIETRO,
ALLA
VIGILIA DEL 102.MO VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA SLOVACCA
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Servizio di Paolo Ondarza -
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(Musica)
Dio non
è indifferente di fronte al bene e al male nella storia dell’umanità. I
versetti del capitolo 36 del libro di Ezechiele al centro dell’odierna
catechesi di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, alla presenza di circa
11mila persone, riflettono questa certezza che ha accompagnato sempre la storia
del popolo di Dio. L’epoca in cui scrive il profeta rappresenta uno dei momenti
più tragici vissuti da Israele: il crollo del regno di Giuda e della sua
capitale Gerusalemme che nel VI secolo portò all’esilio babilonese. In questo
frangente Dio rassicura: “Io non godo della morte di chi muore”, e apre una
strada: “convertitevi e vivrete”.
Il
Cantico assume dunque una luce di speranza e salvezza, ha spiegato il Papa:
“dopo la purificazione mediante la prova e la sofferenza sta per sorgere l’alba
di una nuova era”. Un’era non caratterizzata solo dall’aspetto “pur necessario
della liberazione dal male e dal peccato”. “L’umanità è destinata a nascere ad
una nuova esistenza … Dal nostro petto verrà strappato il ‘cuore di pietra’,
gelido ed insensibile, segno dell’ostinazione nel male. Dio vi metterà un
‘cuore di carne’, cioè una sorgente di vita e di amore”. Emergerà così – ha
continuato il Santo Padre – quella “nuova creazione” descritta da San Paolo
quando con la morte in noi dell’“uomo vecchio” saremo “creature nuove,
trasformate dallo spirito di Cristo risorto”.
Al
termine della catechesi, prima di far ritorno alla sua residenza estiva di
Castel Gandolfo, il Pontefice ha voluto salutare i rappresentanti dell’Azione
Cattolica provenienti da diverse diocesi: “La Chiesa – ha detto – ha bisogno di
voi che avete fatto della parrocchia il luogo in cui esprimere giorno per
giorno una dedizione evangelica fedele e generosa”. Parlando ad un gruppo di
vigili del fuoco polacchi il Papa ha ricordato come nei suoi anni giovanili,
essi “mantenevano vivo il contatto con le parrocchie e con la Chiesa”, ed ha
poi sottolineato le difficoltà e pericolosità da loro incontrate nel lavoro
quotidiano la cui realizzazione richiede “forza d’animo e grande coraggio”, da
ricercare “nella fede e nella fiducia in Dio”. “Voi – ha continuato il Santo
Padre – avete il premio promesso dal Signore per coloro che offrono la propria
vita per i fratelli per i quali Cristo è morto”.
Non
poteva mancare il saluto di Giovanni Paolo II ai fedeli slovacchi presenti in
piazza, alla vigilia del 102.mo viaggio apostolico:
“Mi
accingo domani a compiere con grande speranza il mio terzo viaggio apostolico
in Slovacchia, terra arricchita dalla testimonianza di eroici discepoli di
Cristo, che hanno lasciato eloquenti impronte di santità nella storia della
Nazione. Carissimi Fratelli e Sorelle, vi invito ad accompagnarmi con la
preghiera. Affido questo Viaggio apostolico alla Madre del Redentore, tanto
venerata in Slovacchia. Sia Lei a guidare i miei passi e ottenga per il popolo
slovacco una rinnovata primavera di fede e di civile progresso”
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Il Papa
ha ricevuto oggi in udienza l’arcivescovo Francisco Javier Lozano, nunzio
apostolico in Croazia.
DOMANI HA INIZIO IL TERZO VIAGGIO DEL PAPA IN SLOVACCHIA
PER IMPRIMERE NUOVO SLANCIO SPIRITUALE ALLA CHIESA
E PROCLAMARE BEATI DUE MARTIRI DEL XX SECOLO
Domani, il Papa lascerà l’Italia alle ore 9, quando l’aereo decollerà dall’aeroporto di Fiumicino, per giungere a Bratislava alle 10,40. Il Santa Padre resterà in terra slovacca 4 giorni, facendo tappa in altrettante città. Ma lasciamo la parola alla nostra inviata, Giada Aquilino:
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“Il mondo s’interroga: perché il Papa torna in Slovacchia?”. Così ha titolato uno dei più venduti quotidiani di Bratislava, lo Sme, in una delle sue ultime edizioni. La risposta all’interrogativo sta nei principali temi di questo terzo viaggio di Giovanni Paolo II in terra slovacca: un nuovo slancio alla Chiesa locale, la beatificazione di due testimoni della fede del XX secolo e la riscoperta della feconda tradizione cristiana in Europa. Questo 102° viaggio apostolico del Pontefice completerà la visita del Papa alle diocesi del Paese dell’Europa centro – orientale, iniziata nei due precedenti viaggi.
Nell’aprile del 1990, a 5 mesi
dalla caduta del regime comunista, avvenuta nel novembre dell’89, il Pontefice
visitò Boemia, Moravia e Slovacchia. Giovanni Paolo II sostò a Bratislava,
nell’allora territorio della Cecoslovacchia. Al momento del congedo disse: “Non
è, spero, un addio ma un arrivederci”. E così fu. Nell’estate del ‘95 il
Papa si recò in quella che due anni prima, nel ’93, era divenuta la Repubblica
Slovacca, per la canonizzazione di tre Santi martiri di Košice. In
quell’occasione il Pontefice ricordò i momenti duri del regime totalitario,
incitando gli slovacchi ad una rinascita religiosa, sociale e culturale.
