RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 252 - Testo della Trasmissione martedì 9 settembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Vasta eco al Messaggio di Giovanni Paolo II per il Meeting internazionale della Comunità di Sant’Egidio “Uomini e Religioni”, che si conclude oggi ad Aquisgrana. Con noi, il vescovo Vincenzo Paglia.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Presentata a Roma la Campagna italiana contro le mine. Ogni anno mietono nel mondo 20 mila vittime. Ai nostri microfoni, Nicoletta Dentico.

 

Annunciati a Milano i vincitori del Premio Balzan 2003.

 

La riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e una nuova unità di intenti nella comunità internazionale. L’appello di Kofi Annan nel Rapporto annuale sull’attuazione della Dichiarazione del Millennio.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forte appello della Conferenza episcopale di Polonia alla presidenza di turno dell’Unione Europea: la futura Costituzione riconosca le radici cristiane e i valori religiosi del Continente.

 

Analizzare la situazione delle zone protette del pianeta per guidarne la gestione. E’ questo il compito degli studiosi presenti alla V edizione del Congresso mondiale sulla difesa dei parchi naturali, ospitato nel Continente africano.

 

Un convegno mondiale a Roma per ricordare il carisma e l’attività di padre Werenfried van Straaten, fondatore dell’Opera “Aiuto alla Chiesa che soffre”.

 

A Loreto fino al 13 settembre il Meeting dell’Agorà, organizzato dalla Cei, aperto ai giovani dei Paesi affacciati sul Mediterraneo.

 

Resta drammatica la situazione umanitaria in Liberia. “La comunità internazionale non abbandoni il Paese africano”: la denuncia del missionario padre Mauro Armanino.

 

24 ORE NEL MONDO:

Abu Ala ha accettato l’incarico di formare il nuovo governo palestinese.

 

Il discorso di Bush alla Nazione ha ricevuto dure critiche.

 

L’Aiea ha chiesto all’Iran di chiarire tutti gli aspetti del suo programma nucleare.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 settembre  2003

 

 

IL “SOGNO DI ASSISI” PER VINCERE “L’INCUBO DELLE TORRI GEMELLE”.

VASTA ECO AL MESSAGGIO DEL PAPA PER IL 17.MO MEETING INTERNAZIONALE “UOMINI E RELIGIONI”,

PROMOSSO DALLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO, SUL TEMA “TRA GUERRA E PACE: RELIGIONI E CULTURA S’INCONTRANO”.

CON NOI, IL VESCOVO VINCENZO PAGLIA

- Servizio di Roberta Gisotti e Francesca Sabatinelli -

 

“Non è più sopportabile lo scandalo della divisione: è un ‘no’ ripetuto a Dio e alla pace”: il monito del Papa all’intera umanità, nel suo messaggio al Meeting, ha colpito i cuori e le menti di quanti da ogni parte del mondo sono arrivati ad Aquisgrana (Aachen), da Paesi, culture, religioni diverse per realizzare la grande visione del profeta Isaia, richiamata da Giovanni Paolo II e ben presente a Giovanni XXIII quando scrisse la Pacem in terris: “tutti i popoli del mondo in cammino dai diversi punti della Terra per raccogliersi attorno a Dio come un’unica grande e multiforme famiglia”.

        

Ma “troppo poco in questi anni - lamenta il Santo Padre - si è investito per difendere la pace e per sostenere il sogno di un mondo libero dalle guerre.” Si è invece preferita “la via degli interessi particolari, profondendo ingenti ricchezze in altro modo, soprattutto per spese militari. Tutti abbiamo assistito - sottolinea ancora il Papa - allo sviluppo di passioni egocentriche per i propri confini, per la propria etnia e per la propria nazione.”

        

E se oggi a due anni dal “tragico attentato alle Torri Gemelle sembrano essere crollate anche molte speranze di pace”; se “guerre e conflitti continuano a prosperare e ad avvelenare la vita di tanti popoli”, specie i più poveri in Africa, Asia, America Latina, e se il terrorismo è così diffuso, “quando potranno cessare tutti i conflitti? quando i popoli potranno finalmente vedere un mondo pacificato?”, si chiede Giovanni Paolo II, e non nasconde la responsabilità di quanti “con colpevole incoscienza” lasciamo “prosperare” “ingiustizie e disparità nel nostro Pianeta”. E “per questo ci chiediamo - aggiunge Giovanni Paolo II – che fare? E soprattutto che cosa possono fare i credenti? Come affermare la pace in questo tempo pieno di guerre?” Ebbene, “una risposta concreta a queste domande” - osserva il Papa - sono già queste Giornate di Aachen, tappa preziosa nel cammino intrapreso 17 anni fa dalla Comunità di Sant’Egidio per rispondere all’impellente “bisogno dei popoli di riprendere a sognare un futuro di pace e prosperità per tutti”. E ad Aachen, città nel cuore dell’Europa, l’attenzione è puntata sul ruolo di questo Vecchio Continente, che nei secoli -  ricorda il Papa - ha accumulato “sapienza religiosa ed umana”, “un patrimonio” che oggi può spendere “per l’intera umanità”, nella “consapevolezza delle sue radici più profonde”, “a cominciare - insiste Giovanni Paolo II - da quelle cristiane, che hanno armonizzato e consolidato anche le altre”. “Non una memoria di esclusivismo religioso”, le radici cristiane, “ma un fondamento di libertà”, che rende l’Europa un “crogiuolo di culture e di esperienze differenti”. “Dimenticarle –avverte il Santo Padre – non è salutare. Presupporle semplicemente, non basta ad accendere gli animi. Tacerle, inaridisce i cuori”.