Oggi i cattolici nel Paese sono
il 74,7 per cento della popolazione e la Chiesa slovacca conta 8 circoscrizioni
ecclesiastiche, con ben 1490 parrocchie. Nei prossimi giorni la visita del
Santo Padre - che coincide con i 10 anni di vita della locale Conferenza
episcopale - toccherà Bratislava, Trnava, Banska Bystrica, Roznava. Domenica 14
settembre, di fronte ai fedeli di rito latino e bizantino e non solo, Giovanni
Paolo II beatificherà il vescovo greco cattolico Vasiľ Hopko e suor
Zdenka Cecilia Schelingová.
Una visita apostolica, dunque,
che sarà di auspicio a tutta la Chiesa slovacca per un rinnovato slancio
spirituale, per una crescita nella fede e per un consolidamento della vita
personale, comunitaria e sociale, non solo per i singoli, ma per le famiglie, i
giovani e tutto il popolo di una Nazione dall’antica tradizione culturale e
religiosa. Una visita, insomma, che giunge in un momento davvero
cruciale della storia del Paese, cioè alla vigilia dell’ingresso - il prossimo
1° maggio 2004 - nell’Unione Europea. Con il referendum sull’adesione del 16 e
17 maggio scorsi, gli slovacchi hanno detto sì all’ingresso nella nuova Unione
a 25 della loro Repubblica democratica parlamentare, guidata oggi dal governo
di centro destra del premier Mikulas Dzurinda, leader dell'Unione democratica
cristiana. Tra poco meno di 7 mesi, quindi, la Slovacchia - con i suoi 5
milioni e 400mila abitanti - sarà ufficialmente una delle nuove tessere del
grande puzzle europeo.
Da Bratislava, Giada Aquilino, Radio Vaticana.
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Sulla vita della Chiesa in Slovacchia, ci
parla il cardinale Ján Chryzostom Korec, uno degli eroici testimoni della fede
Ci soffermiamo ora sulla vita della Chiesa in
Slovacchia. Ce ne parla il cardinale Ján Chryzostom Korec, vescovo di Nitra, al
microfono di padre Ján Kosiar, del Programma slovacco della nostra emittente.
Ricordiamo che il cardinale Korec ha subìto in prima persona l’oppressione del
regime comunista: è stato ordinato sacerdote e vescovo clandestinamente. Dal
1960 al ’68 è stato imprigionato.
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La
Chiesa in Slovacchia, durante i primi dieci anni del pontificato di Giovanni
Paolo II, ancora sotto il comunismo, ha vissuto tanta sofferenza ed è stata
perseguitata dal regime ateo. La Chiesa
in Slovacchia ha però ricevuto un sostegno e
un aiuto incredibile da parte del successore di Pietro, il quale ci
univa, guidava ed appassionava. Grazie a Lui e tramite la sua premura riconoscevamo
di nuovo che Gesù crocefisso e risorto è la nostra speranza e che la Chiesa è
nostra madre.
Dal 1990, dopo il crollo del comunismo, la
vita religiosa ha ripreso pieno avvio. E’ stata ricostituita la vita delle
comunità dei gesuiti, dei salesiani, dei francescani, come anche la vita delle
religiose. Abbiamo ricostruito i seminari diocesani, abbiamo iniziato a fondare
le scuole cattoliche, a pubblicare libri e riviste, si sono sviluppati i
movimenti laicali con famiglie giovani e bambini, abbiamo cominciato a stabilire contatti con le Chiese particolari
nei paesi vicini.
Un anno dopo la visita del Papa del 1995,
siamo andati – vescovi, sacerdoti e fedeli laici - a Roma a ringraziarlo. In un
breve discorso, nella Basilica di san Pietro, ci ha rivolto le seguenti parole:
«La Slovacchia può offrire molto
all’Europa unita che sta nascendo. Rendetevene ben conto!». Queste parole
le portavamo via come un incoraggiamento e come una sfida e molti di noi
ritornano ad esse di nuovo per non vivere invano.
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Slovacchia,
terra d’Europa: il 1° maggio 2004 l’ingresso nell’Unione a Venticinque.
Primo maggio 2004: la
Slovacchia entra ufficialmente a far parte dell’Unione Europea. Alle spalle, il
Paese dell'Europa
centro-orientale ha una storia segnata dal passato più recente - quello che
l’ha visto nascere il primo gennaio del ’93 dopo lo scioglimento
pacifico della Cecoslovacchia - e da giorni dolorosi conclusisi felicemente nel
novembre dell’89, quando cadde il regime comunista. In base alla Costituzione,
la Slovacchia - crocevia tra Mitteleuropa, Ucraina e Russia - è una Repubblica
democratica parlamentare. Attualmente il capo dello Stato è Rudolf Schuster,
mentre il premier è Mikulas Dzurinda dell'Unione democratica cristiana slovacca
(Sdku), andato al potere, lo scorso
anno, con una coalizione di centrodestra. Proprio Dzurinda ha fortemente voluto
l’ingresso nell’Unione europea, sancito dal referendum del 16 e del 17
maggio scorsi, con cui oltre il 92 per cento dei votanti slovacchi ha detto sì
all’adesione. Ma cosa comporta l’entrata nella nuova Unione a 25? Risponde
Gaetano Stellacci, corrispondente Ansa per la Slovacchia, intervistato da Giada
Aquilino:
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R. – La Slovacchia è nata nel 1993 e fino a quel punto era
stata parte del sistema orientale, comunista, sovietico. Dalla fine della
seconda guerra mondiale, il Paese aveva perso notevolmente il contatto con il
mondo europeo occidentale. Solo l’arrivo, alla fine degli anni Novanta, di Mikulas
Dzurinda, l’attuale
capo di un governo di centrodestra, ha permesso alla Slovacchia di riprendere
contatto con i Paesi occidentali, cosicché il Paese al vertice del novembre
scorso a Praga è riuscito a farsi accettare nella Nato e poi ad essere ammesso
anche nell’Unione Europea: l’adesione avverrà nel maggio del 2004.
D. – Nella vita quotidiana degli slovacchi, cosa cambierà
con la nuova Unione europea a 25?
R. – Innanzitutto, cambia la libertà di movimento,
limitata dalle frontiere di Schengen: ci sarà la possibilità di andare dove si
vuole, anche per lavorare. Un’altra conseguenza, però, sarà un aumento del costo della vita e degli
stipendi: attualmente, uno stipendio industriale medio - cioè di un operaio
dell’industria slovacca - si aggira attorno ai 150-200 euro al mese.
L’inflazione, per esempio, è prevista per quest’anno tra il 7 e l’8 per cento. La
disoccupazione sfiora il 15 per cento. Sono tutte cose che in questo momento
sono gravi, ma se il Paese riesce a mantenere il livello di sviluppo che ha
avuto negli ultimi tempi, probabilmente sarà tra quelli che dall’allargamento
dell’Unione europea potrà trarre maggiori vantaggi.
D. – Com’è oggi la vita politica in Slovacchia?
R. – Il governo di Mikulas Dzurinda è una coalizione di quattro
partiti. L’opposi-zione ruota principalmente intorno a Robert
Fico, capo del partito Smer - direzione - che in qualche modo però non ha gli elementi per
mettere realmente in discussione l’attività del governo. I temi che il governo Dzurinda sta cercando di portare avanti
sono, da una parte di carattere economico - e in questo ambito l’accordo è più
facile - e dall’altra, legati a questioni come l’aborto e il finanziamento
delle scuole pubbliche, argomenti su cui manca il consenso e che rischiano
continuamente di provocare una crisi.
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NOTA DELLA SANTA SEDE SUGLI
ORIENTAMENTI ETICI
PER IL
COMMERCIO INTERNAZIONALE
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Servizio di Roberta Gisotti -
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“Convertire
il commercio in efficace strumento di sviluppo solidale”: è il richiamo della
Santa Sede in apertura oggi del Vertice di Cancun, in Messico, convocato
dall’Organizzazione mondiale del commercio per fare il punto sulle principali
questioni che regolano la produzione e gli scambi di merci, in un mondo
globalizzato, non per questo semplificato. Vola alto sulle tante letture del
dato economico nonché sulle contestazioni, divisioni e interessi di parte, la
Nota vaticana per indicare i principi etici che dovrebbero guidare la comunità
internazionale, chiamata al tavolo dei negoziati.
“Le
regole del commercio nonostante la loro apparenza tecnica, hanno” infatti -
come ricorda la Santa Sede – “una natura politica e sociale, con profonde ed
ampie conseguenze nella vita dell’umanità.” Per questo è da considerarsi
fondamentale principio “il valore inalienabile della persona umana, fonte di
tutti i diritti umani e di ogni ordine sociale. L’essere umano deve sempre
essere un fine e non uno strumento, un soggetto e non un oggetto, non una merce
di scambio.” “Inoltre, il concetto di ‘famiglia di Nazioni’ fa appello alla
responsabilità collettiva per lo sviluppo e per il bene comune universale” Per
questo “la politica commerciale deve essere organizzata in modo tale da non
essere dannosa per i Paesi poveri ma un fattore che contribuisca al loro
sviluppo economico sostenibile” E cosi “nelle relazioni commerciali il bene di
un popolo non può essere raggiunto infine contro il bene di un altro popolo.”
Nell’attuale
contesto internazionale - prosegue la Nota vaticana – “la sfida è creare una
cornice legale per il commercio che dia ai Paesi in via di sviluppo sia
l’eccedenza economica che l’autonomia politica per raggiungere l’obiettivo
dello sviluppo umano, nel rispetto delle legittime questioni sugli standard
lavorativi, sociali e ambientali”. Del resto “l’integrazione dei Paesi poveri
in un sistema equo di commercio è nell’interesse di tutti”, poiché “nessun modello
di crescita economica o di commercio internazionale che rigetti la giustizia
sociale o marginalizzi i gruppi umani e lo sviluppo delle persone è sostenibile
a lungo termine, anche dal punto di vista puramente economico”.
“Bisogna
che le relazioni politiche ed economiche tra nazioni e popoli siano costruite
su nuove basi”, conclude il documento della Santa Sede, E cosi “gli interessi
personali e gli sforzi per rinforzare posizioni di dominio devono essere
lasciati da parte. Le Nazioni in via di sviluppo dovrebbero essere assistite,
attraverso speciali condizioni di commercio perché divengano veri partner in un
ordine internazionale più giusto, partner che hanno un vitale contributo per
fare il bene dell’intera famiglia umana”.