 

Il Papa si rivolge infine a tutte le genti, perché c’è urgente bisogno di unità” in un mondo sempre più diviso da “separazioni e particolarismi”. “Unità” - spiega Giovanni Paolo II – non è uniformità”, ma “dialogo” e “incontro”, superando la “mutua ignoranza”, così come avviene ad Aachen: questo è il segreto e su questa strada “la pace tra  i popoli – rassicura il Papa - non è un’utopia remota”, come ci dimostra anche la cronaca di quest’ultimo febbrile giorno di lavori ad Aachen. La parola alla nostra inviata Francesca Sabatinelli.

 

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“Il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa non è mai stato interrotto. Con nessun’altra Chiesa, la Chiesa cattolica ha tenuto un dialogo altrettanto stabile e continuato”. Kyrill, metropolita di Smolensk e Kaliningrad, affronta direttamente i giornalisti, in molti ad assistere alla sua conferenza stampa. E’ dai difficili anni Novanta, che segnarono quella che lui definisce una ‘guerra calda’ in Ucraina occidentale tra ortodossi e greco-cattolici, che ogni anno si tengono incontri ufficiali e non tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica. Anche qui ad Aachen, conferma Kyrill, stiamo lavorando.

 

E in effetti, questo 17.mo incontro di “Uomini e Religioni” sembra proprio segnare un momento importante tra Vaticano e Mosca, che ufficialmente non si incontravano da anni. Ieri pomeriggio, alla stessa tavola rotonda, seduti allo stesso tavolo, il metropolita ed i cardinali Etchegaray e Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. Che si stia entrando in una stagione diversa nel rapporto tra Chiesa cattolica e Patriarcato ortodosso di Mosca, lo conferma Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio. L’incontro di Aachen – dice Riccardi – raffredda le tensioni. Il rapporto è una necessità interna per la Chiesa cattolica, continua, citando poi il cardinale Kasper: la separazione impedisce a noi di realizzare la piena cattolicità. Mosca, sottolinea Kyrill, é pronta ad andare in qualsiasi punto del globo per incontrare qualsiasi rappresentante della Chiesa cattolica, per risolvere i problemi concreti che esistono, senza condizioni preliminari.

 

Su un punto però insiste: “Non c’è bisogno di mediazioni – si rivolge direttamente, senza fare nomi, a quelle personalità che definisce di altissimo livello politico che si sono offerte di fare da intermediarie – non abbiamo bisogno di mediatori”. Il problema principale, spiega poi ancora il metropolita, é realizzare concretamente gli accordi. Non c’è alcuna divaricazione nel sistema di valori, ma nella vita reale a volte avviene tutto il contrario. Da una parte quindi pieno accordo con Roma sull’importanza di non dimenticare le radici cristiane dell’Europa nella Costituzione dell’Unione Europea, dall’altra il punto dolente, come lo definisce lui, dell’attività missionaria dei preti cattolici in Russia. Guariti i punti dolenti, conclude, si potrà passare ad un altro livello di relazione, e sarebbe un bellissimo segno che questa nuova pagina fosse sfogliata assieme dal Papa e dal Patriarca, a Roma, a Mosca o in un altro posto.

 

Da Aachen, Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana.

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Come abbiamo ascoltato ieri pomeriggio c’è stata una Tavola rotonda cui hanno partecipato i cardinali Roger Etchegaray e Walter Kasper, insieme con il metropolita ortodosso russo di Smolensk e Kaliningrad, Kyrill, di cui ci parla il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio.

 

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R. – Certamente è stato molto importante, non solo l’incontro tra il cardinale Kasper e il metropolita Kyrill, ma tra Kyrill, che è una delle maggiori autorità della Chiesa ortodossa di Mosca, e il cristianesimo, il cattolicesimo, in questa vasta rappresentanza, come è appunto qui ad Aachen. Io posso dire che l’incontro è sempre positivo, perché, se fatto con lo spirito di Gesù, avvicina sempre, fa comprendere, fa superare incomprensioni. E, anche  se ci sono momenti dialettici, come ci sono stati ieri durante la tavola rotonda, tutto ciò favorisce la crescita dei rapporti. Non c’è dubbio che un passo importante sia stato fatto ieri nell’incontro tra i due rappresentanti della Chiesa ortodossa russa, Kyrill, e della Chiesa cattolica, il cardinale Kasper.

 

D. – Questo è un momento preciso in cui si intendono superare gli ostacoli e le difficoltà. C’è la presa d’atto di questa volontà?