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UN CENTINAIO DI VESCOVI DI RECENTE NOMINA
PROVENIENTI DA OGNI CONTINENTE S’INCONTRANO A ROMA DA OGGI FINO AL 19 DI QUESTO
MESE PER UN CORSO DI AGGIORNAMENTO. L’INIZIATIVA PROMOSSA DALLA CONGREGAZIONE
PER I VESCOVI
- A
cura di Giovanni Peduto -
La Congregazione per i
vescovi, presieduta dal prefetto cardinale Giovanni Battista Re, ha indetto un
Convegno di tutti i vescovi di recente nomina – sono un centinaio – per un
tirocinio di apprendimento e aggiornamento sui compiti ministeriali di un
presule. Si inizia questo pomeriggio con i Vespri e domattina con la
concelebrazione presieduta dal prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede, cardinale Joseph Ratzinger. Seguirà la prima relazione offerta dal
segretario del medesimo dicastero, l’arcivescovo Angelo Amato, sul tema “Il
vescovo custode della fede”. Si proseguirà nel pomeriggio con un’altra
relazione e così fino a venerdì mattina 19 settembre. I lavori comprendono
anche gruppi di studio per continenti e ogni giorno Lodi, Santa Messa e Vespri.
Per l’Italia i novelli presuli di recente nomina sono undici, nove residenziali
e due ausiliari.
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Un passo del discorso del Papa
al Parlamento della Repubblica italiana, 14 novembre 2002, è il contenuto della
testatina d'apertura dal titolo fisso "L'Europa o è cristiana o non è
Europa".
Il titolo della prima è
"In Slovacchia, terra di eroici discepoli di Cristo": all'udienza
generale, Giovanni Paolo II affida alla Madre del Redentore il suo centoduesimo
viaggio apostolico e chiede ai fedeli di accompagnarlo con la preghiera.
Nelle vaticane, un articolo di
Giampaolo Mattei sull'imminente viaggio del Santo Padre.
Un articolo sulle conclusioni
dell'incontro di Aachen promosso dalla Comunità di Sant'Egidio. Il titolo all'articolo
è "La tenacia della pace nei 25 anni di Pontificato di Giovanni Paolo
II".
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: due nuove stragi terrorizzano Israele.
Iraq: autobomba provoca, ad
Erbil, due morti ed oltre cinquanta feriti.
Due contributi - uno di Giuseppe M. Petrone,
l'altro di Manlio Cancogni - ricordano il nefasto anniversario dell'11
settembre 2001.
Nelle pagine italiane, in
rilievo il tema delle pensioni.
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10 settembre
2003
IL NOME DI DIO E’ PACE. SI FERMI CHI IN SUO
NOME SEMINA ODIO
E
PRATICA IL TERRORISMO. E’ L’APPELLO FINALE DELL’INCONTRO
“UOMINI
E RELIGIONI” AD AQUISGRANA
-
Servizio di Francesca Sabatinelli -
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In un mondo che sembra preferire lo scontro, ad Aachen per
il 17.mo anno si è scelto di seguire la via difficile del dialogo, unica strada
per arrivare alla pace. L’appello 2003 lanciato dall’incontro internazionale
“Uomini e Religioni” si rivolge ancora una volta con vigore a chi crede che lo
scontro tra le civiltà sia inevitabile. Occorre liberarsi da questo pessimismo
opprimente che crea molti nemici, dice il messaggio. Il dialogo non è la scelta
dei paurosi ma di chi crede che toglie terreno all’ingiustizia che crea
risentimento e violenza: il dialogo è una medicina che cura le ferite.
Ancora una volta si rivolge anche a chi usa il nome di Dio
per odiare, seminare il terrorismo, fare la guerra. Il nome di Dio – è la
risposta – è pace. Le religioni non giustificano mai l’odio e la violenza; il
fondamentalismo è la malattia infantile di tutte le religioni e di tutte le
culture.
Il messaggio finale che esce da Aachen è il risultato
dell’incontro che per tre giorni ha visto seduti agli stessi tavoli capi
religiosi, esponenti musulmani ed ebrei, del pensiero laico e del mondo
intellettuale internazionale. In questi giorni si è ribadita la necessità di
un’Europa unita che non deve dimenticare le sue radici cristiane; si è
sottolineato come occorra rispondere ai conflitti che insanguinano il mondo,
dall’Africa all’Iraq al Medio Oriente, laddove l’opzione dell’intervento armato
ha fallito, con gli strumenti della diplomazia e della mediazione; e si è
evidenziato che si sta entrando in una stagione diversa nel rapporto tra Chiesa
cattolica e Patriarcato di Mosca: la presenza del metropolita Kyrill, i suoi
incontri con alti esponenti della Chiesa cattolica, i cardinali Etchegaray e
Kasper.
L’Incontro di Aachen – dice Andrea Riccardi, fondatore di
Sant’Egidio – raffredda le tensioni:
R. – Il dialogo cammina, il dialogo si muove. Noi non
dobbiamo cercare dei risultati immediati, ma risultati di lungo periodo, e i
risultati di lungo periodo sono questi: che il dialogo dopo l’11 settembre non
è finito, che il dialogo aiuta a spegnere la violenza, aiuta a spegnere la
guerra, aiuta a spegnere i conflitti. Insomma, il mondo ha bisogno dell’arte
del dialogo che è un’arte fondamentale per evitare la guerra, per evitare gli
scontri tra le civiltà.
D. – Qui ad Aachen c’è stato questo importante momento tra
Mosca e la Chiesa di Roma …
R. – Sì, la presenza del cardinale Kasper, la presenza del
metropolita Kyrill che sono sulla frontiera delicata di una tensione tra Roma e
Mosca sono stati un importante segnale di comprensione e di pace. Io ho una
grande speranza: credo che per realizzare la piena cattolicità c’è bisogno di
parlare tra Russia e cattolici.
D. – Lei ha parlato di una nuova pagina, forse, che parte
da qui, ad Aachen, nei rapporti tra Mosca e Roma?
R. – Non voglio essere lirico, perché la prima pagina, la
grande pagina, è stata scritta nella prima sessione del Consilio Ecumenico
Vaticano I: quella è una grande eredità che va continuata. Torniamo alla prima
pagina!
Da Aachen, Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana.
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CON LA VISITA DI STIPE MESIC A BELGRADO UNA PACE
DA CONSOLIDARE
TRA
CROAZIA E SERBIA MONTENEGRO
-
Intervista con Ljubica Markovic -
Il presidente della Croazia Stipe Mesic sarà oggi
in Serbia-Montenegro. E’ prima volta che la più alta carica croata si reca a
Belgrado dopo la fine della guerra civile durata dal 1991 al 1995. Ma dopo la
normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, un tempo facenti parte della
Jugoslavia, ancora diverse questioni rimangono da risolvere. Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Ljubica Markovic, direttore dell’agenzia indipendente Beta di
Belgrado:
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R. –
L’elenco delle cose che vanno ancora affrontate e chiarite è abbastanza lungo.
Il presidente croato Mesic ed anche i rappresentanti della Serbia hanno detto
che questa visita contribuirà a migliorare i rapporti tra i due Paesi che
rimangono sempre molto complessi.
D. – Tra i problemi ancora da risolvere qual è quello che
sta più a cuore ad ambedue i Paesi?
R. –
Serbia ci sono moltissimi rifugiati croati, espulsi 8 anni fa dalla Croazia
durante la guerra civile. Molti di loro vogliono ritornare, ma sicuramente non
potranno farlo tutti. Secondo Belgrado sono più di 200 mila i rifugiati,
secondo Zagabria il numero è minore, ma si tratta, comunque, di tantissime
persone.
D. –
Che cosa è rimasto sia in Croazia che in Serbia e Montenegro del recente
conflitto civile?
R. –
Adesso le cose sono diverse. Il leader croato Tudjman è morto, Milosevic si
trova incriminato dal Tribunale Penale a L’Aja. I nuovi politici, di entrambi i
Paesi, vogliono entrare in Europa, ma senza le difficoltà che hanno ereditato.
Sembra che la Croazia sarà accolta nell’Unione Europea prima della
Serbia-Montenegro. Due anni fa, dopo la caduta di Milosevic, Belgrado ha
sperato di avere lo stesso trattamento della Croazia. Ma Zagabria entrerà nel
2007 e la Serbia forse non prima del 2010. Questo crea un po’ di frustrazione
nei serbi, ma tutti i partiti parlamentari della Serbia proclamano l’adesione
all’Unione Europea come il loro scopo principale.
D. –
E’ un Paese, la Serbia-Montenegro, così come la Croazia e gli altri Paesi
dell’ex Jugoslavia che ha voltato pagina sul passato doloroso che ha vissuto?
R. –
Direi di sì. La Serbia in particolare ha voltato pagina, anche se ci sono
ancora molte altre questioni da risolvere. C’è la sensazione, tra la gente, che
la Serbia debba pagare gli errori e le colpe che il regime precedente ha creato
e alcuni si sentono colpevoli per questo. Contemporaneamente non c’è ancora la
consapevolezza di tutto quello che il regime ha realmente fatto. In questo
senso bisogna chiarire e bisogna che la gente sappia che sono stati commessi
dei veri e propri crimini, ma questa maturazione ancora non c’è stata.
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10 settembre
2003
NEGLI INTERVENTI DEL VESCOVO DI SAN SEBASTIAN, MONS.
JUAN MARIA URIARTE,
IN
OCCASIONE DI DUE IMPORTANTI CELEBRAZIONI LITURGICHE,
AFFRONTATI
GLI ARGOMENTI DELLA CULTURA DELLA VITA
E
DELL’ETICA SOCIALE E POLITICA
- A
cura di padre Ignacio Arregui S.J. -
SAN SEBASTIAN. = “Come è possibile che una società che con
lo sviluppo scientifico è riuscita a vincere la morte in tante occasioni, vada
poi incontro alla morte per tante vie frivole, assurde, immorali procurandosi
il suicidio o uccidendo gli altri?”: è questa la domanda con cui mons. Uriarte,
vescovo di San Sebastian, ha aperto la sua omelia lo scorso 8 settembre. Il
vescovo ha ricordato i 197 suicidi registrati nei Paesi Baschi l’anno scorso, e
dopo aver fornito altre cifre sul tasso di suicidi in Europa, in particolare
tra i giovani, si è chiesto: “In un periodo di enorme vitalità e in una società
dell’abbondanza, qual è il male disperato che affligge questi giovani?”. Il
vescovo di San Sebastian ha ricordato poi le vittime causate da incidenti sulle
strade, sul lavoro, i maltrattamenti alle donne ed in particolare le 8 vittime
causate dalla violenza armata dell’Eta che si aggiungono alle oltre 800 vittime
causate dall’organizzazione negli attentati compiuti fin dalle sue origini.
Nella Messa solenne celebrata il 9 settembre nel santuario della Madonna di
Aranzazu, patrona della diocesi di San Sebastian, mons. Uriarte ha affrontato
il tema dei valori etici necessari nella vita familiare e sociale. All’inizio
di questo nuovo anno pastorale, il presule ha ricordato l’importanza della fede
come elemento fondamentale dell’evangelizzazione. Riferendosi poi all’ambito
dell’edu-cazione, ha affermato: “Una società che non investe il meglio di se
stessa nell’educazione delle giovani generazioni non ha diritto ad aspettarsi
un futuro migliore”. Alla classe politica e all’amministrazione locale mons.