 

R. – Non c’è dubbio, perché ieri, anche pubblicamente, Kyrill  ha parlato della importanza dell’incontro tra lo stesso Papa e il patriarca di Mosca. Questo richiede naturalmente di togliere degli ostacoli che ancora ci sono, rendere questo incontro il più efficace possibile. Pubblicamente, ancora una volta, Kyrill ha dato la sua disponibilità a parlare con la Chiesa cattolica, a risolvere i problemi, ad avvicinare le due Chiese, anche perché ci sono problemi internazionali come la pace, la scristianizzazione, i problemi della povertà, che non possono sopportare la divisione delle Chiese. Più le Chiese sono unite e più è forte la loro voce, più sono divise e meno ovviamente è efficace il loro messaggio anche in questi campi. Nei rapporti ecumenici conta anzitutto l’amore, la comunione, la fiducia reciproca, e questa non è possibile né con le lettere, né con i libri, ma è possibile solo nell’incontro.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina  un articolo di presentazione dell’imminente viaggio apostolico di Giovanni Paolo II in Slovacchia.

Allegato al giornale, un inserto speciale di 24 pagine - a cura di Giampaolo Mattei - dedicato all’evento.

Sempre in prima, sul tema “L’Europa o è cristiana o non è Europa”, un articolo di Mario D'Erme dal titolo “I segni concreti originati dalle radici cristiane”.

 

Nelle vaticane, una nota della Santa Sede in preparazione della Conferenza Ministeriale di Cancun: “Orientamenti etici per il Commercio internazionale”.

Un articolo dell’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, dal titolo “Un grande Pontefice, difensore della verità: 9 settembre, san Sergio I, Papa”. 

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: Abu Ala propone una tregua nei Territori; Israele ed Usa chiedono al nuovo premier palestinese un significativo impegno contro il terrorismo.

Iraq: Kofi Annan auspica “unità di intenti” per sostenere il processo di ricostruzione.

Per l'Atlante geopolitico, un articolo di Giuseppe Fiorentino dal titolo “Il Brasile sulla via delle riforme”.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Giancarlo Galeazzi dal titolo “Filosofia e scienza nell’era tecnologica”: il convegno per i cent’anni della Società Filosofica Italiana.

Per l’“Osservatore libri”, un approfondito contributo di Biagio Buonomo dal titolo “Cristianesimo e storia. Rapporti e percorsi”: un volume di saggi a cura di Paolo Siniscalco.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo il tema delle pensioni e l’inchiesta Telekom Serbia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 settembre 2003

 

 

IL DRAMMA DELLE MINE NEL MONDO:

LA SITUAZIONE MIGLIORA, MA NON BISOGNA ABBASSARE LA GUARDIA.

PRESENTATO OGGI A ROMA IL RAPPORTO ANNUALE DELLA CAMPAGNA ITALIANA CONTRO LE MINE

- Intervista con Nicoletta Dentico -

 

A quasi cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine, 82 Paesi al mondo sono ancora inquinati da questi ordigni, che si calcola mietano ogni anno circa 20 mila vittime, nell’85 per cento dei casi civili. E’ quanto rivela la quinta edizione del “Landmine Monitor Report”, rapporto annuale a livello globale sul problema delle mine in tutti i suoi aspetti, presentato oggi a Roma. A questo proposito, Barbara Castelli ha raccolto il commento di Nicoletta Dentico, presidente della Campagna Italiana contro le mine.

 

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R. - Il rapporto segnala dei dati incoraggianti, ma anche dei dati di profonda preoccupazione. Sicuramente registriamo con soddisfazione il fatto che stanno diminuendo le vittime delle mine: oggi non siamo più alle 26 mila vittime annuali che si contavano quando cominciammo questa battaglia, ma siamo intorno alle 15 mila, 20 mila al massimo. Si registra poi una diminuzione della produzione di mine e una diminuzione dei Paesi che fanno ricorso a queste armi. Stiamo, però, ancora parlando di un problema che colpisce 82 Paesi nel mondo, quindi, di una geografia troppo estesa per cantare vittoria.

 

D. - Segni, quindi, sicuramente incoraggianti. La convenzione di Ottawa del ‘97, inoltre, sul divieto delle mine antiuomo è stata ratificata ormai da 136 Paesi, ma molto ancora resta da fare …

 

R. - Da un punto di vista diplomatico va sicuramente segnalato il fatto che l’adesione al Trattato di Ottawa sia un successo. Tuttavia, il fatto che, nonostante tutta la mobilitazione internazionale, nonostante l’impegno della comunità dei Paesi, dei governi, oggi ancora 82 Paesi vedono la presenza di mine o di ordigni inesplosi, e che di questi 82 ci siano ancora 16 Paesi in cui non è stato attivato nessun programma di bonifica, ci sembra che rappresenti un dato di grave preoccupazione. Convivere con le mine è un esercizio durissimo, un esercizio nefasto per milioni di persone, bambini, donne, civili, che ancora oggi sono le principali vittime di quest’arma. Le vittime non sono i militari, ma le popolazioni che vogliono vivere una vita normale.

 

D. - Sul problema delle mine, qual è stato l’impegno dell’Italia e quali sono le sfide a cui deve rispondere, alla luce soprattutto del semestre di presidenza europea?

 

R. - Sicuramente l’Italia racconta, nel caso delle mine, una storia di successo di impegno. In poco più di dieci anni l’Italia, che era uno dei principali produttori ed esportatori di mine anti-persona, ha saputo posizionarsi in prima linea nella battaglia globale contro questi ordigni. L’Italia, tuttavia, ha un ruolo da giocare ancora molto importante. A nostro avviso, non si tratta soltanto di fare tutti gli sforzi necessari affinché l’Unione Europea arrivi in quanto tale ad una generale adesione al Trattato di Ottawa entro la fine del 2004, quando ci sarà la Conferenza di revisione a Nairobi, per rivedere il testo del Trattato. A nostro avviso l’Italia oggi può svolgere un ruolo chiave, e deve svolgere questo ruolo, soprattutto con gli Stati Uniti ed anche nei confronti dell’amministrazione del governo Putin. La Cecenia, infatti, resta il Paese dove, nell’ultimo anno, si è registrato il maggior numero di vittime, 5.695 persone. E’ evidente che il governo Putin su questo ha una responsabilità della quale deve rendere conto alla comunità internazionale.

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ANNUNCIATI A MILANO I VINCITORI DEL PREMIO BALZAN

- Servizio di Fabio Brenna -

 

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Sono quattro i vincitori del Premio Balzan 2003. Per questa edizione i riconoscimenti riguardano: la storia europea dal 1900; la psicologia sociale; la genetica ed evoluzione ed infine l’astronomia infrarossa. Ogni premio è dotato di 1 milione di franchi svizzeri, circa 650 mila euro, di cui la metà deve essere destinata dal vincitore alla ricerca, favorendo soprattutto i giovani scienziati.

 

Il premio Balzan per la storia europea dal 1900 è andato al prof. Eric Hobsbawm, nato nel 1017, della University London and New York “per – si legge nella motivazione – la sua brillante analisi della dolorosa storia dell’Europa nel ventesimo secolo”.

 

Il prof. Serge Moscovici, 78 anni, della Maison des Sciences de l’homme di Parigi, è il vincitore del premio per la psicologia sociale. “I lavori di Moscovici – si legge nella motivazione – “sono caratterizzati dalla loro grande novità: hanno ribaltato i paradigmi canonici della disciplina, rinnovato i suoi metodi di ricerca e i suoi orientamenti. In tale settore, prosegue, Moscovici occupa ormai il posto eminente che fu, fino alla fine degli anni ’60, di Jean Piaget”.

 

Il riconoscimento per la genetica ed evoluzione è andato al taiwanese prof. Wen-Hsiung Li, 60 anni, dell’Università di Chicago. Il riconoscimento è dovuto al suo contributo fondamentale alla genetica evolutiva, sviluppando metodi che permettono di identificare le relazioni filogenetiche tra i differenti organismi. Questi metodi – si legge nella motivazione – sono largamente applicati dalla comunità scientifica ed hanno permesso di misurare il tasso delle mutazioni genetiche nel mondo vivente”.

 

Premio per l’astronomia infrarossa al prof. Reinhard Genzel, 51 anni, dell’Istituto Max Planck per la fisica extraterrestre di Garching, in Germania. Fondamentale il suo contributo alla disciplina, soprattutto per quelle strumentazioni da lui sviluppate che hanno permesso fra l’altro di scoprire un buco nero di enorme massa nel centro della nostra galassia.

 

I premi Balzan, emanazione dell’omonima fondazione italo-svizzera, devono il loro prestigio certo all’ammontare del premio, ma anche alla garanzia di un Comitato formato da 18 studiosi e accademici europei, presieduti da Sergio Romano, che valuta ogni anno centinaia di candidature provenienti da tutto il mondo. Le discipline premiate inoltre, ruotano ogni anno, favorendo così anche ambiti di ricerca nuovi oppure settori importanti ma trascurati da altri premi.

 

La solenne cerimonia di premiazione si terrà il 7 novembre prossimo a Berna, nel Palazzo Federale.

 

Fabio Brenna, per la Radio Vaticana.

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RIFORMA DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU E NUOVA UNITA’ DI INTENTI DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE.

COSI’ KOFI ANNAN NEL RAPPORTO ANNUALE SULLA DICHIARAZIONE DEL MILLENNIO

- Servizio di Elena Molinari -

 

“E’ di vitale importanza che la comunità internazionale” trovi una nuova “un’unità di intenti intorno a una comune agenda per la sicurezza”. E’ la sostanza dell’appello che ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha indirizzato alla comunità internazionale, presentando a New York il Rapporto annuale sull’attuazione della Dichiarazione del Millennio, sottoscritta nel Duemila dai capi di Stato del mondo. Kofi Annan ha sviluppato il suo intervento alla luce delle lacerazioni createsi nell’Onu alla vigilia del conflitto in Iraq e dell’attuale necessità di riformare le strutture degli organismi sovranazionali. Ma se il Consiglio di sicurezza, secondo il segretario dell’Onu, ha bisogno di rinnovarsi per “riguadagnare la fiducia degli Stati e dell’opinione pubblica mondiale”, ciò ha senso se porterà le Nazioni Unite a centrare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, quali, ha ricordato Annan, “il dimezzamento della povertà estrema e della fame” entro il 2015. E ciò, in un quadro di difesa della democrazia e di consolidamento dei diritti umani. Il servizio da New York di Elena Molinari:

 

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Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha rilanciato oggi la necessità di riformare il Consiglio di sicurezza per renderlo più efficace: “Bisogna aumentarne – ha detto – il numero dei membri. Siamo nati come un’organizzazione di 51 membri, adesso siamo in 191”. Secondo Annan, dunque, la struttura del Consiglio deve cambiare e il cambiamento implica un’espansione. Il commento di Annan è arrivato nel contesto più ampio della ridefinizione degli Obiettivi per il millennio, stabiliti nel 2000. “Le priorità su cui i Paesi ricchi devono lavorare – ha detto il segretario generale – sono la sicurezza e l’unità internazionale”. Un appello forte quello venuto dal capo del Palazzo di Vetro di New York, soprattutto perché pronunciato all’indomani delle fratture causate dalla guerra in Iraq e anche, soprattutto, a poche settimane dall’attacco alla sede Onu a Baghdad, che ha ucciso 22 suoi impiegati e che Annan vede come una minaccia a tutto ciò che le Nazioni Unite rappresentano, soprattutto collaborazione internazionale e stabilità.

 

“I Paesi più sviluppati, quindi, non devono dimenticare – ha ribadito Annan – gli impegni presi nei confronti dei più poveri” In particolare, l’istruzione, che rimane ancora un privilegio del nord del mondo e che impedisce a decine di milioni di persone di sollevarsi al di sopra della soglia della povertà. “Inoltre, è di vitale importanza che le divisioni degli ultimi mesi – ha detto il segretario generale – vengano messe da parte a favore del perseguimento di obiettivi comuni. Per questo – ha aggiunto – occorre rinforzare e dare maggiore fiducia ad organizzazioni e istituzioni internazionali”. E un allarme accorato Annan lo ha lanciato anche sul fronte dei diritti umani. “C’è il pericolo – ha detto – di arretrare rispetto ai passi avanti fatti negli anni ’90 se si abbassa il livello di attenzione internazionale”.

 

Da New York, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

9 settembre 2003

 

 

NEI SEI MESI DI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA L’ITALIA

PRENDA IN CONSIDERAZIONE L’EREDITA’ CRISTIANA DEL VECCHIO CONTINENTE.

E’ L’APPELLO DEI VESCOVI POLACCHI AL PRESIDENTE DI TURNO UE, BERLUSCONI

- A cura di Paolo Ondarza -

 

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VARSAVIA. = “Non si può costruire il futuro dell'Europa senza quel fondamento spirituale che è la verità sul suo passato e sul suo presente”. Così la Conferenza episcopale polacca al presidente di turno dell’Unione Europea, Silvio Berlusconi, in un messaggio datato 3 settembre 2003. “I vescovi polacchi – si legge nel documento - ascoltando attentamente gli appelli ripetuti negli ultimi tempi dal Santo Padre, chiedono energicamente che gli autori del futuro Trattato Costituzionale dell'Unione Europea prendano chiaramente in considerazione l'eredità cristiana del continente”. I vescovi della Polonia, nazione a maggioranza cattolica che entrerà a far parte dell’Unione Europea nel maggio 2004, sottolineano il peso determinante della Costituzione per il futuro dei popoli d’Europa e ricordano le parole del Papa pronunciate all’Angelus del 20 luglio scorso: “la fede cristiana ha plasmato la cultura europea e si è intrecciata inseparabilmente con la sua storia. Il cristianesimo ha acquisito un posto permanente come religione degli Europei. Il suo influsso è stato considerevole anche nell'epoca moderna e in quella attuale”. “Escludere questo fatto dal testo – conclude la Conferenza episcopale polacca – sarebbe incomprensibile.

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ANALIZZARE LA SITUAZIONE DELLE ZONE PROTETTE DEL PIANETA

PER GUIDARNE LA GESTIONE. È QUESTO IL COMPITO DEGLI STUDIOSI PRESENTI ALLA QUINTA EDIZIONE DEL CONGRESSO MONDIALE

SULLA DIFESA DEI PARCHI NATURALI, OSPITATO PER LA PRIMA VOLTA NEL CONTINENTE AFRICANO

 