Uriarte ha ricordato la necessità, ineludibile, di una vera etica. Ed ha
affermato: “L’etica nell’attività politica richiede ai governanti e ai
cittadini determinate priorità precise e oggettive: la difesa della vita, la
ricerca della pace, il rifiuto radicale dei delitti di sangue e di ogni forma
di violenza fisica; ma anche di altre forme di violenza morale nell’esercizio
del potere legislativo, giuridico ed
esecutivo. L’etica esige anche il rispetto dei diritti irrinunciabili delle
persone condannate, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale al servizio della
verità e non degli interessi privati, e un atteggiamento autentico di servizio
a tutti, anche a coloro che non condividono le stesse opinioni politiche, ed in
particolare ai più bisognosi”.
PROMUOVERE LA CONOSCENZA E LA FORMAZIONE
DELLA CULTURA GITANA:
E’
L’OBIETTIVO CHE SI PROPONE LA 18.MA GIORNATA NAZIONALE
DELLA
PASTORALE GITANA, IN SPAGNA TRA IL 12 E 14 SETTEMBRE
MADRID. = Imminente in Spagna la celebrazione della 18.ma
Giornata nazionale della pastorale gitana, promossa dalla Conferenza episcopale
spagnola (Cee). L’iniziativa, secondo quanto hanno sottolineato gli
organizzatori, è tesa a promuovere la conoscenza e la formazione della cultura
gitana “per condividere esperienze comuni con questi fratelli”. I dibattiti e
le tavole rotonde promosse per l’occasione ruoteranno attorno al documento
licenziato dalla 79.ma Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli, intitolato “La
chiesa spagnola e i gitani”. La presentazione dell’evento, previsto ad Alcalà
de Henaras dal 12 al 14 settembre prossimo, avverrà alla presenza del vescovo
di Coria-Caceres, mons. Ciriaco Benavente Mateos. (D.D.)
FERVONO
I PREPARATIVI PER IL PROSSIMO CONGRESSO INTERCONTINENTALE
DEI
RELIGIOSI DI ASIA E OCEANIA, A TAIWAN TRA IL 20 E IL 30 OTTOBRE.
AL
CENTRO DELL’INCONTRO I TEMI DELLA MISSIONE E DELL’EVANGELIZZAZIONE
TAIPEI. = “Ritessere la rete
della vita” (Reweaving the network of Life): è il tema che accompagnerà i
lavori dell’Asian-Oceania Meeting of Religious, il congresso
intercontinentale dei religiosi di Asia e Oceania, che si svolgerà dal 20 al 30
di ottobre a Taiwan. L’Asian-Oceania Meeting of Religious si svolge ogni
tre anni e riunisce i religiosi dei due continenti con l’obiettivo di
promuovere la condivisione e la solidarietà fra i religiosi, lo scambio di
esperienze e il confronto sui temi della missione e dell’evangelizzazione. Il
congresso è ospitato a turno dai Paesi membri. L’evento sarà raccontato sul
sito Internet www.catholic.org.tw/amor13tw. Interessante la simbologia dei
colori scelti per il logo di AMOR XIII: un vortice variopinto (a rappresentare
la comunione in Dio del cielo, della terra e dell’umanità), che si ispira alla
Creazione con lo Spirito Santo che mette ordine al caos. Il blu simboleggia
Dio, il bianco lo Spirito che soffia sull’acqua; il rosso l’uomo che riceve la
vita da Dio. (A.M.)
VALORIZZARE I RAPPORTI TRA ITALIA E
ROMANIA FACENDO LEVA SULL’IMMIGRAZIONE.
QUESTO
È IL PUNTO DI FORZA DELLA SETTIMANA DI INCONTRI PROMOSSA
DALLA
CARITAS E DAL CNEL SUI FLUSSI MIGRATORI TRA I DUE PAESI
ROMA. =
Utilizzare l’immigrazione per potenziare gli scambi tra Italia e Romania. Con
questo scopo, la Caritas e il Cnel hanno organizzato una settimana di incontri
in Romania per confrontarsi sul tema dell’immigrazione e sull’importanza che
questa ha per la candidatura della Romania all’Unione Europea. I romeni registrati
in Italia sono poco meno di cento mila, ma raggiungono i 115 mila se si
calcolano anche i minori. Proprio la questione dei minori non accompagnati rappresenta
la spina nel fianco dell’immigrazione romena: spesso, infatti, i bambini sono
aiutati ad entrare in Italia clandestinamente dalle organizzazioni criminali,
che poi li sfruttano mandandoli ad elemosinare. Il lavoro e la famiglia sono i
motivi che spingono i romeni a lasciare il proprio Paese. L’apporto dei romeni
in campo lavorativo è particolarmente apprezzato in Italia: all’inizio del 2003,
secondo i dati diffusi dall’Inail, la Romania è stata il terzo Paese per i
contratti di lavoro in vigore. I centri dove c’è maggiore diffusione di
presenza romena sono le aree del centro nord, tra cui Lazio, Piemonte e Veneto.
I problemi con la giustizia riguardano il 10 per cento dei romeni, per lo più
quelli irregolari. Il livello di inserimento societario, infine, è buono: la
Romania è la prima nazione per l’acquisizione della cittadinanza italiana
dovuta, nella maggior parte dei casi, a matrimoni tra italiani e donne romene.
L’Italia, inoltre, è il primo partner commerciale della Romania e, quindi,
l’immigrazione può rappresentare il trampolino di lancio per potenziare gli
scambi tra i due Paesi. (M.R.)