DURBAN (SUD AFRICA). = Sarà la città sudafricana di Durban ad ospitare la quinta edizione del “World Park Congress”, il più importante meeting mondiale sulla salvaguardia dei parchi naturali, organizzato e patrocinato dalla World Conservation Union. Il tema proposto è “Benefits Beyond Boundaries”, benefici senza confini, che esprime l’intento di progettare un “piano ecologico” per il prossimo decennio, tracciando le linee basi alle quali i governi dovranno attenersi. Durante il simposio, che si protrarrà fino al 15 settembre, gli oltre 2500 scienziati presenti analizzeranno i dati relativi alla conservazione della fauna e della flora: le zone protette del pianeta sono circa 44 mila e coprono il 12,7 per cento della superficie terrestre. Proprio la vasta estensione di queste aree rende difficile un controllo costante da parte degli studiosi, soprattutto per la presenza in queste zone di conflitti che ne rendono difficile il monitoraggio. Il segretario generale del congresso, David Scheppard, ha previsto che entro il 2040, oltre il 30 per cento della foresta pluviale è destinata a scomparire, a meno che non ci sia una coscienziosa presa di posizione da parte dell’opinione pubblica mondiale. Anche il ministro dell’ambiente sudafricano, Valli Moosa, ha sottolineato l’importanza di questo congresso che ritiene fondamentale per la situazione attuale del continente africano. Purtroppo non sempre le casse dei paesi africani consentono interventi per i parchi naturali, per questo sarebbe necessaria la creazione di un organismo preposto al finanziamento di una politica ecologica nei paesi in via di sviluppo. Promossa Sotto l’egida dell’ex presidente del Sud africa Nelson Mandela, della regina di Giordania Nur, l’iniziativa vede la partecipazione di molti leader indigeni, del premio Nobel Roberta Menchu e di molti nomi importanti del mondo dello spettacolo come Harrison Ford, l’attivista verde keniano Richard Leakey e il direttore esecutivo dell’autorità ambientalista delle Nazioni Unite Klaus Toepfer. (M.R.)

 

 

PADRE WERENFRIED: EREDITA’ E MISSIONE. A ROMA DALL’11 AL 14 SETTEMBRE

UN CONVEGNO MONDIALE RICORDA IL CARISMA E L’ATTUALITA’

DEL FONDATORE DELL’OPERA “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”

 

ROMA. = A pochi mesi dalla scomparsa di padre Werenfried van Straaten, “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, l’opera da lui fondata organizza dall’11 al 14 settembre a Roma il suo primo convegno mondiale. I lavori, incentrati sul tema “Padre Werenfried: eredità e missione”, vedranno la partecipazione di oltre 150 collaboratori provenienti da 16 Paesi e si svolgeranno nel Centro Mariapoli di Castel Gandolfo: gruppi di lavoro si soffermeranno su percorsi e forme di realizzazione in piena “fedeltà creativa” delle direttive del fondatore. Questi gli appuntamenti più interessanti nel calendario: venerdì 12 settembre saranno presenti il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia e il cardinale Jean Marie lugister, arcivescovo di Parigi. Domenica sarà la volta dell’intervento del cardinale Darío Castrillón Hoyos, prefetto della congregazione per il clero. Questi i temi di primo piano offerti alla riflessione: i tratti distintivi dell’Opera nel panorama mondiale delle associazioni caritative, l’essere eredi del coraggio profetico di padre Werenfried nel soccorso alla chiesa povera e perseguitata e la necessità di essere presenti  con la preghiera, l’informazione e l’azione. Concluderà le giornate di lavoro la relazione di Antonia Willemsen, segretaria generale di Aiuto alla Chiesa che soffre, opera che si contraddistingue come uno dei pochi osservatori al mondo sulla libertà religiosa e che ogni anno provvede alla realizzazione di circa 6mila progetti in 130 Paesi in cui la pastorale della Chiesa incontra difficoltà. (P.O.)

 

 

A LORETO FINO AL 13 SETTEMBRE IL MEETING DELL’AGORA’,

APERTO AI GIOVANI DEI PAESI AFFACCIATI SUL MEDITERRANEO.

L’INCONTRO, ORGANIZZATO DALLA CEI, PROPORRA’ NUMEROSI INTERVENTI

E TESTIMONIANZE SUGLI ASPETTI SOCIALI E RELIGIOSI CHE INTERESSANO L’AREA

 

LORETO. = "Beati coloro che sono nella tristezza: Dio li consolerà": è il titolo e la chiave di riflessione dell’Agorà dei Giovani del Mediterraneo, il meeting dei giovani provenienti dai Paesi che si affacciano nel Mar Mediterraneo, in programma a Loreto dall’8 al 13 settembre e organizzato dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, in collaborazione con il Centro Giovanni Paolo II di Loreto, diretto da padre Alfredo Ferretti. Il meeting si aprirà con una preghiera e il saluto di benvenuto ai partecipanti da parte dell’arcivescovo Angelo Comastri, delegato pontificio per la Santa Casa di Loreto. Tra i relatori, è atteso Camille Eid, giornalista libanese e collaboratore di Avvenire, esperto di problemi mediorientali. Suo l’intervento in programma per il 9 settembre su “Le ferite del Mediterraneo”. Tra i relatori illustri anche il cardinale Ersilio Tonini, che intratterrà i giovani con una riflessione su "I luoghi della consolazione nel Mediterraneo”. Tra il 13 e il 14 settembre i giovani parteciperanno ad EurHope 2003. Nel pomeriggio del 13 settembre si terrà un incontro col vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, sul tema “I poveri in Occidente”, al quale seguirà una fiaccolata verso la Basilica della Santa Casa di Loreto. Qui i giovani rimarranno in veglia tutta la notte pregando e ascoltando alcune testimonianze: di Elisa Sprinter, ultima sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz, del vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, e di un gruppo di giovani provenienti dagli Stati del bacino mediterraneo. (A.D.C.)