LA PREGHIERA DELLA COMUNITÀ DI TAIZÈ AZZITTISCE IL CAOS
METROPOLITANO
DI
SHANGHAI E UNISCE I GIOVANI DELLE PARROCCHIE DELLA CITTÀ DAVANTI
AL
MISTERO DELL’ADORAZIONE EUCARISTICA
SHANGHAI.
= La comunità cattolica di Shanghai ha scelto la preghiera di Taizè per unire i
giovani davanti all’Eucaristia. La “Parigi d’Oriente”, così era chiamata fino a
qualche tempo fa questa bellissima città della Cina, sta diventando una
metropoli moderna, improntata su una cultura consumista e materialista. In questo
contesto si muove la comunità cattolica di Shanghai, che possiede una lunga
storia cristiana e missionaria ed è sede del più grande santuario mariano
dell’intera Asia: il Santuario della Madonna di Sheshan. Perseguitata in
passato e cresciuta tra molte difficoltà, la comunità cattolica volge
l’attenzione ai giovani. Per aiutarli a penetrare il mistero dell’Eucaristia,
il parroco della parrocchia “Cristo Re”, don Lu Yu Chun, ha organizzato un
incontro di preghiera con l’adorazione settimanale, introducendo la preghiera
della comunità di Taizè. La preghiera silenziosa e i canti, intonati ora in
ogni chiesa della città, sono i binari che conducono i giovani attraverso
questa esperienza di condivisione di fede. La comunità di Taizè, fondata nel
1940 in Francia da Frère Roger, continua ad accogliere i credenti di tutto il
mondo per aiutarli, con la preghiera e il silenzio, nella ricerca della
sorgente della fede. (M.R.)
RINASCE IL CALCIO IN AFGHANISTAN
NUOVI
CAMPI DA GIOCO E CORSI PER ARBITRI E ALLENATORI GRAZIE ALLA FIFA
KABUL. = L’Afghanistan sogna di
tornare ad una vita normale. Il calcio, sport proibito nel Paese durante il
regime dei talebani, sta rinascendo grazie al sostegno della Fifa (Fédération
Internationale de Football Association). Corsi per arbitri, allestimento di un
campo da gioco e formazione adeguata per gli allenatori sono tra i progetti che
la Federazione ha in cantiere per il Paese asiatico, vittima di proibizioni e
divieti in vari settori della vita privata e sociale per diversi anni. Dopo
aver inviato sul posto come consulente l’esperto tedesco Holger Obermann, la
Fifa ha deciso di organizzare a Kabul due corsi nei prossimi mesi: una serie di
lezioni per allenatori ed un’altra serie per futuri arbitri, che
successivamente dovrebbero essere completate da un corso di medicina sportiva.
È, inoltre, prevista la costruzione della ‘Casa del Calcio’ e di un terreno di
gioco dove gli afgani potranno finalmente gareggiare in pieno spirito sportivo.
È stato, infine, deciso che due allenatori afgani prendano parte ai Campionati
del mondo juniores della Fifa, che si terranno il prossimo dicembre negli
Emirati Arabi. (B.C)
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10 settembre
2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio Oriente le rinnovate
speranze di pace legate all’approvazione espressa dalla comunità internazionale
per la nomina di Abu Ala come primo ministro palestinese, sono state duramente
minate da due ingiustificabili episodi di violenza. Due drammatici attentati suicidi, il primo
davanti ad una base militare vicino a Tel Aviv e l’altro nel caffè Hillel di
Gerusalemme, hanno infatti causato, ieri, la morte di almeno diciassette
persone. In seguito a questa nuova ma purtroppo consueta scia di terrore il
premier israeliano, Ariel Sharon, ha deciso di concludere la propria visita
ufficiale in India per fare ritorno prima del previsto in Medio Oriente dove la
spirale di odio e di violenze non si è arrestata neanche oggi a causa della
sanguinosa reazione compiuta dalle forze militari dello Stato ebraico. Almeno tre persone, infatti, sono
morte ed altre 25 sono rimaste ferite stamani in un attacco mirato di aerei
militari israeliani nella città di Gaza contro la casa di al Zahar, importante
esponente di Hamas. Su questo ennesimo raid israeliano nei Territori ci
riferisce Graziano Motta:
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Più che una rappresaglia ai due attentati delle ultime ore
a Tel Aviv e a Gerusalemme, il raid israeliano di questa mattina a Gaza città
si colloca nella guerra ad oltranza che l’esercito israeliano ha avuto l’ordine
di condurre contro i capi dei movimenti fondamentalista ed in particolare
contro Hamas; stavolta è stata colpita l’abitazione di uno dei massimi
esponenti, Mahmud Alzahar, che sarebbe rimasto ferito mentre tre suoi
familiari, tra cui il figlio Kaled, sono rimasti uccisi. Ferite una ventina di
persone. Il bilancio definitivo non è stato reso noto anche perché una persona
è ancora sotto le macerie. In mattinata, l’esercito israeliano ha compiuto due
operazioni nei campi profughi di Tulkarem e di Jenin, per la definizione di
un’eventuale rappresaglia agli attentati – un altro sarebbe stato sventato questa
mattina a Gerusalemme – e comunque per decidere la posizione nei confronti dei
primo ministro palestinese designato, Abu Ala’a, Israele attende il ritorno del
primo ministro dall’India: Sharon ha infatti accorciato di 24 ore la sua
missione in quel Paese.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Il
complesso scenario mediorientale conferma il difficilissimo momento palestinese:
i timori di una recrudescenza delle violenze in seguito alla caduta di Abu
Mazen sono stati tragicamente confermati. Nel rinnovato contesto politico
palestinese, caratterizzato dal nuovo incarico di premier oggi accettato da Abu
Ala, quale significato assumono, dunque, gli attentati di ieri a Tel Aviv e a
Gerusalemme? Sergio Centofanti lo ha chiesto a Guido Olimpio, del Corriere
della Sera:
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R. - E’
chiaro che sia un segnale che gli estremisti danno anche ad Abu Ala. La storia
si ripete. In sostanza, il dilemma è il seguente: se l’autorità palestinese, in
qualche modo, non agirà contro gli estremisti in maniera diversa e più
incisiva, continuerà ad essere sottoposta da una parte al ricatto dei
terroristi e dall’altra alle continue azioni di rappresaglia israeliane.
Quindi, il cerchio continua a chiudersi, nel senso della violenza.
D. – La pace sempre più lontana, la road map sempre
più fallita?
R. – Ritengo che oggi parlare di road map sia,
quanto meno, un’illusione. Oggi c’è soltanto da salvare il salvabile, nel senso
evitare che la situazione precipiti ancora di più, perché Israele ha dichiarato
guerra totale ad Hamas da una parte e dall’altra, ogni tanto, lancia segnali su
una possibile espulsione di Arafat. Quindi, direi che ormai la road map,
per ora, sia accantonata. Solo un miracolo, ripeto, può evitare il disastro, ma
oggi ritengo impossibile anche il miracolo.
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Trasferiamoci in Afghanistan dove quattro operatori
umanitari locali sono stati uccisi, ieri, da uomini armati nella regione di
Ghazni, nel Sud-Ovest del Paese. Due delle vittime appartenevano
all’organizzazione danese Dacaar, il Comitato per l’aiuto ai rifugiati afgani,
che ha immediatamente sospeso le proprie attività in tre province meridionali.
Si tratta del terzo attacco contro operatori umanitari in quell’area,
dall’inizio dell’anno.
L’orrore delle violenze continua a martoriare anche
l’Iraq dove ieri sera nella città settentrionale di Erbil l’esplosione di
un’autobomba, nelle vicinanze di un posto di blocco delle formazioni
paramilitari del partito democratico del Kurdistan, ha causato la morte
dell’attentatore, di un bambino di 4 anni ed il ferimento di oltre 50 persone.
La città californiana di Santa Cruz, che si trova a Sud di San Francisco, sulla
costa del Pacifico, ha intanto espresso l’intenzione di chiedere al Congresso
di votare l’impeachment nei confronti del presidente americano, George
Bush, accusandolo di avere violato i trattati internazionali attaccando l’Iraq
e di aver manipolato l’opinione pubblica per giustificare l’intervento militare
nel Golfo Persico. Alla vigilia dell’11 settembre le continue critiche
all’amministrazione americana e la difficile gestione del dopoguerra nel Paese arabo
stanno dunque facendo crescere la tensione a Washington, come ci riferisce
Paolo Mastrolilli:
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I soldati americani sono tornati a morire ieri, in Iraq,
mentre politici e diplomatici cercano una soluzione alla crisi ed il Congresso
critica l’amministrazione ma considera la richiesta del presidente Bush di
stanziare altri 87 miliardi di dollari per l’occupazione. Il capo degli Stati
maggiori riuniti, Mayers, ha riconosciuto che la situazione militare è
difficile rivelando che il turno di servizio per migliaia di soldati della
guardia nazionale e della riserva verrà prolungato di un anno. Il segretario
generale dell’Onu, Kofi Annan, sta preparando il vertice tra i ministri degli
Esteri dei Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, previsto per
sabato a Ginevra. Annan sta mediando affinché il Consiglio approvi la nuova risoluzione
proposta dagli americani per autorizzare la nascita di una forza multinazionale
ed ha espresso fiducia sulla possibilità di un compromesso. In attesa del
vertice di sabato, il Governo provvisorio iracheno ha ottenuto un risultato
positivo dalla Lega araba, che lo ha ammesso ai lavori anche se in forma
temporanea.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Un
tribunale di Denpasar, principale città di Bali, ha condannato a morte l’imam
Samudra, 33 anni, militante islamico addestrato nei polverosi campi afghani ed
esperto di informatica, giudicandolo l’organizzatore dell’attentato di Bali
dello scorso 12 ottobre 2002 costato la vita a 202 persone.
Si apre oggi a Cancun, in Messico, la quinta
conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc). Compito dei ministri dei 146 Paesi
membri dell’Organizzazione è quello di valutare i progressi dell’ampia
trattativa multilaterale avviata dalla Conferenza di Doha nel novembre 2001, la
cui conclusione è stata fissata al 1º gennaio 2005. Gli ambiti negoziali
riguardano, in particolare, l’agricoltura, l’accesso ai mercati dei prodotti
non agricoli, i diritti di proprietà intellettuale e l’ambiente. Una svolta
significativa nel negoziato sugli Aspetti di proprietà intellettuale attinenti
al commercio (Adpic) in rapporto alla sanità pubblica si è registrata lo scorso 30 agosto, quando è stata raggiunta
un’intesa sull’importazione di medicinali generici da parte di Paesi privi di
industrie farmaceutiche. Nella sessione inaugurale di oggi sono previsti gli
interventi, fra gli altri, del presidente messicano, Vicente Fox, del direttore
generale dell’Omc, Supachai Panitchpakdi, e del segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan.
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