 

 

RESTA DRAMMATICA LA SITUAZIONE UMANITARIA IN LIBERIA.

“LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE NON ABBANDONI IL PAESE AFRICANO”:

LA DENUNCIA DI UN MISSIONARIO, PADRE MAURO ARMANINO

 

MONROVIA. = “La bufera della guerra è passata ma le violenze continuano, per non parlare della miseria che è stampata sul volto della gente”. La denuncia è di padre Mauro Armanino, superiore regionale della Società delle Missioni Africane (Sma), rilasciata all’agenzia Misna. “Nella capitale - ha dichiarato il missionario 51.ne - la situazione generale è certamente migliorata anche se la popolazione è senza soldi, essendo ogni attività lavorativa ancora paralizzata”. Durante la notte, inoltre, continuano a verificarsi episodi di saccheggio da parte di malviventi i quali, ha spiegato padre Armanino, “sbarcano il lunario derubando le abitazioni private”. Nell’entroterra la situazione non è affatto migliore. “Da oltre una settimana decine di migliaia di profughi ospiti dei campi di Tototà, circa 80 chilometri a nordovest di Monrovia, stanno continuando a fuggire in direzione della capitale liberiana, temendo di finire vittima di nuovi attacchi e violenze tra governativi e ribelli”. Secondo il superiore della Sma è necessario un dispiegamento più capillare della forza di pace, per garantire l’incolumità dei civili e intensificare la distribuzione delle derrate alimentari. “Non posso prevedere quali saranno i tempi di ripresa necessari per risollevare questo Paese”, ha concluso padre Armanino, sottolineando la scarsa attenzione che la stampa internazionale sta dando alla crisi liberiana. “È vero che qui a Monrovia non si sentono più tuonare i cannoni, ma mai come in questi momenti è necessaria la solidarietà della comunità internazionale e delle Chiese sorelle africane e di altri continenti”. (B.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

9 settembre 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

La situazione del Medio Oriente è sempre più delicata. Un ragazzo palestinese di 13 anni è morto, stamani, sotto i colpi dell’esercito israeliano a Hebron, in Cisgiordania, mentre a Gerusalemme è scattato lo stato di massima allerta. Sul fronte politico Abu Ala ha intanto accettato l’incarico di formare il prossimo governo che succederà a quello del dimissionario Abu Mazen. “Israele mi deve aiutare”, ha chiesto Abu Ala in un messaggio inviato al premier israeliano, Ariel Sharon, che invece vuole un più rigido isolamento del presidente palestinese, Yasser Arafat. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Stati Uniti ed Europa reagiscono alla richiesta di sostegno che Abu Ala ha loro rivolto, quando ha sciolto la riserva di accettare l’incarico di formare entro tre settimane il nuovo governo palestinese. Il portavoce del dipartimento di Stato ha detto che il sostegno ci sarà se Abu Ala riuscirà a migliorare lo stato della sicurezza e agirà contro i gruppi terroristici. Anche il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, ha assicurato sostegno a nome dell’Unione Europea di cui è presidente di turno. “L’Unione – ha precisato – è favorevole a riforme dell’autorità palestinese ed auspica una lotta al terrorismo”. Abu Ala, oltre a chiedere garanzie a Stati Uniti ed Europa sull’applicazione della road map ha sollecitato Israele sia ad un cambiamento della sua politica verso Arafat, ponendo fine al suo isolamento a Ramallah, sia alla definizione di un cessate il fuoco, senza tuttavia esplicitare come intenda porsi nei confronti delle organizzazioni armate, in particolare di quelle di Hamas e della Jihad islamica.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, è in visita ufficiale in India, la prima di un capo di governo israeliano dall’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi avvenuto nel 1992. La lotta al terrorismo e la cooperazione militare ed economica sono i temi centrali dei colloqui previsti oggi tra il premier israeliano e diverse autorità indiane, tra le quali il capo di Stato, Abdul Kalam, il primo ministro, Atal Behari Vajpayee, il ministro degli Esteri, Yashwant Sinah, ed il consigliere per la sicurezza nazionale, Brajesh Mishra.

 

Ha ricevuto un’accoglienza contraddittoria il discorso alla Nazione nel quale il presidente americano, George Bush, ha definito l’Iraq come “il fronte centrale della guerra al terrorismo” dando ampio risalto ai successi finora ottenuti nella campagna irachena. Alla definitiva caduta del regime di Saddam Hussein si contrappongono, infatti, la complessa gestione del dopoguerra ed il mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa. Su questo delicato tema è intervenuto, ieri, l’ex capo degli ispettori del disarmo dell’Onu, Hans Blix, affermando che “l’Iraq probabilmente ha detto la verità quando affermò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di non possedere armi chimiche, biologiche o nucleari”. La dichiarazione irachena, un dossier di circa 12 mila pagine consegnato dal governo di Saddam Hussein lo scorso 7 dicembre, venne respinta come falsa ed incompleta da Stati Uniti e Gran Bretagna che accusarono Baghdad di non avere disarmato il proprio arsenale. La perdurante assenza di prove sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq e gli interminabili attacchi contro le truppe della coalizione hanno provocato negli americani, ai quali Bush ha chiesto di sopportare nuovi sacrifici economici per stabilizzare il Paese arabo, una costante e significativa diminuzione di consensi nei confronti dell’amministrazione statunitense. Ce lo conferma, da New York, Paolo Mastrolilli:

 

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Con la popolarità del capo della Casa Bianca in calo nei sondaggi, i candidati presidenziali democratici più in vista hanno detto che il fallimento in Iraq non è un’opzione contemplabile ora che le truppe sono sul terreno, e quindi il Congresso deve stanziare i fondi. Ma hanno criticato il capo della Casa Bianca, sostenendo che ha scelto fin dal principio la linea sbagliata. Parlando con la Radio Vaticana l’ex comandante della Nato, Wesley Clark, che forse si prepara ad annunciare la sua candidatura alla presidenza, ha dichiarato che l’approccio dell’amministrazione è stato un errore, ma almeno per ora gli americani accetteranno i sacrifici perché non è possibile ritirarsi. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha convocato per sabato a Ginevra una riunione dei Paesi membri del Consiglio di sicurezza per discutere la nuova risoluzione sulla forza multinazionale e si è detto disposto a svolgere un ruolo politico per accelerare la nascita di un governo iracheno.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Restiamo in Iraq dove non si arresta la drammatica spirale di odio. Tre soldati americani sono rimasti feriti stamani, a Falluja, per lo scoppio di un ordigno. Nella giornata di ieri le violenze hanno riguardato anche i soldati italiani che sono stati coinvolti nei violenti scontri scoppiati nello stadio di Nassirya, dove durante le operazioni di pagamento degli stipendi agli ex militari iracheni è rimasto ucciso un interprete locale. Nessun soldato italiano, fortunatamente, è rimasto ferito. I ministri degli esteri della Lega Araba hanno intanto deciso di ammettere anche un rappresentante del governo provvisorio dell’Iraq alla loro riunione in programma domani al Cairo. La decisione, annunciata dal ministro degli esteri saudita principe Saud Al Faisal, è stata presa al termine di un incontro preliminare durato diverse ore e conclusosi, la scorsa notte, nella capitale egiziana.

 

“L’Iran dovrà chiarire tutti gli aspetti del suo programma nucleare”. Sono queste le parole con le quali il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), Mohamed El Baradei, ha aperto ieri a Vienna la riunione del Consiglio dei governatori dell’Agenzia dell’Onu. In un recente rapporto, gli ispettori avevano rilevato in due impianti iraniani tracce di uranio fortemente arricchito, del tipo utilizzabile per la costruzione di bombe atomiche. Una scoperta che fa discutere, come conferma Alberto Zanconato, corrispondente Ansa da Teheran, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

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R. – Per un programma nucleare a scopo di produzione di energia, un programma nucleare pacifico, l’uranio è arricchito normalmente non oltre il 5 per cento, mentre per produrre armi nucleari l’uranio deve essere arricchito almeno al 40 per cento, se non di più. Sembra che queste tracce ritrovate siano tracce di uranio altamente arricchito, che sarebbero incompatibili con un programma nucleare pacifico. L’Iran ha risposto dicendo che questa contaminazione, questo inquinamento, era già presente in macchinari portati dall’estero.

 

D. – Di fatto però i dubbi non sono soltanto degli Stati Uniti, ma sono anche dell’Europa, ad esempio…

 

R. – E’ un dato di fatto che l’Unione Europea negli ultimi mesi abbia espresso preoccupazioni molto profonde, molto serie, riguardo a questo punto, manifestando in questo una unità di opinioni con gli Stati Uniti quale non c’era stata per esempio sull’Iraq.

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La Gran Bretagna chiederà oggi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di votare la fine delle sanzioni contro la Libia, imposte nel 1992 a seguito delle accuse per la strage di Lockerbie: lo ha annunciato l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Emyr Jones Parry, presidente di turno per il mese di settembre del Consiglio di sicurezza.

 

Torna l’incubo Sars. Le autorità sanitarie di Singapore hanno, infatti, confermato oggi che il paziente di 27 anni ricoverato ieri è affetto dalla sindrome respiratoria acuta. Le autorità della città, inoltre, hanno aggiunto che, sebbene la malattia del giovane appaia come un caso isolato, sono state poste in quarantena 25 persone in relazione con il nuovo caso di polmonite atipica.

 

Alla vigilia della quinta riunione ministeriale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) che si aprirà domani a Cancún, in Messico, una schiera di attivisti tra i quali l’economista indiana, Vandana Shiva, hanno fatto sentire ieri, durante una conferenza stampa, la loro voce contro la globalizzazione. Il denominatore comune degli interventi è uno solo: tutti chiedono maggiore democrazia nelle decisioni sulle regole del commercio internazionale.

 

 

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